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Italian Pages 276 [275] Year 2006
Bernard Lechevalier
Il cervello di Mozart
Bollati Boringhieri
Prima edizione giugno 2006
© 2006 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riserva ti Stampato in Italia dalla Litografia «Il Mettifoglio» di Torino ISBN 88-339-1698-7
L'editore è a disposizione di tutti gli aventi diritto dai quali non fosse stato possibile ottenere l'autorizzazione a pubblicare testi e immagini di loro proprietà, e si dichiara pronto a regolare le intese economiche in base alle norme vigenti in materia di diritto d'autore Titolo originale Le cerveau de Mozart © 2003 Odile Jacob, Paris Traduzione di Giovanni Sias Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri www .bollatiboringhieri.it
Indice
Prefazione di Jean Cambier
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Introduzione
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Ringraziamenti
Il cervello di Mozart r9
r. Un'avventura alla cappella Sistina L'exploit, 19 Di che tipo di memoria si tratta?, 24 I sistemi di memc ria secondo la neuropsicologia cognitiva, 25 Un cervello, due cervelli' nessun cervello, 33 Una «revisione» fruttuosa del concetto di «memc ria di lavoro», 41 Il repertorio e il suo servitore: la memoria procedura le, 42 Musica e memoria: esiste una memoria musicale?, 47 Ritorni all'episodio del Miserere di Allegri-Bai, 60
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2.
Un orecchio sensibile all'ottavo di tono Percepire le altezze, riconoscere i contorni, 66 Dal monocorde di Pita gora alle tecnologie del Cyceron, 76 Disavventure di un maestro di cori e perplessità del neuropsicologo, 82 L'orecchio: un analizzatore di frequen ze, 84 La querelle dell'orecchio assoluto, 92 Stonati o intonati?, 9· Dall'orecchio di tutti all'orecchio di Mozart: i quartetti dedicati a Fran: Joseph Haydn, roo
ro6
3. Si può parlare di «intelligenza musicale»? Unicità o diversità dell'intelligenza, ro7 Mozart è un esempio di intel ligenza dissociata?, I I 5 Personalità e intelligenza, u9 L'intelligenz: musicale, r 24 L'intelligenza in punta di dita: l'interprete, r 28
8 r36
Indice
4. Vedere, percepire, concepire la musica Vedere la musica, 136 Percepire la musica, 148 Concepire la musica, l 56
r66
Ilpiaceremusicale, 153
5. La tromba minacciosa e il violino di burro Una strana fobia, 166 Fobia della tromba o epilessia musicogenica?, 168 Breve storia dei timbri e della loro percezione, 170 Ali' ascolto dei timbri, 175
r85
6. Il Kochel 1, i bambini prodigio musicisti e lo sviluppo della musica nel bambino Kèichel 1 o Kochel 2, qual è il primogenito?, 185 I dieci anni di Mozart, 190 I bambini prodigio musicisti, 201 Lo sviluppo della percezione della musica nel bambino, 208
2r3
7. Il cervello di Mozart Un approccio neuropsicologico al genio di Mozart, 213 Il cerveilo e la musica, 227 Il cervello dei musicisti, 234 Il cervello di Mozart, 245
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Appendice
Le malattie e la morte di Mozart
La malattia di Schèinlein-Henoch nel bambino e neil'adulto, 255 La morte di Mozart, 256 La (o le) causa(e) della morte di Mozart, 258 263
Biblio?,ra/ia
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Indice analitico
Prefazione
Come la parola dà forma ed espressione alle idee, così la music riflette e manifesta gli stati d'animo. Nell'assumere questa funzior comunicativa parole e musica si rendono autonome, per sottendere rappresentazioni la cui condivisione costituisce le fondamenta < una civiltà. Questi linguaggi sono, l'uno e l'altro, il prodotto dell'a tività della mente umana. Esistono e hanno significato unicamente i rapporto alla mente stessa. La distruzione di una regione limitata dell'emisfero cerebrale sinist1 di un individuo destrimano fa perdere al soggetto che la subisce l'm del linguaggio articolato. Costatando questa relazione fra una specif ca lesione del cervello e la disorganizzazione di una funzione del mente, Paul Broca, nel r86r, fonda la neuropsicologia. Per oltre u secolo la disciplina ha vissuto una lenta evoluzione, pur beneficiand dello sviluppo accelerato delle scienze neurologiche. I suoi progres avvenivano a gradi, grazie alle scoperte dei clinici che, alla scuola< Broca, erano attenti a cogliere gli insegnamenti derivanti dalla natur: Fu in questo contesto che si giunse a osservare come la perdita d linguaggio orale (afasia) non sia necessariamente accompagnata da u deterioramento delle capacità musicali, e come l'elaborazione del musica possa essere compromessa, e anche annullata, in assenza e qualsiasi genere di afasia. Da allora l'amusia beneficiò di uno statut autonomo, ma la varietà delle componenti di questa funzione e la sca sità di documenti anatomoclinici lasciarono sussistere numerosi inte rogativi in merito alla neuropsicologia della musica. I due ultimi decenni sono stati caratterizzati dal miracolo prodott dalle metodiche di neuroimaging funzionale: ormai è possibile osse
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Prefazione
vare passo dopo passo la vita del cervello in azione. Quindi la ricerca, senza abbandonare l'ambito che concerne le lesioni associate a un' amusia, si interessa ai processi di lavoro adottati dal cervello per rispondere a tali lesioni. Inoltre, non essendo lesive, queste tecniche di neuroimaging consentono l'esplorazione del «cervello musicale» in soggetti volontari sani, che siano musicisti o del tutto privi di educazione in questo campo. Autore, nel 1985, di una monografia sui disturbi di origine neurologica nella percezione della musica, Bernard Lechevalier è stato un pioniere in materia, che ha poi apportato contributi continui allo sviluppo di questa nuova disciplina, fino ai progressi più recenti. La sua vocazione riunisce in sé il cuore e la ragione. La ragione, perché come professore di neurologia, neuropsicologo di formazione, ha creato a Caen una scuola la cui reputazione, in questa disciplina, varca le nostre frontiere. Il cuore, perché come organista titolare della chiesa di Saint-Pierre ha la musica nel sangue. A Parigi, da studente, vi si era dedicato, letteralmente, mani e piedi, dopo aver sistemato il suo organo in un appartamento a due piani. Con la stessa finalità ha costruito la sua casa di Caen. Fedele allo strumento, non è però schiavo del suo repertorio. Ragion per cui si è votato al culto di Mozart, del quale conosce l'opera «dall'interno» in tutta la sua estensione, e del quale ha compreso la personalità attraverso la corrispondenza e la testimonianza dei suoi contemporanei. Come Flaubert non fu «l'idiota di famiglia», così Wolfgang Amadeus non fu il buffone inveterato dai comportamenti ritardati di bambino maleducato che certi «ammiratori» sedicenti illuminati hanno voluto rappresentare. Avvezzo alle sfaccettature multiple di tutte le personalità, il neurologo tempera il significato delle fantasie dell'enfant prodige alla luce della propria esperienza clinica. Con analoga professionalità, l'organista tratta l'arte del compositore e si basa sulle ultime acquisizioni della scienza per immaginare il funzionamento di un cervello eccezionale. All'insegna di Mozart, il volume propone una sorta di iniziazione alla neuropsicologia della musica. Il lettore scopre le proprietà «fuori della norma» della memoria musicale, che rappresentano una sfida per i teorici dei «sistemi di memoria». Apprende che la tonalità, la melodia, il timbro, il ritmo sono elaborati separatamente in regioni distinte dell'uno o dell'altro emisfero cerebrale, ma che la funzione musicale
Prefazione
coordina queste attività impegnando il cervello nel suo insieme. Cot stata che, se l'aspetto ereditario è innegabile, l'esposizione alla mus ca fin dalla prima infanzia e un'educazione musicale molto precoc hanno un'influenza decisiva sulla disposizione alla musica, che si trat dell'orecchio assoluto, della memoria musicale o di tutte le altre forre di apprendimento che si avvalgono della plasticità del cervello imm: turo. Se possiamo rappresentarci il modo in cui si costruisce un cervelJ incline alla musica, e immaginare come può funzionare, una domat da rimane in sospeso: perché di Mozart ce n'è uno solo? La doppi competenza dell'autore lo autorizza a cercare una risposta di natm fisiologica. La transizione da artista a genio potrà corrispondere a ur mutazione nella dinamica che regola l'attivazione delle reti neurali: creatore che infrange le regole ha scoperto un modo non ortodosso e usare il proprio cervello. JEAN CAMBIER
Membro dell'Accademia nazionale di medicir
Introduzione
Niente corpo, niente cervello. Ha avuto almeno una bara? Non affatto certo. Il sacco in tela di lino favoriva, a quanto sembra, la d composizione e il cimitero di San Marco 1 consentiva di erigere toml individuali soltanto per i grandi del mondo. Senza monumento fun bre, non trascinerà mai nessuno all'inferno per troppe stonature. corpo di Mozart appartiene alla terra. È ovunque e in nessun luog Si ha allora il diritto di speculare sul cervello del compositore più e lebre che l'umanità abbia prodotto? È sacrilego, diranno i fanatici, cinico, dichiareranno scandalizzati i moralisti, è surrealista, soster chi usa termini alla moda, è inutile, borbotteranno i difficili. In che modo un progetto simile ha potuto nascere e concretizzar: Inizialmente l'idea era quella di scrivere una sorta di manuale a u delle famiglie sullo sviluppo musicale del bambino, ma qual era il m todo migliore? Si trattava di un problema che avrebbe richiesto UJ lunga pratica scientifica. Poi il progetto assunse la forma transitoria trattato di neuropsicologia della musica. Austero e di difficile presa s pubblico. Fu allora che si presentò l'immagine di due personagi Mozart aveva suonato l'organo a Strasburgo - la chiesa di San To1 maso conserva devotamente le tastiere accarezzate dalle sue dita ritorno da Parigi-, ma un altro San Tommaso, a Lipsia, aveva avut come Kantor, Johann Sebastian Bach, il maestro di tutti gli organis che io avrei tanto voluto vedere mentre eseguiva le sue temibili sor te in trio. Di comune accordo con il mio anfitrione, abbiamo scel di affrontare i differenti aspetti della neuropsicologia della musica 1
Per dettagli sul cimitero di San Marco a Vienna si veda Hirschmann,
2001.
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Introduzione
partire da uno dei suoi personaggi più emblematici: il più affascinante e il più famoso dei due. Devo riconoscere che Catherine Meyer, a nome delle edizioni Odile Jacob, è stata la fatina buona di questo progetto un po' barocco. La ringrazio per la fiducia, la pazienza e la gentilezza. Il nostro obiettivo non era una nuova biografia di Mozart, ma piuttosto quello di ricordare alcuni aspetti della sua storia, della sua ricca personalità e soprattutto dell'espressione del suo genio, cercando dianalizzare le spiegazioni che può offrirci la neuropsicologia della musica. Questa scienza, che ha ora pieno diritto di cittadinanza, è nata alla fine del XIX secolo, in un'epoca in cui l'arte della musica era parte della cultura diffusa allo stesso modo della letteratura, cosa che forse oggi non è più cosl. A partire dalle osservazioni mediche di pazienti colpiti da danni cerebrali, l'attenzione dei clinici fu attirata dalle curiose dissociazioni fra la sparizione del linguaggio e la conservazione delle capacità musicali. Oggi siamo in grado di analizzare, nei soggetti sani, il modo in cui si percepisce, si ricorda e si interpreta la musica. È stato evidente fin da subito che l'arte musicale poteva costituire un terreno di studi privilegiato per questa nuova disciplina: la neuropsicologia cognitiva, che ambisce a studiare per l'appunto i meccanismi del pensiero. In quello che definirei «il primo cognitivismo», la relazione fra processi del pensiero e cervello era deliberatamente esclusa, né veniva preso in considerazione il ruolo della vita affettiva nei processi mentali, atteggiamento che portò all'elaborazione di alcuni schemi di una certa utilità, ma molto lontani dalla realtà della psiche umana. Questa doppia lacuna è oggi colmata grazie allo straordinario sviluppo del neuroimaging funzionale, che permette di «visualizzare il cervello al lavoro», e grazie anche a una concezione più d'insieme della mente umana, che tende a integrare comportamento e vita affettiva. Neppure va dimenticato lo sforzo straordinario delle neuroscienze, al quale abbiamo avuto la fortuna di prendere parte, e in particolare i risultati dei lavori in un nuovo campo che possiamo denominare «neuropsicobiologia». Questa nuova scienza utilizza i metodi più sofisticati della biologia molecolare, senza però trascurare l'apporto dell'evoluzionismo darwiniano né quello della psicoanalisi. E una delle conclusioni più importanti che ci viene da questa gigantesca «sinfonia scientifica» è che il cervello di ciascuno di noi è unico e diverso da qualsiasi altro, frutto di tutte le esperienze vissute dalla vita fetale sino all'età adulta.
Ringraziamenti
Desidero ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato ne. realizzazione di quest'opera: Francis Eustache e Claire Lechevali( che hanno riletto il manoscritto offrendomi preziosi consigli, Je: Cambier per la prefazione e le pertinenti annotazioni, Hélène Syber per la documentazione sul clavicembalo oculare, la signora Loriod-M< siaen per le informazioni su Olivier Messiaen, Bruno Hurault de Ligi per il suo contributo scientifico all'appendice, Marie-Ève Dumas p i frutti della sua esperienza sulla voce, Vietar Alboukrek per averi introdotto alla musica del Medio Oriente, Yves Hellegouarch per documentazione sui timbri, Robert Weddle per le informazioni s Miserere di Allegri, Sophie Houtteville per le traduzioni dal tedes antico, Bianca Lechevalier per il sostegno e la pazienza. I miei ringraziamenti vanno anche a Laure Léveillé, direttrice de. biblioteca dell'École normale supérieure de la rue d'Ulm di Parigi p le sue ricerche su Rochlitz, e alle persone che hanno aiutato le mie cerche nella Biblioteca municipale di Caen, in quelle del Conservat rio della regione e dell'Università di Caen, nella Biblioteca nazion~ del dipartimento di musica e nella Grande Bibliothèque de France, ( Michel Lechevalier e Philippe Conejero per la loro assistenza tecnic Testimonio tutta la mia riconoscenza alle edizioni Odile J acob p la cura profusa nella realizzazione di questo libro, e in modo speci~ a Catherine Meyer e Gaelle Fontaine che ne hanno seguito l'elaboi zione fin dall'inizio, e al mio amico Édouard Zarifian che ha sosten to senza riserve il progetto.
Il cervello di Mozart
In memoria diJean e Madeleine Lechevalie
I.
Un'avventura alla Cappella Sistina
L'exploit L' r r aprile 1770, a mezzogiorno, Leopold Mozart e suo figlie Wolfgang arrivano a Roma sotto lo scroscio di un temporale, fradic di pioggia e a stomaco vuoto. Passata Firenze hanno trovato soltante locande «le più ripugnanti» e niente da mangiare, se non uova e broc coli, a causa del digiuno della settimana santa. Si tratta del quarte grande viaggio di un ragazzo di quattordici anni che ha passato otte rinni della sua vita in questo modo. Né Maria Anna, soprannominati Nannerl, la sorella, né Anna Maria, la madre, sono con loro. È mer coledl santo, uno dei due giorni dell'anno, insieme al venerdl succes sivo, in cui i cantori della Cappella Sistina eseguono il celebre Miserer1 di Allegri. Padre e figlio svoltano per la basilica di San Pietro e riesco no quindi a introdursi sotto le volte affrescate da Michelangelo. Trt giorni dopo Leopold scriverà alla moglie: «Forse hai già sentito parla re del celebre Miserere di Roma, tenuto in tale stima che ai musicist della Cappella è vietato, pena la scomunica, far uscire la benché mini ma parte di questo brano, copiarlo o trasmetterlo a chiunque. Ebbe ne, noi ce l'abbiamo. Wolfgang l'ha trascritto a memoria e l'avremme inviato a Salisburgo con questa lettera se non dovessimo essere presen ti alla sua esecuzione; il modo in cui viene eseguito è ancora più im portante della composizione stessa, quindi lo porteremo a casa noi. È uno dei segreti di Roma e non vogliamo affidarlo a mani estranee» Leopold non fornisce altri dettagli sull'evento ma, qualche giorne più tardi, in una nuova lettera da Napoli, annuncia: «Il papa in per sona è al corrente che Wolfgang ha trascritto il Miserere. Non c'è nul
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Capitolo primo
la da temere, anzi, la cosa gli ha reso grande onore, come saprai presto». Leopold raccomanda ad Anna Maria di far leggere a tutti la sua lettera, in particolare al principe vescovo di Salisburgo. Al suo ritorno a Roma, il cardinale Pallavicini consegnerà a Mozart il decreto papale di Clemente XIV che lo nomina «cavaliere dello Speron d'Oro», la stessa decorazione ricevuta da Gluck, anche se, al contrario di quest'ultimo, non si farà mai chiamare cavaliere. Stando a Nissen, il secondo marito di Costanza (la vedova di Mozart), W olfgang avrebbe ascoltato il Miserere una seconda volta (il venerdì santo) per verificare di non aver fatto errori. Il cervello di Mozart aveva registrato circa un terzo di un compact disc. Questo «episodio della Cappella Sistina» trova il suo compimento nello stratagemma sfruttato dai Mozart padre e figlio per introdursi nell'entourage di San Pietro: il giovane musicista fu scambiato per un gentiluomo tedesco appartenente alla casata di un principe di Sassonia, allora residente in Vaticano, e il padre per il suo maggiordomo. Ben lungi dallo smentire questo equivoco, i nostri due eroi riuscirono, come avventurieri, a superare le file di guardie svizzere, accomodarsi alla tavola di Clemente XIV, che il giovedì santo divideva la sua cena con i preti poveri di Roma, quindi avvicinare il cardinale Pallavicini a cui erano stati raccomandati. L'episodio del Miserere di Allegri, se si conosce l'opera e le difficoltà di memorizzazione che implica, per giunta nel caso di un musicista di quattordici anni, merita davvero di essere considerato un exploit, con un significato che aderisce in pieno alla definizione che ne dà il Dizionario storico della lingua francese: «azione rimarchevole che oltrepassa i limiti ordinari umani»; un exploit presuppone passione, ma non può verificarsi senza conoscenza né senza padronanza, meno che mai senza ispirazione, essendo l'oggetto cui si mira, di primo acchito, inaccessibile o invincibile. È possibile applicare tutto questo a Mozart, al quale tutte le attività concernenti la musica sembravano cosi naturali, cosi facili, al punto di riconoscerlo lui stesso: «Sono, per così dire, immerso nella musica»? Non si sarà tentati di pensare che non si trattasse di un exploit, dato che per lui fare musica era come respirare? Le prove dell'eccezionale memoria musicale di Mozart non mancano. 1 1 I neuropsicologi hanno ravvisato una memoria episodica non autobiografica che può essere difficile da distinguere dalla memoria semantica. Secondo Piolino (2000, p. 48): «In seno alla memoria non autobiografica, gli aspetti episodici si applicano alle conoscenze di persone o di
Un 'avventura alla Cappella Sistina
2.
Daines Barrington, lo scienziato inglese che nel 1765 lo esaminò pei verificarne la precocità, nella sua Lettera a un membro della Royal So c:iety di Londra ha fornito una descrizione delle improvvisazioni del l'cnfant prodige e raccontato come questi avesse ripreso e terminate ticduta stante una fuga lasciata incompiuta daJohann Christian Bach di cui aveva perfettamente memorizzato il tema e gli sviluppi. Qual che anno più tardi, fratello e sorella si scambiavano nella loro corri spondenza, o in quella con il padre, copie di brani che avevano ascol tnto in concerto e che avevano particolarmente apprezzato. Not bisogna dimenticare che anche Nannerl, maggiore di suo fratello d dnque anni, era un'eccellente musicista. Da Bologna, Wolfgang le invia la trascrizione delle prodezze vocali della bella e famosa Bastar della, di cui loda l'«incredibile altezza di voce» e l'«ugola molto ele gante». Quanto a Nannerl, spedisce al fratello dei minuetti di Michae l Iaydn ascoltati in concerto, che con espressione incantevole chiam: i suoi «minuetti rubati», ma si limita alla melodia aggiungendo un bas so di sua invenzione. Del resto è noto che a Mozart capiterà spesso d non scrivere la parte per piano dei concerti che doveva eseguire, sem bra per paura che gli venisse rubata: non sarà piuttosto perché sempli cemente non ne aveva il tempo? Il suo modo di comporre denota una memoria musicale fuori de comune poiché, dopo aver concepito mentalmente l'intera opera, noi doveva far altro che riportarla per iscritto. Mozart non sottovalutav i suoi doni davvero eccezionali, ma non smise mai di perfezionarsi rn: mestiere di compositore, a partire dal fatto di studiare tutta la musi ca scritta prima di lui. Se compl il viaggio a Roma era certo per far~ conoscere dai piccoli e riconoscere dai grandi, cosl come per impre gnarsi della musica italiana, e anche per recarsi in visita, a Bologna al più grande contrappuntista dell'epoca, padre Martini, al quale 1, legava un sentimento quasi filiale e al quale chiederà lezioni di scri1 tura musicale. Il frate resterà soddisfatto del suo allievo e sei anr dopo gli scriverà: «Sono felice che dal giorno in cui ho avuto il piace re di ascoltarvi al clavicembalo a Bologna abbiate fatto tali progres~ nella composizione». Mozart è poi una delle due persone che si son viste offrire dal papa la partitura del famoso Miserere, proprietà esck avvenimenti pubblici associati al loro contesto spazio-temporale di acquisizione, mentre gli spetti semantici corrispondono alle informazioni e agli avvenimenti pubblici indipendenti d contesto specifico di codificazione e alle conoscenze contestuali, totalmente decontestualizzate
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Capitolo primo
siva della Cappella Sistina e sola opera che ci sia pervenuta del corista papale Gregorio Allegri (1582-1662). Che cos'ha questo celebre pezzo di cosl temibile per la memoria? Innanzitutto la lunghezza (quindici minuti), poi una certa monotonia dovuta allo stile funebre imposto dal testo del salmo 51, salmo di pentimento: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato», 2 ma soprattutto la scrittura a nove voci per due cori che alternano versetti separati da una salmodia in canto piano dei bassi e dei tenori. Oggi alcuni sostengono che ricordarsi questo Miserere non sia poi così difficile, dato che è tutto uguale: se costoro si prendessero la briga di conoscere la storia di quest'opera, di leggerne umilmente la partitura e di ascoltarne le registrazioni, si renderebbero conto che non è così semplice. Una domanda sorge immediata: che cosa ha ascoltato (e ricordato) Mozart di preciso? Perché questo famoso Miserere ha effettivamente tutta una storia, che ci racconta Graham O'Reilly, direttore dell'ensemble William Byrd, il quale ha inciso il salmo di recente. Allegri compose il suo Miserere verso il 1638; nel q14, Tommaso Bai, maestro del coro di San Pietro a Roma, ne compose un altro che gli somiglia molto, pur essendo differente, in quanto nel primo le armonie in falsobordone (cioè nota contro nota, a tre parti) sono identiche da un versetto all'altro, mentre in quello di Bai sono diverse e variano a seconda del senso delle parole. Nell'impossibilità di scegliere, venne deciso che alla Cappella Sistina durante l'ufficio delle tenebre, nei giorni santi, sarebbe stata cantata una sintesi dei due, che si potrebbe chiamare il Miserere di Allegri-Bai. Questa consuetudine è prevalsa fino al 1870, quando il prestigioso coro che si veniva ad ascoltare da tutta Europa fu sciolto. Al tempo di Mozart era un vero spettacolo: i ceri si spegnevano progressivamente, tranne il più alto che simbolizzava il Cristo; dopo il canto di un'antifona, l'oscurità era totale e il silenzio assoluto. Si levavano allora, pianissimo, le note cristalline del Miserere. Sembra che la biblioteca del Vaticano possegga due esemplari della partitura. Sempre secondo Graham O'Reilly, il secondo è stato redatto nel xrx secolo dall'ultimo direttore del coro della Sistina, Domenico Mustafà, con indicazioni molto precise sul modo d'interpretare tutte le fioriture aggiunte dalla tradizione. Mozart ha asco!2 Miserere, salmo 51, in La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna r 995. [N .d. T.]
Un'avventura alla Cappella Sistina
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tata la versione di Allegri stricto sensu o la Allegri-Bai? Si fatica a irr maginare che abbia trascritto a memoria un'opera che ripete sempr le medesime note. È dunque più probabile che abbia ascoltato in du riprese la forma ben più complessa di Bai e Allegri, che comprend venti versetti, dei quali i pari sono semplicemente salmodiati, ma dispari sono talvolta a quattro voci, in Allegri, talvolta a cinque voc in Bai, e tutti differenti gli uni dagli altri. Nell'ultimo si sentono I nove voci simultaneamente, in un impressionante diminuendo progre: sivo. Di tanto in tanto, sull'armonia si staglia la linea purissima dell voci di soprano, che eseguono arabeschi inattesi ad altezze vertigine se, capaci di evocare la voce degli angeli, tanto più che i cantori eran dei castrati. Mozart doveva ricordare queste fioriture, chiamate abbe, limenti, perché, secondo de Wyzewa e de Saint-Foix (1936 e 1986 cantò lui stesso in pubblico a Roma il famoso Miserere accompagnar dosi con il clavicembalo. Difficilmente si resta insensibili a una tal musica, che alcuni hanno accusato di essere più sensuale che spiritualt Gli autori, in modo manifesto, hanno cercato di commuovere, di tn sportare il loro auditorio verso il sublime e l'estasi. È cosl che Moza1 ha ascoltato questo salmo? Lo si immagina, piuttosto, attento a ci~ scuna articolazione, a ogni inflessione delle voci di cui cercava di car tare i contorni, il concatenamento degli accordi, cosa che richiede un finezza uditiva e un'attenzione poco comuni. Non bisogna diment care che Wolfgang conosceva molto bene il testo latino del Miserer( che apparteneva alla sua cultura, testo che deve aver guidato la su memoria. È stato solo un ascolto «tecnico»? NÒn è concepibile eh l'emozione suscitata dall'opera, il modo in cui era rappresentata, I qualità delle voci, l'ambiente mistico non abbiano favorito l'impres dell'adolescente. Occorre anche tener presente che era un ragazzo ir traprendente e vivace. Voleva mostrare ciò di cui era capace, dunqu doveva riuscire nella sua trascrizione. A quanto si sa, nessuno ha mi avuto in mano il prezioso manoscritto uscito dalla sua penna. Che fin ha fatto? Giace in fondo a qualche biblioteca? Alcuni giorni più tard riferendo alla moglie l'exploit del figlio, Leopold scriverà che ora: sarebbe potuto far ascoltare il famoso Miserere a Salisburgo. Per la ere naca, mentre soggiornava a Bologna, nel luglio 1770, sotto la guida e padre Martini, Mozart scriverà un altro Miserere (K 85), ma second de Wyzewa e de Saint-Foix (ibid.) si tratta di un'opera originale, pe alto, tenore e basso con accompagnamento d'organo.
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Capitolo primo
Lasciamo San Pietro e Roma con un aneddoto narrato da Wolfgang alla sorella: «Nella basilica di San Pietro ho avuto l'onore di baciare i piedi del santo, ma siccome ho la sfortuna di essere troppo piccolo, han· no dovuto sollevare me, Wolfgang Mozart, il burlone, alla sua altezza».
Di che tipo di memoria si tratta? L'impresa del Miserere è difficilmente spiegabile nei termini della neuropsicologia classica. In quell'episodio si sono succedute tre operazioni mentali: una codificazione «fuori norma» di informazioni musicali, che oltrepassa di molto la semplice percezione; l'immagazzinamento di tali informazioni sotto forma di rappresentazione per alcune ore; infine, la loro restituzione, si potrebbe dire, ad integrum, fase preliminare per lesecuzione. Queste tre operazioni saranno le stesse per chiunque desideri ricordare una semplice canzonetta e trascriverla a mente, eccezion fatta per la complessità e la difficoltà. Espliciti atti volontari di Mozart, la ritenzione in memoria e l'incredibile restituzione di tutto il Miserere di Allegri inducono a chiedersi in quale tipo di memoria si possa classificare questa impresa. In apparenza, ma solo in apparenza, si tratta di memoria a lungo termine; tuttavia, l'immagazzinamento necessita di una collaborazione delle memorie a breve e a lungo termine. Sorge allora una difficoltà: come stabilire, in quest'exploit, la frontiera tra breve e lungo termine? Si resta sorpresi per l'importanza del materiale immagazzinato, per la durata prolungata dell'immagazzinamento e soprattutto per la fedeltà, senza un errore, del ricordo. Una soluzione semplice sarebbe quella di correlare questa operazione mentale alla memoria episodica, di cui sarebbe una forma particolare. Tuttavia, l'esattezza assoluta del ricordo è inusuale in questa categoria di memoria a lungo termine; il richiamo del ricordo è spesso approssimativo. e talvolta anche abbastanza vago; al contrario, lo si può datare con certezza e localizzare con precisione nello spazio, caratteristica fondamentale della memoria episodica. In realtà, in un'operazione intellettuale come l'impresa della Cappella Sistina, elementi di memoria procedurale e di memoria semantica intervengono verosimilmente in maniera congiunta, ed è quindi difficile stabilire una linea di demarcazione.
Un'avventura alla Cappella Sistina
Non è dunque così evidente in che modo quest'impresa mozartian~ possa essere classificata secondo i modelli della memoria umana attual mente ammessi. Per questo motivo occorre ora riprenderli a grand linee, per tentare una spiegazione di questo episodio fuori del comu ne e verificare se esista una memoria musicale specifica.
I sistemi di memoria secondo la neuropsicologia cognitiva A seguito del riscontro di possibili dissociazioni patologiche, le qua
li fanno sl che in uno stesso paziente il danno di certe categorie mne siche e l'integrità di altre coesistano, la memoria, un tempo conside rata una funzione unitaria, è stata progressivamente suddivisa in pii sottosistemi. La conoscenza di una tale memoria «plurale» ci consen tirà di tentare di rispondere alla domanda chiave per il nostro obiet tivo: la memoria musicale è assimilabile agli altri tipi di memoria che ora considereremo, o è invece completamente differente, e costituisce un territorio a sé stante, una memoria specifica? Non sarebbe l'unicc caso: la memoria olfattiva, ad esempio, risponde a modalità di fun zionamento della memoria assolutamente particolari. WilliamJames, nel suo Principi di psicologia (1890), oppose la memo ria primaria alla memoria propriamente detta o memoria secondaria «Conoscenza di un evento o di un oggetto al quale in un certo momen to abbiamo cessato di pensare e che ritorna arricchito di una coscienz: aggiuntiva, che lo denota come l'oggetto di un pensiero o di un'espe rienza anteriore». Questa dualità è l'abbozzo di ciò che poi si chia merà memoria a breve termine e memoria a lungo termine. Atkinsot e Shiffrin (1968) ne aggiungeranno una terza che chiameranno «re gistro sensoriale»: l'informazione sensoriale vi rimane solo qualch centesimo di secondo prima di essere ricevuta dalla memoria a brevi termine. La memoria a breve termine
Il caso drammatico del celebre paziente H. M. è una dimostrazio ne di dissociazione fra il danno alla memoria a lungo termine e la con servazione della memoria a breve termine (il paziente poteva ricorda re da cinque a dieci minuti di informazioni). Allo scopo di migliorar'
Capitolo primo
la sua epilessia generalizzata resistente a tutti i trattamenti medici conosciuti, il dottor Scoville tentò, in questo bobinatore di motori del1' età di ventinove anni, l'exeresi bilaterale e simmetrica dei lobi temporali interni, cioè dei due ippocampi (ma anche dei nodi agmidalici e di parte delle regioni paraippocampali). Sul piano dell'epilessia, il numero delle crisi diminul notevolmente. In compenso, il paziente si rivelò incapace di acquisire nuovi ricordi (amnesia «anterograda») e di dire che giorno fosse, e inoltre aveva un'amnesia (detta in questo caso «retrograda») che ricopriva un periodo di cinque anni. Ogni volta che la sua psicologa, Brenda Milner, lo esaminava, e questo per decenni, le domandava chi lei fosse e perché veniva a trovarlo. E non migliorò mai. Per contro, l'intelligenza, il linguaggio, le funzioni sensoriali, la memoria procedurale delle abilità motorie erano preservate, cosl come la memoria a breve termine: il paziente poteva ricordare dai quattro ai cinque minuti di informazioni. Una tale dissociazione, breve termine versus lungo termine, era già stata segnalata da Delay (Delay e Brion, 1954) e da Barbizet (1959) in un tipo di amnesia relativamente frequente per via della sua origine rinvenibile nell'alcolismo e nelle carenze vitaminiche associate: la sindrome di Korsakoff, che studi recenti hanno confermato (Lechevalier e altri, 2000). Progressivamente, il concetto di memoria di lavoro è diventato il modello preferito per la memoria a breve termine. Si tratta di una delle acquisizioni neuropsicologiche più feconde degli ultimi vent'anni (Baddeley e Hitch, 1974). La memoria di lavoro, grazie alle informazioni che riceve, permette contemporaneamente la presenza del registro sensoriale e della memoria a lungo termine, «il mantenimento e la manipolazione dell'informazione durante attività cognitive di comprensione, di ragionamento, di apprendimento» (Baddeley, 1986). La capacità della memoria di lavoro è limitata, e corrisponde alla quantità di informazioni che il soggetto può restituire immediatamente sotto una forma non modificata di lettere, di cifre o di parole. La sua durata non supererà il minuto o due, poiché il numero di particolari ricordati, denominato span, non può essere superiore a sette-nove. Il passaggio verso la memoria a lungo termine è dunque molto rapido. In un primo momento Atkinson e Schiffrin (1968) ritenevano che il breve termine fosse una tappa obbligata verso il lungo termine. In realtà la distinzione fra breve termine e lungo termine non poggia solo su una questione di durata, ma si fonda anche sulla differenza di funziona-
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mento dei due sistemi. Questo appare chiaro quando si fa codificare a soggetto un numero di item eccedenti le possibilità del breve termine dopo sette o otto item, inizia a codificare secondo i metodi del lungi termine, facendo ricorso al recency e/fect, ai raggruppamenti semanti ci o anche semplicemente a mezzi mnemotecnici;.al contrario, nell: memoria a breve termine, la codificazione avviene in modo immuta bile, identico. Le memorie a breve e a lungo termine non sarebbero m sistema unico a due piani, bensì due sistemi indipendenti. Quindi l memoria di lavoro è una specie di« scatola vocale provvisoria» di capa cità limitata che permette di conservare nella memoria delle informa zioni per un lasso di tempo breve mentre ci si dedica a un'altra attivi tà mentale. È costituita da un «sistema centrale esecutivo», localizzat• nella corteccia frontale esterna, e da più sottosistemi subordinati: i loop articolatorio subvocale, che autorizza la ripetizione sotto form di linguaggio interiore delle informazioni da conservare in memoria il «taccuino visuo-spaziale», che permette di rappresentarsi gli ogget ti o le parole memorizzate. Si studia per mezzo di prove di doppi• compito, come «ritenere in memoria delle parole oppure delle terne d lettere, poi contare all'incontrario il più velocemente possibile per die ci-trenta secondi, quindi ripetere le parole». Disturbata in coloro eh presentano lesioni del lobo frontale, la memoria di lavoro lo è altret tanto nei malati di Alzheimer. Nel campo della musica questa concezione mi è sempre sembrat inadeguata, o almeno troppo restrittiva. Prendiamo come esempi, l'improvvisazione. Quando uno strumentista classico o di jazz improv visa, deve ritenere a memoria il tema e poi, secondo un progetto d massima velocemente elaborato, sottometterlo a una serie di varia zioni, per concludere, se occorre, con la sua riproposizione. E durar te tutto ciò non deve ovviamente dimenticarselo. Secondo me, pe mantenere in questo modo il tema nella coscienza, malgrado tutto qm che vi si sovrappone, si fa ricorso a una memoria di lavoro più vicin a quella a lungo termine che non a quella a breve termine, definibil «memoria di lavoro a lungo termine». Un altro esempio: l'ascolto dell musica è inseparabile dal tempo; per avere una rappresentazione de. l'opera occorrerà immagazzinare via via ciò che si ascolta, senza cl: menticare quanto si è ascoltato due o tre minuti prima. Dove finisc il breve termine e dove comincia, in questo caso, il lungo termine?
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La memoria a lungo termine
Graf e Schacter (1985) l'hanno suddivisa in due parti: la memoria esplicita e la memoria implicita. · La memoria esplicita o dichiarativa (Squire, 1992) è incaricata del richiamo cosciente di ricordi verbalizzabili che è possibile raccontare. Il suo contenuto è variabile: immagini, concetti, parole, cifre, frammenti di discorso musicale. La patologia ha reso note circostanze in cui il danno della memoria dichiarativa era solo parziale, permettendo di descriverne due categorie. La memoria episodica, che ci permette di navigare nel passato e che comprende principalmente la memoria autobiografica,3 attraverso la quale possiamo ricordarci dove e quando un evento personale (o di cui abbiamo avuto personalmente conoscenza) si è prodotto, e la memoria semantica, che comprende le conoscenze che abbiamo appreso in modo indipendente dai riferimenti spazio-temporali personali. Per quanto concerne la musica, occorre tener conto della grande varietà della memoria semantica: l'identificazione dell'opera ascoltata costituisce la parte principale della memoria semantica musicale, e a questa stessa memoria vanno riferiti anche i dati teorici relativi a un'opera, la sua storia e la conoscenza della sua struttura; il repertorio, se appartiene senza dubbio alla memoria semantica, viene però costituito dalla memoria procedurale, di cui parleremo in seguito. Le sorprendenti capacità dei giocatori professionisti di scacchi sono spesso usate come esempio di utilizzo della memoria semantica: il giocatore conosce tutte le regole e i termini tecnici del gioco perché li ha acquisiti attraverso l'apprendimento e giocando li utilizza in modo implicito; ha una visione insieme generale e dettagliata della scacchiera e può prevedere visivamente lo svolgimento della partita; ha in memoria lo sviluppo di numerose partite celebri, di cui è in grado, all' occorrenza, di ritrovare le applicazioni. Schacter (1996) definisce la memoria semantica come «la vasta rete di associazioni e di concetti che sottende alla nostra conoscenza generale del mondo». Riporta l'osservazione effettuata su un giocatore di golf esperto, colpito dalla malattia di Alzheimer, che dimostra le possibili dissociazioni nei disturbi del3 L'episodio della cappella Sistina è stato fedelmente ricostruito dalla «corrispondenza». La maggioranza dei riferimenti citati concernenti la memoria si trovano in Eustache e altri, 1996.
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la memoria. A questo proposito, vale la pena notare che, per sorpren· dente che possa apparire al profano, vi sono molte più affinità tra h musica e il golf che non tra il golf e il gioco degli scacchi: infatti, com< la musica, il golf necessita di una perfezione tecnica corporea compa rabile a quella degli strumentisti. Il giocatore di golf di Schacter ricor dava perfettamente le regole e il modo di giocare e riuscì a compien un percorso senza difficoltà, ma, appena terminato, chiese di effettua· re il colpo d'inizio: voleva ricominciare, non ricordandosi più di avei appena finito una partita. Questo esempio illustra la dissociazione fn i maggiori disturbi della memoria episodica, spesso colpita nella malat tiadi Alzheimer, mentre la memoria semantica è relativamente mene danneggiata. Vi sono comunque osservazioni, poco numerose ma si gnificative, di «demenza semantica» dovuta a lesioni anteriori dei lob temporali, che alterano in modo elettivo la memoria delle conoscenzt generali ma conservano la memoria episodica. Tali dissociazioni, se condo i neuropsicologi, confermano l'autonomia della memoria seman tica. Una delle nostre pazienti, M. B., ispettrice delle imposte, era sta ta colpita in modo caricaturale da questa dissociazione: era capace d fornire verbalmente l'elenco dei paesi che l'ambulanza le aveva fatte attraversare lungo i quaranta chilometri che separavano la sua abitazio ne dall'ospedale; in compenso, aveva perduto tutte le nozioni relativt alle caratteristiche degli animali, non poteva né descriverli né disegnar li: aveva dimenticato, ad esempio, che cosa fosse una mosca, un uccel lo, un cane. La memoria episodica è legata a un preciso dispositivo anatomico l'ippocampo e la corteccia parieto-temporale, mentre la corteccia fron tale interviene nella memoria autobiografica. La parte anteriore dei lob frontali, soprattutto a sinistra, è implicata nella memoria semantica A dire il vero, le memorie autobiografica e semantica presentane spesso dei legami fra loro. Se so che Mozart ha composto il Flauto ma gico, è perché l'ho appreso o letto nei libri, ma non sono in grado d dire «dove» né «quando», cosl che questo ricordo appartiene senzi dubbio alla memoria semantica. Se ora desidero ricordarmi dell'as sassinio del presidente Kennedy, so che avvenne nel 1963 perché abi tavamo ancora a Boulogne e il nostro primogenito era nato da poco Ho il ricordo di una chiamata telefonica: una vecchia amica, costerna ta, ci aveva comunicato la notizia, un raggio di sole attraversava qua si orizzontalmente le tende e disegnava un cerchio di luce sul comò
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Recentemente ho riletto che era il 22 novembre. Questo ricordo autobiografico, chiamato «ricordo-flash», è ora indissociabile dal ricordo della memoria semantica. La memoria non dichiarativa o implicita si contrappone alla memoria degli avvenimenti. È incentrata sulla memoria procedurale, ma implica molti altri elementi riferibili a varie strutture cerebrali. Il solo punto in comune di questo insieme è che tutte le memorie implicite sono non dichiarative: in altri termini, non possono dare luogo a un ricordo verbalizzabile che dimostri la loro esistenza, ma producono la facilitazione inconsapevole di un compito in seguito alla presentazione di una o più informazioni. Se la facilitazione riguarda delle abilità, allora si parla di memoria procedurale. Quando, a distanza di un anno dall'ultima volta, calziamo di nuovo gli sci, non abbiamo perduto né i riflessi (memoria procedurale motoria), né il ricordo della pianta delle piste (memoria visuo-spaziale), né il modo di procurarsi i biglietti per lo skilift (memoria procedurale cognitiva). L'origine della memoria oggi definita «procedurale» risale a Descartes, ma è stata messa in evidenza da Bergson. In una lettera del 1° aprile 1640 a padre Mersenne, Descartes scriveva: «Un suonatore di liuto ha una parte della propria memoria nelle mani, perché la facilità di disporre le dita nei diversi modi, che ha acquisito per abitudine, lo aiuta a ricordarsi di quei passaggi per l'esecuzione dei quali le deve disporre in quel certo modo [... ] oltre a questa memoria che dipende dal corpo, ne riconosco ancora un'altra [... ] intellettuale che dipende dalla sola anima». Tre secoli dopo Descartes, Henri Bergson in Materia e memoria (19 39) stabilisce la distinzione fra abitudine e memoria, indicando, al capitolo 2, le sue tre proposizioni fondamentali che cito: «1) Il passato sopravvive sotto due forme distinte: 1° nei meccanismi motori; 2° nei ricordi indipendenti[ ... ] 2) Il riconoscimento di un oggetto presente avviene attraverso dei movimenti quando deriva dall'oggetto; attraverso delle rappresentazioni quando emana dal soggetto[ ... ] 3) Si passa, per gradi impercettibili, dai ricordi dislocati nel tempo ai movimenti che ne modellano l'azione imminente o possibile nello spazio, ma non ai ricordi stessi». Subito dopo aver enunciato queste tre proposizioni, il filosofo ne intraprende la verifica e nel paragrafo seguente tratta: «Le due forme della memoria». Assume come esempio, divenuto celebre, la lezione imparata a memoria, che illustra perfetta-
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mente le due forme della memoria. L'apprendimento della lezione è un'abitudine, un'azione piuttosto che una rappresentazione. Se, pet contro, mi rappresento le differenti tappe dell'apprendimento, allora si tratta di tanti eventi successivi della mia vita: questa è una rappresentazione. È la memoria pura che immagina, mentre l'altra ripete. Una frase dello stesso capitolo merita tutta la nostra attenzione pet quanto concerne la memoria musicale, perché mostra la difficoltà in cui ci si trova nel tracciare una frontiera tra memoria procedurale ed episodica: «Di queste due memorie, di cui l'una immagina e l'altra ripete, la seconda può supplire alla prima e sovente darne l'illusione>) (ibid., p. 87). La memoria-abitudine è strettamente connessa al funzionamento cerebrale e motorio, qualità che non ha, necessariamente, la memoria pura. Proprio in questo differiscono i due filosofi. Quel che Descartes chiama anima è per lui una realtà materiale, cioè i fluidi pneumatici situati nei ventricoli cerebrali; al contrario, Bergson è spiritualista: la memoria pura non è necessariamente legata al funzionamento del cervello, e le lesioni del cervello alterano il richiamo dei ricordi ma non i ricordi: : vero è che l'illustre professore di clinica medica fece propria la teori della localizzazione frontale dell'intelligenza. Molti argomenti appai tati dalla clinica neurologica o dalla patologia sperimentale gli darar no ragione. Si tratta, per l'esattezza, dei lobi prefrontali situati davan1 alla circonvoluzione frontale ascendente (o area 4 di Brodmann). Fin dal 1870 l'esame del caso di Phineas Gage, pubblicato da Hai low due anni prima (e ripreso da Damasio nel 1994), attirava l'atter zione sulle modificazioni della personalità causate da un grave tral matismo frontale, per dimostrare, in un certo senso al rovescio, ciò cui poteva servire la parte anteriore del cervello. Durante l'estate dt 1848, i lobi frontali di questo eccellente capo squadra, un posatore e binari delle ferrovie del Vermont, furono attraversati dal basso vers l'alto da una barramina scagliata accidentalmente dall'esplosione e una carica di dinamite. Durante i dodici anni della sua sopravvivenz~ i suoi amici assistettero a un completo cambiamento di Gage. L'indiJ ferenza, l'indecisione, la grossolanità, l'ostinazione nell'errore li indl cevano a dire: «Gage non è più lui». Altri esempi tratti dalla patolc gia sono forniti dalle atrofie frontali degenerative, il cui prototipo è 1 malattia di Pick che si traduce in disturbi del comportamento, in att vità stereotipate, in un restringimento dei campi d'interesse e in un stato di eccitazione idiota (la moria frontale); per contro la motricit~ la memoria e il linguaggio sono poco colpiti, almeno all'inizio. I tumoi o gli infarti frontali possono generare un quadro abbastanza simile. Cos: come sovente accade nei casi medici, la descrizione dei sintomi def: citari raggruppati sotto il nome di «sindrome frontale» fu precedent a quella della funzione del lobo frontale, il cui merito spetta a Lurijf medico e professore all'Istituto di psicologia di Mosca (1902-1977). Certo, Alexandr Romanovic Lurija non è l'unico ricercatore ad ave studiato le funzioni della corteccia frontale. Vi ha largamente contr: buito anche Denny Brown, negli Stati Uniti, con lavori sugli animal: in Francia, François Lhermitte (Lecours e Lhermitte, 1979) eJean Carr bier (1998) hanno arricchito la semiologia con la descrizione di nuo\ segni clinici, ma l'opera dello psicologo sovietico fu cosl ricca e ir novativa che non è possibile negargli il primato in questo studio a ct 1
Su Lurija si veda leccellente articolo di Derouesné, I 994.
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ha consacrato la vita. Basandosi su osservazioni meticolose, condotte in particolare attraverso la risoluzione di problemi aritmetici elementari (Lurija e Tsvetkova, 1967), dimostrò che una delle principali funzioni del lobo frontale era quella di evitare i comportamenti automatici da cui il soggetto non poteva distogliersi e che chiamò «cicli di attività riflesse» (Lurija, 1965). Per forza di cose influenzato dalla scuola pavloviana e dai riflessi condizionati, superò di gran lunga una psicologia puramente sperimentale. Era un ricercatore eclettico, con una formazione in psicologia e anche in psicoanalisi, per quanto quest'ultima non la esercitasse più. Di certo si rese conto dei limiti e dei rischi delle teorie dei suoi maestri, riservando un posto importante al linguaggio, alle influenze genetiche e sociologiche. Vale inoltre la pena di sottolineare che, nel mondo politico della Russia sovietica, e pure da marxista convinto quel era, descrisse le funzioni delle aree cerebrali garanti del rifiuto e della libertà. Dire «no» significa scegliere, ed è una capacità primordiale delle funzioni intellettive, ma non si deve credere che il lobo frontale abbia unicamente un ruolo di inibizione o, se si preferisce, di «self-control». Al contrario, oggi risulta che, fra le sue molteplici funzioni, la più importante sia probabilmente la funzione di esecuzione e di pianificazione dell'azione. Lurija ha postulato che per ogni attività complessa i lobi frontali applichino una strategia in quattro fasi: l'analisi dei dati, la programmazione di un piano, l'esecuzione del programma che ne consegue, il confronto dei risultati con i dati iniziali. Si potrebbero aggiungere l'inibizione di eventuali cause di distrazione, la programmazione del gesto nel tempo e nello spazio, l'adattamento della risposta alla situazione in caso di cambiamento improvviso, senza dimenticare ciò che attiene alla memoria a breve termine: l'amministratore centrale della memoria di lavoro è stato infatti localizzato con certezza nella corteccia frontale. In seguito, ai lavori di Lurija sono stati apportati degli «affinamenti», in particolare da Shallice e dalla sua scuola (Burgess e Shallice, 1996), che proposero un'organizzazione delle sequenze dell'azione in «schemi» gerarchici, il cui primo livello comprende le risposte automatiche alle situazioni familiari, il secondo livello concerne le attività semiautomatiche, il terzo, o sistema supervisore, è di competenza soprattutto dei lobi frontali e permetterebbe di affrontare nuove situazioni scegliendo una strategia piuttosto che un'altra. Avendo costatato che, malgrado quozienti d'intelligenza spesso elevati ed esiti nella
Si può parlare di «intelligenza musicale»?
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norma in molti test, i pazienti colpiti da sindrome frontale potevano essere molto a disagio nel «modo di organizzare la propria vita familiare e professionale», Garnier e i suoi collaboratori (Garnier e altri, 1998) hanno dimostrato l'interesse dei test a orientamento ecologico e soprattutto di quei test che utilizzano la definizione di una strategia, ad esempio far descrivere al paziente il tragitto da casa all'ospedale e viceversa. La volontà, l'attenzione, il mantenimento della finalità, la considerazione e la comparazione di tutti gli elementi di un insieme, la valutazione della loro rispettiva importanza, la possibilità di stabilire delle relazioni fra queste unità, l'inibizione delle interferenze o, se si preferisce, delle cause di distrazione, l'evitare gli automatismi, sono tutte qualità della vita psichica dell'essere umano che competono ai lobi frontali. Non sorprenderà che la corteccia frontale sia unita per mezzo di vie associative a tutte le regioni della corteccia cerebrale. Lo stesso avviene per alcune strutture sottocorticali, come il nucleo dorso-mediale del talamo e la parte alta del tronco cerebrale. Al contrario, i nuclei grigi centrali, chiamati striato e pallido, non inviano efferenze dirette verso la corteccia cerebrale, in quanto fanno parte di circuiti sottocorticali. I ,a letteratura neuropsicologica odierna tiene conto del fatto che, pur dipendendo strettamente dai lobi frontali, l'azione è connessa anche ad altre strutture: si preferisce quindi impiegare la definizione di «funzioni esecutive» che non quella di «funzioni frontali» e di «sindrome disesecutiva» invece di «sindrome frontale». Questa nuova terminologia ha inoltre il merito di non orientare in maniera troppo esclusiva lo studio neuropsicologico dell'azione verso i suoi riferimenti anatomici. Le funzioni esecutive sono i processi cognitivi che organizzano movimenti, idee, azioni semplici in comportamenti complessi diretti verso un obiettivo (Lezack, 1982, 1995). Dal punto di vista cognitivo, i tre processi psicologici del lobo frontale sono la pianificazione, la flessibilità mentale e il controllo delle interferenze. Un'azione deve rispondere a un obiettivo, necessita di una determinazione e di un'organizzazione sequenziale delle diverse tappe necessarie, una sorta di piano d'esecuzione; una volta compiuta l'azione, il risultato sarà comparato allo scopo perseguito. Sono queste le differenti fasi della pianificazione. Quanto alla flessibilità, la si può riassumere come la possibilità di mutare un comportamento in relazione a una circo-
Capitolo terzo
stanza imprevista; in maniera più approfondita, è l'adattamento temporale dell'azione e le sue eventuali modificazioni in caso di costrizione; implica, se occorre, la possibilità di spostare l'attenzione focalizzata. La resistenza alle interferenze causate da stimoli esterni non pertinenti è uno degli aspetti più conosciuti della funzione inibitoria del lobo frontale. Nel corso di certe atrofie degenerative della corteccia frontale, il paziente è frequentemente «disinibito», non potendo distaccarsi da stimoli esterni di vario tipo che divengono il tema del suo discorso. Non c'è azione senza che sia stabilito un programma motorio, programma il cui supporto anatomico è costituito dall'elaborazione di una rete neuronale. Decety e Grezes (1998), dell'Università di Lione, hanno dimostrato che la semplice idea di un'azione comporta un'attivazione della corteccia cerebrale identica a quella della stessa azione realmente eseguita. La corteccia frontale comprende una parte dorsolaterale e un parte orbito-laterale. Per Grafman (1995), la corteccia frontale sarebbe la sede dei MKU (managerial knowledge units, unità di conoscenza gestionale), che corrispondono alla rappresentazione di piani, schemi, temi e modelli mentali. Si può ipotizzare che siano supportati da un'infinità di reti neuronali. La corteccia frontale dorsolaterale presiederebbe alle funzioni di pianificazione e alla memoria di lavoro, mentre dalla corteccia orbito-laterale dipenderebbe la funzione di flessibilità mentale. Nella corteccia frontale intervengono molti neurotrasmettitori, fra i quali la dopamina svolge un ruolo primario nelle funzioni esecutive. Occorre considerare la creazione artistica come una successione di azioni elaborate secondo dei programmi. È quindi verosimile che richieda l'intervento non solo della corteccia frontale, ma di tutto l'insieme del cervello. Nella creazione musicale, essendo un'organizzazione di spazi sonori, si presume che siano implicate alcune aree corticali preposte all'udito, aree uditive primarie e secondarie, alcune aree visive e altre concernenti la rappresentazione dello spazio e le attività costruttive (prassie), che sono collegate alla corteccia parietale. Abbiamo considerato soltanto le funzioni cognitive nel senso comune del termine, ma occorre tenere conto delle motivazioni e dell'affettività, discutere i loro legami con le strutture limbiche, porci di fronte alla difficile questione del rapporto dell'opera con il suo creatore. Il problema del ruolo rispettivo dei due emisferi cerebrali sarà trattato nell'ultimo capitolo.
Si può parlare di «intelligenza musicale»?
Si può immaginare che delle competenze derivanti da un lungo apprendimento, da un esercizio della professione e da una motivazione durevole chiamata «passione» possano conferire all'intelligenza un profilo particolare, e dunque rendere ipertrofici alcuni fattori specifici, o fattori S. Queste competenze utilizzano gli strumenti generali dell'intelligenza (fattore G), oppure fanno ricorso a processi specifici con una logica e un funzionamento propri? Nella prima ipotesi, i buoni esiti nel campo della competenza procedono di pari passo al grado d'intelligenza generale, nella seconda ipotesi saranno possibili delle dissociazioni. Questo porta a interrogarsi sulla natura dei cosiddetti fattori S: sono solo il risultato di un'abilità in una campo particolare? O una struttura specializzata nella quale possono esprimersi le qualità dell'intelligenza generale, cosl come potrebbe accadere in molti altri campi?
Mozart è un esempio di intelligenza dissociata? Se l'intelligenza è allo stesso tempo un tutt'uno e un insieme costituito di più elementi, si può immaginare che l'importanza rispettiva di questi ultimi non sia la stessa in tutti gli individui. Si può parlare, in questo caso, di sviluppo disarmonico dell'intelligenza? Per un crudele paradosso, Mozart, l'incarnazione del genio musicale, il maestro assoluto dell'armonia, non è sfuggito al giudizio dei suoi simili per quanto concerne l'intelligenza, il comportamento, il modo di gestire gli affari. Nel suo pregevole Mozart ou la, voix du comique, Jean-Victor Hocquard (r999) si spinge a porre il problema di una dicotomia fra il genio che espresse nella sua arte e l'uomo ordinario che fu nella vita. Il musicista più dotato e più criticato
Possiamo chiederci per quale motivo l'autore del Fla,uto magico sia stato oggetto di giudizi tanto duri. Molti artisti o scienziati che hanno scritto il proprio nome nella storia dell'umanità, come Michelangelo, Shakespeare, Wagner, Caravaggio, Cajkovskij, Verlaine, Ravel, Proust, Einstein, hanno avuto le loro zone d'ombra o un profilo psicologico particolare senza per questo essere stati giudicati cosl severamente. Viene da domandarsi se l'estrema facilità di Mozart e la sua carriera di bambino prodigio fuori del comune non l'abbiano segna-
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Capitolo terzo
to, agli occhi dei contemporanei, dell'esigenza di una perfezione talmente elevata, assoluta, quasi soprannaturale, che restarono delusi di non ritrovarla anche sotto i tratti della sua personalità. In ultima analisi, la domanda è: che cosa avrebbero voluto che fosse? Un uomo di società, un conversatore eloquente, un adulatore, un uomo di corte, un carrierista abile e ossequiato, un ricco notabile, insomma, quell'immagine di : giunti in soccorso del Prometeo di Skrjabin ad Anversa nel 1988, co esiti, dice Kelkel che era presente, tanto fecondi quanto opinabili. L'udito colorato
Il fenomeno, in inglese denominato coloured-hearing, appartien alle sinestesie. Il prefisso greco syn significa «con» e la radice aisthesi è correlata a una sensazione percepita. Una sinestesia (o sinestesi) l'associazione di una sensazione a una sensazione aggiuntiva attinent a nna diversa modalità sensoriale. Questa la definizione che ne dà Alai: Rey (1998): «Fenomeno per cui una sensazione obiettivamente pet cepita si accompagna a sensazioni supplementari, in una regione de corpo differente da quella che è stata eccitata o in un differente ambi to sensoriale». Sono state riferite sinestesie olfattivo-visive e gustative somatoestesiche. «Quando succhio una caramella alla menta, la sensa zione mi scende lungo il braccio fino alla punta delle dita e percepisci la forma, il peso, la grana, la temperatura di un oggetto» (Cambiet 1998). La sensazione uditiva può «evocare» una sensazione visiva colorata o meno. Questo fenomeno, tanto curioso quanto raro, pm essere osservato sia dopo una lesione cerebrale (di cui conosciamo UJ solo caso, oggetto di una relazione alla Società francese di neurologi nel novembre 1996), sia nel contesto di una rarissima peculiarità gene tica, sia, infine, come ricorrenza sporadica, che è la forma più fre quente della quale qui tratteremo. Una curiosa anomalia sensoriale è stata descritta da Paulescu (Pau lescu e altri, 1995) in sei soggetti di sesso femminile, esenti da malat tie conclamate, in cui l'ascolto di alcune parole innescava l'allucina
Capitolo quarto
zione visiva della loro immagine grafica in lettere maiuscole e a colori. Invece la lettura e l'ascolto di suoni diversi dal linguaggio non provocavano alcuna sinestesia. Nel 1987, Baron-Cohen aveva impiegato il termine di «lessico cromatico» a proposito di un caso riportato. Come si può immaginare, un fenomeno così straordinario ha dato luogo a molte indagini, le più interessanti delle quali riguardano le attivazioni del flusso sanguigno cerebrale indotte nei sinesteti dalle sinestesie. Queste ultime non provocano attivazioni nelle aree visive primarie V 1, né nelle aree V 2 e V4, ma nelle aree corticali temporali superiore e mediana, implicate nel linguaggio, e nelle aree temporali posteriore, inferiore e parieto-occipitale (fig. 4, p. 39). Dal lato destro i sinesteti attivano la corteccia insulare, temporale superiore e prefrontale. Si può immaginare che in questi soggetti esista una rete particolare che dalle aree di percezione delle immagini delle parole vada alle aree di rappresentazione visiva delle immagini delle parole e dei colori. L'area 3 7 sinistra, situata nella parte inferiore della superficie esterna del lobo temporale (o PIT, temporale inferiore posteriore), è implicata in questa funzione. Invece le aree visive propriamente dette non sono attivate da tali sinestesie; sono anzi sottoattivate e, per così dire, cortocircuitate da questa attivazione straordinaria. Il paziente, che abbiamo potuto personalmente osservare, insegnante universitario in pensione di ottant'anni, ebbe un infarto cerebrale emorragico nella zona dell'arteria cerebrale posteriore sinistra che lo privò del campo visivo destro (emianopsia) e della possibilità di leggere (alessia); l'evoluzione fu positiva, ma dopo parecchi mesi comparvero delle sinestesie. Quando andava a fare la spesa, il nome dell'oggetto che voleva comprare, e che si ricordava ripetendolo, gli appariva sotto forma di allucinazione visiva in lettere maiuscole fluorescenti di colore giallo-verde. Nel negozio vedeva questo nome riprodotto in centinaia di esemplari; ugualmente, in libreria, tutti i libri sullo scaffale recavano sul dorso il titolo Pensieri, di Pascal, l'opera che voleva acquistare. La lettura o la musica, che praticava, non hanno mai scatenato in lui delle sinestesie. Il neuroimaging ha mostrato che l'infarto, centrato sulla scissura calcarina, interessava la superficie interna del lobo occipitale, toccando il lobo linguale e la maggior parte del lobo fusiforme. In termini di aree citoarchitettoniche, colpiva le aree 17, 18, 19 e l'area 37, a sinistra. Quest'ultima è considerata come un probabile centro della rappresentazione visiva delle lettere e delle parole.
Vedere, percepire, concepire la musica
La questione delle sinestesie visive evocate dalla percezione dei sue ni, musicali e non, è molto più complessa. Infatti, è molto frequent che la musica generi nell'ascoltatore delle rappresentazioni sensoriaL in particolare delle immagini visive come scenari o paesaggi, oppur anche d~lle impressioni come di qualcosa di tagliente, di spigoloso, e astrale. E stato riportato di alcuni compositori che avevano delle sim stesie, Skrjabin e Olivier Messiaen, ad esempio. Ma è appropriato, i questi casi, parlare di sinestesie, dato che i fenomeni sensoriali sper: mentati erano fugaci, variabili e di recente comparizione? Al contr2 rio, le vere sinestesie sono «vissute» dal soggetto sempre nello stess modo sin dall'infanzia, e gli diventano familiari. Per questo Paulesc (Paulescu e altri, 1995) distingue fra sinestesie autentiche e descr: zioni metaforiche: nelle prime non manca mai che si creda in manie ra assoluta al loro essere reali, proprio come per le allucinazioni (def: nite percezioni senza oggetto). Cita un paziente di Lurija che dall'et di quattro anni, e forse anche prima, aveva sempre avuto il medesim fenomeno visivo: la percezione di uno stesso colore quando ascoltav un suono specifico. Henson (1977) descrive delle sinestesie non vis ve contestuali a esperienze musicali: «Molte sinestesie sono cutanee diverse parestesie sono percepite dietro il collo, discendenti lungo rachide e talvolta in tutto il tronco e gli arti. Lo stimolo è in gener un brano musicale, il cui carico emotivo è importante sia in se stess sia per via di associazioni». Quanto qui descritto appartiene alle man festazioni soggettive dell'emozione, in particolare quelle erotiche. Al di là dell'uso di pure metafore verbali, l'associazione di colori musica è stata tentata spesso da compositori e interpreti. Nel suo Prc meteo, poema del fuoco, Skrjabin utilizzò una tastiera luminosa i ct effetti erano annotati (in note musicali) sul primo pentagramma, int tolato Luce, della partitura, che inizia con le raccomandazioni lentl brumoso, lasciando presagire squarci di colore vivido. Secondo Kelk< (1999), l'opera ottenne un'accoglienza trionfale alla Queen's Hal nel l 9 l 3, ma nonostante gli sforzi del grande direttore d'orchestra Kou: sevitsky non riuscl mai a imporsi, forse a causa delle difficoltà tecn che delle proiezioni luminose. Questa accoglienza non arrestò lo slar cio del compositore, il quale aderl a un progetto, interrotto dalla su scomparsa drammatica e prematura, di musica totale che includeva colori e gli odori. La concezione di una musica letteralmente univers(,, le non evoca forse la teoria delle sfere e dell'armonia del mondo deg antichi greci?
Capitolo quarto
Dopo la fine del XIX secolo parecchi compositori si sono interessati alle associazioni di suoni e colori. Ringraziamo Yvonne Loriod-Messiaen per averci fornito a voce le seguenti informazioni: Messiaen non era un vero e proprio sinesteta, però aveva delle immagini interne di colori legate a certi suoni musicali e a certi accordi. Nell'a,ttesa di uno dei volumi non ancora usciti del Traité des rythmes, che sal'à dedicato ai rapporti dei suoni musicali con il colore, possiamo consultare Entretiens avec Messiaen di Claude Samuel (1967). Nella prima conversazione (ibid., p. 26), a Claude Samuel che gli domandava: «Per lei, musicista, la presenza del colore nella natura è cosl essenziale come quella del suono?», Messiaen diede questa risposta: «L'uno e l'altro sono legati. Pur senza essere affetto da sinopsia (come lo era il mio amico pittore Blanc-Gatti, che soffriva di un disturbo ai nervi ottici e acustici tale da permettergli di vedere realmente dei colori e delle forme quando sentiva la musica), nel momento in cui ascolto, o leggo una partitura ascoltandola interiormente, vedo dei colori che corrispondono ai suoni roteare, muoversi, mescolarsi, li vedo fare in contemporanea le stesse cose che fanno i suoni». La partitura dei Colori della città celeste reca delle indicazioni in merito ai colori, riprese dall' Apocalisse, che dovrebbero ispirare gli interpreti in base alle indicazioni del direttore d'orchestra. Non abbiamo altre informazioni sulle sinestesie del pittore Charles Blanc-Gatti. 3 Veramente, al di fuori delle sinestesie visive delle parole, che sono state molto studiate, gli altri tipi di «visione colorata» lo sono stati molto meno. Abbiamo scoperto per caso un'opera di Ferdinand Suarez de Mendoza dedicata all'udito colorato che, nel 1899, data della sua seconda edizione, riportava otto casi originali e analizzava diciassette casi pubblicati. Di questi, sei si devono al grande psichiatra svizzero Eugène Bleuler, il cui nome restò legato alla descrizione della schizofrenia. Suarez parla di «pseudofotoestesie» (anziché di sinestesie) di origine uditiva, ottica, tattile e psichica. Riferisce le osservazioni compiute su cinque pazienti, in cui l'ascolto di una certa parola o di una certa lettera faceva comparire nel campo visivo la stessa parola o lettera a colori. Molti di questi soggetti, e altri la cui analisi era nota, avevano visioni colorate all'ascolto di certi suoni musicali. È 3 Alcune opere di questo pittore devono essere esposte a Petichet dove Messiaen d'estate soggiornava e componeva (informazione fornita da Yvonne Loriot-Messiaen).
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notevole il fatto che tutte le descrizioni del fenomeno effettuate d recente figurino già in quest'opera. Vedere e comprendere le partiture
Come la calligrafia costituisce un'arte raffinata per presentare UJ messaggio o anche solamente la propria firma, così una pagina di musi ca è bella in sé e per sé. Le immagini dei gruppi di note, le loro line ascendenti e discendenti, talvolta ripetitive, possono già lasciare intui re la produzione sonora che prospettano. Non a tutti è dato di comprendere mentalmente ciò che si legge i uno spartito, ma è una capacità che si acquisisce, grazie all'apprendi mento del solfeggio e dei dettati musicali. Non è così straordinari come può sembrare a chi non pratica la musica. Leggere la musica i modo spedito come si legge un libro suscita sempre sorpresa in chi seduto vicino, e magari qualche sguardo furtivo. Per un musicista a lenato, la lettura di uno spartito produce la rappresentazione sonor mentale dell'opera; i direttori d'orchestra sono probabilmente i mus: cisti capaci al massimo grado di cogliere mentalmente tutte le combin~ zioni sonore possibili, e anche di localizzare questi suoni immaginai nello spazio come se dirigessero cento musicisti; quanto al compos: tore, scrivendo le note sul pentagramma, sente a livello purament mentale non solo la melodia e i ritmi, ma anche gli accordi, le sfum~ ture, i timbri, gli effetti orchestrali. A ben riflettere, linguaggio ve1 bale e musica, due territori così differenti, hanno almeno un' analogh due canali sensoriali distinti, uditivo e visivo, permettono al messa~ gio verbale come al materiale musicale di accedere alla percezione. L lettura di un testo verbale come la lettura di un testo musicale cor sentono al soggetto di recepire interiormente tanto il messaggio ve1 bale (o il testo letterario) quanto l'opera musicale, ma esiste una diJ ferenza quantitativa: la lettura della musica è riservata a un picco! numero di privilegiati che hanno avuto il coraggio d'impararla, restar clone largamente ricompensati. Invece, per un incolto, il testo mus cale non è che un significante senza significato, vede la musica ma no la comprende. Come abbiamo già avuto modo di rimarcare, la musica non è un lir guaggio stricto sensu, ma un «quasi linguaggio». Trasmette emozior individuali e collettive, ma non messaggi espliciti. Certo, utilizza un
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Capitolo quarto
specifico sistema di notazione grafica simbolica, ma può anche farne a meno: le musiche tradizionali sono spesso soltanto orali e diversi compositori di musica leggera molto conosciuti non sanno leggere né scrivere le note. Nella notazione musicale attualmente in uso si distinguono, da una parte, dei simboli primari che hanno morfologie grafiche differenti in base alla durata e alle diverse posizioni sul pentagramma a seconda dell'altezza tonale e, dall'altra, degli attributi per l'interpretazione come le sfumature, annotate per mezzo di segni speciali e di indicazioni scritte per esteso, il più sovente in italiano: moderato cantabile, andante con moto, allegretto, presto. L'inizio del xx secolo ha visto la comparsa di molte indicazioni redatte dall'autore nella P.ropria lingua, che sono giunte anche ad assumere, sotto la penna di Éric Satie, delle pieghe comiche se non decisamente surrealiste, come nel caso della rappresentazione musicale di una piovra che si pesta i piedi, con commenti esplicativi! Occorre aggiungere la misura, che si può leggere all'inizio del brano in forma di frazione numerica che suddivide la battuta, e una serie di simboli come chiavi, diesis, bemolli, riprese, code, legature, note staccate, silenzi e sospiri. La scrittura musicale, dal punto di vista formale, è dunque molto più complessa della scrittura verbale, poiché comprende, oltre alle note, cifre, indicazioni scritte in lettere e numerosi segni specifici che appartengono alla categoria dei pittogrammi. A uno dei nostri pazienti, clarinettista di professione, destrimano, dell'età di cinquant'anni, divenuto amusico in seguito a un danno vascolare cerebrale temporale posteriore sinistro, era impossibile la lettura delle note, mentre gli attributi dell'interpretazione, a eccezione delle indicazioni verbali, riusciva a leggerli relativamente meglio. Questa dissociazione pose il problema dell'esistenza di molte differenti localizzazioni corticali della lettura musicale. Il nostro paziente riconosceva immediatamente all'ascolto le arie musicali conosciute e ne cantava altre su richiesta, senza errori ma senza riuscire a cantarle dicendo il nome delle note. Invece «davanti a uno spartito musicale aveva l'aria smarrita ed era incapace di solfeggiare, nemmeno Al chiaro di luna». Solfeggio e scrittura musicale gli erano impossibili (Lechevalier, Eustache e Rossa, 1985). L'esame del linguaggio verbale orale non mostrava alcuna anomalia né nella comprensione né nell'espressione; invece il paziente non poteva leggere né scrivere. L'alessia era quindi verbale e musicale. Si riscontrava un'amputazione della metà
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destra del campo visivo (emianopsia), ben spiegabile per via della loca lizzazione a sinistra della lesione temporale. Da alcune delle nostre riflessioni dedicate nel 1985 (ibid.) alle ales sie musicali, eravamo giunti alla conclusione che le osservazioni rela tive ad alessia musicale senza alcuna alessia verbale dovessero esseri valutate con qualche riserva in quanto erano molto datate. Di recen te Midorikawa e Kawamura (2000) di Tokyo hanno esposto un caso d agrafia con alessia musicale pur non in presenza di amusia ricettiva ni espressiva, né di alcuna traccia di afasia, in una pianista di cinquan tatre anni, nella quale la lesione incriminata occupava la parte supe riore del lobo parietale sinistro. Al contrario, esistono molti casi che dimostrano la presenza di ales sia insieme musicale e verbale, tutti in rapporto a lesioni dell'emisfe ro cerebrale sinistro, principalmente situate nella parte posteriore de lobo temporale al confine fra lobi temporali, parietali e occipitali Questi pazienti, benché non possano più leggere né scrivere la musi ca, sono però in grado di percepirla normalmente e di cantarla; non 1 cosl per il linguaggio verbale, la cui espressione e comprensione soni alterate, dando luogo a forme diverse di afasia. Secondo Kawamur: (Kawamura, Midorikawa e Kezuka, 2000), la funzione di scrittura 1 di lettura della musica occuperebbe il giro angolare sinistro (chiamat< anche piega curva). Ricordiamo che questa regione della cortecci: cerebrale ha un ruolo preponderante nella scrittura, nella lettura e ne calcolo. Lo stesso anno, Cohen (Cohen e altri, 2000) ha dimostrato i ruolo della regione temporale posteriore e inferiore sinistra nel rico nascimento visivo della forma delle lettere, ma non parla della form: dei simboli musicali. Per concludere in merito a questo problema ancora irrisolto, sape re cioè se esista o meno un centro specifico della lettura e della scrit tura musicale o se invece sia lo stesso del linguaggio verbale scritto ricordiamo le osservazioni compiute su alcuni musicisti famosi dive nuti afasici conservando però intatte la percezione, la produzione, 1: scrittura e la lettura musicale. Sono relative a musicisti colpiti da afa sia di Wernicke, in conseguenza a un infarto silviano posteriore sini stro, che furono in grado proseguire la carriera di compositore (Lurija 1965), di direttore d'orchestra (Basso e Capitani, 1985), di pianist: (Assal, 1973). In tutti questi pazienti esisteva un'alessia verbale, m: la lettura musicale si era conservata.
Capitolo quarto
Il celebre organistaJean Langlais, caso riferito da Signoret (Signoret e altri, 1987), colpito da afasia di Wernicke in seguito a un infarto tempora-parietale sinistro, conservò intatte le proprie capacità musicali e continuò a comporre e a dare concerti nel corso dei quali interpretava a memoria tutte le opere; secondo uno dei suoi colleghi, aveva tuttavia rinunciato a includere quelle di J. S. Bach. È importante notare che questo compositore era cieco e utilizzava l'alfabeto braille, che è comune alla musica e al linguaggio. A causa della malattia aveva perso l'uso del braille verbale (agrafia verbale), ma conservato l'uso del braille musicale. C'è da supporre che nei musicisti professionisti la rappresentazione delle funzioni musicali sia verosimilmente più estesa che nei non musicisti, e che l'emisfero destro possa svolgere un ruolo importante nella lettura e nella scrittura della musica. Sono molti i compositori che ancora oggi compongono usando fogli da musica, matita e gomma. Anche se bistrattano la tonalità, come dalla fine del XIX secolo non manca di accadere, riescono a tradurre fedelmente il loro pensiero con i simboli convenzionali e il pentagramma. Molti di loro, però, sono stati costretti a rompere con il passato e a creare un nuovo grafismo musicale. Stuckenschmidt (1969) ha riassunto il problema in modo degno di nota: «Una delle grandi difficoltà sollevate dai nuovi materiali sonori risiede nel problema della fissazione scritturale [... ]l'impossibilità di trovare una notazione chiara e precisa per certi fenomeni sonori ha generato una sorta di rassegnazione. Facendo di necessità virtù, si è finito con l'avvalersi di immagini per guidare l'interprete offrendogli delle suggestioni; sta a quest'ultimo trarre ispirazione da linee, curve e geroglifici nella creazione di una musica tutta improvvisata». Stuckenschmidt riproduce poi una cosiddetta partitura dell'Aria diJohn Cage, che in fin dei conti non ha nulla di cosl sconvolgente, non essendo altro se non un insieme di curve sonore, non necessariamente con uno sviluppo temporale, annotate in senso orizzontale, mentre le altezze si distribuiscono in senso verticale. Insiste sull'aspetto misto, visivo quanto sonoro, di queste nuove musiche. E ciò senza contare l'ingresso dell'informatica nella musica elettroacustica, che ha regole proprie e ha introdotto un nuovo parametro: la composizione spettrale dei suoni, che apre a una serie infinita di possibilità, com'era facilmente prevedibile. L'evoluzione della musica contemporanea pone la questione della sua rappresentazione mentale. Schematicamente, fino a Messiaen era
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possibile rappresentarsi mentalmente un'opera musicale: la presenz~ residua, in questo compositore, di frammenti melodici cantabili fa s: che la loro memorizzazione e la loro rappresentazione mentale sianc possibili a un orecchio esercitato. In certi ascoltatori, questa rappre sentazione uditiva poteva venire rafforzata da una rappresentazione visiva di colori e di forme, così come accadeva all'autore stesso dell~ Turangalila Symphonie. È diventato molto difficile rappresentarsi men talmente un'opera musicale attuale, se non in quanto forma unica,