Il Podio e Lo Schermo La Musica Per Film [PDF]

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Zitiervorschau

Il podio e lo schermo. La musica per film nella programmazione delle orchestre sinfoniche EIAR e RAI Maurizio Corbella

«L’arte che si scrive su commissione non è affatto una cattiva arte».1

Questo articolo sviluppa alcune chiose alla TAVOLA SINOTTICA raccolta in coda a questo volume, concepita in risposta allo stimolo, trasmessomi dal curatore, a interessarmi al peso e alla presenza della musica per film nella storia della programmazione delle orchestre sinfoniche dell’EIAR/RAI. La proposta di Andrea Malvano nascondeva un’insidia, col tempo però trasformatasi nel principale motore di questa ricerca. Si trattava cioè di avventurarsi in un territorio dallo statuto precario, quello di un non-genere – o, per parafrasare Roberto Calabretto, di un genere dalla difficile identità2 – come la musica per film, per osservarlo al di fuori del proprio contesto naturale, lo schermo, e per giunta forse proprio in quel luogo che molti hanno reputato, con argomentazioni ragionevoli, il meno adatto alla sua fruizione: la sala da concerto. È infatti evidente che, nel tragitto dallo ‘schermo’ al ‘podio’, la natura della fruizione musicale si modifica radicalmente, e ciò ha tanto più valore se si considera che la sala da concerto, a partire dai primi decenni del Novecento, è il luogo in cui si definiscono i canoni e i riti dell’ascolto strutturale ‘modernista’,3 laddove la sala cinematografica è d’altra parte il luogo in

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Grigorij Michajlovič Kozincev a proposito della musica di Šostakovič per il suo film Hamlet (op. 116); passaggio riportato da Paolo Rabotti nel programma di sala del concerto del 12 aprile 1990, Orchestra Sinfonica di Torino della RAI diretta da Hubert Soudant, Archivio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. 2 ROBERTO CALABRETTO, La difficile identità della musica per film, in S. CANAZZA – M. CASADEI TURRONI MONTI (a cura di), Ri-mediazione dei documenti sonori, Udine, Forum 2006, pp. 126-258. 3 È questo un argomento oggetto di riflessioni nella contemporanea indagine musicologica, soprattutto in area anglosassone. Il mio riferimento è in questo caso una relazione di Nicholas Cook, presentata nel 2013 presso la Fondazione «Giorgio Cini», nell’ambito della conferenza ‘Musical Listening in the Age of Technological Reproducibility’, recentemente pubblicata: NICHOLAS COOK, Seeing Sounds, Hearing Images: Listening Outside the Modernist Box, in G. BORIO (ed.), Musical Listening in the Age of Technological Reproducibility, Farnham, New York – London, Routledge 2016, pp. 185-202.

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cui va configurandosi una affatto nuova forma di esperienza multimediale in cui la musica ha ruolo determinante. Nel commentare la svolta concertistica di Ennio Morricone, avvenuta negli anni Ottanta e destinata ad avere un peso sulla nozione stessa di ‘concerto sinfonico’ almeno presso il pubblico del mainstream contemporaneo, Sergio Miceli ricorreva a un passo di Umberto Eco, posto da quest’ultimo a conclusione del suo celebre saggio del 1964 sul cattivo gusto.4 Eco aveva usato la musica allora detta «ritmo-sinfonica» per esemplificare l’ambiguità del concetto di Kitsch, capace di stare a volte «dalla parte del messaggio, a volte dalla parte dell’intenzione di chi lo fruisce o di chi lo offre da fruire come prodotto diverso da ciò che esso è».5 Se, a grandi linee, il genere ritmo-sinfonico, «per il suo volere amalgamare le piacevolezze della musica da ballo, le arditezze del jazz e la dignità del sinfonismo classico»,6 svolge una funzione meramente effettistica e surrogante contenuti ‘di ritorno’, nel caso di un compositore naturalmente talentuoso come Gershwin, esso trova per Eco una sua «necessità strutturale». E tuttavia, nel momento in cui questa composizione [si riferisce in particolare a Rhapsody in Blue] (legittimamente ascoltabile come distensivo e onesto stimolo di rilassamento e fantasticheria) viene eseguita nella grande sala da concerto, da un direttore in marsina, per un pubblico inteso a celebrare i riti tradizionali del sinfonismo, si fa inevitabilmente Kitsch, perché stimola reazioni non commisurate alle sue intenzioni e possibilità. Viene decodificata alla luce di un codice che non è quello di origine.7

Miceli applicava quindi per analogia questo argomento alla musica per film di Morricone, che troverebbe perfetta necessità strutturale entro la sede per cui è stata concepita (il cinema), ma al contrario si presterebbe a travisamenti di codice allorché approda alla sala da concerto.8 Allo stesso tempo Miceli – che, come vedremo in chiusura di questo scritto, aveva seguito il debutto concertistico di Morricone fin dalle sue primissime fasi – evitava cautamente di prendere una posizione unilateralmente critica verso tale fenomeno, poiché in qualche modo avvertiva (scrivendo nel 1994) che il processo di ridefinizione avviato dal

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SERGIO MICELI, Morricone, la musica, il cinema, Parma – Milano, Mucchi – Ricordi 1994 (Le sfere, 23), pp. 303-305. 5 UMBERTO ECO, La struttura del cattivo gusto, in ID., Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani 1964, pp. 65-129, in particolare 126-128: 126. 6 Ivi, p. 127. 7 Ibid. 8 Un’ulteriore complicazione dei piani si manifesta quando, proprio sull’onda dell’esplosione di popolarità del Morricone ‘concertista’, si assiste alla migrazione del ‘rito’ della sala da concerto verso spazi ancora diversi, come i palasport o la grande arena, tradizionalmente adibiti a diverse tipologie di musica dal vivo.

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compositore romano sulla propria musica e forse sulla musica per film tout court era in pieno svolgimento e portava Morricone stesso a esprimersi in modi ambivalenti riguardo alla propria attività, a seconda delle sedi e delle occasioni in cui veniva interpellato. A vent’anni di distanza dallo scritto di Miceli e a cinquanta da quello di Eco – in un momento storico in cui ascoltare la Rhapsody in Blue in una sede sinfonica è diventata cosa normale e guardare Morricone in diretta televisiva dirigere l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ha più il sapore di una consacrazione che non di una provocazione9 – occuparsi di musica per film nelle programmazioni sinfoniche può significare assumere una prospettiva storiografica nei confronti di quelle «interferenze di codice» che nel corso del XX secolo si sono moltiplicate facendo emergere nuovi campi semantici (non necessariamente d’interesse estetico ma neanche prive a priori) dell’espressione musicale, permettendo a quest’ultima di rigenerarsi come materia viva e agire in profondità sulla formazione del gusto.10 Quale musica, quali orchestre? Il primo film sonoro italiano, Resurrectio di Alessandro Blasetti,11 racconta di un direttore d’orchestra che, dopo essere giunto a un passo dal suicidio per ragioni amorose, riconquista fiducia nella vita e nell’arte grazie all’incontro fortuito con una donna. La vicenda ruota intorno a un concerto che il Maestro Gadda (interpretato da Daniele Crespi) dapprima sembra voler disertare e infine dirige di fronte alle due donne che sono rispettivamente causa della sua rovina e della sua rinascita (anzi, della sua ‘resurrezione’): la locandina del concerto, inquadrata (FIG. 1), ci informa che il programma è composto da quattro composizioni, le prime delle quali (che sono anche le uniche che ascoltiamo nel film) sono attribuite rispettivamente a «E. Amedeus» e «A. Escobar», nomi immaginari che giocano sulle credenziali del reale compositore delle musiche del film, Amedeo Escobar (1888-1973).

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Mi riferisco alla diretta di RAI 5 del concerto del 23 marzo 2012 trasmessa dall’Auditorium «Arturo Toscanini» di Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta da Morricone (cfr. SINOSSI). 10 Per una discussione dell’interferenza di codice in musica, cfr. PHILIP TAGG, Music’s Meanings: A Modern Musicology for Non-Musos, New York – Huddersfield, The Mass Media Music Scholars’ Press 2012, pp. 182-188. 11 Come ampiamente noto, Resurrectio fu realizzato nel 1930 ma distribuito nel 1931, successivamente a La canzone dell’amore (Gennaro Righelli, 1930), che è in effetti il primo film sonoro italiano uscito nelle sale.

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FIG. 1: Resurrectio, fotogramma: locandina del concerto

Secondo un topos che avrebbe presto conosciuto illustri continuatori – a cominciare dalle due versioni di The Man Who Knew Too Much di Alfred Hitchcock (1934 e 1956) –, il cinema si pone apertamente in Resurrectio il problema di rappresentare il rito collettivo e solenne della sala da concerto, e la musica per film quello di ‘mimetizzarsi’, grazie al suo insito sincretismo, in quella che tra le sue matrici è considerata la più ‘nobile’, vale a dire la musica sinfonica. Non è un problema da poco, tant’è vero che la scena madre di Resurrectio viene presto criticata per il suo impiego di mezzi musicali reputati inadeguati al luogo rappresentato. Dalle pagine de «Il lavoro fascista», Mario Labroca – figura autorevole nelle sue molte vesti di critico, compositore, organizzatore musicale e politico attivo anche nell’ambito cinematografico12 – pur lodando la fattura del film, stig-

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Allievo di Gian Francesco Malipiero, Labroca (1896-1973) fu direttore della Sezione Musicale della Direzione Generale dello Spettacolo dal 1930. Compose egli stesso musica per film e documentari, ed ebbe un ruolo di spicco nella Cines diretta da Emilio Cecchi (cfr. PAOLO CATTELAN, Il pavone e il principe degli scocciatori alla fiera degli indolenti. Da Pirandello a Ruttmann: le avventure di Malipiero musico-cineasta, in G. MORELLI (a cura di), Retroscena di Acciaio. Indagine su un’esperienza cinematografica di G. Francesco Malipiero, Firenze, Olschki 1993 (Studi di Musica Veneta, 19), pp. 127-244: passim). Dal 1948 al 1958 fu condirettore insieme a Giulio Razzi della Direzione Centrale Programmi della Rai (cfr. JOHANNES STREICHER, Labroca, Mario, in Dizionario biografico degli italiani, LXIII, 2004 [febbraio 2015]; cfr. anche MARIO LABROCA, L’usignolo di Boboli (Cinquant’anni di vita musicale),

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matizza la discrepanza tra l’atteggiamento «ieratico» del pubblico inquadrato nella sala da concerto e la «convenzionalità» della partitura di Escobar, sollevando un problema di ‘morale’ realistica: La musica eseguita nel film del genere non giustifica né i successi frenetici che la macchina da presa registra fedelmente, né, come nel caso di Resurrectio, le pose ieratiche degli spettatori; perché non eseguire in questo secondo caso invece del convenzionale poema di Escobar un frammento di una grande opera sinfonica? Di una applicazione del genere si avvantaggerebbe in maniera enorme anche la cultura musicale del pubblico.13

La musica di Escobar, dunque, è avvertita come inappropriata al contesto altamente connotato (e feticizzato) della sala da concerto. Del resto, a proposito di realismo musicale – tema molto dibattuto alle origini del cinema sonoro – c’è da sottolineare che, nonostante Escobar fosse «valente musicista, con alle spalle una lunga carriera di violoncellista in orchestre sinfoniche sotto la direzione dei più celebri maestri dell’epoca»,14 in Italia non poteva esibire, agli occhi di Labroca e dell’establishment musicale del suo tempo, un pedigree di compositore ‘accademico’, essendo semmai noto (e ancor oggi ricordato) per il suo contributo al jazz italiano.15 Nel contesto culturale italiano vi sono inoltre barriere più rigide, almeno sul piano ideologico, tra il sinfonismo e la musica per film rispetto alla situazione contemporanea in altri paesi, soprattutto d’area anglosassone, in cui compositori come Gershwin si impongono quali figure trasversali ai canoni della musica ‘leggera’, del jazz e del sinfonismo. Lo stesso Arthur Benjamin (18931960), compositore australiano autore delle musiche per The Man Who Knew Too Much, non ha gli stessi problemi di legittimazione socioculturale del suo collega italiano, quando, nel film di Hitchcock, compone un brano dal respiro sinfonico come la cantata per coro, soprano e orchestra Storm Clouds, che verrà ampliata da Bernard Herrmann per il remake del film. Ma il problema del realismo musicale non passa esclusivamente attraverso la reputazione del compositore: Hitchcock può infatti ambientare la sua scena madre in uno dei templi della mu-

Venezia, Neri Pozzi Editore 1959). Riferendosi in particolare a tale attività presso la radiotelevisione, Ermanno Comuzio ebbe a sottolineare la «preziosa […] opera di attivi e fervorosi “traits-d’union” fra il mondo della musica e quello del cinema, come un Mario Labroca o un Fernando Previtali» (ERMANNO COMUZIO, L’evoluzione della musica cinematografica italiana attraverso la trasmissione TV “Colonna sonora”, in G. PELLEGRINI – M. VERDONE [a cura di], Colonna sonora, Roma, Edizioni di Bianco e Nero 1967, pp. 79-87: 83). 13 LABROCA, s.t., «Il lavoro fascista», 3 giugno 1931, p. 3; ripubblicato nel booklet dell’edizione DVD del film (Ripley’s Film), p. 17. 14 ADRIANO MAZZOLETTI, Il jazz in Italia: dalle origini alle grandi orchestre cit., p. 69. 15 Ivi, pp. 68-70 e passim.

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sica mondiale, la Royal Albert Hall, con una delle prime orchestre al mondo, la London Symphony Orchestra. È lecito supporre che il giudizio di Labroca sarebbe potuto essere differente se Blasetti pure avesse ambientato la sua scena in un contesto riconoscibile e con un organico di prestigio – quali ad esempio l’Augusteo di Roma con la sua orchestra residente (prossima a diventare Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia) – invece che in un fittizio «Conservatorio Massimo» con un’orchestra ‘anonima’ (le musiche del film sono interpretate dell’Orchestra della Cines diretta da Pietro Sassoli)16 (FIG. 2).

FIG. 2: Resurrectio, fotogramma: totale della sala da concerto

Nel cinema italiano delle origini v’è dunque anche un problema di tipologia d’organico che demarca gli ostacoli di natura socioculturale, prima ancora che estetica, tra musica sinfonica e cinematografo. Vengono in mente le parole con cui Ildebrando Pizzetti, componendo la Sinfonia del fuoco per Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914), esplicitava a D’Annunzio la sua volontà di marcare, tramite la scrittura orchestrale, lo scarto tra le orchestrine da cinematografo e l’«orchestra di prim’ordine e un coro non meno buono [trattato] senza riguardi, a quattro cinque e anche a più parti»,17 chiamati a eseguire la propria composizione. E tuttavia, 16

Informazioni tratte dal soggetto del film, incluso nei materiali extra del DVD. ILDEBRANDO PIZZETTI, Lettera a Giovanni D’Annunzio, 16 febbraio 1914, cit. in MICELI, Musica per film, cit., pp. 141-142n. 17

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proprio l’esperienza di Pizzetti con il kolossal di Pastrone si rivela – come noto – monca, e in ogni caso incapace di alimentare in Italia una tradizione di convergenza tra sinfonismo e cinema comparabile a quella in atto in altre zone europee e americane (si pensi a nomi come Šostakovič, Prokof’ev, Honegger, Eisler, Meisel, Huppertz, Steiner, Korngold e, appunto, Herrmann). Tra le eccezioni a questa tendenza italiana va naturalmente annoverata la Rapsodia satanica composta da Mascagni per l’omonimo film di Nino Oxilia (1915, ma presentato nel 1917), composizione che, a differenza della Sinfonia del fuoco, approderà in forma parziale al cartellone dell’Orchestra Sinfonica di Roma dell’EIAR in un concerto tenutosi nella Basilica di Massenzio il 1° agosto 1934 – il caso più antico da me reperito di musica per film eseguita da una delle compagini sinfoniche dell’ente radiofonico. Sotto il problema della legittimazione culturale si cela anche un ostacolo legato alla prassi produttiva. A quanto emerge da alcuni documenti, pare infatti che con l’avvento del sonoro le società cinematografiche più importanti, quali la Società anonima Stefano Pittaluga, commissionassero tramite le proprie edizioni musicali brani musicali ai compositori su cui esercitavano i propri diritti di ri-utilizzo. Le composizioni, salvo casi isolati, non erano dunque concepite per un film specifico ma venivano commissionate e archiviate dalla casa produttrice la quale era poi libera di impiegarle nella sincronizzazione di film diversi, nell’incisione discografica e nella distribuzione radiofonica. Ai compositori poteva essere richiesto di scrivere per tipologie d’organico già prefissato a seconda del genere di musica, che poteva variare dall’orchestrina di musica leggera a un’orchestra sinfonica comunque di piccole dimensioni (questo evidentemente anche per fronteggiare problemi di saturazione della ripresa sonora cinematografica) con pianoforte conduttore.18 In questo senso il cinema è anche una fucina formidabile cui la radio attinge per costruire la propria offerta musicale tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Come ebbe a osservare Roberto Leydi, per la messa in circolo di musica definita «leggera»19 il cinema rimane in Italia «un veicolo per certi versi più attivo del disco, che pur è suo coetaneo e, almeno fino alla metà degli anni Trenta,

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Nel carteggio tra Camillo De Nardis e la Pittaluga, le tipologie di organico sono così distinte: «per il genere di musica leggera / ottavino / flauto / oboe / clarinetto / quintetto d’archi (due parti primo violino) / un corno / tromba / trombone / batterie / pianoforte / fagotto / per il genere di musica sinfonica / ottavino / flauto / oboe / due clarinetti / fagotto / due corni / due trombe / tre tromboni / arpa / celeste / timpani / batteria / pianoforte / quintetto d’archi (due parti primo violino)»; l’intero carteggio è commentato e trascritto in ANTONIO CAROCCIA, ‘Camillo De Nardis e il cinema’: Documenti inediti, in M. SALA (ed.), From Stage to Screen: Musical Films in Europe and United States (1927-1961), Turnhout, Brepols 2012 (Speculum Musicæ, 19), pp. 37-60: 46. 19 Per una dettagliata trattazione delle accezioni del termine «leggera» nella programmazione radiofonica italiana, cfr. FRANCO FABBRI, Il Trentennio: «Musica leggera» alla radio

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della stessa radio, che muove negli anni Venti i suoi primi passi».20 Con l’avvento del film sonoro e la conseguente crisi delle orchestrine da cinematografo, non si esaurisce però il processo di riadattamento di musica per film messo in atto dalle orchestre radiofoniche e discografiche, in arrangiamenti di tipologia e organico variabili a seconda del genere musicale di partenza. Proprio l’EIAR, che sistematizza la sua offerta musicale all’inizio degli anni Trenta in concomitanza con le prime esperienze italiane di cinema sonoro, può essere una cartina di tornasole per verificare il peso e la presenza della musica per film, non tanto nella vita musicale italiana (difficilmente sondabile nella sua realtà quotidiana per scarsità di fonti dirette), quanto nel complesso sistema di propaganda e monopolio messo in moto dal regime. Quando l’EIAR inaugura le prime stagioni ufficiali delle compagini sinfoniche di Roma e di Torino – quest’ultima nata dalla fusione delle radio-orchestre di Milano e Torino e votata all’esibizione pubblica, a differenza di quella romana che per alcuni anni si esibisce prevalentemente in diretta radiofonica nel silenzio delle sale di ripresa – ha il problema di legittimare le proprie compagini rispetto alle grandi istituzioni sinfoniche già presenti sul territorio nazionale (prime fra tutte quelle dell’Augusteo di Roma e della Scala di Milano). Tale legittimazione non può che avvenire per mezzo del grande repertorio lirico-sinfonico tradizionale, mentre l’importanza strategica delle altre musiche (operetta, jazz, «ballabili», canzoni e musica tratta dal cinematografo) viene distribuita tra le numerose compagini ‘moderne’ dell’ente. L’Annuario dell’EIAR del 1929 così descrive la programmazione musicale della radio e la distribuzione del repertorio tra i vari ensemble: I principali generi musicali possono raggrupparsi come segue: Composizioni sinfoniche; Musica da camera; Cori con o senza accompagnamento; Composizioni per solisti (strumento o canto) con o senza accompagnamento; Oratori; Opere e pezzi di opera; Operette e pezzi di operette; Musica da ballo; Musica varia.

italiana, 1928-1958, in A I. DE BENEDICTIS – F. MONTELEONE (a cura di), La musica alla radio, 1924-1954. Storia, effetti, contesti in prospettiva europea, Roma, Bulzoni 2015, pp. 225-243: 238 (ringrazio Franco Fabbri per avere cortesemente acconsentito alla lettura delle bozze quando il volume era in corso di stampa). 20 ROBERTO LEYDI, Le fortune (o le sfortune) di Gershwin in Italia, in G. VINAY (a cura di), Gershwin, Torino, EDT 1992, pp. 305-342: 306.

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I mezzi di esecuzione sono: la grande e la piccola orchestra, il quintetto, quartetto o trio; l’organo, la banda, l’orchestra a plettro, i cori, i solisti strumentali, il jazz-band. I vari generi di musica devono, compatibilmente coi mezzi di cui è dotata ogni stazione trasmittente, essere in ogni stazione coltivati, in giusta misura, alternati fra le varie stazioni da giorno a giorno e nello stesso giorno, in modo da presentare al pubblico dei complessi di programmi variati e tali da accontentare nel miglior modo possibile i vari gusti degli ascoltatori.21

Qui si cela una delle principali difficoltà della presente disamina: è arduo oggi, a partire dai materiali in nostro possesso, disegnare con accuratezza la geografia delle compagini orchestrali dell’EIAR. Di sicuro sappiamo che ogni principale sede dell’ente (oltre a Milano, Torino e Roma, anche Napoli, Genova, Bolzano, Trieste e Bari), vantava uno o più ensemble radiofonici (quasi mai sinfonici, ma perlopiù cameristici e da ballo), e che alcuni di essi erano adibiti al repertorio definito, «vario» o «variato», che nel 1929 occupa metà della programmazione musicale totale della radio.22 Il termine «vario» caratterizza non tanto una produzione musicale specifica, quanto programmi misti, che attingono a repertori che spaziano dalla canzone al movimento di sinfonia, attraverso numeri operistici e operettistici. È in questo contesto che preferibilmente compaiono numeri musicali tratti dal cinematografo. La trasversalità della programmazione «varia» è di per sé interessante, perché si collega all’impossibilità di racchiudere la musica per film entro un genere specifico e quindi prelude l’eventualità di ritrovare quest’ultima in svariate vesti e contesti, come per esempio il concerto jazz e il concerto sinfonico. A differenza di altre emittenti radiofoniche europee, l’EIAR ha qualche anno di ritardo nell’approntare trasmissioni specificamente adibite a «musica di film», o almeno questa è l’impressione che ricavo da uno spoglio dei primi numeri del «Radio orario» e del «Radiocorriere».23 Il dato più antico che ho reperito in tal senso è una trasmissione del 1932, rubricata con il titolo «Musica di operette e films sonori: Canzoni e danze, col concorso della Radio-orchestra N. 1»,24 che trasmette per le regioni settentrionali (emittente di Milano-Torino-Genova-Trieste-

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S.N., I programmi radiofonici, in Annuario dell’Eiar del 1929 [anno] VII, Archeotipografia di Milano 1929, pp. 60-61. 22 Secondo i dati riportati nel Programma tipico di una stazione radiofonica italiana durante un mese di trasmissione normale (Ivi, p. 83) la somma delle voci «Musica varia (quintetto-quartetto)» (28%) e «Musica da ballo e varia» (6%) risulta nel 34% della programmazione radiofonica totale, a fronte di una programmazione musicale che occupa il 56% del palinsesto. 23 Tali bollettini contengono infatti anche un elenco sommario dei palinsesti delle principali emittenti internazionali. 24 «Radiocorriere», n. 48, 1932, p. 56.

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Firenze). L’anno dopo è la radio-orchestra n. 4, probabilmente con sede a Roma o Napoli, a trasmettere una fantasia di «motivi di film» di Nico Dostal (18951981), compositore austriaco autore di operette e di musiche per il cinema, e la canzone one step Gioventù (testo di B. Cherubini, musica di C. A. Bixio) tratta dal film La signorina dell’autobus (Nunzio Malasomma, 1933).25 La prassi di numerare le radio-orchestre senza identificarle con il luogo di stanza appare frequente almeno fino a quando cominciano le trasmissioni dell’Orchestra Cetra, guidata da Tito Petralia, dalla sede di Torino.26 Dopo il 1935, con la direzione della Cetra passata prima a Claude Bampton, poi a Pippo Barzizza, Petralia sarà a capo di altri complessi, denominati in diverse maniere – Radio-orchestra di Petralia, Orchestra d’archi di Petralia, Orchestra di ritmi e balli dell’EIAR –, mentre Angelo Cinico (in arte Cinico Angelini) dirigerà l’Orchestra da ballo. Questa apparente ‘sistemazione’ delle compagini non annulla tuttavia, anche in epoca avanzata, le molte variabili in gioco che ci impediscono una netta attribuzione dei generi musicali agli organici dell’EIAR, testimoniate nel fatto che l’Archivio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI ospita un enorme fondo inventariato sotto l’etichetta «Orchestra B», che contiene anche musica degli anni Quaranta, a suggerire che una volta che le compagini sinfoniche di Roma e Torino si stabilizzano nelle loro stagioni concertistiche, una consistente fetta del repertorio radiofonico veniva ‘smaltita’ da radio-orchestre anche di medio-grandi dimensioni che probabilmente all’occorrenza potevano attingere all’organico delle orchestre sinfoniche. Stante questa premessa, possiamo quindi supporre che il tragitto radiofonico tipico di una musica proveniente da una pellicola di successo non contemplasse di norma il passaggio dalle compagini sinfoniche dell’EIAR, neppure quando la musica avesse caratteristiche formali e d’organico che l’avvicinavano al repertorio sinfonico; come si è visto, queste ultime si risolvevano già presso lo stabilimento cinematografico in edizioni per orchestra da camera, magari in forma di suite, facilmente ri-eseguibili dalle radio-orchestre EIAR.27 Tale è il destino che

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Le trasmissioni sono per l’emittente meridionale (Roma-Napoli-Bari), cfr. «Radiocorriere», n. 48, 1933, p. 35; n. 52, 1933, p. 51. 26 Mazzoletti scrive che «il primo programma [dell’Orchestra Cetra] fu mandato in onda alle ore 13 del 15 ottobre 1933» (MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit. p. 327); secondo le mie ricerche sul «Radiocorriere», la prima trasmissione dell’Orchestra Cetra risulta essere del 14 settembre 1933, alle 13.10. Segnalo infine che Fabbri indica come anno di fondazione dell’Orchestra il 1930 (FABBRI, Il Trentennio: «Musica leggera» alla radio italiana, cit., p. 238). 27 Esistono naturalmente eccezioni di grandi orchestre sinfoniche accreditate nell’esecuzione di produzioni cinematografiche ad alto budget nell’epoca fascista. Un noto caso è Scipione l’africano (Carmine Gallone, musica di Ildebrando Pizzetti che dirige l’Orchestra e il Coro dell’Opera di Roma, 1937).

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tocca per esempio alla citata musica di Resurrectio, che circola in quegli anni in una versione di 9 minuti edita da Carisch per un ensemble diretto da Edoardo De Risi,28 che verrà in seguito rieseguita per la radio anche dall’Orchestra Cetra di Petralia.29 Alla luce di queste riflessioni, che si trasformano in problematiche metodologiche, ho deciso di strutturare i seguenti paragrafi secondo un ordine tematico-cronologico, provando cioè a individuare dei filoni entro cui la musica per film viene incasellata nelle occasioni in cui raggiunge la sala da concerto. Ho tenuto a concedere spazio anche alla traiettoria opposta, per così dire, cioè a quegli episodi in cui è l’orchestra sinfonica a essere a vario titolo coinvolta in produzioni cinematografiche e televisive, ponendo così a sua volta problemi di rappresentazione e statuto non secondari. Ecco perché un paragrafo è dedicato ad alcune produzioni cinematografiche e televisive in cui una delle compagini sinfoniche della EIAR/RAI compare in qualità di interprete e/o ‘attore’. Da Gershwin a Gershwin: musica (per film) «sincopata» negli anni Trenta Il 10 febbraio 1933 Daniele Amfitheatrof (1901-1983) dirige l’Orchestra Sinfonica di Torino dell’EIAR nella prima esecuzione nazionale della Rhapsody in Blue in versione orchestrale30 e ne cura personalmente la trascrizione per due pianoforti e orchestra per il celebre duo pianistico francese formato da Jean Wiéner e Clément Doucet. Questo può anche dirsi il primo appuntamento che l’EIAR riserva alla musica cosiddetta ritmo-sinfonica, bissato due settimane dopo dalla prima torinese di An American in Paris, diretta ancora da Amfitheatrof. È forse significativo che proprio Amfitheatrof sia prossimo a sviluppare una carriera legata a doppio filo al mondo cinematografico, in Italia componendo le musiche per La signora di tutti (unica pellicola italiana di Max Ophüls, 1934), e in America diventando specialista cinematografico a Hollywood negli anni Quaranta.31

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Resurrectio [parti staccate a stampa], Milano, A. e G. Carisch e C. s.d., Archivio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Torino, Fondo Orchestra B3, Cartella 85 «Registrazione pianoforte». La dedica (p. 1 della parte di pianoforte conduttore) recita: «Con sincera amicizia al M°. Cav. Edoardo De Risi». Riguardo a De Risi, scrive Mazzoletti: «Dalla fine degli anni Venti [Escobar] lavorò molto come autore di colonne sonore, che venivano poi dirette da Edoardo De Risi, il fondatore dell’Orchestra Jazz Columbia con cui Escobar suonò e incise nell’autunno 1931» (MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit. p. 70). 29 Il brano fa parte di un «concerto di musica varia» dell’Orchestra Cetra trasmesso il 29 settembre 1933. 30 Cfr. S.N., EIAR: Annuario dell’Anno XIII. Dieci anni di radio in Italia, Società Editrice Torinese 1935, p. 200. 31 Di origini russe e allievo di Respighi, Amfitheatrof fu direttore artistico delle sedi EIAR

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In quegli stessi mesi il legame tra musica ritmo-sinfonica e cinema, già saldo negli Stati Uniti, trova anche in Italia un terreno di sperimentazione proprio al ritmo «sincopato» di Gershwin: ne è testimonianza il documentario Impressioni di vita n°1/Ritmi di stazione diretto da Corrado D’Errico nel 1933, che si fonda su un montaggio di brani tratti da An American in Paris.32 Come in una sorta di contrappasso, il contesto «sincopato» rappresenta il primo canale attraverso cui la musica per film accede, seppure in misura molto limitata, alla sala da concerto, secondo un iter graduale. È infatti un altro duo pianistico formato da Enrico Bormioli e Alberto Semprini e direttamente ispirato ai colleghi d’oltralpe Wiéner e Doucet,33 a fungere da tramite tra i due mondi. Il duo intraprende una fortunata carriera discografica incidendo parafrasi di temi tratti da Tin Pan Alley, Broadway, il jazz, l’opera, l’operetta e il cinema. Il 19 maggio 1936 esegue un concerto radiofonico «di musica sincopata» insieme all’Orchestra Cetra di Petralia, in cui compare, tra le altre, una fantasia dal film Broadway Melody of 1936, adattamento cinematografico dell’annuale rivista di Broadway che in quel caso ospita musiche di Nacio Herb Brown.34 Dieci mesi dopo, il 9 marzo 1937, alla compagine formata da duo pianistico e orchestra ritmica, si aggiunge l’orchestra sinfonica. L’involontario tono antifra-

di Genova e Trieste nel quadriennio 1929-1932 per poi ricoprire una carica dirigenziale nell’Orchestra Sinfonica di Torino tra il 1932 e il 1937. Sarà lui il compositore invitato da Enzo Masetti a parlare della musica per film americana nella collettanea La musica nel film (cfr. DANIELE AMFITHEATROF, La musica per film negli Stati Uniti d’America, in E. MASETTI [a cura di], La musica nel film, Roma, Bianco e Nero 1950 [Quaderni della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia], pp. 118-128). 32 BEATRICE BIRARDI, Non solo propaganda. Musica e documentario nel primo Novecento italiano, in R. GIULIANI (a cura di), La musica nel cinema e nella televisione, Milano, Guerini 2011, pp. 145-175: 154. 33 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 312 n. 3. Così l’autore: «Non ci si stupisca della presenza di un duo pianistico […]. Il periodo dal 1915 al 1935 si potrebbe infatti definire l’epoca del duo pianistico. Se ne potrebbero citare innumerevoli esempi: basti il caso dell’orchestra di Paul Whiteman [che per prima portò in Europa la Rhapsody in Blue, nda] […]. Anche in Francia, Clément Doucet e Jean Wiéner ottennero grande successo, al pari di Enrico Bormioli e Alberto Semprini in Italia negli anni Trenta» (Ivi, p. 38). 34 Questo il programma completo tratto dal «Radiocorriere» (n. 21, 1936, p. 23): «Hugh: Ancora triste. Semprini: Sguardo sognante, blues per due pianoforti e orchestra. Strauss-Bormioli: Parafrasi da concerto sul valzer Il bel Danubio blu, per due pianoforti. Petralia: Vendemmia, per due pianoforti e orchestra. Conrad: Continental, per due pianoforti. N. H. Brown: Fantasia sul film Follie di Broadway 1936 per due pianoforti e orchestra. Ellington-Jackson: Rapsodia». Un’incisione Parlophone (91943) firmata dal duo pianistico insieme all’orchestra Cetra di una versione fox-trot di You Are My Lucky Star (Stella mia), una delle più celebri melodie di Brown tratte dalla rivista del 1936, è conservata presso l’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi di Roma.

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stico che emerge dall’esibita nonchalance con cui il connubio jazz/orchestra è presentato sul «Radiocorriere» lascia intendere a mio parere l’eccezionalità dell’evento: siamo infatti nel periodo più delicato e ambiguo del rapporto tra il regime e le musiche americane, prima fra tutte il jazz, e nel momento in cui l’EIAR tenta di operare un controllo più capillare sulla propria programmazione. In tale contesto, la dichiarazione di seguito riportata appare quanto meno singolare: Né il libero accesso in una sala da concerto dato […] alla Radio-Orchestra e il connubio di questa con l’orchestra sinfonica dell’Eiar, sono fatti che richiedono spiegazioni. Infatti quello che ancora dieci anni fa poteva sembrare una profanazione, oramai è ammesso come cosa spiegabile e giusta. Poiché è risaputo che il jazz, come complesso e come repertorio, non è una forma d’arte trascurabile. La forma poi del jazz sinfonico […] non solo ha trovato accesso nei programmi dei concerti sinfonici, ma è tale per le sue caratteristiche di stile e il suo strumentale da influenzare la produzione musicale moderna.35

Il fatto che la trasmissione radiofonica sia annunciata per l’area settentrionale farebbe pensare che si tratti della stagione sinfonica di Torino, tuttavia non ho reperito traccia di questo concerto nella base dati dell’Archivio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, né nella dettagliata cronologia dei concerti torinesi curata da Giorgio Pugliaro.36 Non possiamo pertanto escludere che il concerto, pur annunciato, non sia stato infine realizzato (forse anche per i toni troppo liberali del «Radiocorriere»?). A ogni modo, il programma si apre con due dei cinque tempi della Tänzerische Suite: Concerto grosso per jazz band e orchestra, op. 26 (1929), di Eduard Künneke, compositore tedesco autore di numerose operette e musiche per film sia muti che sonori, prosegue con la Rhapsodie pour orchestre et saxophone di Debussy, seguita da una composizione intitolata Evoluzioni di Ennio Arlandi, direttore e compositore tortonese più volte sul podio dell’Orchestra di Torino nel 1933-34 e poi ancora nel 1951 (ma che ebbe a collaborare anche con il Trio Lescano), e una parafrasi per due pianoforti soli composta da Semprini «su motivi di film sonori: a) Kern: Roberta; b) Berlin: Top Hat».37 Le canzoni oggetto di parafrasi sono Smoke Gets in Your Eyes, Lovely to Look At di Kern e Cheek to Cheek e The Piccolino di Berlin. È interessante che l’estensore della presentazione si adoperi per legittimarne le caratteristiche formali: Le melodie del film Roberta sono conosciute dai pubblici italiani in seguito al grande successo ottenuto dal film stesso. Si distinguono da tante altre per la nobiltà della loro espressione difficilmente uguagliabile.

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D. V., Musiche sincopate dirette da Tito Petralia, «Radiocorriere», n. 10, 1937, p. 41. GIORGIO PUGLIARO, Cronologia dei concerti, cit., pp. 227-347. 37 «Radiocorriere», n. 10, 1937, p. 22. 36

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Esse sono «smok gest in your eyes» [sic] di carattere appassionato ed intimamente espressivo, presentato dapprima in forma incisiva che va man mano smorzandosi sino ad assumere il suo vero carattere caldo ed intimo, l’altro «Lovely to lookat» [sic] ha come caratteristica principale un senso vivo di gaiezza che si potrebbe definire primaverile, esso rimbalza da un pianoforte all’altro in un giuoco elegante di svisamenti che ne accentuano il carattere spensierato, per poi concludere nel primo tema (smok ecc. [sic]) la parafrasi, in un grandioso che dà quasi un senso jeratico della inimitabile melodia. La melodia principale di Top hat è «cheek to cheek» (guancia a guancia) ed è composta di un numero di battute superiore all’usuale, sì da conferire ad essa un carattere di maggior respiro, aderendo in tutto al preciso senso delle parole. […] Per l’altra melodia «The Piccolino», fu nell’intenzione dell’autore di creare un ritmo che si adattasse alla nostra sensibilità (nel film la scena si svolge a Venezia). Questa canzone si snoda lentamente fra i due pianoforti, a poco a poco aumenta il suo ritmo, sino a scoppiettare stringente al parossismo ritmico finale. Queste due trascrizioni portano inconfondibilmente il segno delle personalità di Bormioli e Semprini, sì da costituire due numeri del loro repertorio ove le più raffinate capacità di tocco e di interpretazione si uniscono al travolgente dinamismo che è pure una caratteristica saliente dei nostri due pianisti.38

Da notare come ricorra ancora una volta il termine «jeratico» – già incontrato nella recensione di Labroca a Resurrectio – riferibile all’atteggiamento solenne e grave del pubblico della grande sala da concerto (cfr. FIG. 3): siamo, come già ricordato, negli anni in cui si vanno definendo i canoni e i rituali dell’ascolto ‘strutturale’ e in cui è vivo il dibattito riguardo alla possibilità che esso si realizzi anche tramite il medium radiofonico. L’aggettivo non può non rimandare alla distinzione tra high-brow e low-brow music entrata nell’uso in Italia anche attraverso il fraintendimento di Enrico Rocca nel suo Panorama dell’arte radiofonica del 193839 che, come spiega finemente Franco Fabbri, «scambia eyebrow, sopracciglio, con brow, fronte, e […] introduce un riferimento all’attenzione non presente nella metafora frenologica inglese»40.

38

Ibid. ENRICO ROCCA, Panorama dell’arte radiofonica, Milano, Bompiani 1938. 40 Cfr. FABBRI, Il Trentennio: «musica leggera» alla radio italiana, cit., p. 230. 39

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FIG. 3: Resurrectio: fotogrammi: primi piani di spettatori

Nonostante in questo concerto i temi cinematografici siano affidati a due pianoforti solisti senza orchestra, dieci mesi più tardi il duo Bormioli-Semprini viene affiancato finalmente dalla grande orchestra per l’interpretazione di musica per film. È il 14 gennaio 1938, George Gershwin è scomparso da sei mesi, e il duo, oltre a parafrasi di popolari canzoni da film americani proposte con l’identica formula di pianoforti soli già ricordata, si concentra sulla Rhapsody in Blue, nella trascrizione per due pianoforti e orchestra curata questa volta da Semprini, che nell’occasione è anche autore di una Fantasia per due pianoforti e orchestra su motivi del film Shall We Dance. La pellicola del 1937 rappresenta il tardo approdo di Gershwin alla rivista cinematografica e in Italia, al momento del concerto, non è ancora uscita nelle sale.41 Questo concerto è inserito a pieno titolo nella stagione sinfonica dell’EIAR, e si contraddistingue per un programma se possibile ancora più insolito del precedente, specie se consideriamo il clima di persecuzione razziale ormai alle porte in Italia (le leggi razziali vengono ufficialmente varate nell’autunno-inverno del 1938): tre compositori ebrei, Ernst Křenek, Alexandre Tansman e Gershwin compongono un cartellone dall’alto tasso di ‘esotismo’, cui partecipano anche i cantori e danzatori tradizionali polacchi del Dana Ensemble e la principessa nativa americana Lushanya Mohcli della tribù Chickasaw. Che il nome di Křenek, autore della Marcia allegra eseguita in apertura del concerto, sia assente dall’articolo di presentazione del «Radiocorriere» (ricordato solamente

41

Uscirà con il titolo Voglio danzar con te il 2 giugno 1938. Ciononostante, la musica arriva in Italia prima del film: il disco inciso da Greta Keller per Decca (506 A-B), contenente They Can’t Take That Away From Me e Let’s Call the Whole Thing Off (con il baritono Brian Lawrence) è recensito da «Cinema» nel dicembre del 1937 (MARIA TIBALDI CHIESA, Dischi di film, «Cinema», n. 36, 25 dicembre 1937, p. 445).

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nella locandina) è un dato forse non casuale: la musica e gli scritti di Křenek sono infatti banditi in Germania dal 1933, e nel 1938 il compositore è ormai prossimo a emigrare negli Stati Uniti.42 Eppure il programma, per il suo alternare musica di matrice ‘folklorica’, jazz, ritmo-sinfonica, e musica che oggi definiremmo popular, desta curiosità: Parte prima: 1. Krènék [sic]: Marcia allegra; 2. Canzoni indiane per una voce e orchestra: a) Invocazione al sole, b) Canzone del canotto, c) Dalla terra delle acque azzurre, d) Canzone dello scialle, e) Lamento dell’abbandonata, f) Brindisi del rito religioso Peyota [sic] (Cantatrice: Mohcli Lushanya); 3. Tansman: Sonatina transatlantica, a) Fox trot, b) Spiritual e blues, c) Charleston. Parte seconda: 1. Canzoni popolari polacche: a) Ritornando dalla chiesa, b) W. Dan: I. Kujawiak, danza popolare, II. Un’avventura in campagna, III. Canto dei barcaioli (Dana Ensemble: Denilowski Wladyslaw; Bogdanowicz Tadeusz; Jaslowski Tadeusz; Pogiel Mieczyslaw; Wyocki Adam; 2. Musiche per due pianoforti soli: a) Warren: Settembre sotto la pioggia, b) Brown: Follie di Broadway 1938, parafrasi per due pianoforti (Duo Pianistico Bormioli e Semprini); 3. Cinque canzoni moderne: a) Stern-Eloy: Express Sky Bridge, b) W. V. [sic] Handy: St. Louis Blues, c) R. Jeczynski: Wien, Wien, d) W. Donaldson: Jungle Fever, e) Bixio: Canta, canta per me. Parte terza: dedicata alle composizioni di Giorgio Gershwin: a) Rapsodia in blue [sic], adattamento per due pianoforti e orchestra (Duo Pianistico Bormioli e Semprini), b) Fantasia per due pianoforti e orchestra sui motivi del film «Voglio danzare con te» (Shall We Dance): a) Su danziam (Shall We Dance), b) Se tu dici (Let’s Call the Whole Thing Off), c) Non ti potrò scordar (They Can’t Take That Away From Me), d) Felice e fortunato (I’ve Got Beginner’s Luck), e) Zum zum (Slap That Bass).43

Musica per film come ‘poema sinfonico’ Sebbene l’Italia conosca il caso abbastanza unico di una compagnia cinematografica, la Lux Film, che dal 1934 fino alla metà degli anni Cinquanta – sotto la presidenza di Riccardo Gualino e la direzione di Guido Maggiorino Gatti, entrambe personalità di spicco nella vita musicale torinese e testimoni partecipi della

42

Cfr. GARRETT BOWLES, Křenek, Ernst, in Grove Music Online. Oxford Music Online, Oxford University Press (febbraio 2015). 43 «Radiocorriere», n. 2, 1938, p. 37.

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fondazione dell’Orchestra Sinfonica di Torino dell’EIAR44 – persegue tra i suoi obiettivi programmatici quello di accostare compositori dalla reputazione accademica al mondo del cinema,45 non si registra una sensibile apertura delle istituzioni concertistiche verso il repertorio cinematografico nel corso degli anni Trenta. Tra i casi isolati c’è quello malipieriano delle «“musiche di Acciaio” (le Sette invenzioni), sostituite al Torneo notturno già programmato» per la notte di Natale del 1933, eseguite dall’Orchestra del Teatro Augusteo diretta da Mario Rossi,46 che verranno parzialmente riprese dalle orchestre dell’EIAR negli anni successivi. Le Sette invenzioni sono segnalate in repertorio dall’EIAR già nel 1936,47 mentre le Quattro invenzioni, originariamente composte per Acciaio ma escluse dal film, sono eseguite il 16 aprile 1937 a Torino sotto la direzione di Rito Selvaggi.48 Accanto al genere «sincopato», il poema sinfonico sembra essere il principale deputato all’ibridazione con la musica per film, soprattutto perché trova nel documentario un fertile terreno d’impiego. Come osserva Beatrice Birardi, «già dai primi anni Trenta, da una parte con [l’istituto] LUCE, dall’altra con la casa di produzione Cines […], si avvia (in ambito documentaristico) un sistema virtuoso di ingaggi di musicisti e tecnici del suono, che raggiungerà le punte massime fra il 1938 e il 1943, con il coinvolgimento di direttori d’orchestra di prim’ordine».49 I compositori intravvedono nel documentario un luogo protetto da eccessivi com-

44 Cfr. GUIDO M. GATTI, Torino musicale del passato, in GATTI et al., L’Orchestra Sinfonica e il Coro di Torino della Rai, cit., pp. 11-29. Su Gatti e la Lux, cfr. ROBERTO CALABRETTO, Gatti, Rota e la musica Lux. La nascita delle colonne sonore d’autore, in A. FARASSINO (a cura di), Lux Film, Milano, Il Castoro – Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus 2000, pp. 89-101. Scrive Antonio Ferrara: «[…] Gatti fu senza dubbio, nei venti anni che seguirono l’avvento del sonoro, il principale animatore in campo musicale del dibattito sulla musica per film, la cui entità e vivacità non è stata ancora adeguatamente valutata. Fu lui, inoltre, l’anima organizzativa di quei congressi internazionali di musica di Firenze, svoltisi dal 1933 al 1950 nell’ambito delle manifestazioni del Maggio musicale fiorentino, nei quali questo tema di discussione ebbe un posto di primissimo piano» (ANTONIO FERRARA, Rota, musicista abituale della Lux Film, in R. GIULIANI – S. MICELI (a cura di), Bernard Herrmann & Nino Rota: Atti del Convegno Internazionale [Conservatorio di Santa Cecilia, Roma 9-10 settembre 2011], Lucca, Libreria Musicale Italiana, in corso di stampa [Quaderni di Musica/Realtà]). 45 Ricordo, tra gli altri, i nomi di Giorgio Federigo Ghedini, Nino Rota, Giuseppe Rosati, Ildebrando Pizzetti e Goffredo Petrassi. 46 PAOLO PINAMONTI, «Io mi occupo di sentimenti, non di cartoline illustrate». Dagli abbozzi delle musiche per Acciaio alla colonna sonora del film alla partitura delle Sette invenzioni, in MORELLI (a cura di), Retroscena di Acciaio, cit., pp. 51-126: 52. 47 «Radiocorriere», n. 1, 1937, p. 6; XIII, n. 15, 1937, p. 33. 48 S.N., Concerto sinfonico diretto dal Maestro Rito Selvaggi (gruppo Torino, ore 21), «Radiocorriere», n. 15, 1937, pp. 43-44. Anche in questo caso, la base dati dell’Archivio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai non reca traccia del concerto. 49 BIRARDI, Non solo propaganda, cit., p. 150.

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promessi, in cui soprattutto possono cimentarsi in forme medie o lunghe senza sottostare all’imposizione – tipica del cinema di finzione – di scrivere musica «leggera». Non di rado il compositore si trova a dover scrivere dieci-quindici minuti continui di musica, cercando di organizzare i materiali nel modo più adatto a conferire corpo e significato a un susseguirsi di immagini mute. Per questo, nel documentario, è raro il ricorso a forme brevi – preferite nell’ambito del cinema a soggetto – mentre si privilegiano forme più ampie quali il tema con variazioni, la forma sonata o il rondò, utilizzate però non in maniera rigida, ma adattate di volta in volta alla necessità del filmato.50

Tra le giovani leve con un ruolo di ‘ponte’ tra il mondo della musica per documentario e l’EIAR, c’è Carlo Alberto Pizzini (1905-1981), allievo di Respighi con cui porta a conclusione il Corso di perfezionamento presso il Conservatorio di Santa Cecilia nel 1934, prima di entrare a far parte della Direzione programmi dell’ente radiofonico a Torino nel 1936, «svolgendo attività di musicista e direttore d’orchestra in ambito radiofonico, e assumendo altri importanti incarichi, prima all’interno dell’EIAR, e poi della RAI».51 Nel 1934 egli compone la musica per il documentario LUCE Pane nostro, diretto da Cesare Cavagna, pellicola sostanzialmente muta (priva anche dello speaker) che illustra il processo di preparazione del pane, dalla coltivazione del frumento all’infornata. Il musicista opta per un commento sinfonico di ampio respiro, costruito secondo la forma del tema con variazioni, per il quale attinge parzialmente a preesistente proprio materiale: il tema principale di carattere popolaresco è, infatti, suggerito dallo «studio di ambiente paesano laziale», poco prima composto, intitolato Strapaese (1933), lavoro realizzato sul modello dei poemi sinfonici respighiani; per la scena dei balli contadini, nella parte finale del documentario, Pizzini utilizza poi, senza riadattarlo, un brano giovanile, la Tarantella (1922), in assoluto la sua prima composizione orchestrale.52

La musica di Pizzini è frequentemente programmata dalle orchestre dell’EIAR: la citata Strapaese debutta nel 1933 con l’Orchestra di Roma diretta da Alberto Paoletti.53 Nel 1935 Pizzini stesso dirige l’Orchestra di Torino in un programma che vede, oltre Strapaese, anche il suo Poema delle Dolomiti. È solo nel 1940 che la suite tratta da Pane nostro giunge sul podio dell’Orchestra di Torino, diretta

50

Ivi, p. 156. Ivi, pp. 154-155 n. 24. 52 Ivi, p. 157. 53 Informazioni ricavate dal sito web curato dagli eredi del compositore, contenente anche materiali d’archivio (febbraio 2015). 51

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da Armando La Rosa Parodi, il 21 aprile e il 1° ottobre. Riguardo alla suite, così si esprime il retorico testo di presentazione del «Radiocorriere»: Carlo Alberto Pizzini, nel comporre le musiche sinfoniche del film […] da cui è tratta la Suite sinfonica che si eseguisce in questo concerto, si è ispirato all’elogio che Benito Mussolini ha fatto del pane: Italiani! Amate il pane – cuore della casa – profumo della mensa – gioia dei focolari. Rispettate il pane – sudore della fronte – orgoglio del lavoro – poema di sacrificio. Onorate il pane – gloria dei campi – fragranza della terra – festa della vita. Non sciupate il pane – ricchezza della patria. Il più soave dono di Dio – il più santo premio della fatica umana. In questa composizione il Pizzini non si è limitato al semplice commento della visione cinematografica, ma ha voluto che il discorso musicale seguisse il suo particolare e naturale sviluppo, pur cercando la continua aderenza alla fotografia.54

L’anno 1940 coincide con l’esplosione in Italia del genere del documentario, incentivata dall’ingresso sulla scena della compagnia milanese INCOM, concorrente del LUCE, che ha ricadute considerevoli sullo statuto della musica: […] le aziende mettono a disposizione [dei musicisti] risorse talmente consistenti da fare invidia anche ai maggiori produttori operanti nel cinema commerciale. Sono ingaggiati direttori d’orchestra di primo livello, quali Fernando Previtali, Ugo Giacomozzi, Mario Rossi e Giuseppe Morelli, mentre le musiche sono affidate a grandi complessi orchestrali ampliati fino a comprendere strumenti quali pianoforte, vibrafono, celesta, xilofono (tale tendenza verso il suono orchestrale denso, tipica di molti film dell’epoca, spesso inficia la resa finale delle pellicole, specialmente quando non bilanciata da orchestrazioni attente ai limiti degli apparecchi di ripresa sonora o incapace di trovare un equilibrio con gli altri elementi della colonna sonora).55

Il primo dei due concerti diretti da La Rosa Parodi, che ospita anche tre delle Sette invenzioni di Malipiero, è diviso in due sezioni coese intorno a temi extramusicali, intitolate rispettivamente «Il lavoro» e «Roma». Parte prima: Il lavoro 1. Pizzini: Suite sinfonica, dal film Pane nostro: a) Introduzione, b) Alba sui campi, c) La mietitura, d) La trebbiatura, e) La danza sull’aia, f) Finale; 2. Gavazzeni: Canti d’operai lombardi: a) Rude e sostenuto, b) Moderato e grave, c) Rapido e marcato; 3. Carabella: Aprilia; 4. Malipiero: Tre invenzioni, da Sette invenzioni (Musiche dal film Acciaio).

54 55

S.N.,

Concerto sinfonico, «Radiocorriere», n. 17, 1940, p. 11. BIRARDI, Non solo propaganda, cit., p. 159.

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Parte seconda: Roma 1. Beethoven: Coriolano, Introduzione; 2. Strauss: Dal poema All’Italia: a) Nella campagna romana, b) Fra le vestigia di Roma; 3. Schumann: Giulio Cesare, Introduzione; 4. Respighi: I pini della via Appia, dal poema sinfonico Pini di Roma.

Sebbene solo due siano le composizioni con dichiarato ascendente cinematografico – ma non dimentichiamo che lo stesso Ezio Carabella è uno dei maggiori specialisti dello schermo negli anni Trenta – non credo di commettere una forzatura affermando che in quel momento storico il poema sinfonico sia diventato un genere sostanzialmente ‘intermediale’ che suggerisce o implica un immaginario (cinematografico) anche laddove l’immagine non è presente. D’altra parte siamo negli anni in cui proprio i poemi sinfonici di maggior successo di Respighi danno vita a documentari musicali, quali le due pellicole di Mario Costa, Fontane di Roma (1938) e Pini di Roma (1941), quest’ultima che accredita l’interpretazione dell’Orchestra Sinfonica di Roma.56 La radio al cinema, il cinema in TV: Ecco la radio! (1940), Intermezzo radiofonico (1949) e Colonna sonora (1966) La rilevanza di Pizzini nell’ambiente EIAR è confermata dal fatto che in quello stesso 1940 il compositore romano è chiamato a scrivere le musiche per un mediometraggio che per molti versi rappresenta il ‘canto del cigno’ dell’ente radiofonico – la guerra alle porte – e che è stato giustamente interpretato come un prototipo di ‘intermedialità’ ante-litteram: «un film che solo apparentemente si piega alle esigenze di promozione radiofonica per porsi come momento di riflessione finale sul periodo di forte sperimentazione sonora – radiofonica, ma non solo – appena concluso».57 Ecco la radio! (38’’, Giacomo Gentilomo, EIAR, 1940), definito «radio-rivista», illustra i progressi compiuti dall’ente radiofonico di Stato. Il film immagina e rappresenta audiovisivamente una giornata-tipo della radio italiana, ripercorrendo il palinsesto dall’esordio mattutino alla fine delle trasmissioni. È un’idea particolarmente ricorrente nell’ambiente EIAR di quegli anni, in cui certamente

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Ivi, p. 164. PAOLA VALENTINI, Ecco la radio! Visibile e udibile nel cinema italiano degli anni Trenta, «La Valle dell’Eden», in G. CARLUCCIO, G. ALONGE e F. VILLA, Cinema e visibilità, II, 4, 2000, pp. 111-130: 114. Per un inquadramento del genere del film radiofonico e in particolare l’analisi delle caratteristiche intermediali di questa pellicola, cfr. EAD., Presenze sonore: Il paesaggio sonoro in Italia tra cinema e radio, Firenze, Le Lettere 2007, pp. 203-233. 57

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entra la coscienza degli enormi investimenti compiuti dal regime per costruire uno strumento di propaganda che si annunci come particolarmente decisivo in vista dell’entrata in guerra. L’idea della giornata-tipo emerge per esempio anche nella patinata edizione dell’Annuario EIAR del 1938: La Radio si introduce nella vita quotidiana in molteplici forme e con molteplici funzioni, per ricordare, suggerire, riferire, divertire, istruire, distrarre. La giornata dell’uomo acquista in bellezza ed in armonia perché attraverso l’interpretazione radiofonica vengono messi in evidenza gli aspetti morali e spirituali della vita, quelli cioè che differenziano l’uomo dal bruto. Vogliamo seguire la Radio in una delle sue normali giornate?58

La forma narrativa scelta dal film di Gentilomo consente alla musica di ricoprire svariati ruoli drammaturgici, dal classico commento cinematografico all’auto-rappresentazione della propria funzione svolta nei palinsesti. È dunque l’occasione di vedere all’opera alcune delle compagini radiofoniche più rappresentative dell’ente: le orchestre sinfoniche di Roma e Torino, dirette rispettivamente da Previtali e La Rosa Parodi, e le «orchestre da camera» – così definite nei titoli del film – vale a dire l’Orchestra d’archi di Petralia, l’Orchestra Cetra di Barzizza e l’Orchestra da ballo di Angelini. Dal nostro punto di vista, ancor più che nella drammaturgia filmica, è a livello della composizione musicale che la distribuzione dei ruoli si fa interessante, fornendoci un ritratto delle varie accezioni con cui il cinema dialoga con il medium radiofonico in relazione al ruolo della musica on- e off-screen. In altre parole, la musica composta per il film è essa stessa composita, con i titoli che recitano «Musiche sinfoniche di Carlo Alberto Pizzini, canzoni di Pippo Barzizza e Tito Petralia». Le «musiche sinfoniche» di Pizzini sono particolarmente interessanti perché sposano le tendenze che ho fin qui evidenziato come rappresentative della musica per film in sede di concerto, e cioè la componente ritmo-sinfonica, qui rappresentata da una parafrasi della melodia di Strangers in the Night, presente sin dai titoli e riaffiorante in più punti nel film, e la componente ‘programmatica’ o da ‘poema sinfonico’, evidente sin dalla titolazione dei vari episodi scelta dal compositore: «Prato Smeraldo (Largo)» (dal nome del luogo in cui sorgeva la stazione a onde corte di Roma, in funzione fino al 2007), «Acque e montagne (Andante calmo)», «La fonderia (Pesante)». L’organico a disposizione di Pizzini è molto ampio, da grande orchestra sinfonica con aggiunta di percussioni, batteria e vibrafono, e il ritrovamento delle parti nel fondo dell’Orchestra di Torino conservato presso l’Archivio Storico lascia intendere che quella compagine fosse responsabile dell’incisione (cfr. FIG. 4).

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S.N., La radio vita della casa, in Annuario EIAR. Anno XVII, Società Editrice Torinese 1938, [pp. non numerate].

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FIG. 4: CARLO ALBERTO PIZZINI, dattiloscritto elencante l’organico del brano Titolo del film (Andante), dal film Ecco la radio!, Archivio dell’Orchestra Sinfonica della RAI, Fondo Sinfonica To, cartella 543-B.

Per quanto isolato, l’esperimento di Ecco la radio! non è un caso unico: un precedente che funziona quasi da archetipo di questo film è Radio italiana anno 59

Durata 15’, regista e compositori non accreditati.

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XVI, prodotto dal LUCE in collaborazione con l’EIAR nel 1937-38,59 in cui si vedono all’opera l’Orchestra Sinfonica di Roma nella Sala A, l’Orchestra Cetra e quindi l’Orchestra di Torino che esegue Nabucco in diretta radiofonica dal teatro, sotto la bacchetta di La Rosa Parodi; il film Concerto, non datato e realizzato da Giovanni Botarelli, prende spunto da brani di Mascagni eseguiti da una delle Orchestre sinfoniche EIAR da lui dirette e inquadrate a teatro, che evocano i «sogni ad occhi aperti di un pubblico formato da esponenti delle forze armate, forse reduci di guerra».60 Si tratta di un filone del documentario musicale destinato ad avere una certa continuità negli anni Quaranta e Cinquanta.61 Ma il film che riprende più direttamente la formula di Ecco la radio! è Intermezzo radiofonico (Viaggio nei suoni), cortometraggio prodotto dalla INCOM nel 1949, per la regia di Edmondo Cancellieri con «musiche originali ed elaborazioni sinfoniche» di Raffaele Gervasio. Lo spunto drammaturgico ancora una volta è costituito dalla «radiovisione»,62 ma in questo caso si sovrappone anche una condensata e ben calibrata sintesi della storia della musica, che richiama un importante precedente già diretto da Cancellieri, vale a dire Musica nel tempo (15’’, INCOM, 1941), storia della musica ‘in miniatura’ con contributo originale e adattamenti di Goffredo Petrassi. Protagonista indiscussa di Intermezzo radiofonico, accanto alla radio, è l’Orchestra di Roma diretta da Previtali, sulla cui direzione si sofferma la prima inquadratura della pellicola. La conformazione del film consente di osservare in dettaglio i componenti dell’orchestra sia nell’atto di suonare sia nei momenti preparatori alla trasmissione radiofonica. Vale la pena riportare quasi integralmente la testimonianza d’eccezione offerta da Fedele d’Amico a proposito di questo documentario: Tra le multiforme [sic] attività dell’Orchestra Sinfonica di Radio Roma, è da segnalare la sua partecipazione al documentario Intermezzo radiofonico girato dalla INCOM, per la regìa di Edmondo Cancellieri. Sul filo conduttore di un soggetto particolarmente felice agli effetti musicali, poiché riassume un viaggio irreale nel mondo dei suoni, la nostra Orchestra ha dato vita ad una raffinata ed audace creazione nella quale i motivi sonori si intersecano brillantemente con quelli visivi.

60

Dalla scheda catalografica dell’Archivio storico dell’Istituto Nazionale LUCE . 61 Altri titoli sono: Armonie di primavera (12’’, Pietro Francisci, INCOM, 1940), girato con il concorso del Maggio Musicale Fiorentino; Musica a Santa Cecilia (12’’, Giovanni Paolucci, LUCE, 1942), in cui compare l’Orchestra di Santa Cecilia diretta da Bernardino Molinari al Teatro Adriano; Armonie all’Aquila (13’’, Pasquale Lancia, LUCE, 1950), incentrato sull’esecuzione del Benedictus dalla Missa Solemnis di Beethoven diretta da Herbert Von Karajan presso la chiesa di San Bernardino a L’Aquila. Un caso a parte è costituito dalla comparsa dell’orchestra dell’Augusteo diretta da Bernardino Molinari che esegue una propria trascrizione del Largo dall’Inverno di Vivaldi presso la Basilica di Massenzio in una scena dell’importante film di finzione Lo squadrone bianco (Augusto Genina, Roma Film, 1936). 62 Cfr. VALENTINI, Presenze sonore, cit., pp. 219-220.

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Maurizio Corbella

Valendosi di un giuoco cinematografico rapido e serrato, il documentario ama indugiare su riflessioni, attese e ritorni che ne completano l’unità ideale. D’altra parte la presenza di figure vive, complici degli spirituali atteggiamenti degli strumenti, lega la vicenda a presupposti ed assunti umani. Una grande Orchestra Sinfonica in azione. Poi, nell’intervallo del Concerto, gli strumenti si abbandonano ad un ruolo musicale che li anima sempre più in un crescendo di melodie e di suoni. È un colloquio oltremodo piacevole e interessante; il colloquio degli strumenti fatto con il linguaggio di Beethoven, Weber, Schumann, Chopin e Wagner. Questo il soggetto del film. La colonna sonora contribuisce in modo decisivo a fare di questo documentario un’opera squisitamente musicale. Presentato recentemente al Festiva [sic] cinematografico di Venezia, Intermezzo radiofonico ha dimostrato come una grande orchestra sinfonica, attraverso il felice connubio dei suoi singoli esecutori e dei vari strumenti che la compongono, possa talvolta rendersi la vera protagonista di un film.63

Con l’avvento della televisione (1954) e la lenta modernizzazione della RAI, che conosce un vero rinnovamento della programmazione musicale soltanto a partire dal 1958,64 si modificano anche gli equilibri che riguardano la musica per film. Siamo ormai in una stagione, gli anni Sessanta, in cui l’attività cinematografica inizia a caratterizzarsi per l’emergere di compositori specializzati, non necessariamente di formazione accademica, e di compositori provenienti dall’avanguardia che trovano nel cinema un motivo di sperimentazione. Ma soprattutto è in questo periodo che si gettano i semi per il dibattito intorno allo statuto della musica per film nei confronti del cosiddetto cinema d’autore, e che figure come Nino Rota e, a partire dalla metà degli anni Sessanta, Ennio Morricone, rubano, per così dire, la scena, anche in virtù del loro rapporto privilegiato con cineasti quali Fellini, Visconti, Leone e Pasolini. Il valore storiografico che, in tale clima culturale, ha l’operazione di divulgazione messa in atto della rubrica televisiva Colonna sonora, ideata proprio da Guido M. Gatti e realizzata da Glauco Pellegrini sotto la supervisione di Sergio Pugliese, allora Direttore Centrale dei Programmi della Rai e di Luciano Chailly, Direttore del Servizio Musica, non è stato ancora sufficientemente rimarcato. È in questa trasmissione – i cui testi vengono in parte raccolti nell’omonimo volume curato da Pellegrini insieme a Mario Verdone con l’aggiunta di alcuni saggi critici dello stesso Verdone e di Ermanno Comuzio, e di un’antologia di documenti tratti dalla teoria cinematografica internazionale65 – che emergono alcune delle testimonianze destinate a segnare la ricezione storiografica dei decenni a venire, come ad esempio lo storico ‘autodafé’ di Alessandro Cicognini rispetto alla

63

[FEDELE D’AMICO], Orchestra Sinfonica di Roma della Radio Italiana, [Roma, Tip. Menaglia, stampa 1949]; ringrazio Filippo Arri per la preziosa segnalazione. 64 Cfr. FABBRI, Il Trentennio: «musica leggera» alla radio italiana, cit. 65 Cfr. PELLEGRINI – VERDONE (a cura di), Colonna sonora, cit.

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generazione di compositori del cinema neorealista, l’aspro giudizio di Malipiero su Ruttmann a proposito della sua collaborazione ad Acciaio, la testimonianza di Petrassi sulle proprie collaborazioni con De Santis e Zurlini, o le ormai classiche e ipercitate dichiarazioni di Fellini e Rota sul loro sodalizio. In sostanza vengono cristallizzate alcune delle linee interpretative che rispecchiano la riflessione critico-programmatica di Gatti, portandola a compimento e consegnandola alle generazioni successive. Una discussione critica su questa importante tappa nell’auto-rappresentazione della musica per film italiana esime dalle finalità di questo articolo, ma ai nostri scopi preme sottolineare che, a seguito di una precisa scelta editoriale, la RAI decide di fare interpretare le musiche scelte per Colonna sonora dall’Orchestra Sinfonica di Roma, diretta dal ‘solito’ La Rosa Parodi, e dall’Orchestra «di musica leggera» diretta da Piero Umiliani. Si tratta di una vera e propria rimediazione di musica per film per il medium televisivo, cui non sono probabilmente estranee anche motivazioni economiche (si limitano così gli oneri di riproduzione meccanica dei numerosi segmenti cinematografici citati), che dal mio punto di vista sposta e in un certo senso inverte, rispetto all’epoca fascista, gli equilibri e la percezione di quello che la musica per film aveva rappresentato fino a quel momento per il grande pubblico rispetto alla musica tout court. Pellegrini si dimostra pienamente consapevole della portata di questa operazione: Dalla TV l’accettazione del programma arrivò con una proposta che, pur suscitando in me qualche perplessità, doveva risultare non solo una felice intuizione, ma l’elemento capace di rendere maggiormente vivo tutto il discorso, conferendogli, tra l’altro, una sicura spettacolarità: l’utilizzazione, cioè, di due orchestre, la sinfonica della RAI-Radiotelevisione Italiana e una di musica leggera, che Sergio Pugliese, allora Direttore Centrale dei Programmi, chiedeva venissero impiegate sembrandogli importante far conoscere la musica dei film italiani anche attraverso esecuzioni orchestrali, far ascoltare alcuni di quei commenti staccati dalle immagini cinematografiche. […] Ancora una volta, e prima che il lavoro vero e proprio cominciasse, il programma mutava; ora, nell’economia del tempo a disposizione, doveva essere fatto posto alle due orchestre, la cui presenza andava fusa alla parte antologica, alle dichiarazioni e alle testimonianze degli autori, all’apporto dei critici, il che costituiva un nuovo problema non essendo immaginabile la semplice, meccanica utilizzazione della musica, ascoltarla distribuita qua e là, nel corso della trasmissione, come si trattasse d’una musica qualsiasi e non, in realtà, di musica cinematografica composta per vivere con le immagini di un determinato film.66

La soluzione escogitata dal regista, di utilizzare «molte fotografie dei film di cui ascoltavamo la musica, fuse, impastate agli strumenti, nel corso dell’esecuzione orchestrale»,67 non sfugge all’occhio (anzi all’orecchio) critico di Ermanno Comuzio, che non nasconde le sue perplessità: 66 67

PELLEGRINI, Un’esperienza di lavoro, in Ivi, pp. 54-74: 64-65. Ivi, p. 66.

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La formula è composita: presentazione di Giulietta Masina, brani di film, interviste a musicisti, registi e critici, brani musicali eseguiti da complessi sinfonici e jazzistici e ripresi come ad un concerto. Quest’ultima parte – insieme all’uso di fotografie fisse di film – è la parte che ci ha convinto di meno in quanto è quella meno viva, più accademica e che pare oltretutto avallare l’equivoco che una musica per film possa andare per conto suo quando è davvero bella, ed essere eseguita in sede di concerto. Ciò può apparire addirittura una specie di “promozione” di una pagina nata per il cinema, mentre si sa che la musica cinematografica ha in sé la sua nobiltà ed è valida soltanto in rapporto alle immagini in movimento, con le quali fa tutt’uno. Ma forse non tutti i brani di film occorrenti erano disponibili.68

Il tempo delle celebrazioni: gli anni Ottanta Nonostante lo spazio concesso alla musica per film dalla televisione – con Colonna sonora e altre trasmissioni come Cinema e colonne sonore (1976) e L’Orchestra racconta, condotta da Piero Piccioni e andata in onda su RAI 2 nel 1976 – non si registrano particolari novità nella programmazione delle orchestre sinfoniche della RAI nel corso degli anni Sessanta e Settanta. I due concerti diretti nel 1965 e 1966 a Milano da Nino Bonavolontà (figlio del Giuseppe Bonavolontà già direttore di orchestre di musica leggera dell’EIAR) si distinguono per la singolarità della programmazione, che tocca titoli per lo schermo del tutto insoliti: si segnala l’attenzione di Bonavolontà per autori sardi come Ennio Porrino o musiche di ambientazione isolana come quelle di Valentino Bucchi per il film Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta (1960), frequentazione che può spiegarsi con il fatto che Bonavolontà fu a lungo direttore del Teatro Lirico di Cagliari; o, ancora, la presenza – caso unico da me registrato – di musica tratta da uno sceneggiato televisivo, Il mulino del Po diretto da Sandro Bolchi nel 1963, da cui Adone Zecchi aveva tratto una composizione per soprano, tenore e orchestra. Se ‘l’incasellamento’ dei generi musicali prodotto dalle orchestre EIAR aveva teso ad assimilare la musica per film al poema sinfonico, in questi due concerti è molto più chiara, anche per la convivenza con musiche tratte da balletti e opere teatrali, l’assimilazione al genere delle musiche di scena, ratificata dalla presenza di Begleitungsmusik zu einer Lichtspielszene di Schönberg, quasi a voler segnalare l’avvenuta ricezione della lezione di Eisler e Adorno in merito alla pratica musical-cinematografica.69 Coerentemente con questa impostazione, si trova per esempio più

68

COMUZIO, L’evoluzione della musica cinematografica, cit. in Ivi, pp. 80-81. «Schönberg’s music for an imaginary film, Begleitungsmusik zu einer Lichtspielszene, op. 34, full of sense of fear, of looming danger and catastrophe, is a landmark pointing the way for the full and accurate use of the new musical resources» (HANNS EISLER – THEODOR W. ADORNO, Composing for the Films, New York, Continuum 1994 [1947], p. 37). 69

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volte traccia, nella programmazione in filodiffusione, delle musiche di Goffredo Petrassi per Cronaca Familiare di Zurlini (1962), rubricate come «musiche di scena» accanto a Jeu de cartes di Stravinskij.70 Occorre così attendere il 1981 per rintracciare un intero programma dedicato alla musica per film da parte di un’orchestra sinfonica della RAI: si tratta del doppio appuntamento estivo ospitato dal Luglio Pistoiese presso la Fortezza Santa Barbara, in omaggio a Nino Rota scomparso due anni prima (1979), organizzato da Pier Marco De Santi.71 La guida dell’Orchestra di Roma è affidata a un direttore/compositore come Carlo Savina, legato a doppio filo alle vicende e all’estetica rotiane, che ebbe in larga parte anche la responsabilità di adattare per grande orchestra le pagine di Rota non pensate per quella compagine.72 La scomparsa di Rota, innescando la riflessione storiografica su un compositore per molti versi emblematico di una via tutta italiana alla modernità non d’avanguardia,73 contribuisce a sdoganare anche in Italia la musica per film come oggetto ‘sinfonico’, testimone raccolto a stretto giro da Ennio Morricone, chiamato da Gianluigi Gelmetti a co-organizzare la rassegna estiva Film in concerto, tenutasi nel 1983 presso l’anfiteatro del Parco dei Daini a Villa Borghese.74 Il catalogo pubblicato in occasione della manifestazione si apre con una breve prefazione di Gelmetti che tocca alcune questioni destinate ad avere ampia risonanza nel discorso culturale degli anni a venire, soprattutto in relazione alla crisi

70

Cfr. «Radiocorriere», n. 12, 1975, p. 78; n. 10, 1976, p. 61. La rassegna fu accompagnata da un catalogo curato dallo stesso De Santi, cfr. PIER MARCO DE SANTI, Omaggio a Nino Rota, Assessorato Istituti culturali Comune di Pistoia, 1981. 72 Alcuni di questi adattamenti furono in seguito duramente criticati da Miceli, che, pur non chiamando direttamente in causa Savina, li apostrofò come «una nutrita serie di “misfatti” musicali – arrangiamenti concepiti secondo un metro di banale esteriorità, falsante completamente la delicata sostanza musicale dell’autore – adatti a ben più modesta causa» (MICELI, s.t., in DE SANTI – CHIADINI [a cura di], Filminconcerto: Orchestra Sinfonica e Coro di Roma della Rai, rassegna a cura di G. Gelmetti ed E. Morricone con la collaborazione di Rosella Nobilia, Roma, RAI Radiotelevisione Italiana [1983], p. 9). Colgo l’occasione per ringraziare Sergio Miceli per avere gentilmente condiviso con me la sua copia dell’ormai introvabile catalogo. 73 La definizione è di Emilio Sala: «[…] il fatto che la tensione utopistica e rivoluzionaria […] tipica dell’avant-garde, in cui il nouveau si coniuga al futuro, non agiti la musica di Nino Rota, non vuol dire che essa sia priva di novità, di un nouveau coniugato al presente» (EMILIO SALA, I due timidi di Nino Rota. Un’opera intermediale a cavallo tra radio, cinema, teatro e televisione, in F. LOMBARDI (a cura di), Nino Rota: un timido protagonista del Novecento musicale, Torino, EDT 2012, pp. 125-148. 74 Con questo non si vuole ricercare una consequenzialità diretta tra le due rassegne, né tanto meno suggerire che lo ‘sdoganamento’ della musica per film fosse un processo risoltosi nello spazio di così breve tempo (chi scrive è semmai convinto che si tratti di un fenomeno molto lento e contrastato non ancora conclusosi al giorno d’oggi). 71

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Maurizio Corbella

di pubblico che le orchestre sinfoniche attraverseranno per tutto il decennio, unita alla necessità di concepire nuove sfide di divulgazione: Ho sempre sostenuto che non esistono musiche di serie A e serie B, anzi ritengo che il musicista – sia esso interprete o compositore – che rifiuti il confronto fra le differenti realtà musicali finisca irrimediabilmente per astrarsi o fossilizzarsi e corre, a mio avviso, seri pericoli di necrofilia musicale. In questo contesto e con queste motivazioni va letta la proposta di FILM IN CONCERTO: ci troviamo di fronte a prodotti di grande consumo che, una volta accertatane l’alta professionalità, è doveroso osservare con occhio critico e, perché no, “curioso”. La musica scritta per il cinema è un veicolo di grande immediatezza che unisce il compositore ad un pubblico assai vasto: un fenomeno, questo, che non sempre si verifica nella musica del nostro secolo.75

«È la prima volta», scrive Vincenzo De Vivo sul «Radiocorriere», «che la musica scritta per il cinema viene guardata con occhio critico, sottratta al terreno degli specialisti e inquadrata in un aspetto del tutto nuovo: quello del rapporto diretto del compositore con il pubblico».76 Segue un’intervista a Morricone che mette al centro la legittimità estetica del suo operare in un campo di linguaggio non sperimentale e soprattutto tonale, che ha come scopo primario la comunicazione con un pubblico largo. Alla domanda di De Vivo se sia possibile scrivere musica sperimentale nel cinema, Morricone replica: In linea generale rispondo di no. In alcuni casi eccezionali ho più coraggiosamente, e con il consenso del regista, osato applicare a un film musica d’avanguardia, cioè la musica che scriverei se non mi occupassi di cinema. […] Il fatto di dover scrivere musica tonale – anzi, come spesso mi si richiede, orecchiabile – non significa rinunciare ad esprimersi né autorizza a fare un lavoro sciatto. Credo che ancora oggi scrivere una melodia tonale (anche se non va di moda) con una certa originalità ed alcune proprietà tecniche sia estremamente difficile. Quindi, anche se disprezzata, la ricerca di una pratica melodica nel cinema è qualcosa che può stimolare per la sua arditezza storica.77

A queste dichiarazioni andrebbe applicato il filtro prospettico del clima di trasformazione musicale e musicologica che è in corso in Italia tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, entro cui si possono elencare le rivendicazioni della nuova leva dei compositori Neoromantici, ospitate nella neonata rivista «Musica/Realtà»78 – la quale tra le altre cose segnala un’apertura epocale verso

75

GIANLUIGI GELMETTI, [Prefazione], in P. M. DE SANTI – D. CHIADINI (a cura di), Filminconcerto, cit., [p. 4]. 76 VINCENZO DE VIVO, Il cinema diventa concerto, «Radiocorriere», n. 28, 1983, p. 92. 77 Ibid. 78 Quale musica: lettere di giovani compositori, «Musica/Realtà», n. 4, aprile 1981, pp. 67-93.

Il podio e lo schermo

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generi quali la popular music e, appunto, la musica per film. Non è un caso che il catalogo della rassegna romana, curato da De Santi (già ricordato animatore delle manifestazioni pistoiesi in onore di Rota) ospiti due brevi contributi critici di Miceli e Luigi Pestalozza, il primo ‘fresco’ della pubblicazione del saggio che può per molti versi essere additato come fondativo per la storiografia musicale italiana sulla musica per film,79 il secondo direttore della rivista summenzionata. I due studiosi, alle prese con la controversa prassi della migrazione ‘dallo schermo al podio’ della musica per celluloide, formulano i primi segnali di apertura verso una realtà che ha a quel punto assunto dimensioni e urgenza non più rimandabili, sul piano della popolarità e della funzione socioculturale. Miceli registra come il fenomeno abbia conosciuto un’esplosione in Giappone e negli Stati Uniti e ora si affacci anche in Europa e in Italia con ricadute di tipo estetico-ideologico da valutare: la musica per film, ascoltata in situazioni dislocate come i concerti sinfonici, vive dell’evocazione di orizzonti visivi e narrativi cinematografici, che sopravvivono nell’immaginario dell’ascoltatore anche senza bisogno di riproporre la visione del film, e dunque pone il problema di estetiche compositive diverse da quelle tradizionalmente di casa negli auditorium concertistici. Il concerto diventa quindi un’occasione per approcciarsi a quell’immaginario audiovisivo ponendo in primo piano la prospettiva del compositore, rispetto al ruolo di secondo piano solitamente riservatole in sala cinematografica. Miceli si affida quindi a una serie di considerazioni gravide di conseguenze che, a mio parere, centrano con freschezza di intenzioni il cuore degli studi storiografici sulla musica per film, individuando una strada in gran parte lasciata intentata nel clima esacerbato in cui la vicenda della storia della musica per film italiana si sarebbe addentrata negli anni subito successivi, e che forse oggi è giunto il momento di ricominciare a percorrere. Per un compositore un pezzo di musica, ancorché destinato ad una funzione subordinata, è prima di tutto… un pezzo di musica; minima o grande creatura viva oppure semplice oggetto, oggetto scomposto e ricomposto con brandelli di esperienza, memoria, cultura, istinto, astuzia, mestiere, ingenuità. Ogni brano è più o meno consapevolmente un frammento della propria storia e una sfida, anche se irrilevante, alla Storia; è, a ben guardare, il segno di una modesta o immodesta confessione, di una rivelazione di sé, in quanto siamo convinti che l’autore, sebbene possa bleffare sulla tecnica, sui mezzi, difficilmente lo farà nei confronti della sostanza, della poetica. […] Tutto questo per dire che, qui più che altrove, occorre non fermarsi alle apparenze. Dietro la melodia più viscerale e adeguata a quella certa sequenza cinematografica può esserci un lavoro segreto, una proposta altrimenti improponibile, una dichiarazione di scetticismo oppure una professione di fede. Per questo un ciclo di concerti di musica

79

1982.

MICELI, La musica nel film: Arte e artigianato, Fiesole, Discanto – La Nuova Italia

148

Maurizio Corbella

per film è una ipotesi interessante oltreché insolita, a patto che lo spettatore voglia guardare con nuova e diversa attenzione a quel piccolo-grande mistero che è il mestiere del compositore.80 TAVOLA SINOTTICA81 La musica per film nella programmazione delle Orchestre Sinfoniche EIAR/RAI Data 1° agosto 1934

Luogo Roma

9 marzo 1937

Torino

16 aprile 1937

Torino

14 gennaio 1938 Torino

80

Orch/Dir/Interpr OSR/Mascagni

Programma Ponchielli: I Lituani, Sinfonia; Čaikovskij: Sinfonia n. 6 (Patetica); Mascagni: Rapsodia satanica, Scherzo, Epilogo; Guardando la S. Teresa del Bernini; Ratcliff, Intermezzo; Silvano, Notturno; Le maschere, Sinfonia; Rossini: La gazza ladra, Sinfonia. Künneke: due tempi del Concerto OST/Petralia/ Bormioli-Semprini grosso per jazz e orchestra; Debussy: Rapsodia per saxofono e orchestra; Arlandi: Evoluzioni; Semprini (Kern, Berlin): Parafrasi da concerto per due pianoforti e orchestra su motivi di film sonori (Roberta e Top Hat); Semprini: Blues; Fantasia rapsodica su temi di canzoni americane per orchestra e due pianoforti. OST/Selvaggi Geminiani: Andante per archi, arpa e organo (trascr. Marinuzzi sr); Čaikovskij: Serenata; Malipiero: Quattro invenzioni; Selvaggi: Suite balletto; Turina: Danza fantastica. PARTE PRIMA OST/Petralia/ Mohcli Křenek: Marcia allegra

MICELI, s.t., in DE SANTI – CHIADINI (a cura di), Filminconcerto, cit., pp. 9, 11. Per la realizzazione di questa sinossi mi sono avvalso della consultazione della base dati dell’Archivio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, del fondo dedicato all’Orchestra di Milano della RAI conservato presso l’associazione culturale NoMus di Milano, e dell’incrocio di fonti indirette tratte dagli archivi storici di quotidiani quali «L’Unità» e «La Stampa», oltreché naturalmente l’imprescindibile risorsa del «Radiocorriere», ora completamente disponibile online. Ringrazio in particolare Filippo Arri, Andrea Malvano e Maddalena Novati per il loro supporto nella consultazione dei fondi archivistici. Ho abbreviato i nomi delle orchestre sinfoniche di Roma, Torino e Milano e della nazionale della RAI, rispettivamente in OSR, OST, OSM e OSNR. 81

Il podio e lo schermo

21 aprile 1940

Torino

149

Dana Ensemble Canzoni indiane, per una voce Bormioli-Semprini e orchestra: a) Invocazione al sole, b) Canzone del canotto, c) Dalla terra delle acque azzurre, d) Canzone dello scialle, e) Lamento dell’abbandonata, f) Brindisi del rito religioso Peyota [sic]; Tansman: Sonatina transatlantica: a) Fox trot, b) Spiritual e blues, c) Charleston. PARTE SECONDA Canzoni popolari polacche: a) Ritornando dalla chiesa, b) W. Dan: I. Kujawiak, danza popolare, II. Un’avventura in campagna, III. Canto dei barcaioli; Musiche per due pianoforti soli: a) Warren: Settembre sotto la pioggia, b) Brown: Follie di Broadway 1938, parafrasi per due pianoforti (Duo Pianistico Bormioli e Semprini); Cinque canzoni moderne: a) SternEloy: Express Sky Bridge, b) W. V. [sic] Handy: St. Louis Blues, c) R. Jeczynski: Wien, Wien, d) W. Donaldson: Jungle Fever, e) Bixio: Canta, canta per me. PARTE TERZA (dedicata alle composizioni di Giorgio Gershwin) Gershwin: Rhapsody in Blue, adattamento per due pianoforti e orchestra (Semprini); Semprini (Gershwin): Fantasia per due pianoforti e orchestra sui motivi del film Shall We Dance: a) Su danziam (Shall We Dance), b) Se tu dici (Let’s Call the Whole Thing Off), c) Non ti potrò scordar (They Can’t Take That Away From Me), d) Felice e fortunato (I’ve Got Beginner’s Luck), e) Zum zum (Slap That Bass). OST/ PARTE PRIMA: Il lavoro La Rosa Parodi Pizzini: Suite sinfonica, dal film Pane nostro: a) Introduzione, b) Alba sui campi, c) La mietitura, d) La trebbiatura, e) La danza sull’aia, f) Finale; Gavazzeni: Canti d’operai lombardi: a) Rude e sostenuto, b) Moderato e grave, c) Rapido e marcato; Carabella: Aprilia;

150

Maurizio Corbella

1° ottobre 1940

Torino

OST/ La Rosa Parodi

25 giugno 1965

Milano

OSM/Bonavolontà/ Santini Babini

21 ottobre 1966

Milano

OSM/ Bonavolontà

14 dicembre 1979 Milano

OSM/Ferro/Gorini

Malipiero: Tre invenzioni, da Sette invenzioni (Musiche dal film «Acciaio»). PARTE SECONDA: Roma Beethoven: Coriolano, Introduzione; Strauss: Dal poema All’Italia: a) Nella campagna romana, b) Fra le vestigia di Roma; Schumann: Giulio Cesare, Introduzione; Respighi: I pini della via Appia, dal poema sinfonico Pini di Roma. Cherubini: Anacreonte, Introduzione; Schubert: Sinfonia n. 8; Beethoven: Egmont, Introduzione; Pizzini: Suite sinfonica dal film Pane nostro; Mulè: Vendemmia; Rossini: La scala di seta, Introduzione. Prokof’ev: Suite di danze n. 2 dal balletto Il fiore di pietra, op. 118: Introduzione, Danza zingaresca, Ballo siberiano, Solo della zingara; Walton: Marcia funebre dal film Amleto Rossellini: Vangelo minimo per orchestra: L’annunciazione, La grotta di Betlemme, Il discorso sulla montagna, L’ultima cena, Da Pilato ad Erode; La flagellazione, Il calvario: agonia e morte di Gesù, Tempesta sul Golgota; Zecchi: Musica per Il mulino del Po, per soprano, tenore e orchestra (dallo sceneggiato televisivo di S. Bolchi); Schönberg: Begleitungsmusik zu einer Lichtspielszene, op. 34. Profeta: Largo e Finale dalla Suite per archi; Bucchi: Banditi a Orgosolo (dal film omonimo di V. De Seta); Morbiducci: Baccanale e Preludio, Atto 4° dalla leggenda mitologica Mida; Porrino (testo di E. Musci): Proserpina, poema sinfonico (voce recitante: G. Bortolotto). MUSICA NEL NOSTRO TEMPO Schönberg: Begleitungsmusik zu einer Lichtspielszene, op. 34; Malipiero: Sesto concerto (delle mac-

Il podio e lo schermo

11 luglio 19818

Pistoia

12 luglio 1981

1° luglio 1983

OSR/Savina/ Dell’Orso

OSR/Savina

Roma

OSR/Kellogg

7-8 luglio 1983

OSR/Jarre

14-15 luglio 1983

OSR/Urbini/ Asciolla Dorow

21 luglio 1983

OSR/Stahl

23 marzo 1984

Milano

OSM/Maga/ Candeloro

17 luglio 1986

Torino

OST/Boulez

151

chine), per pianoforte e orchestra; Šostakovič: Nuova Babilonia, suite dalle musiche del film, op. 17: La guerra, Parigi, L’assedio di Parigi, Operetta, Parigi…, Versailles. OMAGGIO A NINO ROTA Rota: musiche da Lo sceicco bianco, La strada, Le notti di Cabiria, La dolce vita, Toby Dammit, I clowns, Roma, Amarcord, Il Casanova Rota: musiche da Zazà, Plein soleil, The Glass Mountain, Napoli, Fantasmi a Roma, Waterloo, Death on the Nile, Rocco e i suoi fratelli, Il Gattopardo, The Godfather, Romeo e Giulietta. FILM IN CONCERTO Rota: musiche da La strada, 8 ½, The Godfather, Rocco e i suoi fratelli, Il Casanova, War and Peace, Il Gattopardo, The Godfather e altre. Jarre: musiche da La caduta degli dei, Firefox, Pancho Villa, Ryan’s Daughter, Dr. Zhivago, Lawrence of Arabia. Morricone: musiche da film di Sergio Leone e da Novecento, Un uomo a metà, Il prato, Il deserto dei Tartari, La tenda rossa, Il buono, il brutto e il cattivo, C’era una volta il West, Giù la testa, Marco Polo. Musiche da Gone with the Wind, West Side Story, Star Wars, The Empire Strikes Back, Psycho, Papillon, Star Trek, Capricorn One, Masada. MUSICA NEL NOSTRO TEMPO Šostakovič: Suite dalle musiche per il film Amleto: Preludio, Largo, Il ballo al palazzo: Presto, Il fantasma: Largo, Nel giardino: Moderato ma non troppo, Scena dell’avvelenamento: Largo – Moderato ma non troppo – Presto; L’arrivo e la scena dei musicisti: Allegro, Ofelia: Andante, Il duello e la morte di Amleto: Allegro – Largo; Lyathoshynsky: Concerto slavo per pianoforte e orchestra, op. 54; Miaskovskij: Sinfonia n. 27, op. 85. Boulez: Boulez-Répons (film di Robert Cahen).

152 29 giugno 1989

Maurizio Corbella

Milano

OSM/Dervaux/ Brunello

12 aprile 1990

Torino

OST/Soudant

17 giugno 1990

Milano

OSM Collina

8 settembre 1990 Roma

OSR/Morricone/ Stewart Salvetta Ballista

13 febbraio 1992 Torino

OST/Pfaff

27 agosto 1992

Milano

OSM/Collina

agosto 2003 18 ottobre 2006

Stresa Torino

OSNR/Noseda OSNR/Noseda

15 dicembre 2012 Assisi

OSNR/Morricone

23 marzo 2013

OSNR/Visco Morricone

Torino

REFRAINS – LA FRANCIA MUSICALE TRA I DUE SECOLI

Satie: Cinema, ent’acte symphonique de Relache; Lalo: Concerto in Re minore per violoncello e orchestra; Saint-Saëns: Sinfonia n. 3 in Do minore. Šostakovič: Hamlet, suite dalle musiche per il film, op. 116 (prima esecuzione radiofonica). MILANO ’90 Rota: 8 ½ (orch. Savina); Amarcord (orch. C. Savina); La strada: suite dal balletto; Variazioni su un tema gioviale; Il Gattopardo (orch. Savina); The Godfather (orch. Savina). Morricone: Il deserto dei Tartari; Sahara Dream (da The Secret of the Sahara); I promessi sposi; Tre film di Sergio Leone; Cinque canzoni; The Mission (Gabriel’s Oboe, Falls, On Earth as it is in Heaven). Šostakovič: Nuova Babilonia, suite dalle musiche del film, op. 17. Rota: Guerra e pace; La strada; Romeo e Giulietta; 8 ½; Amarcord; Waterloo; The Godfather; Il Gattopardo. Rota: La strada (suite dal balletto) Šostakovič: Il tafano, suite dalle musiche del film, op. 97a. Gruber: Stille Nacht (orchestr. E. Morricone); Gli angeli delle campagne (orchestr. E. Morricone); Ramírez: La peregrinacion (orchestr. E. Morricone); Franck: Panis Angelicus; Berlin: White Christmas; Morricone: Vuoto d’anima piena, cantata mistica in tre navate (su testo di F. De Melis); I Magi randagi: “È nato!”; Liguori: Quanno nascette Ninno (orchestr. E. Morricone); Morricone: The Mission. Morricone: Varianti su un segnale di polizia; Fogli sparsi (suite da H2S, Il clan dei siciliani, Metti una sera a cena,

Il podio e lo schermo

4 luglio 2013

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Maddalena); Modernità del mito nel cinema di Sergio Leone (suite da Il buono, il brutto e il cattivo, C’era una volta il West, Giù la testa, Il buono, il brutto e il cattivo); Cinema dell’impegno (suite da La battaglia di Algeri, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Sostiene Pereira, La classe operaia va in Paradiso, Vittime di guerra, Queimada), Baaria (dalla suite dedicata a Giuseppe Tornatore), Il deserto dei tartari, Riccardo III, The Mission. Sordevolo OSNR/Morricone/ Morricone: La vita e la leggenda (suite (VR) Coro Lirico da The Untouchables, C’era una volta Sinfonico di Verona in America, La leggenda del pianista sull’oceano), Fogli sparsi; Modernità nel cinema di Sergio Leone; Nuovo Cinema Paradiso; Baaria; Omaggio a Bolognini (suite da Per le antiche scale, L’eredità Ferramonti), The Mission.