Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo
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Zitiervorschau

P A O L O

S A N T A R C A N G E L I

IL LIBRO DEI LABIRINTI Prefazione di Umberto Eco

SPERLING & KUPFER EDITORI MILANO

Poiché né la misura, né i tropi, né la maestà dell'espressione, né le metafore indovinate, né il bel suono delle parole appropriatamente unite hanno una grazia affascinante pari alla narrazione mitologica ben costruita. PLUTARCO,

Etica

INDICE

PREFAZIONE di Umberto Eco NOTA DELL'AUTORE

XI XV

PARTE

PRIMA

I. PROLOGO NEL MITO

3

Minos Teseo Daidalos Critica del mito Appendice

4 6 12 13 23

II. INREMEABILIS ERROR

25

Definizione Forme e tipi Tracciamento e requisiti Rappresentazione del percorso Decrittazione III. NOMEN OMEN Labirinto Troia Jhérusalem Caerdroia Julian's Bower «Maze» e «Bower» Altri nomi IV. IL TEMPIO S P E C U I A R E DI AMENHOTEP Premesse Labirinto di Hawara

25 27 32 33 34 37 37 40 43 45 45 46 46 49 49 52

Testimonianze posteriori Affyendice

54 57

V. LA CASA DEL MINOTAURO

59

Minoa Il Palazzo Il Toro di Minos Labirinto? Cortina Raffigurazioni e monete Altri labirinti Malta Appendice

59 65 68 71 73 78 80 80 84

VI. INCISIONI RUPESTRI E CERCHI DI PIETRA Premessa Incisioni rupestri Il Minotauro in Val Camonica Perché i labirinti? Ancora le spirali Cerchi di ciottoli in riva al mare

89 89 89 91 96 98 100

VII. IL BUON SELVAGGIO NEL LABIRINTO

110

II labirinto nell'etnologia La Fanciulla Luna Tracciati complicati e porta dell'Inferno Zulù e Cafri Labirinti amerindi

110 111 112 116 119

PARTI

SECONDA

Vili. MEDITAZIONE, DANZA E T E N E B R E Simbolo e mito Sogni d'angoscia, cammino impedito, peregrinazione dell'anima, «iter mysticum» Caverna e casa delle viscere Centro Danze e giochi

123 123 129 139 145 151

Terra e Toro La bipenne Appendice

159 162 166

p a r u :

i i r / a

IX. TESSERE DI C O L O R E Danze latine «Lars» Porsenna Pavimenti musivi Gemme antiche e veste imperiale Appendice X. ASSEDIO DI TROIA E PELLEGRINAGGIO A GERUSALEMME

173 173 176 178 184 186 188

L'amore dell'allegoria Disegni e poemi Giardini Cattedrali

188 190 193 194

XI. FÊTES, CHARMES, DÉLICES

213

Terribilissimi rigiri Pittori e incisori Stampatori e calligrafi Emblemi e stemmi Alchimisti e maghi Città vere e sognate Giardini «Turf-Mazes» Il nobile gioco dell'oca

213 218 229 230 235 236 238 257 266

XII. ESPERIMENTI E GIOCHI Chiese e giardini dell'Ottocento e del Novecento Giochi da ragazzi Esperimenti sull'anima Circuiti Architetti Pittori

268 268 271 274 289 290 294

CONCLUSIONE

299

NOTE

305

BIBLIOGRAFIA

307

INDICE DEGLI AUTORI E DEI PERSONAGGI

317

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

327

PREFAZIONE di Umberto Eco

NON si fa lina prefazione erudita a un libro erudito: la gara sarebbe impari. E poi si sa, a entrare nei labirinti si rischia di perdervisi. D'altra parte il volume che avete tra le mani è, nella sua struttura narrativa e argomentativa, la non ultima illustrazione dell'oggetto di cui parla. Un libro sui labirinti non può che essere labirintico - e così spero che appaia allo smarrito lettore che si accinge a penetrarvi, permettendogli di perdersi con godimento e profitto in questa caverna dal cui ingresso si diramano sentieri mitologici, corridoi filologici, cunicoli antropologici e pendii poetici. Non mi rimane che affidarmi al mio privato labirinto dei ricordi, e ritrovare Santarcangeli il giorno in cui gli feci una strana proposta. Stavo concependo, con alcuni amici e per gioco (e dunque con molta metafisica serietà) un'enciclopedia negativa o Cacopedia, in cui i grandi concetti della cultura apparissero rivoltati come un guanto e potessero mostrare un loro volto stranito e diabolico. Si stava pensando a una grammatica abortiva capace di generare il silenzio, a una scatola nera priva di output che generasse il nulla, a una teoria delle anastrofi, a una logica dei mondi impossibili, a sistemi strutturati di opposizioni in cui si fosse operato uno slittamento, producendo contrasti semanticamente densi, per esempio, tra Crudo e Labiale, tra Morte e Cotto, tra

Davanti e Ieri, tra Bene e Bemollizzato. E proponevo a Santarcangeli di inventarmi un antilabirinto. Se il labirinto fosse soltanto un percorso tortuoso, l'antilabirinto sarebbe un percorso semplice e lineare, e non ci sarebbe bisogno di inventarlo. Ma ci si era soffermati su un'idea di labirinto come luogo nel quale è facile entrare ma difficile uscire, anche perché all'interno si è sottoposti a una serie di scelte dall'esito imponderabile. Questa idea privilegiava inoltre, tra le varie e discusse etimologie, non quella che vuole «labirinto» da labrys (bipenne) ma piuttosto da labro, (caverna dai molti cunicoli e corridoi). Con una decisione forse lessicalmente disinvolta, ma mnemonicamente efficace, Santarcangeli aveva pensato a «ororinto», ovvero a una montagna sul cui pendio si aprissero innumerevoli orifizi, che invogliassero i visitatori a entrare. Ogni orifizio avrebbe dovuto immettere in un cunicolo in discesa e l'incrocio interno dei cunicoli avrebbe dovuto essere di gran complessità topologica: ma per forza di gravità (che è la negazione di ogni scelta responsabile) il visitatore, non appena si fosse immesso nel proprio percorso inclinato, sarebbe scivolato fatalmente verso un'uscita e sarebbe stato scaraventato fuori, in pochi secondi, al lato opposto del monte. Il progetto non era però così semplice come appariva a prima vista. Occorreva

pensare a due tipi di orifìzi, quelli di entrata (a monte) e quelli di uscita (a valle), in modo che solo i primi incoraggiassero o permettessero l'accesso, e i secondi servissero solo all'espulsione. Infatti, se per caso qualcuno fosse entrato da un'uscita, data la molteplicità degli incroci interni da percorrere a quel punto in salita, e quindi contro la determinazione della forza di gravità, ecco che di nuovo si sarebbe trovato a scegliere e avrebbe avuto scarse probabilità di rivedere le stelle. Così l'ororinto si sarebbe trasformato di nuovo in un labirinto, e di quelli che Santarcangeli definisce nel secondo capitolo come tridimensionali, siano essi caverna, torre o (appunto) montagna. A meno di immaginare una struttura molto instabile in cui, non appena qualcuno avesse imboccato un orifìzio qualsiasi, l'intero sistema dei condotti interni si riassestasse, così che in ogni caso la via prescelta si presentasse come inclinata verso il basso. Come si vede, la soluzione non era a portata di mano, e in effetti il progetto si arrestò alla fase della sua enunciazione astratta. Questa è la forza del complotto cacopedico che si nutre anche dei propri fallimenti e ne trae occasioni di conoscenza, come si conviene a ogni metodo scientifico ben temperato. Se non era possibile immaginare un antilabirinto, ciò significava probabilmente che la mente umana è più adatta a pensare i labirinti che non il loro contrario, e quindi quella del labirinto è una struttura archetipa (qualunque senso si dia a questo termine), che riflette (o determina) il nostro modo di pensare il mondo perché riflette (o determina) il nostro modo umano di adattarci alla for-

ma del mondo, o di imporgliene una qualora non ne abbia - o sia disposto ad accettarle tutte. Se l'immagine del labirinto ha una storia millenaria questo significa che per migliaia di anni l'uomo è stato affascinato da qualcosa che in qualche modo gli parla della condizione umana o cosmica. Esistono infinite situazioni in cui è facile entrare ma è diffìcile uscire, ed è diffìcile pensarne altre in cui sia diffìcile entrare ma facilissimo uscirne. L'unica che potrebbe adattarsi a quest'ultimo modello è forse la situazione delle situazioni, la vita individuale, con i suoi nove lunghi mesi d'ingresso, i travagli del parto, e in uscita la certezza (sia pure induttiva) della morte. Eppure è tipico della vita quello spazio intermedio (magari brevissimo) in cui si vaga, senza ben sapere dove si vada e perché, e cosa si incontrerà al centro, o in uno dei suoi mille imprevedibili snodi. E poi, da un altro punto di vista, nella vita si entra facilissimamente, anzi vi si è «gettati». Se poi l'uscita sia così facile, e se sia realmente un'uscita, ahimè, abbiamo inviato tanti esploratori in avanscoperta, ma disponiamo di pochi rapporti attendibili... No no, «hunc mundum Lipice laberinlhus denotai iste... » Ecco perché Santarcangeli poteva scrivere un libro sui meandri dall'uscita difficile, ma non poteva scriverne uno sui percorsi rettilinei dall'uscita facile. Che se poi avesse voluto, questo libro c'era già, e sono gli Elementi di Euclide. Ma vi si narra di un mondo troppo diverso dal nostro, che noi conosciamo solo per maldestre approssimazioni, e che è narrativamente poco avvincente, tanto che generazioni di matematici hanno cercato di

alleviare l'interminabile noia platonica delle due parallele destinate a non incontrarsi mai, per tutta l'eternità. Gettate, nel primo giorno della creazione, i purissimi elementi di Euclide dall'iperuranio sulla Terra, sconvolgetene l'astratta identità, negatene i fantomatici diritti, piegateli al fango della metessi: ed ecco, finalmente, il labirinto. Tutto ciò indurrebbe a pensare che il labirinto sia un archetipo che rimane immutato lungo i secoli e che tutti i secoli pensino il labirinto con uguale intensità e interesse. Ma neppure questo è vero, segno che anche i nostri modi di pensare il labirinto seguono percorsi tortuosi. Tanto per cominciare, ci sono diversi tipi di labirinto. Santarcangeli ne elenca moltissimi, ma per comodità di discorso vorrei identificare tre modelli fondamentali. Il primo è il labirinto detto «unicursale»: a vederlo dall'alto sembra un intrico indescrivibile e a percorrerlo si è presi dall'angoscia di non poterne mai più uscire, ma in effetti il suo percorso è generabile con un algoritmo molto semplice, perché altro non è che un gomitolo a due capi, e chi vi entra da una parte non potrà che uscire dall'altra. Questo è il labirinto classico che non avrebbe bisogno di filo d'Arianna perché è il filo d'Arianna di se stesso. Per questo al centro ci dovrà essere il Minotauro, per rendere l'intera faccenda meno monotona. Il problema posto da questo labirinto non è «da quale parte uscirò?» bensì «uscirò?» ovvero «uscirò vivo?» Questo labirinto è l'immagine di un cosmo difficile da vivere, ma tutto sommato ordinato (c'è una mente che lo ha concepito). Il secondo tipo di labirinto è quello

manieristico: se sfilate il labirinto classico unicursale vi trovate tra le mani un filo, ma se riuscite a dipanare il labirinto manieristico non vi trovate tra le mani un filo, bensì una struttura ad albero, con infinite ramificazioni, il novantanove per cento delle quali porta a un punto morto (solo un corno di un solo dilemma binario porta all'uscita). Labirinto difficile, perché può accadervi di tornare all'infinito sui vostri passi, e che impone calcoli complessi per trovare una regola che consenta di individuare l'uscita. In teoria la regola c'è, perché il labirinto manieristico, anche se ha un interno assai complesso, ha un dentro e un fuori. Terzo viene il rizoma, o la rete infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro e la successione delle connessioni non ha termine teorico, perché non esiste più un esterno o un interno: in altri termini, il rizoma può proliferare all'infinito. Inoltre potremmo immaginarlo come una palla di burro, senza confini, all'interno della quale posso perforare senza troppa fatica una parete che separa due condotti creando per ciò stesso un nuovo condotto. Il che equivale a dire che nel rizoma anche le scelte sbagliate producono soluzioni e insieme contribuiscono a complicare il problema. Se anche una Mente può aver pensato il rizoma, non ne avrà però pensata e stabilita in anticipo la struttura. Il rizoma è come un libro in cui ogni lettura cambi l'ordine delle lettere e produca un nuovo testo. E se l'idea di rizoma è molto recente, quella di un libro simile è molto più antica, tanto che la troviamo nella tradizione cabalistica (anche se per i cabalisti rimaneva ferma la fede in una struttura finale

del libro, che avrebbe dovuto adeguare il progetto iniziale della creazione). Ora possiamo dire che tutto il Pensiero della Ragione, dalla Grecia sino alla scienza ottocentesca, si è proposto come pensiero di una Legge o di un Ordine che dovrebbe ridurre la complessità del Labirinto. Il Labirinto veniva evocato dall'immaginazione, mentre il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo. Naturalmente, quanto più il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo, tanto più l'immaginazione mistica - ovvero il Pensiero del Mistero - lo riproponeva, e la storia del pensiero ermetico, dalla Cabala attraverso il Rinascimento sino ai giorni nostri, è presente a testimoniarlo. Da un lato la Razionalità, che voleva ridurre la complessità del Labirinto, dall'altro la cosiddetta Sapienza, che voleva conservare immutata la complessità dell'Irrazionale. Una caratteristica di molto pensiero contemporaneo è invece quella di elaborare tecniche di Ragionevolezza per muoversi nel Labirinto, senza rimuoverne l'immagine, senza volerlo ridurre a un ordine definitivo e tuttavia senza abdicare alla necessità di disegnarvi percorsi praticabili. Agli opposti ideali dei Distruttori del Labirinto e delle Vittime (magari complici) del Labirinto, possiamo contrapporre una scienza media che si propone di convivere umanamente col e nel labirinto. E questa è una delle ragioni per cui negli ultimi decenni si sono moltiplicate le mostre, i convegni, i nuovi libri dedicati al labirinto (molti dei quali debitori confessi di Santarcangeli). Santarcangeli ha commesso l'errore di pubblicare la prima edizione del suo libro quando l'idea di labirinto non era ancora popolare. Sia-

mo alla fine degli anni Sessanta, e l'ideale forte di una scienza rivoluzionaria che dovrà ricostruire in modo ordinato la forma del mondo e della società non lascia spazio a quella perplessità programmatica, a quel gusto dell'errore, che si accompagna sempre alla riflessione sul labirinto. Una volta che questo ideale «forte» si è scoperto in crisi, il pensiero del labirinto è diventato popolare. Non è un caso se l'Enciclopedia Einaudi, che ha filtrato in sole seicento voci tutto il sapere contemporaneo, tra le molte volontarie omissioni di concetti che ancora consideriamo fondamentali, ha deciso di introdurre molte pagine su un concetto apparentemente poco attuale e marginale come il labirinto (affidandone la trattazione a un matematico, Pierre Rosenstiehl, che affronta la topologia del labirinto con un apparato formale altamente sofisticato, e dove si trovano rigorose omologie tra la grammatica dei labirinti e le grammatiche generative studiate dai linguisti). Mentre dunque si disegna una nuova enciclopedia del labirinto, tesa verso un ampliamento delle nostre conoscenze intorno a una forma che pare densa di futuro, ben venga la rilettura del libro di Santarcangeli che ci riconduce a visitare le profondità, storiche e mitiche, di questa idea primordiale. Tra graffiti rupestri e pavimenti di cattedrali, tra emblemi alchemici e fantasie sfragistiche, c'è da ritrovare in queste pagine il modello, sempre uguale e sempre variato, di qualcosa in cui abitiamo da sempre, tanto che non possiamo non pensare nei termini che esso stesso ci impone. Milano, luglio 1984

NOTA DELL'AUTORE

Q I . ' K S T O studio, cominciato quasi per gioco come un divertente excursus dn altri ordini di ricerche, si faceva sempre più serio e appassionato a mano a mano che l'argomento veniva approfondito e aumentava la raccolta del materiale. Presto ci accorgemmo che, per parlare del labirinto con una piena conoscenza di tutti gli aspetti che esso può assumere, lo studioso che si è avventurato in quel tema dovrebbe essere etnologo, archeologo e storico delle religioni, versato negli studi della Preistoria e anche in tutte le vicende dello sviluppo del costume europeo, a suo agio con la «psicologia del profondo» e la psicometria, architetto, giardiniere e molte altre cose ancora; e soprattutto poeta. Restava cosi la scelta fra il tacere di un argomento che ci stava molto a cuore o il parlarne con la coscienza di molte e vaste lacune. Ci cospargiamo il capo di cenere: abbiamo scelto di parlare. Ci si la-

sci anche aggiungere che la lunga frequentazione dei labirinti fu una magnifica avventura. Speriamo che sarà tale anche il passaggio, molto più breve, che aspetta ora il lettore. L'elenco di tutti coloro che mi hanno fornito informazioni o mi hanno assistito con il loro consiglio sarebbe lungo e noioso. Vada quindi a tutti, collettivamente, la mia cordiale riconoscenza. Devo tuttavia menzionare a parte l'utilissima e amichevole collaborazione avuta da Ida Matthews e Zeta Eastes, rispettivamente vedova e figlia di W.H. Matthews, autore di uno studio molto attento sulla storia del labirinto, vera opera pionieristica, purtroppo non più ristampata. Le due signore hanno messo a mia disposizione anche le lastre fotografiche originali e gli appunti del loro congiunto, risparmiandomi così una buona parte del faticoso lavoro di ricerca. Compio un gradito dovere dandone atto pubblicamente.

PARTE PRIMA

I. P R O L O G O NEL MITO

volisti e pittori. In effetti, i simboli essenziali dell'uomo e i miti antichi che li espriTanto più profondamente egli è turbato mono hanno una forza primigenia che è dal portento. come radicata nel profondo dell'animo e continuano a possederlo e commuoverlo WOI.FY< >1) V I R M I I ' A S I S( \ 1A I \ RVS SI I) I \ M 1 \

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