Il codice segreto della croce
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Zitiervorschau

HENRY LINCOLN

IL CODICE SEGRETO DELLA CROCE

e/ SPERLING & KUPFER EDITORI MILANO

Traduzione di Bruno Amato A cura di Selida Grafica Editoriale - Milano

Key to the Sacred Pattern

Copyright © Text 1997 Henry Lincoln © 2000 Sperling & Kupfer Editori S.p.A. ISBN 88-200-2974-X 95-1-2000

C R E D I T INSERTO

Foto n. 12: Louvre, Parigi. Giraudon. Bridgcnian Art Library; foto n. 14-15-16: France Magazine.

La Sperling & Kupfer Editori S.p.A. potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste vanno inoltrate all'Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell'ingegno (AIDRO), via delle Erbe 2, 20121 Milano, tel. e fax 02809506.

A mon cher ami Michel, qui trouva Le Tomple.

Indice

Parte prima La ricerca Introduzione 1. Agosto 1969: estate nelle Cévennes 2. 1970: «Chronicle» 3. Rennes-le-Chàteau: prime impressioni 4. L'inizio delle riprese: un cambiamento di programma 5.1 pastori d'Arcadia 6. Il prete, il pittore e il diavolo 7. Compare la geometria di Poussin 8. Ipotesi 9. Plantard e il suo Priorato 10. Un disastro indipendente 11. Interpretazioni

3 7 10 21 37 63 81 97 115 130 139 150

Parte seconda La scoperta 12. L'itinerario della scoperta 13. Dati di base 14. Nuove scoperte

157 160 185

Bibliografia Indice dei nomi

201 203

PARTE PRIMA

La ricerca

Introduzione

A TUTTI piace un bel giallo. E quando il giallo non è opera di fantasia, ma è ambientato in luoghi e tempi reali e i suoi protagonisti sono persone reali, allora al fascino della narrazione si aggiunge il desiderio di conoscere «la verità». Quando poi non solo la storia è arricchita da un tesoro sepolto e gli eventi non sono avvolti nell'aura del remoto - nel tempo e nello spazio - ma si sono verificati nel passato recente e in una località facilmente accessibile, allora la seduzione diventa pressoché irresistibile. Il mistero di Rennes-le-Chàteau cominciò così. Nel diciannovesimo secolo, un prete squattrinato di un paesino francese trova qualcosa, a quanto pare, nell'interno della sua chiesa. Improvvisamente, è ricco. Quel che è certo è che comincia a spendere forti somme di denaro. Di conseguenza, dice la gente, deve aver trovato un tesoro. Nel 1969 mi proposi di risolvere il mistero. Mi sembrava una caccia al tesoro appassionante e ben localizzata. Dopo quasi un trentennio ho al mio attivo quattro documentari e tre libri che hanno reso il piccolo villaggio dei Pirenei famoso in tutto il mondo. Oggi a Rennes-le-Chàteau arrivano turisti da ogni parte del pianeta. Alcuni sono interessati, altri affascinati. Altri ancora sono ossessionati, desiderosi di credere, impegnati nella ricerca di un proprio Santo Graal personale; qualcuno di quello vero. Le distorsioni generate da un soggettivo non-ragionare hanno attribuito alla piccola cima montuosa tutta una serie di «tesori»: dalle ricchezze perdute dei templari ai dischi volanti sepolti, al corpo mummificato di Gesù Cristo. Ma la cosa più curiosa è stato il desiderio ardente di alcuni di dimostrare o almeno di sostenere - che tutta questa storia è un imbroglio. Oggi infatti non si tratta più della semplice e mondana ricerca del tesoro del sacerdote

Bérenger Saunière. Quella «semplice» caccia si è trasformata nella volontà di capire qualcosa di molto più profondo. Rennes-le-Chàteau ha dimostrato di essere essa stessa un mistero. Un luogo sacro, prescelto e a quanto sembra venerato dai nostri lontani antenati. Prescelto, oltre tutto, con una perizia e un'esperienza che noi, i loro «illuminati» discendenti, non immaginavamo possedessero. Come mai l'inaspettato - il notevole, l'inedito - provoca tanta inquietudine e tanto disagio? Perché qualcuno desidera tanto che ciò che non è familiare sia anche non vero? Sostenere che le stupefacenti scoperte che sono state fatte non hanno alcun fondamento significa negare fatti empiricamente dimostrabili. Affermare che l'insieme straordinario e recente di dati non sia che il risultato di coincidenze prive di significato denota una precisa volontà di non riconoscere che il passato potrebbe avere ancora sorprendenti lezioni da impartirci. Questa volontà di negare si va facendo negli ultimi tempi sempre più esplicita. Qualcuno ha cominciato a diffondere le più bizzarre spiegazioni su come avrei «inventato» la storia o sul fatto che i suoi dettagli mi sarebbero stati «forniti» da oscure e misteriose éminences grises. Ho deciso perciò che è arrivato il momento di raccontare come si è dipanato il filo di questa storia. La vicenda è piuttosto pittoresca, anche senza le congetture e le fantasie di alcuni dei miei commentatori. L'abbondanza di appunti, diari, fotografie e documenti che ho raccolto in anni di ricerche e di riprese filmate, mi hanno permesso di ripercorrere i miei passi per tutto il lungo itinerario, con le sue tante deviazioni e i suoi numerosi ostacoli. Spero che questa ricapitolazione dimostri che la logica degli elementi documentali conduca spontaneamente alla sua ultima e ineluttabile conclusione. Una conclusione che è forse più sorprendente del mistero di partenza. Una conclusione, oltre tutto, che è a sua volta un inizio, perché conoscere non vuol dire inevitabilmente capire. Spero soprattutto che il racconto, spogliato dalle aspettative interessate, dalle illusioni e dalle false ricostruzioni a cui è stato sottoposto, si riveli appassionante. Il grande geografo Alexander von Humboldt dice: «Una cosa nuova all'inizio viene negata. Poi sminuita. Infine si decide che la si conosceva da sempre». Negli ultimi trent'anni ho spinto questa storia verso la seconda di queste fasi. Sarò felice se questo libro contribuirà a farla avanzare verso la terza. *

*

*

«Ma tu sei matta», dissi. Patricia e Cécile si erano viste l'ultima volta alla fine delle superiori. Era passato più di un decennio e la loro amicizia era andata avanti solo grazie a un regolare scambio epistolare. «Un giorno dobbiamo rivederci», era stato il costante leitmotiv nelle loro lettere. Ma ora le due ragazze avevano ciascuna un marito e una schiera di figli, cinque francesi e quattro inglesi. Ora - avevano deciso - era il momento che le due famiglie passassero insieme le vacanze estive. «Ma chi ci assicura che andremo d'accordo con Michel?» protestai. «Chi ci dice che i ragazzi non si odieranno a prima vista? Rimarremo intrappolati in una fattoria francese per un mese. E potremmo ritrovarci con una terza guerra mondiale minorile.» Ma ormai ci eravamo impegnati. Michel e Cécile avevano già prenotato la fattoria. Si chiamava Le Tomple: al momento non me ne resi conto, ma non avrebbe potuto avere un nome più adatto come punto di partenza verso un futuro del tutto inatteso. Prevedendo quello che sarebbe stato un mio bisogno assolutamente indiscutibile, mi procurai una scorta di tascabili in cui contavo di trovare una via di scampo da nove ragazzini scatenati e una coppia di francesi che non conoscevo meglio di quanto conoscessi il generale de Gaulle. Sta di fatto che il miracolo si verificò. Quanto a Patricia e Cécile, risultò che la loro amicizia era sopravvissuta intatta. Michel e io andammo d'accordo fin dal primo momento. E i bambini, comunicando senza sforzo in uno strano patois anglofrancese di loro invenzione, formarono da subito un'avventurosa e felice tribù. Di tutti i miei libri, trovai il tempo di leggerne uno solo. Si intitolava Le Trésor Maudit; l'autore era Gérard de Sède. E mi aprì la porta a un lavoro che mi avrebbe impegnato tutta la vita.

Agosto 1969: estate nelle Cévennes

I BAMBINI sguazzano strillando e dando la caccia a immaginarie vipere nel ruscello che scorre accanto alla casa. Michel ha accompagnato le signore al villaggio alla ricerca di materie prime per cucinare. Io svolgo la mia funzione di babysitter all'ombra degli ippocastani, sfogliando assonnato il mio libro, Le Trésor Maudit, il tesoro maledetto. È un buon titolo per una lettura estiva disimpegnata. Lentamente, mi accorgo che comincio a sentirmi pungolato dalle domande che il testo pone e lascia senza risposta. Tanto che comincio, anzi, a chiedermi perché alcuni dei quesiti sono stati sollevati, mentre altri, più fondamentali, non sono nemmeno accennati. Il sole manda riflessi abbaglianti dall'acqua dove giocano i bambini. Mi stropiccio gli occhi e scruto la pagina che ho davanti. È la riproduzione di una delle misteriose pergamene che dovrebbero contenere gli indizi relativi al «tesoro maledetto», un tesoro che attende di essere scoperto in qualche luogo dei Pirenei. Fisso vacuamente la pagina, sentendo il sonno che arriva. Improvvisamente mi sveglio di soprassalto. Gli ippocastani sono scomparsi, le voci dei bambini sono sfumate. L'unica cosa di cui ho coscienza è la strana scritta presente sulla pergamena. Improvvisamente riesco a vedere il messaggio. È lì... è semplice... un codice da boy scout. Mi metto a decifrarlo. «Questo tesoro appartiene a...» Ma... è troppo semplice. Perché l'autore del mio tascabile non dice niente in proposito? È strano - ed elettrizzante - che non riveli nessun dettaglio importante. È impossibile che non se ne sia accorto. Allude a un cifrario molto più complesso che aspetta ancora di essere scoperto. Se solo lo ha guardato, deve averlo trovato. Dopotutto, quello che ho scoperto io è soltanto una carota che mi viene fatta pendere davanti al naso: uno stimolo. Qualcosa che di-

ce: «Sei sulla strada giusta. Sì, ci sono dei messaggi nascosti. Continua a cercare». Cerco. Conto le lettere. Provo a leggerle a ritroso, poi verticalmente, poi una sì e una no, poi una ogni tre. Ma il sole è cocente. Sento un grido e qualcosa piomba nell'erba accanto a me. Una boccia. I bambini hanno abbandonato il ruscello e corro il rischio imminente di essere tramortito da un missile della sovreccitata partita di pétanque che ha avuto inizio. «Scusa. Non avevamo visto che stavi lavorando.» Lavorando? Be', hanno ragione. Il mio notes onnipresente è già coperto di appunti scarabocchiati. Abbandono Le Trésor Maudit. Dopotutto sono in vacanza, dovrei essere in vacanza. Ma mi conosco. Non è il genere di puzzle che riuscirò ad abbandonare. Dopo cena sediamo sotto il pergolato di vite sulla piccola terrazza, lo sguardo perso verso la «nostra» pacifica valle deserta. I nove bambini continuano a spendere le loro energie illimitate lungo il ruscello, comunicando in quella straordinaria, ma per loro perfettamente comprensibile, miscela delle due lingue. La conversazione di noi adulti è leggera, disinvolta, e al tempo stesso assorta e attenta. Gli inizi di quella che diventerà una profonda amicizia si stanno sviluppando. Crescerà anno per anno nelle brevi e scarse settimane estive che d'ora in poi trascorreremo insieme. Queste conversazioni dopo cena sono dedicate a ricostruire le vicende degli ultimi anni; esplorare i pensieri, le reazioni, i sentimenti reciproci; formare un magazzino di ricordi a cui attingere fino alle prossime grandes vacances - e forse avviare un veicolo di interessi comuni che potremo inserire nelle lettere che ci scriveremo nel corso dell'inverno. La mia «scoperta» del pomeriggio è un argomento inevitabile. Mostro loro il libro, racconto che ho trovato un messaggio nella pergamena, un messaggio che l'autore non rivela. Cécile è una fanatica di cruciverba, so che questo genere di giochi la attira irresistibilmente. Lei e Michel non impiegano più di me a decifrare il codice, una volta che ho spiegato qual è la chiave. Patricia, come prevedevo, è più interessata alla storia che lo circonda che all'enigma in sé. Faccio una breve sintesi del curioso racconto dell'oro perduto di Rennes-le-Chàteau, così come l'ho appreso dal libro. I bambini tornano dal gioco e si siedono ad ascoltare. Il mio maggiore mi chiede se è «qualcosa di nuovo» che sto preparando per la TV dei ragazzi. È l'unico abbastanza grande da ricordare il serial sulla caccia al tesoro, una storia inventata, che scrissi qualche anno fa. I ragazzini sgranano gli occhi quando rispondo: «No. Questa volta il tesoro sembra esserci davvero». Un tesoro sepolto! Un vero tesoro sepolto - e papà ha risolto uno degli indizi! I bambini esaminano le mie deduzioni, poi si immergono tutti insieme nel libro per vedere che cosa riescono a cavarne. Qualcuno chiede se ho intenzione di scrivere un pro-

gramma sull'argomento. In questa fase non ho certamente in mente niente del genere. Ma l'idea è stata seminata - ed è destinata a germogliare. Per il resto delle vacanze Le Trésor Maudit passa di mano in mano. Tutti sperano di essere i primi a trovare il prossimo indizio. Ma non viene fuori niente. Con la fine dell'estate nelle Cévennes, il viaggio con i nostri amici fino alla loro deliziosa cittadina di Vendóme, sulla Loira, e poi la triste separazione fino all'anno prossimo - tutto mi riporta al mio «ordinario» mondo pressante della televisione. Le Trésor Maudit sta diventando uno dei tanti piccoli ricordi di vacanza. La «realtà» delle sceneggiature e delle scadenze sta per riprendere il sopravvento. Ma... in un angolo della mia mente resta sempre quel libro con la sua strana storia raccontata a metà. Una volta o l'altra dovrò tornarci su.

1970: «Chronicle»

PER più di un anno la storia rimane a fermentare sul fondo della mia mente. Ogni tanto riprendo il libro e mi diverto per una o due ore, tentando di risolvere l'enigma. Ma mi rendo conto sempre più chiaramente che sono necessarie delle ricerche - e piuttosto approfondite - se voglio trovare qualche risposta alle domande che si vanno moltiplicando rapidamente nella mia testa. Poi, mi capita tra le mani un'edizione rilegata del libro. Ora dispongo di fotografie del villaggio, della gente, della campagna, della strana chiesa dove furono ritrovate le pergamene. Questo nuovo materiale visivo e le stesse didascalie delle immagini sollevano tutta una nuova selva di interrogativi. L'idea di un programma televisivo sulla storia comincia a prendere corpo con una certa solidità. Certo, se il mistero potesse trasferirsi dalla sezione «divertimento» della mia vita a quella «lavoro», la cosa mi offrirebbe l'opportunità di effettuare le necessarie ricerche. Non dovrei più sentirmi in colpa quando permetto alla vicenda di occupare del tempo che dovrei impiegare più «produttivamente». Ma finora i miei testi sono stati dedicati al mondo di fantasia delle serie televisive. Questo programma - ancora più improbabile di alcune delle mie più improbabili trame - deve essere trattato in maniera fattuale. Un documentario è l'unico approccio possibile. Chronicle, il programma della BBC, sembrerebbe la collocazione giusta per questa storia. Chronicle si occupa di argomenti di interesse storico e archeologico; indaga su opere attuali ed esplora storie, personaggi ed eventi interessanti del passato. Il responsabile della trasmissione è Paul Johnstone. Fortunatamente, conosco Paul da anni, anche se non abbiamo mai lavorato insieme. Telefono al suo ufficio e prendo un appuntamento «per due chiac-

chiere su un'idea di un possibile programma». Mi rendo conto che molti degli aspetti vagamente sensazionalistici e congetturali della questione non sono adatti alla formula di Chronicle, ma la storia e lo sfondo sembrano di sufficiente interesse. E sono certo che la mia decifrazione del codice «da scolaretti» della pergamena verrebbe visualizzata splendidamente sul piccolo schermo. E così, a metà novembre 1970, mi trovo accomodato nell'ufficio di Paul davanti a una tazza di caffè e una lista di una mezza dozzina di note. I fatti, così come ho bisogno di riferirli in questa fase, sono relativamente semplici. (Il quarto di secolo e più che è passato nel frattempo ha introdotto molti mutamenti in quei «fatti» di base. Al tempo di questo primo colloquio sapevo poco di più di quanto aveva scritto de Sède.) Nel 1891, Bérenger Saunière, giovane prete spiantato del piccolo villaggio francese di Rennes-le-Chàteau, trovò quattro pergamene in un pilastro cavo della sua chiesa. Poco dopo la scoperta fece un viaggio a Parigi per consultare alcuni esperti sul contenuto dei misteriosi documenti. Da quel momento, e per i venticinque anni fino alla sua morte, avvenuta nel 1917, il sacerdote condusse una vita da milionario. Comperò terre, costruì case, rinnovò la sua chiesa, elargì doni eccetera eccetera. Furono le pergamene a condurlo alla scoperta di un tesoro? In qualche modo riuscì a impadronirsene e a sfruttarlo? E - cosa più importante dal punto di vista di un'eventuale puntata di Chronicle - in che cosa poteva consistere il tesoro? Ovviamente, questo è l'aspetto su cui le domande di Paul sono più serrate. Delineo il percorso storico che andrà seguito. Questo fornisce una risposta davvero sorprendente rispetto alla questione della composizione del tesoro. E fornisce il titolo che suggerisco per il programma: Il tesoro perduto di Gerusalemme...? Ma Paul troppe volte è stato seduto alla sua scrivania ad ascoltare teorie altrettanto sorprendenti ma totalmente infondate. Una domanda fondamentale reclama ancora una risposta. Anche ammettendo che si possa trarre un caso storicamente valido dalla teoria che un paesino francese sia il luogo dov'è nascosto un importantissimo tesoro storico, è abbastanza per costruirvi un programma televisivo? Non sempre le teorie si possono trasformare in immagini. E qui interviene il mio pezzo forte. Mostro a Paul una copia di una delle misteriose pergamene riprodotte nel mio ormai consunto tascabile. Il testo è in latino - chiaro e privo di ambiguità - , un passo dal Vangelo di Giovanni. Lo esamina per qualche momento, poi alza lo sguardo su di me con un sorrisetto: «Forza, Hen. Tira fuori il tuo asso nella manica». Gli espongo la semplice chiave del messaggio nascosto e lo lascio a lavorarci su da solo. Un paio di minuti di silenzio mentre Paul traffica con le lettere, poi legge il risultato. À DAGOBERT il ROI ET À SION EST CE TRÉSOR ET

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