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Italian Pages 230 Year 2008
Sarah Addison Allen
IL PROFUMO DEL PANE ALLA LAVANDA Traduzione di Maria Paola Romeo e Claudia Lionetti
Da sempre, le donne della famiglia Waverley sono reputate strane dai loro concittadini. Specialmente Claire che, a 34 anni, vive sola nella grande casa ereditata dalla nonna e si dedica esclusivamente al suo giardino che nasconde un segreto: qualsiasi cosa vi cresca (in particolare i frutti del rigogliosissimo melo) ha un potere magico, una proprietà che può cambiare il destino delle persone. La nonna le ha lasciato anche un altro dono: le ha insegnato a cucinare pietanze a base di piante e fiori, dai nasturzi che inducono a custodire i segreti, alle bocche di leone per spegnere la passione, al pane alla lavanda che evoca i bei ricordi. Ed è grazie a queste ricette deliziose che la ditta di catering che Claire ha messo in piedi riscuote un grandissimo successo nella piccola città di Bascom. La quotidianità immutabile e il muro che Claire ha costruito attorno al proprio cuore vacillano il giorno in cui, inaspettatamente, alla sua porta ricompare la sorella Sydney, scappata di casa dieci anni prima perché non riusciva a sopportare il peso di essere una Waverley e adesso in fuga da un'oscura minaccia. Ha con sé la figlia Bay, nei cui occhi la zia Claire riconosce la luce della magia delle Waverley. Di nuovo insieme, le due sorelle potranno finalmente affrontare la loro difficile eredità e aprire il loro cuore all'amicizia e all'amore. Amore e vita, gioie e dolori si intersecano in questo romanzo meraviglioso dal sapore unico e intenso, come quello del pane alla lavanda.
A mia madre. Ti voglio bene.
Ringraziamenti
Grazie a mio padre per i geni testardi della scrittura e per le storie di suo nonno che hanno dato vita a Lester. Gratitudine infinita al meraviglioso, magico Andrea Cirillo e a Kelly Harms. Un dolce, enorme grazie a Shauna Summers, Nita Taublib, Carolyn Mays e Peggy Gordijn. Un abbraccio alle pazze Duetter e a Daphne Atkeson, per avermi incoraggiata a scrivere questa storia e a farlo sempre meglio. Grazie (due volte!) a Michelle Pittman e a Heidi Hensley, che si meriterebbero una tiara per la loro paziente amicizia. Un grazie immenso all'ineffabile Miss Snark. E mi inchino a Dawn Hughes, straordinario parrucchiere, per avermi aiutata a barcamenarmi tra le questioni del salone.
Sommario Parte Prima - Col senno di poi ................................................................. 6 1 ........................................................................................................... 7 2 ......................................................................................................... 23 3 ......................................................................................................... 42 4 ......................................................................................................... 58 5 ......................................................................................................... 72 6 ......................................................................................................... 86 Parte Seconda - Intuizione ................................................................... 111 7 ....................................................................................................... 112 8 ....................................................................................................... 120 9 ....................................................................................................... 136 10 ..................................................................................................... 149 11 ..................................................................................................... 162 11 ..................................................................................................... 191 13 ..................................................................................................... 203 Parte Terza - Preveggenza ................................................................... 222 14 ..................................................................................................... 223 Dal ricettario delle Waverley.. ............................................................. 228
Parte Prima - Col senno di poi
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1 A ogni falce di luna, senza eccezioni, Claire sognava la propria infanzia. Cercava sempre di rimanere sveglia quelle sere in cui le stelle scintillavano, e la luna era solo una scheggia che sorrideva provocatoria al mondo laggiù, come le belle donne sui vecchi cartelloni che pubblicizzavano sigarette e succo di limetta. In quelle notti, se era estate, alla luce delle lampade ad alimentazione solare che illuminavano il sentiero, Claire si dedicava al giardinaggio, strappava le erbacce e accudiva le piantine: l'ipomoea alba e il trombone d'angelo, il gelsomino notturno e la nicotina alata. Non facevano parte del lascito delle Waverley ma, a causa della frequente insonnia, Claire aveva aggiunto al giardino fiori che la impegnassero in quelle notti in cui era così stravolta che la frustrazione le bruciava l'orlo della camicia da notte e le rendeva operose le mani. Sognava sempre la stessa cosa. Lunghe strade come serpenti senza coda. Lei che dormiva in macchina mentre la madre incontrava uomini nei bar e nei locali di musica country. Lei faceva il palo mentre la madre rubava shampoo, deodorante e rossetto e qualche volta una barretta dolce per Claire nelle stazioni di servizio del Midwest. Poi, poco prima di svegliarsi, sua sorella Sydney appariva in un alone di luce. Lorelei, con Sydney per mano, correva verso casa Waverley a Bascom, e l'unica ragione per cui Claire le seguiva era perché stava attaccata alla gamba della madre e non l'avrebbe lasciata andare. Quella mattina, quando si svegliò nel giardino sul retro, in bocca aveva il sapore del rimpianto. Lo sputò. Era dispiaciuta per come aveva trattato la sorella da bambina. Ma i sei anni di vita di Claire prima dell'arrivo di Sydney erano stati segnati dalla paura costante di essere arrestate, ferite o di non avere sufficiente cibo, benzina o abiti caldi per l'inverno. Alla fine Lorelei se la cavava sempre, all'ultimo minuto. Alla fine nessuno le prendeva o faceva del male a Claire e, quando la prima morsa di freddo annunciava che le foglie stavano per cambiare colore, magicamente sua madre faceva comparire un paio di manopole azzurre decorate con fiocchi di neve, biancheria termica rosa da indossare sotto i jeans e un berretto con un pompon malconcio. Quella vita sempre in fuga poteva andare bene per Claire, ma ovviamente Lorelei aveva pensato che Sydney meritasse di 7
meglio, che meritasse di nascere con delle radici. E la bambina spaventata che era in Claire non poté mai perdonarglielo. Si alzò a fatica raccogliendo da terra le cesoie e la paletta e, nella nebbiolina dell'alba, si incamminò verso la rimessa. All'improvviso si fermò. Si guardò intorno. Tutto era silenzioso e umido, il melo sul retro ondeggiava piano, come se sognasse. Generazioni di Waverley avevano coltivato il giardino. In quella terra c'era la loro storia, ma anche il loro futuro. Qualcosa stava per accadere, qualcosa che il giardino non era ancora pronto a rivelarle. Avrebbe dovuto stare all'erta. Andò alla rimessa; con attenzione ripulì i vecchi attrezzi dalla rugiada e li appese al muro, al loro posto. Chiuse a chiave la pesante porta, poi attraversò il viottolo sul retro della pretenziosa dimora in stile Regina Anna che aveva ereditato dalla nonna. Claire si fermò nel solarium convertito a essiccatoio per erbe aromatiche e fiori. C'era un forte sentore di lavanda e menta piperita e le sembrò di entrare in un ricordo natalizio che non le apparteneva. Si sfilò dalla testa la camicia da notte sporca, la appallottolò e, nuda, entrò in casa. La aspettava una giornata impegnativa. Quella sera avrebbe dovuto preparare una cena, ed era anche l'ultimo martedì del mese, quindi aveva la solita consegna di marmellate di lillà, menta e petali di rosa e di aceti di nasturzi e fiori di erba cipollina per il mercato e il negozio di gastronomia in piazza, dove i ragazzi dell'Orion College si recavano dopo le lezioni. Si stava sistemando i capelli con i pettinini quando qualcuno bussò. Scese al piano di sotto con addosso un prendisole bianco e ancora scalza. Aprì la porta. Sorrise alla vecchia signora in piedi sotto il portico. Evanelle Franklin aveva settantanove anni e ne dimostrava centoventi, eppure riusciva ancora a percorrere il chilometro di pista che circondava l'Orion cinque volte la settimana. Evanelle era una lontana parente, una cugina di secondo, terzo o quattordicesimo grado, ed era l'unica Waverley che ancora viveva a Bascom. Claire era attratta da lei come da una calamita. Dopo che al compimento dei diciotto anni Sydney se ne era andata e la nonna, quello stesso anno, era morta, Claire sentiva il bisogno di mantenere un legame con la famiglia. Quando Claire era piccola, Evanelle passava di lì per lasciarle un cerotto ore prima che si sbucciasse un ginocchio, qualche moneta per lei e Sydney 8
molto prima che arrivasse il carretto dei gelati, e una pila da mettere sotto il cuscino due buone settimane prima che un fulmine abbattesse un albero in fondo alla strada e l'intero vicinato rimanesse tutta la notte senza elettricità. Se Evanelle ti portava qualcosa, presto o tardi ne avresti avuto bisogno, anche se la cuccia per gatto che aveva regalato a Claire cinque anni prima doveva ancora essere utilizzata. La maggior parte della gente in città si rivolgeva a Evanelle con gentilezza mista a un certo divertimento, comunque era lei la prima a non prendersi troppo sul serio. Claire però sapeva che dietro gli strani doni della cugina si celava sempre qualcosa. "Sembri proprio un'italiana con quei capelli scuri e il vestito alla Sophia Loren. La tua immagine dovrebbe apparire sull'etichetta di un olio di oliva", disse Evanelle. Indossava la solita tuta da ginnastica verde sintetica e portava a spalla una grande sporta piena di monete, francobolli, timer per le uova e saponette, tutte cose che, prima o poi, poteva sentire il bisogno di dare a qualcuno. "Stavo giusto per preparare il caffè", la invitò Claire. "Entra." "Non avertene a male." Evanelle la seguì in cucina, dove si sedette al tavolo. "Sai cosa odio?" Claire la guardò da sopra la spalla mentre l'aroma di caffè avvolgeva la cucina. "Cosa?" "L'estate." Claire rise. Le piaceva avere Evanelle intorno. Per anni aveva tentato di convincere la vecchia signora a trasferirsi a casa Waverley per potersi occupare di lei, e anche per non avere l'impressione, mentre andava avanti e indietro, che le mura si allontanassero, rendendo i corridoi più lunghi, le stanze più grandi. "E perché odi l'estate? È meravigliosa. Aria fresca, finestre aperte, raccogliere i pomodori e mangiarli ancora caldi di sole." "Odio l'estate perché la maggior parte dei ragazzi del college lascia la città, così nessuno fa più jogging e io non ho più fondoschiena maschili da ammirare quando passeggio sulla pista." "Sei una vecchia sporcacciona, Evanelle." "Ti avevo avvisata." "Ecco qui", disse Claire appoggiando una tazza di caffè sul tavolo 9
davanti a lei. Evanelle scrutò nella tazza. "Non ci hai messo niente, vero?" "Certo." "Perché il tuo ramo delle Waverley vuole sempre mettere qualcosa ovunque. Foglie di alloro nel pane, cannella nel caffè. A me piacciono le cose pure e semplici. Ah, ecco! Ho qualcosa per te." Rimestò nella borsa e ne estrasse un accendino giallo Bic. "Grazie, Evanelle", disse Claire mettendoselo in tasca. "Sono sicura che mi tornerà utile." "O magari no. Sapevo solo che dovevo dartelo." Evanelle, golosissima, prese il caffè e lanciò un'occhiata al piatto da portata coperto appoggiato sul piano da lavoro. "Cosa hai preparato di buono?" "Torta glassata. Ho mischiato all'impasto dei petali di viola, e ne ho anche cristallizzato qualcuno per le decorazioni. È per una cena che devo servire stasera." Claire prese un contenitore Tupperware. "Questa l'ho fatta per te. Dentro non c'è niente di strano, te lo giuro." E appoggiò il contenitore sul tavolo. "Sei la ragazza più dolce che io conosca. Quando ti sposi? Dopo che me ne sarò andata, chi si prenderà cura di te?" "Tu non andrai da nessuna parte. E poi questa casa è perfetta per ospitare un fantasma. Diventerò vecchia tra queste mura, i figli dei vicini mi daranno fastidio cercando di arrivare al melo in giardino e io li caccerò con una scopa. E avrò un mucchio di gatti. Ecco perché probabilmente mi hai regalato quella cuccia." Evanelle scosse la testa. "Il tuo problema è la routine. La ami troppo. Come tua nonna. Sei legatissima a questo posto, proprio come lei." Claire sorrise. Le piaceva essere paragonata alla nonna. Non aveva avuto idea di quanta sicurezza potesse dare un nome fino a che sua madre non l'aveva portata lì, in quella casa. Erano a Bascom forse da tre settimane, Sydney era appena nata e Claire sedeva fuori, sotto il liodendro nel cortile, mentre la gente veniva dalla città a trovare Lorelei e la nuova nata. Claire non era nuova, e pensava che a nessuno importasse qualcosa di lei. Una coppia, dopo la visita, era comparsa sulla soglia e si era messa a 10
osservare Claire che, tranquilla, costruiva casette di legno con dei ramoscelli. "Sì, è proprio una Waverley", aveva detto la donna. "Persa nel suo mondo." Claire non aveva alzato lo sguardo, non aveva detto una parola, però si era aggrappata all'erba davanti a lei per non fluttuare. Era una Waverley. Non lo aveva raccontato a nessuno, ad anima viva, nel timore che qualcuno potesse strapparle quella gioia, ma da quel giorno avrebbe seguito la nonna in giardino ogni mattina, l'avrebbe studiata, desiderando di essere come lei, di poter fare tutte le cose che faceva una vera Waverley, per provare che, nonostante non fosse nata lì, anche lei era una di loro. "Devo confezionare alcuni vasetti di marmellata e di aceto", disse ora a Evanelle. "Se mi aspetti un minuto ti accompagno a casa in macchina." "Vai da Fred?" "Sì." "Allora vengo con te. Mi serve della Coca-Cola. E delle barrette Goo Goo. E magari compro anche qualche pomodoro. Mi hai fatto venir voglia di pomodori." Mentre la cugina discuteva dei meriti dei pomodori gialli rispetto a quelli rossi, Claire prese dalla dispensa quattro scatole increspate e impacchettò la marmellata e l'aceto, che poi caricò nel bagagliaio del furgoncino bianco sul cui fianco campeggiava la scritta Waverley's Catering. Evanelle si sistemò sul sedile del passeggero e Claire le porse il contenitore con la torta glassata e un sacchetto di carta marrone. "Che cos'è?" domandò la vecchietta sbirciando nel sacchetto. "Un'ordinazione speciale", rispose Claire mettendosi al volante. "È per Fred", stabilì la cugina. "Pensi che farebbe ancora affari con me se sapesse che te ne parlo?" "È per Fred." "Io non l'ho detto." "È per Fred." "Non credo di averti sentita. Per chi è?" Evanelle tirò su col naso. "Ora stai facendo la saputella." Claire rise e mise in moto. 11
Gli affari andavano bene. Tutti, da quelle parti, sapevano che le pietanze preparate con i fiori che crescevano intorno al melo del giardino delle Waverley avevano effetti curiosi su chi le consumava. I biscotti con la marmellata di lillà, i dolci al tè di lavanda e le torte al tè con la maionese di nasturzio che le Dame di Carità ordinavano per le riunioni mensili davano loro il dono di mantenere i segreti. I boccioli di dente di leone fritti su riso con petali di calendola, i fiori di zucca ripieni, la zuppa di bacche di rosa assicuravano che gli amici notassero solo la bellezza della tua casa e nessun difetto. Il burro al miele di agastache spalmato sui toast, le caramelle di angelica e le tortine ricoperte di viole del pensiero cristallizzate rendevano i bambini giudiziosi. Il vino di caprifoglio servito il Quattro Luglio regalava l'abilità di vedere al buio. Il sapore balsamico della salsa preparata con bulbi di giacinto donava malinconia e faceva ripensare al passato, le insalate di cicoria e menta davano la certezza che qualcosa di buono sarebbe accaduto, che poi accadesse oppure no. La cena che Claire doveva preparare per quella sera sarebbe stata offerta da Anna Chapel, la responsabile del dipartimento d'arte all'Orion College, che alla fine di ogni semestre primaverile organizzava una serata con i colleghi. Erano ormai cinque anni che Claire se ne occupava. Far girare il suo nome in ambiente universitario era un buon modo per farsi pubblicità. Agli accademici bastava del buon cibo con un tocco di originalità, mentre la gente in città, che viveva lì da una vita, si rivolgeva a lei con richieste specifiche: per togliersi un peso dallo stomaco e assicurarsi che nessuno ne avrebbe più parlato, o garantirsi una promozione o ricucire un'amicizia. Claire andò a mettere i barattoli di marmellata e aceto sugli scaffali che aveva affittato in una bancarella del mercato sulla statale; poi si diresse in città e parcheggiò davanti al Fred's Gourmet Grocery, l'ex Fred's Foods come era stato chiamato per due generazioni, prima che gli accademici snob e la folla di turisti cominciassero a frequentarlo. Lei e la cugina entrarono nel negozio dagli scricchiolanti pavimenti in legno massiccio. Evanelle si diresse verso i pomodori, Claire puntò all'ufficio di Fred, sul retro. Bussò una volta, poi aprì la porta. "Ciao, Fred." Lui era seduto alla vecchia scrivania del padre; aveva davanti diverse 12
fatture ma, a giudicare dal modo in cui saltò sulla sedia non appena Claire comparve sulla soglia, doveva essere con la testa altrove. Si alzò immediatamente. "Claire! Che piacere vederti." "Ho qui le due scatole che mi hai ordinato." "Bene, bene." Fred afferrò la giacca bianca appesa alla spalliera della sedia e la indossò sulla maglietta nera a maniche corte. La accompagnò fino al furgoncino e l'aiutò a portare dentro le scatole. "Hai anche... uhm... quella cosa di cui abbiamo parlato?" domandò mentre entravano nel magazzino. Claire sorrise e tornò fuori. Un minuto dopo riapparve e gli mise tra le mani il sacchetto di carta marrone contenente una bottiglia di vino al geranio rosa. Lui la prese imbarazzato, quindi le porse una busta con un assegno. Il gesto fu del tutto innocuo: Fred la pagava sempre così quando lei gli consegnava marmellata e aceto, ma quello valeva dieci volte tanto. E la busta era più luminosa, sembrava contenesse lucciole, accesa com'era dalla sua speranza. "Grazie, Fred. Ci vediamo il mese prossimo." "Arrivederci, Claire." Fred Walker guardò Claire ferma sulla porta, in attesa che Evanelle finisse di pagare alla cassa. Claire era una bella donna, capelli e occhi scuri, carnagione olivastra. Non assomigliava per niente alla madre, che lui aveva conosciuto ai tempi della scuola, e neppure a Sydney. Evidentemente le due ragazze dovevano aver preso dai padri, chiunque fossero. La gente trattava Claire con cortesia, ma la considerava una persona riservata e con lei parlavano solo del tempo, o del nuovo connettore sull'interstatale, o di quanto dolci fossero le fragole quell'anno. Era una Waverley, e le Waverley erano donne particolari, ognuna a modo suo. La madre di Claire era stata una piantagrane: aveva lasciato che fosse la nonna ad allevare le figlie, e alla fine era morta in un incidente d'auto qualche anno dopo, a Chattanooga. La nonna si allontanava raramente da casa; la lontana cugina, Evanelle, continuava a dare strane cose a tutti. Le Waverley erano fatte in questo modo. Così come i Runion erano chiacchieroni, i Plemmon gente ambigua, i maschi degli Hopkins sposavano sempre donne più vecchie di loro. 13
Claire teneva casa Waverley in buono stato: era una delle dimore più antiche della zona, i turisti amavano andarla a visitare, e questa era una buona cosa per la città. E, ancora più importante, Claire c'era quando qualcuno cercava una soluzione a un problema che poteva essere risolto solo grazie ai fiori che crescevano intorno al melo. Claire era la prima da tre generazioni che condivideva quel dono. Per questo gli piaceva. Evanelle raggiunse Claire e insieme se ne andarono. Fred strinse il sacchetto con la bottiglia e tornò in ufficio. Si tolse la giacca e sedette di nuovo alla scrivania fissando la piccola foto incorniciata di un bell'uomo in smoking. Era stata scattata qualche anno prima, alla festa per i suoi cinquant'anni. Fred e il suo compagno, James, stavano insieme da oltre trent'anni, e se la gente conosceva la vera natura di quella relazione che ormai andava avanti da così tanto, a nessuno importava più. Ultimamente però lui e James si erano allontanati, e piccoli semi di ansia avevano iniziato a mettere radici. Da qualche mese, almeno due volte la settimana, James rimaneva a dormire a Hickory, dove lavorava, sostenendo di fare troppo tardi per tornare a Bascom. Così Fred rimaneva a casa solo troppo spesso e non sapeva come passare il tempo. James era il tipo che gli diceva: "I tuoi involtini primavera sono meravigliosi, perché non li prepari per cena?" Oppure: "Stasera c'è un bel film in televisione". James aveva sempre una risposta a tutto e Fred metteva in discussione ogni cosa, quando lui non c'era. Che cosa mangiare per cena? Doveva preparare gli abiti per la tintoria quella sera stessa o aspettare l'indomani mattina? Da una vita Fred sentiva parlare del vino al geranio rosa delle Waverley: chi lo beveva ritrovava la felicità e ricordava i bei tempi andati, e lui voleva indietro le cose belle che aveva condiviso con James. Claire ne preparava solo una bottiglia all'anno ed era dannatamente cara, però funzionava di sicuro, perché le Waverley, cieche com'erano per quel che riguardava le faccende personali, sapevano invece far aprire gli occhi al prossimo. Prese il telefono e digitò il numero dell'ufficio di James. Doveva chiedergli cosa voleva per cena. Che carne si serve con un vino magico? Claire arrivò a casa di Anna Chapel nel tardo pomeriggio. Anna viveva 14
in un quartiere esclusivo proprio accanto all'Orion College e l'unico modo per raggiungerlo era attraverso il campus. Il quartiere era stato progettato per gli insegnanti, e gli edifici - come lo stesso campus - risalivano a circa un secolo prima. Era stato costruito lì apposta, per mantenere la comunità accademica più isolata possibile. Una mossa saggia, considerata l'opposizione dell'epoca contro l'idea di un college femminile. Ancora oggi il rettore vi abitava, così come qualche professore, tra cui Anna. Tuttavia il quartiere era stato invaso da giovani famiglie che non avevano nulla a che vedere con il college, ma che amavano la tranquillità e la sicurezza del posto. "Claire, benvenuta", la salutò Anna dopo che ebbe aperto la porta d'ingresso, trovandovi Claire sotto il portico, carica di cibarie da mettere al fresco. Si spostò di lato e la lasciò entrare. "Conosce la strada. Ha bisogno di me?" "No, grazie. Tutto a posto", rispose Claire, nonostante la tarda primavera e l'estate fossero le stagioni più indaffarate e il momento in cui aveva meno aiuto. Di solito, quando aveva bisogno di una mano, ingaggiava studenti di gastronomia al primo anno: non erano di Bascom, e le uniche domande che facevano erano di natura culinaria. Se poteva, evitava gente del posto. La maggior parte infatti si aspettava di imparare chissà quali magie o si avvicinava al melo nel giardino sul retro con la speranza di appurare se la leggenda fosse vera, e cioè che le mele potessero svelare quale sarebbe stato l'evento più importante della vita di chi le mangiava. Claire andò in cucina, mise al fresco le provviste, poi tornò fuori e finì di scaricare. Ben presto la cucina rustica fu avvolta dal calore e dal profumo che da lì si diffuse per tutta la casa. E che accolse gli invitati come un bacio sulla guancia delle loro mamme. Anna preferiva sempre usare i propri piatti, stoviglie pesanti che lei stessa aveva fatto. Claire cominciò a disporre i cibi ed era tutto pronto quando la padrona di casa la avvisò che gli ospiti erano seduti a tavola. Il menu della serata prevedeva insalata, zuppa di yucca, medaglioni di maiale farciti con nasturzi, erba cipollina e formaggio di capra, sorbetto di limone e verbena e, per dessert, la torta glassata alle viole. Claire era impegnata a tenere d'occhio le pietanze sui fornelli, a sistemarle sui piatti, a 15
servire e a sparecchiare con calma e destrezza quando gli invitati avevano finito una portata. Si comportava in modo formale, come sempre, ma questi erano professori di arte e consorti, persone disinvolte, intelligenti, che si versavano da sé vino e acqua e apprezzavano la creatività del pasto. Quando doveva sbrigarsela da sola, Claire non prestava attenzione ai commensali, ma solo a quel che c'era da fare. E quella sera lo trovava estenuante, considerato che la notte precedente aveva dormito per terra, in giardino. Comunque bisognava tenere conto degli aspetti positivi della faccenda. Lei non era mai stata un gran che nelle relazioni interpersonali. Tuttavia fece caso a lui. Sedeva due posti dopo Anna, che stava a capotavola. Non appena lei entrava in sala da pranzo, tutti si concentravano sul cibo. Ma lui guardava lei. I capelli scuri quasi gli toccavano le spalle, aveva braccia e dita lunghe, labbra piene come raramente aveva visto in un uomo. Era... pericolo. Erano ormai arrivati al dessert quando Claire avvertì una sorta di premonizione mentre si apprestava a servire lo sconosciuto. Non le era chiaro se quel senso di anticipazione fosse il suo o quello di lui. "Ci conosciamo?" le domandò l'uomo. Sorrideva in modo dolce, aperto, e lei quasi lo ricambiò. Gli appoggiò davanti la fetta di torta perfetta, morbida, con le viole cristallizzate che spiccavano come gioielli di ghiaccio. Il dolce urlava Guardami!, eppure gli occhi dello sconosciuto rimanevano incollati a Claire. "Non credo", mormorò. "Ti presento Claire Waverley, l'addetta al catering", intervenne Anna, resa allegra dal vino, le guance arrossate. "La ingaggio per ogni serata del dipartimento. Claire, lui è Tyler Hughes. È il primo anno che è con noi." Claire annuì, in imbarazzo perché tutti gli occhi erano ora puntati su di lei. "Waverley", mormorò Tyler pensoso. Lei iniziò ad allontanarsi, ma le lunghe dita dell'uomo si strinsero con gentilezza intorno al suo braccio impedendole di muoversi. "Certo! " esclamò ridendo. "È la mia vicina. Pendland Street, vero? Vive in quella grande casa in stile Regina Anna." Claire era tanto sorpresa che lui l'avesse toccata che riuscì soltanto a 16
rivolgergli un brusco cenno. Rendendosi forse conto che si era irrigidita, o del brivido appena percettibile che le aveva percorso la pelle, subito lui la lasciò andare. "Ho appena comprato la casa azzurra proprio accanto alla sua", disse. "Ho traslocato qualche settimana fa." Claire lo guardò. "Be', è un piacere conoscerla, finalmente." Lei annuì di nuovo e uscì dalla stanza. Finì di ripulire e di riporre le proprie cose, lasciò quel che era rimasto dell'insalata e della torta nel frigorifero di Anna. Si sentiva di cattivo timore, distratta, e non sapeva perché. Però continuava a passarsi inconsciamente le dita sul braccio, dove Tyler l'aveva toccata, come se volesse togliersi qualcosa dalla pelle. Prima che finisse di caricare sul furgoncino l'ultimo contenitore, Anna entrò in cucina per complimentarsi per la cena e l'ottimo lavoro fatto, troppo ubriaca o troppo gentile per accennare allo strano comportamento della cuoca nei confronti di uno dei suoi ospiti. Claire sorrise, prese l'assegno che la padrona di casa le porgeva, salutò e, con l'ultimo contenitore tra le mani, se ne andò passando dalla porta sul retro. Percorse piano il vialetto fino al furgone. La stanchezza cominciava ad avvolgerla come sabbia e i suoi passi erano lenti. Era una bella serata, l'aria calda, asciutta. Pensò che avrebbe dormito con le finestre della camera da letto aperte. Quando raggiunse il marciapiede avvertì una strana folata di vento. Si voltò e sotto la quercia del giardino di Anna intravide una figura. Non riusciva a distinguerla con chiarezza, ma intorno a essa volteggiavano minuscoli puntini di luce rossa che parevano scariche elettriche. L'uomo si allontanò dall'albero e Claire poté sentire il suo sguardo su di sé. Si voltò di nuovo e mosse un passo verso il furgoncino. "Aspetti." Avrebbe dovuto proseguire, invece Claire si voltò. "Ha da accendere?" le domandò Tyler. Claire chiuse gli occhi. Sarebbe stato più facile prendersela con 17
Evanelle, se la vecchia signora avesse saputo veramente cosa stava facendo. Mise giù il contenitore e dalla tasca del vestito estrasse l'accendino giallo Bic che la cugina le aveva regalato quella mattina. Era questo quel che avrebbe dovuto farne? Mentre gli si avvicinava e gli porgeva l'accendino, le sembrava che un potente getto d'acqua la spingesse da dietro verso un'infinita profondità. Si fermò a qualche passo da Tyler, nel tentativo di mantenersi il più distante possibile, e puntò i piedi per contrastare la forza misteriosa che la muoveva. Lui sorrideva, calmo e rilassato. Tra le labbra teneva una sigaretta spenta che si tolse di bocca. "Lei fuma?" "No." Nella mano tesa Claire teneva sempre l'accendino. Tyler non lo prese. "Non dovrei, lo so. Ormai me ne concedo solo un paio al giorno. Non va più di moda." Quando lei non rispose, spostò il peso da un piede all'altro. "L'ho vista in giro. Ha un giardino splendido. Ho tagliato l'erba del mio per la prima volta due giorni fa. Lei non parla molto, vero? O sono io che ho fatto qualcosa per offenderla? Sono forse uscito in giardino in mutande?" A Claire venne un colpo. Si sentiva così protetta a casa sua che spesso dimenticava di avere dei vicini, i quali dai loro piani alti potevano spiare nel suo solarium, dove quella mattina lei si era tolta la camicia da notte. "È stata una cena ottima", continuò Tyler, imperterrito. "Grazie." "Magari ci rivediamo?" Il cuore di Claire cominciò a battere furioso. Non le serviva niente oltre a ciò che già aveva. Nell'attimo in cui avesse lasciato entrare qualcun altro nella sua vita, ne sarebbe stata ferita. Aveva Evanelle, la casa, il lavoro. Era tutto quel che le serviva. "Tenga pure l'accendino", disse dandogli il Bic, e se ne andò. Arrivata al suo cancello, Claire parcheggiò davanti all'ingresso principale anziché girare sul retro. Seduto sul primo gradino del portico c'era qualcuno. 18
Claire scese dal furgone, lasciando i fari accesi e la portiera aperta. Attraversò il giardino, la stanchezza cancellata dal panico. "Evanelle, cos'è successo?" La vecchietta era rigida, le luci della strada le davano un aspetto fragile, spettrale. Aveva in mano due confezioni di lenzuola nuove e una scatola di dolci Pop-Tarts alla fragola. "Non potevo dormire finché non ti avessi portato questi. Ecco, prendili e fammi andare a letto." Claire corse su per i gradini, la liberò dalle scatole e la strinse con un braccio. "Da quanto mi aspetti?" "Da circa un'ora. Ero a letto quando il pensiero mi ha assalita: ti servivano nuove lenzuola e i Pop-Tarts." "Perché non mi hai chiamata sul cellulare? Sarei potuta passare a prenderli." "Non è così che funziona. Non so perché." "Rimani qui stanotte. Ti preparo un po' di latte caldo." "No", ribatté Evanelle brusca. "Voglio andare a casa." Dopo le sensazioni risvegliate da Tyler, Claire desiderava ancora di più lottare per le cose che possedeva, le uniche che voleva. "Magari queste lenzuola stanno a significare che devo preparare un letto per te", aggiunse speranzosa mentre tentava di spingere la cugina verso la porta. "Resta con me, per favore." "No! Non sono per me e non so per chi sono. Non lo so mai! " sbottò Evanelle. Prese un respiro profondo, poi sussurrò: "Voglio andare a casa". Nonostante la stanchezza, Claire le diede una pacca rassicurante sulla spalla. "Va bene, ti accompagno." Appoggiò le lenzuola e i dolci sulla sedia a dondolo in vimini davanti all'ingresso. "Andiamo, dolcezza", disse scortando la cugina assonnata giù per i gradini e fino al furgoncino. Quando Tyler Hughes rientrò, la casa di Claire era buia. Parcheggiò la jeep e si avviò, poi però si bloccò sulla strada di accesso. Non aveva ancora voglia di entrare. Udì un cane zampettare sul marciapiede. Si voltò. Un piccolo terrier nero era all'inseguimento di una falena che svolazzava da un lampione 19
all'altro. Tyler rimase in attesa. Poco dopo infatti comparve la signora Kranowski, una vecchia allampanata con un'acconciatura che ricordava un soffice gelato alla vaniglia. Inseguiva il cane. "Edward! Edward! Torna dalla mamma. Edward! Vieni qui subito." "Ha bisogno di aiuto, signora Kranowski?" le domandò Tyler. "No, grazie", rispose la donna mentre scompariva in fondo alla strada. Quella scenetta, aveva scoperto, si ripeteva almeno quattro volte al giorno. Non era tanto male avere una routine. Era ciò che Tyler apprezzava di più. Quell'estate avrebbe iniziato a tenere dei corsi, ma doveva pazientare ancora un paio di settimane, e diventava sempre inquieto quando la routine gli veniva a mancare. L'organizzazione non era mai stata il suo forte, seppure gli piacesse. Talvolta si chiedeva se fosse nato così o se l'avesse imparato col tempo. I suoi genitori, degli artistoidi estimatori della marijuana, lo avevano incoraggiato a seguire la sua vena artistica. Solo alle elementari Tyler aveva scoperto che non si poteva disegnare sui muri. Era stato un sollievo. La scuola gli aveva dato una struttura, delle regole, una direzione. Durante le vacanze estive Tyler dimenticava di mangiare perché trascorreva ore e ore a dipingere e a sognare. I suoi genitori non l'avevano mai contrastato. La sua era stata un'infanzia felice, dove però l'ambizione era considerata un tabù tanto quanto Ronald Reagan. Come la madre e il padre, anche lui aveva sempre pensato di poter vivere decentemente della propria arte ed esserne anche felice. Eppure amava la scuola, e ancora di più il college, e il pensiero di dovervi rinunciare non gli piaceva. Così aveva deciso di insegnare. I suoi non avevano capito. Guadagnare era grave quasi quanto diventare repubblicano. Se ne stava ancora lì sul viottolo di casa quando la signora Kranowski tornò indietro con Edward in braccio, che si dimenava. "Bravo, il mio Edward", diceva al cane. "Il bravo bambino della mamma." 20
"Buona notte, signora Kranowski." "Buona notte, Tyler." Amava quel posto folle. Il primo incarico dopo il master era stato in una scuola superiore in Florida, dove la ricerca di insegnanti era così disperata che pagavano stipendi esorbitanti, con tanto di rimborso spese per l'alloggio e per le trasferte nel Connecticut. Dopo circa un anno aveva iniziato a tenere corsi serali di arte all'università locale. Era stato per una serie di circostanze fortunate che era giunto a Bascom. A una conferenza a Orlando aveva conosciuto un'insegnante d'arte dell'Orion College. Avevano bevuto del vino, flirtato, e la serata si era conclusa con una seduta di sesso selvaggio nella camera d'albergo di lei. Qualche anno dopo, durante una inquieta pausa estiva, Tyler aveva sentito che al dipartimento d'arte dell'Orion College selezionavano insegnanti, e quella lontana notte gli era tornata alla mente con tutte le sue immagini meravigliosamente vivide. Aveva sostenuto il colloquio e ottenuto il posto. Non ricordava nemmeno il nome della donna, ciò che importava era l'aspetto sentimentale della faccenda. Quando era arrivato, però, lei si era già trasferita. Non l'aveva mai più rivista. Più invecchiava, più rifletteva sul perché non si fosse ancora sposato, sul perché fosse arrivato in quella cittadina solo a causa dell'ennesima inquietudine estiva e del sogno di una vita con una donna con la quale aveva passato un'unica notte di passione. Era stato romanticismo o semplicemente un gesto insano? Quando udì un tonfo, tirò fuori le mani dalle tasche e si diresse verso il giardino sul retro. Dopo aver tagliato il prato, erano rimasti grossi mucchi umidi di erba. E se l'erba tagliata fosse seccata soffocando quella fresca che ricresceva sotto? Era passato solo un giorno dalla fine della scuola e già era preoccupato in modo ossessivo per il prato. E le cose sarebbero peggiorate. Cosa avrebbe fatto finché le lezioni estive non fossero cominciate? Si sarebbe dovuto appuntare di ricordarsi di mangiare. L'avrebbe fatto quella sera stessa, per non scordarsene. Avrebbe appeso bigliettini 21
ovunque... sul frigorifero, sul divano, sul letto, sul gabinetto. La luce del portico illuminava il piccolo giardino; niente a che vedere con quello della vicina, circondato da una recinzione metallica ricoperta di caprifoglio. Già due volte, da quando aveva traslocato, aveva dovuto allontanare dei ragazzini. Volevano raggiungere il melo, gli avevano detto. Che stupidaggine!, aveva pensato. Nel campus dell'Orion c'erano almeno sei alberi di mele. Perché cercare di scavalcare un'inferriata appuntita alta quasi tre metri quando bastava andare al college? L'aveva fatto presente ai ragazzini, ma quelli l'avevano fissato come se non avesse idea di ciò che stava dicendo. Quel melo, avevano ribattuto, era speciale. Tyler camminava lungo la recinzione, inalando il profumo di caprifoglio, quando il piede urtò qualcosa. Guardò in basso. Una mela. Gli occhi seguirono un sentiero di frutti fino a una piccola montagnola in prossimità dell'inferriata. In quel momento un'altra mela atterrò con un tonfo. Era la prima volta che i frutti cadevano dalla sua parte. Accidenti, da lì l'albero neanche si vedeva! Tyler prese una piccola mela rosa, la lucidò sfregandola sulla camicia, e diede un morso. Riavviandosi lentamente verso casa decise che l'indomani avrebbe messo le mele in una scatola e le avrebbe portate a Claire, raccontandole quel che era successo. Sarebbe stata una buona scusa per rivederla. È anche l'ennesimo esempio di come seguire una donna fino ad arrivare a un binario morto. E che diamine! Fai quel che sai fare meglio. L'ultima cosa che ricordò fu di aver appoggiato il piede sul primo gradino del portico sul retro. Ciò che seguì fu il sogno più sorprendente che avesse mai fatto.
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2 Dieci giorni prima Seattle, Stato di Washington Sydney si avvicinò al letto della figlia. "Svegliati, tesoro." Quando Bay aprì gli occhi, Sydney appoggiò un dito sulle labbra della piccola. "Ora partiamo, ma non vogliamo che Susan ci senta, perciò facciamo piano. Ricordi? Come avevamo deciso." Bay si alzò senza fiatare e andò in bagno, dove si ricordò di non tirare lo sciacquone perché le due villette erano divise soltanto da una parete e Susan avrebbe potuto sentirle. Quindi infilò le scarpe con le suole morbide e silenziose, indossò gli abiti che la mamma aveva preparato per lei e che la piccola avrebbe messo a strati. Quella mattina sarebbe stata fredda, ma nel corso della giornata, quando la temperatura si fosse alzata, non avrebbero avuto il tempo di fermarsi per cambiarsi. Mentre Bay si preparava, Sydney camminava avanti e indietro. David era a Los Angeles per affari e come al solito aveva chiesto all'anziana vicina di casa di tenerle d'occhio. Per tutta la settimana precedente, nascosti nella sporta della spesa, Sydney aveva portato fuori di casa abiti, cibo e altri oggetti, senza mai deviare dalla routine che David le aveva imposto e che Susan controllava. Aveva il permesso di portare Bay al parco il lunedì, il martedì e il giovedì, e il venerdì poteva andare al negozio di alimentari. Due mesi prima aveva conosciuto un'altra mamma che aveva avuto la sfacciataggine di chiederle ciò che le altre non avevano mai osato. Come mai tanti lividi? E quel nervosismo? L'aveva aiutata ad acquistare una vecchia Subaru per trecento dollari, una parte consistente del denaro che Sydney era riuscita a mettere da parte negli ultimi due anni sfilando di tanto in tanto un biglietto da un dollaro dal portafoglio di David e nascondendo il bottino nei cuscini del divano o restituendo oggetti comprati con assegni - David controllava l'estratto conto - e ottenendo in cambio contanti. Aveva portato abiti e cibo alla donna del parco, perché li 23
caricasse sulla macchina. Ora Sydney pregava il Signore che Greta non avesse dimenticato di parcheggiare la Subaru dove avevano concordato. Si erano parlate l'ultima volta giovedì, e adesso era domenica. David sarebbe tornato quella sera. Ogni due o tre mesi lui andava a Los Angeles per controllare di persona l'andamento del suo ristorante. Rimaneva qualche giorno per spassarsela con i soci, vecchi compagni dei tempi dell'UCLA. Tornava a casa contento, rimaneva per un po' rintronato, finché non gli veniva voglia di fare sesso, e allora iniziavano i paragoni con le ragazze con le quali era stato a L.A. Tanto tempo prima anche lei era stata come loro. E gli uomini pericolosi erano la sua specialità, così come immaginava fosse stato per sua madre. Una delle tante ragioni per cui aveva abbandonato Bascom con nient'altro che uno zaino e alcune foto della mamma. "Sono pronta", sussurrò Bay sopraggiungendo nell'atrio che Sydney continuava a percorrere a grandi passi. Sydney si accucciò e la abbracciò. Bay aveva cinque anni, abbastanza per rendersi conto di quel che accadeva in casa. Sydney faceva di tutto per evitare che David avesse una qualsiasi influenza sulla figlia, e per un tacito accordo lui non avrebbe alzato un dito sulla bambina finché lei avesse fatto ciò che lui voleva. Ma che terribile esempio stava dando a sua figlia! Bascom, nonostante i limiti, era un luogo tranquillo e, sebbene lei lo avesse sempre disprezzato, avrebbe consentito a Bay di sapere finalmente cosa significasse essere al sicuro. Si ricompose prima di scoppiare di nuovo a piangere. "Forza, tesoro." Era sempre stata brava ad andarsene. L'aveva fatto spesso prima di conoscere David. Ora la paura le toglieva il respiro. Dopo aver lasciato il North Carolina Sydney si era diretta a New York, dove avrebbe potuto confondersi tra la folla, dove nessuno avrebbe pensato che fosse strana e dove il nome Waverley non significava niente. Era andata a vivere con degli attori che volevano perfezionare il loro accento del Sud mentre lei faceva di tutto per liberarsene. Dopo un anno si era trasferita a Chicago con un ladro d'auto che viveva alla grande. Quando era stato beccato, Sydney aveva preso i soldi di lui e si era spostata a San Francisco, e lì aveva vissuto per un altro anno. Aveva cambiato il nome in Cindy Watkins, assumendo quello di una vecchia amica di New York, 24
perché il suo ex non potesse rintracciarla. Una volta finito il denaro, era stata la volta di Vegas, dove aveva lavorato come cameriera. La ragazza con cui aveva viaggiato da Vegas a Seattle aveva un'amica che lavorava in un ristorante, il David's on the Bay, che aveva trovato un impiego per tutte e due. Sydney aveva subito provato un'attrazione selvaggia per David, il proprietario. Non era bello, ma era forte, potente, e questo le piaceva. Gli uomini forti la eccitavano finché non cominciavano a farle paura, e a quel punto lei scappava. Era diventata brava a giocare con il fuoco senza scottarsi. Le cose con David avevano iniziato a mettersi male dopo circa sei mesi che si frequentavano. Qualche volta lui la picchiava, la legava al letto e le diceva quanto la amava. Poi si era messo a seguirla in drogheria, a casa di amici. Allora Sydney aveva cominciato a organizzare la fuga, a rubacchiare del denaro dal ristorante per poter raggiungere il Messico con una ragazza che aveva conosciuto nella lavanderia a gettoni. Ma aveva scoperto di essere incinta. Bay era nata sette mesi dopo (il nome l'aveva scelto David ispirandosi a quello del suo locale). Per il primo anno di vita di Bay, Sydney aveva incolpato la piccola della situazione. David la disgustava, la terrorizzava oltre ogni limite. Lui se ne accorgeva e picchiava più forte. Sydney non voleva una famiglia. Non aveva mai pensato di mettere su casa con nessuno degli uomini che aveva conosciuto. E ora, a causa di Bay, doveva restare. Poi un giorno tutto era cambiato. Abitavano ancora nell'appartamento dove lei e David avevano vissuto prima di trasferirsi nella villetta. Bay aveva più o meno un anno e giocava tranquilla con i panni puliti riposti in un cesto posato a terra: si copriva la testa con la biancheria e le gambe con gli asciugamani. Di colpo Sydney aveva visto se stessa bambina giocare da sola, mentre Lorelei si torceva le mani e misurava il pavimento a grandi passi nella casa delle Waverley a Bascom, prima di lasciarla senza una spiegazione. Un sentimento possente l'aveva travolta, la pelle aveva cominciato a fremere e finalmente aveva rilasciato un profondo respiro che l'aveva liberata dal gelo. Era stato in quell'istante che aveva smesso di tentare di essere come sua madre, la quale, nonostante avesse provato a essere una persona decente, non era mai riuscita a essere una buona madre. 25
Aveva abbandonato le figlie senza una spiegazione. Non era più tornata indietro. Sydney sarebbe stata una brava mamma, e le brave mamme proteggono i loro figli. Le ci era voluto un anno, ma alla fine si era resa conto che non sarebbe dovuta restare a causa di Bay. Avrebbe portato Bay con sé. In passato era sempre stata così brava a scappare che si era crogiolata in una falsa sensazione di sicurezza, solo perché nessuno l'aveva mai inseguita. Quel giorno era uscita dal salone di bellezza di Boise dove aveva trovato un lavoro dopo aver frequentato la scuola per estetista. David era nel parcheggio. Prima di notarlo in piedi accanto alla propria auto, Sydney aveva alzato il viso al vento e aveva inalato il profumo di lavanda... Era dai tempi di Bascom che non lo sentiva più. Il profumo sembrava arrivare dal salone, come se tentasse di convincerla a seguirlo all'interno. Ma poi David l'aveva trascinata dentro la macchina. Era rimasta sorpresa, però non si era ribellata perché non voleva fare una scenata davanti alle nuove amiche. Lui aveva messo in moto, per parcheggiare vicino a un fast food. Lì aveva iniziato a prenderla a pugni al punto da farle perdere conoscenza; quando si era svegliata, lui la stava sbattendo sul sedile posteriore. Dopo si erano fermati in una stanza in un motel perché lei potesse ripulirsi e, mentre Sydney sputava un dente nel lavandino del bagno, lui le aveva detto che era tutta colpa sua. Più tardi erano andati a prendere la figlia all'asilo nido: David quel giorno aveva scoperto dove Bay era iscritta, e da lì le aveva rintracciate. Con il suo fascino aveva convinto le maestre che Sydney aveva avuto un incidente. Di nuovo a Seattle, la furia poteva travolgerlo in ogni momento. Con Bay nella stanza accanto e Sydney che le preparava un panino con il burro di arachidi, o era sotto la doccia, David all'improvviso compariva e la colpiva allo stomaco o la immobilizzava contro il bancone, le tirava giù i pantaloncini, la prendeva con violenza urlandole che non lo avrebbe lasciato mai più. Negli ultimi due anni capitava che Sydney entrasse in una stanza e sentisse il profumo delle rose o che la mattina si svegliasse al sentore del caprifoglio. I profumi sembravano sempre arrivare da una finestra, da lontano. 26
Era accaduto una notte, mentre guardava Bay dormire e piangendo piano si chiedeva come avrebbe fatto a proteggerla, perché, sia che fosse restata sia che fosse partita, sarebbero state in pericolo. E tutto aveva acquistato un senso. Quello che sentiva era il profumo di casa. Lei e sua figlia dovevano tornare a casa.
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Sydney e Bay scesero al piano di sotto nel buio che precede l'alba. Susan, dalla villetta accanto, poteva vedere sia la porta principale sia quella sul retro, allora madre e figlia raggiunsero la finestra del salotto affacciata sulla sottile striscia di prato laterale, invisibile alla vicina. Sydney aveva già sollevato la zanzariera in precedenza, ora doveva solo aprire piano il vetro e calare giù Bay. Alla piccola fece seguire la sporta della spesa, una valigia e lo zainetto della bambina, che Bay si era preparata da sola riempiendolo di tutte le cose segrete che le avrebbero fatto compagnia. Anche Sydney scavalcò: madre e figlia attraversarono i cespugli di ortensia, quindi raggiunsero il parcheggio. Greta, la donna del parco, aveva detto che avrebbe parcheggiato la Subaru davanti al numero 100 nella strada dopo la loro: avrebbe lasciato le chiavi dietro l'aletta parasole. L'auto non aveva assicurazione, la targa era scaduta, ma non importava. Quel che contava è che le avrebbe portate lontano. Lei e Bay correvano lungo il marciapiede evitando la luce dei lampioni. Piovigginava. Il sudore le bagnava gli occhi quando finalmente arrivarono al numero 100. Sydney scandagliò angosciata il parcheggio. Dov'era? Lasciò Bay e corse in lungo e in largo. C'era una sola Subaru, ma era troppo bella per valere trecento dollari. Era anche chiusa a chiave, e dentro si vedevano dei documenti oltre a un bicchiere accartocciato di caffè. Quell'auto apparteneva a qualcun altro. Rifece il giro. Guardò nella via dopo, tanto per esserne sicura. Non c'era. Corse di nuovo da Bay, senza fiato, sconvolta che il panico le avesse fatto lasciare la figlia anche solo per un minuto. Stava perdendo colpi e non poteva permetterselo. Non in quel momento. Sedette sul bordo del marciapiede tra una Honda e un pick-up Ford e nascose il viso tra le mani. Tanto coraggio sprecato! Come poteva riportare Bay a quella vita? Sydney non voleva più essere Cindy Watkins. Bay venne a sedersi accanto a lei; Sydney la strinse a sé. "Andrà tutto bene, mammina." 28
"Lo so. Stiamocene sedute qui per un po', d'accordo? Fa' pensare alla mamma cosa fare." Alle quattro del mattino il parcheggio era silenzioso, per questo Sydney alzò la testa di scatto quando udì un'auto che si avvicinava. Spinse il più possibile Bay contro il pick-up, per evitare che le vedessero. E se si fosse trattato di Susan? E se Susan l'avesse detto a David? Le luci dell'auto si avvicinavano lentamente; sembrava stessero scandagliando la strada in cerca di qualcosa. Sydney protesse Bay con il proprio corpo e chiuse gli occhi, come se quella fosse una soluzione. La macchina si fermò. Una portiera sbatté. "Cindy?" Sydney alzò lo sguardo e vide Greta, una bionda di piccola statura che indossava sempre stivali da cowboy e portava due grandi anelli di turchese alle orecchie. "Oddio", sussurrò. "Mi dispiace", si scusò Greta, inginocchiandosi di fronte a lei. "Mi dispiace tanto. Ho provato a parcheggiare qui, ma il tipo che abita laggiù mi ha beccata e mi ha detto che avrebbe chiamato il carro attrezzi. Sono passata di qui ogni mezz'ora, aspettandoti." "Oddio." "È tutto okay." Greta aiutò Sydney ad alzarsi e accompagnò lei e Bay verso una Subaru con il finestrino dal lato del passeggero sostituito da un pezzo di plastica e macchie di ruggine lungo tutto il paraurti. "Mettiti al sicuro. Va' più lontano che puoi." "Grazie." Greta fece un cenno con la testa e salì sul sedile del passeggero della jeep che l'aveva seguita fin lì. "Hai visto, mammina?" disse Bay. "Sapevo che ce la facevamo." "Anch'io", mentì Sydney.
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La mattina dopo il party di Anna Chapel, Claire scese in giardino a raccogliere della menta. Avrebbe cominciato a cucinare per il pranzo annuale dell'Associazione dei botanici amatoriali che si sarebbe tenuto il venerdì seguente a Hickory. Le socie, eccentriche e ricche signore, adoravano l'idea di mangiare fiori, inoltre pagavano bene e le avrebbero fatto pubblicità. Era stata una fortuna aver ottenuto quel lavoro, anche se le avrebbe dato parecchio da fare, e sarebbe stata costretta a ingaggiare qualcuno del posto che la aiutasse a servire in tavola. Il giardino era circondato da una pesante inferriata - ricordava quelle dei cimiteri gotici - e il caprifoglio che vi si avvinghiava in alcuni punti era spesso anche sessanta centimetri. Persino il cancello era ricoperto di caprifoglio, e il buco della serratura era un luogo segreto che solo pochi individuavano. Se ne accorse subito. Lì, in quel merletto in stile Regina Anna, stavano germogliando piccole foglie di edera. Edera. Nottetempo. Il giardino le voleva dire che qualcosa stava cercando di intrufolarsi, qualcosa dall'aspetto innocuo, ma che presto, se gliene fosse stata data l'opportunità, avrebbe invaso tutto. Strappò via l'edera e andò alla ricerca delle radici. Notò un rampicante sbucare da un cespuglio di lillà e strisciò fin lì. Nella foga, non aveva chiuso il cancello dietro di sé; mezz'ora dopo alzò la testa di scatto quando udì un rumore di passi sul viottolo che si snodava tra i fiori. Era Tyler, con una scatola di cartone, che si guardava intorno come se fosse entrato in un luogo incantato. Tutto lì fioriva all'improvviso, anche in periodi dell'anno in cui non avrebbe dovuto. Lui si fermò di colpo quando i suoi occhi trovarono Claire in ginocchio che estirpava le radici dell'edera da sotto il cespuglio di lillà. Le lanciò un'occhiata come se tentasse di metterla a fuoco nell'oscurità. "Sono Tyler Hughes", disse. "Il vicino." Lei annuì. "Ricordo." Le si avvicinò. "Mele", continuò Tyler accucciandosi accanto a lei e posando la scatola a terra. "Sono cadute oltre l'inferriata, ce n'è una dozzina almeno. Non so se le servano per le sue ricette, nel dubbio ho pensato di 30
riportargliele. Ho provato alla porta, ma nessuno mi ha risposto." Claire allontanò da lui il cartone nel modo più impercettibile. "Non mi servono, comunque grazie. Non le piacciono le mele?" Lui scosse la testa. "Di tanto in tanto. Non riesco a immaginare come abbiano fatto a finire nel mio giardino. L'albero è troppo lontano." Per fortuna non parlò di visioni, cosa che la sollevò. Non doveva averne mangiato. "Sarà stato il vento." "Lo sa? Le mele sugli alberi del campus non sono ancora mature in questo periodo dell'anno." "Questo melo fiorisce in inverno e produce frutti per tutta la primavera e l'estate." Tyler osservava l'albero. "Caspita." Anche Claire guardò. L'albero si ergeva sul fondo della proprietà. Non era molto alto, ma si sviluppava in ampiezza. I rami si allungavano come le braccia di un danzatore, e le mele crescevano alle estremità: pareva quasi che tenesse i frutti nei palmi delle mani. Era un magnifico vecchio albero, la corteggia argentata e rugosa e consumata in alcuni punti. L'unica erba che cresceva in giardino era lì, sotto il melo, e si allargava circa tre metri oltre l'ampiezza delle sue fronde, creando alla pianta uno spazio tutto suo. Claire non sapeva perché, ma capitava che il melo buttasse lontano i suoi frutti, come annoiato. La sua stanza da ragazza dava sul giardino, e quando d'estate dormiva con le finestre aperte, talvolta la mattina trovava una o due mele sul pavimento. Lanciò uno sguardo severo all'albero. Ogni tanto funzionava, lo rimetteva in riga. "È solo un melo", disse, e tornò a voltarsi verso il cespuglio di lillà, dove riprese a sradicare l'edera. Tyler si ficcò le mani in tasca e restò lì a studiarla. Erano anni ormai che lavorava da sola in giardino, e in quel momento Claire si rese conto di quanto le fosse mancata la compagnia di qualcuno. Le sovvenne il periodo in cui ci andava con la nonna. Non doveva essere per forza un impegno solitario. "È tanto che vive a Bascom?" le domandò Tyler. 31
"Da tutta la vita, quasi." "Quasi?" "La mia famiglia è di qui. Mia madre è nata qui. Se ne andò ma tornò quando io avevo sei anni. Ci vivo da allora." "Così lei è di qui." Claire rabbrividì. Come aveva fatto? Come aveva potuto, con cinque parole soltanto? Le aveva detto l'unica cosa che aveva sempre desiderato sentirsi dire. E neanche se ne rendeva conto. Era lui l'edera. Lentamente voltò la testa e alzò lo sguardo su quell'uomo, sul suo corpo allampanato, sui suoi lineamenti sgraziati, sui suoi meravigliosi occhi castani. "Sì", rispose senza fiato. "E allora chi sono i suoi ospiti?" si incuriosì Tyler. Ci volle un istante perché Claire afferrasse il senso della frase. "Non ho ospiti." "Mentre passavo davanti alla casa ho visto qualcuno che parcheggiava una macchina carica di borse e scatoloni. Pensavo si stessero trasferendo." "Strano." Claire si alzò, si tolse i guanti, si girò e uscì dal giardino, assicurandosi che Tyler la seguisse. Non si fidava a lasciarlo solo con l'albero, anche se non mangiava le mele. Camminò lungo il vialetto che costeggiava la casa, ma si fermò di colpo accanto al liodendro. Tyler sopraggiunse e appoggiò le mani sulle braccia di Claire, come se si fosse reso conto che le gambe di lei avevano perso forza. Altra edera. Una bambina, sui cinque anni, correva per il giardino a braccia spalancate, a mo' di aeroplano. Una donna era appoggiata a una vecchia Subaru parcheggiata sulla strada, le braccia incrociate al petto, e guardava la piccola. Sembrava minuta, fragile, aveva i capelli castano chiaro sporchi e profonde occhiaie nere. Dava l'impressione di reggersi per evitare di cadere. Claire si domandò distrattamente se era così che si era sentita la nonna quando la figlia era tornata a casa dopo anni di lontananza. Quando Lorelei, incinta e con una bambina di sei anni attaccata alle gambe, si era presentata lì. Lo stesso sollievo, la stessa rabbia, la tristezza, il panico. 32
Finalmente le gambe riuscirono di nuovo a muoversi, e Claire attraversò il giardino, lasciandosi Tyler alle spalle. "Sydney?" Sydney si staccò dalla macchina in fretta, sussultando. Gli occhi scandagliarono Claire, poi le sorrise. La donna insicura con le braccia strette al corpo era sparita, sostituita dalla vecchia Sydney, quella che pronunciava il loro cognome con sdegno, non rendendosi conto di quale dono fosse essere nata lì. "Ciao, Claire." Claire si fermò sul marciapiede, a qualche metro da lei. Forse era un fantasma, o qualcuno che assomigliava terribilmente a sua sorella. La Sydney che Claire conosceva non avrebbe mai permesso che i suoi capelli si riducessero in quello stato, e neanche morta si sarebbe fatta vedere con una maglietta macchiata. Era sempre stata perfettina, impeccabilmente vestita. Aveva sempre fatto di tutto per non sembrare una Waverley. "Dove sei stata?" "Ovunque." Sydney sorrise con quel suo sorriso meraviglioso, e all'improvviso poco importava l'aspetto dei capelli o degli abiti. Sì, era proprio Sydney. La bambina la raggiunse. Lei le mise un braccio sulle spalle. "Questa è mia figlia, Bay." Claire guardò la piccola e cercò di sorridere a sua volta. Aveva capelli scuri, come i suoi, e gli occhi blu di Sydney. "Ciao, Bay." "E lui è...?" volle sapere Sydney. "Tyler Hughes", rispose lui tendendo la mano oltre Claire, che non si era resa conto che nel frattempo l'aveva raggiunta. "Abito lì, alla porta accanto." Sydney strinse la mano di Tyler e annuì. "La vecchia casa dei Sanderson. Ha un bell'aspetto: non era azzurra l'ultima volta che l'ho vista. Era di uno squallido bianco sporco." "Non è merito mio. Quando l'ho comprata era già così. " "Sono Sydney Waverley, la sorella di Claire." "Piacere di conoscerla. Stavo per andarmene. Claire, se ha bisogno di qualcosa..." Le strinse una spalla, poi se ne andò. 33
Claire era confusa, non voleva che lui se ne andasse. Naturalmente non poteva nemmeno restare. Però ora era sola con Sydney e la sua bambina taciturna, e non aveva idea di quel che doveva fare. Sydney alzò le sopracciglia. "Tipo sexy." "Waverley", mormorò Claire. "Cosa?" "Hai detto che il tuo cognome è Waverley." "Così mi risulta." "Pensavo odiassi questo nome." Sydney si strinse nelle spalle. "E Bay?" "Anche lei è una Waverley. Torna ancora un po' a giocare, tesoro", disse Sydney, e la piccola corse di nuovo in giardino. "Non riesco a credere quanto sia bella questa casa. Nuova tinteggiatura, nuove finestre, nuovo tetto. Non avrei immaginato che potesse avere un aspetto tanto splendido." "Per ristrutturarla ho usato i soldi dell'assicurazione sulla vita della nonna." Sydney si voltò un istante per guardare ostentatamente Tyler che saliva i gradini del portico di casa sua e poi entrava. Si era irrigidita, e Claire capì che la notizia l'aveva scioccata. Si era aspettata di trovare la nonna viva e in buona salute? "Quando?" domandò. "Quando cosa?" "Quando è morta?" "Dieci anni fa. La vigilia di Natale, l'anno in cui te ne sei andata. Non sapevo come contattarti. Non sapevamo dove fossi andata." "La nonna lo sapeva. Gliel'avevo detto. Senti, ti dispiace se sposto questo rottame sul retro?" Con un pugno Sydney diede un colpo al cofano della Subaru. "Mi imbarazza." "Che ne è stato della vecchia auto della nonna, quella che ti aveva 34
regalato?" "L'ho venduta a New York. Lei mi aveva detto che potevo farlo, se volevo." "E così è lì che sei stata, a New York?" "Solo per un anno. Mi sono spostata qua e là. Proprio come la mamma." Gli occhi delle due sorelle si fissarono, poi fu silenzio. "Che ci fai qui, Sydney?" "Ho bisogno di un posto dove stare." "Per quanto?" Sydney prese un profondo respiro. "Non lo so." "Non puoi lasciare Bay qui." "Cosa?" "Come ha fatto la mamma con noi. Non la puoi lasciare qui." "Non abbandonerei mai mia figlia", sbottò Sydney con una nota isterica nella voce, e Claire fu di colpo consapevole del non detto, della storia che sua sorella non le aveva ancora raccontato. Doveva esserle accaduto qualcosa di grosso, altrimenti non sarebbe mai tornata indietro. "Cosa vuoi che faccia, Claire, che ti implori?" "No, non voglio che mi implori." "Non ho nessun altro posto dove andare", mormorò Sydney a fatica, come se stesse sputando semi di girasole sul marciapiede, dove sarebbero arrostiti al caldo, facendosi duri, più duri. Che cosa doveva fare? Sydney era la sua famiglia. Claire aveva imparato a proprie spese che la famiglia non può essere data per scontata. E che può ferirti più di chiunque altro al mondo. "Avete già fatto colazione?" "No." "Ci vediamo in cucina." "Forza, Bay, porto l'auto sul retro", chiamò Sydney, e la piccola le corse 35
incontro. "Bay, ti piacciono i Pop-Tarts alla fragola?" domandò Claire. Bay sorrise, il sorriso di Sydney. Le fece male riconoscerlo e ricordare tutto ciò che aveva fatto, e che ora avrebbe voluto cancellare, quando sua sorella era una bambina. Per esempio cacciarla dal giardino quando voleva vedere cosa stessero facendo lei e la nonna o nascondere le ricette sugli scaffali più alti così che la piccola non potesse conoscere i loro segreti. Claire si era sempre chiesta se fosse stato per colpa sua che la sorella detestava tanto essere una Waverley. Anche questa bambina lo avrebbe odiato? Bay non lo sapeva ancora, ma aveva un dono. Forse Claire avrebbe potuto insegnarle a usarlo. Non aveva idea se lei e Sydney si sarebbero mai riconciliate, o quanto la sorella sarebbe rimasta, però avrebbe potuto recuperare con Bay gli errori del passato. In pochi minuti, la vita di Claire era cambiata. La nonna aveva accolto lei e Sydney. Lei avrebbe fatto lo stesso con Sydney e Bay. Senza dubbio. Era quello che una vera Waverley doveva fare. "I Pop-Tarts sono i miei preferiti! " Sydney sembrava sconvolta. "Come facevi a saperlo?" "Non lo sapevo", ammise Claire, avviandosi verso la casa. "Ma Evanelle sì."
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Sydney parcheggiò la Subaru sul retro, accanto a un piccolo furgone bianco e davanti al garage annesso. La bambina saltò giù dall'auto; lei si mosse più lentamente. Prese la borsa della spesa e lo zainetto, quindi fece un giro della macchina e svitò la targa dello Stato di Washington. La mise nella borsa. Ecco. Nessuna traccia della loro provenienza. Bay aspettava sul viottolo che separava l'abitazione dal giardino. "È qui che vivremo?" domandò per la sedicesima volta almeno da quando, quella mattina, si erano fermate davanti alla casa. Sua madre respirò a fondo. Dio, non riusciva a crederci. "Sì.'' "È una casa da principessa." Bay si voltò e indicò il cancello aperto. "Posso andare a vedere i fiori?" "No, quelli sono di Claire." Poi udì un tonfo e vide una mela rotolare fuori dal giardino e fermarsi ai suoi piedi. La fissò un istante. Nessuno in famiglia trovava strano possedere un albero che prediceva il futuro e regalava frutti. Tutto sommato, era un benvenuto migliore di quello che le aveva riservato sua sorella. Lanciò di nuovo la mela in giardino. "E stai alla larga dall'albero di mele." "Le mele non mi piacciono." Sydney si accovacciò davanti alla bambina. Le sistemò i capelli dietro le orecchie e le lisciò la maglietta. "D'accordo, qual è il tuo nome?" "Bay Waverley." "E dove sei nata?" "Su un autobus della Greyhound." "Chi è il tuo papà?" "Non lo so." "Da dove vieni?" "Qua e là." Sydney prese la mano della figlia. "Capisci perché devi dare queste risposte, vero?" "Perché qui siamo diverse. Non siamo quelle che eravamo." "Mi sorprendi." 37
"Grazie. Pensi che piacerò a Claire?" Sydney rimase immobile, poi prese tempo mentre piccoli puntini neri invadevano il suo campo visivo e il mondo usciva dal proprio asse per un momento. Le formicolava tutto il corpo, si sentiva la pelle d'oca, le faceva male battere le palpebre. Era così stanca che a malapena riusciva a camminare, ma non poteva permettere che Bay la vedesse in quello stato, e tanto meno sua sorella. Tentò di sorridere. "Sarebbe una pazza se non le piacessi." "Lei mi piace. È come Biancaneve." Entrarono insieme in cucina attraverso il solarium. Sydney si guardò attorno ammirata: il locale era stato ristrutturato e arredato in parte con i mobili della vecchia sala da pranzo. Per il resto era tutto acciaio inossidabile ed efficienza; c'erano perfino due frigoriferi industriali e due forni. Senza parole madre e figlia si sedettero al tavolo e osservarono Claire che preparava il caffè e infilava due Pop-Tarts nel tostapane. Claire era cambiata, non in modo eclatante, ma di poco, come avviene con la luce nel corso della giornata. Un'angolazione diversa, una colorazione diversa. Si muoveva in modo differente, in lei non si notavano più i tratti ingordi, egoisti. Sembrava a proprio agio, allo stesso modo della nonna. Non mi spostate e starò bene, sembrava dire. Guardandola, all'improvviso Sydney si rese conto di quanto fosse bella. Non l'aveva mai notato. Anche l'uomo con cui l'aveva vista prima, il vicino, doveva pensarla allo stesso modo. Era chiaramente attratto da Claire. E persino Bay ne era stata catturata: non riuscì a toglierle gli occhi di dosso neppure quando la zia le mise i dolci caldi e un bicchiere di latte sotto il naso. "E così, gestisci un catering?" domandò alla fine Sydney mentre la sorella le porgeva una tazza di caffè. "Ho visto il furgone." "Sì", rispose Claire allontanandosi con un fruscio che profumava di menta e lillà. I capelli erano più lunghi di un tempo e le coprivano le spalle come uno scialle. Li usava per proteggersi. Se c'era una cosa di cui Sydney era esperta, erano i capelli. Aveva adorato studiare alla scuola per estetista e lavorare al salone di Boise. I capelli dicono di noi più di quanto noi stessi sappiamo, e lei aveva una dote naturale per interpretare quel linguaggio. Si 38
era stupita quando alcune compagne di corso avevano ammesso la loro fatica. Per Sydney era una seconda natura. Da sempre. In quel momento non aveva l'energia sufficiente per sostenere una conversazione con Claire, se lei la faceva tanto difficile, così bevve un sorso di caffè e scoprì che sapeva di cannella, proprio come lo preparava nonna Waverley. Avrebbe voluto berne ancora, ma la mano iniziò a tremarle e dovette appoggiare la tazza. Quand'era stata l'ultima volta che aveva dormito? Durante il viaggio si era assicurata che Bay riposasse, però lei aveva troppa paura per chiudere gli occhi, se non per pochi minuti, alle stazioni di servizio o nei parcheggi dei Wal-Mart lungo la strada. Chilometri e chilometri di autostrada continuavano a scorrerle nella mente, sentiva ancora il ronzio nelle ossa. Ci erano voluti dieci giorni, durante i quali si erano dovute far bastare il cibo che aveva portato con sé: pane bianco e biscotti allo zenzero, confezioni scadenti di burro di arachidi dal sapore oleoso e cracker che si sbriciolavano al solo toccarli. Non era sicura di poter resistere ancora per molto prima di scoppiare in lacrime. "Coraggio, Bay", disse non appena la piccola ebbe finito di fare colazione. "Andiamo di sopra." "Ho lasciato le lenzuola nuove di Evanelle sui letti", intervenne Claire. "In quale stanza?" "La tua è sempre la stessa. Bay può dormire nella mia vecchia camera. Io ora sto in quella della nonna", rispose dando loro le spalle mentre estraeva dagli armadietti grandi barattoli di farina e zucchero. Sydney accompagnò Bay dritta verso la scala, senza guardarsi intorno: si sentiva già abbastanza disorientata, non voleva sapere cos'altro era cambiato. La piccola la precedette correndo e la attese in cima sorridendo. Ne era valsa la pena. Solo per il fatto di veder sorridere in quel modo la sua bambina. Per prima cosa condusse Bay nella vecchia stanza di Claire. L'arredamento era diverso: vide il tavolo da cucito che un tempo si trovava nel salotto e il letto appartenuto alla nonna. 39
Bay spalancò la finestra. "Mi piace questa stanza." "Tua zia Claire se ne stava ore a quella finestra, a guardare il giardino. Puoi dormire con me, se preferisci. La mia camera guarda sulla casa azzurra di fianco." "Forse." "Comincio a portare dentro le nostre cose. Vieni con me?" Bay la guardò speranzosa. "Posso rimanere quassù?" Lei era troppo stanca per discutere. "Non muoverti da qui. Se vuoi andare in esplorazione, lo faremo insieme." Lasciò la bambina, ma anziché scendere per scaricare gli scatoloni e le borse rimaste in auto, si diresse verso la sua vecchia camera. Da ragazzina trascorreva ore e ore chiusa lì dentro tutta sola, talvolta immaginando di essere prigioniera della sorella malvagia, come in una fiaba. Nei due anni dopo la partenza della madre Sydney aveva addirittura dormito con una fune fatta con le lenzuola annodate, nascosta sotto il letto, per essere pronta a calarsi di sotto quando Lorelei fosse tornata a salvarla. Poi però era cresciuta, era diventata più saggia e si era resa conto che la mamma non sarebbe ricomparsa. Era arrivata alla conclusione che Lorelei aveva fatto la cosa giusta ad andarsene. Sydney stessa non vedeva l'ora di scappare, di raggiungere il suo ragazzo, Hunter John Matteson, al college; si sarebbero amati per sempre e anche se fossero tornati a Bascom le cose sarebbero andate bene, perché lui non l'aveva mai trattata come una Waverley. Non fino alla fine, almeno. Respirò a fondo ed entrò nella stanza con rispetto. Una chiesa di vecchi ricordi. Il letto e la cassettiera erano gli stessi. Sullo specchio a figura intera c'erano ancora alcuni adesivi che lei vi aveva attaccato. Aprì l'armadio e vi trovò una pila di scatole piene di vecchia biancheria rosicchiata dai topi. Eppure la camera non aveva un'aria di abbandono. Non era impolverata, profumava di vecchio e di casa, di chiodi di garofano e legno di cedro. Claire se n'era presa cura, non l'aveva trasformata in un salotto né l'aveva riempita di oggetti che non le servivano o che non usava più, né aveva portato via i vecchi mobili. Sedette in fondo al letto e scoppiò a piangere premendosi la mano sulla bocca perché Bay, che canticchiava tranquilla nell'altra stanza, non potesse 40
udirla. Dieci giorni di viaggio. Aveva bisogno di un bagno. Claire aveva un aspetto migliore, e più pulito, del suo. Nonna Waverley se n'era andata. Bay amava stare lì, ma ancora non si era resa conto di cosa significasse essere una Waverley. Che stava facendo David? Sydney aveva forse lasciato delle tracce dietro di sé? Tanti cambiamenti, ma la sua camera era esattamente come l'aveva lasciata. Si allungò fino al cuscino e si rannicchiò su se stessa. Pochi secondi, e già dormiva.
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3 Il fondoschiena maschile ha in sé un che di artistico. È la sua caratteristica principale. Be', quasi. I giovani che facevano jogging sulla pista che circondava l'università erano tonici e muscolosi e - forse questo era il bello - se Evanelle sentiva l'impulso di regalare loro qualcosa, difficilmente riusciva a raggiungerli. Il dono lo sapeva, e non si imponeva mai quando l'anno accademico era in corso. D'estate, però, a correre erano persone più anziane, più lente, e talvolta Evanelle si ritrovava ad allungare loro bustine di ketchup o un paio di pinzette. Un giorno aveva dovuto persino donare un vasetto di miele di erica a una vecchia signora. Per questo d'estate le occhiatacce abbondavano. Quella mattina, invece di recarsi sulla pista, Evanelle decise di camminare fino in centro prima dell'apertura dei negozi. C'era sempre qualcuno che correva intorno alla piazza. Seguì un paio di persone finché non arrivò al Fred's Gourmet Grocery e lanciò un'occhiata alla vetrina. Nonostante fosse più presto del solito, Fred era lì, senza scarpe: stava prendendo un vasetto di yogurt dal comparto latteria. I vestiti sgualciti indicavano che aveva trascorso la notte in negozio. Allora il vino al geranio rosa non aveva avuto effetto su James, suppose Evanelle, o forse aveva deciso di non usarlo. Talvolta, quando si sta per tanto tempo con qualcuno, ci si mette in testa che le cose in passato andassero meglio, anche se così non è. I ricordi, pure quelli brutti, più invecchiano più diventano morbidi come pesche mature. Fred e James erano una coppia consolidata. Tutti lo sapevano. Il fatto che fossero gay era stato dimenticato molti anni prima, quando era ormai evidente che quei due sarebbero stati "insieme per sempre". Evanelle conosceva bene Fred. Sapeva quanto ritenesse importante il parere della gente. In quello assomigliava al padre, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Se veniva criticato per qualcosa, lui ci rimuginava sopra, e cambiava il suo modo di fare cosicché nessuno avesse da ridire. Non avrebbe sopportato che si venissero a scoprire i problemi con James. Lui era un "insieme per sempre". Doveva essere all'altezza delle aspettative altrui. 42
Evanelle se ne sarebbe dovuta andare. Decise comunque di aspettare un momento per vedere se saltava fuori un dono. Guardò Fred, ma non accadde nulla. Non aveva altro da dargli se non consigli, e la maggior parte della gente non era incline a prenderli troppo sul serio. Lei non era né misteriosa né furba come le Waverley, però aveva il dono di anticipare. Da bambina portava a sua madre gli strofinacci prima che il latte si versasse, chiudeva le finestre prima del minimo accenno di tempesta e offriva al predicatore una pasticca per la tosse prima che fosse travolto da un accesso durante il sermone. Evanelle era stata sposata, tanto tempo addietro... Avevano entrambi sei anni quando si erano conosciuti e lei gli aveva regalato un sassolino nero che proprio quel giorno aveva trovato per strada. La notte stessa lui lo aveva lanciato contro la finestra di lei per salutarla. Erano diventati amici inseparabili. Dopo trentotto anni di matrimonio, durante i quali lei non aveva mai sentito il bisogno di regalargli qualcosa, un giorno era stata presa dall'impellenza di comprare al marito un vestito nuovo. Si scoprì poi che non ne aveva uno decente con cui essere seppellito la settimana seguente. Cercò di non concentrarsi troppo sul proprio dono, perché altrimenti avrebbe dovuto pensare a quanto fosse frustrante non sapere perché la gente avesse bisogno di determinate cose. A volte la notte, quando la casa le sembrava particolarmente vuota, si chiedeva ancora cosa sarebbe successo se non avesse comprato quell'abito al marito. Osservò Fred che andava verso la corsia con le forniture da picnic e apriva una scatola di posate in plastica. Ne estrasse un cucchiaio e iniziò a mangiare lo yogurt. Be', adesso doveva andarsene; ma poi cominciò a pensare quanto dovesse essere divertente vivere in un negozio di alimentari, o in un Wal-Mart, o ancora meglio in un centro commerciale, con tanto di letti nei reparti biancheria e una grande sezione interamente dedicata al cibo. Di colpo si rese conto che Fred si era bloccato e, con il cucchiaio in bocca, la fissava dall'altra parte della vetrina. Lei sorrise e gli rivolse un piccolo cenno con la mano. Fred raggiunse la porta e la aprì. "Posso aiutarti, Evanelle?" le domandò dalla soglia. "No, no. Passavo di qui e ti ho visto." 43
"C'è qualcosa che vorresti darmi?" "No." "Oh", mormorò Fred, come se veramente desiderasse qualcosa, qualcosa che potesse sistemare tutto. Purtroppo le relazioni sono una faccenda complicata. Non esiste un rimedio. Si guardò in giro per vedere se qualcuno li avesse notati, poi si sporse in avanti e sussurrò: "Sono due sere che gli chiedo di tornare a casa presto, e sono due sere che lui a casa nemmeno ci mette piede. Non so che fare quando lui non c'è, Evanelle. È sempre stato così bravo a decidere. Ieri sera non riuscivo neanche a capire a che ora mettermi a tavola... Se avessi mangiato troppo presto e lui fosse arrivato, allora non avremmo cenato insieme. Ma se avessi aspettato, si sarebbe fatto troppo tardi. Verso le due di questa mattina mi sono detto che avrei dovuto preparare la colazione nel caso fosse tornato. Carino, no? Sono venuto in negozio per cercare qualcosa, ma di solito James mi lascia la lista della spesa, e io non sapevo bene cosa prendere. Continuavo a pensare: e se non ha voglia di pompelmo? E se porto a casa una miscela di caffè che non gli piace? È finita che mi sono addormentato sul divano in ufficio. Non so quel che sto facendo". Evanelle scosse la testa. "Rimandi, ecco quel che stai facendo. Se devi fare una cosa, falla subito. Rimandare non fa che peggiorare la situazione. Credimi, lo so." "Ci provo", disse Fred. "Ho comprato il vino al geranio rosa di Claire." "Gli devi parlare! Non aspettare che torni a casa. Chiamalo e discutetene. Smettila di rimandare." Fred assunse un'espressione ostinata e lei scoppiò a ridere. "D'accordo, non sei pronto. Magari il vino funziona, se riesci a farglielo bere. Ma qualunque cosa deciderai di fare, sarà meglio che ti infili le scarpe." Orripilato, Fred guardò in basso verso i propri piedi scalzi e corse all'interno. Con un sospiro, Evanelle si incamminò lungo il marciapiede, guardando le vetrine. La maggior parte dei podisti mattutini se ne erano andati: forse sarebbe stato meglio tornarsene a casa a mettere ordine prima di andare a fare visita a Sydney. Claire era un po' spaventata, sebbene cercasse di nasconderlo, quando la sera prima l'aveva chiamata per annunciarle il ritorno della sorella. Evanelle l'aveva calmata dicendole che ogni cosa si 44
sarebbe sistemata e le aveva ricordato che tornare a casa è una buona cosa. Casa è casa. Sorpassò il White Door Salon, dove le signore con troppo tempo a disposizione e troppo denaro nel portafoglio pagavano una fortuna per un taglio di capelli e un massaggio con le pietre calde. Poi si fermò davanti a Maxine's, la vetrina accanto, il lussuoso negozio di abbigliamento dove le signore del White Door amavano fare shopping dopo il taglio e la messa in piega. In bella mostra c'era una camicia button-down in seta. Entrò nonostante non avessero ancora appeso il cartello APERTO. Il suo dono era come un prurito, come un morso di zanzara, e non se ne andava finché lei non faceva ciò che le chiedeva. E all'improvviso, con insistenza, le chiedeva di comprare quella camicia a Sydney.
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Sydney si svegliò con un sussulto e controllò l'orologio. Non aveva avuto intenzione di dormire. Si trascinò fino al bagno, bevve dal rubinetto e si sciacquò il viso. Uscì e si fermò a controllare Bay: la piccola non c'era. Il letto però era stato fatto e sul cuscino campeggiavano alcuni dei suoi peluche preferiti. Passò in rassegna tutte le stanze del piano di sopra, poi corse a quello di sotto, cercando di contenere il panico. Dov'era finita? Entrò in cucina e rimase impietrita. Era appena arrivata in paradiso. Sua nonna era lì, in ogni profumo. Zuccheroso e dolce. Erboso e aspro. Lievitato e fresco. Era così che cucinava nonna Waverley. Quando Sydney era piccola, Claire trovava sempre il modo di tenerla lontana dalla cucina, perciò spesso lei se ne stava seduta nel vestibolo ad ascoltare il borbottio del sugo che sobbolliva, lo sfrigolio dei cibi nelle padelle, lo sbattere delle pentole, i sussurri della sorella e della nonna. Appoggiati sull'isola in acciaio vide due grossi contenitori, uno pieno di lavanda e l'altro di denti di leone. Sul bancone da lavoro c'erano alcuni filoni di pane fumante. Bay sedeva accanto a Claire e con un pennello col manico di legno, tutta assorta, spennellava con il bianco d'uovo delle viole del pensiero. Claire prendeva i fiori a uno a uno dalla sommità e delicatamente li immergeva in zucchero finissimo prima di appoggiarli su una leccarda per biscotti. "Come avete potuto fare tutto questo in appena due ore?" si stupì Sydney, incredula. Claire e Bay si voltarono. "Ciao", la salutò la sorella guardandola cauta. "Come ti senti?" "Bene. Avevo solo bisogno di un sonnellino." Bay saltò giù dalla sedia, corse incontro alla madre e l'abbracciò. Indossava un grembiule azzurro che strisciava a terra, sul quale in bianco si leggeva la scritta Waverley's Catering. "Sto aiutando Claire a cristallizzare le viole del pensiero per decorare le coppette alla crema. Vieni a vedere!" 46
"Magari più tardi, tesoro. Ora dobbiamo scaricare la macchina, portare dentro le nostre cose e lasciare Claire al suo lavoro." "Bay e io abbiamo portato tutto dentro ieri", la informò Claire. Sydney guardò di nuovo l'orologio. "Scusa? Ho dormito soltanto due ore." "Siete arrivate ieri mattina. Hai dormito per le ultime ventisei ore." Il cuore le balzò in gola. Sydney brancolò fino al tavolo, poi crollò su una sedia. Aveva abbandonato sua figlia per ventisei ore? Bay aveva forse raccontato qualcosa di David? Claire si era occupata della piccola? Le aveva rimboccato le coperte oppure la bambina si era rintanata nella sua stanza, spaventata e sola, in quella casa sconosciuta? "Bay..." "Mi ha dato una mano", rispose Claire. "Non parla molto, però impara in fretta. Ieri abbiamo cucinato tutto il giorno, poi di sera ha fatto il bagno, e l'ho messa a letto. Abbiamo ricominciato a cucinare stamattina." Claire la riteneva una cattiva madre? Era l'unica cosa di cui Sydney poteva andare fiera e già stava perdendo punti. Quel posto la confondeva. Lì non era mai sicura di chi fosse. "Bevi un po' di caffè", le disse Claire. "Evanelle ha promesso che oggi passa a salutarti." "Mamma, resta. Guarda cosa so fare." Ricomponiti, si disse Sydney. "D'accordo, tesoro. Non vado da nessuna parte." Si diresse verso la caffettiera, si versò una tazza. "Come sta Evanelle?" "Bene. È ansiosa di vederti. Lì c'è un po' di pane alla lavanda. Bay e io ne abbiamo già mangiato un pezzo. E c'è anche del burro alle erbe." Claire era forse preoccupata per lei? In quegli anni Sydney aveva pensato molto alla sorella; per lo più confrontava la propria vita avventurosa con quella misera di Claire, che non poteva far altro che rimanere in quella casa, in quella stupida Bascom. Erano pensieri crudeli, però la facevano stare meglio, perché era sempre stata gelosa della naturalezza con la quale sua sorella accettava il proprio modo di essere. Claire era stata così felice quando lei era partita. E ora era preoccupata per lei. Le diceva di mangiare. Sydney cercò di affettare il pane con calma, ma 47
era così affamata che finì per strapparlo. Vi spalmò sopra un po' di burro, quindi chiuse gli occhi. Dopo la terza fetta, cominciò a camminare per la grande cucina. "È impressionante. Non sapevo che ne fossi capace. Sono le ricette della nonna?" "Alcune, come la quiche ai denti di leone e il pane alla lavanda." "Da piccola non mi permettevi di aiutarti." Claire si voltò e si asciugò le mani sul grembiule. "Senti, per domani devo organizzare un pranzo a Hickory. Ho due ragazze che talvolta mi aiutano durante l'estate, ma se hai bisogno di denaro, puoi farlo tu." Sydney la guardò un po' stranita. "Vuoi che ti dia una mano?" "Di solito me la sbrigo da sola, ma non per i lavori grossi. Ci sarai ancora domani?" "Certo che ci sarò. Cosa? Non mi credi?" "Finché rimarrai, potresti essermi utile." "Immagino sia ovvio che ho bisogno di denaro." Claire le rivolse un sorriso appena accennato. E a Sydney piacque quel piccolo legame che si era creato fra loro. Incoraggiata, aggiunse: "Allora, parlami un po' di questo Tyler". Claire abbassò gli occhi e tornò a voltarsi. "Che vuoi sapere? "Oggi è passato da queste parti?" "Non lo fa tutti i giorni. Ieri era la prima volta. Mi stava riportando delle mele che erano cadute dalla sua parte della recinzione." "Le hai sotterrate?" "Sotterriamo sempre le mele che cadono dall'albero", rispose Claire; Bay la guardò incuriosita. Sydney ebbe un brivido di terrore. Voleva che sua figlia ne rimanesse fuori il più a lungo possibile. Sydney aveva barattato la sicurezza della piccola con la possibilità di essere considerata normale. Come fai a dire una cosa simile a una bambina, seppure a una bambina come Bay? "Tyler è single?" domandò prima che Bay potesse chiedere qualcosa. 48
"Non lo so." Claire prese la leccarda con le viole del pensiero e la infilò nel forno appena caldo. "Ti interessa?" "No", rispose Claire con veemenza: sembrava una ragazzina delle medie. "È qui che deve stare", intervenne Bay. La zia la fissò. "È questo che fa", spiegò Sydney. "Ha opinioni ben precise sul posto delle cose." "Ah, ecco! Le ho chiesto di prendermi una forchetta e lei è andata diritta al cassetto. Quando le ho domandato come facesse a sapere dove si trovava mi ha risposto che era lì che doveva stare." Claire squadrò la nipotina, pensosa. "No", disse Sydney. "Non forzarla." "Me ne guardo bene", ribatté Claire con un'aria apparentemente ferita. "E nessuno ha forzato te. Anzi, sei scappata il più lontano possibile e nessuno ti ha fermata." "Mi ci ha costretta l'intera città! Cercavo di essere normale, e nessuno me lo permetteva." Le pentole appese alla rastrelliera iniziarono a oscillare pericolosamente, come tante vecchie signore che si torcono le mani. Lei le guardò per un istante, poi respirò a fondo. Aveva dimenticato quanto sensibile fosse quella casa, come vibrassero i pavimenti quando qualcuno si innervosiva, e le finestre si aprissero quando qualcuno scoppiava a ridere. "Mi dispiace. Non mi va di litigare. Cosa posso fare per aiutare?" "Ora niente. Bay, puoi andare anche tu." Claire le slacciò il grembiule e glielo tolse. "Hai una gonna nera e una camicia bianca per aiutarmi a servire domani?" domandò poi a Sydney. "Una camicia bianca ce l'ho." "Ti posso prestare una delle mie gonne. Hai mai servito intavola?" "Sì." "Facevi la cameriera?" Sydney spinse Bay fuori dalla cucina. Fughe, furti, uomini. In questo Claire non era mai stata un'esperta. Non avrebbe raccontato alla sorella del proprio passato. Non ancora, almeno. Non sono cose da confessare alla leggera, nemmeno a tua sorella, se credi che non potrà capire. "Ho fatto 49
anche quello." Più tardi, nel pomeriggio, Sydney sedeva sotto il portico e Bay faceva la ruota in giardino. Vide Evanelle sorridente percorrere il vialetto di accesso. Indossava una tuta azzurra, e a tracolla portava la solita sporta. A Sydney era sempre piaciuto indovinare che cosa contenesse. Sperava che anche per Bay sarebbe stato lo stesso. Non c'erano molti vantaggi a essere una Waverley, ma Evanelle era di sicuro uno di questi. La sua vecchia cugina si fermò a chiacchierare con Tyler, che se ne stava nel proprio giardino a contemplare un gran mucchio d'erba tagliata. Si annoiava, Sydney ne riconosceva i segnali. Aveva i capelli abbastanza lunghi, evidentemente per tenere meglio a bada i ricci. Ciò significava una natura creativa che cercava di controllare, e lo faceva passando la maggior parte della giornata spostando il cumulo d'erba da una parte all'altra. Dopo David, Sydney non riusciva neanche a immaginare di iniziare una relazione con un uomo, ma guardando Tyler si sentiva stringere il cuore. Non lo desiderava, e lui era chiaramente attratto da sua sorella, tuttavia l'idea che potesse esistere un uomo così le dava in qualche modo una speranza. Magari non per lei, ma per altri, per altre donne. Donne più fortunate. Non appena Evanelle lasciò Tyler, Sydney le corse incontro per salutarla. "Evanelle!" esclamò abbracciandola. "Claire mi aveva avvisata che saresti passata. Oh, che bello vederti. Sei sempre la stessa." "Sempre vecchia." "Sempre bella. Che facevi con Tyler?" "Si chiama così? Aveva l'aria di uno che ha bisogno di sacchi per la spazzatura. Per fortuna ne avevo qualcuno con me. È stato molto carino. Ecco il suo numero di telefono." E porse a Sydney un foglietto di carta. Lei lo guardò a disagio. "Io... non voglio..." Evanelle le diede un colpetto sulla mano. "Oh, tesoro! Non ho idea di quel che tu debba farne. Sapevo solo che lo dovevo dare a te. Non sto cercando di accasarti." Sydney rise. Che sollievo! "Ho qualcos'altro per te." La cugina frugò un po' nella borsa, poi le 50
porse il sacchetto di una boutique. Sydney la ricordava bene. Le vecchie compagne con i genitori ricchi facevano sempre acquisti da Maxine's. Per questo lei lavorava tutta l'estate: per potersi vestire in quella boutique ed essere come loro. Aprì il sacchetto e ne estrasse una splendida camicia di seta azzurra. Era almeno tre taglie più grande, ma erano anni che non possedeva niente del genere. A David il denaro non mancava, però non era mai stato tipo da regali, né tanto meno da gratificazioni, rimorsi o scuse. Sydney sedette sui gradini e portò la camicia al naso per annusare il meraviglioso profumo da ricchi. Odorava di carta sottile e colonia inglese. "È bellissima." Evanelle si accomodò accanto a lei e ricominciò a cercare nella borsa della spesa. "So che è troppo grande per te. Ecco lo scontrino. Stamattina ero in centro in cerca di qualche bel fondoschiena maschile quando ho visto Maxine's e ho pensato a te. Sapevo che dovevo prenderti questa. Questa camicia. Di questa taglia." Bay intanto si era avvicinata e timidamente sfiorava con le dita la camicia tra le mani della madre. "Evanelle, questa è mia figlia, Bay." La cugina le pizzicò il mento e Bay ridacchiò. "È uguale a tua nonna quando era giovane. Capelli scuri, occhi azzurri. È una Waverley, poco ma sicuro." Sydney strinse Bay con fare protettivo. No, non lo è. "Adora i Pop-Tarts alla fragola. Grazie per averglieli portati", disse. "È bello sapere che le cose hanno uno scopo." Evanelle diede un colpetto al ginocchio di Sydney. "Dov'è Claire?" "Occupata in cucina, prepara un pranzo." "L'aiuterai?" "Sì." Gli occhi acuti della cugina la scrutavano. Sydney le aveva sempre voluto bene. Come si fa a non amare una vecchia signora che porta doni? Claire comunque sembrava comprenderla meglio. "Tienilo a mente: tua sorella detesta chiedere." Bay stava facendo di nuovo la ruota in giardino. 51
Trascorse qualche minuto prima che Evanelle riprendesse a parlare. "Non è facile chiedere aiuto. Hai avuto coraggio a venire qui. Sono fiera di te." Sydney incontrò gli occhi della vecchia signora e seppe che sapeva.
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Erano quasi le cinque del pomeriggio di venerdì quando Claire, Sydney e Bay rientrarono a casa dal pranzo a Hickory. Bay si era addormentata sul furgone. Sydney aveva pensato che Claire potesse seccarsi all'idea che la bimba andasse con loro, ma non aveva discusso quando le aveva detto che non intendeva lasciare la piccola con Evanelle. Non avrebbe lasciato la figlia in un posto sconosciuto. Non ancora. E la sorella aveva commentato: "Certo che no. Verrà con noi". Solo questo. Bay si era divertita. Le vecchie signore dell'Associazione dei botanici amatoriali avevano gradito la sua presenza, e ogni volta che Claire e Sydney rientravano dal salone dopo aver ritirato i piatti o aver versato da bere, Bay aveva ripulito o sistemato a modo suo, sapendo istintivamente dove le cose dovevano andare. Sydney portò la figlia al piano di sopra e la mise a letto, quindi accese un ventilatore che Claire aveva preso dal solaio; la calura estiva aveva invaso la casa. Si cambiò e indossò un paio di pantaloncini e una maglietta, pensando che sua sorella avrebbe fatto lo stesso prima di scaricare il furgone. Quando tornò al piano di sotto, però, constatò che, in quel breve tempo, Claire aveva già portato tutto in cucina, riempito le caraffe di bicarbonato di soda e acqua calda e adesso stava caricando la lavastoviglie. Indossava ancora la camicia, la gonna e il grembiule azzurro. "Volevo darti una mano", disse Sydney. Claire sembrò sorpresa di vederla. "Non preoccuparti, faccio sempre da sola. Tu riposati. Ah, non sapevo se preferivi assegno o contanti, così ho prelevato... Là c'è la busta." Sydney tacque. Non capiva. Non era stata una bella giornata? Non avevano lavorato bene insieme? Le signore avevano apprezzato il pranzo di Claire e si erano complimentate con Sydney per il servizio, anche se lei, all'inizio, aveva provato un certo nervosismo. Ai tempi in cui lavorava come cameriera rubacchiava ai clienti. E se quelli si lamentavano, cercava di appianare le cose flirtando e sorridendo. E non guastava andare a letto con il proprietario, così lui prendeva le sue difese se le proteste non si placavano. Aveva temuto che tornare a servire le facesse provare nostalgia per quella fase della sua vita. Ma non era 53
successo. Era piacevole lavorare onestamente, duramente. Al contrario, quella giornata le aveva rammentato quello che forse era stato il periodo migliore. Il salone di bellezza di Boise. I piedi doloranti, i crampi alle mani, i capelli tagliati che, finendole sotto gli abiti, le irritavano la pelle. Che meraviglia! E ora Claire le stava dicendo che non le serviva più. Sydney se ne stava lì, mentre la sorella continuava a lavorare. E adesso? Sarebbe impazzita se le avesse permesso di darle una mano solo di tanto in tanto. Claire le aveva persino vietato di sbrigare le faccende domestiche. "Ti aiuto?" "È tutto a posto. Ci penso io." Senza aggiungere una parola, Sydney prese la busta e uscì dal retro. Si appoggiò alla Subaru, contò il denaro. Claire era stata generosa. Con quei soldi avrebbe potuto andarsene in giro, comprarsi qualcosa. Probabilmente era quello che sua sorella si aspettava. Che facesse il pieno alla macchina e andasse a trovare qualcuno. Ma la sua auto era senza targa e la polizia avrebbe potuto fermarla. E in fondo non voleva rivedere nessuno. Ripiegò la busta e la infilò nella tasca posteriore degli short. Non aveva voglia di rientrare e stare a guardare Claire al lavoro, così camminò lungo il vialetto, smuovendo la ghiaia che sua sorella più tardi avrebbe probabilmente sistemato con un rastrello, rimettendo tutto al proprio posto. Raggiunse il giardino sul davanti e osservò la casa di Tyler. La jeep era parcheggiata sul marciapiede. D'impulso attraversò il giardino, salì i gradini. Bussò e attese, le mani in tasca, cacciate più in fondo che poteva. E se dormiva? Be', sarebbe tornata a casa. Finalmente udì dei passi. Sorrise. Quando lui aprì, Sydney tirò le mani fuori dalle tasche. Tyler indossava maglietta e jeans macchiati di vernice; aveva un aspetto spiegazzato, svagato, come se si chiedesse di continuo dove andasse a finire il tempo. "Ciao", disse dopo che lui l'ebbe squadrata per alcuni istanti, confuso. "Sono Sydney Waverley, della porta accanto." Tyler alla fine sorrise. "Oh, certo. Mi ricordo." "Ho pensato di passare per un saluto." Gli occhi di Tyler saettarono alle 54
spalle di Sydney, poi al suo fianco. Mise fuori la testa e lanciò un'occhiata verso casa Waverley. Sydney sapeva cosa stava facendo, e si domandò come avesse fatto Claire a colpire tanto quel tipo. Forse aveva una passione per i maniaci del controllo. "Mia sorella non c'è." Sembrò imbarazzato. "Mi dispiace", disse indietreggiando. "Prego, accomodati." Da bambina era stata in quella casa un paio di volte, ai tempi della vecchia signora Sanderson. Era molto cambiata da allora: era più luminosa e aveva un profumo migliore. La vecchia Sanderson amava i gatti. Nel salotto vide un bel divano rosso e alcune comode poltrone, sistemati in modo strano, come se fossero rimasti là dove gli uomini dei traslochi li avevano lasciati. Alle pareti erano appoggiati tanti quadri senza cornice; c'erano scatoloni ovunque. "Non avevo capito che ti fossi appena trasferito." Tyler si passò una mano tra i capelli. "Circa un mese fa. Avevo intenzione di svuotare gli scatoloni. Sto dipingendo in cucina. Che ore sono?" "Le cinque passate. Di che colore la stai facendo?" Tyler scosse la testa. "No, no. Dipingo in cucina. È lì che ho sistemato il cavalletto." "Ah, sei un pittore pittore" "Insegno arte all'Orion." Tolse alcuni giornali da una poltrona e li appoggiò a terra. "Siediti." "Da quanto sei arrivato a Bascom?" gli domandò Sydney. "Da un anno circa." Lui si guardò intorno in cerca di un posto dove sedersi a sua volta e si passò di nuovo la mano tra i capelli per allontanarli dalla fronte. "Sai, potrei spuntarti i capelli, se ti va." Di nuovo lui la fissò con sguardo imbarazzato. "Mi dimentico di tagliarli. Davvero lo faresti?" "Davanti a te c'è una diplomata alla scuola per estetista." "D'accordo. Certo. Grazie." Tolse uno scatolone dal divano e si 55
accomodò. "Sono felice che tu sia venuta. Non conosco ancora nessuno dei vicini... Be', a eccezione della signora Kranowski, che sembra passare metà della giornata a inseguire il suo cane, Edward, per tutto il quartiere." "Ricordo la signora Kranowski. Quanti anni avrà adesso, cento?" "E corre sorprendentemente veloce." Sydney rise e si congratulò con se stessa. Era stata una buona idea. "Domani vengo qui con la mia valigetta e ti darò una spuntatina. Ti scoccia se porto mia figlia?" "Niente affatto." Sydney lo studiò per qualche istante. "E così ti piace mia sorella." L'aveva colto con la guardia abbassata, eppure Tyler non ebbe timore di risponderle. "Sei andata dritta al punto, vedo. Non conosco abbastanza tua sorella, però... sì, mi piace. Mi affascina." Sorrise e si sporse in avanti, appoggiando i gomiti alle ginocchia, sincero ed entusiasta. Quel sorriso era contagioso come uno sbadiglio e Sydney non poté non ricambiarlo. "Ho fatto un sogno su di lei... Non mi è mai successo niente di simile. Aveva i capelli corti e in testa portava una fascia..." Si interruppe e si appoggiò alla spalliera. "Ora smetto, prima di sembrare ancora più ridicolo." Non pareva affatto ridicolo. Sembrava carino, così carino che Sydney invidiò Claire. "Anche a mia figlia va a genio." "Non ne sembri felice." "No, non intendevo questo." Sydney sospirò. "È solo che non me lo sarei aspettata. Claire e io da bambine litigavamo sempre. Penso fossimo entrambe felici quando alla fine lasciai la città. Non le ero molto simpatica. E non credevo che Bay le sarebbe piaciuta." "Per quanto tempo sei stata via?" "Dieci anni. E mai avrei pensato di tornare." Scosse la testa, quasi a scacciare i ricordi. "Ti dà fastidio che sia qui? È mia sorella quella che ti piace, non io, perciò non sentirti obbligato: ho solo bisogno di uscire di casa ogni tanto. Ti va una pizza? Offro io." "Mi sembra una buona idea. Non credo di aver mangiato, oggi." Tyler la guardò assorto. "E puoi venire a trovarmi ogni volta che vuoi! Certo che 56
dieci anni sono tanti. Non ci sono vecchi amici che vorresti rivedere?" Vecchi amici! Sydney quasi scoppiò a ridere. Traditori doppiogiochisti e senza palle, quelli sì. Vecchi amici, no. "No. Rientra nel discorso di prima: non avrei mai pensato di tornare." "Ponti bruciati?" domandò Tyler astutamente. Non era per niente svagato come il suo stile di vita sembrava dare a intendere. "Qualcosa di simile."
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4 Quella sera, dall'altra parte della città, mentre si preparava per il ballo di beneficenza, Emma Clark non aveva idea che il suo mondo si sarebbe capovolto. In realtà aspettava quella serata con ansia, perché amava le attenzioni che le venivano riservate. Le Clark adoravano stare sotto i riflettori. In particolare adoravano gli sguardi degli uomini, che non mancavano mai viste le loro leggendarie doti sessuali. Le Clark si erano sempre sposate bene. Il marito di Emma, Hunter John Matteson, era il miglior partito di Bascom e tutti lo sapevano. Era estroverso, bello, atletico, nonché erede di una prospera azienda di costruzioni. La madre di Emma, da donna astuta qual era, aveva deciso che la figlia sarebbe stata sua moglie quando ancora Emma e Hunter John erano dei mocciosi. Le loro famiglie bazzicavano gli stessi circoli, così non era stato difficile buttare lì allusioni e incoraggiamenti. Un'estate Emma e Hunter John avevano dieci anni - i Clark e i Matteson avevano persino trascorso un mese insieme a Cape May. "Guarda come sono carini insieme", non faceva che ripetere la signora Clark. L'unico problema era che, nonostante le manovre della madre, nonostante la bellezza e la posizione sociale di Emma, nonostante lei facesse perdere la testa ai ragazzi sin da quando aveva quindici anni e qualunque uomo sano l'avrebbe desiderata, per tutto il periodo del liceo Hunter John era stato disperatamente innamorato di Sydney Waverley. Lui sapeva bene che non avrebbe dovuto avere a che fare con lei: la gente del suo calibro non socializzava con le Waverley. Ma i suoi amici se ne erano accorti. Lo avevano capito dal modo in cui la guardava e da quell'atteggiamento da adolescente affranto, come se una vita senza amore non meritasse di essere vissuta. Quando compì sedici anni, Hunter John ebbe il primo e unico atto di ribellione. Chiese a Sydney di uscire con lui. Inaspettatamente, i suoi genitori non ebbero niente da ridire. "Lascia che il ragazzo si diverta un po'", aveva commentato il padre. "È la Waverley carina, e sembra diversa dalle altre. È innocua. Il mio ometto sa cosa ci si aspetta da lui alla fine 58
della scuola. Anch'io mi sono guardato intorno, prima di sistemarmi." Era stata la seconda peggior giornata nella vita di Emma. Nei due anni successivi, la cricca scolastica di Hunter John non aveva avuto altra scelta se non accettare Sydney, perché lei e Hunter John erano diventati inseparabili. La signora Clark aveva insegnato alla figlia a tenere la bocca chiusa e i nemici vicini, così, anche se le rodeva, Emma aveva accolto Sydney come un'amica. Spesso la invitava a dormire da lei. I Clark avevano molte stanze, ma Emma le chiedeva di dormire per terra. A Sydney non importava, perché odiava casa Waverley e qualsiasi cosa era meglio che stare tra quelle mura. Il più delle volte, però, anche Emma finiva sul pavimento della propria stanza con Sydney a chiacchierare o a fare i compiti. Sydney era una Waverley, certo, ma era sveglia, divertente, e ci sapeva fare con i capelli. Emma non avrebbe mai dimenticato quella volta in cui le aveva permesso di pettinarla: quel giorno ogni cosa era andata a meraviglia, come per magia. Hunter John le aveva persino detto quanto fosse carina. Lei non era mai stata capace di replicare quell'acconciatura. C'era stato un tempo in cui a Emma Sydney piaceva, però poi, quella sera, nei loro sacchi a pelo distesi per terra, Sydney le aveva confessato che lei e Hunter John l'avrebbero fatto. La giovane Clark per poco non era scoppiata a piangere. Era più di quanto potesse sopportare. Per anni era rimasta a guardare il ragazzo al quale era predestinata innamorato di un'altra. Le era stato imposto di diventare amica della ragazza che lo allontanava da lei. E adesso Sydney sarebbe andata a letto con lui? Era l'unica cosa nella quale Emma sapeva di essere la migliore, e Sydney l'avrebbe avuto per prima. Aveva dovuto raccogliere tutte le forze per aspettare che l'altra si addormentasse, poi era corsa dalla mamma per raccontarle ogni cosa. Ricordava ancora come sua madre l'aveva abbracciata accarezzandole i capelli. Ariel era a letto, tra le lenzuola di seta. La sua stanza profumava sempre di candele e i cristalli del candeliere lanciavano scintille di luce tutt'intorno. La mamma era tutto quello che Emma avrebbe voluto essere: una fantasia divenuta realtà. "Ora, Emma", le aveva detto Ariel, "tu lo fai, e lo fai bene da un anno ormai. Tutte le Clark sono brave a letto. Quale credi sia la causa dei nostri buoni matrimoni? Smettila di preoccuparti. Lei lo ha ora. Tu lo avrai per il 59
resto della vita. È solo questione di tempo. Tu sei sempre stata la migliore, ed è una buona cosa che gli uomini abbiano un metro di paragone. Questo non significa che tu non possa diffondere qualche falsa informazione. So che sembra impossibile, ma molte donne hanno paura della prima volta." Emma era scoppiata a ridere. Le Clark non avevano mai avuto paura del sesso. Sua madre l'aveva baciata sulla fronte, le labbra fresche, morbide. Quindi si era allungata di nuovo sul letto e aveva detto: "Ora vai. Tuo padre sta per tornare". Il giorno dopo Emma aveva raccontato storie terribili su quanto facesse male la prima volta e aveva dato a Sydney una serie di consigli sbagliati. In seguito non forzò mai l'amica a raccontarle i dettagli, ma l'espressione soddisfatta sul volto di Hunter John quando, alla fine, fece sesso con lui, le disse più di mille parole. Sydney aveva rotto con Hunter John e lasciato la città subito dopo il diploma. Era rimasta sconvolta dalla scoperta che la scuola era stata solo una bolla, che lei e Hunter John non potevano stare insieme nella vita vera, che gli amici di quegli anni non potevano più esserlo da adulti. L'alta società di Bascom li aspettava, e ognuno avrebbe dovuto fare ciò che i loro genitori e il loro cognome prevedevano. Sydney, furiosa e ferita, aveva capito di essere solamente una Waverley. Nessuno si era reso conto che lei non conosceva le regole. Si era innamorata di Hunter John e aveva pensato fosse per sempre. Emma avrebbe forse provato un pizzico di dispiacere per Sydney se non fosse stato ovvio che anche Hunter John soffriva. Era stato difficile, quell'estate, riuscire a consolarlo. Anche dopo aver fatto l'amore con lei, continuava a dire di volersene andare al college, una volta aveva persino detto che Sydney aveva fatto bene a fuggire. Quella città non gli avrebbe dato niente. Così Emma aveva fatto l'unica cosa possibile. Aveva smesso di prendere la pillola di nascosto da Hunter John ed era rimasta incinta. Lui non era partito e l'aveva sposata. E non se ne era mai lamentato. Qualche anno dopo avevano deciso, questa volta insieme, di avere un 60
secondo figlio. Hunter John si era messo a lavorare per il padre e quando questi era andato in pensione - trasferendosi con la moglie in Florida aveva rilevato l'impresa di costruzioni. Emma e Hunter John avevano traslocato nella casa di famiglia. Sembrava tutto perfetto, anche se lei non sapeva mai con certezza dove stesse il cuore di suo marito. Il che ci riporta alla giornata peggiore della vita di Emma Clark. Quel venerdì sera, Emma non si rendeva ancora conto che qualcosa di grosso sarebbe successo, malgrado ci fossero tutti i segnali. I capelli non si arricciavano. Sul mento era spuntato un foruncolo. Sul candido vestito che aveva pensato di indossare per il ballo in bianco e nero era misteriosamente comparsa una macchia che la cameriera non era riuscita a togliere, così era stata costretta a ripiegare sul nero. Era un abito meraviglioso - come tutti i suoi abiti ma non era quello che aveva programmato di indossare. Emma non si sentiva a proprio agio. Quando lei e Hunter John arrivarono, ogni cosa sembrava normale. Perfetta. Il ballo dell'ospedale si teneva sempre alla Harold Manor, una storica dimora dei tempi della Guerra Civile dove si svolgevano tutti gli eventi sociali della città. Era un ambiente meraviglioso, da sogno, fuori dal tempo. Gli uomini indossavano completi tanto inamidati da non potersi piegare, e le strette di mano delle signore erano delicate come pasticcini. Le Clark, lì, si sentivano a casa. Emma fu immediatamente al centro dell'attenzione, come sempre. Eppure c'era qualcosa di strano nell'aria. Pareva che la gente parlasse di lei, che tutti volessero ronzarle attorno, ma per le ragioni sbagliate. Hunter John non si accorse di nulla - del resto lui non si curava mai di niente -, allora Emma cercò subito la madre: le avrebbe detto quanto era bella quella sera, che andava tutto bene. Suo marito la baciò sulla guancia, poi puntò verso il bar, dove si erano radunati i suoi amici: a simili eventi i giovani rampolli diventavano batuffoli di polvere che si ficcavano negli angoli nel tentativo di allontanarsi dall'oscillare delle gonne e dal calore delle risate femminili. Mentre cercava la madre, Emma si imbatté in Eliza Beaufort, una delle sue migliori amiche ai tempi del liceo. "Tieniti stretta i Beaufort", le ripeteva sempre Ariel. "E saprai cosa dicono di te." "Oh, Signore, non vedevo l'ora che arrivassi!" esclamò Eliza. Il rossetto 61
era sbavato per il gran parlare. "Voglio sapere cosa ne pensi." Emma sorrise distrattamente. "Che ne penso di cosa?" domandò, guardando oltre la spalla dell'amica. "Non lo sai?" "Sapere cosa?" "Sydney Waverley è tornata in città. " Eliza quasi sibilò le parole, come se stesse pronunciando una bestemmia. Gli occhi di Emma saettarono per incontrare quelli dell'altra. Per il resto non mosse un muscolo. Ecco perché tutti sembravano comportarsi in modo strano quella sera! Perché Sydney era tornata, e chiunque non vedeva l'ora di vedere Emma e studiarne il comportamento! La faccenda la disturbava per diverse ragioni. Soprattutto perché la gente sembrava pensare che lei dovesse avere una qualche reazione. "È tornata mercoledì e sta dalla sorella", continuò Eliza. "Ha persino aiutato Claire per un lavoro a Hickory, questo pomeriggio. Davvero non lo sapevi?" "No. E così è tornata. E allora?" Eliza alzò un sopracciglio. "Non pensavo la prendessi tanto bene." "Lei non ha mai significato niente per noi. E Hunter John è felice: non ho di che preoccuparmi. Ora devo trovare mia madre. Ci vediamo a pranzo la settimana prossima, vero? Baci, baci." Finalmente scorse la madre seduta a un tavolo, impegnata a sorseggiare champagne e intrattenere alcuni ospiti che si erano fermati a salutarla. Ariel aveva un aspetto regale, elegante, e dimostrava dieci anni di meno. Come Emma era bionda, con un seno vistoso. Guidava una cabriolet, indossava diamanti con i jeans, e non si perdeva un evento sociale. Era così del Sud che le sue lacrime sgorgavano direttamente dal Mississippi. Odorava sempre un po' di piante del cotone e pesche. Alzò lo sguardo non appena la figlia si avvicinò ed Emma capì che sapeva. Non solo sapeva. Non ne era contenta. No, no, no, pensò. Non c'è niente che non vada. Non farlo, mamma. Ariel si alzò e lanciò al marito un sorriso provocante, lo lasciò lì, a immaginare quello che avrebbero fatto a letto, quella notte. 62
"Facciamo una passeggiata sulla veranda", propose prendendo Emma sottobraccio e conducendola con decisione all'aperto. Madre e figlia passarono davanti a diversi gruppetti di invitati fuori per fumare e sorrisero, perché sorridere significava che tutto andava bene. Raggiunsero l'angolo più remoto. Ariel disse: "Senza dubbio hai saputo di Sydney Waverley. Non ti preoccupare. È tutto a posto". "Non sono preoccupata, mamma." La madre la ignorò. "Ecco cosa devi fare. Primo, riserva un trattamento speciale a Hunter John. Prenditi cura di te stessa ancora di più. Il prossimo weekend organizzerò un party a casa tua: invita gli amici più intimi. Fa' vedere a tutti quanto sei meravigliosa, speciale. Hunter John constaterà quanto sei invidiata. Lunedì andiamo a fare shopping e compriamo un bel vestito. Il rosso è un colore che ti dona, tuo marito ti adora in rosso. E, parlando di vestiti, perché sei in nero? Stai meglio in bianco." "Mamma, non sono preoccupata per il ritorno di Sydney." Ariel prese il viso della figlia tra le mani. "Oh, dolcezza, dovresti esserlo. I primi amori sono potenti. Ma se continuerai a ricordare a tuo marito perché ha scelto te, non avrai problemi."
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Più tardi, quella sera, Emma non vedeva l'ora di trovarsi a letto con Hunter John. Continuava a dire a se stessa che tanto ardore non aveva niente a che fare con il ritorno di Sydney. Una volta a casa, controllò i bambini nella loro stanza e distrattamente diede la buona notte alla tata. Iniziò a spogliarsi nell'attimo in cui mise piede nella suite padronale, quindi rimase nuda a eccezione delle scarpe con il tacco e della collana di perle che suo marito le aveva regalato l'anno prima, per il suo ventisettesimo compleanno. Lui entrò qualche minuto dopo con un sandwich e una birra. Il "cibo da ballo", come lo chiamava, lo lasciava sempre affamato. Lo faceva ogni volta che tornavano a casa da un evento ufficiale, e anche se a Emma l'abitudine non andava tanto giù, non era un motivo valido per litigare. Anche perché, in fondo, lui la raggiungeva sempre in camera da letto, non mangiava da solo in cucina. Ora non sembrò sorpreso di trovarla nuda. Emma si domandò quando fosse successo. Quando aveva iniziato ad aspettarselo anziché desiderarlo? Hunter John sorrise vedendola avanzare e togliergli dalle mani la bottiglia e il piatto con il sandwich. Li appoggiò sul tavolo vicino alla porta e spinse il marito verso il letto sbottonandogli giacca e camicia. Sempre sorridendo, lui lasciò fare. "A cosa devo tutto ciò?" domandò mentre Emma gli apriva la zip dei pantaloni. Lei gli si mise a cavalcioni e lo guardò in volto. Si fermò, per non sollecitarlo troppo. Lui se lo aspettava, pensava che facesse di tutto per compiacerlo, e questo lo eccitava. Con le mani cercò di abbassarle i fianchi e iniziò a muoversi sotto di lei, ma Emma rimaneva immobile. Le piaceva il sesso, e sapeva di esserci portata. E se sua madre avesse avuto ragione? Era tutto ciò che aveva? Se non fosse stato per la sua abilità a letto lui sarebbe stato ancora lì? Doveva preoccuparsi per il ritorno di Sydney? "Hunter John", sussurrò piegandosi a baciarlo, "mi ami?" La risata di lui si perse in un gemito quando credette di capire il senso di quei preliminari. "Okay, che hai fatto?" "Cosa?" "Hai comprato qualcosa?" domandò indulgente. "Qualcosa di costoso? Di questo si tratta?" Allora pensava che volesse qualcosa da lui. E, a essere 64
onesta, era proprio così. Sempre. Otteneva tutto dal marito in quel modo. Tutto, eccetto una cosa. Non le era sfuggito che Hunter John non aveva risposto alla domanda. Non le aveva detto che l'amava. Però aveva amato Sydney, quindi lei avrebbe dovuto fare ciò che sua madre le aveva suggerito. Lavorare duro per tenersi quello che era suo. "Voglio comprarmi un vestito rosso", iniziò. Si sentiva come un uccellino incastrato in un cespuglio di rovi, coperto di spine, spaventato, folle. "Un magnifico vestito rosso." "Non vedo l'ora di vedertelo addosso." "Lo vedrai. E poi mi vedrai senza." "Ecco quel che mi piace sentire."
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Lunedì pomeriggio Claire riattaccò il telefono, ma la mano rimase sul ricevitore. Sedeva alla sua scrivania nella dispensa. L'aria cambia quando si intuisce che c'è qualcosa di sbagliato, anche se non si sa bene di cosa si tratti. Claire lo percepiva. La plastica del telefono era troppo calda. Le pareti trasudavano leggermente. Se fosse uscita in giardino sapeva che avrebbe visto l'ipomoea alba in piena fioritura, a metà giornata. "Claire?" Claire si voltò e vide Sydney sulla porta. "Ciao", la salutò. "Quando siete tornate?" Per il quarto giorno di fila, Sydney e Bay erano state a casa di Tyler. "Qualche minuto fa. Tutto bene?" "Non lo so." Claire allontanò la mano dal telefono caldo. "Ho appena ricevuto una telefonata: mi hanno chiesto di organizzare una cena a casa dei Matteson per il prossimo weekend." Sydney incrociò le braccia al petto. Poi le lasciò cadere lungo i fianchi. Esitò prima di domandare: "I Matteson che vivono in quella grande casa in stile Tudor su Willow Springs Road?" "Sì." "Un breve preavviso", commentò Sydney cauta, curiosa. "Già. Infatti la signora mi ha detto che proprio per questo mi pagherà il doppio, solo se avrò abbastanza aiuto per quella sera." "Mi è sempre piaciuta la signora Matteson", disse Sydney, mentre le sue parole venivano animate da una scintilla. Una scintilla di speranza. "Accetterai il lavoro? Ti aiuto io." "Sei sicura?" indagò Claire, perché ancora qualcosa non le tornava. Sua sorella aveva avuto una relazione con Hunter John, era stata amica di Emma. Se avesse avuto voglia di rivederli, sarebbe già andata a trovarli invece di trascorrere tutto il tempo rinchiusa in casa o nascosta da Tyler. "Certo." Claire si strinse nelle spalle. Probabilmente leggeva troppo fra le righe. "Allora okay. Grazie." 66
Sydney sorrise e tornò sui propri passi. Claire la seguì in cucina. Per certi aspetti Sydney non era cambiata: aveva gli stessi capelli castano chiaro, naturalmente ricci al punto da sembrare onde di caramello su una torta, la splendida pelle leggermente abbronzata, le efelidi sul naso. Aveva perso peso, ma aveva ancora un corpo incredibile, talmente minuto da far sentire Claire, ben più alta di lei, pesante e goffa. Questi erano gli aspetti familiari. Per il resto, Sydney era un mistero. Era arrivata ormai da quasi una settimana e ancora Claire cercava di raccapezzarsi. Era una madre meravigliosa, senza dubbio. Lorelei non era stata un grande esempio, e la nonna ci aveva provato, ma niente a che vedere con Sydney. Era amorevole, sollecita, in ogni momento sapeva dove si trovava Bay, ma allo stesso tempo le lasciava il suo spazio, le permetteva di sognare, di giocare. Era emozionante per Claire osservare la sorella più piccola comportarsi da grande genitore. Dove l'aveva imparato? E dov'era stata? Sydney era nervosa, e il nervosismo non faceva parte della sua natura. Proprio la sera prima, Claire non riusciva a dormire ed era uscita in giardino. Si era ritrovata chiusa fuori perché la sorella, più volte durante la notte, si alzava per controllare che al piano di sotto tutto fosse sprangato a doppia mandata. Da che cosa scappava? Chiederglielo non serviva a niente: Sydney cambiava argomento quando lei le domandava degli ultimi dieci anni. Dopo essersene andata da Bascom era arrivata a New York. Questo era tutto quel che sapeva. Ciò che era successo dopo poteva solo immaginarlo. E nemmeno Bay si sbottonava: raccontava che era nata su un autobus della Greyhound e che lei e sua madre non avevano vissuto da nessuna parte. Anzi, avevano vissuto ovunque. Claire la osservò avvicinarsi alla pentola sui fornelli. "Oh, dimenticavo perché ero venuta a cercarti. Ho invitato Tyler a cena", disse Sydney annusando la zuppa di pollo alla camomilla. Claire la fissò a bocca aperta. "Che hai fatto?" "Ho invitato Tyler a cena. È okay, vero?" Claire non rispose e andò dritta al contenitore per il pane. Prese una pagnotta integrale e iniziò ad affettarla per preparare dei sandwich. 67
"E dai", continuò Sydney ridendo. "Concedigli una tregua! È così magro. E ha bigliettini sparsi per casa per ricordarsi di mangiare! Mi ha raccontato che se ne dimentica. Ieri mi ha mostrato alcuni dei suoi lavori, ed è un fenomeno. Ma, giuro su Dio, se mi fa un'altra domanda su di te gli suggerisco di andare in terapia. Tyler è carino. Se non lo vuoi, diglielo, così la smetterà di girarti intorno e io avrò una possibilità." Claire alzò la testa di colpo. "E per questo che passi così tanto tempo da lui? Lo vuoi?" "Io no. Ma perché non lo vuoi tu?" Claire fu salvata da qualcuno che stava bussando. "È per te", sussurrò Sydney. "È il tuo ospite." Sydney sorrise e andò ad aprire. Claire mise giù il coltello per il pane e si sforzò di sentire quel che Tyler diceva. "Grazie per l'invito", lo udì esordire. "Bella casa." "Vuoi fare un giro?" gli propose Sydney. Claire si mise subito in agitazione. Non voleva che la sorella gli mostrasse la casa. Non voleva che lui conoscesse i suoi segreti. "Certo." Claire chiuse gli occhi un istante. Pensa, pensa, pensa. Cosa avrebbe potuto fare perché Tyler la dimenticasse, perché fosse meno interessato a lei? Quale pietanza avrebbe potuto distogliere la sua attenzione da lei? Non aveva il tempo di preparare un piatto specifico. Non ci voleva. Avere a che fare con Sydney e Bay, cercare di inserirle nella propria routine, era già troppo. E per giunta sapendo che se ne sarebbero andate. Sydney aveva odiato quella casa e quella città. Ancora adesso cercava di proteggere Bay dalle stranezze. Per questo non le aveva parlato né del giardino o del melo, né di cosa significasse essere una Waverley a Bascom. Sarebbe bastato un commento, una smorfia da parte di qualcuno, e Sydney sarebbe di nuovo sparita come fumo. Tyler però sarebbe stato un elemento facile da controllare. Claire avrebbe dovuto tentare di dissuaderlo in ogni modo. Con veemenza e, se fosse stato necessario, persino con rudezza. Per lui non c'era spazio. Semplice. Stava permettendo a troppe persone di entrare nella sua vita. 68
Bay entrò e abbracciò Claire, come se abbracciare qualcuno senza un motivo particolare fosse la cosa più naturale al mondo, e la zia ricambiò la stretta per un momento. Poi la piccola corse via e andò a sedersi al tavolo. Sydney ricomparve seguita da Tyler. Claire notò subito che si era tagliato i capelli. Stava bene, i capelli corti gli conferivano un aspetto più concentrato. E questo, decise quando gli occhi di lui si posarono su di lei, non era una buona cosa. Non puoi perdere quel che non hai, pensò, e distolse lo sguardo. "Dev'essere stato formidabile crescere in questa casa", disse Tyler. "Sì, interessante", ribatté Sydney. "Il terzo gradino della scala cigola. Quando eravamo ragazze, ogni volta che qualcuno vi saliva, un topo spuntava dalla tana nel gradino di sopra per vedere chi faceva quel baccano." Claire guardò la sorella, sorpresa. "Tu lo sapevi?" "Non sarò una Waverley in tutto e per tutto, però sono cresciuta qui anch'io." Sydney staccò un pezzetto di pane mentre Claire preparava i sandwich e li disponeva su un piatto. "Mia sorella ha imparato tutte queste ricette folli dalla nonna." "Queste non sono ricette folli, solo zuppa e panini al burro di arachidi con gelatina." Sydney ammiccò a Tyler. "Panini al burro di mandorle e alla gelatina di zenzero." Improvvisamente, Claire si sentì prudere la pelle. Sydney era così disinvolta, e lei l'aveva sempre odiata per questo. Con quanta naturalezza chiacchierava con Tyler, come se fosse una cosa da niente stabilire dei legami che potevano essere facilmente spezzati. "Eravate molto unite da ragazze?" domandò lui. "No", rispose Sydney anticipando Claire. Claire riempì tre scodelle di zuppa e le appoggiò sul tavolo accanto al piatto con i sandwich. "Buon appetito", disse. Quindi uscì dalla cucina e si recò in giardino, sotto gli occhi di Tyler, Sydney e Bay. Circa tre quarti d'ora dopo, Claire aveva finito di scavare una buca 69
presso la recinzione e vi stava sotterrando le mele cadute dall'albero. C'era umidità, l'aria era spessa come sciroppo di sorgo, un anticipo dell'estate appiccicosa che sarebbe arrivata. "Smettila", continuava a dire all'albero che le lanciava mele tutt'intorno tentando di irritarla. "Più ne lanci, più ne sotterro. E lo sai che ti ci vuole una settimana per farne di nuove." Una piccola mela le cascò in testa. Lei guardò in su verso i rami, che oscillavano piano nonostante non ci fosse un filo d'aria. "Ti ho detto di smetterla." "È questo il tuo segreto?" Si girò e vide Tyler in piedi sul prato. Da quanto se ne stava lì? Non lo aveva nemmeno sentito avvicinarsi. L'albero l'aveva distratta. Dannato melo! "Il mio segreto?" domandò Claire, cauta. "Il segreto di questo giardino. Tu parli alle piante." "Oh." Lei tornò a raccattare mele. "Sì, è questo." "La cena era ottima." "Lieta che ti sia piaciuta." E visto che lui non si muoveva, aggiunse: "Sono un po' occupata". "Sydney mi aveva anticipato che mi avresti risposto così. E ha aggiunto di venire qui comunque." "La sicurezza di mia sorella è affascinante, lo so, però credo che in questo momento abbia bisogno di un amico", ribatté Claire, subito sconvolta da quelle parole. Non aveva avuto intenzione di dirle: davano l'impressione che le importasse. Certo, voleva che Tyler volgesse le proprie attenzioni altrove, ma non a Sydney. Chiuse gli occhi. Pensava di avere ormai superato la gelosia. "E tu? Non hai bisogno di un amico?" Lei lo guardò. Era a proprio agio lì, in piedi, con i jeans trasandati, la camicia fuori dai pantaloni. Per un istante desiderò avvicinarsi a lui, farsi stringere dalle sue braccia, lasciarsi avvolgere da quel senso di calma. Che le succedeva? "Non ho bisogno di amici." 70
"Ti serve qualcosa di più?" Claire non aveva molta esperienza in fatto di uomini, ma capì cosa intendeva. Sapeva cosa significavano quei piccoli crepitii rossi che lo circondavano. "Mi piace quel che ho." "Anche a me, Claire. Sei bellissima", mormorò Tyler. "Ecco, l'ho detto. Non ce la facevo più." Non temeva di essere ferito. Anzi, sembrava aspettarselo. Uno dei due doveva tornare con i piedi per terra. "Quando dicevo che ero impegnata, lo intendevo sul serio." "Quando dicevo che eri bellissima, lo intendevo sul serio." Claire tornò alla buca vicino alla recinzione e vi gettò le mele. "E sarò impegnata per molto, molto tempo." Quando si voltò, Tyler sghignazzava. "Be', io no." A disagio, Claire lo vide allontanarsi. Voleva forse dirle qualcosa? Era un avvertimento? Ho tutto il tempo del mondo per arrivare dove voglio.
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5 La residenza dei Matteson era come la ricordava. Ancora adesso Sydney sarebbe potuta arrivare nella stanza di Hunter John a occhi chiusi. Quando erano soli in casa, lei fingeva che vivessero lì insieme. Se ne stavano a letto e lei sognava il futuro. Dopo il diploma, però, lui l'aveva lasciata. "Pensavo avresti capito", le aveva detto. Allora non aveva compreso. Ora sì. Ora capiva. L'aveva amato. Lui era forse stato l'unico uomo che lei avesse amato così tanto, con una tale speranza. Ora capiva che avrebbe lasciato Bascom comunque, con o senza di lui. Lui non era stato in grado di accettarla per quella che era, ora lo capiva. Lo capiva meglio di ogni altra cosa, perché nemmeno lei ne era stata capace. Mentre entrava in cucina con Claire provò un piccolo brivido a stare in un luogo in cui sapeva di non doversi trovare. Non sarebbe dovuta venire, ma non aveva resistito. Forse era la sfida, la stessa sfida di quando girava per le case dei suoi ragazzi mentre erano al lavoro e rubava i soldi nascosti prima di abbandonare la città. Anche qui avrebbe rubato qualcosa: i ricordi che non le appartenevano più. Perché lo faceva? Perché il miglior periodo della sua adolescenza, i più bei ricordi di Bascom, coincidevano con i tempi in cui lei e il miglior partito della città stavano insieme. Tutti l'ammiravano, la accettavano. Sydney aveva bisogno di quei buoni ricordi più di quanto ne avessero i Matteson, che probabilmente non avevano sentito la sua mancanza. E che forse l'avevano dimenticata. La governante venne loro incontro e si presentò. Joanne, una quarantina d'anni, aveva i capelli neri, lucidi, talmente lisci e laccati che a stento si muovevano. E questo particolare significava solo una cosa: odiava gli errori. "I fiori sono già stati consegnati. Mi è stato ordinato di aspettare il vostro arrivo prima di sistemarli", disse. "Quando avrete finito di scaricare, mi troverete nel patio. Sapete dov'è?" "Sì", rispose Sydney mentre Joanne scompariva attraverso le porte della dispensa. "Myrtle mi piaceva di più." 72
"Chi è Myrtle?" domandò Claire. "La vecchia governante." "Oh!" Non appena ogni cosa fu scaricata e gli ingredienti furono messi in fresco, Sydney condusse Claire, passando all'interno della casa, fino al patio. La signora Matteson era stata orgogliosa dei suoi pezzi di antiquariato, per questo Sydney si sorprese nel notare tutto quel... rosa. La sala da pranzo era ricoperta di carta da parati rosa damascata, e le sedie intorno al lungo tavolo avevano imbottiture rosa pallido. Il salotto, che si apriva sulla sala da pranzo, era un'accozzaglia di fiori rosa sparsi su cuscini e tappeti. Al patio si accedeva da una serie di portefinestre aperte. La calda brezza estiva entrava nel salotto portando un sentore di rose e cloro. Una volta fuori, Sydney vide, intorno alla piscina, diversi tavoli rotondi in ghisa, sedie e un elaborato bar in un angolo. Lungo i muri erano allineati tavoli più lunghi per il buffet, e lì le aspettava Joanne, circondata da vasi vuoti e mazzi di fiori. Claire si avvicinò alla governante. Sydney non riusciva a muoversi. Aveva la testa leggera. Era solo l'illusione... Le tovaglie bianche sui tavoli del buffet che si agitavano alla brezza, le luci della piscina che diffondevano ombre acquose, le stelle riflesse nel boschetto... Da ragazza aveva desiderato con tutta se stessa quella ricchezza, quel sogno. Ora, lì, ricordava la sensazione di esserne parte, parte di qualcosa. La sensazione di appartenere a un luogo. Ma era stata tutta una bugia. Incrociò le braccia al petto e guardò una cameriera che sistemava su ciascun tavolo delle candele dentro lampade antivento. Sydney ascoltava da lontano Claire che spiegava a Joanne come disporre sui tavoli rose, fucsie, gladioli. "I gladioli qui", diceva. "Dove metteremo i fiori di zucchina ripieni di noce moscata e il pollo al finocchio. Le rose qui, dove andranno le focaccine ai petali di rosa." Era tutto così intricato, una sorta di manipolazione per far provare agli ospiti sensazioni che altrimenti non avrebbero potuto provare. Non era nello stile della signora Matteson. Eppure Claire aveva passato buona parte della sera di lunedì al telefono, a discutere il menu. Con una scusa Sydney era rimasta in cucina per sentire la sorella che dalla vicina dispensa sentenziava: "Se è l'amore che vuole 73
rappresentare, allora ci vogliono le rose", e: "Cannella e noce moscata indicano prosperità". Dopo essersi occupata dei fiori assieme a Joanne, Claire fece per rientrare in casa quando si rese conto che Sydney non la seguiva. "Tutto bene?" Sydney si voltò. "Non è meraviglioso?" esclamò fiera, come se tutto quello le appartenesse. E in effetti per un certo periodo così era stato. "È molto..." Claire esitò un istante. "Calcolato. Forza! Non vogliamo rimanere indietro sulla tabella di marcia." Un paio d'ore più tardi, le due sorelle erano in cucina quando Sydney disse: "Ora capisco cosa intendevi con calcolato. Perché dobbiamo sistemare ogni cosa sui vassoi in senso orario? Non l'avevamo fatto per il pranzo dei botanici". "Alle vecchie signore interessava solo il cibo, non quel che significava." "E cosa significa tutto questo?" "Che i padroni di casa vogliono che i loro ospiti li credano follemente innamorati e favolosamente ricchi." "Ma non ha senso! Il signore e la signora Matteson hanno forse dei problemi? Mi sembravano così felici, per quanto ricordo." "Non discuto le motivazioni. Io do alle persone ciò che desiderano. Pronta?" domandò Claire avviandosi con due vassoi. Avevano allestito il buffet prima dell'arrivo degli ospiti, ma Joanne le aveva appena informate che i vassoi andavano sostituiti. Avrebbe riconosciuto qualcuno? si domandò Sydney. Aveva cercato di individuare qualche voce, aveva allungato il collo all'eco di una risata, chiedendosi se l'avesse mai udita prima. Hunter John era lì fuori? Aveva importanza? "Più pronta che mai", rispose prendendo i vassoi. I party incantavano Emma: si sentiva come una bambina che gioca a mettersi vestiti eleganti in un mondo fantastico. Per sua madre era lo stesso. "Lascia la magia alle Waverley", le diceva quando lei, piccina, prima di ogni ricevimento la guardava provare un abito dopo l'altro. "Noi abbiamo qualcosa di meglio. La fantasia." 74
Emma era accanto al bar perché Hunter John stava lì, e anche perché da lì godeva di una visione eccellente sugli ospiti soddisfatti. Adorava tutti i party, ma nessuno eguagliava il suo di quella sera: ogni frase pronunciata conteneva un complimento a lei o una nota di invidia nei suoi confronti. Era meraviglioso. Ariel le si avvicinò e la baciò sulla guancia. "Cara, sei bellissima. Quel rosso ti dona. Semplicemente perfetto." "La tua è stata un'idea grandiosa, mamma. Grazie. Chi si è occupato del catering? Non faccio che ricevere complimenti per il cibo. Non tanti quanto quelli sul vestito, comunque." Ariel ammiccò e fece voltare la figlia così che potesse vedere le porte del patio dall'altra parte della piscina. "Quello, dolcezza, è il mio regalo per te questa sera." "Cosa intendi?" "Aspetta e vedrai." Emma non capiva, e rideva, eccitata. "Mamma, che hai fatto? Mi hai comprato qualcosa?" "In un certo senso", rispose Ariel, misteriosa. "Mamma, cos'è? Dimmelo, dimmelo!" Il tono di voce di Emma distolse Hunter John dalla conversazione con gli amici. "Che succede?" Lei prese la mano del marito e lo attirò a sé. "La mamma mi ha comprato un regalo e non vuole dirmi di cosa si tratta." "Ah, eccolo!" esclamò Ariel. "Cosa? Dove?" Gli occhi di Emma si concentrarono sulle due donne che uscivano dal salotto, ciascuna con due vassoi. Ovviamente erano delle cameriere. Stava per distogliere lo sguardo per scoprire dove fosse il vero regalo, quando si rese conto di chi fosse una delle due. "Ma è Claire Waverley! Hai ingaggiato lei pei il catering?" Di colpo, in un terribile istante, Emma capì ciò che sua madre aveva combinato, e i suoi occhi saettarono sulla donna accanto a Claire. "Oh, mio Dio!" "Ma quella non è Sydney Waverley?" sussurrò Hunter John. Liberò la 75
mano dalla stretta di Emma e la piantò lì. Semplicemente se ne andò. Si mosse incontro a Sydney come preso al laccio. Emma si girò verso la madre. "Mamma, che hai fatto?" Ariel si avvicinò e le sibilò: "Smettila di comportarti da stupida e raggiungili. Fa' che la gente la guardi. Fa' che i suoi vecchi amici la guardino". "Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere." "È tornata, e tu devi avere il controllo. Mostrale che non appartiene a questo posto, che non ha possibilità di riprendersi ciò che aveva. E fa' vedere a tuo marito che tu sei meglio di lei. Da sempre. Sei la principessa del ballo, lei solo la cameriera. Ora va'." Fu la strada più lunga che Emma avesse mai percorso. Hunter John era ormai vicino a Sydney e la fissava mentre lei sistemava i vassoi sui tavoli del buffet. Non aveva ancora alzato lo sguardo. Fingeva di non essersi accorta di lui? Era intimidita? Era dimagrita, sembrava invecchiata, ma il suo viso era ancora luminoso e i capelli tagliati con cura. Aveva sempre avuto una magnifica capigliatura. Non aveva mai dovuto né tingerla né arricciarla, cosa che invece Emma aveva iniziato a fare a dodici anni. Li aveva quasi raggiunti quando Hunter John si schiarì la gola e disse: "Sydney Waverley, sei tu?" Molte cose accaddero contemporaneamente. La testa di Sydney si mosse di scatto e i suoi occhi agganciarono quelli di Hunter John. Eliza Beaufort, lì accanto, si voltò. Claire smise di fare quel che stava facendo per guardare, gli occhi scuri puntati su di loro, come una maestrina. "L'ho sempre detto, Emma", mormorò Eliza al passaggio dell'amica. "I tuoi ricevimenti sono i migliori. Carrie, vieni, questa non te la puoi perdere! " Carrie Hartman, una vecchia compagna del liceo, si avvicinò. "Sydney Waverley", tubò con voce cantilenante. Carrie era stata l'unica a scuola la cui bellezza poteva competere con quella di Sydney. Sydney sembrava messa all'angolo. Emma provò un pizzico di imbarazzo per lei. "Abbiamo saputo che eri tornata in città", disse Eliza. "Sei stata via un 76
pezzo. Dove sei andata?" Sydney si passò le mani sul grembiule, si sistemò i capelli dietro le orecchie. "Ovunque", rispose, la voce un po' tremante. "Sei stata a New York?" chiese Hunter John. "Ne parlavi sempre." "Ho vissuto lì un anno." Gli occhi di Sydney correvano qua e là. "Hmm, dove sono i tuoi genitori?" "Si sono trasferiti in Florida due anni fa. Ho rilevato io l'azienda di famiglia." "Così tu abiti qui?" "Noi abitiamo qui", intervenne Emma, infilando il braccio sotto quello del marito e premendo il décolleté contro di lui. "Emma? Tu e Hunter John siete... sposati?" si stupì Sydney. Sembrava scioccata. Ed Emma si innervosì. Come osava, quella, sconvolgersi per il fatto che Hunter John avesse scelto lei? "Ci siamo sposati l'anno del diploma. Subito dopo la tua partenza. Sydney... ci sono due vassoi vuoti laggiù." Emma cercava di convincersi che era stata Sydney stessa a infilarsi in quella situazione, che era solo colpa sua se ora viveva quell'umiliazione. Ma, nonostante tutto, non si sentiva affatto meglio. Non le andava di mortificarla così. Emma, in fondo, aveva vinto. Giusto? Questo era quello che sua madre avrebbe detto, e fatto. E guarda da quanto tempo si teneva stretto papà. Hunter John guardò prima Emma, poi Sydney, poi di nuovo Emma. "Ho bisogno di parlare con te in privato", sussurrò alla moglie, e la spinse in casa fendendo la folla di ospiti. Gli occhi di Sydney li seguivano. "Che cosa c'è, tesoro?" gli chiese subito Emma quando Hunter John la condusse nel proprio studio e chiuse la porta. Lei stessa aveva arredato quella stanza per lui, le pareti color burro di cacao, le foto incorniciate dei giorni gloriosi sui campi da football del liceo, le piante in vaso e la gigantesca scrivania con il ripiano in pelle. Emma si mosse verso la scrivania e vi si appoggiò con fare provocante. Il motivo per il quale l'aveva scelta era che poteva fungere da letto tutte le volte in cui lei decideva di sorprenderlo con una sveltina, quando lui restava a casa a lavorare. Forse era proprio questo ciò che lui desiderava adesso. Hunter 77
John aveva visto Sydney ed Emma insieme, e aveva capito di aver fatto la scelta giusta. Ma Hunter John rimaneva in piedi accanto alla porta, lo sguardo scuro come il carbone. "L'hai fatto apposta. Hai voluto umiliare Sydney di proposito." Emma si sentì come se, nel giorno del suo compleanno, scartando il regalo avesse scoperto che non era quello agognato, bensì un'orribile pietra o uno specchio scheggiato. "Da quando te ne importa?" "Mi importa quello che è successo adesso. Perché farla venire qui, a casa nostra, dannazione?" "Shh, tesoro. Calmati. Va tutto bene. Io non c'entro niente, te lo giuro." Gli si avvicinò, gli accarezzò i risvolti della giacca. Le mani scesero fino alla patta dei pantaloni. Hunter John le afferrò i polsi. "Emma, abbiamo ospiti." "Farò in fretta." "No", disse lui per la prima volta in dieci anni, e si allontanò. "Orano." Claire era nervosa e odiava esserlo. Detestava non sapere cosa fare. Era rimasta impotente a guardare mentre i vecchi amici di Sydney convergevano su di lei come falene su una fonte di luce. Non sapeva se la sorella avrebbe gradito un suo intervento, se si sarebbe arrabbiata se l'avesse portata via... in fondo non li vedeva da dieci anni. Il volto di Sydney era teso e il passo rigido mentre Claire la seguiva di nuovo in cucina. Non appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, Sydney lasciò cadere i vassoi vuoti sul ripiano e sbottò: "Perché non mi hai detto che il signore e la signora Matteson erano Hunter John ed Emma Clark?" Claire prese i vassoi della sorella e li impilò sui propri prima di metterli da parte. "Non mi ha nemmeno sfiorato l'idea che tu pensassi fosse qualcun altro. Chi dovevano essere, scusa?" "I genitori di Hunter John! Come accidenti potevo sapere che lui ed Emma Clark si erano sposati?" "Perché, quando l'hai lasciato, lui ed Emma hanno iniziato a 78
frequentarsi", rispose Claire tentando di assumere un tono di voce premuroso, di controllare i crampi allo stomaco e trattenersi dal dire: È un male. Qualcosa di male. È un male. "Come facevo a saperlo? Non c'ero! E non sono stata io a piantarlo, è stato lui a piantare me. Secondo te perché me ne sono andata?" Claire esitò. "Per causa mia. Perché ti impedivo di imparare, perché ti avevo fatto odiare di essere una Waverley." "Non sei stata tu a farmi odiare di essere una Waverley. Ci ha pensato l'intera città", ribatté Sydney con impazienza. Scosse la testa, delusa da Claire. "Comunque, se ti fa stare meglio, ora me ne andrò per causa tua." "Sydney, aspetta, ti prego." "Era tutto preparato. Non te ne sei accorta? Emma Clark ha organizzato tutto questo perché io apparissi come una... cameriera agli occhi di Hunter John e di tutti i miei vecchi compagni di liceo, con i loro abiti costosi e le tette rifatte. E come faceva a sapere del mio ritorno in città? Perché glielo hai detto?" "Non sono stata io." "Davvero? Allora come può averlo scoperto?" "Magari è stata Eliza Beaufort", rispose Claire. "Sua nonna era tra le signore al pranzo di Hickory." Sydney fissò la sorella per alcuni lunghi istanti, gli occhi scintillanti di lacrime. Claire pensò che non l'aveva mai vista piangere. Erano state entrambe bambine stoiche. Nessuna delle due sembrava aver sofferto troppo per l'abbandono della madre, nessuna aveva versato una lacrima. Tuttavia, per la prima volta, Claire si domandò cosa Sydney si fosse tenuta dentro per troppo tempo. "Perché mi hai permesso di farlo? Perché mi hai lasciata andare là fuori? Non ti è sembrato strano che Emma chiamasse te per presentare ai suoi ospiti cibi che ostentassero uno stile di vita di cui tutti erano già a conoscenza? Passione e denaro. L'ha fatto perché io vedessi." "Non è stata lei a organizzare questa serata, ma sua madre. Non ho mai parlato con Emma. Forse si tratta solo di una coincidenza, Sydney. Forse non significa niente." 79
"Come puoi, proprio tu, dirmi una cosa simile? Per una Waverley ogni cosa ha un significato. E come fai a difenderli? Ti senti veramente a tuo agio con questa gente, pur sapendo ciò che pensa di noi? Quando eravamo piccole, nessuno voleva essere tuo amico, nessun ragazzo si interessava a te. E io me ne accorgevo. Ho creduto fosse per quello che ti eri rinchiusa nel tuo mondo." Con un ampio gesto indicò i piatti, i fiori sparsi sui ripiani. "Che la casa e la nonna fossero ciò che ti serviva. Io volevo di più. Volevo quegli amici là fuori. Volevo tutto questo. Sono stata malissimo quando Hunter John mi ha lasciata, e tu non te ne sei nemmeno accorta. E questo mi ferisce, Claire. Non te ne importa proprio niente?" Claire non sapeva cosa dire, il che rattristò Sydney ancora di più. Si voltò, fremente, e si avvicinò alla borsa che aveva lasciato accanto alla porta. Ne estrasse un foglietto, raggiunse il telefono. "Che stai facendo?" domandò Claire. Con intenzione Sydney le diede le spalle e digitò il numero scritto sul foglietto. "Per piacere, Sydney, non andartene." "Tyler?" disse sua sorella nel ricevitore. "Sono Sydney Waverley. Sono bloccata in un posto e ho bisogno di un passaggio." Pausa. "Willow Springs Road, nella zona est della città. Al trentadue, una grande casa in stile Tudor. Vai sul retro. Grazie mille." Si tolse il grembiule e lo buttò a terra. Afferrò la borsa e uscì dalla porta. Impotente, Claire la guardò andarsene. Aveva lo stomaco talmente sottosopra che pensò avrebbe vomitato; si piegò e appoggiò le mani sulle ginocchia. Non poteva perdere quel che rimaneva della sua famiglia, non così presto. Non poteva essere lei la causa della partenza di Sydney. Ciò che era accaduto negli ultimi dieci anni non era l'unico mistero nella vita di Sydney. Claire si rendeva conto di non aver mai veramente conosciuto la sorella. Non aveva capito che Sydney fosse stata tanto innamorata di Hunter John. Non aveva capito quanto lui l'avesse ferita. Quelle persone là fuori ne sapevano più di lei. E l'avevano fatto di proposito. E benché avesse intuito che qualcosa non tornava, aveva 80
ignorato i segnali. Sydney aveva ragione. A tutto c'è un significato. Prese un respiro profondo; si raddrizzò. Avrebbe sistemato le cose. Andò al telefono e premette il tasto R. Ci volle qualche secondo, ma alla fine la voce di Tyler rispose, con il fiato un po' corto. "Pronto?" "Tyler?" "Sì." "Sono Claire Waverley." Seguì una pausa chiaramente sorpresa. "Claire, strano! Mi ha appena chiamato tua sorella. Sembrava turbata." "Lo è. Sta lavorando con me. Devo chiederti... un favore." "Qualsiasi cosa." "Prima che tu venga a prendere Sydney dovresti passare da casa mia. Puoi portarmi un paio di cose che sono in casa e in giardino? Ti spiego dove tengo le chiavi." Circa quaranta minuti dopo, bussarono alla porta sul retro. Claire vide Tyler con due scatoloni pieni di fiori e ingredienti vari. "Dove li metto?" "Lì, vicino al lavello." Claire guardò fuori verso la strada e vide la jeep di Tyler parcheggiata, le luci accese. Sydney sedeva al posto del passeggero e fissava dritto davanti a sé. "Ti ho vista al lavoro a casa di Anna, ma devo ammettere che il dietro le quinte è ancora più impressionante", disse Tyler guardandosi intorno nella cucina. Mentre aspettava che lui le portasse quanto gli aveva chiesto, Claire aveva allineato cibo e fiori. Quindi aveva scritto gli ingredienti e la lista dei fiori su alcune schede, così da non confondere le ricette per non sbagliare il messaggio. Era troppo importante. Quella sera avevano voluto rose che comunicassero amore, ma se all'amore si aggiunge la tristezza, si ottiene il rimpianto. Avevano preteso noce moscata come simbolo di salute, ma se alla salute si aggiunge la colpa, si ottiene l'imbarazzo. 81
"Grazie", disse, augurandosi che Tyler non comprendesse le sue intenzioni. E perché avrebbe dovuto? Non era di lì. Non conosceva la natura rivoluzionaria di ciò che lei poteva fare. "Prego." Claire abbassò lo sguardo e notò che i jeans di lui erano sporchi di terra sulle ginocchia. "Mi dispiace per le macchie. Te ne comprerò un paio nuovo." "Cara, sono un pittore. Tutti i miei vestiti hanno questo aspetto." Sorrise, caloroso, tranquillo. Quasi le tolse il respiro. "Posso fare altro?" "No", rispose Claire in automatico, poi aggiunse: "Sì, aspetta. Puoi chiedere a Sydney di non andarsene stasera? Non prima che la notte sia passata. Devo sistemare una faccenda". "Avete litigato?" "Più o meno." Tyler sorrise di nuovo. "Farò del mio meglio."
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Quando Claire arrivò a casa, Sydney e Bay erano già a letto (Sydney e Tyler erano passati a prendere la piccola da Evanelle). Almeno quella notte sarebbero rimaste: un tempo sufficiente perché alcune questioni venissero chiarite. Claire rimase alzata fino a tardi per preparare le consuete sei dozzine di focacce alla cannella che tutte le domeniche mattina consegnava alla Coffee House in piazza. Verso mezzanotte controllò Bay, anche se sapeva che Sydney lo faceva più volte, quindi si incamminò verso la propria stanza. Aveva appena sorpassato quella di Sydney quando la sorella la chiamò. "Ho ricevuto un sacco di telefonate prima che tu tornassi a casa stasera." Claire fece un passo indietro e si affacciò alla soglia. Sydney era a letto, le braccia dietro la testa. "Eliza Beaufort, Carrie, perfetti sconosciuti ospiti del party. Mi hanno detto tutti la stessa cosa: erano dispiaciuti. Eliza e Carrie mi hanno persino confidato che ai tempi del liceo gli piacevo proprio, e che avrebbero voluto che le cose fossero andate diversamente. Si può sapere cosa gli hai detto?" "Nemmeno una parola." Sydney tacque, ma dalla domanda successiva Claire comprese che cominciava a capire. "Cosa gli hai dato?" "Sorbetto di melissa in calici di tulipani. Ho messo petali di dente di leone nella macedonia e foglie di menta nella mousse al cioccolato." "Non era previsto nel menu." "Lo so." "Emma Clark e sua madre non hanno telefonato." Claire si appoggiò allo stipite della porta. "Hanno capito quel che stavo facendo e non hanno assaggiato i dessert. Poi mi hanno ordinato di andarmene." "Hanno saldato il conto?" "No. E stasera due loro conoscenti hanno cancellato gli ordini." Fruscio di coperte. Sydney si voltò nel letto per fronteggiare Claire. "Mi 83
dispiace." "Ufficialmente hanno disdetto, ma richiameranno non appena avranno bisogno di qualcosa. Vogliono solo che io mantenga il segreto." "Ho rovinato tutto. Scusa." "Non hai rovinato proprio niente", ribatté Claire. "Per favore, non andartene, Sydney. Devi restare. Forse non sempre te lo dimostro, ma voglio che resti." "Non me ne vado. Non posso." Sydney sospirò. "Per quanto folle sia Bascom, per quanto non sopporti né la mentalità della gente, né la monotonia... be', sono cose che rendono questo posto sicuro. Bay ne ha bisogno. Sono sua madre, e questo è ciò che le devo dare." Le parole rimasero sospese nell'aria e Claire capì subito che la sorella avrebbe voluto rimangiarsele. "Hai vissuto in un luogo pericoloso?" Sydney non avrebbe risposto, lo sapeva. Infatti scivolò di nuovo sotto le coperte. "Mi auguro che farai qualcosa per lui", sospirò indicando la finestra aperta. "È difficile riuscire a dormire con quello." Una luce rossa filtrava dall'esterno. Incuriosita, Claire entrò nella stanza e si avvicinò alla finestra che dava sulla casa di Tyler. Guardò giù e lo vide camminare in giardino con indosso i pantaloni del pigiama e nient'altro, una sigaretta tra le dita. Da lui si irradiavano di nuovo scintille purpuree. Di tanto in tanto si fermava e guardava in su verso casa Waverley, quindi riprendeva a camminare. "Lo vedi anche tu?" domandò Claire senza distogliere lo sguardo. "Certo." "Allora sei una Waverley più di quanto tu creda." Sydney grugnì. "Oh, che gioia! Dunque, cosa farai?" Claire ignorò il frullio d'ali nel petto: le pareva che tanti uccellini si fossero dati convegno. Si allontanò dalla finestra. "Ci penserò." "Solo perché nessuno se lo aspetta da te non vuol dire che non puoi. Non vorresti dimostrare agli altri che si sbagliano?" "Sono una Waverley", ribatté Claire dirigendosi alla porta. "Non c'è niente di male." 84
"Sei un essere umano. È normale frequentare qualcuno. È normale provare dei sentimenti. Esci con Tyler. Fa' che la gente dica: 'Non posso credere che l'abbia fatto'." "Mi sembri la mamma." "Era un complimento?" Claire si fermò sulla soglia e si lasciò scappare un sorrisino. "Non ne sono certa." Sydney sedette sul letto e sprimacciò il cuscino un paio di volte. "Svegliami, domattina, così ti aiuto a consegnare le focacce alla cannella", disse prima di sdraiarsi di nuovo. "No, posso..." Claire si bloccò. "Grazie."
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6 Martedì pomeriggio Claire annunciò che sarebbe andata in città e Sydney le chiese se lei e Bay potevano accompagnarla. Sydney voleva un giornale per leggere gli annunci economici e, anche se l'addolorava, doveva rendere la camicia che Evanelle le aveva regalato. Aveva messo da parte il denaro guadagnato con Claire per le emergenze, ora però le servivano dei prodotti da toilette e Bay aveva bisogno di cibo per bambini. Claire era una cuoca grandiosa, ma quando il giorno prima Bay le aveva chiesto se avesse dei pizza rolls, l'aveva guardata senza capire. Arrivate da Fred's, Claire e Bay entrarono mentre Sydney risaliva il marciapiede. La piazza non era cambiata di molto, anche se adesso, vicino alla fontana in mezzo al prato, campeggiava la scultura di uno studente universitario che assomigliava a una foglia di quercia. Rese la camicia da Maxine's e scoprì che negli ultimi dieci anni il negozio aveva cambiato proprietario due volte e che adesso lo gestiva una donna elegante sulla cinquantina. La signora le disse che non erano in programma nuove collezioni, ma si fece dare il numero nel caso arrivasse qualcosa di nuovo. Quando Sydney scrisse il proprio cognome, le domandò se fosse imparentata con Claire. Alla risposta affermativa, quella si illuminò e le raccontò che l'anno precedente la signorina Waverley aveva preparato la torta per il matrimonio della figlia, e tutti i suoi amici di Atlanta non avevano fatto che parlarne. Di sicuro l'avrebbe chiamata, se fosse saltato fuori qualcosa, le promise. Sulla strada del ritorno Sydney passò davanti al White Door Salon. Dieci anni prima al suo posto c'era un salone alla moda, Tangles, ma questo era ancora più stilè. Ne emerse una cliente, avvolta da un odore chimico misto alla fragranza di shampoo dolce. A Sydney quel profumo metteva le ali, aveva il potere di farla fluttuare. Quanto le mancava! Era passato tanto tempo dall'ultima volta che aveva messo piede in un salone di bellezza, e sempre, quando passava davanti a un parrucchiere, provava la medesima sensazione: il bisogno di entrare, prendere le forbici e mettersi all'opera. Avvertì il solito pizzicorio al pensiero di poter essere di nuovo felice. 86
Come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Aveva frequentato la scuola per estetista presentandosi con il proprio nome, un nome che David non conosceva. Doveva rammentare a se stessa che lì lui non avrebbe potuto trovarle. Non sarebbe comparso solo perché lei voleva di nuovo lavorare. L'unica ragione per la quale David le aveva rintracciate a Boise era perché lei aveva iscritto Bay con il suo vero nome. Credeva di non avere scelta, se all'asilo le avessero chiesto il certificato di nascita della bambina. Aveva creduto che David si sarebbe messo alla ricerca di Cindy Watkins, non di Bay. Non avrebbe commesso lo stesso errore. Lì Bay era una Waverley. Si toccò i capelli, felice di averli legati in un originale chignon e di aver spuntato e modellato la frangia proprio quella mattina. Raddrizzò le spalle ed entrò.
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Quando incontrò Claire e Bay al furgone, Sydney era esaltata. Mentre le aiutava a caricare, sorrideva. Evitò di incontrare gli occhi di Claire, finché la sorella non le domandò: "Allora, perché questo sorriso?" "Indovina." Claire sorrise a sua volta, divertita da tanto buonumore. "Cosa?" "Ho un lavoro! Te l'ho detto che sarei rimasta." Per metà ancora dentro il furgone, Claire si bloccò. Sembrava sinceramente perplessa. "Tu ce l'hai già, un lavoro." "Claire, tu lavori per tre. E di tanto in tanto hai bisogno di aiuto. Continuerò a darti una mano quando ti servirà." Sydney scoppiò a ridere. Niente le avrebbe rovinato l'umore. "Magari non a casa di Emma... sai com'è." Claire si raddrizzò. "E dove?" "Al White Door." Le sarebbe servito tutto il denaro, anche quello che aveva recuperato rendendo la camicia, per affittare una postazione per sé e comprarsi l'attrezzatura, ma aveva un ottimo presentimento. Possedeva ancora qualche accessorio, e per estendere la validità della licenza da Stato a Stato non ci sarebbe voluto molto. Presto avrebbe guadagnato abbastanza per rimpinguare il fondo di emergenza, e la gente di Bascom avrebbe capito che ci sapeva fare. Sarebbero andati da lei così come andavano da Claire: per ottenere quello di cui era capace. "Sei parrucchiera?" domandò Claire. "Già." "Non lo sapevo." Claire si stava di nuovo avvicinando troppo, e Sydney non era ancora pronta per raccontarle dove lei e Bay erano state. "Ascoltami, in autunno Bay inizierà ad andare a scuola. Potrai occuparti di lei fino ad allora? Chiederò anche a Evanelle." Claire sapeva quel che Sydney stava facendo - evitare le domande -, perciò decise di non farle pressione. Un giorno, forse, quando tra loro si fosse ristabilito un minimo di fiducia, e fosse stata certa che l'intera città non ne sarebbe venuta a conoscenza, le avrebbe parlato di quanto le era accaduto negli ultimi dieci anni. 88
Eppure, dentro di sé, Sydney sperava che tutto scomparisse, che non fosse mai avvenuto, come una fotografia che sbiadisce. "Certo che lo farò", rispose Claire alla fine. Ripresero a caricare la spesa. Sydney guardò in una borsa e domandò: "Cos'è tutta questa roba?" "Cucinerò i pizza rolls." "Potevi comprarli surgelati, sai." "Certo", disse Claire. Poi sussurrò a Bay: "Veramente?" La bambina scoppiò a ridere. "E questi?" indagò Sydney, sempre sbirciando tra la spesa. "Mirtilli? Castagne d'acqua?" Claire la allontanò e chiuse il bagagliaio. "Voglio preparare qualche piatto per Tyler." "Sul serio? Pensavo non volessi avere niente a che fare con lui." "Infatti. Questi sono piatti speciali." "Una pozione d'amore?" "Non esistono le pozioni d'amore." "Non lo avvelenerai, vero?" "No, ma i fiori nel nostro giardino..." Claire si interruppe. "Forse riesco a distogliere il suo interesse." Sydney scoppiò a ridere, però non disse una parola. Di uomini se ne intendeva, ma distogliere il loro interesse non era mai stata la sua specialità. Che diventasse quella di sua sorella.
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Bay si allungò sull'erba, il sole sul viso. Quel che era accaduto solo la settimana prima cominciava a sbiadirsi nella sua mente, come il colore rosa quando diventa quasi bianco e tu non riesci nemmeno a ricordare come era prima. Di che colore erano gli occhi di suo padre? Quanti passi bisognava fare per andare dalla loro vecchia casa al marciapiede? Mah. Bay sapeva da tempo che avrebbero lasciato Seattle. Non l'aveva mai detto a sua madre perché era troppo difficile da spiegare, e lei stessa non lo comprendeva del tutto. Non appartenevano a quel posto, e Bay conosceva il posto giusto delle cose. Qualche volta, nella vecchia casa, quando la mamma riponeva un oggetto, dopo un po' lei lo spostava dove suo padre voleva che stesse. Sua madre per esempio sistemava le calze nel cassetto, ma Bay sapeva che tornando a casa lui avrebbe voluto trovarle nell'armadietto assieme alle scarpe. Se invece lei le riponeva con le scarpe, Bay sapeva riconoscere la giornata in cui questo l'avrebbe fatto infuriare, e allora le spostava nel cassetto. Talvolta però i desideri di David cambiavano tanto in fretta che lei non riusciva a starvi dietro, allora lui gridava e faceva brutte cose alla mamma. Era estenuante, e ora lei era felice di trovarsi in un luogo dove il posto delle cose era chiaro. Gli utensili stavano sempre nel cassetto alla sinistra del lavello. La biancheria nell'armadio in cima alla scala. Claire non cambiava mai idea sul posto delle cose. Bay aveva sognato quel luogo tanto tempo prima. Sapeva che vi sarebbero arrivate. Eppure quel giorno se ne stava sdraiata sul prato a chiedersi cosa mancasse. Nel sogno lei si trovava sul prato, in quel giardino, vicino a quel melo. L'erba era soffice come nel sogno. E il profumo delle piante e dei fiori era esattamente lo stesso. Nel sogno però c'erano anche arcobaleni e piccoli puntini di luce sul suo viso, qualcosa di scintillante sopra di lei. E anche il rumore di carta che sbatacchia al vento. Purtroppo l'unico suono intorno a lei era il frusciare delle foglie del melo che lasciava cadere i suoi frutti. Una mela le colpì una gamba. Bay aprì un occhio per guardare l'albero. Continuava a lanciarle mele, quasi volesse giocare. Si mise a sedere quando udì Claire che la chiamava. Era il primo giorno di lavoro di Sydney, e la zia per la prima volta si occupava di lei. La 90
mamma le aveva vietato di andare in giardino, ma Claire aveva detto che era okay, però non doveva raccogliere i fiori. Bay era stata così felice di poter vedere il giardino! Sperava di non aver fatto niente di male. "Sono qui", urlò alzandosi. Vide Claire in piedi vicino al cancello. "Non ho raccolto nessun fiore." La zia aveva tra le mani un piatto coperto da un foglio di alluminio. "Sto andando da Tyler a portargli questo. Vieni con me?" Bay corse dalla zia, felice di vedere di nuovo Tyler. L'ultima volta che lei e sua madre erano andate a trovarlo, lui le aveva permesso di disegnare a un cavalletto, e quando lei gli aveva mostrato il disegno, Tyler lo aveva appeso al frigorifero. Claire chiuse a chiave il cancello dietro di loro e girarono intorno alla casa per raggiungere il giardino del vicino. Bay camminava accanto alla zia. Le piaceva il suo profumo. Era rassicurante, un misto di sapone da cucina ed erbe aromatiche. "Zia Claire, perché l'albero continua a lanciarmi addosso le mele?" "Vuole che ne mangi una." "Ma le mele non mi piacciono." "Lo sa." "Perché le sotterri?" "Perché nessuno possa mangiarle." "Perché non vuoi che le mangino?" Claire esitò. "Perché se mangi una mela di quell'albero, vedrai quale sarà l'evento più importante della tua vita. Se si tratta di un evento buono, di colpo saprai che qualsiasi altra cosa farai non ti renderà altrettanto felice. E se è cattivo, dovrai vivere il resto della vita con la consapevolezza che ti accadrà qualcosa di brutto. Nessuno dovrebbe sapere certe cose." "C'è gente che vuole sapere?" "Sì, ma finché l'albero rimarrà nel nostro giardino, le regole sono queste." Arrivarono alla porta di Tyler. "Stai dicendo che è anche il mio 91
giardino?" "Certo che sì", rispose Claire con un sorriso. Solo per un istante si rivide all'età di Bay, con quell'aria felice, quella gioia dovuta all'appartenere a qualcosa, come mai era accaduto prima. "Che piacevole sorpresa! " esclamò Tyler aprendo la porta. Prima di bussare Claire aveva preso un profondo respiro e quando se lo vide davanti dimenticò di lasciarlo andare. Indossava una maglietta e un paio di jeans sporchi di pittura. Talvolta Claire si sentiva la pelle tanto eccitabile che avrebbe desiderato uscire dal proprio corpo. Si chiese cosa le avrebbe provocato un bacio di Tyler. Avrebbe aiutato o peggiorato le cose? Lui sorrise, all'apparenza per niente infastidito dal fatto che lei si fosse presentata senza annunciarsi. Cosa che invece avrebbe irritato lei. Ma era evidente che Tyler non era come Claire. "Entrate." "Ti ho preparato un pasticcio", disse Claire, senza fiato, porgendogli il piatto. "Il profumo è delizioso. Forza, accomodatevi." E fece un passo indietro per lasciarle passare; ma entrare era l'ultima cosa che Claire volesse. Bay la guardò perplessa. Qualcosa non andava. Claire le sorrise e varcò la soglia, perché la piccola non si preoccupasse. Tyler le condusse fino a una cucina attraverso un soggiorno arredato con pochi mobili e molti scatoloni. Oltre la cucina c'era un tinello - in realtà un'altra stanza - con finestre a tutta parete. Il pavimento era ricoperto da un grosso telo e su una lunga asse erano affastellati attrezzi per dipingere. C'erano due cavalletti. "Ecco perché ho comprato questa casa... La luce è magnifica", disse Tyler mentre appoggiava il pasticcio sul bancone. "Tyler, posso dipingere?" domandò Bay. "Certo, pulce. Il tuo cavalletto è proprio lì. Aspetta, metto della carta." Mentre Tyler regolava il cavalletto all'altezza di Bay, la piccola si avvicinò al frigorifero e indicò il disegno colorato di un melo. "Guarda, l'ho fatto io! " Claire era meravigliata non tanto dal fatto che lui avesse appeso il disegno al frigorifero; piuttosto, che ve l'avesse lasciato. "È bellissimo." 92
Non appena Bay fu sistemata, Tyler tornò da Claire sorridendo. Gli occhi di lei corsero al piatto, preoccupati. Era un pasticcio di pollo e castagne d'acqua cucinato con olio di semi di bocca di leone. Le bocche di leone allontanavano influenze altrui non richieste, maledizioni, malie e cose simili, e Tyler doveva liberarsi dall'influsso che Claire esercitava su di lui. "Non mangi?" proruppe. "Ora?" "Sì." Lui si strinse nelle spalle. "D'accordo. Perché no. Ti unisci a me?" "No, grazie. Ho appena pranzato." "Allora siediti con me." Dall'armadietto prese un piatto di vetro e vi rovesciò qualche cucchiaiata di pasticcio. Indicò a Claire le due sedie sotto il bancone. "Come ve la cavate tu e Bay mentre Sydney è al lavoro? È passata di qui ieri e mi ha raccontato del nuovo impiego. Ha un dono con i capelli. Una vera passione." "Bene, direi", rispose lei mentre lo guardava infilarsi in bocca una forchettata di pasticcio. Lui masticò e deglutì. Per un istante Claire pensò che sarebbe stato meglio non guardare. Era sensuale, con quelle labbra piene, il pomo d'Adamo che si muoveva. Non avrebbe dovuto provare quelle sensazioni per un uomo che nel giro di pochi secondi si sarebbe liberato da lei. "Hai mai pensato ad avere figli?" le domandò. "No", rispose Claire, sempre fissandolo. "Mai?" Claire cercò di distogliere la mente dalla bocca di lui e rifletté sulla domanda. "No, finché non me l'hai chiesto." Tyler prese un altro boccone, poi indicò il piatto . "È fantastico. Non credo di aver mai mangiato niente di così buono prima di conoscerti." Forse ci voleva qualche minuto perché facesse effetto. "Adesso mi dirai che ti ricordo tua madre. Ti immaginavo più creativo. Mangia." "No, tu non hai nulla a che vedere con mia madre. Il suo spirito libero non prevede niente che riguardi la cucina." Alla notizia, Claire alzò le 93
sopracciglia. Lui le sorrise e mangiò un altro boccone. "Avanti, lo so cosa vuoi chiedermi." Lei esitò, poi alla fine cedette. "In che senso spirito libero?" "I miei genitori sono ceramisti. Sono cresciuto in una colonia di artisti nel Connecticut. Non ti andava di vestirti? Non dovevi farlo. Non avevi voglia di lavare i piatti? Li rompevi e ne facevi di nuovi. Fatti una canna e vai a letto con il marito della tua migliore amica. Era tutto okay, però non faceva per me. Certo, anch'io sono un artista, ma sicurezza e routine per me contano molto di più. Vorrei solo saperlo fare meglio." Davanti a te hai un'esperta, rifletté Claire, ma non diede voce al pensiero. Questo aspetto di lei probabilmente gli sarebbe piaciuto. Ancora due forchettate e aveva ripulito il piatto. Claire lo guardò speranzosa. "Ti è piaciuto? Come ti senti?" Tyler incontrò i suoi occhi e lei quasi cadde dalla sedia per la potenza del desiderio che vi lesse. Era come una folata di vento autunnale, che soffia via le foglie cadute e le fa volare in giro con tanta forza che, se ti colpissero, ti potrebbero fare del male. Il desiderio è pericoloso per chi è sensibile. "Come uno che vuole chiederti di uscire con me." Claire sospirò e si accasciò. "Dannazione." "D'estate, ogni sabato sera, fanno musica al quadrilatero dell'Orion. Vieni con me sabato prossimo." "No, avrò da fare." "Che cosa?" "Un altro pasticcio per te."
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Per il terzo giorno consecutivo non vi fu né una cliente occasionale che le chiedesse un taglio di capelli né tanto meno una delle abituali che si facesse almeno fare uno shampoo. All'ora di pranzo, visto che era disoccupata e che aveva già mangiato il panino alle olive e le patatine dolci che Claire le aveva preparato, Sydney si offrì di andare a ritirare il pranzo per le altre ragazze. Erano un bel gruppo e la incoraggiavano dicendole che le cose sarebbero migliorate. Non fino a passarle i clienti, però. Sydney doveva trovare un modo per dimostrare quanto fosse brava e iniziare ad attirare gente. Alla Coffee House e al Brown Bag Café chiacchierò con gli avventori e offrì loro sconti se fossero andati al White Door e si fossero fatti fare un taglio da lei. Nessuno sembrò troppo entusiasta, comunque era un inizio. Tornò indietro al salone e lasciò i sacchetti con i pranzi nella saletta ristoro, quindi portò latte macchiato e caffè freddo alle varie postazioni di lavoro delle colleghe. L'ultima fu quella di Terri. Sydney sorrise e appoggiò il suo latte di soia sul bancone. "Grazie, cara", le disse Terri, tutta presa con i colpi di sole di una bionda. La testa della cliente si mosse di scatto. Era Ariel Clark. Nonostante Sydney provasse il desiderio di chiederle di scusarsi per quel che aveva fatto a lei e a Claire il sabato precedente, si trattenne e se ne andò senza dire una parola. Voleva salvare ciò che rimaneva della giornata. Non era quello che aveva in mente Ariel Clark. Sydney stava spazzando intorno a una postazione all'altro capo del salone quando Ariel la raggiunse. Emma assomigliava molto a sua madre: gli stessi capelli biondo platino, gli stessi occhi azzurri, la stessa spavalderia. Anche ai tempi in cui lei ed Emma erano state amiche, Ariel si era tenuta sulle sue. Le sere in cui Sydney restava a dormire dai Clark, Ariel era sempre cortese, eppure c'era qualcosa in quella donna che le faceva pensare di trovarsi lì per carità, non perché accettata. Ora, visto che Ariel non si spostava dall'unico punto ancora da spazzare, Sydney si fermò. 95
Tentò di arrangiare un sorriso educato, anche se in realtà stritolava il manico della scopa. Se voleva che quell'investimento si trasformasse in un successo, non poteva prendere a bastonate in testa le clienti del White Door, poco importava che se lo meritassero. "Salve, signora Clark. Come sta? L'ho vista al party. Mi è spiaciuto non poterla salutare." "È comprensibile, tesoro, stavi lavorando. Sarebbe stato inappropriato." I suoi occhi passarono dalla scopa al triste ammasso di capelli che Sydney aveva raccolto. "Ne deduco che lavori qui." "Sì." "Non ti occupi dei tagli, vero?" domandò, sconvolta dal pensiero. Bell'inizio, pensò Sydney, se tutti i suoi conoscenti avessero reagito allo stesso modo. "In realtà, sì." "Ma non bisogna avere una specie di diploma, tesoro?" Le dita di Sydney erano intorpidite e sempre più bianche, tanto stringeva la scopa. "Sì." "Hmm", mormorò Ariel. "E così ho saputo che hai una figlia. E chi è il padre?" Sydney conosceva abbastanza la signora Clark per sapere di non doverle mostrare i propri punti deboli. Quando gli altri scoprono come ferirti, non si fermano più. In questo era un'esperta. "Nessuno che lei conosca." "Oh, ne sono certa." "C'è altro, signora Clark?" "Mia figlia è molto felice. Rende suo marito molto felice." "Dopotutto è una Clark..." "Esattamente. Non so cosa sperassi, tornando qui. Comunque non potrai averlo." Era quello il punto? "So che la cosa la sorprenderà, ma non sono tornata per riprendermelo." "Così dici. Voi Waverley avete i vostri trucchi. Non pensare che non lo sappia." Mentre si allontanava, già estraeva il cellulare dalla borsa e iniziava a digitare. "Emma, cara, ho splendide notizie." Verso le cinque del pomeriggio, Sydney stava per andarsene quando 96
alla reception vide un uomo in un bell'abito grigio. Si sentì sprofondare. Quella giornata non avrebbe mai avuto fine. Hunter John chiese qualcosa alla receptionist, che si voltò e indicò Sydney. Lui attraversò il salone e la raggiunse. Avrebbe dovuto nascondersi, evitarlo, ma i ricordi la immobilizzavano. A ventotto anni, i capelli color sabbia di Hunter John cominciavano a diradarsi. Un taglio migliore avrebbe mascherato il difetto. Erano però ancora belli, brillanti, quindi possedeva ancora quel che aveva da ragazzo, anche e lo stava perdendo; si stava trasformando in un altro, considerò. "Ho sentito che lavoravi qui", disse Hunter John. "Sì, lo avevo immaginato." Sydney strinse le braccia al petto. "Hai del rossetto sul collo." Lui si strofinò la pelle, imbarazzato. "Emma è venuta a dirmelo al lavoro." "E così hai rilevato l'impresa di famiglia." "Sì." La Matteson Enterprises consisteva in una serie di stabilimenti per la produzione di case prefabbricate a una ventina di minuti da Bascom. Nelle estati in cui Hunter John aveva fatto apprendistato in azienda, Sydney vi aveva lavorato come receptionist. All'ora di pranzo lei e Hunter John si incontravano nell'ufficio di Matteson Senior e si divertivano un po'. Talvolta Emma andava a trovarli e i tre ragazzi si sedevano a fumare sulle cataste di legna fuori dal magazzino. Che vita faceva adesso? Amava veramente Emma, o lei se l'era accalappiato con il sesso, da brava Clark? Era stata Emma, in fondo, a spiegare a Sydney come fare il pompino perfetto. Soltanto anni dopo un uomo le aveva detto che sbagliava tutto. E di colpo Sydney si era resa conto che Emma lo aveva fatto di proposito. Sydney neppure sapeva che all'amica piacesse Hunter John. E lui le aveva sempre detto che Emma era un po' troppo ipersensibile per lui. Sydney non li aveva mai immaginati insieme, ma a quell'epoca ignorava un sacco di cose. "Posso sedermi?" "Vuoi che ti tagli i capelli? Sono brava." "No, ma non mi va che pensi 97
sia passato di qui solo per parlare." Sydney alzò gli occhi al cielo. "Dio ce ne scampi! " "Volevo dirti un paio di cose, per chiarire. È la cosa giusta da fare." Hunter John faceva sempre la cosa giusta. Era noto per questo. Il golden boy. Il bravo figliolo. "Quella sera, al party, non sapevo che ci saresti stata. E nemmeno Emma. Siamo rimasti sorpresi quanto te. È stata Ariel a chiamare Claire. E tutti ignoravano che lavoravi per lei." "Non essere ingenuo, Hunter John. Se Eliza Beaufort sapeva, lo sapevano tutti." Lui sembrava deluso. "Mi dispiace che le cose siano andate così, ma era per un buon fine. Come hai visto, sono felicemente sposato." "Buon Dio!" esclamò Sydney. "Pensate tutti che io sia tornata per te?" "E allora perché sei tornata?" "Questa non è forse casa mia? Il posto dove sono cresciuta?" "Sì, però non ti è mai piaciuto quel che eri qui." "Nemmeno a te." Hunter John sospirò. Chi era quell'uomo? Non lo riconosceva più. "Amo mia moglie e i miei figli. Ho una vita meravigliosa, non la cambierei per niente al mondo. Ti ho amata, Sydney. Lasciarti è stata una delle cose più difficili che io abbia mai fatto." "Così difficile che hai dovuto subito cercare conforto sposando Emma?" "Aspettava un bambino. Emma e io ci siamo avvicinati, dopo la tua partenza. Una vera fortuna." Sydney non si trattenne dal ridere. "Come sei ingenuo!" Hunter John non sembrò apprezzare. "È la cosa migliore che potesse capitarmi." Voleva dimostrarle quanto splendida fosse la sua vita. Ora fu lei a non apprezzare. "Ti sei poi iscritto alla Notre Dame? Hai fatto il giro dell'Europa?" "No, sono vecchi sogni." "Mi pare che tu abbia rinunciato a molti sogni." "Sono un Matteson: dovevo fare il meglio, per il nome che porto." 98
"E io sono una Waverley, e per questo ti dovrei maledire." Hunter John ebbe un sussulto, come se lei avesse parlato sul serio, e questo procurò in Sydney una strana sensazione di potere. Ma poi lui sorrise. "Tu detesti essere una Waverley!" "Dovresti andare", mormorò Sydney. Hunter John si alzò e fece per prendere il portafoglio. "E non osare lasciarmi del denaro per un finto taglio." "Mi dispiace, Sydney, non posso farci niente per quel che sono. E tu neppure." Che tristezza avere amato un uomo soltanto, pensò Sydney sospirando. E che quell'uomo fosse lui. Un uomo che sin dal principio l'aveva relegata a un incidente di gioventù, quando lei, invece, aveva creduto fosse per sempre. Ah, se avesse conosciuto davvero una maledizione!
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"Cominciavo a preoccuparmi", esordì Claire quando quella sera Sydney entrò in cucina. "Bay è di sopra." Sydney aprì il frigorifero e prese una bottiglia d'acqua. "Ho fatto tardi." "Com'è andata la giornata?" "Bene." Si avvicinò al lavello dove la sorella stava pulendo dei mirtilli. "Che cosa prepari? Un altro piatto per Tyler?" "Sì." Sydney si portò al naso il mazzo di fiori azzurri appoggiati sul ripiano. "Che cosa sono?" "Fiordalisi. Cospargerò la torta ai mirtilli con i loro petali." "E cosa significano?" "I fiordalisi aguzzano la vista, utile per trovare chiavi perse o agende nascoste", rispose Claire, tranquilla. Il dono era qualcosa di naturale, per lei. "Quindi stai cercando di far capire a Tyler che tu non sei colei che cerca?" Claire sorrise impercettibilmente. "No comment." Per un po' Sydney osservò la sorella. "Mi chiedo perché io non l'abbia ereditata", disse distratta. "Ereditato cosa?" "La sensibilità misteriosa delle Waverley, quella che avete tu, Evanelle e anche la nonna. E la mamma?" Claire chiuse il rubinetto e prese uno strofinaccio per asciugarsi le mani. "Difficile a dirsi. Odiava il giardino, questo lo ricordo bene. Nemmeno vi si avvicinava." "Del giardino non m'importa, però penso che tra tutte, in famiglia, io sia quella che assomiglia di più alla mamma." Sydney prese una manciata di mirtilli e se la mise in bocca. "Non ho un dono speciale, proprio come lei, e anche lei è tornata qui per darti un posto stabile dove vivere e permetterti di andare a scuola, come ho fatto io con Bay." 100
"La mamma non è tornata per me", disse Claire, incredula che Sydney potesse pensarlo. "È tornata perché tu potessi nascere qui." "Se n'è andata quando avevo sei anni", ribatté Sydney affacciandosi al portico del solarium a guardare fuori. "Se non fosse stato per le foto che la nonna mi aveva dato, non ricorderei nemmeno il suo aspetto. Se avesse tenuto a me, sarebbe rimasta." "Che fine hanno fatto quelle foto?" si incuriosì Claire. "Me le ero dimenticate." Un momento prima Sydney allungava il collo per inalare il profumo delle erbe aromatiche che seccavano sotto il portico, quello dopo veniva scaraventata fuori dalla porta, trasportata dal vento a Seattle: atterrò nel salotto di quella che era stata la sua casa, fissò il divano. Vi si avvicinò e lo sollevò da un lato. Vide una busta su cui era scritto MAMMA. Era passato così tanto tempo da quando le aveva guardate, che si era dimenticata di averle nascoste lì. Erano immagini della vita libera di Lorelei, una vita che Sydney per troppi anni aveva tentato di emulare. Aprì la busta e sfogliò le foto. Ne trovò una. E, per la paura, quasi le scoppiò la testa. Raffigurava sua madre, sui diciotto anni, sorridente, in piedi di fronte ad Alamo. Brandiva un cartello scritto a mano che diceva Basta Bascom! Il North Carolina puzza! Da ragazza, Sydney aveva pensato che fosse una cosa divertente. E se David avesse trovato la busta? Se avesse fatto due più due? Lo udì sulla porta. Tornò a nascondere in fretta la busta sotto il divano. Stava per entrare. L'avrebbe trovata. "Sydney?" Lei aprì gli occhi di scatto. Era di nuovo a Bascom. Claire le stava accanto e le scuoteva un braccio. "Sydney?" "Ho dimenticato di prenderle", mormorò. "Le foto. Le ho lasciate." "Stai bene?" Sydney annuì e cercò di ricomporsi. Aveva la brutta sensazione che David sapeva dove fosse finita. Avrebbe scoperto qualcosa che lei si era lasciata dietro. Aveva aperto una porta. Riusciva ancora a sentire il suo profumo di colonia accanto a sé, come se se lo fosse portata fin lì. "Sto bene. Pensavo solo alla mamma." Si strinse nelle spalle, nel tentativo di liberarle dalla tensione. David non sapeva dove fossero quelle foto. Non le avrebbe trovate. 101
Quella sera Evanelle indossò una vestaglia a maniche corte sulla camicia da notte ed entrò in cucina. Si muoveva tra confezioni di cerotti e cerini, palle di gomma e decorazioni natalizie. Si mise alla ricerca dei popcorn da cuocere al microonde. Ripose nelle loro scatole alcuni tostapane e delle aspirine acquistate in grandi quantità. Non voleva tutta quella roba; cercava di stiparla negli angoli o nelle stanze vuote, eppure saltava sempre fuori qualcosa. Un giorno o l'altro qualcuno ne avrebbe avuto bisogno, per questo era meglio averla tra i piedi piuttosto che andarla a cercare alle tre del mattino al Wal-Mart. Si voltò quando udì bussare alla porta. Strano. Non riceveva mai visite. Viveva in un piccolo quartiere di villette popolari, una zona che si era fatta più pretenziosa rispetto ai tempi in cui lei e suo marito, che aveva lavorato per l'azienda dei telefoni, vi si erano trasferiti. I vicini erano per lo più coppie di trenta-quarantenni senza figli, pendolari che rientravano a casa tardi. Non aveva mai rivolto la parola a quelli della porta accanto, gli Hanson, che si erano trasferiti lì tre anni prima. Ma il fatto stesso che avessero chiesto al giardiniere di "prendersi cura anche del prato della vicina per il bene di tutto il quartiere" la diceva lunga su di loro. Comunque il suo prato era sempre a posto, e gratis, perciò chi era lei per lamentarsi? Accese la luce del portico e aprì la porta. Vide un uomo di mezza età, piccolo e compunto, con corti capelli biondo scuro. I pantaloni e la camicia non avevano una grinza e le scarpe scintillavano come petardi. Ai suoi piedi c'era una piccola valigia. "Fred!" "Salve, Evanelle." "Che diamine ci fai qui?" Fred aveva il volto teso, tuttavia cercò di sorridere. "Ho... bisogno di un posto dove stare. Sei stata la prima persona a cui ho pensato." "Be', capisco perché. Io sono vecchia e tu sei gay." "Ha l'aria della relazione perfetta." Fred cercava di fare lo spiritoso, ma sotto il riflesso della luce del portico sembrava fragile come vetro, e sarebbe bastata una spintarella per farlo andare in migliaia di piccoli pezzi. 102
"Accomodati." Lui prese la valigia ed entrò, poi rimase fermo nel salotto con l'aria del ragazzino scappato di casa. Evanelle conosceva Fred da una vita. Per due anni di fila aveva vinto la gara di spelling della contea, poi Lorelei Waverley, in quarta, l'aveva sconfitto. Evanelle era andata ad assistere alla gara di Lorelei, e aveva trovato Fred che piangeva fuori dalla palestra. Lo aveva abbracciato e lui le aveva fatto promettere di non dire a suo padre quanto ci fosse rimasto male. Suo padre gli ripeteva sempre che non si piange in pubblico, altrimenti che cosa penserebbe la gente? "Shelly è arrivata presto, oggi. Mi ha trovato in negozio... in pigiama. Era più facile rimanere al lavoro. Lì so quel che devo fare", spiegò Fred. "Ma ormai la notizia si sarà sparsa, e non posso stare in un motel. Non voglio dare questa soddisfazione a James. Dannazione, non so nemmeno se si è accorto che non c'ero. Non ha chiamato per sapere dove fossi. Niente. Non so cosa fare." "Gli hai parlato?" "Ci ho provato! L'ho chiamato in ufficio. Non aveva voglia di parlarne, mi ha detto, e se pensavo che ci fosse qualcosa di strano fra noi, non era il caso di discuterne proprio in quel momento. Gli ho raccontato del vino che ho comprato da Claire. Mi ha dato del pazzo, pazzo a credere che le cose potessero tornare a essere come all'inizio. Non capisco cosa sia successo. Un attimo prima va tutto bene, sei mesi dopo mi rendo conto di non ricordare quale sia stata l'ultima volta in cui abbiamo avuto una conversazione normale. Mi ha lasciato per gradi, e io non me ne sono accorto. Ma come si fa a non accorgersene?" "Puoi stare qui tutto il tempo che vuoi. Se qualcuno fa domande, dirò che sei diventato etero grazie alla mia indiscutibile femminilità." "Preparo dei waffle meravigliosi, con una stupenda composta di pesca. Dimmi solo cosa vuoi e io lo cucinerò." Evanelle gli diede un colpetto sulla guancia. "Non mi crederebbe nessuno." Lo accompagnò nella camera degli ospiti in fondo al corridoio. Nella stanza c'erano alcune scatole contenenti kit di pronto soccorso e tre stufe a kerosene, comunque era abbastanza ordinata e poi, negli ultimi trent'anni, 103
Evanelle cambiava le lenzuola tutte le settimane. Dopo la morte del marito nella casa era rimasto un vuoto che ancora aleggiava, seppure in modo meno evidente. In quei primi giorni tristi Lorelei aveva dormito lì, ma poi, man mano che cresceva e diventava più selvaggia, non più. Anche Claire vi aveva trascorso qualche notte, ma preferiva rimanere a casa propria. Evanelle non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stato il turno di Fred. Comunque le sorprese non la stupivano. È un po' come aprire un barattolo di zuppa di funghi e trovarvi invece quella di pomodoro: siine grata e mangiala lo stesso. Fred appoggiò la valigia sul letto e si guardò attorno. "Stavo per preparare dei popcorn e guardare il telegiornale. Vuoi unirti a me?" "Certo", rispose lui seguendola, apparentemente felice che qualcuno gli dicesse cosa fare. "Grazie." Be', non è bello? pensò Evanelle mentre sedevano sul divano con una ciotola di popcorn. Guardarono insieme il notiziario delle undici, poi Fred sciacquò la ciotola. "Ci vediamo domattina", disse Evanelle prendendo una lattina di Coca dal frigorifero. Le piaceva aprirla, lasciarla sul comodino e berla sgasata come prima cosa al mattino. "Il bagno è in fondo al corridoio." "Aspetta." Lei si voltò. "È vero che da bambina desti a mio padre un cucchiaio? E che lui lo usò per liberare dal fango una moneta da venticinque centesimi? E che con quei soldi andò al cinema? E che fu lì che conobbe mia madre?" "È vero che gli diedi un cucchiaio, ma non ho il potere di migliorare le cose, Fred." "Capisco", mormorò lui, abbassando gli occhi e stringendo lo strofinaccio tra le mani. "Era solo per chiedere." Improvvisamente Evanelle capì il vero motivo per cui Fred era lì. La maggior parte della gente la evitava perché non voleva i suoi regali. Lui invece si era trasferito perché voleva essere vicino nel caso lei se ne 104
fosse uscita con qualcosa che potesse dare un senso a quanto stava accadendo con James: aspettava il suo cucchiaio.
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Sydney, Bay e Claire quella domenica sedevano sotto il portico. Mangiavano le focaccine alla cannella avanzate dalla consegna alla Coffee House. Faceva caldo e tutto andava per il verso sbagliato. Maniglie che chiunque avrebbe detto fossero sulla destra delle porte adesso erano sulla sinistra. Il burro si scioglieva in frigorifero. Molte cose non dette aleggiavano nell'aria. "Ecco Evanelle", disse Sydney. Claire si voltò e la vide percorrere il marciapiede. La cugina salì i gradini sorridendo. "Vostra madre aveva due splendide ragazze, glielo concedo, però voi due non avete l'aria allegra." "È la prima vera ondata di caldo. Si diventa tutti nervosi", ribatté Claire mentre le versava un bicchiere di tè freddo dalla brocca. "Come stai? È qualche giorno che non ti vedo." Evanelle prese il bicchiere e sedette sulla sedia in vimini accanto a Claire. "Ho un ospite." "Chi?" "Fred Walker sta da me." "Oh", mormorò Claire, sorpresa. "Ti va bene?" "Certo." "Suppongo che il vino al geranio rosa non abbia funzionato." Evanelle si strinse nelle spalle e sorseggiò il tè. "Non l'ha mai usato." Claire lanciò un'occhiata alla casa vicina. "Credi che Fred me lo rivenderebbe?" "Non vedo perché no. Hai un altro cliente?" "No." Sydney intervenne. "Probabilmente lo vuole usare con Tyler." Claire la guardò con indifferenza. Dopotutto aveva ragione. Evanelle appoggiò il tè e armeggiò nella borsa. "Sono venuta perché dovevo darti questo", disse estraendo una fascia per capelli bianca e porgendola a Claire. "Fred ha tentato di dissuadermi: mi ha detto che tu usi i pettinini, che le fasce sono per chi porta i capelli corti. Non capisce. Te la devo dare. Era un po' che non vivevo con un uomo... Avevo dimenticato 106
quanto possano essere testardi. Però hanno un buon odore." Le due sorelle si scambiarono un'occhiata. "Evanelle, lo sai che Fred è gay, vero?" domandò Claire, gentile. "Sicuro", rispose lei ridendo. Erano anni che Claire non la vedeva così felice. "Ma è bello sapere che voi due non siete le uniche a volermi tra i piedi. Allora, Sydney, racconta... come va il lavoro?" Sydney e Bay sedevano sul dondolo, che Sydney con un piede nudo spingeva piano avanti e indietro. "Ti devo ringraziare. Se non mi avessi dato quella camicia che poi ho reso non sarei mai entrata al White Door per chiedere se avevano una postazione libera." "Fred mi ha detto che la settimana scorsa, un paio di volte, ti ha vista andare a prendere il pranzo per le ragazze. E un'altra volta ti ha vista spazzare." "Per ora è tutto quel che riesco a fare." "Cosa succede?" domandò Claire, ben consapevole che la sorella ultimamente le era sembrata un po' depressa. All'inizio era stata eccitata per il nuovo lavoro al White Door, ma con il passare dei giorni arrivava a casa sempre più presto e rideva sempre meno. Claire provava sentimenti contrastanti riguardo alla nuova occupazione di Sydney. Le piaceva lavorare con lei, le piaceva averla intorno, ma quando parlava di capelli Sydney acquistava una certa luce. Ogni mattina usciva piena di speranze. "Pare che la clientela del White Door conosca bene i Clark e i Matteson. Il terzo giorno è passato a trovarmi Hunter John. In apparenza qualcuno non faccio nomi non ha gradito e ha sparso la voce. Non che prima avessi molto da fare, ma ora ne capisco la ragione." "Gli hai tagliato i capelli?" "No, non me lo ha permesso. È una vergogna, perché i miei tagli maschili sono grandiosi", rispose Sydney. "Sono stata io a tagliare i capelli a Tyler." "Tu?" "Sì. Come a Bay e a me stessa." "E così... la gente ti snobba?" domandò Claire. "Senza neppure darti una 107
possibilità?" "Se le cose andranno avanti così, non potrò mantenere la mia postazione. Ma forse va bene lo stesso", disse Sydney abbracciando la figlia. "Trascorrerò più tempo con Bay. E sarò libera di aiutarti ogni volta che vorrai."
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Nella sua vita adulta Claire era stata dal parrucchiere poche volte: quando i capelli diventavano troppo lunghi e doveva spuntarli di qualche centimetro. Andava al Mavis Adler's Salon of Style sulla strada statale. Mavis, in passato, tagliava i capelli alla nonna a domicilio, quindi se andava bene per la nonna, andava bene anche per Claire. Non si considerava una campagnola, passava davanti al White Door innumerevoli volte, ma quando entrava e vedeva i divani in pelle, le opere d'arte e quelle oche delle signore bene della città - per alcune delle quali aveva preparato brunch, pranzi e cene - di colpo si sentiva intimorita, fuori posto. Sbirciò Sydney sul fondo del negozio, che spazzava i capelli intorno alla poltrona di una collega. Era bella e indipendente, però sembrava sola. Il che era normale e andava bene per Claire, non per sua sorella. Sydney la vide e immediatamente si avvicinò alla reception. "Claire, è successo qualcosa? Dov'è Bay? Sta bene?" "Sì, sì. Ho chiesto a Evanelle di occuparsi di lei per un'ora o due." "Perché?" "Perché voglio che mi tagli i capelli." Una folla di parrucchiere e clienti si accalcò intorno alle due sorelle. Rebecca, la proprietaria del White Door, se ne stava lì come un'istruttrice, in attesa che Sydney iniziasse. Fluttuavano nell'aria come pulviscolo sussurri che dicevano quanto belli fossero i lunghi capelli di Claire e si domandavano dell'abilità di Sydney. "Ti fidi di me?" domandò Sydney mentre alzava la poltrona dopo averle fatto lo shampoo. Claire incontrò gli occhi della sorella nello specchio. "Sì." Sydney la girò, in modo che desse le spalle allo specchio. Nei minuti seguenti i capelli di Claire si fecero sempre più leggeri mentre scure ciocche bagnate cadevano sulla vestaglietta che indossava: sembravano tanti fili sottili di melassa caramellata. Di tanto in tanto Rebecca le poneva qualche domanda e Sydney rispondeva con sicurezza, usando termini quali taglio scalato e ciocche sfilate. 109
Quando alla fine Sydney girò di nuovo la poltrona, scoppiò un applauso. Claire non credeva ai propri occhi. I capelli erano più corti di almeno trenta centimetri. Il taglio era scalato, sul davanti più sfilato, dietro pieno e vaporoso. Gli occhi di Claire erano bellissimi e brillavano, l'aria scialba e dura era sparita. Quella nello specchio era la donna che Claire aveva sempre desiderato essere. Sydney non le domandò se le piacesse. Non ce n'era bisogno. Il suo era stato un lavoro da professionista. Tutti guardavano Sydney con venerazione, e lei brillava come argento tirato a lucido. Claire sentì le lacrime riempirle gli occhi: la gioia della nascita, della redenzione. Da qualche parte, nel profondo, l'aveva sempre saputo. Era stata quella la fonte di tutta la sua gelosia di bambina. Sydney era nata lì. Quello era il suo dono, era stato sempre dentro di lei, in attesa che lei lo accogliesse. "Non puoi più negarlo", mormorò Claire. "Negare cosa?" domandò Sydney. "Questa è la tua magia."
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Parte Seconda - Intuizione
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7 Lester Hopkins se ne stava su una sedia in alluminio, all'ombra del castagno. In lontananza, un nastro di polvere seguiva un'auto per la lunga strada di accesso che conduceva alla casa accanto al caseificio. Era ormai trascorso un anno dall'infarto che gli aveva regalato un'andatura claudicante e un lato della bocca rivolto all'ingiù, tanto che aveva sempre a portata di mano un fazzoletto per asciugare la saliva. Non voleva certo recare offesa alle signore. Trascorreva le giornate seduto, ma non se ne dispiaceva più di tanto. Gli dava tempo per pensare. A dire il vero, aveva sempre guardato con trepidazione alla vecchiaia. Quand'era ragazzino, vedeva il nonno condurre una vita piacevole e spensierata, divisa fra laute colazioni, battute di caccia, riposini pomeridiani e serate con il banjo. È così che si deve vivere, aveva pensato. Senza contare che i soldi arrivavano puntualmente ogni mese, per posta. Lester aveva perciò deciso molto presto che appena fosse cresciuto avrebbe fatto il pensionato. Lungo il cammino però aveva incontrato qualche piccolo intoppo. Aveva dovuto lavorare più duramente di quanto avesse immaginato quando il padre era morto e, a soli diciassette anni, gli aveva lasciato in eredità il caseificio da mandare avanti. Lester e la moglie erano stati poi allietati dall'arrivo di un unico figlio, il quale, da grande, aveva sposato una donna che non temeva di rimboccarsi le maniche. Avevano vissuto tutti e quattro insieme finché non era nato un nipotino. Le cose andavano per il meglio. Ma sua moglie si era ammalata di cancro, e due anni dopo il figlio era morto in un incidente d'auto. La nuora, distrutta dal dolore, aveva deciso di trasferirsi dalla sorella a Tuscaloosa. Henry, il nipote ormai undicenne, era voluto restare. È così, da allora, Lester aveva solo due punti fermi: il caseificio e Henry. Mentre l'auto si avvicinava, Lester udì la porta a zanzariera sbattere. Si voltò e vide che Henry era uscito per vedere chi fosse. Era troppo tardi per una visita d'affari. Il sole era quasi tramontato. "Ehi, pa', aspettavi qualcuno?" gridò il giovane. 112
"La mia fortuna, ma direi che non è lei." Henry raggiunse il castagno e si fermò accanto al nonno, che alzò la testa per guardarlo. Era un bel ragazzo, ma, come tutti gli uomini di casa Hopkins, era nato vecchio e avrebbe trascorso la vita aspettando che il corpo raggiungesse la mente. Era questo il motivo per cui tutti gli Hopkins sposavano donne più anziane di loro. Henry però se la prendeva comoda, e Lester aveva deciso di dargli una spintarella. Così, quand'era tempo di visite delle scolaresche, se le maestre erano dell'età giusta e nubili, lasciava volentieri che fosse lui a far loro da guida nel caseificio. E, dato che le iscritte al comitato per le decorazioni della chiesa erano quasi tutte divorziate, era ben lieto di mettere a loro disposizione il fieno in autunno e l'agrifoglio in inverno, spronando il nipote a dar loro una mano. Nulla aveva mai funzionato. Robusto e sicuro di sé, gran lavoratore e di animo gentile, Henry era un ottimo partito, se solo non fosse bastato a se stesso. È quel che succede quando si nasce già vecchi. L'automobile si fermò. Lester non riconobbe il guidatore, ma senz'altro conosceva la donna che smontava dal lato del passeggero. Si lasciò scappare una risatina. Adorava le visite di Evanelle Franklin. Era come trovare un pettirosso in inverno. "A quanto pare Evanelle deve darci qualcosa." L'uomo restò al volante mentre la donna attraversava il giardino. "Lester", disse piantandosi dinanzi a lui con le mani sui fianchi. "Ogni volta ti trovo sempre meglio." "Non so se lo sai, ma oggi la cataratta si cura", la prese in giro lui. Lei sorrise. "Diavolo di un uomo." "Cosa ti porta da queste parti?" "Dovevo darti questo." Evanelle infilò una mano nella borsa e gli porse un vasetto di ciliegie al maraschino. Lester diede un'occhiata a Henry, che si sforzava di nascondere un sorriso. "È da un bel po' che non ne mangio, grazie." "Di niente." "E chi è che ti ha accompagnata?" "Fred, della drogheria. Sai, sta da me. 113
È proprio divertente." "Che ne direste di rimanere per cena?" propose Henry. "Yvonne ha fatto i tortini di patate." Yvonne era la loro governante. Henry l'aveva assunta l'anno precedente, dopo l'infarto di Lester. Era sposata, ovviamente. Il nonno avrebbe preso una single. "No, grazie. Devo proprio andare. Ci vediamo ai festeggiamenti per il Quattro Luglio?" "Ci saremo", rispose Lester, e con Henry la guardò allontanarsi. "Una volta mi ha dato un gomitolo di cotone", disse Henry. "Dovevo avere quattordici anni, e con la mia classe ero in gita in città. Ero così imbarazzato che l'ho buttato via... poi la settimana seguente ne avrei avuto bisogno per un progetto a scuola." "Gli uomini di questa città imparano presto la lezione, quando si tratta delle Waverley", commentò Lester allungando la mano per prendere il bastone che aveva appoggiato all'albero. Si alzò lentamente. "Quando ce n'è una in giro, taci e apri bene le orecchie." Il pomeriggio seguente Claire sentì la voce di Sydney al piano superiore. "Dove sono tutti?" "Sono quaggiù", le rispose. Dopo pochi istanti Claire udì scricchiolare i polverosi scalini di legno mentre la sorella scendeva nel seminterrato. Era un ambiente fresco, asciutto, e capitava che uomini adulti e superimpegnati bussassero alla porta chiedendo di potersi sedere per un po' lì dentro, perché schiariva loro le idee e li aiutava a ritrovare l'equilibrio. I passi di Sydney si avvicinavano mentre s'inoltrava tra gli scaffali verso il bagliore della torcia di Claire. Le lampadine erano bruciate tutte nel 1939, e ciò che era iniziato per la pigrizia di qualcuno si era tramutato in una tradizione di famiglia. Nessuno ricordava più perché il seminterrato dovesse restare al buio, solo che si era sempre fatto così. "Dov'è Bay?" domandò Sydney. "Non è qui giù con te?" "No, preferisce starsene in giardino. Le piace. L'albero ha smesso di bersagliarla quando lei ha iniziato a tirargli indietro le mele", rispose Claire porgendole la torcia. "Ti dispiacerebbe tenermi questa? Ecco, illumina qui." "Vino di caprifoglio?" 114
"Il Quattro Luglio cade la settimana prossima. Conto le bottiglie per sapere quante possiamo portarne." "Quando sono entrata ne ho vista una sul tavolo in cucina", fece Sydney mentre la sorella contava. "Quello è vino al geranio rosa. È la bottiglia che mi ha riportato Fred, e non ha voluto indietro i soldi. Una specie di bustarella per farmi tacere.... Trentaquattro bottiglie", aggiunse, battendo le mani impolverate. "Pensavo di averne fatte quaranta, l'anno scorso. Non importa, dovrebbero bastare." "Lo darai a Tyler?" Claire riprese la torcia. "Darò a Tyler cosa?" "Il vino al geranio rosa." "Oh", mormorò Claire andandosene, subito seguita da Sydney. "Per la verità speravo che magari potessi portarglielo tu." "Sta tenendo i corsi estivi, non lo si vedrà molto in giro." "Oh! " Claire era contenta che la sorella non potesse vederla, che non potesse leggerle in viso la confusione. A volte le sembrava di impazzire. Quando apriva gli occhi al mattino, il primo pensiero era come levarsi Tyler dalla testa. E mentre escogitava piani su piani per non incontrarlo mai più, non faceva che guardare dalla finestra nella speranza di vederlo passare. Non aveva senso. Salirono in cucina. Claire richiuse a chiave la porta del seminterrato. "È una brava persona", commentò Sydney. "Lo so. È maledettamente strano, ma è così: gli uomini possono esserlo. Chi l'avrebbe mai detto?" Claire rimise la torcia nel ripostiglio, sul ripiano dove teneva candele e lanterne a batteria. La frustrazione la rendeva elettrica, tanto che, al suo passaggio, la radio portatile prese a gracchiare, facendola sobbalzare. La spense subito e si appoggiò al muro. No, le cose non potevano andare avanti in quel modo. "Non è una costante", disse dal ripostiglio. "Il melo lo è. Il vino di caprifoglio lo è. Questa casa lo è. Tyler Hughes no." "E nemmeno io, giusto?" domandò Sydney. Claire non rispose. Sua sorella lo era? Aveva davvero messo radici a Bascom o se ne sarebbe andata se si fosse innamorata o quando Bay fosse 115
cresciuta? Non voleva pensarci. Tutto ciò che poteva fare era non darle un motivo per andarsene ma, semmai, più d'uno per rimanere. Ed era su questo che si sarebbe concentrata. Fece un profondo respiro e tornò in cucina. "Allora, come va al lavoro?" chiese allegra. "Oh, mio Dio! Superimpegnata, grazie a te." "Io non ho fatto niente. Hai fatto tutto tu." "Ora la gente mi guarda come se fossi un'insegnante o qualcosa del genere", replicò Sydney scuotendo il capo. "Non capisco." "Hai appena compreso il segreto del mio successo. Quando la gente crede che tu abbia qualcosa da offrire, qualcosa che nessun altro ha, è disposta ad andare lontano e a pagare bene per averlo." Sydney rise. "Mi stai dicendo che, se continueremo a essere strane, potremo addirittura farci pagare?" "Non siamo strane", iniziò Claire, poi fece una pausa. "Be', forse sì, è così." "Ehi, hai delle ragnatele fra i capelli!" esclamò Sydney avvicinandosi per togliergliele. Ormai padrona dei capelli della sorella, aveva preso l'abitudine di sistemarle le ciocche dietro l'orecchio, di pettinarle la frangetta o di cotonarglieli sulla nuca. Era piacevole, un gioco, qualcosa che avrebbero potuto fare da ragazze, se fossero state unite. "Dove tagliavi i capelli, prima?" chiese Claire osservando il viso della sorella, così vicino. In quegli anni di lontananza era davvero cresciuta. Sydney indietreggiò e cercò di liberarsi le mani dalle ragnatele, incollate alle dita come nastro adesivo. "A Boise, per un po'." Rinunciò a lottare con le ragnatele e si voltò. Prese dal tavolo la bottiglia di vino al geranio rosa e infilò velocemente la porta sul retro, rincorsa da uno strano profumo di colonia da uomo. "Faccio un saluto a Bay e poi porto questa a Tyler."
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Dal giorno in cui aveva ricordato le foto dimenticate di sua madre, Sydney non faceva che tornare con il pensiero alla casa di Seattle, e in quei momenti il profumo della colonia di David si spandeva ovunque, senza preavviso. Quando si faceva insistente, i ventilatori a pale del piano inferiore iniziavano a girare, quasi a volerlo disperdere; e se di notte aleggiava nel corridoio del piano superiore, sfuggendo ai ventilatori e alla brezza, intrufolandosi torrido di rabbia, Bay sgattaiolava nel letto di Sydney, e insieme ricordavano in un sussurro ciò che si erano lasciate alle spalle. Parlavano in codice, dicendosi quanto fossero felici di essersene andate, quanto bella fosse la libertà. Poi incrociavano le dita e, giocando con la luce purpurea proveniente dal giardino di Tyler che filtrava dalla finestra, proiettavano ombre di farfalle sul muro. Claire voleva sapere dove lei fosse stata e cosa avesse fatto mentre era via. Sydney sapeva che era giunto il momento di raccontare, soprattutto perché, a volte, anche la sorella avvertiva lo strano profumo di colonia e si chiedeva da dove provenisse. Ma proprio quella colonia rammentava a Sydney in quale pericolo l'avesse messa tornando lì, e si vergognava doppiamente ad ammettere i propri errori. Claire stava facendo tanto per lei. Non appena uscì, il profumo di colonia si disperse in giardino, travolto dalla fragranza di mele, salvia e terra. Sydney sedette accanto alla figlia sotto il melo e parlarono di ciò che la piccola aveva fatto, dei festeggiamenti per il Quattro Luglio e del giorno in cui sarebbero andate alla scuola elementare perché Bay vedesse dove fosse. Da quando Claire le aveva accordato libero accesso al giardino, Bay vi trascorreva buona parte delle giornate stesa all'ombra del melo. Sydney, incuriosita, le aveva chiesto il motivo, e lei le aveva spiegato che stava cercando di capire una cosa. La mamma non aveva insistito: dopo tutto ciò che era accaduto, era normale che le servisse tempo per capire. Poi si recò da Tyler. Lo trovò nel giardino sul retro, intento a prendere un tosaerba dal piccolo capanno degli attrezzi. "Non saprei... Sei sicuro di essere emotivamente pronto per tagliare di nuovo il prato?" gli domandò. Lui si voltò e scoppiò a ridere. "Se non me ne occuperò subito i cagnolini del vicinato finiranno per perdervisi. Già adesso, quando la 117
signora Kranowski non riesce a trovare Edward, viene qui e batte l'erba con un bastone per cercarlo!" "Ti porto un regalo di Claire." Sydney gli tese la bottiglia di vino. Tyler esitò, forse a reprimere le parole che aveva a fior di labbra. "Tua sorella, proprio non riesco a capirla. Mi manda regali, eppure non le piaccio. Cos'è, un'usanza del Sud?" "Ma sì che le piaci, ed è per questo che ti manda regali. A proposito, ti scoccia se ne bevo un sorso? Mi sento un po' strana." "Certo, vieni." Entrarono in cucina e Tyler prese due bicchieri da vino. Ne riempì uno e lo offrì a Sydney, che ne bevve subito un bel sorso. "Cosa c'è che non va?" le chiese. "La mia mente è tornata dove non avrebbe dovuto, e il ricordo continua a tormentarmi." "Ti va di parlarne?" "No." "Come preferisci. Allora, cos'abbiamo qui?" riempiendosi un bicchiere e accostandolo al naso.
proseguì
Tyler
"Vino al geranio rosa. Dovrebbe riportare alla mente i bei ricordi." "Ai bei ricordi! " esclamò Tyler levando il bicchiere. Prima che riuscisse a portarlo alla bocca, Sydney aggiunse: "Claire spera che ti faccia ricordare un'altra e che ti dimentichi di lei. Un po' come il pasticcio all'olio di semi di dente di leone e le torte al fiordaliso". "Non capisco", sospirò Tyler riappoggiando il bicchiere. "I fiori che crescono nel nostro giardino sono speciali, o forse è l'impiego che ne facciamo in cucina a renderli tali. Possono influenzare chi li mangia. A quanto pare, però, tu ne sei immune. O forse Claire si sta impegnando troppo e questo incide sul risultato, chissà." "Sta cercando di far sì che io non sia più interessato a lei?" chiese Tyler incredulo. "Il che significa che già lo sei. Ti svelerò un segreto riguardo a mia sorella: le piacciono le cose che restano. Perciò non andartene." 118
Lui si appoggiò al bancone in cerca di sostegno, come se qualcuno l'avesse spinto. Per un istante Sydney si chiese se avesse fatto bene a rivelare un particolare tanto personale di Claire. Ovviamente lei non avrebbe voluto. Quando però Tyler sorrise, comprese di aver fatto la cosa giusta. Era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui aveva reso qualcuno felice, e se ne era dimenticata l'effetto. Claire si prodigava tanto per lei, e Sydney ora aveva modo di ricambiarla, di dimostrarle che poteva trovare la felicità al di fuori di ciò che già conosceva. La felicità con Tyler. "Non vado da nessuna parte", sussurrò lui. "Bene." Sydney distolse lo sguardo. Le parole buone di un uomo possono far riempire di lacrime gli occhi di una donna. Invidiava Claire per tutto questo, per Tyler. Dopo la partenza da Bascom aveva conosciuto molti uomini, nessuno meritevole di quel nome. Ormai non era più nemmeno sicura di sapere come si sarebbe comportata con una brava persona. "Su, bevi", lo esortò, cominciando a camminare avanti e indietro in cucina. Tyler obbedì e assaporò un sorso. "Buono. Particolare, ma buono." "Benvenuto nel mondo di Claire." "Allora, quali sono i tuoi bei ricordi?" Sydney raggiunse il tinello, oltrepassò i cavalletti e guardò fuori dalla finestra. "È strano. I miei ricordi belli appartengono a questa settimana. Mi è accaduto di tutto, e questa settimana è la migliore della mia vita. E i tuoi?" "Buon vino davvero, però non mi succede niente. Penso solo a Claire." Sydney sorrise e bevve un altro sorso. "Sei senza speranza."
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8 Ogni anno, a Bascom, i festeggiamenti per il Quattro Luglio si tenevano nella piazza centrale. Le famiglie e i gruppi parrocchiali sistemavano tavoli e gazebo sul prato intorno alla fontana, e ognuno portava un manicaretto da gustare alla buona, in compagnia, prima dello spettacolo di fuochi d'artificio. La specialità di casa Waverley era il vino di caprifoglio, che permetteva di vedere al buio, e non solo: forse in città lo ignoravano, ma quel nettare ogni anno portava con sé alcune rivelazioni. Dopotutto vedere al buio significa anche notare cose che, altrimenti, si ignorerebbero. Il tavolo delle Waverley era collocato in disparte. Era uno dei più ricercati e visitati, certo, comunque discosto dagli altri. Sydney si agitava sulla sedia. Bay era nella zona sorvegliata per i bambini, indaffarata a piegare cappelli di carta e a farsi dipingere il volto, così Claire e Sydney si occupavano da sole di riempire i bicchierini di carta e porgerli a coloro che si avvicinavano sommessamente, quasi si trattasse di vino benedetto. Ogni tanto lo sceriffo gironzolava nei pressi e chiedeva: "È analcolico, vero?" "Certo", replicava Claire impassibile, come le sue ave avevano fatto prima di lei. Quando Sydney era adolescente, il Quattro Luglio significava trascorrere la giornata sul bordo della piscina di un amico, e presentarsi sul prato giusto in tempo per lo spettacolo pirotecnico. Ora si sentiva più anziana dei suoi coetanei, per esempio gli ex compagni di scuola, che per la maggior parte arrivavano in piazza reduci da barbecue in giardino o da feste in piscina, abbronzati e con il costume da bagno che spuntava sotto gli abiti. Emma era al tavolo della chiesa presbiteriana, intenta a chiacchierare con Eliza Beaufort. Dopo ciò che aveva scoperto, Sydney non invidiava più la loro vita privilegiata. Bizzarro... Si era sentita triste per aver perso qualcosa che non aveva mai posseduto! Forse le mancava l'amicizia in generale, il cameratismo che unisce le persone della stessa età. "Non riesco neppure a ricordare l'ultima volta che sono stata qui al 120
nostro tavolo", sussurrò a Claire, distogliendo lo sguardo. "Ne è passato di tempo." "Però non è male", proseguì Sydney con un profondo sospiro. "Perché ti senti tanto a disagio? Nessuno ci lancerà pomodori marci." "Giusto." Sydney poteva essere come Claire e non curarsi di ciò che pensavano gli altri. Aveva persino iniziato a vestire come la sorella: inamidate camicie senza maniche, calzoni cachi, pantaloncini a righe o quadrettoni, prendisole morbidi. Quel giorno, al salone di bellezza, dicendole che anche lei possedeva la magia delle Waverley, Claire le aveva fatto cambiare forma mentis. Da allora si sentiva una Waverley. In quel momento però aveva l'impressione di abitare in un paese di cui ancora non conosceva la lingua. Poteva anche indossare i costumi degli indigeni, ed era piacevole, però continuava a sentirsi un po' sola. "Essere strani non è male. Mi ci posso abituare." "Noi non siamo strane. Siamo ciò che siamo. Ciao, Evanelle!" La vecchia cugina si era appena avvicinata e aveva preso un bicchierino di vino. "Caspita, mi ci voleva proprio", esclamò mandandolo giù in un sol sorso. "Ho un sacco di cose da fare. Devo dare una cosa a Bay." Appoggiò il bicchierino, frugò nella sporta e mostrò loro una sgargiante spilla vagamente anni Cinquanta, con Strass ingialliti sistemati a raggiera. "Si sta facendo truccare", rispose Sydney. "Allora la raggiungo. Fred mi sta dando una mano a riorganizzare la casa. Sapeste quanto mi è d'aiuto! Questa l'ho trovata in un vecchio portagioie in cui ci siamo imbattuti per caso, e appena l'ho vista ho subito saputo che dovevo darla a Bay." "Fred ti sta dando una mano?" chiese Claire sporgendosi. "Si è inventato un sistema per catalogare tutta la mia roba: si chiama foglio elettronico." "Evanelle, per anni mi sono offerta di aiutarti", la rimbrottò Claire. Sydney si voltò a guardarla, incuriosita. Pareva ferita. "Lo so, ma non volevo darti noia. E visto che Fred vive con me..." "Vive con te?" la interruppe Claire. "Credevo si sarebbe trattenuto solo 121
per qualche tempo." "Be', ci siamo detti che, finché fosse rimasto, si sarebbe potuto sistemare più comodamente. Sta ristrutturando la soffitta per ricavarne un piccolo appartamento e fa anche qualche lavoretto in giro per casa. È proprio utile averlo intorno." "Sai che se hai bisogno di me, io sono qui." "Lo so. Sei una brava ragazza." Evanelle rimise la spilla nella borsa. "Dopo Bay, devo dare dei chiodi al reverendo McQuail e uno specchio a MaryBeth Clancy, e ho appuntamento con Fred alla fontana. Odio le folle, c'è sempre troppo da fare. A presto." "Ciao, Evanelle. Chiamami quando vuoi! " "Oh, sì", sbuffò Sydney. "Siamo proprio strane." "Non è vero", replicò Claire distratta. "Che ne pensi di Fred a casa di Evanelle?" "È triste che lui e James abbiano problemi", rispose Sydney stringendosi nelle spalle. "Ma a quanto pare a Evanelle piace averlo intorno." "Hmm." Pochi minuti dopo - nel frattempo lo sceriffo aveva fatto un'altra capatina da loro - Sydney richiamò l'attenzione di Claire con una gomitata. "Nel caso non te ne fossi accorta, Tyler non ti stacca gli occhi di dosso." La sorella gli lanciò un'occhiatina furtiva e gemette. "Cavolo! Dovevi proprio guardarlo? Ecco, adesso viene qui." "Oh, Dio ce ne scampi..." "Proprio. Be', a quanto pare non sono comunque l'unica ad attirare sguardi." Claire indicò un gazebo all'altro capo del prato, sul quale campeggiava la scritta CASEIFICIO HOPKINS. Un bell'uomo biondo, snello e abbronzato, serviva gelati in coni di carta. Era robusto, pareva fatto per resistere al vento, e continuava a fissare il loro tavolo. "Magari pensa che abbiamo bisogno di un gelato. Forse abbiamo l'aria accaldata." "È Henry Hopkins." "Henry!" Da lontano Sydney non l'aveva riconosciuto ma, ora che ci pensava, quei capelli e i movimenti calmi e ponderati avevano qualcosa di familiare. "Mi ero quasi dimenticata di lui." "Non è vero." Claire fece per alzarsi, la sorella l'afferrò per un braccio. "Lasciami! Ho dimenticato una cosa nel furgoncino." 122
"Non hai dimenticato niente. Stai cercando di evitare Tyler. E, sì, conoscevo Henry. Eravamo... amici, suppongo. Alle elementari. Poi ci siamo allontanati." "Perché?" chiese Claire, cercando di liberarsi dalla presa e guardando Tyler che si avvicinava. "Perché al liceo ero una stupida che non vedeva più in là del proprio naso." "Non è vero." "Oh, sì." "Oh, no." "Salve, signore, serve un arbitro?" Ora che la missione era compiuta, Sydney lasciò andare il braccio di Claire. "Ciao, Tyler." "Claire, i tuoi capelli! " esclamò Tyler, e istintivamente lei si portò la mano alla testa. Indossava la fascia bianca che Evanelle le aveva portato e che la faceva apparire giovane, innocente, cosa che lei fingeva di non essere. "Ti stanno benissimo. Ho fatto un sogno... Una volta ho sognato i tuoi capelli, ed erano così. Scusami, ma non c'era modo di dirlo senza sembrare stupido." Scoppiò in una risata sfregandosi le mani. "Tutti continuano a ripetermi che devo assolutamente assaggiare il vino di caprifoglio delle Waverley. O è una tradizione locale, oppure il gioco di Claire perché non mi interessi più a lei ha più partecipanti del previsto." "Cosa?" "Sydney mi ha spiegato quel che cerchi di ottenere con i piatti che mi prepari." Claire si voltò verso la sorella, la quale assunse un'espressione imbarazzata nonostante non lo fosse affatto. "Il vino di caprifoglio permette di vedere al buio", spiegò Claire asciutta. "Sei liberissimo di non berlo e di andare a sbattere contro un albero o di inciampare nel marciapiede, non m'interessa." Tyler prese un bicchierino e le sorrise. "Questo significa che riuscirò a vedere te al buio." 123
"Non ho ancora lavorato agli effetti collaterali della ricetta." Tyler bevve senza smettere di fissarla. Sydney, sorridente, si risedette. Era come osservare una danza, di cui solo uno dei due ballerini conosceva i passi. "Gliel'hai detto!" sbottò Claire non appena Tyler si fu allontanato. "Perché ti sorprendi tanto? Avresti dovuto immaginarlo. Sono così prevedibile." "Oh, no, non lo sei." "Sì che lo sono." "Vai a socializzare e smettila di darti arie da fattucchiera", replicò Claire scuotendo il capo. Eppure eccolo lì, l'accenno di un sorriso, l'inizio di qualcosa di nuovo fra loro. Era una bella sensazione. Henry Hopkins rammentava ancora il giorno in cui lui e Sydney Waverley erano diventati amici. Era la ricreazione, e Sydney se ne stava tutta sola vicino alla casa delle scimmie nel parco giochi. Henry non riusciva a capire perché gli altri bambini non volessero giocare con lei, comunque, visto che tutti facevano così, lui non voleva essere da meno. Quel giorno Sydney aveva qualcosa di diverso, pareva così triste, perciò le si era avvicinato, arrampicandosi sulle sbarre sopra la sua testa. Non aveva intenzione di rivolgerle la parola, però si era detto che forse avere qualcuno intorno le avrebbe fatto bene. Lei lo aveva fissato per un po' prima di chiedergli: "Henry, tu te la ricordi la tua mamma?" "Certo che sì", le aveva risposto ridendole in faccia. "L'ho vista stamattina. Perché, tu la tua non te la ricordi?" "Se n'è andata l'anno scorso. Inizio a dimenticarmela. Quando sarò grande non lascerò mai i miei bambini. Li vedrò ogni giorno così non si dimenticheranno di me." Henry aveva provato una fitta di vergogna così intensa che per poco non era caduto a terra. E da quel giorno, a scuola, era stato l'ombra di Sydney. Per quattro anni avevano giocato e mangiato insieme, corretto i compiti e fatto coppia nei progetti di classe. Quel primo giorno di scuola media, dopo le vacanze estive, non aveva alcun motivo di aspettarsi che tutto sarebbe stato diverso. Poi era entrato nell'aula in cui si attendeva l'inizio delle lezioni e l'aveva vista. I cambiamenti avvenuti in lei avevano fatto girare la sua testa di adolescente. Sydney era l'autunno, quando le foglie cadono e i frutti sono ormai maturi. 124
Gli aveva sorriso e, per tutta risposta, Henry si era voltato ed era uscito dall'aula. Aveva trascorso in bagno il resto dell'ora. Per l'intera giornata, ogni volta che Sydney provava a rivolgergli la parola, lui si sentiva svenire e si allontanava. E, dopo un po', lei aveva smesso di cercarlo. L'attrazione che provava era così inattesa da gettarlo nella disperazione. Voleva che tutto tornasse come prima. Sydney era intelligente, divertente, aveva il dono di svelare qualcosa delle persone da come portavano i capelli, un dono che Henry considerava incredibile. Di quella ragazza "che è solo un'amica, ma adesso le cose sono cambiate all'improvviso e non so più che fare" ne aveva parlato anche con il nonno. Lester gli aveva risposto che ogni cosa accadeva perché così doveva essere, ed era inutile cercare di anticipare il futuro. Alla gente piaceva credere il contrario, ma "ciò che si pensa non ha alcuna influenza su ciò che accadrà. Non ci si può imporre di stare bene. Non ci si può imporre di disamorarsi". Sydney, di sicuro, era convinta che Henry l'avesse abbandonata, come sua madre, che non volesse esserle amico, come gli altri bambini. Si sentiva un essere abietto. Alla fine Hunter John Matteson si era preso un bella cotta per Sydney e aveva fatto ciò che a lui non era riuscito: si era dichiarato. Henry era rimasto a guardare mentre gli amici di Hunter John diventavano gli amici di Sydney, e lei aveva cominciato a comportarsi come loro, prendendo in giro i ragazzi nei corridoi, persino lui. Erano trascorsi così tanti anni! Gli era giunta voce che era ricomparsa in città, ma non vi aveva fatto molto caso. Proprio come allora, non aveva ragione di aspettarsi che il suo ritorno avrebbe cambiato le cose. Poi l'aveva vista, e gli era sembrato di tornare indietro nel tempo: quello strano desiderio, quasi la vedesse per la prima volta. Gli uomini di casa Hopkins sposavano sempre donne più mature. Era perché era cambiata, maturata, che adesso si sentiva come quell'estate prima delle medie? "Se continui a fissarla così, finirai per ribaltarla." Henry si voltò verso il nonno, seduto dietro i tavoli, sulla sua sedia. Brandiva il bastone e, di tanto in tanto, chiamava i passanti come un imbonitore da fiera. "La stavo fissando?" "Da mezz'ora. Non hai sentito nemmeno una parola di ciò che ti ho detto, ci scommetto." "Scusami." 125
"Occhio! Si sta muovendo." Henry si girò e vide che Sydney si era allontanata dal tavolo delle Waverley e si dirigeva verso la zona per i bambini. I suoi capelli brillavano al sole; sembravano di miele. Raggiunse la figlia e scoppiò in una risata quando la piccola le mise in testa un cappello di carta. Le disse qualcosa, la ragazzina annuì e insieme s'incamminarono mano nella mano verso di lui. Verso di lui. Avrebbe voluto correre in bagno, neanche fosse ancora a scuola. "Ciao, Henry", lo salutò Sydney con un sorriso. Henry, sconvolto, non si arrischiava a fare il minimo movimento per paura di esplodere. "Ti ricordi di me?" Henry annuì. "Questa è mia figlia Bay." Lui annuì di nuovo. Sydney lo guardò con aria delusa, ma si strinse nelle spalle e si mise a discutere i gusti con la figlia: cioccolato e menta, fragola e rabarbaro, pesca al caramello, vaniglia e caffè... Era stata un'idea di nonno Hopkins. "Da' alle persone qualcosa che ancora non sanno di adorare e non si scorderanno mai di te." "Due cioccolato e menta, per favore", ordinò infine Sydney. Henry si affrettò a riempire due coni di carta mentre lei lo osservava; dapprima le mani, poi le braccia e infine il viso. Lo studiò mentre porgeva loro i coni. Lui non si decideva a spiccicare parola. Non riusciva nemmeno a sorridere. "È stato bello rivederti. Ti trovo in forma", disse, allontanandosi con Bay. Dopo qualche passo, si voltò per lanciargli un'ultima occhiata. "Lo spettacolo più pietoso che abbia mai visto", ridacchiò Lester. "Quand'ero ragazzino ho preso la scossa con una mungitrice meccanica. Era così forte che mi ha scaraventato a terra. Hai la stessa faccia che avevo io." "Non posso credere di non aver aperto bocca." "Zap! E via una bella scossa. Non riuscivo a parlare, boccheggiavo come un pesce", proseguì Lester senza smettere di ridere. Alzò il bastone e toccò la gamba di Henry. "Zzzzzzzzzppp!" 126
Il nipote sussultò. "Ah-ah, molto divertente", replicò, e scoppiò in una sonora risata.
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Evanelle e Fred sedevano sul sedile in pietra che circondava la fontana. Salutarono Sydney e Bay che passavano, gustando il gelato. Bay aveva appuntato l'orribile spilla di Evanelle sulla maglietta rosa, e ora la vecchietta si sentiva in colpa. La piccolina era troppo scrupolosa e attenta ai sentimenti altrui: se l'era messa solo perché gliel'aveva regalata lei, anche se non era per nulla adatta a una bambina. Perché mai aveva dovuto darle una cosa del genere? Evanelle sospirò rassegnata. Forse non l'avrebbe mai saputo. "Sono nervoso", brontolò Fred accarezzandosi i pantaloni corti perfettamente stirati. "E si vede", replicò Evanelle voltandosi a guardarlo. Lui si alzò e cominciò ad andare avanti e indietro a grandi passi; Evanelle, invece, se ne stava all'ombra della scultura a forma di foglia di quercia. Fred era abbastanza teso e accaldato per entrambi. "Mi ha detto che sarebbe venuto qui per parlare. In pubblico. Ma cosa pensa, che se fossimo soli lo ammazzerei?" "Uomini! Non puoi vivere senza, e non puoi neanche ucciderli." "Come fai a rimanere calma? Come ti sentiresti se tuo marito ti desse appuntamento e poi non si presentasse?" "Be', dato che è morto, non ne sarei così sorpresa." "Scusami", disse Fred tornando a sedersi. Evanelle gli diede una pacca affettuosa sul ginocchio. Era passato quasi un mese da quando le aveva chiesto asilo e, del tutto inaspettatamente, Fred era diventato un'allegra costante della sua vita. Dapprincipio si era trattato di una sistemazione temporanea, ma pian piano, e senza alcun dubbio, Fred si stava trasferendo da lei. I due avevano trascorso giornate intere a passare in rassegna tutte le vecchie cose che c'erano in soffitta; Fred ascoltava di gusto le storie che lei gli raccontava, poi aveva deciso di accollarsi le spese per la ristrutturazione, e adesso per casa giravano aitanti operai con un bel fondoschiena. Una visione che a Evanelle non dispiaceva. Si era addirittura sistemata una sedia ai piedi delle scale per ammirarli mentre andavano su e giù. La loro convivenza aveva ormai assunto i piacevoli toni della vita 128
famigliare. Fred sapeva bene di meritarsi un trattamento migliore di quello che gli riservava James, ma a volte, quando a cena Evanelle gli passava il burro, oppure quando gli porgeva un martello mentre appendeva un quadro, lui guardava ciò che aveva in mano, poi di nuovo l'amica con occhi così fiduciosi che Evanelle sentiva il cuore scricchiolare e spezzarsi come un vecchio ciocco di legno. E nonostante a parole fosse tanto coraggioso, nell'intimo Fred nutriva una speranza: forse un giorno l'amica gli avrebbe dato qualcosa di utile per sistemare le cose con James. "Si sta facendo tardi", commentò Fred. "La gente sta già stendendo le coperte. Probabilmente ci siamo mancati." Evanelle vide James per prima. Era alto, affascinante. Ed esile, come i volubili ed estrosi poeti di un tempo, le lunghe dita affusolate e gli occhi colmi di sentimento. Evanelle non aveva mai avuto nulla da ridire su di lui. In tutta sincerità, mai nessuno aveva avuto nulla da ridire su James. Lavorava per una società d'investimenti a Hickory, era un tipo riservato. Fred era stato il suo unico confidente per più di trent'anni, poi all'improvviso le cose erano cambiate, e né Fred né nessun altro in città riusciva a spiegarsene il motivo. Evanelle tuttavia aveva qualche sospetto. A una certa età s'iniziano a comprendere i flussi e i riflussi della vita. La convivenza di lunga data causa una sorta di follia. Tutte le donne di casa Burgess, per esempio, vivevano in una specie di nebbia fino al momento in cui i figli - e ognuna ne aveva per lo meno sei - non uscivano di casa. Quando anche il più piccolo lasciava il nido, tutte assumevano comportamenti decisamente eccentrici, per esempio bruciavano i rispettabilissimi abiti accollati e cominciavano a mettersi troppo profumo. E chiunque sia stato sposato per più di un anno può dire quale sia la sorpresa di rientrare a casa e scoprire che il marito ha abbattuto una parete per allargare una stanza o che la moglie si è tinta i capelli per apparire diversa e di nuovo attraente. Crisi di mezza età e caldane. Decisioni sbagliate. Avventure. E arriva anche il momento in cui qualcuno dice: "Ne ho abbastanza". Fred s'irrigidì nel vedere James. "Scusami per il ritardo. Per poco non ce la facevo." James aveva il fiato corto e la fronte appena imperlata di sudore. "Sono stato a casa a prendere 129
un paio di cose, il resto è tuo. Volevo dirti che ora ho un appartamento a Hickory." Ah! pensò Evanelle. Ecco perché aveva voluto incontrarlo lì: così avrebbe avuto la certezza di non trovarlo a casa e prendere quel che voleva senza doverne discutere. Le bastò un'occhiata per capire che anche Fred se n'era reso conto. "L'anno prossimo andrò in prepensionamento e probabilmente mi trasferirò in Florida. O forse in Arizona. Non ho ancora deciso." "Quindi è finita?" chiese Fred. Evanelle sapeva che lui voleva dire tante altre cose che lo opprimevano e che erano lì lì per essere espresse. Invece riuscì solo a ripetere: "È davvero finita?" "Per mesi mi sono roso dalla rabbia. Ora sono stanco", replicò James chinandosi in avanti e appoggiando i gomiti sulle ginocchia. "Sono stanco di cercare di mostrarti come si fa. Ho lasciato gli studi per te, sono venuto a vivere qui perché tu non sapevi da che parte girarti. Ho dovuto dirti che non era un problema far sapere a tutti che sei gay... ti ho trascinato fuori di casa per mostrartelo. Ho pianificato i nostri pasti e il tempo libero. Credevo di essere nel giusto. Al college mi ero innamorato della tua vulnerabilità e quando, alla morte di tuo padre, sei stato costretto ad andartene, ero terrorizzato al pensiero che non riuscissi a cavartela. Mi ci è voluto molto per accorgermi di aver reso un pessimo servizio a te... e anche a me stesso. Cercando di renderti felice ti ho impedito di imparare ad arrangiarti. Cercando di costruire la tua felicità ho perduto la mia." "Ma io posso migliorare. Dimmi solo..." Fred s'interruppe, e in un terribile istante si rese conto di quanto fossero vere quelle parole. James strizzò gli occhi che aveva chiuso per un attimo. Si alzò. "Devo andare." "No, ti prego", sussurrò Fred afferrandogli la mano. "Non posso. Non posso più continuare a dirti come vivere. Ho quasi dimenticato come farlo io stesso." James esitò. "Senti, hai presente Steve, l'insegnante di cucina dell'Orion che viene sempre nel tuo negozio per parlare di ricette? Be', forse dovresti conoscerlo meglio. So che gli piaci." Fred gli mollò la mano; pareva gli avessero appena sferrato un pugno nello stomaco. 130
James si allontanò lentamente, senza aggiungere altro. Era così alto, magro e rigido da sembrare un acrobata sui trampoli. A Fred non rimase che guardarlo andare via. "Durante la pausa pranzo ascoltavo di nascosto i discorsi delle cassiere", mormorò, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Evanelle si chiese se ricordasse che lei era lì, accanto a lui. "Mi dicevo che erano ragazzine stupide, non capivano che non esiste dolore più grande del non essere in grado di lasciar andare chi ha smesso di amarti. Volevano sempre sapere perché. Perché quel ragazzo non le amava più? Con quale angoscia se lo chiedevano! " Dopo di che, Fred si voltò e se ne andò. Sydney sedeva sola su una delle vecchie trapunte di nonna Waverley. Bay si era fatta qualche amichetto, perciò lei aveva steso la coperta accanto alle famiglie dei ragazzini, così che potessero giocare tutti insieme alla luce violetta del crepuscolo. Emma si era accomodata su una sedia con cuscino, accanto a persone che Sydney non conosceva. Nessuna traccia di Hunter John. Di tanto in tanto Emma le lanciava un'occhiata, per il resto non tentò in alcun modo di parlarle. Com'era strano starsene a poca distanza dagli amici di un tempo, e scoprire che ormai erano perfetti sconosciuti! Sydney stava stringendo nuove amicizie al salone, ma le nuove amicizie richiedono tempo. La storia richiede tempo. Osservava Bay correre su e giù per il prato con una girandola scoppiettante, quando d'un tratto si accorse che qualcuno si avvicinava alla sua destra. Si voltò. Henry Hopkins si fermò accanto alla coperta. Era diventato proprio un bell'uomo, i folti capelli biondi disciplinati in un taglio corto e pratico, le braccia muscolose. Aveva un ultimo ricordo nitido di lui: un capitombolo nel corridoio della scuola, al liceo, e lei e gli amici che lo deridevano. Henry era stato un adolescente allampanato, maldestro, ma possedeva una pacata dignità che Sydney aveva sempre apprezzato. Crescendo si erano divisi, e lei non sapeva spiegarsi il perché. Sapeva solo che, una volta ottenuto quello che credeva di volere a scuola, era stata crudele con lui. Non lo biasimava per non averle rivolto la parola quando, quel pomeriggio, si era avvicinata con Bay al tavolo degli Hopkins. "Salve", la salutò. 131
"Allora parli", replicò Sydney senza riuscire a trattenere un sorriso. "Ti spiace se mi siedo qui?" "Come se potessi respingere un uomo che mi regala il gelato", scherzò lei. Henry si sedette. "Scusami per prima. È che non mi aspettavo di vederti." "Credevo ce l'avessi con me." "E perché mai?" La sua pareva una sorpresa genuina. "Non sono stata molto carina con te al liceo. Mi dispiace. Da piccoli eravamo così uniti." "Io non ce l'ho mai avuta con te. Ancora oggi non riesco a passare davanti al parco giochi senza pensarti." "Eh, lo so, me l'hanno detto in molti." Henry sorrise. Sydney fece altrettanto. Andava tutto bene. Poi lui la guardò dritto negli occhi. "E così sei tornata." "Sono tornata." "Sono contento." Sydney scosse la testa. La giornata aveva preso una piega davvero inaspettata. "Non ci crederai, ma sei il primo a dirmelo." "Be', vale la pena pazientare per le cose più belle."
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"Non resti per i fuochi?" chiese Tyler a Claire che riponeva le bottiglie vuote. L'aveva raggiunta alle spalle; lei però non si era voltata. Era troppo imbarazzata. Se l'avesse fatto, si sarebbe trasformata in una donna insicura, incapace di gestire un uomo interessato a lei. Finché gli avesse dato le spalle sarebbe rimasta la vecchia Claire, padrona di sé, quella che era prima che Tyler decidesse di presentarsi e sua sorella si trasferisse da lei. Sydney e Bay avevano già steso una trapunta, in attesa che si facesse abbastanza buio per l'inizio dello spettacolo. E con loro c'era anche Henry Hopkins... Claire si sforzava di pensare ad altro. Inutile: a Henry Hopkins piaceva sua sorella. Perché la infastidiva tanto? Perché la infastidiva che Fred aiutasse Evanelle? Il muro che aveva eretto fra sé e gli altri si stava sbriciolando. Si sentiva incredibilmente indifesa. Non poteva esserci momento peggiore per avere a che fare con Tyler. "Li ho già visti", rispose, ostinandosi a dargli la schiena. "Finiscono con una grande esplosione." "Be', mi hai rovinato la sorpresa. Vuoi una mano?" Claire impilò gli scatoloni e li sollevò, lasciandone due per un altro viaggio. "No." "Va bene", replicò Tyler impadronendosi degli ultimi. "Allora prendo questi." E la seguì attraverso il prato sino al furgoncino posteggiato lungo la strada. Claire sentiva lo sguardo di lui piantato sulla nuca. Fino a quel momento non si era mai accorta di quanto i capelli corti potessero rendere vulnerabili. Esponevano parti prima celate, il collo, la curva delle spalle, la sporgenza del seno. "Cos'è che ti spaventa?" le chiese Tyler dolcemente. "Non so di cosa parli." Una volta raggiunto il furgoncino, Claire aprì il bagagliaio e vi sistemò gli scatoloni. Tyler le si avvicinò e fece altrettanto. "Sono io?" 133
"Ma ti pare?" replicò ironica. "Allora è l'amore?" "Che arroganza! " lo rimbeccò lei assicurando gli scatoloni perché le bottiglie non si rompessero durante il tragitto. "Visto che rifiuto le tue avance allora ho paura dell'amore..." "E di un bacio hai paura?" "Nessuno sano di mente avrebbe paura di un bacio." Claire chiuse il bagagliaio e si voltò. Tyler era più vicino di quanto credesse. Troppo. "Non pensarci nemmeno", lo ammonì trattenendo il respiro e premendosi contro il furgoncino mentre lui si faceva ancora più vicino. "È solo un bacio", sussurrò Tyler facendo un altro passo. I loro due corpi, adesso, erano quasi appiccicati. L'avrebbe toccata, pensò Claire. "Nulla da temere, no?" Lui appoggiò una mano sul furgone, accanto alla sua spalla, e si sporse in avanti. Claire avrebbe potuto andarsene, certo, le sarebbe bastato correre via, dargli nuovamente le spalle. Ma poi Tyler abbassò il capo, e lei vide la piccola ragnatela di rughe intorno agli occhi, la minuscola cicatrice su un lobo, lasciata forse da un orecchino. Piccoli dettagli che narravano di lui, come i racconti di un cantastorie, filastrocche che la rassicuravano e l'inducevano ad ascoltare. Non voleva sapere niente di quell'uomo, eppure la curiosità la stuzzicava... Ed eccola spacciata. Le labbra di Tyler si posarono su quelle di Claire lentamente. Lei avvertì un formicolio, tiepido, come olio di cannella. Tutto qui? Be', non era così male. Tyler inclinò appena la testa, e vi fu quella frizione. Sbucata fuori dal nulla, e adesso attraversava come un lampo ogni atomo del suo corpo. Claire boccheggiò sorpresa schiudendo le labbra, e fu allora che la situazione le sfuggì di mano. Il bacio diventò più profondo, la lingua di Tyler si fece strada e un milione di immagini impazzite presero a schizzare nella mente di Claire. Non era ciò che vedeva lei. Erano le immagini che le trasmetteva lui... nudità e gambe che si avvinghiavano, mani che si tenevano, la colazione insieme, invecchiare. Cos'era quella magia tanto folle? Che bella sensazione... All'improvviso le mani di Claire erano ovunque, si aggrappavano a lui, lo tiravano più vicino. Tyler la premette contro il furgoncino con foga, sollevandola quasi da terra. Era troppo. Claire era sicura di morire, eppure il pensiero di smettere, d'interrompere il 134
contatto con quell'uomo, con quell'uomo bellissimo, le spezzava il cuore. Si era chiesta come sarebbe stato baciarlo. La tensione, l'inquietudine sarebbero scomparse... o ne sarebbe stata esasperata? Scoprì che Tyler assorbiva il bacio come fosse calore per poi irradiarlo fino a lei. Quale magnifica rivelazione! D'un tratto le parve di udire dei sibili. Si staccò da lui e scorse un gruppo di ragazzini che passava sul marciapiede, fischiando e lanciando loro sorrisini. Li osservò allontanarsi. Tyler, immobile, aveva il respiro affannato. Ogni volta che respirava premeva contro il suo seno, tanto sensibile da farle quasi male. "Lasciami andare", gli disse. "Non credo di riuscirci." Claire lo respinse e si liberò dalla sua stretta. Tyler cadde in avanti, appoggiandosi al furgoncino; sembrava non avesse la forza di stare in piedi. Claire capì cosa provava quando si accinse a raggiungere il lato del guidatore e quasi non le riuscì. Si sentiva debole, come se non mangiasse da giorni o non camminasse da anni. "E tutto questo per un bacio. Se mai faremo l'amore, mi ci vorrà una settimana per riprendermi." Tyler parlava del futuro con naturalezza, le immagini che le aveva trasmesso erano vivide; ma Claire non poteva permettersi d'iniziare alcunché, perché prima o poi sarebbe tutto finito. Storie del genere non duravano nel tempo. Non poteva concedersi quel piacere, perché altrimenti, quando fosse finita, avrebbe trascorso il resto della vita sentendone la mancanza. Ne avrebbe sofferto. "Lasciami in pace, Tyler." Lui si costrinse ad allontanarsi dal furgoncino; era sempre senza fiato. "Non sarebbe mai dovuto accadere. E di certo non accadrà di nuovo." Così dicendo Claire si mise al volante e si allontanò sgommando, ignorando i marciapiedi e tutti gli stop fino a casa.
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9 Oltre un secolo prima i Waverley erano stati una famiglia rispettata e benestante. Quando avevano perduto la loro fortuna a causa di una serie di investimenti errati, i Clark, ricchi proprietari di acri e acri di terreno coltivati a ottimo cotone e dolcissime pesche, ne avevano goduto in silenzio. I Waverley, seppure non altrettanto ricchi, erano facoltosi da generazioni e originari di Charleston; a Bascom si erano costruiti una residenza appariscente e, secondo i Clark, avevano sempre avuto un'idea troppo pretenziosa di se stessi. Non appena avevano saputo della disgrazia che aveva colpito i Waverley, le donne di casa Clark avevano accennato una danza alla discreta luce della mezzaluna. Poi, considerandosi anime caritatevoli, avevano portato loro sciarpe di lana mangiate dalle tarme e torte insapori, senza zucchero. In realtà volevano semplicemente vedere come fossero ridotti i pavimenti, senza servitù che li lucidasse, e quanto vuote fossero le stanze, visto che buona parte dei mobili era stata venduta. Era stata Reecey Clark, la pro-pro-prozia di Emma, a dare il via a tutto, rubando le mele dal giardino sul retro. Le Waverley, con gli abiti rammendati e i capelli in disordine dopo aver inutilmente cercato di pettinarsi, avevano insistito per mostrare alle Clark i loro fiori, perché la cura del giardino era l'unica cosa che sapevano fare da sole. Reecey Clark ne era stata subito gelosa, perché il giardino di casa sua non avrebbe mai retto il confronto. Le mele, lucenti e perfette, abbondavano ovunque, perciò, di nascosto, se n'era riempita le tasche e la borsa a rete. Ne aveva addirittura infilata qualcuna nella giacca. Perché le Waverley dovevano avere tutte quelle mele meravigliose, che nemmeno mangiavano? E poi era come se il melo stesso gliele offrisse, facendogliele rotolare ai piedi. Di ritorno a casa, Reecey aveva consegnato le mele alla cuoca ordinandole di farne della composta. Nelle settimane seguenti, ogni donna di casa Clark aveva preso ad avere visioni meravigliosamente erotiche, tanto che al mattino si alzavano sempre prima, ansiose di fare colazione. Col tempo il sesso sarebbe divenuto parte integrante di ogni evento importante nelle vite delle Clark, cosa peraltro non sgradita ai mariti che, spesso esausti, proprio per questo tendevano a spendere troppo e a 136
perdonare di più. Ahimè, la composta era terminata in fretta, e con essa le colazioni erotiche. Ne era stata preparata dell'altra, ma era una cosa ben diversa! Reecey sapeva che dipendeva da quelle mele, le mele delle Waverley. Divenne follemente gelosa, convinta che i frutti di quell'albero donassero sensuali visioni a chiunque ne mangiasse. Ecco perché le Waverley parevano sempre tanto soddisfatte. Era ingiusto, semplicemente ingiusto, che loro possedessero un albero simile e i Clark no. Non poteva certo rivelare ai genitori ciò che aveva fatto: sarebbe stato umiliante ammettere di aver rubato, oltretutto a una famiglia in disgrazia. Così una notte era sgattaiolata fuori e si era recata a casa Waverley. Era riuscita a issarsi sull'inferriata, poi però le gonne le si erano impigliate ed era scivolata. Aveva trascorso l'intera notte appesa a testa in giù, come il mattino seguente l'avrebbero trovata le Waverley. Avevano chiamato i signori Clark e con l'aiuto di Phineas Young, l'uomo più forte della città, Reecey era stata liberata, quindi subito spedita ad Asheville dalla severa zia Edna. Ed era stato lì, due mesi dopo, che aveva vissuto la notte più appassionata della sua vita, in compagnia di uno stalliere. Era stato proprio come nelle visioni procurate dalla composta di mele. Reecey l'aveva scambiato per un segno del destino, per questo, pur di continuare a vivere quell'incredibile storia, aveva persino deciso di sopportare la sgradevole zia Edna. Alcune settimane più tardi era stata però sorpresa nelle stalle con il garzone, e immediatamente maritata a un uomo attempato e inflessibile. Non era mai più stata né felice né sessualmente appagata. Convintasi che la causa di tutto fossero le Waverley, una volta diventata vecchia si era imposta di tornare a Bascom ogni estate per raccontare a nipoti e pronipoti quanto malvagie ed egoiste fossero quelle donne, a tenersi l'albero magico tutto per sé. Fu così che il risentimento si innestò in casa Clark, e vi rimase. Anche se nessuno si ricordava più il perché.
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Il mattino dopo il Quattro Luglio Emma Clark Matteson fece ricorso alla collaudata e tradizionale usanza di casa Clark per ottenere ciò che voleva. Quel mattino fece l'amore con Hunter John, i cuscini e le lenzuola scaraventati a terra. La foga fu tale che, se non avessero avuto l'accortezza di accendere la radio, i bambini li avrebbero certamente uditi. Dopo, Emma cercò di parlare di Sydney al marito esausto e stordito. Voleva fargli ammettere che lei, Emma, era più sexy di Sydney, la quale, il giorno precedente, era parsa così invecchiata in quegli orribili pantaloncini scozzesi, che ovviamente gli descrisse fin nei minimi particolari. Hunter John, tuttavia, si rifiutò di discuterne. Quella donna, le disse, non aveva più nulla a che vedere con loro. Quindi si alzò e andò a farsi una doccia. Emma si morse le labbra. Turbata, fece l'unica cosa che poteva: telefonò alla madre, in lacrime. "Hai seguito il mio consiglio, hai tenuto Hunter John lontano dai festeggiamenti. Hai fatto bene", le disse Ariel. "Però hai sbagliato a tirare fuori l'argomento Sydney questa mattina." "Ma sei stata tu a dirmi che doveva fare il paragone fra noi due", replicò la figlia, ancora distesa nel letto e abbracciata a un cuscino. "Mi spieghi come faccio, senza nominarla?" "Tesoro, tu non mi ascolti. Ho fatto in modo che potesse paragonarvi quando Sydney serviva in tavola e tu facevi gli onori di casa. Per l'amor del cielo! Adesso basta." Emma si sentiva la testa vorticare. Non aveva mai messo in dubbio la considerevole conoscenza materna in fatto di uomini, ma tutto le pareva troppo complicato. Come avrebbe fatto ad andare avanti? Prima o poi Hunter John avrebbe iniziato a sospettare qualcosa. "Dopo che è andato a trovarla al White Door non hai più lasciato che le si avvicinasse, vero? Ecco un altro grande errore." "No, mamma, però non posso continuare a tenerlo sotto controllo. Quando potrò fidarmi? Quando saprò?" "Gli uomini sono le creature più inaffidabili di questo mondo, tesoro. Riuscire a tenertelo stretto è compito tuo. Compra qualcosa di succinto, solo per lui. Sorprendilo." Si, mamma. 138
"Le donne di casa Clark non perdono il proprio uomo. Sappiamo come renderli felici." Si, mamma. "Dov'è Bay?" chiese Sydney entrando in cucina. Era il primo lunedì dopo il Quattro Luglio, e anche il suo giorno libero. "Credevo ti stesse dando una mano." "Infatti, poi però ha sentito passare un aeroplano ed è corsa in giardino. Fa sempre così." "Davvero non capisco", ridacchiò Sydney. "Non è mai stata fanatica degli aerei." Claire si affaccendava in cucina, intenta a preparare tortine al cioccolato per gli Haversham, che vivevano quattro numeri più avanti. Per il decimo compleanno del nipotino avrebbero dato una grande festa a tema piratesco, e alla classica torta avevano preferito decine di tortine nelle quali i bambini avrebbero trovato un anello, una moneta, un portafortuna. Claire aveva candito i sottili germogli di angelica colti in giardino e si accingeva a usarli per disegnare piccole X sulla glassa di ogni dolcetto, come mappe del tesoro; avrebbe completato l'opera con fogliettini infilzati su stuzzicadenti, contenenti ognuno un indovinello. "E quand'è la festa?" le chiese Sydney osservandola alle prese con la glassa. "Il compleanno degli Haversham? Domani." "Se vuoi, mi prendo volentieri un permesso per aiutarti." "Per questa volta sono a posto, grazie", replicò Claire, commossa dall'offerta della sorella. Bay rientrò proprio in quel momento e Sydney scoppiò in una risata. "Oh, tesoro, ma non devi metterti la spilla di Evanelle ogni giorno. Non lo pretende di certo." "Magari potrebbe tornarmi utile", ribatté la figlia gettando un'occhiata al monile che si era appuntata sulla maglietta. "Allora, sei pronta per andare a vedere la scuola?" "Zia Claire, pensi di riuscire a cavartela senza di me?" "Oggi mi sei stata di grande aiuto. Credo di riuscire a finire da sola." 139
Claire già si immaginava la tristezza quando, in autunno, la nipotina avrebbe iniziato ad andare a scuola. Poi però si diceva che vi sarebbero stati tanti bei pomeriggi da attendere con trepidazione, quando Bay fosse rientrata da scuola e Sydney dal lavoro, e si sarebbero di nuovo riunite. Era su quello che si voleva concentrare, senza pensare a quanto sarebbe durato. Era restia ad ammettere che a volte, a essere sinceri ogni giorno, temeva ancora che, prima o poi, tutto sarebbe finito. "Non staremo via molto", disse Sydney. D'improvviso Claire si sentì invasa da un formicolio. Abbassò gli occhi sulle braccia: aveva la pelle d'oca. Dannazione! "Tyler sta per arrivare. Per favore, digli che non voglio vederlo." In quell'istante si udì bussare alla porta. "Come facevi a saperlo?" chiese Sydney con una risata. "Lo sapevo e basta." "Claire, lo sai, se mai volessi parlare..." Quanti segreti. Ti dico i miei se mi racconti i tuoi. "D'accordo."
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Tyler e Bay aspettavano seduti sul dondolo in veranda. Tyler usava le lunghe gambe per farli andare in alto e Bay rideva. Era così, con lui. Era facile divertirsi. La mamma comunque le aveva detto che, se lo avesse visto impegnato in qualcosa, non avrebbe dovuto infastidirlo. Mentre dondolavano avanti e indietro, Bay ripensò al sogno, quello in cui si trovava nel giardino. Le cose non sarebbero state perfette finché non fosse riuscita a riprodurlo nei minimi dettagli. Già, ma come fare perché il suo volto scintillasse al sole? E poi, nonostante tutti i quaderni e i fogli che aveva appeso in giardino, non riusciva a riprodurre lo stesso identico rumore di carta che svolazzava. "Tyler?" "Sì?" "Cosa potrei usare per farmi luccicare la faccia? Sai, come se fossi sdraiata al sole. Certe volte guardo gli aerei. Passando brillano, però, se mi stendo, non mi mandano le scintille." "Intendi come quando la luce si riflette?" "Sì." Tyler si soffermò alcuni istanti a pensare. "Be', quando uno specchio cattura il sole provoca una sorta di lampo. Anche gli scacciapensieri di metallo o cristallo, se soffia il vento, o gli specchi d'acqua, riflettono la luce del sole." "Quante belle idee, grazie!" esclamò la bambina annuendo, impaziente di provare. "Non c'è di che", le rispose lui con un sorriso. Sydney li raggiunse proprio in quell'istante, e Tyler smise tanto bruscamente di dondolare che Bay dovette aggrapparsi alla catena per non cadere. Sua madre e Claire sortivano quell'effetto sulla gente. "Ciao, Tyler", lo salutò Sydney fermandosi sulla porta, poi si gettò un'occhiata indecisa alle spalle. "Ehm, Claire dice che non vuole vederti." Lui balzò in piedi, facendo di nuovo dondolare Bay. "Lo sapevo, l'ho spaventata." "Perché? Cos'hai fatto?" sbottò Sydney con lo stesso tono che aveva usato quando la figlia una volta aveva provato a tagliarsi da sola i capelli. 141
Lui abbassò lo sguardo. "L'ho baciata." Lei scoppiò a ridere, ma si portò prontamente la mano alla bocca quando Tyler rialzò la testa di scatto. "Scusami. Tutto qui?" disse avvicinandosi e dandogli una pacca sul braccio. "Le parlo io, va bene? Anche se ora bussassi, non ti risponderebbe. Lascia che si comporti come una regina per un po'. La farà stare meglio." Poi fece segno a Bay di scendere dal dondolo, e tutti e tre s'incamminarono insieme giù per gli scalini. "Un bacio, eh?" "E che bacio." "Non sapevo ne fosse capace", commentò Sydney cingendo Bay per le spalle. Tyler le salutò quando ebbero raggiunto casa sua. "Io sì." "Claire è arrabbiata per qualcosa?" chiese Bay non appena voltarono l'angolo. "Questa mattina non sapeva più dove andava l'argenteria. Ho dovuto dirglielo io." Vedere la zia che non ricordava il posto delle cose la preoccupava. Se solo fosse riuscita a far rivivere il sogno, tutto si sarebbe sistemato. "Non è arrabbiata, tesoro. Solo non le piace che le cose sfuggano al suo controllo. Alcune persone non sanno come ci si innamora, proprio come altre non sanno nuotare. Quando si buttano la prima volta vanno nel panico, poi però imparano in fretta." "E tu?" domandò Bay. Strappò un filo d'erba da una crepa nel marciapiede, se lo portò alle labbra e cercò di farlo fischiare come le aveva insegnato il suo nuovo amico Dakota, alla festa del Quattro Luglio. "Se so come ci si innamora?" chiese Sydney; la figlia annuì. "Sì, penso di sì." "Io mi sono già innamorata. " "Davvero?" "Sì, della nostra casa." "Assomigli a tua zia ogni giorno di più", commentò Sydney quando si fermarono davanti a un lungo edificio in mattoni rossi. "Be', eccoci arrivate. Anche Claire e io siamo venute qui. A mia nonna non piaceva 142
uscire di casa, però ricordo che mi accompagnava a scuola ogni mattina. È un bel posto." Bay osservò l'edificio. Sapeva dove si trovava quella che sarebbe stata la sua aula: oltre l'ingresso, in fondo al corridoio, la terza porta sulla sinistra. Sapeva anche che profumava di cartoncino e detergente. Annuì. "È il posto giusto." "Sì, lo è. Allora, sei emozionata all'idea di andare a scuola?" "Sarà bello. Dakota è nella mia classe." "Chi è Dakota?" "Un bambino che ho conosciuto il Quattro Luglio." "Oh, bene! Sono contenta che ti stia facendo dei nuovi amici. Vorrei tanto che l'avesse fatto anche Claire." In quei giorni Sydney parlava spesso della sorella, e a volte, quando erano insieme e la luce era giusta, Bay le vedeva di nuovo bambine. Come se rivivessero la loro vita. "Anche tu, mamma, dovresti farti degli amici." "Non preoccuparti per me, tesoro." Sydney la strinse in un abbraccio, mentre il profumo della colonia di David aleggiava nel vento. Per un istante Bay ebbe paura, non per sé ma per la madre. Non era lei che il padre voleva. "Il centro è a due passi. Andiamo da Fred a prenderci dei Pop-Tarts!" continuò Sydney allegra, con il tono che gli adulti usano per cercare di distrarre i piccoli da ciò che sta accadendo. "E sai di cosa avrei voglia? Di Cheetos. È un sacco che non mangio patatine al formaggio. Però non dirlo a zia Claire, o vorrà farmele lei." Bay non protestò. L'idea dei Pop-Tarts la stuzzicava. Di sicuro più che stare lì a pensare al padre. Una volta in negozio, Sydney prese un cesto accanto alla porta. Si erano appena lasciate frutta e verdura alle spalle quando si udì un tonfo sordo e centinaia di arance presero a rotolare in ogni direzione, nel reparto panetteria, sotto i carrelli. Bay riusciva quasi a udirne le risate: sembrava fossero in preda alla gioia della ritrovata libertà. All'istante l'addetto al reparto e un paio di commessi si gettarono al loro inseguimento come raccattapalle sul campo da tennis, neanche fossero stati accucciati lì nelle vicinanze, in attesa del disastro. Il colpevole era in piedi, immobile accanto all'espositore ormai vuoto, 143
intento a guardare non il guaio che aveva combinato, bensì dritto verso Sydney. Era Henry Hopkins, l'uomo che il Quattro Luglio aveva regalato loro il gelato e poi si era seduto sulla loro coperta. A Bay piaceva. Era tranquillo, come Claire. Affidabile. Raggiunse Sydney senza mai levarle gli occhi di dosso. "Ciao, Sydney. Ciao, Bay." "Sai, basta poco per fare colpo. Non c'era bisogno di arrivare a tanto per attirare la nostra attenzione", scherzò Sydney indicando le arance. "Ti svelo un segreto di noi uomini: la nostra idiozia è sempre involontaria. Ma di solito è per un buon motivo." Henry scosse il capo. "Ora sembro mio nonno. Non prendere fischi per fiaschi e banalità del genere." Sydney rise. "Bay e io stiamo cercando i Pop-Tarts." "Ah, allora è la giornata delle golosità. Un paio di settimane fa Evanelle ha portato al nonno un barattolo di ciliegie al maraschino e stamattina, quando lui le ha viste, ha detto: 'Perché non prepariamo ancora gelato e delle banane split?' Però ci mancava il cioccolato, così sono venuto a prenderlo." "I dolci meritano senz'altro un viaggetto in più al supermercato." "Perché non venite? Avete da fare? Banana split per tutti! E poi potrei far vedere le mucche a Bay." La bambina s'illuminò, come il cielo nuvoloso quando il sole fa capolino. "Sì, dai, andiamo a conoscere le mucche!" esclamò entusiasta, cercando di coinvolgere la madre. "Le mucche sono forti! " Sydney le lanciò un'occhiata stupita. "Prima gli aerei, adesso le mucche. Da quando sei diventata un'appassionata di mucche?" "Perché, a te non piacciono?" "A dire il vero mi sono indifferenti", rispose lei; si rivolse a Henry. "Siamo venute a piedi. Non sapremmo come arrivare fino da te." "Vi do io uno strappo." Bay tirò la madre per la camicetta. Non si accorgeva della calma che la 144
pervadeva quando lui era nei paraggi, di come i loro cuori battessero all'unisono? "Mamma, possiamo?" Sydney guardò prima sua figlia, poi Henry. "A quanto pare sono in minoranza." "Perfetto! Ci vediamo alla cassa", esclamò Henry allontanandosi. "Va bene, regina del latticino. Allora?" chiese Sydney. "Ma non te ne accorgi?" replicò la piccola eccitata. "Di cosa?" "Che gli piaci! Come a Tyler piace Claire." "Non proprio, tesoro. Henry è un mio amico." Bay aggrottò la fronte. Sarebbe stato più difficile di quanto credeva. Di solito le cose andavano al posto giusto molto più facilmente, quando indicava loro dove sistemarsi. Ora più che mai doveva trovare il modo di tramutare il sogno in realtà, altrimenti sua madre non si sarebbe accorta di ciò che era meglio per lei. Solo allora tutto sarebbe filato alla perfezione. Si incontrarono alla cassa con Henry, che le accompagnò al suo bel pick-up argentato. Aveva una cabina extralarge e Bay volle a tutti i costi sedersi sul sedile posteriore: le sembrava di essere in un vero e proprio letto. La giornata si rivelò meravigliosa. Henry e Lester sembravano più fratelli che non nipote e nonno, e a Bay piaceva il senso di quiete che irradiavano. E anche a sua madre piaceva, lo sapeva. Non appena vide Sydney, l'anziano signor Hopkins le chiese quand'era il suo compleanno. Quando scoprì che aveva esattamente cinque mesi e quindici giorni più di Henry, diede al nipote una pacca sulla spalla ed esclamò ridendo: "Oh, allora è perfetto". Più cose Bay scopriva di Henry e di suo nonno, più se ne convinceva. Era quello il posto giusto. Il luogo cui sua madre apparteneva. Peccato che Sydney lo ignorasse. Bay si era resa conto che la mamma aveva sempre avuto difficoltà a capire dove stesse andando. Fortunatamente per lei, quella invece era la sua specialità.
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Più tardi, quella sera, mentre saliva gli scalini di casa con Bay in braccio, Sydney si sentiva bene. Nel pomeriggio Lester e Bay avevano presidiato la gelatiera accanto al castagno in giardino mentre lei e Henry avevano passeggiato per i campi parlando soprattutto dei vecchi tempi, delle elementari, degli insegnanti. Henry le aveva riportate a casa quando ormai era buio, e Bay si era addormentata sul sedile posteriore. Una volta arrivati, Henry aveva spento il motore; poi lui e Sydney avevano parlato ancora. Questa volta di quel che sarebbe stato, di ciò che volevano fare nella vita, di come s'immaginavano il futuro. Sydney non gli raccontò né di essere stata una ladra né di David: era quasi come se niente di quel mondo fosse mai esistito. Una sensazione piacevole. Negare era un lusso, dimenticare pure, visto che il ricordo di David le fluttuava sempre intorno, con l'odore nauseante della sua colonia nell'aria. Ma poteva dimenticare con Henry. Parlò tanto da farsi venire la voce roca. Prima che se ne rendesse conto, si era già fatta mezzanotte. Aveva appena varcato la soglia con Bay in braccio, quando Claire apparve in camicia da notte. "Dove siete state?" "Da Fred abbiamo incontrato Henry Hopkins che ci ha invitate da lui per una banana split", rispose Sydney osservando la sorella, e all'improvviso provò un tuffo al cuore. Claire aveva un'espressione tormentata e si torceva le mani. Oh, Dio! David. Le aveva trovate. Fece un profondo respiro, cercando di sentirne l'odore. "Perché? Cos'è successo?" "Niente, va tutto bene." Claire si girò e si diresse in cucia. "Avresti potuto avvertirmi." Sydney la seguì, stringendo a sé la figlia. Quando la raggiunse, Claire aveva già oltrepassato la cucina e si era fermata nel solarium, dove si stava infilando gli zoccoli da giardino. "Tutto qui?" le chiese ansimante. "Non c'è altro?" "Ero preoccupata. Credevo che..." "Cosa? Cosa?" la incalzò la sorella, agitata perché non l'aveva mai vista in quello stato. Doveva trattarsi di qualcosa di terribile. 146
"Temevo ve ne foste andate." Sydney non riusciva a credere alle proprie orecchie. "Sei arrabbiata perché pensavi che ce ne fossimo andate per sempre?" "Se hai bisogno di me, sono in giardino." "Io... Scusami se ti ho fatta preoccupare. Ho sbagliato, avrei dovuto avvisarti." L'angoscia di Claire consumava quasi tutto l'ossigeno del solarium, e Sydney faticava a respirare. "Te l'ho già detto: non ce ne andremo da nessuna parte. Ti chiedo di nuovo scusa." "Non importa", replicò Claire spalancando la porta che dava sull'esterno, lasciando una lieve impronta bruna, come una bruciatura, sul telaio. Sydney la osservò attraversare il vialetto e aprire il cancello del giardino. Quando Claire fu scomparsa alla vista, tornò in cucina. I piani di lavoro erano disseminati di tortine marcate con la X dei pirati, ognuna con il proprio bigliettino saldamente ancorato a uno stuzzicadenti. Si avvicinò e ne lesse alcuni. Pensi che non vi sia nulla, ma ognun lo sa: chi scaverà, molta fortuna avrà. Perché andare dalla cartomante, se scavando potresti trovare un bel niente... o un bel diamante? Le tasche vuote singhiozzano assai? Scava e vedrai, una moneta non si rifiuta mai. Le tortine che non contenevano nulla, invece, recavano un gioco di parole piuttosto eloquente: Regali, giochi e fortuna? Cerca altrove, di queste cose non ce n'è nessuna. Sydney si soffermò a riflettere, quindi andò nella dispensa e sedette alla 147
scrivania di Claire con Bay raggomitolata in grembo. Prese il telefono.
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10 Come ogni innamorato Tyler Hughes non faceva che domandarsi cosa diamine ci fosse in lui di sbagliato. Quando si erano baciati, tutta l'energia e la paura di Claire erano fluite direttamente dentro di lui, e ogni volta che ci ripensava doveva sedersi e mettere la testa fra le ginocchia. Poi finalmente riusciva a riprendere fiato, e allora trangugiava due bicchieri d'acqua per placare la febbre che lo bruciava. Eppure quel che su di lui provocava un effetto di stordimento e tingeva di un meraviglioso rosso acceso ogni stanza in cui posava piede aveva spaventato Claire sino alle lacrime. Cosa c'era di sbagliato in lui da fargli apprezzare tanto ciò che a lei causava solo dolore? Aveva fatto programmi tutto cuori e romanticismo, ma come al solito si era allontanato dalla realtà. E la realtà era Claire. E Claire era spaventata. Ma che cosa sapeva davvero di lei? Chi poteva dire di conoscere sul serio Claire Waverley? A questo e altro pensava Tyler quel pomeriggio, seduto alla scrivania del suo studio nella Kingly Hall, in attesa della lezione serale. D'un tratto vide passare Anna Chapel, la responsabile del dipartimento. "Quanto bene conosci Claire Waverley?" le domandò. "Claire?" disse la collega fermandosi. Si strinse nelle spalle e si appoggiò allo stipite della porta. "Vediamo, la conosco da quasi cinque anni. Si occupa del catering per tutte le feste del dipartimento." "Intendevo a livello personale. La conosci bene?" Anna gli rivolse un sorriso complice. "Ah, be', personalmente. Ormai sei qui da un anno, immagino tu abbia notato alcune... peculiarità della nostra cittadina." Tyler si piegò in avanti, curioso di vedere dove li avrebbe portati quel discorso. "Già, le ho notate." "Qui le credenze locali godono di grande considerazione, come del resto 149
in ogni piccola comunità. Ursula Harris, che insegna inglese, tiene un corso proprio sull'argomento", proseguì Anna sedendosi di fronte a Tyler. "Senti questa. L'anno scorso vado al cinema... due signore anziane si siedono dietro di me e si mettono a parlare di un certo Phineas Young, l'uomo più forte della città, che avrebbe buttato giù un muro di pietre della loro proprietà. Poiché cercavo qualcuno che mi sgombrasse il retro di casa, mi giro e chiedo loro di darmi il suo numero. Mi rispondono che ha più nomi in lista di attesa che anni da vivere... L'uomo più forte della città ha novantun anni! La leggenda locale vuole che in ogni generazione di Young ci sia un Phineas, il quale nasce con una forza superiore che lo rende perfetto per i lavori pesanti." "E questo cos'ha a che fare con Claire?" "La gente di qui crede che tutto ciò che cresce nel giardino delle Waverley abbia dei poteri. Il melo soprattutto è diventato un vero e proprio mito. Invece sono un giardino e un melo come tanti altri! Claire è misteriosa perché tutti i suoi antenati lo erano. In realtà non è diversa da te o da me. Anzi, forse ha più sale in zucca di noi, dato che è stata in grado di trasformare una leggenda locale in un'attività lucrativa." Probabilmente c'era del vero nelle parole di Anna, eppure Tyler riandava alla propria infanzia e alla neve che, ogni 17 gennaio, imbiancava puntuale il suo paese nel Connecticut. Non vi era alcuna spiegazione meteorologica, però la leggenda voleva che una bellissima ragazza indiana, figlia dell'inverno, fosse morta proprio quel giorno, e da allora il cielo versava gelide lacrime per lei. E tutti i bambini sapevano che, se riuscivi a rinchiudere venti farfalle in un barattolo e poi le liberavi prima di andare a letto, gli incubi se ne sarebbero stati alla larga. Alcune cose sono impossibili da spiegare, altre no. A volte le spiegazioni piacciono, altre no. E allora diventano miti. "Ho la sensazione che non sia quello che volevi sapere", riprese Anna. Tyler sorrise. "Non esattamente." "Be', so che non è sposata e che ha una sorellastra." "Sorellastra?" "Da quel che ho sentito, le due Waverley hanno padri diversi. Sai, la madre era... uno spirito libero. Se n'è andata, ha avuto le figlie, le ha portate qui e poi è sparita di nuovo. Devo dedurne che sei interessato a lei?" 150
"Proprio così." "Be', buona fortuna", gli augurò Anna alzandosi. "Ma non combinare pasticci. Non vorrei dover trovare qualcun altro che si occupi delle nostre feste solo perché hai spezzato il cuore alla nostra cuoca preferita." Quella sera, Tyler sedeva sul divano di casa in pantaloncini e maglietta sforzandosi di concentrarsi sui compiti, ma non riusciva a togliersi Claire dalla mente. Anna non la conosceva, nessuno la conosceva realmente. Forse Sydney era l'unica in grado di aiutarlo a comprendere la donna che si era saldamente stabilita nei suoi pensieri sin dal primo momento in cui le aveva rivolto la parola. Sydney gli aveva assicurato che le avrebbe parlato. Quindi doveva solo aspettare. O magari avrebbe potuto chiamarla l'indomani mattina per parlare di Claire. O fare un salto al White Door. Il telefono prese a squillare. "Sì?" "Tyler, sono Sydney." "Accidenti", esclamò lui. "Speravo giusto che mi chiamassi." "Si tratta di Claire", proseguì Sydney a bassa voce. "È in giardino, il cancello è aperto. Magari vorresti fare un salto." "Lei non vuole... O sì?" "Io credo che abbia bisogno di te. Non l'ho mai vista così. "Così come?" "È come un filo scoperto. Lo sai che brucia quel che tocca?" Una sensazione che Tyler ricordava bene. "Arrivo." Attraversò il cortile e girò intorno alla casa per raggiungere il giardino sul retro. Come aveva detto Sydney, il cancello non era chiuso a chiave: gli bastò spingere per aprirlo. Fu subito investito dal profumo di menta e rosmarino caldi, come se 151
fosse entrato in una cucina con erbe aromatiche a sobbollire sui fornelli. Le lampade basse facevano assomigliare il vialetto a una pista d'atterraggio e gettavano una luce giallognola tutt'intorno. Il melo era un'ombra scura in fondo al giardino; fremeva leggermente, come la pelliccia di un gatto addormentato. Trovò Claire nell'orticello delle erbe aromatiche, una vista che lo fece restare di sasso. La fascia bianca le teneva indietro i capelli corti, era inginocchiata e indossava una lunga camicia da notte candida con spalline. Tyler poteva intuire il movimento del suo seno mentre tormentava la terra con un rastrello. D'improvviso sentì il bisogno di chinarsi e poggiare le mani sulle ginocchia, respirando profondamente. Sydney aveva ragione. Era senza speranza. Quando finalmente se la sentì di rimettersi in piedi senza svenire, si diresse piano verso Claire cercando di non spaventarla. Le era ormai quasi accanto quando lei smise di rastrellare attorno alle piante. Alcune foglie erano scure, bruciate, altre parevano appassite, come se fossero state esposte a una fonte di calore. Claire si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi rossi. Buon Dio, stava piangendo? Le lacrime erano il punto debole di Tyler; tutti i suoi studenti lo sapevano. Bastava la lacrima di una matricola troppo carica di compiti per riuscire a terminare pure quello assegnato da lui, ed eccolo pronto non solo a concedere più tempo, ma anche a offrirsi di parlare ai colleghi. Nel vederlo, Claire distolse lo sguardo. "Vattene, Tyler." "Cosa c'è che non va?" "Niente", tagliò corto lei tornando a occuparsi delle erbacce. "Non piangere, ti prego." "E a te che importa? Tu non c'entri." "E invece voglio entrarci." "Ho battuto il pollice. Fa male. Ahi." "Sydney non mi avrebbe telefonato se si fosse trattato solo di un pollice dolorante." 152
Ecco. Aveva toccato il tasto. La testa di Claire si alzò di scatto. "Ti ha telefonato?" "Ha detto che eri sconvolta." In un primo momento Claire parve lottare con le parole, poi le recuperò in fretta. "Non posso crederci! Si sentirà la coscienza più leggera sapendoti qui, quando deciderà di andarsene? Anche tu te ne andrai. Non lo sa? No, non lo sa, perché è sempre lei quella che se ne va. Nessuno ha mai lasciato lei." "Sta per andarsene?" domandò Tyler confuso. "Sto per andarmene?" Le labbra di Claire tremavano. "Ve ne andate tutti. Mia madre, mia nonna, Sydney... Persino Evanelle ha qualcun altro, ora." "Prima di tutto, io non vado da nessuna parte. Secondo, dove starebbe andando Sydney?" Claire distolse lo sguardo. "Non lo so. Temo solo che lo faccia." Le piacciono le cose che restano, gli aveva detto Sydney. Claire era stata abbandonata troppe volte per riuscire ad affezionarsi di nuovo a qualcuno. Una rivelazione che lo fece crollare in ginocchio. Le gambe gli vennero letteralmente meno. Quante cose acquistavano ora un senso! Aveva vissuto accanto a casa Waverley abbastanza a lungo da sapere che la leggenda aveva un qualche fondamento, ma su un punto Anna aveva ragione: Claire era una persona come tutte le altre. Soffriva come chiunque altro. "Oh, Claire." "Non guardarmi così." "Non posso farne a meno", replicò lui allungando la mano a sfiorarle i capelli. Si era aspettato che si ritraesse, invece, con sua grande sorpresa, Claire si appoggiò alla mano, gli occhi chiusi. Sembrava smisuratamente vulnerabile. Tyler si avvicinò un poco alla volta, sollevando anche l'altra mano verso i capelli di lei. Le loro ginocchia si toccavano. Claire si chinò in avanti fino a poggiargli la testa sulla spalla. Aveva capelli morbidissimi e Tyler vi fece scorrere le dita, toccandole poi le spalle. Era morbida dappertutto. Pur non sapendo con esattezza di cosa avesse bisogno, le strofinò la schiena cercando di darle un po' di conforto. 153
Claire si ritrasse quasi subito e lo fissò. Aveva gli occhi colmi di lacrime; Tyler le asciugò le guance con i pollici. Lei gli portò le mani al volto, toccandolo come lui faceva con lei. Con le dita delineò il contorno delle labbra, e mentre si avvicinava per baciarlo Tyler poté solo stare a guardare, come al di fuori di se stesso. Sarebbe da stupidi svenire proprio adesso, si disse. Però lei mise fine al bacio e si tirò indietro. In quel momento Tyler tornò in sé e pensò: No! Non voleva lasciarla andare via e con le labbra la trovò, di nuovo. Trascorsero così alcuni minuti, i cuori che battevano sempre più forte, le mani che frugavano ovunque. A un certo punto Tyler dovette ricordare a se stesso che si trattava di lei, non di lui, del suo dolore, non del proprio piacere. Ma Claire non si stava affatto lamentando, pensò sussultando mentre gli mordeva il labbro inferiore. "Dimmi di fermarmi", le mormorò. "Non ti fermare", bisbigliò Claire iniziando a baciargli il collo. "Puoi fare di meglio." Poi, con dita tremanti e maldestre, si mise ad armeggiare con i bottoni della sua camicia. Quando finalmente riuscì a slacciarla, gli toccò il petto, facendo scivolare le mani sulla schiena. Lo abbracciò e gli appoggiò la guancia sul cuore. A quel contatto Tyler sentì la pelle tendersi, l'aria gli sibilò tra i denti. Era quasi doloroso, eppure così bello... Quell'energia, quell'eccitante frustrazione che si diffondevano sotto la pelle. Era troppo. Non riusciva ad assorbire tutto. Probabilmente ne morrò, pensò ebbro. Quello sì che era un bel modo di morire. Si liberò della camicia senza che Claire lo lasciasse andare; la baciò ancora. Lei lo spinse a terra, ma le loro labbra non si staccarono nemmeno per un attimo. Tyler era sdraiato su qualche erba aromatica, forse timo, e la schiacciava con il proprio peso mentre il profumo si propagava tutt'intorno... Quella situazione di familiarità da dove gli veniva? Claire si fermò a riprendere fiato. Era a cavalcioni su di lui, gli poggiava le mani sul petto, gli trasmetteva impulsi erotici. Aveva ancora le guance rigate di lacrime. "Oh, no, ti prego, non 154
piangere. Per favore. Farò qualsiasi cosa." "Qualsiasi?" "Sì." "Mi prometti che domani non ricorderai più niente di tutto questo? Che domani ti sarai dimenticato tutto?" Tyler esitava. "È questo che vuoi?" "Sì." "Allora sì." Claire si sfilò la camicia da notte, e all'improvviso respirare fu di nuovo difficile. Le mani di Tyler salirono fino a toccarle il seno, e l'urgenza di quel contatto la fece gridare. Tyler si ritrasse subito. Gli sembrava di essere tornato adolescente. "Non so cosa fare", bisbigliò. Claire si abbassò sul suo petto, premendovi il seno. "Non andartene." La circondò con le braccia e, facendola rotolare sulla salvia, invertì le posizioni. Di nuovo quella sensazione familiare... La baciò con foga, mentre lei lo afferrava per i capelli e lo serrava fra le gambe. Non poteva fare l'amore con lei, non in quel momento. Non era lucida, e gli aveva chiesto che non vi fosse alcun domani. Lo aveva pregato di dimenticare tutto. "No, non fermarti", gli sussurrò Claire quando smise di baciarla. "No, non mi fermo", mormorò Tyler baciandole il collo; i suoi pollici si insinuarono sotto i semplici slip bianchi di lei. I muscoli addominali di Claire sussultarono mentre lui glieli sfilava. Cominciò a baciarle i seni, prese un capezzolo in bocca. E gli sembrò di averlo già fatto. Non capiva. Non aveva mai fatto l'amore con lei. Poi ricordò. Il sogno. L'aveva sognato. Sapeva con esattezza cosa stava per accadere, il profumo che li circondava, il sapore di Claire. Tutto in Claire urlava: "Destino..." E tutto ciò che l'aveva condotto a Bascom, all'inseguimento di sogni mai divenuti realtà, lo aveva portato a quel momento. L'unico sogno mai realizzato. 155
La mattina successiva Claire percepì un sibilo d'aria e udì un'eco sorda provenire dal terreno. Aprì gli occhi e vide una piccola mela a una spanna dal suo viso. Un altro tonfo, ed ecco un altro frutto. Si era di nuovo addormentata all'aperto. Le succedeva talmente spesso che non vi faceva nemmeno caso. Si mise a sedere, scuotendosi la terra dai capelli, e con un gesto automatico allungò una mano per prendere gli utensili da giardino. Qualcosa non tornava. Prima di tutto, il terreno su cui aveva fatto leva per alzarsi era morbido, caldo. E l'aria sulla pelle le sembrava più fresca del solito. Si sentiva un poco... Abbassò lo sguardo. Boccheggiò. Era nuda! E il terreno morbido e caldo accanto a lei era Tyler! Aveva gli occhi aperti e sorrideva. "Buon giorno." Ogni cosa le tornò alla mente, ogni umiliante, catartica, erotica cosa che Tyler le aveva fatto. Poi si rese conto che se ne stava lì seduta, completamente nuda, a fissarlo come un'idiota. Si affrettò a coprirsi il seno con un braccio e si guardò intorno in cerca della camicia da notte. Tyler vi era sdraiato sopra. Lei la strattonò e lui si mise a sedere. Se la infilò, gustando quel breve attimo in cui poté nascondere il viso. Oh, Dio. Dov'erano gli slip? Li scorse vicino al proprio piede e li afferrò. "Non dire niente", intimo mentre si alzava in piedi. "Mi hai promesso che avresti dimenticato. Non dire nemmeno una parola." "Okay", rispose lui senza smettere di sorridere, strofinandosi gli occhi con aria assonnata. Claire lo fissò di nuovo. Tra i capelli aveva della terra e un po' di timo. Indossava i calzoncini, ma era a petto nudo. Aveva il corpo ricoperto di macchie rosse, i segni delle bruciature che lei gli aveva provocato, eppure non sembrava farvi caso. Non in quel momento. Come aveva potuto amarla tutta la notte senza cercare piacere per se stesso, pensando soltanto a lei? Claire si voltò e iniziò a percorrere il vialetto, fermandosi quando lo udì 156
dire: "Prego". Per una qualche ragione, si sentì meglio. Tyler si stava comportando da stronzo. Si aspettava di essere ringraziato. Claire si voltò. "Come, scusa?" "Lo hai scritto tu, qui", rispose lui indicando il terreno lì vicino. Spinta dalla curiosità, Claire tornò indietro. Là, per terra, si leggeva la parola Grazie. In rilievo. Le sfuggì un brontolio frustrato. Raccolse una mela e la scagliò con tutte le forze verso l'albero. "Non l'ho scritto io", dichiarò, e fuggì via. Spesse gocce di pioggia presero a cadere mentre Claire lasciava il giardino. E quando raggiunse la casa, si aprirono le cateratte del cielo.
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Quella sera Fred guidò sotto la pioggia pensando a James. Se lo concedeva unicamente quando era solo, per paura che qualcuno potesse vederlo e capisse cosa gli passava per la testa. Fred aveva sempre saputo di essere gay, ma si era convinto di avere finalmente capito il perché il primo anno alla Chapel Hill University, quando aveva incontrato James. Era destino che stesse con James. La madre di Fred era morta nel proprio letto quando lui aveva quindici anni; il padre se ne era andato seduto al tavolo della cucina mentre il figlio era al college. Era stato allora che aveva dovuto abbandonare gli studi e lasciare James per tornare a casa e rilevare l'attività paterna. L'aveva interpretato come l'ultimo colpo basso del genitore, inteso a strapparlo da qualcosa che finalmente gli procurava gioia, indipendentemente da ciò che pensava la gente. Tuttavia, dopo un addio straziante, con sua grande sorpresa tre settimane più tardi James si era presentato a Bascom. Non avendo altro da fare, aveva preso a frequentare le lezioni all'Orion mentre Fred gestiva il negozio. Dopo essersi laureato in economia si era trovato un lavoro a Hickory e aveva cominciato a fare il pendolare. Nel corso degli anni aveva incoraggiato Fred a liberarsi di tutto ciò che gli ricordava il padre e l'approvazione tanto crudelmente negata. Era James a spronarlo: "Andiamo a mangiare fuori. Andiamo al cinema. Vediamo se la gente di questa città osa dire qualcosa". Così quello che all'inizio era nato come il colpo di testa di due ventunenni che, finita la scuola, erano andati a vivere insieme, si era trasformato in una relazione più che trentennale. A Fred era sembrato che quegli anni fossero passati con la stessa velocità con cui si scorre un romanzo per scoprire che il finale non è come ci si era aspettati. Quanto avrebbe voluto aver prestato più attenzione alla storia. Quanto avrebbe voluto aver prestato più attenzione al narratore. Raggiunse la casa di Evanelle. Aveva dimenticato l'ombrello, quindi dovette correre fino al portico. Si fermò sulla porta per togliersi la giacca e le scarpe bagnate. Non voleva far gocciolare l'acqua sui bei pavimenti della padrona di casa. Entrò e, non vedendo Evanelle da nessuna parte, la chiamò. 158
"Sono quassù", udì gridare. Fred seguì la voce fino in soffitta. Evanelle cercava di togliere la polvere lasciata dai muratori, ma era come tentare di spazzare degli uccellini che svolazzavano convulsamente non appena li si toccava. Indossava una mascherina bianca perché a ogni colpo di ramazza lanciava in aria uccellini di polvere rendendo tutto quanto opaco, fumoso. "Ti prego, lascia stare. Non devi stancarti", disse Fred. La raggiunse in un attimo e le tolse la scopa dalle mani. Essere lasciati ti fa dubitare della capacità di mantenere i legami con le persone, anche con gli amici. Voleva che Evanelle fosse felice di averlo lì; voleva fare il possibile per aiutarla. Non avrebbe sopportato di perdere anche lei. "Puliranno gli operai appena avranno finito." Evanelle aveva ancora la mascherina sulla bocca: la pelle intorno agli occhi si era increspata in un sorriso. "Sta venendo proprio carino qui, non trovi?" "È fantastico, starò benissimo." Certo, non appena vi avesse portato le proprie cose. Questo però avrebbe significato ritornare a casa sua, cosa che aveva cercato di evitare. "Che c'è?" indagò Evanelle tirando su la mascherina e lasciandosela sulla testa come un berretto. "Oggi mi sono fatto portare a casa qualche scatolone. Ho deciso che è arrivato il momento di tornarci e di iniziare a impacchettare. Pensavo di affittarla. Tu che ne pensi?" Fred era ansioso di conoscere l'opinione dell'amica. "È una buona idea. Lo sai che puoi stare da me finché vuoi. Adoro averti qui." Fred si lasciò sfuggire una risata, pesante per le lacrime che tratteneva in gola. "Adori avere tra i piedi uno sciocco con il cuore infranto?" "Alcune delle persone migliori che conosco sono sciocche", replicò tranquilla Evanelle. "Le persone più forti, a dire il vero." "Non so quanto forte riuscirò a essere." "Credimi, anche Phineas Young si sentirebbe in soggezione. Vuoi che ti accompagni?" 159
Fred annuì. Lo desiderava più di quanto potesse ammettere. Era la prima volta che ritornava a casa da quando James se n'era andato portando via le proprie cose. Fred lasciò scorrere lo sguardo nel soggiorno. Era strano trovarsi lì, e non voleva trattenersi più del necessario. Senza James quel posto non era più casa sua, solo un mucchio di brutti ricordi del padre. Evanelle camminava dietro di lui, le scarpe che scricchiolavano sul parquet. "Caspita", esclamò. "Questo posto è di sicuro molto meglio dell'ultima volta che l'ho visto. Tua madre era appena morta, che riposi in pace. Amava proprio i quadri su Gesù! " Allungò la mano e accarezzò lo schienale di una sedia da lettura in morbida pelle. "Hai delle cosine davvero carine." "Mi spiace non averti mai invitata. Lasciavo che fosse James a occuparsi di tutto." "Non preoccuparti. Nessuno mi invita mai da nessuna parte. È un dato di fatto." "E invece dovrebbero", replicò Fred lanciandole un'occhiata curiosa. "Sei una brava persona." "Ormai non posso farci nulla. Tutto iniziò nel 1953. Cercai di oppormi, ma, capisci, quando devo dare qualcosa a qualcuno, devo farlo e basta. Altrimenti divento pazza." "Cosa accadde?" "Dovevo dare dei profilattici a Luanna Clark, e nel 1953 non se ne trovavano a Bascom. Fui costretta ad andare fino a Raleigh per comprarli. Mio marito mi accompagnò in auto ma continuava a ripetermi che era una cattiva idea. Però non potevo farne a meno." Fred si ritrovò a ridere. "Be', nel 1953 regalare preservativi non era poi così terribile, no?" "Non era tanto il cosa, ma a chi. Il giorno dopo, in chiesa, dissi a Luanna che avevo qualcosa da darle, e che volevo farlo in privato. Lei era con le amiche e, con la sua solita puzza sotto il naso, mi rispose: 'Allora dammela, Evanelle'. Come se le fosse dovuto... Lo sai che i Clark e i Waverley non sono mai andati d'accordo. Comunque, glieli diedi, proprio 160
sotto gli occhi delle sue amiche. Oh, stavo per dimenticare la parte più importante! Il marito di Luanna aveva perso gli attributi in guerra. Be', a quel punto dissi addio al mio buon nome, ma le cose addirittura peggiorarono quando l'anno seguente Luanna rimase incinta. Avrebbe dovuto usare quei preservativi. Da allora tutti mi guardarono in modo strano, come se stessi per rivelare i loro segreti. Non proprio il genere di persona che si invita a cena, ecco. Non che me ne sia mai importato molto, per lo meno non fino a quando mio marito se ne è andato." Quell'anziana donna era la sua eroina, poco ma sicuro. Sei quello che sei, ti piaccia o no. E allora perché non fartelo piacere? Fred si avvicinò e le porse il braccio. "Evanelle, sarei onorato di prepararti una bella cena. Una cosetta solo per noi." Evanelle lo prese sottobraccio ridendo. "Sei unico."
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11 "Se hai bisogno, Henry, Bay e io saremo al Lunsford's Reservoir. La governante rimane con il nonno fino alle cinque, quindi Henry ci riaccompagnerà prima di quell'ora. Non più tardi delle cinque", disse Sydney, nel tentativo di calmare la sorella. "Torneremo." Claire chiuse il cestino da picnic, ne sollevò i manici e lo porse a Sydney: doveva averla proprio spaventata la notte di una settimana prima. Ma finché avesse finto che era tutto a posto, forse lo sarebbe stato davvero. Durante quella settimana Sydney e Henry avevano trascorso molto tempo insieme, per lo più cene con Bay. La domenica erano andati al cinema. Claire si sforzò di ripetersi che era una buona cosa. Impiegava le ore di solitudine per preparare conserve, strappare le erbacce in giardino e mettersi alla pari con le scartoffie: tutte cose tranquille, di routine. Ne aveva bisogno. Erano i suoi punti fermi. "Sei sicura che starete bene?" chiese, seguendo Sydney fuori dalla cucina. "Certo. Perché non dovremmo?" "È un bel po' fuori mano e sarete completamente soli." Sydney si mise a ridere e posò il cestino davanti all'ingresso. "Saremo già fortunati se troveremo un posto per sederci a pranzare. Il lago è sempre affollato d'estate." "Anche di lunedì?" "Anche di lunedì." "Oh", disse Claire imbarazzata. "Non lo sapevo. Non ci sono mai stata." "Perché non vieni con noi?" propose Sydney, come faceva ogni volta che usciva. "No." "Ma sì!" insisté Sydney afferrando le mani della sorella. "Per piacere, smettila di dirmi sempre di no. Sarà divertente. Hai vissuto qui praticamente tutta la vita e non sei mai stata al lago. Prima o poi ci vanno 162
tutti. Dai! Per favore." "Non credo sia una buona idea." "Voglio davvero che vieni con noi", la spronò Sydney stringendole speranzosa le mani. Claire provò un'inquietudine familiare, o forse si trattava di un inquietudine ereditata. Era la stessa reazione che aveva sempre la nonna al pensiero di trovarsi in mezzo alla gente: sembrava che volesse farsi piccola come un bruco finché la minaccia non fosse passata. Con il lavoro era diverso. Claire non socializzava quando lavorava. Comunicava. Diceva ciò che occorreva oppure taceva e basta. Sfortunatamente, non ci si poteva comportare così quando si era con altre persone: sarebbe sembrata scortese, altera. Invece si trattava solo di un sincero e disperato tentativo di non fare né dire niente di stupido. "Sono sicura che tu e Henry vorrete passare del tempo insieme." "No, non vogliamo", ribatté Sydney, a un tratto seria. "Siamo solo amici. Da sempre. È questo che mi piace di lui. È per Bay. Hai preparato il picnic, almeno devi venire a mangiare. Forza, vatti a cambiare." Claire non riusciva a credere di stare davvero considerando l'offerta. Si guardò i pantaloni alla pescatora e la camicia senza maniche. "E che dovrei mettermi?" "Pantaloncini. O un costume, se vuoi fare il bagno." "Non so nuotare." Sydney sorrise, come se già lo sapesse. "Vuoi che ti insegni?" "No!" si affrettò a rispondere Claire. "Cioè, no, grazie. Non mi fanno impazzire le grandi distese d'acqua. Bay sa nuotare?" Sydney andò in soggiorno, dove aveva lasciato due coperte e una borsa da spiaggia piena di asciugamani. Portò tutto nell'ingresso, vicino al cestino da picnic. "Sì, ha preso lezioni a Seatlle." Claire drizzò le orecchie. "Seattle?" Sua sorella fece un respiro profondo e annuì. Non se l'era fatto sfuggire. Glielo aveva detto apposta. Un primo passo. "Già, Seatlle. È lì che è nata." Fino a quel giorno aveva menzionato New York, Boise e Seattle. Tutte 163
città molto più a nord di dov'era arrivata la loro madre. Lorelie si era diretta a ovest dopo avere lasciato Bascom. Claire era nata a Shawnee, in Oklahoma. Forse a Sydney e Bay erano accadute brutte cose, di cui ancora Sydney non voleva parlarle, ma il benessere della figlia era sempre stato, ed era ancora, una priorità. Dopotutto l'aveva iscritta a un corso di nuoto. Bastava quello a renderla una madre migliore di quanto Lorelei non fosse mai stata. Si udì un colpo di clacson e Sydney gridò: "Sbrigati, Bay!" La bambina corse giù per le scale. Sotto un prendisole giallo indossava un costume da bagno. "Finalmente", esclamò precipitandosi fuori dalla porta. "Okay, non cambiarti." Sydney prese un cappello di stoffa rosa dalla borsa e lo mise in testa a Claire. "Perfetta. Andiamo." E la trascinò letteralmente fuori di casa. Henry fu lieto che Claire si fosse unita al gruppo. Sydney diceva che erano solo amici, ma la sorella non era sicura che per lui fosse lo stesso: a volte, mentre guardava Sydney, tutto il suo corpo sembrava diventare trasparente, perdersi in lei. Claire e Bay si erano accomodate sul sedile posteriore del pick-up e Sydney stava per sedersi su quello anteriore quando si mise a gridare: "Ciao, Tyler!" Claire si girò di scatto e lo vide scendere dalla jeep parcheggiata di fronte a casa sua. Indossava pantaloncini in stile cargo e una bizzarra camicia hawaiana. Era la prima volta che lo rivedeva dopo quella notte in giardino, e le si mozzò il fiato. Come ci si comporta dopo una cosa del genere? Come si fa a vivere e ad andare avanti dopo tanta intimità? Era come confidare un segreto a qualcuno, per poi pentirsi subito di averlo fatto. Il solo pensiero di dover parlare con lui la fece diventare rossa come un peperone. "Stiamo andando al lago per un picnic. Vuoi venire?" lo invitò Sydney. "Che stai combinando?" sbottò Claire. Henry le lanciò un'occhiata incuriosita dallo specchietto retrovisore. "Ti insegno a nuotare", rispose Sydney enigmatica. 164
"Ho lezione stasera", urlò Tyler di rimando. "Torneremo in tempo." "Allora sono dei vostri", disse Tyler, e li raggiunse. Quando Claire vide che la sorella stava per aprire la portiera posteriore, per poco non si fece male nella fretta di scavalcare Bay in modo che la nipote stesse seduta in mezzo, una specie di paracolpi fra lei e Tyler. Si sentì ridicola quando lui si accinse a salire e la vide. "Claire!" esclamò, fermandosi di colpo. "Non sapevo ci fossi anche tu." Quando finalmente Claire trovò il coraggio di sostenere il suo sguardo, non vi trovò nulla di sotteso, nessun segnale a rivelare che stesse pensando al suo segreto. Era semplicemente Tyler. Avrebbe dovuto sentirsi sollevata o ancora più preoccupata? "Allora, cos'è questo posto?" le chiese lui non appena furono partiti. Claire si sforzò di pensare a qualcosa di normale da dire. Non poteva certo confessargli di non esserci mai stata, né di non essere mai stata a un picnic che non fosse per lavoro. Ma, tra tutte le persone in auto, Tyler era l'ultimo che si sarebbe sorpreso davanti alla sua confusione. Dacché l'aveva conosciuta era stata una contraddizione continua: vattene, avvicinati; ne so abbastanza, ne so pochissimo; posso gestire qualsiasi cosa, guarda come sono fragile. "Non ci sono mai stata", si decise quindi ad ammettere. "Domandalo a Sydney, è lei il capo." Sydney si voltò. "È un laghetto artificiale molto frequentato. In estate ci vanno a fare il bagno un sacco di adolescenti e famiglie con bambini piccoli. La sera invece diventa un ritrovo per coppiette." "E tu come lo sai?" le chiese Tyler. Sydney ridacchiò e inarcò le sopracciglia. "Ci andavi la sera? " le domandò Claire. "La nonna lo sapeva?" "Scherzi? Raccontava che da ragazza ci andava sempre anche lei." "A me non l'ha mai detto." "Probabilmente si preoccupava per tutte le mosche che ti sarebbero entrate nella bocca spalancata." Claire chiuse di colpo la bocca. "Non credevo facesse quel genere di 165
cose." "Tutti fanno quel genere di cose almeno una volta nella vita. È stata giovane anche lei." Claire lanciò un'occhiata furtiva a Tyler. Sorrideva. Anche lui era stato giovane. Claire si era sempre domandata come ci si sentisse.
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Il Lunsford's Reservoir si trovava tra i novanta acri di fitti boschi ereditati da una lunga discendenza di indolenti Lunsford. Cercare di tenere lontana la gente era un impegno troppo oneroso, e se l'avessero trasformato in un parco la manutenzione si sarebbe rivelata una vera seccatura. Oltretutto erano in pieno Sud rurale, ragion per cui sarebbero stati al centro della disapprovazione generale se avessero venduto la proprietà di famiglia o, peggio, l'avessero ceduta allo Stato. Così avevano piazzato cartelli di ACCESSO VIETATO, bellamente ignorati da tutti, e avevano lasciato le cose come stavano. Il parcheggio era collegato al lago da un sentiero lungo circa un chilometro. Per l'intero tragitto Tyler camminò dietro Claire, che si sentiva particolarmente consapevole del proprio corpo, delle parti che lui aveva sfiorato, cose che la riguardavano e di cui nessun altro sapeva niente. Credeva di sentire gli occhi di lui su di sé eppure, quando lo osservava di nascosto, Tyler stava sempre guardando altrove. Forse voleva che così fosse. Forse era così che ci si comportava dopo essere stati in intimità. Se confidi un segreto a qualcuno, che sia imbarazzante oppure no, si crea un legame. Quella persona significa qualcosa per te semplicemente perché sa. Alla fine il sentiero si allargò e il chiasso li investì. Si trovarono dinanzi un lago con una spiaggia naturale da un lato e, dall'altro, un alto promontorio ricoperto di pini, sui cui rami i bambini salivano per tuffarsi in acqua. In effetti Sydney aveva ragione, c'era tantissima gente, comunque riuscirono a trovare un posto per stendere le coperte. Claire aveva preparato involtini di avocado e pollo e pesche in pastella; Sydney aveva portato patatine al formaggio e Coca-Cola. La compagnia si sedette a mangiare e a chiacchierare, e diverse persone passarono a salutare. Per lo più clienti di Sydney, che venivano a dirle quanto si sentissero più sicure di sé con il nuovo taglio, che piacevano di più ai mariti, che i meccanici non le imbrogliavano più sui prezzi delle riparazioni. Claire era davvero orgogliosa della sorella. Non appena finito di mangiare Bay pretese di andare a fare il bagno, così sua madre e Henry l'accompagnarono in acqua. Claire e Tyler rimasero soli. "Bene, preparati. Ti racconto una storia", iniziò lui sdraiandosi sulla coperta, le mani dietro la testa. 167
Claire era seduta su un'altra coperta, abbastanza vicino da poterlo guardare dall'alto in basso. Si rese conto proprio allora di un segreto riguardante Tyler di cui era a conoscenza: sapeva che aspetto aveva sotto di lei. "Cosa ti fa pensare che voglia ascoltarla?" "O questo oppure mi devi parlare. Sono convinto che tu preferisca sentire la storia." "Tyler, è solo che..." "Dunque... da ragazzino, andare in piscina era un evento, soprattutto per noi del paese, perché stavamo a quindici chilometri buoni dalla città ed eravamo piuttosto isolati. Avevamo una compagna di scuola, Gina Paretti. Da quando si era sviluppata, noi maschietti non capivamo più niente: se passava per i corridoi ci faceva letteralmente ammutolire, non riuscivamo più a parlare per giorni. D'estate Gina trascorreva tutte le giornate in piscina, così quando compii sedici anni iniziai ad andarci ogni volta che potevo, solo per ammirare... lei in bikini. Verso la fine della stagione mi decisi a provarci. Non ce la facevo più... fantasticavo su di lei da mesi. Non mangiavo, non dormivo. Dovevo parlarle. Mi tuffai per farmi notare, tipico dei maschietti, poi uscii e la raggiunsi. Insomma, me ne stavo lì, in piedi davanti a lei, a coprirle il sole. Ero ancora così giovane da pensare che dare fastidio a una ragazza fosse il modo giusto per dirle che mi piaceva. Finalmente lei aprì gli occhi, mi guardò e... si mise a strillare. Uscendo dall'acqua il costume mi era scivolato giù, moooolto in basso. Insomma, mi stavo... esibendo. Per poco non mi arrestavano." Claire non se l'aspettava e scoppiò a ridere. Era una bella sensazione. Strana ma bella. "Dev'essere stato terribile." "Non proprio. Tre giorni dopo mi chiese di uscire con lei. E pensa che da quel giorno in piscina ho iniziato a ricevere un sacco di attenzioni dalle ragazze", rispose Tyler pavoneggiandosi. "È successo davvero?" "Ha importanza?" replicò lui facendole l'occhiolino. "Grazie per avermela raccontata", disse Claire ridendo di nuovo. "Non hai che da chiedere, e tutte le mie umiliazioni saranno tue." "Umiliante o no, è una storia normale. Eri un adolescente come tanti: passavi le estati in piscina. Magari sei anche andato a imboscarti in quei 168
posti dove vanno tutte le coppiette. Tu e Sydney sareste andati d'accordo." "Tu non eri un'adolescente come le altre?" "No", rispose lei semplicemente, e la cosa non lo sorprese. "Henry era come me. Eravamo due ragazzini che accettavano il loro retaggio nonostante la giovane età." Tyler si tirò sui gomiti, spostando lo sguardo sul bagnasciuga, dove Henry e Sydney sorvegliavano Bay. Qualcuno sulla spiaggia chiamò Sydney, e lei, dopo aver detto qualcosa a Henry e averne ricevuto un segno di approvazione, raggiunse un gruppetto di signore. "Ti scoccia che tua sorella esca con lui?" "Non esce con lui. E poi perché dovrebbe dispiacermi?" Claire lo disse quasi sulla difensiva: non voleva fargli capire quanto la turbasse che Sydney passasse tanto tempo con Henry. Quella notte, in giardino, era stato un momento di debolezza. Sapeva di essere più forte. "Solo non voglio che tu rimanga delusa. Ci si trova in una posizione difficile quando si è interessati a qualcuno che però non ci ricambia." Claire si rese conto che si erano fraintesi. "Henry non mi interessa!" "Bene", replicò Tyler alzandosi in piedi e sfilandosi le scarpe. "Adesso farò una nuotata." "Sei ancora vestito." "Claire, sono tante le cose che amo in te", replicò lui mentre sollevava le braccia sopra la testa per togliersi la maglietta, "però pensi troppo." Corse verso l'acqua e si tuffò. Aspetta. Cosa aveva detto? L'amava? O era solo un modo di dire? Cos'avrebbe dato Claire pur di comprendere quei giochetti! Così, forse, avrebbe potuto prendervi parte anche lei. E magari gestire i sentimenti per Tyler, che a volte la pizzicavano e altre l'accarezzavano, facendola al contempo soffrire e stare bene. Henry stava ancora sorvegliando Bay, così Sydney tornò dalla sorella e le sedette accanto. "Era Tyler quello?" "Sì", rispose Claire osservando la testa di lui che riemergeva dall'acqua. Tyler la scosse e i capelli scuri gli svolazzarono intorno per poi appiccicarsi al viso. Bay lo stava prendendo in giro, Tyler la raggiunse e cominciò a schizzarla. Dal bagnasciuga Henry urlò loro qualcosa; i due si 169
fermarono un momento, si guardarono e alla fine si misero a schizzare anche lui. Dopo un istante di esitazione, Henry si tolse le scarpe, si sfilò la maglietta e si tuffò per raggiungerli. "Wow", esclamò Sydney. "Certo che il latte fa proprio bene, eh!" "Sai, c'è una ragione se sono come sono", sbottò Claire, perché sentiva di doverlo spiegare a qualcuno. La sorella afferrò una lattina di Coca-Cola e la guardò incuriosita. "Per i primi sei anni della mia vita, io e la mamma non avevamo una casa. Dormivamo in auto e nei ricoveri per senzatetto. Lei rubacchiava qua e là e aveva molti amanti. Non l'avevi mai saputo, vero?" Sydney era rimasta con la lattina a mezz'aria, impietrita. Scosse lentamente il capo e riabbassò la Coca-Cola. "A volte avevo l'impressione che tu ti fossi costruita una visione romantica della sua vita prima del ritorno a Bascom. Non so se avesse intenzione di rimanere, ma quando arrivammo qui seppi che io non me ne sarei mai più andata. La casa e nonna Waverley erano punti fermi, e non sognavo altro. Poi, però, arrivasti tu, e io ero gelosa. A te quella sicurezza era stata garantita sin dalla nascita. È colpa mia se il nostro rapporto da bambine è stato quel che è stato. Litigavo apposta perché tu eri di qui, e io no. Mi dispiace. Mi dispiace di non essere una brava sorella. Mi dispiace di non essere buona con Tyler. So che tu lo vorresti, ma proprio non ci riesco. Non riesco a togliermi dalla testa che tutto è effimero, e ho paura della transitorietà. Ho paura che le persone mi abbandonino." "La vita è esperienza, Claire", mormorò infine Sydney. "Non puoi rimanere attaccata alle cose." Claire scosse il capo. "Potrebbe essere troppo tardi per me." "No, non lo è." D'improvviso Sydney, furiosa, batté la mano sulla coperta accanto a lei. "Com'è possibile che la mamma la ritenesse la vita adatta a una bambina? È imperdonabile. Mi vergogno di me stessa per averla invidiata, e ci sono volte che penso di essere diventata proprio come lei. Ma non ti abbandonerò. Mai. Guardami, Claire. Io non me ne andrò." "A volte mi chiedo che ragioni avesse. Era una donna intelligente. Evanelle mi ha detto che era una studentessa modello prima di lasciare la scuola. Dev'essere successo qualcosa." 170
"Qualunque fosse la ragione, non ci sono scusanti per averci complicato la vita in questo modo. Possiamo superarlo, Claire. Non dobbiamo lasciarla vincere. Va bene?" Era più facile a dirsi che a farsi, tuttavia Claire concordò. "Va bene." Poi si chiese come sarebbe mai riuscita a superare qualcosa che aveva impiegato decenni a perfezionare. Le due sorelle fissarono l'acqua per un po'. Bay si era stancata, così nuotò sino alla spiaggia e raggiunse Claire e Sydney. Henry e Tyler erano ancora lì a giocare, ognuno impegnato a cercare di ottenere lo spruzzo più imponente. "Guardate quei due", disse Sydney. "Sono proprio dei ragazzini." "È carino", commentò Claire. Sydney la cinse con un braccio. "Già. È così."
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Mentre Sydney e Claire si godevano il lago, Emma Clark Matteson si preparava a trascorrere del tempo di qualità con il marito. La scrivania nell'ufficio di Hunter John non era comoda come quella dello studio di casa. La tinteggiatura scura alle pareti e l'orribile scrivania in metallo si trovavano lì dai tempi in cui era il padre di Hunter John a occuparsi degli affari. Emma si ritrovò a ridere al pensiero di Lillian, sua suocera, che andava in fabbrica a salutare John Senior a quel modo. Se l'avesse fatto, di certo avrebbe cambiato la scrivania. Il metallo era odiosamente scomodo sotto le chiappe nude. La ragazza della reception le disse che Hunter John stava facendo il giro di uno degli impianti e che sarebbe tornato di lì a poco. Perfetto. Emma avrebbe avuto tutto il tempo di spogliarsi e di adagiarsi sulla scrivania con indosso solo le calze, le giarrettiere e un fiocco rosa intorno al collo. Non gli aveva mai fatto una sorpresa simile in ufficio. Oh, certo, era già stata a portargli il pranzo e ogni tanto si erano abbandonati a qualche effusione, però non avevano mai fatto sesso. In effetti vi erano pochissimi luoghi in cui lei e Hunter John non l'avessero fatto. Era proprio un lavoraccio mantenere vivo l'interesse, mantenere l'attenzione del marito concentrata su di sé cosicché lui non pensasse a Sydney o a come la sua vita non fosse esattamente come avrebbe voluto. Emma non si sarebbe mai stancata di cercare di renderlo felice. E comunque il sesso le piaceva. No, lo adorava proprio. Solo che a volte era difficile andare avanti senza sapere se era quello che Hunter John voleva. Lei voleva solo una cosa: che Hunter John l'amasse. Ma, in fin dei conti, se fosse stato altrimenti, avrebbe preferito non saperlo. Meglio così piuttosto che non averlo affatto. Si chiedeva se anche la madre si fosse accontentata. Si chiedeva se ad Ariel fosse mai importato dell'amore. Udì la voce di Hunter John avvicinarsi e aprì un po' di più le gambe. Peccato che a entrare fu il suocero. "Che io sia dannato!" esclamò John Senior. Emma lanciò un urlo e rotolò giù dall'altro lato della scrivania. "Che succede?" chiese Hunter John entrando in ufficio, mentre Emma si precipitava sotto la scrivania e si stringeva le ginocchia al petto. 172
"Credo che lascerò te e tua moglie soli per un po'", brontolò John Senior. "Mia moglie? Dov'è?" "Sotto la scrivania. Ma i suoi vestiti sono laggiù, sulla sedia. Davvero, figlio mio, non è questo il modo di portare avanti gli affari." Emma sentì la porta chiudersi. Poi i passi di Hunter John si avvicinarono e il marito le si inginocchiò davanti. "Porca miseria, Emma! Che ci fai qui?" "Volevo farti una sorpresa." "Non sei mai venuta qui per quello. Perché oggi? Perché proprio nel giorno in cui mio padre ha deciso di piombare all'improvviso in azienda per fare un giro degli impianti e controllare come me la cavo? Mio padre ti ha appena vista nuda! Non posso crederci." Emma gattonò fuori dal nascondiglio. L'opinione del padre era tutto per Hunter John. E lei li aveva appena messi in imbarazzo entrambi. Com'era possibile che le cose degenerassero tanto in fretta? Andava tutto così bene - o, per lo meno, così era sembrato - fino a che Sydney non era tornata. Perché non se n'era rimasta dov'era? "Mi spiace", mormorò raggiungendo i propri abiti e iniziando a rivestirsi. "Cosa ti succede, ultimamente? Mi stai sempre addosso. Non vuoi mai uscire. Mi chiami sedici volte al giorno. E oggi ti presenti in questo modo." Emma s'infilò il vestito e le scarpe con i tacchi. "Ho bisogno di sapere..." Esitò. Che mi ami. "Bisogno di sapere cosa?" "Che resterai con me." Hunter John scosse la testa. "Di che stai parlando?" "Da quando Sydney è tornata non faccio che preoccuparmi..." "Tu stai scherzando", sbottò Hunter John. "Dimmi che stai scherzando. È per colpa di Sydney? Emma, tornatene a casa." Si avviò alla porta senza nemmeno guardarla. "Devo raggiungere mio padre e spiegargli come stanno le cose."
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"Sai cosa mi ha raccontato oggi Eliza Beaufort?" chiese allegra Emma quella sera a cena. "Sydney e Claire Waverley sono state al Lunsford's Reservoir. Ma cosa crede di fare Sydney? La gente della nostra età non ci va. E Claire! Ce la vedi al lago?" Hunter John non levò lo sguardo dal dolce. Era la torta glassata al cioccolato, la sua preferita. Emma l'aveva ordinata apposta per lui. Invece di rispondere alla moglie, si asciugò la bocca e ripose il tovagliolo. "Forza, ragazzi", disse spingendo indietro la sedia. "Andiamo a tirare due calci." Josh e Payton balzarono subito in piedi. Adoravano quando il padre giocava con loro, e Hunter John faceva sempre in modo di avere del tempo da dedicare ai figli. "Vengo anch'io", intervenne Emma. "Aspettatemi, okay?" Così dicendo, si precipitò su per le scale e indossò il bikini rosso, quello che al marito piaceva tanto, ma quando ridiscese non trovò più nessuno. La piscina era proprio fuori dal soggiorno; Emma uscì e raggiunse la balaustrata che dava sul giardino all'inglese. Hunter John e i ragazzi stavano giocando e avevano già i capelli madidi di sudore. Erano le 7,30 di sera, eppure era ancora chiaro e afoso. L'estate era una signora che non rinunciava facilmente alle luci della ribalta. Emma l'aveva compreso. Le piaceva l'estate. I suoi figli non andavano a scuola e il giorno durava tanto che, quando Hunter John tornava a casa dall'ufficio, vi era ancora tempo per fare qualcosa insieme. Non aveva senso bagnarsi i capelli se Hunter John non l'avrebbe guardata nuotare, perciò decise di indossare un sarong e fece il tifo dal patio. Non vedeva l'ora che la stagione del football iniziasse. Le partite del liceo, le domeniche pomeriggio e i lunedì sera davanti al televisore. Era una cosa che facevano insieme come una famiglia, una cosa che Sydney non aveva mai fatto con Hunter John. Sydney andava alle partite, quando lui giocava, ma il football non le era mai piaciuto. Emma invece lo adorava. Lo adorava perché Hunter John lo adorava. Lui però aveva smesso quando non era potuto andare alla Notre Dame. Aveva smesso per causa sua. Quando il sole iniziò a tramontare, Emma uscì con una caraffa di limonata. Hunter John e i ragazzi si dirigevano verso la piscina. 174
"Limon..." Prima che Emma potesse finire, Josh e Payton si erano già tuffati in acqua per rinfrescarsi. Emma scosse il capo bonariamente. Hunter John si stava avvicinando. Sorrise e gli porse un bicchiere. "Limon..." Non riuscì a finire: il marito la sorpassò ed entrò in casa. Non le aveva ancora rivolto la parola dopo l'incidente di quel pomeriggio. I ragazzi non dovevano accorgersi che qualcosa non andava, quindi li lasciò giocare per un po', poi prese degli asciugamani e li fece uscire dall'acqua. Li mandò in camera loro a cambiarsi e a guardare la televisione. Si mise alla ricerca di Hunter John. Era nella doccia sauna; Emma sedette sulla panca dinanzi al box e aspettò. Quando la porta si aprì e lui riemerse dal vapore, lei si sentì mancare il fiato. Le faceva sempre quell'effetto. Era così bello. Si era appena lavato i capelli e si notava bene quanto si fossero diradati, ma a Emma non importava. Lo amava tanto. "Dobbiamo parlare", gli disse. "Devo sapere perché non vuoi mai discutere di Sydney." Suo marito alzò lo sguardo e sobbalzò nel trovarsela davanti. Afferrò un asciugamano e prese a strofinarsi vigorosamente la testa. "Credo che la domanda più importante sia: perché sei ossessionata da lei? Ti sei accorta che Sydney non fa parte della nostra vita? Forse ti è sfuggito che non ci ha fatto nulla?" "Ha fatto fin troppo già solo tornando", replicò Emma. Hunter John si fermò. Aveva ancora il volto nascosto dall'asciugamano. "Come faccio a sapere che non vuoi parlarne perché provi ancora qualcosa per lei? Perché ti è bastato vederla per ricordarti tutte le possibilità che avevi prima che io restassi incinta? Come faccio a sapere che, se tu potessi tornare indietro, faresti le stesse cose? Verresti a letto con me? Mi sposeresti?" Lui si tolse l'asciugamano dalla testa. Visibilmente arrabbiato, le si avvicinò con espressione severa, che le fece martellare il cuore di paura, ma anche di attesa, perché era maledettamente sexy. "Come fai a saperlo?" ripeté incredulo con voce bassa, vibrante. " Come fai a saperlo?" 175
"È stata in molti posti. Hai sempre voluto viaggiare." "Emma, che cos'hai pensato negli ultimi dieci anni? Il sesso e il seno rifatto e i vestitini sexy; le cene perfette e le partite di football... tutto perché credevi che non volessi stare qui con te? Hai mai fatto qualcosa solo perché mi amavi? O per tutto questo tempo non hai fatto che competere con Sydney?" "Non lo so, Hunter John. È così?" "Risposta sbagliata, Emma." E se ne andò.
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"Claire, sei sveglia?" disse Sydney quella sera dalla porta della camera della sorella. E non fu sorpresa quando la udì rispondere: "Sì". Claire non aveva mai dormito molto, da piccola. Restava in giardino fin quando la nonna non la chiamava, e Sydney ricordava che, mentre tutti dormivano, lei era solita fare le pulizie o preparare il pane. La cucina era stata il primo e unico luogo in cui Claire si era sentita davvero sicura, e solo ora Sydney si rendeva conto che così facendo la sorella aveva cercato di rendere quella stanza più sua, o forse di ripagare l'ospitalità in modo da poter restare. Comunque fosse, era doloroso pensare di aver creduto che Claire fosse strana e maniaca dell'ordine, e non aver compreso ciò che aveva passato. Entrò nella camera della sorella, la camera da letto nella torretta che era stata della nonna. Nonna Waverley aveva tappezzato le pareti con arazzi trapuntati, che Claire aveva sostituito con fotografie in bianco e nero e un paio di stampe di famiglia. Le pareti erano giallo pastello e il pavimento ricoperto di tappeti in cotonina stampata. Gli occhi di Sydney corsero al luogo nel quale evidentemente Claire trascorreva buona parte del tempo: il comodo divanetto sotto la finestra. Sul pavimento lì accanto c'erano pile e pile di libri. Sydney si avvicinò al letto e abbracciò uno dei montanti. "Devo dirti una cosa." Claire si mise a sedere sui cuscini. "Riguarda gli ultimi dieci anni." "Va bene", mormorò Claire. Sydney avrebbe potuto cogliere l'occasione alla spiaggia, ma non ne era stata capace. Inconsciamente, aveva aspettato la notte, perché quel genere di cose ha bisogno del buio per poterne parlare. Ora non aveva più alcun dubbio che Claire avrebbe compreso. Doveva dirglielo. David non se ne andava. "Prima sono stata a New York, questo già lo sapevi. Dopo però è stata la volta di Chicago. E poi San Francisco, Las Vegas... e Seattle. Ho conosciuto molti uomini. Sono stata una ladra. Ho assunto il nome di Cindy Watkins, un'identità che ho rubato." "Anche la mamma lo faceva", disse Claire. 177
"Credi lo facesse per provare il brivido? Era eccitante, sì, ma anche estenuante. E poi è arrivata Bay." Sydney sedette ai piedi di Claire, solo per sentirla vicina, per poterla toccare nel caso fosse stata travolta dalla paura. "Suo padre vive a Seattle. È lì che l'ho incontrato. David Leoni." Deglutì, spaventata al solo pronunciarne il nome ad alta voce. "Leoni è il vero cognome di Bay, ma non il mio. Non ci siamo mai sposati. Quando l'ho conosciuto, David era un uomo che faceva paura, però ne avevo già incontrati della stessa risma e credevo di poterlo gestire. Ero pronta a lasciarlo - lo facevo sempre nel momento in cui le cose si mettevano male poi ho scoperto di essere incinta. Non mi ero resa conto di quanto possa rendere vulnerabili avere un figlio. David ha iniziato a picchiarmi, con sempre maggior violenza. Quando Bay ha compiuto un anno me ne sono andata. L'ho portata a Boise, ho frequentato una scuola per estetiste e mi sono trovata un lavoro. Tutto sembrava andare per il meglio. David però ci ha trovate. E si è vendicato. Ho perso un dente e l'uso dell'occhio sinistro per settimane. Cos'avrei potuto fare per Bay se fossi morta? Perciò sono tornata con lui, e David ha reso il mio mondo sempre più piccolo, sempre più infernale, finché mi sono rimaste solo tre cose: Bay, David e la sua rabbia. A volte mi dicevo che quella era la punizione per la vita che avevo condotto prima di conoscerlo. Poi un giorno ho incontrato una donna al parco dove David mi permetteva di portare Bay tre volte alla settimana. Le è bastato guardarmi per sapere cosa stava succedendo: è stata lei a trovarmi l'auto e ad aiutarmi a fuggire. David non sa il mio vero nome e crede che sia di New York, quindi questo era l'unico posto che conoscevo in cui potessi andare, l'unico posto in cui non mi avrebbe trovata." Più Sydney parlava, più Claire s'irrigidiva. Era buio, eppure Sydney avvertiva su di sé lo sguardo indagatore della sorella. "Questo è tutto. Quindi lo capisco come ti sei sentita quando, a sei anni, sei venuta qui. Ho dato per scontato quel che avevo in questa casa, ma alla fine mi sono resa conto di una cosa: è l'unica sicurezza che abbia mai avuto. E lo deve essere anche per Bay. Voglio cancellare tutto ciò che ha visto e provato per colpa mia. Credi sia possibile?" Claire esitò, e per Sydney fu una risposta sufficiente. No, non era possibile. Claire non aveva mai dimenticato. "E così questi sono i miei segreti", sospirò Sydney. "Non sono poi così grandi come credevo." 178
"I segreti non lo sono mai. Lo senti questo odore?" chiese Claire d'un tratto. "Non è la prima volta. Sembra colonia." "È lui", sussurrò Sydney, come se David potesse udirla. "È il ricordo che ho portato con me." "Forza, a letto", la incalzò Claire alzando il lenzuolo. Sydney vi si precipitò sotto e Claire ve la avvolse. Era una notte umida e tutte le finestre erano aperte, ciononostante Sydney sentiva all'improvviso freddo e si rannicchiò contro la sorella. Claire la cinse con un braccio e la strinse a sé. "Va tutto bene", sussurrò appoggiandole la guancia sulla testa. "Andrà tutto bene." "Mamma?" Sydney si voltò di scatto e vide Bay sulla soglia. "Dai, tesoro, corri qui nel letto con me e Claire", le disse, alzando il lenzuolo come la sorella aveva fatto con lei. Si tennero strette, mentre i ricordi di David venivano lentamente sospinti fuori dalla finestra.
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Il giorno seguente si levò luminoso e dolce come caramello. Claire aprì gli occhi e li puntò sul soffitto della stanza, lo stesso soffitto sotto il quale la nonna si era svegliata e che aveva guardato ogni giorno della sua vita. Voltò il capo e vide Sydney e Bay, profondamente addormentate, l'una nelle braccia dell'altra. Sydney aveva affrontato e fatto molto più di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare. Tutte quelle esperienze, tutti quei cambiamenti, avrebbero devastato Claire. O forse, per quanto straordinaria, quella era la vita. Ognuno ha una storia da raccontare. Sollevò di nuovo lo sguardo al soffitto. Persino la nonna. Sydney aveva detto che nonna Waverley era stata al lago. Per quanto ne fosse rimasta sbalordita, Claire aveva supposto che vi fosse andata con il futuro marito. Poi però aveva iniziato a pensare alle vecchie foto della nonna prima che si sposasse, quand'era una graziosa giovane con un sorriso gioioso e capelli che parevano in perpetuo movimento, come se fosse seguita da una brezza malata d'amore. In quelle foto era ritratta con molti ragazzi diversi, tutti con la stessa espressione ammirata. Sul retro la nonna aveva scritto In giardino con Tom e Al raduno con Josiah. E vi era anche quella con scritto solamente Karl. La nonna aveva avuto una vita, una vita di cui Claire non aveva né saputo né immaginato nulla. Si era impegnata tanto per scoprire tutto su nonna Waverley, per essere come lei, eppure nonna Waverley doveva aver percepito qualcosa in Sydney, un animo affine. A Claire aveva donato la saggezza dell'età, a Sydney i segreti della giovinezza. Claire non possedeva neppure una fotografia a cui, negli anni a venire, qualcuno avrebbe potuto guardare pensando: Quel ragazzo l'amava. Si alzò e andò a preparare la colazione per la sorella e la nipote. Era una bella mattinata, piena di cinguettii e belle sensazioni; nessun cattivo odore nell'aria. Sydney uscì per andare al lavoro dalla porta sul retro e, mentre si allontanava, gridò: "Ehi, ragazze! Qui fuori è pieno di mele!" 180
Claire allora prese una scatola dal ripostiglio e, aiutata da Bay, raccolse le mele che l'albero aveva tirato contro la porta. "Perché l'ha fatto?" chiese la bambina mentre si avvicinavano al cancello nella radiosa e sinuosa luce del mattino. "Questo melo non riesce a farsi i fatti suoi", brontolò Claire aprendo il cancello. "Stanotte eravamo tutte insieme, e anche lui voleva essere dei nostri." Quando entrarono nel giardino l'albero si raddrizzò. "Certo che deve sentirsi proprio solo." Claire scosse la testa e si avviò al capanno per prendere una pala. "È irascibile ed egoista, non dimenticarlo. Vuole raccontare alle persone cose di cui non dovrebbero venire a conoscenza." Scavò un buco accanto all'inferriata, mentre Bay se ne stava sotto il melo e rideva perché l'albero le spargeva foglioline verdi tutt'intorno. "Zia, guarda, piove!" Claire non aveva mai visto l'albero tanto affettuoso. Bay era abbastanza innocente da riuscire a vedere al di là delle cose. "È un bene che non ti piacciano le mele." "Le odio", rispose la bambina, "però mi piace quest'albero." Non appena Claire ebbe finito, lei e la nipote rientrarono in casa. "Allora", esordì Claire, il più disinvolta possibile. "Questa sera Tyler ha lezione come ieri?" "No. Le lezioni serali le ha il lunedì e il mercoledì. Perché?" "Così, per sapere. Ehi, lo sai cosa facciamo oggi? Guardiamo le vecchie foto! Voglio mostrarti la tua bisnonna. Era una donna meravigliosa." "Ce l'hai una foto della vostra mamma?" "No, purtroppo no." Claire ripensò a ciò che Sydney le aveva detto qualche tempo prima, al fatto che aveva lasciato le foto di Lorelei da qualche parte. Forse a Seattle? Le era parsa così terrorizzata quando aveva rammentato quell'episodio. Si ripromise di parlargliene. 181
Un abito era forse troppo? Claire guardò la propria immagine nello specchio in camera da letto. E se avesse trasmesso il messaggio che ci stesse provando? Non l'aveva mai fatto, perciò non ne aveva la più pallida idea. L'abito bianco era lo stesso che aveva indossato la sera in cui aveva conosciuto Tyler, quello che secondo Evanelle la faceva assomigliare a Sophia Loren. Si portò una mano al collo scoperto. I capelli le erano già ricresciuti. Erano solo sciocchezze? Aveva trentaquattro anni. Non era come averne sedici, ma di certo era così che si sentiva. Con ogni probabilità per la prima volta in vita sua. Mentre scendeva le scale le sue scarpe ticchettavano rumorosamente, in modo innaturale, sul parquet. Era quasi arrivata in fondo, quando si fermò. Udì delle voci. Sydney e Bay erano in soggiorno. Avrebbe dovuto passare loro accanto. Va bene, e allora? Era una cosa normale. Raddrizzò le spalle e fece gli ultimi scalini. Sydney e Bay si stavano mettendo lo smalto sulle unghie dei piedi. Claire era così nervosa che non si raccomandò nemmeno di far attenzione a non macchiare i mobili o il pavimento. Nessuna delle due alzò gli occhi, perciò Claire si schiarì la gola. "Vado da Tyler", disse. "Non so quanto starò via." "Va bene", rispose Sydney, senza distogliere lo sguardo dalle dita della figlia. "Come sto?" "Tu stai sempre..." Sydney si decise ad alzare la testa e vide ciò che indossava la sorella, come si era pettinata, il trucco; e soprattutto che in mano non aveva nessun piatto. "Oh", mormorò con un sorriso. "Bay, tu non ti muovere! Torno subito." Raggiunse Claire nell'ingresso stando bene attenta a tenere sollevate le dita dei piedi. "Questa sì che è una sorpresa." "Che faccio?" chiese Claire. Sydney la pettinò con le dita, le sistemò un paio di ciocche dietro un orecchio. "Se devo essere onesta, è passato un bel po' dall'ultima volta che ho sedotto un uomo. Anzi, a pensarci, non credo di averne mai sedotto uno. 182
Ma qui parliamo di Tyler, l'uomo che, a furia di passare la notte andando su e giù per il suo giardino pensando a te, ha fatto diventare le pareti della mia stanza color porpora, perciò non sarà difficile. Lui è già lì, aspetta solo te." "Io non sono capace d'impegnarmi in qualcosa di temporaneo." "E allora non farlo. Convinciti che è per sempre. Perché può esserlo come non esserlo." Claire prese un piccolo respiro profondo, come prima di un'iniezione. "Farà male." "L'amore fa sempre male, e questo già lo sai", replicò Sydney. "Ma ne vale la pena. E questo non lo sai. Non ancora." "Va bene", sospirò Claire. "Allora vado." Sydney aprì la porta, ma Claire restò immobile, gli occhi fissi sul buio incombente. "Be'", aggiunse Sydney, vedendo che la sorella non si muoveva, "ti suggerisco di camminare, visto che la levitazione non funziona." Un piede davanti all'altro, Claire uscì dalla porta e scese gli scalini. Indossava i tacchi molto di rado, ma quella sera aveva deciso di farlo, sandali con tacchi alti, sottili, così dovette procedere lungo il marciapiede anziché attraversare i giardini. Sulla porta di Tyler fu rincuorata dalla luce calda e dalla musica che fluttuava piano dalle finestre aperte. Stava ascoltando qualcosa di classico. Riusciva a vederlo mentre si rilassava, magari con un bicchiere di vino. E se invece non ne avesse avuto? Avrebbe dovuto portarlo. Diede un'occhiata in direzione della propria casa. Se vi fosse tornata, non avrebbe più avuto il coraggio di uscire. Si sistemò l'abito e bussò. Tyler non rispose. Claire aggrottò le sopracciglia e controllò che la jeep fosse parcheggiata in strada. Volgeva le spalle alla porta quando la sentì aprirsi, facendole svolazzare l'orlo dell'abito. Si voltò. "Ciao, Tyler." Lui se ne stava lì, come se la sorpresa gli impedisse di muoversi. Se 183
intendeva lasciar fare tutto a lei, be', erano entrambi nei guai. Affrontalo in due fasi, si impose, come in una ricetta. Prendi un uomo e una donna e mettili in una ciotola. "Posso entrare?" Tyler esitò e voltò la testa dandosi un'occhiata alle spalle. "Be', certo, sicuro", rispose, indietreggiando per lasciarla passare. Claire gli camminò accanto, quasi toccandolo, facendo in modo che percepisse l'elettricità. Di certo non si aspettava quella visita, perché per prima cosa le chiese: "Cos'è successo?" "Niente", rispose lei. Poi la vide. Una donna, una rossa minuta, seduta a gambe incrociate sul pavimento; sul tavolino lì accanto c'erano due bottiglie di birra. Non capiva se per Tyler significasse qualcosa, ma le intenzioni di lei erano chiare. Era scalza e le scarpe non erano in vista, ed era china in avanti così che i lembi della sua camicetta si scostassero leggermente. Indossava un reggiseno color pesca. A quanto pareva quella sera Tyler aveva due femmine pronte a sedurlo. Come aveva potuto essere tanto stupida? Davvero credeva che se ne sarebbe stato lì ad aspettare lei? "Oh, hai compagnia." Claire iniziò a indietreggiare e lo urtò, poi si voltò di scatto. "Non lo sapevo. Scusami." "Non ce n'è bisogno. Rachel è una vecchia amica, sta andando in Florida da Boston ed è passata di qui. Sarà mia ospite per qualche giorno. Rachel, questa è Claire, la mia vicina di casa. Si occupa di catering ed è specializzata in fiori commestibili. È incredibile." Tyler la prese per un braccio e cercò di farla entrare in soggiorno. Dopo un paio di secondi, però, dovette togliere la mano e scuoterla come se si fosse scottato. Incontrò il suo sguardo e iniziò a comprendere. "Mi spiace, ora devo proprio andare. Non volevo disturbare." "Ma non..." iniziò Tyler. Lei non c'era già più.
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"Claire?" chiamò Sydney. Era già a metà delle scale quando Sydney uscì dal soggiorno. "Claire?" Lei si fermò e si voltò. "Rachel." Sydney la guardò confusa. "Cosa?" "Era con Rachel", ripeté Claire. "Hanno un passato in comune, un legame. Starà da lui. Mi guardava con aria di sfida. Mi è già capitato. Le donne lo fanno sempre." Sydney aveva un'espressione sbalordita e indignata, che, quando vi ripensò dopo essersi calmata, Claire trovò gentile. La sorella era arrabbiata per lei. "Era lì con un'altra donna?" Claire ripensò alle fotografie della nonna con tutti quei ragazzi. "Non ho bisogno della foto di un uomo che mi guardi come se mi amasse. Sto bene. Non sto forse bene?" "Vuoi davvero che ti risponda adesso?" Claire si portò la mano alla fronte. Aveva ancora tanto caldo. Era insopportabile. "Non so che fare. Magari mi limiterò ad andare in giardino e ogni tanto lui potrebbe venire, e non ne parleremo più, anche se l'albero lo ringrazierà, come ha fatto l'ultima volta." "Non ti seguo." Claire lasciò ricadere la mano. "Mi sento così stupida." "Questo, mia cara sorella, è il primo passo." "Ti spiacerebbe scrivermelo? Ho sbagliato la ricetta", mormorò Claire, e si voltò per continuare a salire. "Mi faccio un bagno." "Ne hai già fatto uno questo pomeriggio." "Puzzo di disperazione." Sydney ridacchiò. "Starai bene."
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Claire si tolse il vestito e indossò la sua vecchia vestaglia a righe. Stava cercando le ciabatte, quando la porta della camera si aprì. Non poté far altro che rimanere a guardare, interdetta, mentre Tyler entrava e si chiudeva minacciosamente la porta alle spalle. Claire si strinse i risvolti della vestaglia, cosa alquanto ridicola considerato ciò che l'aveva spinta a recarsi a casa sua. "Perché ti sei cambiata? Adoro quel vestito. Be', stai bene anche così." Gli occhi di Tyler scivolarono lungo il suo corpo. "Claire, perché sei venuta da me?" "Ti prego, dimenticatene." Lui scosse la testa. "Ho smesso di dimenticare. Ricordo tutto di te. Non posso farci nulla." Si fissarono. Prendi un uomo e una sciocca e mettili in una ciotola. Non avrebbe funzionato. "Stai di nuovo pensando troppo", continuò Tyler. "E così questa è la tua camera. Mi ero chiesto quale fosse. Avrei dovuto immaginare che era quella nella torretta." Prese a camminare in giro, e Claire dovette costringersi a restare ferma, a non corrergli appresso per riprendersi la fotografia che lui aveva sollevato dallo scrittoio, a non dirgli di lasciar stare i libri impilati accanto al divanetto sotto la finestra perché li sistemava in un ordine particolare. Per poco non aveva condiviso il proprio corpo con quell'uomo e ora non riusciva a condividere con lui neppure la propria stanza? Magari, se avesse avuto il tempo di ficcare le scarpe sotto il letto, di togliere la tazza sporca di caffè dal comodino... "Rachel non ti sta aspettando?" chiese ansiosa quando Tyler lanciò un'occhiata all'armadio aperto. Lui si voltò per affrontarla. Claire si trovava all'altro capo della stanza, nell'angolo in cui aveva lanciato le pantofole. "Rachel è solo un'amica." "Avete un passato in comune." "Siamo stati insieme quando mi sono trasferito in Florida a insegnare. È durata circa un anno. Come coppia non funzionavamo, però siamo rimasti amici." 186
"Com'è possibile dopo tutto ciò che c'è stato fra voi?" "Non lo so, però è così." Tyler si avvicinò. Claire avrebbe giurato che sedie e tappeti si spostassero per cedergli il passo. "Volevi parlare? Volevi chiedermi di andare a cena, al cinema?" Claire era letteralmente chiusa all'angolo. Tyler si fece ancora più vicino, producendosi in quel tocco-non tocco in cui era tanto bravo, come se lei potesse percepirlo pur senza sfiorarlo, come se in qualche modo lo anticipasse. "Se lo dico, muoio", bisbigliò. "Proprio qui, su due piedi. Cado per terra, morta per l'imbarazzo." "Il giardino?" Claire annuì. Tyler le posò le mani sulle spalle e intrufolò le dita sotto la vestaglia. "Non è facile da dimenticare, vero?" "No." La vestaglia le scivolò di dosso, e sarebbe caduta a terra se Claire non avesse stretto i risvolti. "La tua pelle è bollente", mormorò Tyler. "Quando prima, a casa, ti ho sentita così calda, avresti potuto mettermi al tappeto." Posò le labbra sulle sue e la fece indietreggiare sino al letto, divorandola di baci. Prendi un uomo, una sciocca, mettili in una ciotola e mescola. A Claire girava la testa, aveva i pensieri confusi. Le sembrava di essere sul punto di cadere. Cosa che fece. Urtò il letto con l'incavo delle ginocchia e cadde all'indietro. La vestaglia si aprì e Tyler era lì, a interrompere il bacio solo il tempo di togliersi la camicia, così che i loro petti nudi si toccassero. Lui lo sapeva. Rammentava il bisogno di Claire di quel contatto, il bisogno che qualcuno assorbisse ciò che lei aveva in eccesso. "Non possiamo farlo qui", sussurrò Claire. "Non con Sydney e Bay di sotto." Tyler la baciò con passione. "Dammi dieci minuti e mi libero di Rachel." "Non puoi liberarti di lei." "Ma resterà tre giorni." Si guardarono negli occhi, poi lui sospirò e le rotolò accanto. Claire fece per riallacciarsi la vestaglia. Come poteva 187
starsene lì con la vestaglia aperta? Ma Tyler la bloccò e lasciò scivolare una mano sul seno. Che sensazione di sicurezza! Era la cosa giusta. Mio. "Anche l'attesa può essere piacevole, credo. Tre giorni interi di attesa." "Tre giorni interi", ripeté Claire. "Che cosa ti ha fatto cambiare idea?" le chiese stendendosi accanto a lei e appoggiando le labbra dove prima aveva la mano. Claire gli afferrò i capelli e chiuse gli occhi. Come poteva desiderare qualcosa così tanto, qualcosa che nemmeno comprendeva? "Devo lasciar entrare le persone. Se se ne vanno, se ne vanno. Se crollo, crollo. Succede a tutti. No?" Tyler alzò il capo per guardarla. "Credi che me ne andrò?" "Non potremo avere questo per sempre." "E cosa te lo fa pensare?" "Nessuno che conosca l'ha mai avuto per sempre." "Io penso sempre al futuro. Per tutta la vita ho inseguito sogni di ciò che sarebbe stato. Ora, per la prima volta, ne ho catturato uno." La baciò nuovamente prima di afferrare la camicia e alzarsi. "Ti darò un giorno alla volta, Claire. Ma ricorda: io sono già avanti di un migliaio."
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Era la prima notte che Fred trascorreva nella soffitta riadattata, ed Evanelle lo sentiva camminare. Era bello sapere che c'era qualcuno a produrre tanti piccoli rumori, come fanno i topolini. I fantasmi non facevano alcun rumore. E lei aveva vissuto con il silenzioso fantasma del marito abbastanza da saperlo. Si chiese se non si fosse comportata da ipocrita incoraggiando Fred ad andare avanti. In effetti lei non lo aveva fatto. Forse quando la persona che ami muore è diverso da quando ti lascia e basta. O forse no, era la stessa cosa. Comunque ci si sentiva allo stesso modo. D'un tratto Evanelle si mise a sedere. Cavolo! Sentiva il bisogno di dare qualcosa a qualcuno. Rifletté un istante. Era Fred. Doveva dare qualcosa a Fred. Accese la luce accanto al letto e allungò una mano per prendere la vestaglia. Uscì in corridoio, poi si fermò, cercando di decidere dove andare. Le altre due camere da letto erano stipate di armadietti e ripiani di legno per tutte le sue cose. A sinistra. La seconda camera. Accese l'interruttore, raggiunse gli armadietti e aprì il cassetto contrassegnato con la G. Vi trovò guanti, un geode e semi di erba gatta diligentemente sistemati ognuno nella propria sezione. Sotto Gadget c'era una nota di Fred che diceva: Vedi anche Attrezzi. Non avrebbe dovuto disturbarsi. Se era di un attrezzo che aveva bisogno, Evanelle avrebbe cercato fra gli attrezzi. Ma Fred non aveva ancora ben compreso come funzionava. E, accidenti, neppure lei. Sotto Gadget trovò ciò che cercava. Era un aggeggio ancora inscatolato, un utensile da cucina, un affetta-mango, ideato per tagliare il frutto intorno al nocciolo con maggior facilità. Evanelle si chiese come l'avrebbe presa. All'inizio Fred si era trasferito lì perché sperava che lei gli avrebbe dato qualcosa che gli fosse d'aiuto con James. La sua incapacità a produrre quel benedetto qualcosa aveva forse deluso il suo amico? Ora, dopo tanto tempo, gli avrebbe dato qualcosa, ma non aveva nulla a che fare con James. Magari sarebbe stato meglio così. 189
Magari l'avrebbe preso come un segno che stava facendo la cosa giusta, che stava andando avanti. O forse avrebbe semplicemente pensato che aveva bisogno di mangiare più mango. Evanelle udì il lieve cinguettio del cellulare di Fred. Aveva detto che non voleva usare il suo telefono per non tenerglielo occupato nel caso avesse avuto bisogno di chiamare qualcuno per avvisare che stava arrivando con un regalo. La considerava una supereroina. Salì le scale e bussò alla porta della soffitta. Una volta in cima, scorse Fred seduto sulla poltrona in pelle, accanto al mobile ad angolo che ospitava il televisore. Sul poggiapiedi c'era una rivista di antiquariato. L'ambiente odorava di pittura fresca. "Va bene, va bene", stava dicendo al telefono. La vide e le fece segno di avvicinarsi. "Faccia del suo meglio. Grazie per aver chiamato." "Ho interrotto qualcosa?" "No, era lavoro. Un ordine spostato." Fred mise giù il telefono e si alzò. "Qual buon vento ti porta quassù? Va tutto bene? Non riesci a dormire? Vuoi che ti cucini qualcosa?" "No, sono a posto." Evanelle gli porse la scatola. "Avevo bisogno di darti questo."
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11 Talvolta Henry desiderava poter volare perché non riusciva a correre abbastanza svelto. Un paio di notti a settimana scendeva dal letto, piano piano per non svegliare il nonno, usciva di casa e si metteva a correre. La notte del suo ventunesimo compleanno aveva corso fino ai piedi degli Appalachi, diretto ad Asheville. Avere quell'età gli aveva dato un'improvvisa botta di energia e sapeva che doveva fare qualcosa o sarebbe esploso. Gli ci erano volute sei ore per tornare a casa. Quella mattina il nonno l'aveva aspettato sotto il portico, e Henry gli aveva detto di essere sonnambulo. Non credeva che il nonno avrebbe compreso. A volte Henry non vedeva l'ora di invecchiare, di raggiungere l'età di Lester, altre ancora il suo corpo era vivo e sprizzante giovinezza, e lui non sapeva che farne. Quel giorno al lago non aveva detto a Claire che anche per lui era la prima volta. Non aveva mai fatto le cose che facevano gli altri ragazzini della sua età. Era stato troppo occupato con il caseificio e a frequentare donne più vecchie che sapevano ciò che volevano. Stare con Sydney lo faceva sentire giovane, ma anche un po' a disagio, come se avesse mangiato troppo e non riuscisse a correre abbastanza per smaltire. Quella notte si fermò sul limitare del campo, con i piedi bagnati e le caviglie graffiate dalle spine delle rose selvatiche che fiorivano tra i rovi accanto all'autostrada. I fari di un'automobile lo illuminarono e Henry si accucciò nell'erba: non voleva che qualcuno lo vedesse lì, alle due del mattino, con indosso soltanto i boxer. Non si alzò nemmeno quando il rumore fu lontano. Levò gli occhi alla luna: un gigantesco buco nel cielo che lasciava passare la luce dall'altra parte. Respirava profondamente, annusando l'erba bagnata, le rose tiepide, l'asfalto nero della strada che sapeva di bruciato, ancora caldo per via del sole estivo. S'immaginò mentre baciava Sydney passandole le mani fra i capelli. Lei aveva sempre un odore così misteriosamente femminile, lo stesso che si sentiva nel salone in cui lavorava. Gli piaceva. Da sempre. Le donne erano creature straordinarie. Amber, l'addetta alla reception del White Door, era carina e aveva lo stesso profumo. Era anche interessata a lui, ma lui vedeva 191
Sydney e la voglia di uscire con Amber gli passava. Non era passione, quella che Sydney provava per lui, forse un lieve senso di possesso. Henry si chiedeva se dovesse vergognarsi di sperare che un giorno l'avrebbe amato. Era in grado di provare quel desiderio per entrambi. Si rialzò e corse verso casa, lasciandosi dietro una tenue scia purpurea e luminosa, come la coda di una cometa.
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Dalla finestra della propria camera da letto, Lester guardava il nipote correre. Tutti gli uomini di casa Hopkins erano così. Lester era stato così. Era un errore piuttosto diffuso credere che essere anziani significasse non provare passione. Tutti loro la provavano. E tutti avevano corso sullo stesso campo. Tanti anni prima, quando Lester aveva conosciuto la sua futura moglie, aveva incendiato degli alberi semplicemente standovi sotto durante la notte. Augurava a Henry quel che lui aveva avuto con la sua Alma. E correre di notte come se si stesse andando a fuoco era il primo passo per arrivarvi. Alla fine, se Sydney fosse stata quella giusta, Henry avrebbe smesso di correre senza meta e avrebbe iniziato a correre da lei. Claire scoprì che l'attesa era piacevole per alcune cose (il Natale, la lievitazione del pane, le gite in auto verso luoghi speciali), ma che per altre non lo era affatto. Per esempio, aspettare che talune ospiti di sesso femminile se ne andassero. Ogni mattina, poco prima dell'alba, Tyler s'incontrava con Claire in giardino. Si toccavano, si baciavano, e lui le diceva cose che la facevano arrossire anche durante il giorno, quando ci ripensava. Ma poi, poco prima che l'orizzonte si tingesse di rosa, se ne andava promettendo: "Ancora tre giorni", "Ancora due giorni", "Uno solo". Il giorno prima della partenza di Rachel, Claire invitò lei e Tyler a pranzo, con la scusa delle buone maniere (fare di tutto con il pretesto delle buone maniere era una tradizione del Sud); in realtà desiderava trascorrere più tempo con lui, e l'unico modo per farlo era con Rachel. Preparò la tavola sul portico: aveva cucinato insalata di tacchino con fiori di zucchina. Sapeva bene che Tyler era immune alle sue ricette, ma Rachel no, e i fiori di zucchina aiutavano a capire. Rachel doveva comprendere che Tyler era suo. Era tanto semplice! Bay aveva preso posto e Claire aveva appena portato il pane quando i due ospiti salirono gli scalini. "Che carino qui! " esclamò Rachel. Non appena si fu accomodata, lanciò a Claire una rapida occhiata. Con ogni probabilità era una persona adorabile. A Tyler piaceva, e questo la diceva lunga, ma era chiaro che Rachel non l'aveva ancora dimenticato, e la sua apparizione improvvisa nella vita di lui era per lo meno singolare. La loro era una lunga storia insieme. 193
Una storia che Claire non aveva alcun desiderio di conoscere. "Sono contento che voi due trascorriate un po' di tempo insieme prima della tua partenza di domani", disse Tyler a Rachel. "Oh, sai, i miei programmi sono flessibili", ribatté quella, e per poco Claire non fece cadere la brocca d'acqua che aveva in mano. "Assaggia le zucchine", la invitò. Si rivelò un pasto disastroso, in cui passione, impazienza e risentimento si scontrarono - come venti provenienti da direzioni diverse - proprio nel bel mezzo del tavolo. Il burro si sciolse. Il pane si bruciò. I bicchieri d'acqua si rovesciarono. "È strano qui fuori", commentò Bay, che cercava di mangiare. Afferrò una manciata di patate fritte e se ne andò in giardino, dove non trovava assolutamente nulla di strano nel melo. La definizione di strano, in fondo, è soggettiva. "Credo sia ora di andare", annunciò infine Tyler, e Rachel scattò in piedi. "Grazie per il pranzo", disse. Ciò che tacque fu: Se ne viene a casa con me e non resta qui con te. Claire lo udì comunque. Quando quella sera Sydney rincasò dal lavoro, Claire era sotto la doccia. La sua pelle era così calda che l'acqua evaporava al solo contatto, producendo una nebbiolina umida che avviluppava l'intero quartiere. Claire udì la porta del bagno aprirsi e sussultò quando la mano di Sydney apparve per chiudere il rubinetto. Fece capolino da dietro la tenda. "Perché l'hai fatto?" "Perché in tutto l'isolato non si vede a un palmo dal proprio naso. Ho bussato alla porta di Harriet Jackson, convinta che fosse casa nostra." "Non è vero." "Potrebbe anche esserlo." Claire batté le palpebre per via dell'acqua che le gocciolava sugli occhi. "Ho invitato Rachel e Tyler a pranzo", ammise. "Sei impazzita?" replicò Sydney. "Ti vuoi liberare di lei o no?" 194
"Certo che sì." "E allora smettila di rammentarle che Tyler vuole te e non lei." "Se ne va domani mattina." "Speriamo." Sydney uscì dal bagno, tendendo le mani come se non vedesse nulla. "E non farti un'altra doccia, o non troverà la strada per andarsene." Quella notte Claire non riuscì a dormire. Alle prime ore del mattino sgattaiolò nella camera della sorella e si accucciò davanti alla finestra che dava sulla casa di Tyler. E lì restò sino all'alba, quando lo vide accompagnare Rachel alla sua auto, portandole la valigia. Lui la baciò sulla guancia e lei se ne andò. Tyler rimase sul marciapiede, fissando casa Waverley. L'aveva fatto per tutta l'estate: aveva scrutato la casa desideroso di entrare nella sua vita. Era giunto il momento di permetterglielo. Avrebbe vissuto o sarebbe morta. Tyler sarebbe rimasto o se ne sarebbe andato. Per trentaquattro anni si era tenuta tutto dentro, ora stava lasciando che tutto uscisse, come tante farfalle liberate da una scatola. Non erano impazienti di volare via, felici della libertà, si limitavano ad andarsene dolcemente, un po' alla volta, così che lei potesse guardarle. I bei ricordi della madre e della nonna erano ancora lì, farfalle che avevano deciso di restare, troppo vecchie per svolazzare da qualche parte. Andava bene così. Quelle le avrebbe tenute. Si alzò. Stava per uscire dalla stanza della sorella, e sobbalzò quando si sentì chiedere: "È partita?" "Credevo stessi dormendo", disse Claire. "È partita chi?" "Rachel, scema." "Sì." "E adesso vai da lui?" "Sì." "Grazie a Dio. Non mi hai fatta chiudere occhio per tutta la notte." Claire sorrise. "Mi spiace." "No, non è vero", ribatté Sydney coprendosi la testa con il cuscino. "Sii felice e lasciami dormire." "Grazie", sussurrò Claire, certa che la sorella non la potesse sentire. 195
Ciò che lei non vide, invece, fu Sydney che sbirciava sorridente da sotto il cuscino. Ancora in camicia da notte Claire scese e uscì. Gli occhi di Tyler la seguivano mentre attraversava il giardino. Le andò incontro a metà strada. Le loro dita si intrecciarono. Si guardarono, in una silenziosa conversazione. Sei sicura? Sì. È quello che vuoi? Sì, più di qualsiasi altra cosa. Entrarono insieme in casa di Tyler e crearono nuovi ricordi. Uno, in particolare, si sarebbe chiamato Mariah Waverley Hughes e avrebbe visto la luce nove mesi più tardi. Un pomeriggio di alcuni giorni dopo, Sydney e Henry passeggiavano in centro. Henry l'aveva incontrata dopo il lavoro per quello che stava divenendo l'appuntamento quotidiano per un caffè. Le loro passeggiate duravano solo una ventina di minuti, perché lei doveva rincasare da Bay e lui dal nonno, eppure ogni giorno, intorno alle cinque, Sydney lo aspettava con ansia e, senza rendersene conto, guardava prima l'orologio e poi l'ingresso in attesa che comparisse. E quando arrivava, con in mano due caffè freddi dalla Coffee House, gli gridava: "Henry, mio salvatore!" Si sa, un uomo single in un salone di bellezza è come una carcassa in balia degli avvoltoi. Mentre Henry aspettava Sydney, tutte le lavoranti del negozio civettavano e gli ronzavano intorno, e quando Sydney aveva chiarito che lei ed Henry erano solo amici, tutte l'avevano fissata incredule, quasi sapessero qualcosa che lei ignorava. "Allora, tu e il nonno verrete alla festa di Claire?" gli chiese Sydney, camminando. Claire non ne aveva mai organizzata una. Proprio come alla nonna, non le era mai piaciuto avere ospiti. Ora però Claire aveva Tyler, e l'amore l'aveva cambiata. Ora assomigliava un po' meno alla nonna e un po' più a se stessa. "Lo segno sul calendario. Ci saremo", rispose Henry. "Sai, è bello vedere come tu e tua sorella ve la siate cavata. Siete tutte e due molto cambiate. Ricordi la festa di Halloween al penultimo anno delle superiori?" Sydney rifletté un istante. "Oh, mio Dio!" gemette, sedendo sul sedile di 196
pietra che circondava la fontana. "L'avevo dimenticato." Era stato l'anno in cui Sydney si era travestita da Claire. All'epoca l'aveva creduta un'idea esilarante. Aveva comprato una parrucca nera da quattro soldi e l'aveva acconciata all'indietro con dei pettinini, aveva indossato un paio di jeans imbrattati di terra e i guanti da giardinaggio della sorella. Claire, senza rendersene conto, era diventata famosa perché se ne andava in giro con il volto sporco di farina, diventando lo zimbello delle ragazze della drogheria, così anche Sydney si era imbrattata la faccia di farina. La ciliegina sulla torta però era stato il grembiule con scritto Un bacio alla cuoca: al ballo i presenti erano scoppiati in una sonora risata, perché tutti sapevano che nessuno avrebbe mai baciato la stramba Claire che, ventenne o giù di lì, sembrava già vecchia. "Credo che ai tempi l'avessi fatto per prenderti gioco di lei", continuò Henry sedendole accanto. "Ma, secondo me, adesso ti vesti come tua sorella perché stai cercando di assomigliarle." Sydney osservò la camicia senza maniche di Claire che aveva indosso. "Vero. E il fatto di essermi portata dietro pochi vestiti quando sono tornata è stato di grande aiuto." "Te ne sei andata di fretta?" "Già", rispose lei senza ulteriori spiegazioni. Le cose fra loro andavano bene così, il loro rapporto si era mantenuto come ai tempi della scuola elementare. David non faceva parte del quadro. David non esisteva nemmeno, quando lei e Henry erano insieme. Nessuna pressione perché si andasse oltre l'amicizia. Era un sollievo. "Così a quella festa c'eri anche tu?" Lui annuì e bevve un sorso di caffè. "Ci ero andato con Sheila Baumgarten. Era un anno avanti a noi." "Frequentavi tante ragazze? Non ricordo di averti visto in nessuno dei classici posti per coppiette." Henry si strinse nelle spalle. "Qualcuna. All'ultimo anno delle superiori e quello dopo uscivo con una ragazza della Western Carolina University." "Un'universitaria, eh?" Gli diede una gomitata scherzosa. "Ti piacciono le donne più grandi, vedo." 197
"Il nonno è convinto che gli uomini di casa Hopkins sposino sempre donne più mature. Gli do ragione per farlo contento, anche se devo ammettere che forse un fondo di verità c'è." Sydney scoppiò in una risata. "Ecco perché quando siamo venute a casa tua per il banana split mi ha chiesto quanti anni avevo!" "Esatto", confermò lui. "Cerca sempre di sistemarmi, con donne rigorosamente più grandi." Sydney aveva sempre evitato l'argomento perché adorava trascorrere del tempo con Henry, ma quel giorno era convinta di fargli un favore quando gli disse: "Sai, Amber, la nostra receptionist, ha quasi quarant'anni... Le piaci. Lascia che vi organizzi un appuntamento". Henry fissò il caffè che teneva in mano e non rispose. Lei sperava di non averlo messo in imbarazzo. Non aveva mai pensato fosse timido. Teneva il capo chino e, al sole, Sydney poteva vedere la cute sotto i capelli cortissimi: era lievemente arrossata. Allungò la mano e gli accarezzò la testa con un gesto affettuoso, come se fosse un bambino. Era così che lo vedeva: il ragazzino affabile e compunto di tanti anni prima. Il primo amico che avesse mai avuto. "Dovresti mettere un cappellino o ti scotterai." Henry si voltò e le lanciò un'occhiata strana, quasi triste. "Ricordi il tuo primo amore?" "Certo. Hunter John Matteson. Il primo che mi abbia mai chiesto di uscire", rispose Sydney mestamente. "E qual è stato il tuo?" "Tu." Sydney scoppiò a ridere, convinta che scherzasse. "Io?" "Il primo giorno delle medie mi sembrò di essere stato colpito da un sasso. Non riuscivo più a parlarti. Non me lo perdonerò mai. Quando il Quattro Luglio ti ho rivista, mi è accaduto di nuovo, ma questa volta ero ben deciso a non rovinare la nostra amicizia." Sydney non riusciva a capire. "Che vuoi dire?" "Che non voglio uscire con la tua amica Amber." La situazione mutò in un istante. Non era più seduta accanto al piccolo 198
Henry. Sedeva accanto all'uomo che l'amava.
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Quel pomeriggio Emma entrò nel soggiorno di casa sua dopo aver inutilmente cercato di tirarsi su con un po' di shopping. In centro si era imbattuta in Evanelle Franklin, che le aveva detto di averla cercata tutto il giorno perché doveva darle due quarti di dollaro. Aver ricevuto del denaro da quella vecchietta fuori di testa era stata la cosa migliore che le fosse accaduta. L'imperdonabile errore era stato incontrarsi con la madre a pranzo per mostrarle gli ultimi acquisti. Ariel l'aveva rimproverata per non aver comprato abbastanza lingerie, rispedendola nella boutique a cercare qualcosa di più sexy. Non che avrebbe funzionato: lei e Hunter John non facevano sesso da una settimana. Lasciò cadere le borse quando lo vide seduto sul divano, intento a sfogliare un grosso libro appoggiato sul tavolino. Si era tolto la giacca e la cravatta e aveva arrotolato le maniche della camicia. "Hunter John!" esclamò allegra, ma subito un senso di disagio le serrò lo stomaco. "Che ci fai a casa a quest'ora?" "Ho preso il pomeriggio libero. Ti stavo aspettando." "E dove sono i ragazzi? " chiese Emma, sperando di proseguire in camera da letto. Diede un'occhiata alle borse, pronta ad afferrare quella rosa che conteneva il reggiseno nero e il perizoma con i fiocchetti rossi. "La tata li ha portati al cinema e poi fuori a cena. Ho pensato che tu e io dobbiamo parlare." Emma strinse ansiosa le mani. Parlare. Discutere. Lasciarsi. No. Indicò il librone davanti al marito per distrarlo. "Cosa guardi?" "L'annuario dell'ultimo anno delle superiori", rispose Hunter John, ed Emma provò un tuffo al cuore. Che altro poteva essere? Gli aveva tappezzato lo studio con le foto e i trofei di quando giocava a football. Aveva addirittura fatto incorniciare la maglietta. Era un periodo di cui poteva essere fiero, in cui tutto era possibile. Un periodo che lei gli aveva portato via. Lasciò sacchetti e pacchi lì dov'erano, si avvicinò al divano e gli sedette accanto, delicatamente, cautamente, temendo che, se si fosse mossa troppo in fretta, lui sarebbe scappato. L'annuario era aperto su una doppia pagina 200
di istantanee. Sydney, Emma e Hunter John comparivano in quasi tutte. Eccoli al Dome, l'area da picnic coperta all'esterno della caffetteria, dove ogni tanto fumavano di nascosto. E poi sulla panchina della rotonda riservata agli studenti più popolari della scuola. In posa davanti agli armadietti. Festanti alla partita nell'anno in cui Hunter John aveva sbalordito tutti con quel passaggio vincente. "Ero innamorato di Sydney", disse Hunter John, ed Emma si sentì stranamente soddisfatta. O forse giustificata. Lo ammetteva. Ammetteva che era lei il problema. Poi proseguì: "Per quanto un adolescente possa essere innamorato. All'epoca mi sembrava vero. Guardando queste foto mi accorgo che in ognuna la sto fissando. E anche tu la fissi, sempre. Emma, io l'ho dimenticata molto tempo fa. Ma tu no, vero? Sydney ha fatto parte di questo matrimonio per dieci anni senza che io lo sapessi?" Emma guardò le immagini sforzandosi di non piangere. Iniziò a respirare a fatica e il mascara prese a colarle dagli occhi. "Non lo so. L'unica cosa che so è che mi sono sempre chiesta: se tu potessi ricominciare da capo, rifaresti le stesse cose? Sceglieresti ancora me?" "Allora è questo? Ti sei impegnata tanto - il sesso, la casa perfetta perché pensavi che non era qui che volessi stare?" "Mi sono impegnata tanto perché ti amo", urlò Emma disperata. "Ma ti ho tolto la possibilità di scegliere. Ti ho fatto restare a casa invece che andare al college. Sei diventato padre invece di trascorrere un anno in Europa. C'è sempre stata una parte di me convinta di averti rovinato la vita perché odiavo troppo Sydney, perché odiavo che tu amassi lei, non me. La odiavo così tanto che ho dovuto sedurti. E ho rovinato i tuoi piani. E da allora, ogni giorno, mi sono sforzata di ripagarti." "Dio mio, Emma, tu non mi hai tolto la possibilità di scegliere. Io ho scelto te." "Quando hai rivisto Sydney non hai pensato a come sarebbe potuto essere? Non ci hai paragonate? Anche solo per un istante, non hai pensato a come sarebbe stata la tua vita senza di me?" "No, non l'ho fatto", rispose Hunter John, e pareva sinceramente confuso. "In dieci anni non le ho dedicato più di un pensiero. E ancora meno dal giorno in cui è ricomparsa. Ma tu continui a tirarla in ballo. Tu credi che il suo ritorno abbia cambiato le cose. Per me invece non ha 201
cambiato un bel niente." Emma si voltò per asciugarsi gli occhi. Hunter John le mise un dito sotto il mento e la costrinse a girarsi di nuovo. "Emma, non cambierei nulla. La mia vita con te è fantastica. Sei una gioia e una sorpresa continua, giorno dopo giorno. Mi fai ridere, mi fai riflettere, mi ecciti. A volte mi confondi tanto che non ci capisco niente, ma è così bello svegliarmi accanto a te la mattina, e tornare da te e dai ragazzi la sera... Sono l'uomo più fortunato del mondo. Ti amo tanto, più di quanto credevo possibile." "Sydney..." "No", sbottò lui facendo ricadere la mano. "No. Non ricominciare. Cos'ho fatto per portarti a credere di essermi pentito della mia scelta? Ho passato giorni a cercare di capire come avrei potuto evitare che accadesse, poi mi sono reso conto di una cosa: qui non si tratta di me e te. No, si tratta di te e Sydney. E forse anche di te e tua madre. Amo te, non Sydney. Voglio vivere con te, non con Sydney. Non siamo più quelli di una volta." Chiuse l'annuario che aveva davanti, e insieme i sogni che da bambino lo vedevano asso del football e in giro per l'Europa con lo zaino in spalla. "O, per lo meno, io non lo sono più." Emma gli posò le mani sulla gamba, in alto, perché lei era così e non poteva farci nulla. "Hunter John, neanch'io voglio essere quella che ero. Davvero." Il marito la scrutò in volto. "Emma, credo che Sydney sia qui per restare." "Lo credo anch'io." "Intendevo in città. Non nella nostra vita. " "Oh." Hunter John scosse la testa. "Provaci, Emma. Non ti chiedo altro."
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13 Fred sedeva alla scrivania del proprio ufficio fissando l'affetta-mango di fronte a lui. Che cosa significava? A James piacevano i manghi. Voleva forse dire che avrebbe dovuto chiamarlo e... invitarlo per una macedonia? Perché non poteva essere tutto più chiaro? Perché non era accaduto prima? Cosa diavolo se ne sarebbe fatto di quell'aggeggio? Come avrebbe potuto aiutarlo a riavere James? Si era tormentato per giorni in attesa di un segno qualsiasi, di istruzioni. Udì bussare alla porta e Shelly, la sua vice, fece capolino. "Fred, qui fuori c'è un signore che ti vuole parlare." "Arrivo subito." Fred prese la giacca dallo schienale e la indossò. Quando uscì, vide Shelly in compagnia di un uomo accanto alla corsia dei vini. Era Steve Marcus, un docente di cucina dell'Orion College, con cui aveva spesso chiacchierato amabilmente di cibo e ricette. A Fred ci vollero alcuni istanti prima di convincersi a muoversi. Era l'ultima cosa che gli aveva detto James: uscire con Steve. No. Non c'entrava nulla con James. Eppure si ritrovò a odiare ogni singolo passo che faceva. Non voleva uscire con lui. Steve allungò la mano. "Fred, che piacere vederti." Fred gliela strinse. "Cosa posso fare per te?" Escluso il matrimonio. "Volevo invitarti a una lezione aperta sponsorizzata dall'università", rispose Steve affabile. Era un brav'uomo, un po' robusto. Alla mano destra sfoggiava il massiccio anello del college, e Fred aveva sempre apprezzato le sue unghie lucide, ben pulite. "Sarà divertente. Il tema è come cucinare approfittando di utensili e piccoli trucchi. Sarebbe fantastico se tu potessi partecipare, vista la tua profonda conoscenza del cibo e dei prodotti locali." Era troppo presto. Fred si sentiva come se qualcuno stesse cercando di svegliarlo ben prima dell'alba. "Non saprei... sai, il lavoro..." 203
"E domani sera. Sei occupato?" "Domani? Be'..." "Chiedo a tutti di portare un piccolo trucco e un utensile che la maggior parte delle persone non conosce. Nessun impegno, d'accordo? Se puoi venire, è domani alle sei." S'infilò una mano nella tasca posteriore e prese il portafoglio. "Questo è il mio biglietto da visita con il numero, nel caso avessi domande." Fred lo prese: il cartoncino era ancora tiepido dal contatto con il corpo. "Ci penserò." "Grande. A presto, allora." Fred tornò in ufficio e si lasciò cadere sulla sedia. Portare un piccolo trucco e un utensile che la maggior parte delle persone non conosce. Come un affetta-mango. Aveva aspettato tanto che Evanelle gli desse qualcosa. Qualcosa che rimettesse tutto a posto. Fred, risoluto, afferrò il ricevitore del telefono. Avrebbe fatto di tutto perché quella cosa li rimettesse insieme, a qualunque costo. Digitò il numero del cellulare di James. Dopo il decimo squillo iniziò a preoccuparsi. Si ripeté che dopo il ventesimo avrebbe saputo che l'affettamango non riguardava lui. Poi al trentesimo. Poi al quarantesimo. Poi al cinquantesimo.
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Da sotto l'albero Bay osservava i preparativi per la festa. Tutto pareva a posto, perciò non riusciva a capire come mai si sentisse tanto agitata. Forse perché ai bordi del giardino avevano iniziato a crescere piccolissimi rovi, così piccoli e nascosti che nemmeno Claire li aveva ancora notati. E sì che Claire si accorgeva di ogni cosa. O magari li aveva visti e aveva deciso di ignorarli. Dopotutto la zia era felice, e la felicità ti fa dimenticare le cose brutte del mondo. Bay invece non era abbastanza felice da dimenticare. Non tutto era perfetto. Non ancora. Tyler aveva smesso di vagabondare per il giardino a mezzanotte e di produrre quelle piccole scintille rosse che sembravano polverina frizzante. E da più di una settimana né lei né la mamma avevano più sentito l'odore dell'acqua di colonia del padre, e per questo Sydney era molto più sorridente. La mamma aveva anche iniziato a parlare spesso di Henry, infilandolo praticamente in ogni discorso. Bay avrebbe dovuto essere contenta. Era iscritta alla scuola elementare, che sarebbe cominciata di lì a due settimane. Forse era questo a infastidirla: al momento dell'iscrizione Sydney aveva mentito sul vero nome di Bay. Un cattivo inizio. O forse era solo perché non era ancora riuscita a rendere reale il sogno. Non aveva trovato nulla che le facesse scintillare il viso (la mamma le aveva addirittura proibito di portare in giardino altri oggetti di cristallo per continuare gli esperimenti). E nemmeno il modo per riprodurre il rumore della carta che sbatacchia al vento. Da giorni, anzi, non spirava un alito di vento, per lo meno fino a quel pomeriggio quando, non appena Sydney e Claire avevano steso la tovaglia color avorio sul tavolo in giardino, l'aria si era improvvisamente levata: la tovaglia era sfuggita loro dalle mani ed era volata per tutto il giardino, come se un bambino l'avesse afferrata e si fosse messo a correre qua e là. La mamma e la zia erano scoppiate a ridere e l'avevano rincorsa. Sydney e Claire erano felici. La mattina mescolavano petali di rosa alla farina d'avena e la sera lavavano i piatti l'una accanto all'altra, ridacchiando e bisbigliando. Forse era questa l'unica cosa che importava. Bay non avrebbe dovuto preoccuparsi tanto. Grossi nuvoloni, bianchi e grigi come elefanti da circo, cominciarono ad attraversare goffi il cielo, trasportati dal vento. Bay, appoggiata con la schiena al melo, li osservava passare. "Ehi, albero", bisbigliò, "cosa succederà?" Le foglie dell'albero 205
tremolarono e una mela le cadde vicino. La bambina fece finta di nulla. Non le restava che aspettare e stare a vedere. "Mi scusi", disse un uomo da dietro le pompe di benzina. Comparve dinanzi a Emma all'improvviso. Era circondato dai pesanti nuvoloni a forma di elefante. Lei alzò lo sguardo verso i suoi occhi scuri. Emma era in piedi accanto alla decappottabile della madre e faceva il pieno, mentre Ariel, seduta dietro il volante, si controllava il trucco nello specchietto retrovisore. Nell'udire la voce dell'uomo, Ariel si voltò e il viso le si illuminò in un sorriso smagliante. "Salve", disse, scendendo dalla macchina e avvicinandosi alla figlia. Quel giorno erano uscite a fare compere. Di nuovo. Emma e Hunter John sarebbero andati a trascorrere il fine settimana a Hilton Head, da soli, quindi avrebbero portato i ragazzi a Disney World prima dell'inizio della scuola. Ariel aveva insistito per comprare a Emma un bikini nuovo, qualcosa che a Hunter John sarebbe piaciuto, ed Emma aveva ceduto perché era la soluzione più semplice. Tuttavia qualsiasi cosa Ariel dicesse, alla figlia non importava: era già contenta di come si stavano mettendo le cose con il marito. Non biasimava la madre per averla consigliata male, dopotutto la seduzione aveva sempre funzionato con lei. Ariel era convinta che le donne di casa Clark dovessero dare costante prova delle loro abilità seduttive, persino con gli sconosciuti. Come in quel caso: aveva visto un uomo parlare con la figlia ed era dovuta scendere dall'auto e muoversi in modo che il seno facesse capolino. Solo per provare di non aver perso il tocco. Lo sconosciuto era di bell'aspetto, appena un po' robusto. Con un sorriso abbagliante. Si capiva che era bravo in qualsiasi cosa facesse. Aveva la giusta dose di sicurezza. "Salve, signore. Spero di non darvi noia. Sto cercando una persona... Potreste aiutarmi?" "Certamente possiamo provarci", rispose Ariel. "Il nome Cindy Watkins vi suona familiare?" "Watkins", ripeté Ariel, scuotendo la testa. "No, purtroppo." "Questa è Bascom, nel North Carolina, giusto?" 206
"La punta delle sue scarpe è proprio appena oltre il confine cittadino, comunque sì. Lungo questa strada, in quella direzione." L'uomo infilò la mano in una tasca della giacca di ottima fattura e ne prese un mucchietto di fotografie. Porse ad Ariel la prima. "E per caso conoscete questa donna?" Emma premette la linguetta dell'erogatore per continuare a fare il pieno e si chinò in avanti per osservare anche lei la foto. Era in bianco e nero e ritraeva una donna davanti a un edificio, forse Fort Alamo. Reggeva un cartello in cui era scritto a chiare lettere che a lei non importava un bel nulla del North Carolina. A giudicare dalla foggia degli abiti, era stata scattata una trentina d'anni prima. "No, mi spiace", rispose Ariel, e fece per rendergli la foto, poi la guardò meglio. "Un attimo. A pensarci bene, potrebbe essere Lorelei Waverley." Emma guardò più attentamente. Vero: sembrava proprio lei. "Però è stata scattata molto tempo fa", aggiunse Ariel. "Ora è morta." "Magari avete idea del perché questa donna", continuò lo sconosciuto porgendo loro un'altra fotografia, questa volta più recente, "abbia delle foto di Lorelei Waverley?" Emma quasi non riusciva a credere ai propri occhi. Era un'immagine di Sydney accanto a quell'uomo. Indossava un abito da sera molto succinto e attillato e lui la cingeva con fare possessivo. Sydney non aveva un'aria felice, pareva anzi che quello fosse l'ultimo posto al mondo in cui volesse trovarsi. Ariel corrugò la fronte. "Questa è Sydney Waverley", si limitò a rispondere, e gli restituì le fotografie come se non volesse più toccarle. "Sydney?" ripeté l'uomo. "Lorelei era sua madre, una buona a nulla. Detto fra noi, Sydney è proprio come lei." "Sydney", ripeté l'uomo; sembrava stesse provando a pronunciarlo. "Quindi lei è di qui?" "È cresciuta qui e ha sorpreso tutti noi quando ha deciso di tornare. Ha provato a portare via il marito a mia figlia." 207
Emma le lanciò un'occhiataccia. "Mamma, non è vero." "Questa è Sydney Waverley?" chiese l'uomo mostrando loro ancora una fotografia. "Ne siete sicure? Ha anche una figlia piccola?" "Sì, Bay", rispose Ariel. "Mamma! " la redarguì Emma. Certe cose non si dicono agli estranei. L'uomo capì che Emma iniziava a sentirsi a disagio e fece subito marcia indietro. Oh, sì, era proprio bravo. "Vi ringrazio dell'aiuto. Vi auguro un'ottima giornata, signore." S'incamminò verso un costoso SUV e vi salì. Mentre si allontanava, il cielo si scurì, come se in qualche modo ne fosse stato lui la causa. Emma si accigliò, avvertiva una strana sensazione. Tolse l'erogatore dall'auto e lo risistemò nella pompa. Fra lei e Sydney non correva di certo buon sangue, però qualcosa non tornava. "Pago io, mamma", disse, sperando di riuscire a prendere la borsa nell'auto, dove teneva il cellulare. Ma Ariel aveva già in mano la carta di credito. "Non essere sciocca." "No, davvero, faccio io." "Tieni", tagliò corto Ariel mettendole la carta di credito in mano e riaccomodandosi nella decappottabile. "Basta discutere e vai a pagare." Emma entrò nel negozietto e porse la carta al commesso. Non riusciva a togliersi quell'uomo dalla testa. Mentre aspettava che il pagamento fosse accettato, mise le mani nelle tasche della giacca e sentì qualcosa. Erano due quarti di dollaro. Indossava la stessa giacca il giorno in cui Evanelle le aveva dato le monete. "Scusi", disse al commesso, "avete un telefono?"
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Il vento non si placò per tutto il pomeriggio. Sydney e Claire dovettero legare gli angoli della tovaglia alle gambe del tavolo e non poterono accendere le candele. Al loro posto Claire portò fuori alcune borse in tessuto leggero color ambra, lampone e grigio pallido e vi sistemò le lanterne a pila che teneva nello sgabuzzino: sembravano doni di luce posti sul tavolo e intorno al melo. All'albero però parevano non piacere, tanto che cercava continuamente di far cadere quelle più vicine. Così Bay fu incaricata di tenerlo in riga. Uccelli e insetti non erano mai stati un problema in giardino - il caprifoglio infatti li attirava - perciò una cena all'aperto era davvero un'ottima idea. Sydney si chiese come mai nessun altro in famiglia l'avesse mai fatto prima, poi le venne in mente il melo e comprese. L'albero cercava disperatamente di far parte della famiglia, ma nessuno lo voleva. Ripensò alla notte precedente, quando non riusciva a dormire ed era andata a controllare Bay. Claire era da Tyler, ed era in assoluto la prima volta che Sydney trascorreva la notte sola in casa, responsabile di ogni cosa. Bay dormiva beata. Si era chinata per darle un bacio e, nel rialzarsi, aveva notato due piccole mele rosee avvolte nelle pieghe della coperta che, nel sonno, la bambina aveva spinto ai piedi del letto. Le aveva prese e si era avvicinata alla finestra aperta. Sul pavimento vi erano tre mele in fila che conducevano proprio lì. Aveva raccattato anche quelle. Aveva guardato fuori dalla finestra e aveva notato che qualcosa si muoveva in giardino. Il melo stava allungando i rami il più possibile in direzione del tavolo che quel giorno Tyler le aveva aiutate a spostare all'aperto. A dire il vero, aveva già avviluppato un ramo intorno a una gamba e cercava di avvicinarlo a sé. "Pssst", aveva sussurrato Sydney nella notte. "Smettila subito!" Il tavolo aveva smesso di muoversi e i rami dell'albero si erano subito rimessi al loro posto. La pianta si era immobilizzata, come a dire: Io non ho fatto niente. Evanelle fu la prima ad arrivare a quella che Sydney aveva affettuosamente chiamato la "Festa per la deflorazione di Claire". La sorella le aveva fatto promettere di non ripeterlo davanti agli altri. 209
"Ciao, Evanelle. E Fred?" le chiese Sydney quando la vide entrare in cucina. "Non è potuto venire. Ha un appuntamento." La donna appoggiò la solita sporta sul tavolo. "Ed è anche incavolato come una iena." Claire, che stava controllando le pannocchie sul fuoco, alzò lo sguardo. "Fred vede qualcuno?" "Più o meno. Un docente di cucina dell'Orion lo ha invitato a partecipare a una lezione questa sera. E Fred pensa sia un appuntamento." "E perché è incavolato?" "Perché gli ho dato una cosa che l'ha portato dal docente anziché da James, come invece sperava. E così naturalmente Fred è convinto di dover passare il resto della vita con lui. A volte mi fa impazzire. Ma presto si renderà conto che è lui a prendere le decisioni. Io mi limito a dare alla gente delle cose. Quel che poi ci fanno sfugge al mio controllo. Sapete, mi ha anche chiesto se potevo rubare una mela del vostro albero, come se potesse dirgli cosa fare." Claire fu percorsa da un brivido. "Non si può mai sapere cosa rivelerà l'albero." "Verissimo. Non abbiamo saputo cos'aveva mostrato a vostra madre fino alla sua morte." Tutto e tutti in cucina si impietrirono. L'acqua smise di bollire. L'orologio smise di ticchettare. Sydney e Claire si avvicinarono istintivamente l'una all'altra. "Cosa vuoi dire?" chiese Claire. "Oh, Signore!" Evanelle si portò le mani alle guance. "Oh, Signore! Avevo promesso a vostra nonna che non ve l'avrei mai detto." "Nostra madre ha mangiato una mela?" domandò Sydney incredula. "Una delle nostre mele?" Evanelle levò gli occhi al cielo. "Mary, mi dispiace tanto. Ma che male potrebbe mai fare, ormai? Guardale. Se la cavano alla grande", disse, come se fosse avvezza a parlare con fantasmi che non rispondevano. Prese una sedia e vi si accasciò con un sospiro. "Vostra nonna l'ha capito dopo aver ricevuto la telefonata che l'avvertiva della morte di Lorelei in quel tragico incidente. Me ne ha parlato un paio di mesi prima di lasciarci... ormai era 210
costretta a letto. Da quanto siamo riuscite e ricostruire, Lorelei a dieci anni o giù di lì aveva mangiato una mela, e con ogni probabilità aveva visto come sarebbe morta. Ogni pazzia che ha fatto da allora era un tentativo perché la visione non si avverasse, per far accadere qualcosa di ancora più enorme. Abbiamo pensato che voi due foste riuscite a riportarla a casa e a farle accettare il proprio destino. La notte in cui Lorelei scomparve di nuovo, Mary l'aveva trovata in giardino, per la prima volta da quand'era bambina. Quella notte forse aveva mangiato un'altra mela. Le cose sembravano andare bene e forse aveva pensato che il suo destino fosse mutato. Purtroppo non era così. Vi ha lasciate qui, al sicuro. Era prevista solo la sua morte nell'incidente. Quell'albero ha sempre avuto un debole per vostra madre... Secondo me sapeva che i suoi frutti le avrebbero mostrato qualcosa di brutto. Per questo non gliene tirava mai, come invece fa con il resto della famiglia. Quella pianta ha cercato da sempre di farci sapere qualcosa. Ma Lorelei aveva dovuto usare una scala per prenderne una: Mary l'aveva trovata appoggiata fuori dal garage. Ehi, state bene?" "Sì", rispose Claire. Sydney però era ancora attonita. Non era stata sua madre a decidere del proprio destino. Non aveva deciso lei di vivere in un certo modo. Ma Sydney, credendo di emularla, aveva scelto di fare determinate cose. "Allora me ne andrò fuori", disse Evanelle. "Fai attenzione. Oggi l'albero è particolarmente nervoso: continua a cercare di spostare il tavolo, e nemmeno Bay riesce a farlo ragionare", l'avvisò Claire. "Speriamo che non spaventi Tyler e Henry." "Se quei due devono far parte della vostra vita, sarà meglio svelare loro tutto. La prima cosa che ho detto a mio marito, e avevo sei anni, è stata: 'Io devo regalare delle cose alle persone. Sono fatta così'. L'ho intrigato tanto che quella sera è venuto sotto la mia finestra." Evanelle prese la sporta e uscì. "Secondo te ha detto la verità?" domandò Sydney. "Riguardo alla mamma, intendo." "In effetti ha senso. Se ricordi, dopo che hanno telefonato per avvisare dell'incidente, la nonna ha cercato di dare fuoco all'albero." Sydney annuì. "Non riesco a credere di essermene andata, di aver cercato a tutti i costi di essere come lei, quando lei scappava perché sapeva 211
come sarebbe morta. Come ho potuto sbagliare così?" "Sei una Waverley. O sappiamo troppo poco o sappiamo troppo. Non c'è mai una via di mezzo." A quanto pareva Claire era riuscita a liberarsi dal dolore, ma Sydney scosse la testa bruscamente. "Odio quell'albero." "Non possiamo farci niente. Ce lo dobbiamo tenere." La sorella le lanciò un'occhiata esasperata. Era chiaro che Claire non voleva prendere parte al dramma. "La deflorazione ti ha resa stoica." "Ti spiacerebbe smettere di ripeterlo? Mi fai sembrare una pianta rinsecchita." Claire prese il piatto da portata e iniziò a togliere le pannocchie dal fuoco. "E poi Evanelle ha ragione. Dovremmo proprio dirlo a Tyler e Henry." "Henry lo sa già. Questa è una delle cose buone di chi ti conosce da una vita e ti ha accettata. Sa già quanto siamo strane." "Noi non siamo strane." "L'altro giorno Henry mi ha detto una cosa", proseguì Sydney avvicinandosi alla sorella. Sfregò una macchia invisibile sul ripiano accanto ai fornelli. "Una cosa che non sapevo. Ci ho riflettuto a lungo." "Ti ha detto che ti ama?" chiese Claire, lanciandole un'occhiata. "Come fai a saperlo?" Claire si limitò a sorridere. "Mi piace averlo intorno", ammise Sydney pensando ad alta voce. "Dovrei baciarlo e vedere cosa succede." "E Pandora disse: 'Chissà cosa c'è nel vaso?'" esordì Tyler entrando in cucina. Raggiunse Claire alle spalle e la baciò sul collo. Sydney si voltò, sorridente. Henry aveva avvertito che avrebbe tardato, perciò Tyler, Evanelle e Bay erano già a tavola; Claire e Sydney stavano portando fuori gli ultimi piatti quando lui bussò alla porta. Sydney posò i pomodori a fettine con la mozzarella e andò ad aprire; Claire la precedette in giardino con il pane di mais e lamponi. 212
"Arrivi giusto in tempo", lo accolse Sydney. Henry si comportava come sempre. Lei si comportava come sempre. E allora cos'era cambiato? Forse nulla. Forse era sempre stato tutto lì e lei non se n'era accorta perché Henry era un brav'uomo e lei non poteva credere di essere tanto fortunata. "Mi spiace di non essere riuscito ad arrivare prima", si scusò lui entrando. "Peccato che tuo nonno non sia potuto venire." "Sai, è successa una cosa strana", le spiegò Henry seguendola in cucina. "Stavamo per uscire quando sono comparsi Fred ed Evanelle. Lei ha detto che doveva dare una cosa al nonno. Era un libro che lui moriva dalla voglia di leggere, quindi è rimasto a casa a goderselo. La sua gamba fa un po' le bizze, e si è trovato una buona scusa. Ho dovuto aspettare che arrivasse Yvonne." "Evanelle non ci ha detto di essere stata da voi." "Era di fretta: ha detto che Fred non vedeva l'ora di correre a una lezione cui doveva partecipare. Allora", disse, sfregandosi le mani, "finalmente vedrò il famoso melo di casa Waverley." "Ci sono due cose che devi assolutamente sapere: uno, non mangiare le mele, due, acquattati." "Eh?" "Vedrai", mormorò lei sorridente. "Come sei carino stasera." "E tu sei bellissima." Per l'occasione Sydney si era comprata una gonna nuova, rosa con scintillanti ricami d'argento, e si pavoneggiò un poco. "Lo sai che in terza media, alle lezioni di storia, ero seduto dietro di te e ti toccavo i capelli senza che te ne accorgessi?" Sydney provò una bizzarra sensazione nel petto. Senza pensarci, fece due passi in direzione di Henry e lo baciò. Con una tale forza che lo spedì contro il frigorifero. E lei con lui, senza mai perdere il contatto. I tovaglioli colorati che Claire aveva impilato in cima al frigorifero caddero e si sparsero intorno a loro come tanti coriandoli, come se la casa gridasse: Urrà! 213
Quando Sydney si scostò, Henry aveva l'aria scioccata. Alzò piano le mani e gliele posò delicatamente sulle braccia, facendole venire la pelle d'oca. Era forse... provava realmente... Lo baciò ancora per esserne sicura. Provò di nuovo la stessa sensazione, ancora più forte, e il cuore prese a martellare impazzito. Le mani di Henry salirono fino ai capelli. Sydney aveva baciato molti uomini che la desideravano, ma era trascorso molto tempo da quando ne aveva baciato uno che l'amava. L'aveva dimenticato. Aveva dimenticato che l'amore rende possibile qualunque cosa. Quando si allontanò, Henry le chiese senza fiato: "E questo per cos'era?" "Volevo solo essere sicura." "Sicura di che?" Sydney sorrise. "Te lo dico dopo." "Sai, questo significa che l'appuntamento con Amber del salone è definitivamente cancellato." Sydney rise e con una mano prese il piatto con i pomodori e la mozzarella, mentre con l'altra conduceva Henry alla porta sul retro e fuori con gli altri. Il telefono squillò proprio in quel momento. Sydney non lo sentì, perciò fu la segreteria a rispondere. "Sydney? Sono Emma. Io... io chiamavo per dirti che qualcuno sta cercando te e tua figlia. Non sembra... Sì, insomma, c'è qualcosa in lui che...'" Pausa. "Volevo solo dirti di fare attenzione. "
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Mangiarono e risero fino a tardi. Le gambe di Sydney e Henry si toccavano sotto il tavolo e lei non voleva muoversi, non voleva nemmeno alzarsi per prendere una bottiglia di birra o una bibita gassata dal cestello colmo di ghiaccio sistemato lì accanto. Finché avesse mantenuto il contatto non avrebbe cambiato idea, non avrebbe detto che lui meritava di meglio o che lei non meritava una cosa tanto bella. Una volta finito di mangiare, Claire levò il bicchiere. "Ognuno faccia il suo brindisi. Al cibo e ai fiori", disse. "All'amore e alle risate", disse Tyler. "Al vecchio e al nuovo", disse Henry. "A ciò che deve accadere", disse Evanelle. "Al melo", disse Bay. "A..." Sydney si fermò quando sentì quell'odore. No, no, no. Non lì. Non ora. Perché mai avrebbe dovuto pensare a David? L'albero tremò, e qualcosa che solo Tyler e Henry credettero un uccello sibilò sopra le loro teste. Si udì un tonfo sordo. Una mela cadde su qualcuno che stava davanti al giardino, oltre il cancello. "Cazzo! " esclamò una voce maschile. Tutti tranne Sydney si voltarono. Sentì le ossa spezzarsi. Lividi presero a spuntarle sulla pelle come uno sfogo. Lo spazio vuoto fra i due molari iniziò a farle male. "Sì?" chiamò Claire allegra, perché quella era casa sua. Non credeva che nulla di tanto cattivo potesse accadere proprio lì. "Ssshh! " la zittì la sorella. "Bay, va' dietro l'albero. Presto, corri. Subito!" La bambina, che sapeva benissimo di chi si trattava, ubbidì senza fiatare. "Sydney, cosa succede?" domandò Claire, mentre la sorella si alzava e si voltava lentamente. "È David." Claire balzò in piedi. Tyler e Henry si scambiarono 215
un'occhiata. Entrambi percepivano la paura che le due sorelle irradiavano. Si alzarono simultaneamente. "Chi è David?" chiese Henry. "È il padre di Bay", rispose Claire, e Sydney sentì che avrebbe potuto gridare di sollievo per non averlo dovuto dire lei. Dalle ombre del caprifoglio accanto al cancello David infine si materializzò. "Lo vedete anche voi?" chiese Sydney disperata. "È davvero qui?" "È qui", mormorò Claire. "Hai organizzato una festa e non mi hai invitato?" esordì David. Camminando sul vialetto ghiaioso, le sue scarpe non producevano lo scricchiolio di passi normali, bensì un rumore sordo, uno scoppiettio. Erano colpi duri, irosi, come quando si calpestano bicchieri di carta. Era ben piantato, sicuro di sé. La sua rabbia non aveva mai dovuto compensare l'inadeguatezza fisica o l'insicurezza. La sua rabbia non aveva bisogno di una ragione. Si infuriava con Sydney se non indossava ciò che voleva lui, senza però averle prima detto che cosa fosse. Ecco perché Sydney non aveva portato con sé molti vestiti. Quelli che aveva scelto lei erano pochissimi. Sydney provò a ripetersi che le cose non dovevano andare male per forza, che forse era solo preoccupato o voleva vedere sua figlia. Ma non riuscì a convincersene. Non sarebbe tornata con lui. E David non era lì per riprendersela. Perciò restava un'unica possibilità. Doveva proteggere Bay, Claire e gli altri. Il solo fatto di essere tornata li aveva messi in pericolo. E aveva creduto che il pericolo non potesse seguirla fino a Bascom. O forse era stata lei stessa il giorno in cui, dieci anni prima, se n'era andata, a causare ciò che stava accadendo. Una serie di eventi che avevano portato a quello. Comunque fosse, la colpa era sua. "Va tutto bene. Adesso David e io ce ne andiamo e parliamo un po'." Poi sussurrò a Claire: "Abbi cura di Bay". "No, no", sibilò David. Mentre si avvicinava Sydney sentì il proprio corpo sobbalzare, percorso da una scossa elettrica. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Oh, mio Dio, aveva una pistola! Dove l'aveva trovata? "Non volevo interrompervi." 216
"David, loro non c'entrano. Verrò con te. Sai che lo farò." "Che diavolo sta succedendo?" esclamò Tyler quando vide l'arma. Scoppiò in una risata incredula. "Ehi, amico, mettila giù." David gliela puntò contro. "Dimmi, Cindy, è lui quello che ti scopi?" Sydney sapeva ciò che Henry avrebbe fatto pochi secondi prima che lo facesse. Erano persone innocenti. Non avevano la minima idea contro chi si stavano mettendo. "Henry, no! " gridò mentre lui si scagliava addosso a David. Uno sparo rimbombò nel silenzio. Un tuono. All'improvviso Henry si bloccò. Una macchia rosso brillante iniziò ad allargarsi sulla sua camicia, all'altezza della spalla destra. Crollò in ginocchio e dopo pochi minuti cadde supino con gli occhi fissi al cielo. Batteva le palpebre velocemente, come se cercasse di svegliarsi da un sogno. Evanelle, leggera e minuta come una foglia, fluttuò verso di lui, senza che David la vedesse. "Bene", disse quest'ultimo. "Adesso sappiamo chi è che ti scopi. Qui è tutto favoloso." Alzò un piede e con una pedata rovesciò il tavolo, facendo cadere le vettovaglie che si ruppero a terra con gran rumore; il ghiaccio si sparpagliò sulla cicoria. Tyler dovette tirare indietro Claire perché non fosse investita dagli avanzi che volavano dappertutto. "Come hai fatto a trovarmi?" chiese Sydney per indurlo a guardare lei e non Claire. Altrimenti Tyler avrebbe reagito e David avrebbe sparato anche a lui. Lanciò un'occhiata in direzione di Henry. Evanelle aveva preso dalla sporta una sciarpa blu lavorata all'uncinetto e gliela stava premendo sulla spalla. C'era sangue ovunque. "Ti ho trovata grazie a queste, stupida puttana! " Le mostrò un plico di fotografie. Un errore. Un errore fra tanti. Se l'era meritato, per più di un motivo, ma Henry no. E nemmeno Claire. Forse avrebbe dovuto provare a fuggire, dando così il tempo agli altri di cercare aiuto. O raccogliere un pezzo di piatto rotto per tentare di ferirlo. Dal suo ritorno a casa Sydney credeva di essere diventata più forte, ma David riusciva ancora a terrorizzarla tanto da sottometterla. Non aveva avuto il coraggio di opporsi a lui ai tempi, e non sapeva come farlo adesso. David stava sfogliando velocemente le fotografie. "Questa in particolare 217
mi è stata di grande aiuto. Basta Bascom! Il North Carolina puzza!" E le mostrò la foto con sua madre ad Alamo. L'albero tremò; sembrava aver riconosciuto Lorelei. David lanciò le fotografie addosso a Sydney, che si allontanò. Da lui, dal tavolo, da coloro che amava. "Ti rendi conto della figuraccia che mi hai fatto fare? Avevo portato Tom da Los Angeles. Immaginati la sorpresa quando non vi ho trovate." Nell'udire quella notizia Sydney non si sentì più la punta delle dita. Tom era il migliore amico del college, nonché socio in affari a L.A. di David. Fare la figura del fesso dinanzi a lui aveva obbligato David a mettersi sulle sue tracce. Con una pistola. Lui odiava passare per fesso. Sydney lo sapeva. Ogni centimetro del suo corpo lo sapeva. "Smettila di indietreggiare, Cindy. So cosa stai cercando di fare. Non vuoi che..." E si voltò dritto verso Claire "... noti lei. E, dimmi un po', tu chi saresti?" "Sono Claire", rispose lei aspramente. "La sorella di Sydney." "Sydney", ripeté lui ridendo e scuotendo la testa. "Ancora non riesco ad abituarmici. La sorella, eh? Sei più alta, più robusta. Non hai l'aria di una che si spezza altrettanto facilmente. Non sei nemmeno altrettanto bella, però hai le tette più grosse. Comunque devi essere altrettanto stupida, altrimenti avresti saputo che non ti conveniva prenderti in casa quello che è mio." Tyler si mise davanti a Claire, ma David non era certo il tipo che rinunciava a combattere. Avanzò di un passo, poi Sydney urlò: "Fermo!" David si girò verso di lei. "E tu cosa pensi di poter fare? Farò quello che voglio. E sai perché." Ghignò. "Dov'è Bay? Prima l'ho vista. Vieni fuori, piccola. Papà è qui. Forza, vieni a darmi un bell'abbraccio." "Bay, resta ferma dove sei", gridò Sydney. "Non osare minare la mia autorità davanti a nostra figlia!" David avanzò verso Sydney, ma una mela gli rotolò davanti ai piedi. Lui guardò in direzione del melo immerso nelle ombre. "La mia piccola Bay è dietro l'albero? Vuole che il suo papà mangi una mela?" Sydney, Claire ed Evanelle, troppo spaventate per muoversi, osservarono David che raccoglieva il frutto. Tyler fece per avvicinarsi, per cercare di approfittare del fatto che David fosse distratto; Claire gli afferrò un braccio e sussurrò: "No, aspetta". 218
David si portò alla bocca la mela, rosea e perfettamente tonda. Il succoso scricchiolio del morso riecheggiò per il giardino. I fiori si contorsero e richiusero, terrorizzati. David masticò qualche istante, poi s'irrigidì. Prese a muovere gli occhi a destra e a sinistra, come se stesse guardando qualcosa che solo lui poteva vedere, un film proiettato esclusivamente per lui. Lasciò cadere sia la mela sia la pistola. Batté le palpebre più volte e fissò Sydney. Quindi si voltò e fissò tutti i presenti negli occhi. "Cos'era?" domandò con voce tremante. Nessuno rispose. Lui ripeté urlando: "Cosa diavolo era?" Sydney volse gli occhi alle foto della madre sparpagliate ai suoi piedi, nell'erba. Avvertì una strana sensazione di quiete salirle dentro. Rammentava chiaramente quando David l'aveva trovata a Boise, la furia con cui l'aveva picchiata. A un certo punto aveva sentito che stava per morire. Sotto quella pioggia di pugni aveva avuto la certezza di guardarlo mentre la uccideva. Che sorpresa era stata svegliarsi, con lui che le stava sopra. La morte di qualcun altro non significava nulla per David, ma ciò che aveva appena visto sì. Significava molto. "Hai visto la tua morte, vero, David?" gli chiese. "La tua peggior paura divenuta realtà. Questa volta eri tu quello a cui facevano del male?" David impallidì. "Anni e anni a farlo agli altri, e alla fine qualcuno lo farà a te." Sydney gli si avvicinò, non più intimidita e nemmeno spaventata. Da qualche parte dentro di sé aveva creduto che David non avrebbe smesso di terrorizzarla, di tormentare i suoi pensieri. Un giorno, invece, sarebbe morto. E ora lo sapevano entrambi. "Scappa più lontano che puoi", sussurrò. "Forse riuscirai a evitarlo. Ma finché resterai qui si avvererà. Puoi star certo che me ne occuperò personalmente." David si voltò e fece alcuni passi vacillanti prima di fuggire via. Non appena se ne fu andato, Sydney chiamò: "Bay! Bay, dove sei?" La bambina la raggiunse correndo dall'altro lato del giardino, lontana dal melo. Si gettò fra le braccia della madre. Sydney la strinse forte e poi entrambe raggiunsero Henry. 219
"Starà bene", disse Evanelle. "Devi smetterla di essere il mio salvatore", sussurrò Sydney fra le lacrime, inginocchiata al suo fianco. Henry accennò un sorriso. "Credi davvero che me ne andrei da qualche parte senza prima sapere di cosa cercarvi di essere sicura in cucina?" Sydney non riuscì a soffocare una risata. Come poteva lui amare una donna tanto sbagliata? E come poteva lei amare un uomo così buono? "Vado a chiamare un'ambulanza", disse Evanelle. "E anche la polizia! Dagli una descrizione di quel tipo", le gridò Tyler raccogliendo la pistola. "Forse riusciranno a prendere quel pazzo furioso. Sydney, che auto guida?" "Se n'è andato per sempre", gli rispose. "Non preoccuparti." "Non preoccuparti? Cosa vi prende?" chiese Tyler guardandoli, e all'improvviso si rese conto che tutti, compreso Henry, sapevano qualcosa che lui ignorava. "Perché è scappato in quel modo? E come cavolo ha fatto la mela a rotolargli ai piedi se Bay era laggiù?" "È stato l'albero", rispose Claire. "L'albero? Ma sono l'unico, qui, a non capirci niente? Avete visto cos'è successo? Bisogna prendere il numero di targa." Tyler fece per precipitarsi fuori dal giardino. Claire lo trattenne per un braccio. "Tyler, ascoltami", disse. "Chi mangia una mela di quest'albero vede l'evento più importante della propria esistenza. So che sembra impossibile, però molto probabilmente David ha visto la propria morte. E questo l'ha fatto fuggire. Così com'è accaduto a nostra madre. Per alcuni la cosa peggiore che accadrà loro è anche l'avvenimento più importante di tutta una vita. Non tornerà più." "Per favore", replicò Tyler. "Anch'io ne ho mangiata una e non sono fuggito gridando nella notte." "Hai mangiato una di queste mele?" domandò Claire esterrefatta. "La notte in cui ci siamo incontrati. Quando ho trovato tutte quelle mele dalla mia parte dell'inferriata." "E cos'hai visto?" "Ho visto solo te." La risposta di Tyler addolcì lo sguardo di Claire. 220
"Ma cosa..." Non fece in tempo ad aggiungere altro, perché lei aveva deciso di baciarlo. "Ehi", disse Bay, "dove sono finite le fotografie?"
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Parte Terza - Preveggenza
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14 "Non ce la faccio", sbuffò Sydney. Quella domenica pomeriggio Bay era sdraiata nell'erba, su un fianco, la testa adagiata sul braccio. Sonnecchiava in giardino quando la voce della madre l'aveva riscossa. La mamma e la zia avevano appoggiato una vecchia scala di legno contro il tronco del melo. Sydney era in cima e si allungava verso i rami, mentre Claire teneva ferma la scala. "Forse, se spostiamo la scala, a quello ci arrivo", disse Sydney puntando a un ramo più basso sul lato opposto. Poi lasciò andare un gemito esasperato. "Stupido albero." "Ehi, immaginavo di trovarvi qui", esclamò una voce. Le sorelle guardarono oltre le spalle e videro Evanelle che arrivava lungo il viottolo. "Ciao, Evanelle", la salutò Sydney scendendo dalla scala. Si fermò sul terz'ultimo piolo e saltò, mentre la gonna si agitava nell'aria come un ombrellone. Bay sorrise nel vederla. "Che fate, ragazze?" domandò Evanelle avvicinandosi. "Stiamo cercando di liberare le foto della mamma dall'albero", rispose Claire, anche se lo faceva solo perché Sydney lo voleva. Bay si era accorta che ultimamente la zia era distratta. Quel giorno portava due orecchini scompagnati, uno azzurro e l'altro rosa. "Sono passate sei settimane. Non capisco perché non voglia ridarcele." Evanelle lanciò uno sguardo ai cartoncini in bianco e nero incastrati tra foglie e mele nei rami più alti. "Permettetegli di tenersele. Quell'albero ha sempre amato Lorelei. Così sia." Sydney si mise le mani sui fianchi. "Tagliere quei rami." "Non si spezzeranno", le ricordò Claire. "Almeno provarci mi farà stare meglio." "Ti bombarderà di mele." Claire sospirò. "Magari potremmo di nuovo chiedere a Bay di parlargli." "L'unica occasione in cui abbiamo quasi ottenuto le foto è stata quando 223
Bay ha detto di voler vedere che aspetto avesse sua nonna", spiegò Sydney alla cugina. "Allora l'albero ha abbassato un ramo per mostrarle una fotografia, ma l'ha ritirato in tutta fretta non appena abbiamo tentato di afferrarla." Si voltò verso la bambina, che subito richiuse gli occhi. Da quella famosa sera l'unico modo per sapere come stavano davvero le cose era fingere di non stare a sentire. "Non svegliamola." "Oh, porta ancora la spilla!" mormorò Evanelle con affetto. "Non se la toglie mai." Bay avrebbe voluto toccare la spilla, come faceva ogni volta che qualcosa la preoccupava, ma tutti la stavano guardando. "Qual buon vento, Evanelle?" domandò Claire. Bay aprì un occhio. Ora le davano le spalle. "Pensavo che tu e Fred foste a pranzo con Steve, oggi." "Infatti. Non vedo l'ora. Steve cucinerà di nuovo qualcosa di favoloso. Ho detto a Fred quant'è stato fortunato che un insegnante di cucina si sia innamorato di lui. Mi ha guardata come se gli avessi detto che aveva delle api tra i capelli." "È ancora convinto di dover uscire con Steve a causa dell'affettamango? " "Oh, sì. E comunque anch'io esco con Steve. Ovunque vadano quei due, Fred vuole che vada anch'io. È felice, però non vuole ammetterlo. Prima o poi se ne renderà conto. Non gli dirò ciò che deve fare. E poi Steve gli ha lasciato il comando: proprio quello che gli ci vuole. E nel frattempo io mangio prelibatezze. Per la prima volta, la scorsa settimana, ho assaggiato le lumache. Mah..." cinguettò Evanelle. "Adoro gli uomini gay. Sono un vero spasso." "Sono contenta che tu ti diverta", disse Claire. "Fred mi aspetta in macchina. Dovevo assolutamente passare di qui per darvi questo." Bay non poteva vedere di cosa si trattasse: colse solo un lampo di carta bianca quando Evanelle prese qualcosa dalla sporta. "Sementi di velo da sposa?" disse Sydney. "Per chi di noi?" "Per tutte e due. Dovevo darle a tutte e due. Fred mi ha accompagnata al 224
mercato per comprarle. Ah, ho visto Henry: stava comprando delle mele. Ha veramente un bell'aspetto. Mi ha detto che la spalla sta guarendo, che a breve sarà come nuovo." "Sì, e pensa sia merito delle mele." Sydney sorrise e scosse la testa. "Da quella sera, non fa che mangiarne." "Vorrei che anche per Tyler fosse lo stesso", sospirò Claire. "Non ne vuole sapere di avvicinarsi all'albero. Non riesce ad accettarlo. Secondo lui non è possibile che in un rapporto di polizia si sostenga che un melo abbia messo in fuga un sospetto... e non si capacita che nessuno ci trovi niente di strano." Dopo la fuga di David tutti avevano fatto il possibile perché Bay non venisse a sapere i dettagli, ma lei si nascondeva dietro le porte o appoggiava l'orecchio sulle grate dell'impianto di riscaldamento per origliare. Suo padre era stato fermato dalla polizia appena fuori Lexington, nel Kentucky. Durante l'inseguimento aveva distrutto il SUV. Quando gli agenti l'avevano estratto dalle lamiere, illeso, lui li aveva implorati di non portarlo dentro. Non poteva andare in prigione. Non poteva assolutamente. Li aveva pregati di ucciderlo, e quella notte aveva tentato di impiccarsi in cella. Qualcosa di terribile gli sarebbe occorso in carcere, e lui lo sapeva. Doveva essere quel che aveva visto dopo aver mangiato la mela, la ragione per la quale era fuggito e non voleva essere preso. Quando Bay pensava a lui, provava tristezza. Suo padre non era mai appartenuto a nessun posto. Era difficile non dispiacersi per una vita senza scopo. Era figlio di genitori senza volto morti tanti anni prima. Amico di molti che avevano troppa paura a non esserlo. Sembrava che il suo unico scopo fosse stato entrare nella vita di Sydney affinché lei tornasse nella sua vera casa. Di questo, decise Bay, gliene sarebbe stata grata. Sarebbe mai riuscita a perdonarlo? Sperava di non ricordarsi di lui tanto a lungo da scoprirlo. Aveva avuto così tanta paura a vederlo lì! L'aveva quasi dimenticato, aveva dimenticato il suo aspetto, quanto potesse infuriarsi. Prima che lui ricomparisse si era crogiolata nella felicità, e voleva crogiolarvisi ancora. Comunque era sulla buona strada: già stendersi in giardino rendeva le cose 225
migliori. Per sua madre ci sarebbe voluto più tempo, ma anche Sydney si sarebbe presto crogiolata di nuovo. Talvolta Bay sedeva in cima alle scale di casa mentre Henry e sua madre erano sotto il portico, e sentiva Henry che cantava per lei, non canzoni bensì promesse. Bay voleva che Henry entrasse nella loro vita, anche se non sapeva spiegarsi il perché. Come quando desideri che il sabato ci sia il sole, o che per colazione ci siano i pancakes. Sono cose che semplicemente ti fanno stare bene. Suo padre non l'aveva mai fatto. Perfino quando rideva, intorno a lui tutti si facevano piccoli in attesa che il buonumore svanisse. E succedeva sempre. Ma ora non doveva pensarci. "Questi devono essere per te", disse Sydney porgendo il pacchetto di sementi a Claire. "Il velo da sposa è per le spose, appunto. Tu e Tyler avete fissato la data." "No, sono per te!" Claire cercò di renderglielo. "E per la vostra fuga d'amore, se Henry non avrà niente da ridire." Bay sperò che fosse vero. Alcune sere, prima di addormentarsi, la mamma si sedeva accanto a lei sul letto e le parlava di Henry. Rimaneva sul vago, perché ovviamente non voleva che Bay si sentisse sopraffatta da una nuova presenza maschile nella loro vita. Ma lei non era sopraffatta. Era impaziente. Visto che il suo sogno non si era ancora realizzato al cento per cento, Bay era ansiosa di sapere come le cose si sarebbero evolute. E se suo padre avesse rovinato tutto? Se il suo arrivo avesse buttato tutto all'aria? "E se le sementi non indicassero matrimonio, ma bambini?" ipotizzò Evanelle. Sydney scoppiò a ridere. "Allora io sono fuori." Claire guardò pensosa il pacchetto che aveva in mano. "Claire?" la provocò Sydney. La zia alzò lo sguardo e mostrò un sorrisino consapevole, un'espressione che Bay non aveva mai visto, ma che la mamma sembrò riconoscere al volo. "Davvero?" esclamò Sydney prendendo il viso della sorella tra le mani. Bay pensò che ultimamente aveva visto spesso sua madre felice, ma mai così tanto. Irradiava una gioia luminosa. Quando sei contenta per te stessa, la gioia ti riempie. Quando lo sei per qualcun altro, sgorga. Era troppo luminosa per riuscire a guardarla. "Oh, mio Dio, davvero?" 226
Claire annuì. Bay vide le tre donne che si abbracciavano e poi lasciavano il giardino. Un drappello di Waverley che parlavano con le mani, si toccavano, ridevano. L'albero si agitava eccitato, come se ridesse con loro. E lanciò loro una mela. Bay si mise sulla schiena e si stiracchiò sul prato sotto l'albero. E non appena il melo fremette, sopra di lei ci fu un rumore di carta che sbatacchiava. La piccola guardò in alto verso le fotografie che l'albero si era preso quella sera di sei settimane prima. Ondeggiavano lievi. Il sole iniziava a sfumare le immagini, e Lorelei pian piano scomparve. E più passava il tempo, più anche il padre di Bay svaniva. Amava talmente quel posto! Le cose erano però perfette solo a metà, ancora non vedeva le scintille e l'arcobaleno. Ma non era abbastanza? Erano tutti felici. Probabilmente questo era più di quanto vicino al sogno avrebbe mai avuto. Così vicino. Non doveva preoccuparsi. Portò la mano alla spilla, per trarne conforto. E le dita si immobilizzarono sul monile. Un momento. Era questo? Era così facile? Strinse le labbra mentre staccava la spilla dalla maglietta. Era talmente eccitata che le dita le scivolavano e dovette fare diversi tentativi. Il prato era soffice come nel sogno. Il profumo delle erbe aromatiche e dei fiori era esattamente lo stesso. Il rumore di carta svolazzante intorno a lei c'era, visto che l'albero continuava a ondeggiare. Trattenendo il fiato sollevò la spilla di Strass sopra la testa. La mano ora tremava, Bay non voleva rimanere delusa. Mosse il monile avanti e indietro finché improvvisamente, come un pacco natalizio, la luce lo colpì e scintille di mille colori le piovvero sul viso. Le poteva sentire, i colori così freschi, come fiocchi di neve. L'intero corpo si rilassò e Bay si mise a ridere. Rise come non aveva mai fatto. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di quella prova. Sì, ora tutto sarebbe stato perfetto. Perfetto. 227
Dal ricettario delle Waverley…
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Agastache: Allevia frustrazione e confusione. Angelica: Si adatta alle necessità, ma è particolarmente indicato per calmare i bambini iperattivi a tavola. Bocca di leone: Respinge le influenze altrui non richieste, specialmente quelle dotate di poteri magici. Bulbo di giacinto: Causa malinconia e rimpianto per il passato. Usare solo bulbi essiccati. Fiore per viaggiare nel tempo. Caprifoglio: Per vedere al buio, ma solo se si usa caprifoglio proveniente da un sottobosco di rampicanti spesso almeno settanta centimetri. Fiore che chiarisce. Cedrina: Nella conversazione produce un senso di rilassatezza togliendo ogni imbarazzo. Utile in caso di ospiti nervosi o eccessivamente loquaci. Cicoria: Allontana l'amarezza. A chi la mangia dà la sensazione che tutto vada bene. Fiore che maschera. Dente di leone: Stimolante, favorisce la fedeltà. Frequenti effetti collaterali sono non vedere i difetti e scusarsi spontaneamente. Fiordaliso: Aiuta a ritrovare le cose precedentemente nascoste. Fiore che chiarisce. Fiore di erba cipollina: Assicura che si abbia la meglio in una discussione. Se necessario, è un antidoto contro i sentimenti feriti. Fiori di zucca e di zucchina: Nel caso serva comprensione. Fiore che chiarisce. Geranio rosa: Induce ricordi sui bei tempi andati. Opposto del bulbo di giacinto. Fiore per viaggiare nel tempo. Lavanda: Risolleva l'animo. Previene le cattive decisioni dovute a stanchezza e depressione. Lillà: Quando è in gioco una certa dose di umiltà, dà la certezza che umiliarsi con qualcuno non si ritorcerà contro chi lo fa. Melissa: Per un breve periodo chi la mangia penserà e si sentirà come in gioventù. Prima di servire controllare di non avere alla propria tavola qualche ex teppistello. Fiore per viaggiare nel tempo. 229
Menta piperita: Un metodo furbo per mantenere i segreti. Se abbinata ad altri fiori commestibili confonde chi la mangia, nascondendo la vera natura delle proprie azioni. Fiore che chiarisce. Nasturzio: Risveglia l'appetito negli uomini. Rende le donne riservate. Nelle compagnie miste talvolta possono nascere relazioni sessuali clandestine. Non perdere di vista gli ospiti. Petalo di rosa: Incoraggia l'amore. Tagete: Provoca affetto, talvolta accompagnato a gelosia. Tulipano: Regala una sensazione di perfezione sessuale. Un possibile effetto collaterale è diventare dipendenti dall'opinione altrui. Viola: Un rimedio eccellente per concludere il pasto. Regala calma, felicità e garantisce una buona notte di sonno. Viola del pensiero: Induce a fare complimenti e regali a sorpresa.
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