Il paradosso della saggezza. Come la mente diventa più forte quando il cervello invecchia
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COME LA MENTE DIVENTA PIU FORTE QUANDO IL CERVELLO INVECCHIA

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Non solo l'esperienza e il rrascorrerc del tempo pocenLiano le capacità intuirive delle persone che invecchiano; è la biologia stessa a farlo. Lo dimosrra Goldberg con le sue ricerche basare sulla neuroradiologia.

The New York Revrew of Books

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PON TE ALLE G R AZIE

ELKHONON GOLDBERG

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA COME LA MENTE DIVENTA PIÙ FORTE QUANDO IL CERVELLO INVECCHIA

Traduzione di Raffaella Voi

~

PONTE ALLE GRAZIE

Titolo originale:

The Wisdom Paradox How Your Mind Can Grow Stronger As Your Brai'n Grows Older

Consulente scientifico per l'edizione Italiana dr. Armando Gavazzi

Il nostro indirizzo Internet è: www.ponteallegrazie.it Visita www. Infi'niteS tori'e. i't il grande portale del romanzo

© 2005 qy Elkhonon Goldberg © 2005 Ponte alle Grazie srl - Milano ISBN 88-7928-794-X

Ai miei compagni del Baby Boom, generazione testarda

Sommario

Introduzione

9

1. La vita del ceivello

22

2. Le stagioni del ceivello

42

3. Menti anziane e potenti nella storia

53

4. La saggezza attraverso le civiltà

73

5. Il potere dei modelli

83

6. Avventure sulla strada della memoria

102

7. Ricordi che non sbiadiscono

116

8. I ricordi, i modelli e il "meccanismo" della saggezza

141

9. Decisioni « frontali»

151

10. Novità, routine e i due lati del ceivello

172

11. La dualità del ceivello in azione

185

12. Magellano e il Prozac

201

13. I giorni della canicola

216 7

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

14. Usa il cervello e sfruttalo al meglio

224

15. Potenziamenti

240

Epilogo. Il prezzo della saggezza

261

Note e bibliografia

267

Ringraziamenti

291

Indice analitico

293

8

Introduzione

Meditazioni di un neuroscienziato nato durante il Baby Boom La cosidetta « cri.si di mezza età » può manifestarsi in tanti modi quante sono le famiglie infelici che T olstoij descrive in Anna Karenina. 1 Ho capito per la prima volta che la mia crisi stava arrivando quando, verso i cinquantacinque anni, iniziai a desiderare un'esperienza catartica. Uno strano equilibrio si stava facendo strada nella mia vita. Per la prima volta il passato sembrava importante quanto il futuro e sentivo l'esigenza di esaminare questa sensazione più a fondo. Provavo un improvviso bisogno di fare il bilancio della mia vita e di metterne insieme i vari pezzi, disgregati dalle circostanze. Dopo ventisei anni sono tornato al paese dove sono nato, per cercare i vecchi amici con cui non avevo più avuto contatti. E ho scritto un libro, una specie di autobiografia intellettuale,2 cercando di riordinare in una prospettiva coerente il mio passato, il mio presente e le mie premonizioni per il futuro. Per ragioni più esistenziali che immediate o pratiche, ho deciso anche di fare una valutazione del danno fisico causato dal tempo. Dopo molti anni di sfacciata trascuratezza, mi sono sottoposto a un esame fisico completo, cosa che avrei dovuto fare già molto tempo prima, e fui ben contento di scoprire che, secondo tutti i criteri medici oggettivi, ero fu buona salute, biologicamente più giovane- della mia età anagrafica. Ne fui felice ma non particolarmente sorpreso, dal momento che mi sentivo bene e che il mio livello di energia non era diminuito con l'età. 9

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

Con trepidazione, decisi di sottopormi anche a una RM del cervello, una risonanza magnetica, per visualizzare le strutture all'interno del mio cranio, ormai sulla via dell'invecchiamento. Non potevo sospettare che la mia mente stesse iniziando ad abbandonarmi. Al contrario, avevo buone ragioni di credere che la mia cognizione fosse acuta: avevo appena pubblicato un libro di discreto successo. Stavo tenendo conferenze in tutto il mondo e continuavo a farla franca occupandomi di argomenti tecnici, un po' misteriosi, di fronte a uditori esigenti, senza aiutarmi con gli appunti. Ero sempre impegnato in numerose attività parallele e di solito non perdevo colpi. La mia vita intellettuale era ricca e piena. La mia professione privata di neuropsicologo stava andando a gonfie vele e la mia carriera era all'apice. Ogni tanto mi divertivo a tormentare malignamente i miei assistenti più giovani e gli studenti dicendo loro che avevo più vigore fisico e mentale di loro. Allo stesso tempo, sapevo di avere un certo bagaglio genetico. Non sono noti casi di demenza in nessuno dei due rami della mia famiglia, ma mia madre è morta di ictus (anche se all'invidiabile età di novantacinque anni), e suo fratello minore, pur essendo fondamentalmente sano di mente, aveva sofferto di una malattia vascolare cerebrale piuttosto avanzata, nota come malattia multi-infartuale. Ne ero a conoscenza perché ero stato io a formulare la diagnosi dopo avere visto i risultati della risonanza magnetica del suo cervello. Per tornare al punto, per molti anni il mio stile di vita non era stato molto salutare. Cresciuto in Russia (quella che era l'Unione Sovietica, per essere precisi), giunsi negli Stati Uniti all'età di ventisette anni. Anche se ho rifiutato il sistema politico del mio vecchio Paese, ho continuato a vivere secondo il suo tipico stile di vita autodistruttivo. Ho fumato una sigaretta dopo l'altra da quando ero adolescente fino a poco dopo i quarant'anni, quando ho smesso una volta per tutte, e per anni ho bevuto più di quanto fosse comune tra gli intellettuali ebrei di mezza età che vivono su questa sponda dell'Atlantico. In breve, avevo accumulato una quantità eccessiva di neurotossine. Da neuroscienziato cognitivo, sono solito considerare il cervello senza coinvolgimento e astrattamente in laboratorio. Da neuropsicologo clinico, sono abituato a essere estremamente attento anche alle piccole manifestazioni di una disfunzione o di 10

INTRODUZIONE

un danno cerebrale quando capita alle altre persone. L'altra faccia del fare una risonanza magnetica era che avrei acquisito consapevolezza di ogni potenziale conseguenza della condizione del mio cervello, e la prospettiva di guadagnare questa conoscenza mi spaventava. Il paradosso non apparteneva solo a me. Conversando occasionalmente con parecchi amici - tra cui neuroscienziati noti a livello mondiale, neurologi e psichiatri - tutti mi hanno detto che la curiosità verso il loro corpo si ferma a livello del collo. Non sono per nulla interessati a quello che c'è nella loro testa. Ma questo diniego agnostico è invariabilmente accompagnato da un risolino nevrotico, e posso capire perché. Per me, l'incertezza di solito è una fonte di angoscia, mentre la chiarezza, qualunque sia il suo contenuto, ha sempre avuto un effetto stimolante. « Struzzo» non è mai stato tra i molti, e poco lusinghieri, appellativi zoologici usati dai miei amici e nemici per descrivere i tratti peculiari della mia personalità. Sono sempre stato fiero di essere ragionevolmente coraggioso, un tipo che affronta le cose di petto: ora la mia testa sta per essere infilata nella spirale magnetica dello scanner. Il mio amico Jim Hughes, un neurochirurgo al quale mi sono rivolto per un parere sulla risonanza magnetica, all'inizio rise della mia idea e cercò di dissuadermi. «Cosa succede se troviamo un tumore benigno?» continuava a ripetere, «La tua vita sarà rovinata dall'angoscia!». Portava il caso di Harvey Cushing, probabilmente il padre della neurochirurgia americana, che aveva un tumore benigno al cervello. A questa obiezione rispondevo scioccamente che avevo abbastanza carattere e forza interiore per fronteggiare la situazione razionalmente e che, in ogni caso, sapere è meglio che non sapere. «Ma la mia vita sarà distrutta dall'angoscia se troverò che c'è qualcosa che non va nel tuo cervello», mi disse Jim esasperato. Dopo averne discusso, decidemmo che rischiare di rovinare la vita di Jim per l'angoscia era un prezzo accettabile da pagare per soddisfare la mia curiosità morbosa. Jim acconsentì. Come neuropsicologo clinico e neuroscienziato cognitivo, ho studiato per trentacinque anni gli effetti di varie forme di danno cerebrale sulla mente umana, e ho visto e analizzato centinaia di T Ac e RM cerebrali. Per la prima volta, comunque, stavo per ve11

JL PARADOSSO Dl::LLA SAGGEZZA

dere le immagini del mio stesso cervello. Sapevo meglio della maggior parte delle persone quanto anche piccoli danni possano essere devastanti per la mente... E anche per l'anima. Ma in fin dei conti avevo detto la verità a Jim. Ritenevo di poter affrontare qualsiasi notizia, comprese quelle cattive. Così, in una soleggiata mattina di aprile, mi sono diretto negli uffici del Columbus Circle MRI nel centro di Manhattan. Il referto e le pellicole (di solito non yengono lasciate ai pazienti, ma io ero anche un collega) arrivarono qualche giorno dopo. Ciò che vidi non sembrava terribile, ma hon mi fece neanche piacere. I miei solchi corticali (le circonvoluzioni simili ai gherigli di una noce sulla superficie del cervello) e i ventricoli (gli spazi che contengono il liquido cefalorachidiano che bagna il cervello) secondo i radiologi erano «di dimensioni normali». Secondo i miei calcoli, i solchi lo erano senza dubbio, ma i ventricoli mi sembravano grandi, anche tenendo conto della normale dilatazione (il termine tecnico per 'ingrandimento') che l'età può favorire. Il che suggeriva una certa atrofia cerebrale. Inoltre, erano segnalate nel referto due piccole aree di aumentata intensità del segnale nella sostanza bianca (le lunghe fibre nervose che connettono parti distanti del cervello, ricoperte da tessuto grasso e bianco chiamato mielina) dell'emisfero sinistro. Le potevo vedere anch'io. Il significato di tali risultati è incerto. Nel mio caso, probabilmente riflettevano alterazioni ischemiche, la morte regionale del tessuto cerebrale dovuta a scarso apporto di ossigeno. Potevano anche dipendere da una perdita di mielina in alcune aree - forse una spiegazione poco probabile. Soffrivo di un danno cognitivo lieve (definizione che ho coniato io stesso). Le notizie non erano tutte cattive. All'interno della mia carotide e dell'arteria basilare c'erano aree di flusso normale, e la loro diffusione non era significativa. Le mie arterie principali erano pulite come un fischietto, non occluse, non intasate da detriti grassi, e i miei vasi sanguigni erano forti. Tutto in linea con i risultati normali di un ecodoppler delle arterie carotidee che avevo fatto qualche mese prima. Messi insieme con la pressione sanguigna un po' alta, ma nei limiti della norma, questi dati rendevano misericordiosamente remota la probabilità che mi venisse un infarto improvviso, grave e catastrofico, oppure un aneurisma. L'ippocampo (la struttura cerebrale a forma di 12

INTRODUZIONE

cavalluccio marino importante per la memoria) appariva di dimensioni normali - certamente una buona cosa, poiché l'atrofia dell'ippocampo è un precursore comune della malattia di Alzheimer. Per tranquillizzarmi ulteriormente, mi feci visitare da uno dei più noti neurologi di New York, il dottor John Caronna del famoso New York Presbyterian Hospital (dove molti anni fa, appena sbarcato negli Stati Uniti, ebbi il mio primo incarico universitario). Il dottor Caronna, un uomo geniale e socievole, mi esaminò attentamente, osservò la mia RM, e la mostrò a un collega, il primario di neuroradiologia alla Cornell University's Weil Medica! School. Entrambi conclusero che era tutto normale per la mia età, comprese le due aree «puntiformi» (un modç fantasioso per dire «piccole») di ischemia. «E un cervello usato bene, questo è tutto» disse Caronna con il suo tipico senso dell'umorismo. Comunque, avendo visto io stesso centinaia di RM, ero ancora convinto che i miei ventricoli fossero più grandi di quelli di molte altre persone della mia età e che quelle piccole lesioni ischemiche non fossero una conseguenza inevitabile dell'invecchiamento. Per risolvere la questione, mi rivolsi a un mio vecchio amico, il dottor Sanford Antin. Sandy è tra i neuroradiologi più esperti di New York, e in passato ho collaborato con lui ad alcuni dei progetti più importanti della mia carriera scientifica. Sandy guardò i miei esami, trascurò immediatamente una delle due lesioni puntiformi, considerandola un artefatto e mi spiegò con sicurezza e dettagliatamente come essi si producono. Poi dichiarò che l'altra lesione puntiforme era «insignificante», disse che i solchi e i giri (piccoli canyon tra i solchi) «erano normali per qualsiasi età» e si complimentò per il mio « splendido cervello». Fu così 'che alleviai le mie preoccupazioni personali. Ripensandoci ho trovato la mia vicenda interessante sotto due profili: quello neurologico e quello nevrotico. Dal punto di vista neurologico e neuropsicologico, si potrebbe sostenere che quello che ho fatto io dovrebbe diventare parte di una prassi consuetudinaria di controlli fisici che le persone dopo una certa età dovrebbero fare ogni tre-cinque anni. Tutti noi riconosciamo l'importanza della prevenzione, e anche che la vulnerabilità a un'ampia gamma di malattie fisiche aumenta con l'età. Da qui 13

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

deriva l'accettazione universale, in realtà promossa dalla classe medica, della colonscopia come mezzo per combattere il cancro al colon, e quindi degli esami al seno e alla prostata. Ma il cervello tradizionalmente è stato esonerato dall'esame profilattico, come se non facesse parte del corpo. Ma ciò è assolutamente illogico, dal momento che l'incidenza della demenza nella popolazione anziana è equivalente, e spesso superiore, a quella di molte altre afflizioni.

La mente, il ceroello e il corpo Alla base di questo illogico comportamento ci sono due assunti impliciti, uno che proviene dai pazienti e l'altro dai professionisti della salute. Fino a poco tempo fa, la mente non era considerata parte della biologia costitutiva di un individuo, qualcosa che si potesse sottoporre a esami medici. Questo, naturalmente, è un fraintendimento, una tenace eredità del dualismo mentecorpo cartesiano. Oggi le persone colte hanno familiarizzato con l'idea che la mente fa parte del cervello, e quindi del corpo. Sarà uno dei temi principali di questo libro. Agli occhi dei professionisti della salute, l'utilità di una diagnosi precoce delle malattie del cervello che potenzialmente esitano in demenze è spesso messa in dubbio sulla base del fatto che « comunque non ci si può fare niente». Per dirla in termini militari, questo tipo di informazione «non consente di intervenire» e quindi non è utile, mette solo in agitazione il paziente, e la diagnosi senza trattamento pone solo un illecito onere finanziario sulla società. Questo assunto implicito e qualche volta anche più esplicito, così tristemente reale anche solo un decennio fa, sta diventando velocemente obsoleto, grazie al rapido avvento di vie farmacologiche e non farmacologiche per proteggere il cervello dal decadimento. In termini più semplici, l'assunto . che «non si può fare niente» non è più vero. Ma non è tutto completamente razionale. Riconosco che ciò che feci si può considerare prima di tutto e soprattutto un comportamento nevrotico. Sono sicuro che la risposta nevrotica all'invecchiamento è comune a milioni di miei contemporanei, non importa quanto illuminati (e forse più sono illuminati più è così). Può assumere molte forme: come neuroscienziato, io ho

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INTRODUZIONE

deciso immediatamente di fare una RM cerebrale. Altri affrontano queste nevrosi in modi differenti. Spesso la nevrosi prende la forma del diniego o, per essere più precisi, del rifiuto di sapere. Questa esperienza mi ha indotto a considerare seriamente il destino di una mente che invecchia, in un cervello che invecchia, nella società moderna. Come la maggior parte delle cose, la salute del cervello contrapposta a una malattia al cervello non è una semplice distinzione dicotomica. Ci sono sfumature di grigio ... Anche quando si tratta di materia grigia, per così dire... L'espressione «baby boom» ha un'eco particolare in America, ma il fenomeno è universale. Durante il decennio che ha seguito la Seconda guerra mondiale in Europa e in Russia, il tasso di natalità esplose, proprio come successe in Nordamerica. Oggi, in società sempre più preoccupate per la diffusione delle «malattie di Alzheimer», le mie angosce sono condivise da milioni di miei illuminati contemporanei in tutto il mondo. Molti di loro, forse la maggior parte, hanno un bagaglio di esperienza e formazione simile al mio. Cosa c'è di nevrotico nelle loro angosce, e cosa è giustificato? In parte reale, in parte nevrotica, una certa quantità di angoscia sullo stato delle proprie facoltà mentali è comune in chiunque si avvicini all'età della maturità. Nel mio caso, questo stato della mente era alterato, nel bene o nel male, dalla mia conoscenza professionale del funzionamento del cervello e dei molti modi in cui può smettere di funzionare. Il mio caso è diverso da quello di molti dei miei preoccupati contemporanei, in quanto sono uno scienziato del cervello e un clinico che diagnostica e cura i vari effetti di un danno cerebrale, occupandosi di menti che invecchiano e di demenza ogni giorno. Questo può rendere le mie osservazioni sulle mie personali angosce particolarmente utili per le altre persone. E così spero che le elucubrazioni di un neuroscienziato che sta invecchiando siano esaustive e utili per i miei coetanei che stanno invecchiando, qualsiasi sia il loro percorso di vita. Da giovani, siamo spinti dalla brama dell'ignoto. Noi osiamo. Il cliché popolare è che mano mano che invecchiamo, desideriamo stabilità. Ma la « stabilità» è inevitabilmente equivalente al «ristagno»? I cambiamenti associati all'età sono tutti perdite, o c'è anche qualche guadagno? Dopo aver osservato introspettivamente il mio paesaggio mentale, ho concluso che, nonostante le mie angosce le cose non sono tutte negative. Noto, con una 15

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

certa soddisfazione, che tirando le somme non sono più stupido di quanto lo fossi trent'anni fa. La mia mente non è offuscata: sta lavorando al meglio. E come protezione psicologica (e spero anche reale) contro gli effetti dell'invecchiamento, mi trovo costantemente proiettato in avanti. Combatto una continua guerra interiore contro la stasi. Una vita troppo definita, non è normale ma ultraterrena. E io non ne voglio sapere. Ciò che mi colpisce maggiormente nella mia ricerca introspettiva è che se un cambiamento c'è stato, esso non è comprensibile in termini meramente quantitativi. A conti fatti, la mia mente non è né più debole né più forte di quanto lo fosse dieci anni fa. È solo diversa. Ciò che era solito essere oggetto di problem solving ora è diventato, più che altro, il risultato del riconoscimento di modelli.* Non sono per niente bravo nel fare operazioni matematiche mentali laboriose, sequenziali e focalizzate; ma non sento il bisogno di ricorrere· ad esse così spesso. Quando avevo vent'anni, ero orgoglioso (qualche volta in modo irriverente) di essere in grado di seguire una lezione su un misterioso argomento di matematica senza prendere appunti, e di passare l'esame qualche mese dopo. Ora non penso neanche di p_rovare a fare una cosa del genere all'età di cinquantasette anni. E troppo difficile! Ma alcune cose sono diventate più semplici. Qualcosa di piuttosto intrigante, che non accadeva in passato, sta avvenendo nella mia mente. Spesso, quando mi trovo di fronte a un problema che visto dall'esterno sembra impegnativo, la sequenzialità del calcolo in qualche modo viene elusa, resa, come per magia, non necessaria. La soluzione arriva facilmente, apparentemente da sola. Quello che ho perso con l'età nella abilità di svolgere un duro lavoro mentale, sembro averlo guadagnato nella capacità di avere intuizioni istantanee, quasi immotivatamente semplici. Ma voglio fornirvi un altro interessante spunto tratto dalla mia introspezione: quando sto affrontando un problema spino-

* Pattern recognition: con questa espressione, che abbiamo tradotto «riconoscimento di modelli» (o, talvolta, configurazioni), l'autore si riferisce al processo mentale che consente l'associazione di un' osservazione all'esperienza passata. (N.d.R.) 16

INTRODUZIONE

so, spesso colgo una associazione, apparentemente distante, come un deus ex machina, che a un primo sguardo non ha alcuna relazione con il problema di cu.i mi stavo occupando, ma che alla fine offre una soluzione meravigliosamente efficace. Cose che nel passato erano separate, ora rivelano le loro connessioni. Anche questo avviene senza sforzo, tanto che mi percepisco più come il destinatario passivo di un colpo di fortuna piuttosto che un soggetto attivo, agente della mia vita mentale. Ho sempre cercato di addentrarmi fin verso i confini della sfera intellettuale e professionale, ma ora che questa comparsa improvvisa di associazioni avviene più spesso, ritengo che questa «magia mentale» sia produttiva e incredibilmente soddisfacente - come un bambino che trova un barattolo di biscotti nascosto e ne attinge impunemente e allegramente. Poi c'è qualcos'altro, anche di più profondo, quasi troppo bello da dire: la sensazione di avere il controllo della mia vita, come non l'ho mai avuto prima. Anche se corro il rischio di apparire maniacale (non lo sono, per questo sono libero di dirlo), provo sempre di più la sensazione che la vita sia una festa, mentre nel passato il sentimento prevalente era spesso che essa fosse una lotta continua. E nonostante la piena consapevolezza dell'imperativo biologico che la festa prima o poi finirà - o forse proprio a causa di questa consapevolezza - un sentimento di urgenza si amplifica, potente come una forza della natura, e diventa sempre più intenso con l'età: l'esigenza di prolungare la festa. Il paradosso esistenziale dell'invecchiamento: essere sorpresi dei suoi effetti eppure assecondare l'impresa di prolungare la festa. Perché la vita non è una strada a senso unico verso il decadimento. Ci sono correnti e controcorrenti che devono essere vissute, esaminate, comprese e apprezzate. Cosa sono questi strani fenomeni di levitazione mentale, quando le soluzioni arrivano istantaneamente e senza sforzo apparente? Si tratta per caso di quel vagheggiato attributo dell'invecchiamento che i sapienti chiamano saggezza? All'inizio avevo paura di farmi trascinare da quest'idea, per timore che la mia incursione nei misteri della saggezza si dimostrasse una prova di stupidità. Cercai di stare lontano dal linguaggio poetico esuberante e di aderire a quello austero della scienza, che è stato il mio per la maggior parte della mia vita; decisi di non parlare di «saggezza», ma di «riconoscimento di modelli». 17

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

Eppure, mentre cercavo di non fare affermazioni stravaganti, mi trovavo inesorabilmente tentato da esse, e il paradosso esistenziale, che mi intrigava così tanto, gradualmente ha preso un nuovo nome: paradosso della saggezza. Le nostre menti sono una funzione di quell'organismo naturale che è il cervello. E anche se il cervello può invecchiare e cambiare, ogni fase di questa progressione presenta nuovi e differenti piaceri e vantaggi, così come perdite e compromessi, in una progressione naturale, come avviene per le stagioni. Se i «semi» della nostra mente sono irrigati con la curiosità e lesplorazione fin dalla gioventù, e l'esperienza in età più matura sorveglia ed educa il «grano» mentale, allora la saggezza è il raccolto delle ricompense della mente che possiamo veramente apprezzare solo arrivati a quello che Frank Sinatra chiamava «l'autunno degli anni». E dopo aver inspirato profondamente, mi sto tuffando di testa nel mio nuovo progetto, questo progetto, un libro sulle stagioni della mente umana come passaggio dall'audacia alla saggezza. Non mi può sfuggire il pensiero che la saggezza, con le sue dimensioni cognitiva, etica ed esistenziale, è un concetto troppo ricco per essere esplorato nella sua interezza in una sola opera, o da un solo autore. Così sto limitando deliberatamente la portata di questo libro alla dimensione cognitiva della saggezza - una prospettiva ristretta ma nondimeno estremamente degna di essere esplorata.

La struttura del libro La natura composita di questo argomento si riflette nel contenuto eclettico del libro e nel fatto che gli argomenti sono intrecciati. Nel racconto che segue, alcuni capitoli si concentrano sulla storia e sulla cultura (capitoli 3, 4, 5, e 12); altri sulla psicologia (capitoli 1, 4, 5, 8, 9, 10, 11, e 12); altri ancora su questioni in qualche modo più tecniche di come il cervello è fatto e come funziona (capitoli 2, 6, 7, 13 e 14). Infine, parlo di cosa può essere fatto per prevenire l'invecchiamento del cervello (capitoli 14, 15 ed epilogo). Questi argomenti, apparentemente diversi, sono uniti da un'argomentazione coerente e logica, sostenuta da domande fondamentali: cosa consente al cervello che invecchia di compensare ciò che si perde, e come possiamo migliorare 18

INTRODUZIONE

questa abilità? I nomi di tutti i miei pazienti sono stati modificati per proteggere la loro privacy, ma le loro storie sono autentiche e non sono state abbellite in alcun modo. Ho fatto del mio meglio per spiegare tutti i termini tecnici la prima volta che compaiono. Inizieremo con una passeggiata casuale in un non-tanto-casuale « macchinario» cerebrale, che consente le apparentemente banali attività quotidiane nel capitolo 1, « La vita del cervello ». Una visita guidata nello sviluppo del cervello, nella maturazione cerebrale e nell'invecchiamento cerebrale segue nel capitolo 2, «Le stagioni del cervello». Questo capitolo ci porta alla domanda fondamentale del libro: cosa consente le considerevoli abilità di una mente azionata da un cervello anziano? Nel capitolo 3, ·«Menti anziane e potenti nella storia», amplierò questo argomento passando in rassegna la vita di numerosi personaggi storici noti per il loro ruolo centrale nella società nonostante l'età e, in alcuni casi, la demenza. La capacità del cervello di resistere al decadimento dovuto all'età è maggiore di quanto molti possono pensare, ed è probabile che voi stessi troverete alcuni di questi esempi a dir poco stupefacenti. Procederemo poi a esaminare le più desiderate qualità mentali legate all'invecchiamento - saggezza, expertise,* e competenza (capitolo 4, «La saggezza attraverso le civiltà»). Successivamente saremo pronti a introdurre uno dei concetti centrali del libro - quello di riconoscimento di modelli. Esamineremo vari tipi di riconoscimento di modelli e il ruolo che svolgono nelle operazioni della mente. Anche il linguaggio è un dispositivo di riconoscimento di modelli, ma nella cognizione umana operano molti altri dispositivi di questo tipo (capitolo 5, «Il potere dei modelli »). A questo punto esamineremo come si formano i modelli nel cervello, e la relazione tra modelli e ricordi (capitolo 6, « Avventure sulla strada della memoria»). Vedremo che tutti i modelli sono ricordi, ma che non tutti i ricordi sono modelli. Precisa-

* Nd testo il termine expertise rimarrà perlopiù non tradotto per non tradire la sua molteplice connotazione nell'area di significato in cui si intrecciano competenza, esperienza, perizia e capacità di valutazione. (N.d.R.) 19

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

mente, ciò che distingue un modello da altri tipi di ricordi, e ciò che rende i modelli più resistenti di altri ricordi al decadimento cerebrale sarà l'oggetto del capitolo 7, «Ricordi che non sbiadiscono». Come può un meccanismo di riconoscimento ben sviluppato aiutarci nella vita quotidiana, e cosa assicura l'emergenza di tale meccanismo mentale? Questo argomento sarà discusso nel capitolo 8, «I ricordi, i modelli e il meccansimo della saggezza». In questa sede introdurremo anche una distinzione centrale tra «conoscenza descrittiva» (che ha a che fare con la domanda «Cos'è? ») e «conoscenza prescrittiva» (che ha a che fare con la domanda «Che cosa devo fare?>>). La conoscenza prescrittiva, che dice cosa dobbiamo fare, è fondamentale per avere successo praticamente in qualsiasi settore. La capacità di accumulare e immagazzinare tale conoscenza dipende dai lobi frontali del cervello, che tendono a essere particolarmente suscettibili al declino legato all'età. Il ruolo centrale dei lobi frontali nella cognizione sarà l'argomento centrale del capitolo 9, «Decisioni 'frontali' ». La dualità è una delle caratteristiche principali dell' architettura cerebrale e il suo più tenace enigma. Perché il cervello è diviso in due emisferi? Sono state proposte a tale riguardo numerose teorie e ipotesi, ma nessuna di esse è stata in grado di svelare l'enigma. Noi esamineremo un'idea radicalmente nuova della dualità cerebrale: l'emisfero destro è quello delle «novità» e l'emisfero sinistro è responsabile di configurazioni ben sviluppate. Ciò significa che a mano a mano che invecchiamo e accumuliamo sempre più modelli, ha luogo un cambiamento nel1'«equilibrio di potere» dei due emisferi: il ruolo dell'emisfero destro diminuisce e aumenta quello dell'emisfero sinistro. A mano a mano che invecchiamo facciamo sempre più affidamento sull'emisfero sinistro, usandolo di più. Questo modo completamente nuovo di comprendere la dualità del cervello attraverso il corso della vita sarà esposto nel capitolo 10, «Novità, routine e i due lati del cervello» e nel capitolo 11, «La dualità del cervello in azione». La divisione del lavoro tra le due metà del cervello non è limitata alla cognizione. Anche le emozioni sono lateralizzate: quelle positive sono collegate all'emisfero sinistro e quelle negative al destro. Cosa ha a che fare tutto ciò con i differenti stili 20

INTRODUZIONE

cognitivi e con l'invecchiamento? Questo sarà l'argomento del capitolo 12, «Magellano e il Prozac ». L'invecchiamento colpisce le due metà del cervello in maniera differente: l'emisfero destro si« restringe», ma quello sinistro mostra una capacità di resistenza maggiore. Di questo ci si occupa nel capitolo 13, «l giorni della canicola». Cosa c'è dietro a questa misteriosa disparità? La risposta è nella plasticità cerebrale che dura tutta la vita, discussa nel capitolo 14, «Usa il cervello e sfruttalo al meglio». Contrariamente a quanto ha creduto la maggior parte degli scienziati fino a poco tempo fa, nel cervello nascono nuove cellule nervose (neuroni) fintanto che viviamo. La nascita di nuovi neuroni e i luoghi del cervello in cui vanno a collocarsi sono regolati dall'attività mentale. Più usiamo il cervello, più neuroni si formano, e questi neuroni vanno a finire nelle parti del cervello più usate. A mano a mano che invecchiamo, usiamo sempre più l'emisfero sinistro, che viene così protetto dal decadimento. Questo fatto ci conduce a una conclusione sorprendente, considerata fantasiosa solo pochi anni fa: si può incrementare la longevità del cervello tenendolo in esercizio. Nel capitolo 15, «Potenziamenti», introdurremo le varie forme di esercizi cerebrali che si possono fare. Concludiamo la nostra esplorazione nell'epilogo, «Il prezzo dell saggezza». L'invecchiamento, in sintesi, non è solo negativo. In realtà potrebbe rappresentare qualcosa da desiderare e da apprezzare. Se riteniamo che la saggezza sia una cosa preziosa, allora l'ivecchiamento è un piccolo prezzo da pagare per averla. Perciò procediamo con la nostra esplorazione del paradosso della saggezza nell'invecchiamento.

21

Capitolo l La vita del cervello

È solo questione di cervello La maggior parte delle persone non considera la saggezza, la competenza e l'expertise come categorie biologiche, ma lo sono. Quasi tutti comprendono, in termini generali e piuttosto vaghi, che la mente è un prodotto del cervello. Ma non è sempre facile rendersi conto di quanto intima sia tale relazione. Nonostante accettino, come proposizione astratta, che esista una relazione tra mente e cervello, la maggior parte delle persone non lo avverte nella propria quotidianità. Si tratta di un vestigio - duro a morire - del « dualismo mente-corpo», una dottrina filosofica associata molto strettamente (anche se alcuni filosofi dicono ingiustamente) al nome di Cartesio, secondo la quale il cervello e la mente sono separati e quest'ultima esiste indipendentemente dal corpo. Su tale argomento sono stati scritti numerosi volumi, compresi gli eccellenti libri L'errore di Cartesio, di Antonio Damasio, 1 e Tabula rasa: perché non è vero che gli uomini nascono tutti uguali, di Steven Pinker. 2 La secolare incapacità di comprendere l'idea che la mente sia il prodotto del corpo ha ispirato le vivide immagini dell' homunculus, * una piccola creatura

* Homunculus è anche la rapp~~sentazione sulla corteccia cerebrale delle varie aree corporee. Ovviamente il viso e le mani, sede di una sensibilità tattile più raffinata e di una competenza motoria più complessa, saranno rappresentate sulla corteccia cerebrale da aree molto vaste perché necessitano di un controllo e una elaborazione maggiore. Viceversa il torace, l'addome e gli arti inferiori saranno rappresentati a 22

LA VITA DEL CERVELLO

che sarebbe seduta nel nostro cervello a compiere il duro lavoro di pensare, e del «fantasma nella macchina ». 3 In un mio libro mi sono lamentato del fatto che anche se «oggi, la nostra società istruita non crede più nel dualismo cartesiano fra corpo e mente, [.. .] ci siamo liberati delle vestigia delle nostre concezioni erronee solo per gradi »4 e continuiamo ad avere difficoltà nell'abbracciare completamente l'idea dell'unità cervello-mente per quanto riguarda le èapacità più elevate delle nostre attività intellettuali. Sono stato sorpreso, persino scioccato, di scoprire quanto fragile e superficiale spesso sia l'approccio a queste tematiche. Cosa che divenne completamente evidente qualche anno fa, quando insieme ad alcuni colleghi avviammo un laboratorio didattico sul cervello, intitolato «L'istituto mente-cervello». Lo scopo del laboratorio era informare il grande pubblico dei fondamenti delle neuroscienze, di cosa può accadere al cervello, cosa può nuocere alla mente e lo stato delle cure attuali delle varie malattie che colpiscono il cervello. Con nostro grande stupore, la reazione del pubblico era spesso di incomprensione. «Che cosa c'entra la mente con il cervello?» era la domanda retorica che ho sentito più di una volta, con mia assoluta incredulità. Analogamente, quando in una conferenza sulla memoria menzionai il cervello, dal pubblico venne una domanda che esprimeva più sbigottimento che vera e propri;i curiosità: «Che cosa c'entra la memoria con il cervello?». E con una grande sorpresa, incontrai la stessa incomprensione in un ambiente molto più esclusivo quando mi fu chiesto di partecipare a un autorevolissimo convegno sui segreti delle scoperte straordinarie. La tavola rotonda era un Who 1s who internazionale di grandi scopritori: scienziati di fama mondiale, capitani d'industria, campioni olimpici, artisti famosi, politici di alto profilo. Questi indiscussi «campioni» nei loro propri ambiti di ricerca si sono presentati sul podio per svelare i segreti delle lolivello corticale da aree molto piccole. Ne risulta a livello encefalico una rappresentazione dell'uomo simile a un mostro (Homunculus). Gli studi che hanno permesso di dimostrare questa modalità di controllo dello schema corporeo sono stati effettuati negli anni '50 dal neurochirurgo americano Penfield mediante stimolazioni elettriche della corteccia cerebrale. (N.d.R.) 23

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

ro scoperte. Rapidamente si fece strada l'idea che la chiave del successo fosse rappresentata dalla convergenza di due ingredienti: il talento in un campo specifico era identificato all'unanimità come uno degli elementi del conseguimento di un risultato importante. Una certa personalità, unita alla motivazione e alla capacità di concentrarsi su un obiettivo ambizioso erano considerate, sempre all'unanimità, l'altro ingrediente. I partecipanti al convegno erano d'accordo che senza un talento specifico non ci potevano essere risultati significativi e chç un talento specifico è innato, il destino biologico di pochi. E un dato acquisito che il duro lavoro da solo non ti fa diventare Mozart, Shakespeare o Einstein. I relatori sostenevano che gli altri ingredienti di un successo straordinario, motivazione e ambizione, sarebbero responsabilità dell'individuo, come se la persona in questione fosse un'entità platonica, senza corpo. Quando fu il mio turno, cercai di far passare l'idea che anche la « motivazione » e « la capacità di concentrarsi su un obiettivo ambizioso» sono, almeno in parte, caratteristiche con base biologica e che una delle ragioni per cui le persone sono differenti sotto questo aspetto è che i loro cervelli sono diversi. La personalità, sostenevo (come avevo fatto di fronte a vari,uditori prima di allora), non è una caratteristica extracranica. E un prodotto del cervello. La mia osservazione incontrò un muro di silenzio che presto divenne insofferenza e, dopo pochi minuti, uno dei partecipanti alla tavola rotonda, un diplomatico di fama mondiale, mi rivolse una critica: «Professor Goldberg, quello che sta dicendo è estremamente interessante, ma questa conferenza è sulla mente,

non sul cervello». Con la bocca spalancata per lo stupore che un commento così inappropriato potesse emergere da quel consesso di intellettuali, stavo prendendo in considerazione l'idea di un'animata confutazione in difesa della connessione mente-cervello, ma decisi di lasciar perdere, più per ragioni sociali che intellettuali. TI messaggio che stavo cercando di far passare era semplicemente questo: proprio come il più piccolo movimento del vostro corpo dipende dal lavoro di un particolare gruppo di muscoli, così anche la più piccola, apparentemente inafferrabile, attività mentale ricorre a risorse del cervello. E anche la più sem24

LA VITA DEL CERVELLO

plice delle attività mentali può essere compromessa da una malattia cerebrale. Così, avventurandoci con umiltà e determinazione nell'esplorazione delle stagioni della mente; corrispondenti ai vari stadi della vita, e della natura della saggezza, dobbiamo considerare questi aspetti, come una questione riguardante il cervello. L'espressione, «E solo questione di cervello!» è il tema principale di questo libro. Per favore, non fatene una questione personale. L'invecchiamento del nostro cervello è tutto tenebre e nessun trionfo? Non credo. Utilizzerò tutto il vigore mentale rimasto nel mio cervello per sostenere la tesi che l'invecchiamento della mente ha i suoi trionfi, che solo l'età può portare. Questa è la tesi principale del libro. È il momento di smettere di pensare all'invecchiamento delle nostre menti e dei nostri cervelli esclusivamente in termini di perdite, mentali e non. Quello della mente porta dei guadagni equivalenti. Quando invecchiamo, possiamo perdere la facoltà della memoria e di una concentrazione prolungata. Ma a mano a mano che invecchiamo, possiamo guadagnare in saggezza, o almeno in expertise e competenza, e nessuna delle due cose è da disprezzare. Le perdite e i guadagni delle menti che invecchiano sono processi graduali, non improvvisi. Hanno radici in ciò che accade ai nostri cervelli. Questo libro è dedicato a ciò che la mente guadagna, all'equilibrio tra perdite e guadagni. La cultura americana ha bisogno di un lieto fine per ogni storia. Dato l'ambiente duro in cui sono cresciuto e nonostante il fatto che io viva su questo lato dell'Atlantico da tre decenni, ancora oggi trovo divertente questo aspetto. Ricordo un'intervista televisiva che ho visto dopo un evento particolarmente catastrofico avvenuto in anni recenti. Dopo che un esperto ebbe dipinto un quadro estremamente crudo e purtroppo realistico delle conseguenze imminenti, l'intervistatore, un famoso personaggio televisivo, disse con una punta di impazienza e quasi come se fosse un suo diritto: «Ma cosa mi può dire per rassicurare il pubblico americano?» Che interessante idiotismo culturale! Mi dissi. Dammi un lieto fine, altrimenti guai a te! pensai. Rassicurare non è sempre una buona cosa. Ci sono circostanze in cui "afferrare le persone per la collottola", e scuoterle, facendole preoccupare, alla lunga si rivela la cosa migliore. Ma 25

IL PARADOSSO DELLA SAGGEZZA

sulla questione dell'invecchiamento l'opinione pubblica ha già ricevuto la propria dose terapeutica di scossoni. Sentiamo parlare costantemente dei flagelli della demenza e del morbo di Alzheimer, e dei sintomi della neuroerosione,* la progressione dei deficit di memoria e di livello attentivo. Purtroppo questi flagelli sono reali. Ma è tempo di notizie buone, facendo in modo che esse siano anche vere e non solo un espediente per « rassicurare».

Spiegare la saggezza La saggezza è la buona notizia. La saggezza è stata associata nella cultura popolare di ogni epoca e società all'avanzare dell'età. La saggezza è il dono prezioso dell'invecchiamento. Ma può la saggezza sopportare l'assalto della neuroerosione, e se sì, quanto a lungo? Questo fa nascere una domanda sulla natura della saggezza. Nella nostra cultura usiamo questa parola spesso e con rispetto. Ma è stata definita in modo esaustivo? Le sue basi neurali sono state comprese? Può il fenomeno della saggezza essere compreso, nei suoi aspetti teorici, in termini biologici e neurologici, o è troppo sfuggente e sfaccettato per essere afferrato con un qualche grado di precisione scientifica? Senza rivendicare una particolare saggezza per me stesso,

* Ho coniato il termine nef.!.roerosione, e per estensione neuroerosivo, per riempire una lacuna. E comune definire alcune malattie che alla fine degenerano in demenze con il termine neurodegenerative. Ma questo termine è troppo limitativo e troppo inquietante. Implica un insieme molto specifico di malattie caratterizzate da atrofia neuronale primaria. Anche i termini cerebrovascolare o multz~infartua/e, spesso usati per riferirsi ad alcune altre malattie che alla fine degenerano in demenze, hanno connotazioni molto specifiche, precise, che implicano una malattia primaria dei vasi sanguigni nel cervello. Ncuroerosivo vuole essere una parola generica, che copra tutte le pOliliibilità specifiche e che allo stes~o tempo sia priva del senso di defìnitivitò collegato agli altri termini. E simile, per quanto riguarda lCl scopo e le implicazioni, all'espressione «danno cognitivo lieve» (in ingk•s1.· Mild Cognitive lmpairment, MCI), che è diventata progressivam