I più antichi testi pasquali della Chiesa. Le omelie di Melitone di Sardi e dell'Anonimo Quartodecimano e altri testi del II secolo. Introduzione, traduzione e commento [PDF]

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BIBLIOTHECA {,EPHEMERIDES LITURGICAE» Sectio Historica

33

DELLO STESSD AUTORE La Cristologia di TertulZiano (Paradosis, 18), Editions Universitaires, Friburgo, Svizzera, 1962. L'Omelia «In S. Pascha}) dello Pseudo-Ippolito di Roma. Ricerche sulla teologia dell'Asia jjJ[illore nella seconda metà del II sec., Vita e Pensiero, Milano, 1967. La Pasqua della nostra salvezza. Le tradizioni pasquali della Bibbia e della primitiva Chiesa, Marietti, Torino, 1971.

I PIÙ ANTICHI TESTI PASQUALI DELLA CHIESA

LE OMELIE DI MELlTONE DI SARDI E DELL' ANONIMO QUARTODECIMANO E ALTRI TESTI DEL

Introduzione, traduzione e commento di

RANIERO CANTALAMESSA

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EDIZIONI LITURGICHE - 00192 ROMA Via Pompeo Magno, 21 1972

II SECOLO

NIHIL OBSTAT QUOMlNUS IMPRIM."'-TUR: CAIETANUS BRAGHIERI, C. M., REV. DELEGATUS: DIR

31 lULII 1971 - IMPRIMI POTEST: ANTONIUS FELLI, C. M., 1971 - E VlCARIATU URBIS: DIR 11 NOV. 1971: ANGELUS

VlSITATOR PROV.: DIE 5 AUG. DELL'ACQUA, CARD. VlCARIUS

PREMESSA

I testi riumOti z"n questo libro sano tutti i testi liturgicz' pasquall

che ci restano del II secolo, cioè i primi documenti in senso assoluto della Pasqua della Chiesa, dopo il Nuovo Testamento. Essi provengono tutti dal/' amhiente dell' Asia J11inore e rispecchiano la prassi pasquale quartodecimana, cioè delle Chiese che celebravano la loro Pasqua in un giorno fisso del mese, il 14 Nisan, seguendo in ciò una tradizione ereditata dall'Apostolo Giovanni. Non abbiamo, purtroppo, di questo periodo testi pasquali liturgici (cioè effettivamente pronunci'atzO nella celebrazione pasquale) provenienti da altre zone della cristianità. Il primo di questi testi è l'omelia intitolata Peri Pascha, cioè Sulla Pasqua, di Melitone vescovo di Sardi, scoperta poco più di una trentina d'anni fa in un papiro, notissima tra gli studiosi di liturgia e di patristica, ma ancora assai poco assimilata dalla nostra pastorale liturgica. Il secondo testo è l'omelia In sanctum Pascha, Sulla santa Pasqua, attribuita fin qui allo Pseudo-Ippolito di Roma. L'ho denominata di Anonimo Quartodecimano dopo essere giunto, in un precedente studio, alla convinzione che il suo autore è ~ontemporaneo (o non molto posteriore) e conterraneo di Melitone, Si tratta, dunque, di due omelt.'e in certo senso gemelle~' entrambe scritte in greco per la liturgia della veglia pasquale di una comunità dell' Asia Minore, negli ultimi decenni del II secolo. Esse sono assai più che delle semplt.'ci omelie, nel senso posteriore

del termine. Sono delle (i liturgie della parola» per la veglia di Pasqua. Della liturgia della parola, infatti, esse contengono in embrione le principali parti che, in seguito, tenderanno a configurarsi come momenti liturgici distinti: il praeconium, la lezione della Scrittura e l'omelia proprz'amente detta; t'l tutto in una prosa yt'tmzca e talvolta

innodica, che fa già intravvedere il genere dell'Exultet pasquale. A queste due omelie ho fatto seguire la raccolta completa dei frammenti superstiti di tutte le opere di Jl.lelitone e i due frammenti del suo contemporaneo Apollinare di Gerapoli (Appendice I), nonché

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PREMESSA

una brevissima omelia (detta dello Pseudo-Epifanio) composta, pare, con materiali desunti da Melitone (Appendice II). Non mi resta che affidare con amore queste pagine ai cultori della liturgia e della sua storia, con la speranza che attraverso questi testi, così fragranti ancora di fede e di fervore, possano, come è avvenuto a chi li ha raccolti e studiati, sentire palpitare il cuore della Chiesa antica.

R. C.

INTRODUZIONE 1.

MELITONE DI SARDI E LA SUA OlVIELIA PASQUALE

Melitone di Sardi è diventato in pochi anni un personaggio familiare e caro agli studiosi dell'antichità cristiana. È probabile, tuttavia, che egli non sia ancora abbastanza conosciuto al di fuori della ristretta cerchia dei cultori di questa materia e che sia utile, pertanto, presentarlo con qualche cenno che tenga conto degli studi fatti su di lui nei trent'anni trascorsi da quando una fortunata scoperta lo riportò alla ribalta. Per circa quattro anni, dal 1936 al 1940, C. Bonner lavorò a decifrare due pezzi di papiro - uno appartenente all'Università di Michigan e uno alla collezione Chester Beatty - , resi a tratti illeggibili dall'umidità e dall'usura. Venivano dal lontano IV sec. ed erano rimasti tutto il tempo sepolti sotto le sabbie d'Egitto. Riga per riga, lettera per lettera, spesso con difficile lavoro di decifrazione e di ricostruzione, quei brandelli di papiro accartocciati restituivano un gioiello d~lla primissima letteratura cristiana andato perduto nei secoli: il Peri Pascha, Sulla Pasqua, di Melitone di Sardi. Quando finalmente, nel 1940, l'opera apparve al pubblico, fu come se improvvisamente una finestra si fosse spalancata sulla vita liturgica della primitiva comunità cristiana 1. Ma molti dubbi rimanevano. Il papiro portava il nome dell'autore, ma non il titolo. Impressionato dal1'insistenza sul tema della Passione, l'editore pensò si trattasse di un'omelia per il venerdì santo e la intitolò - fuorviato da una citazione antica - {< Omelia sulla Passione )ì. Quale non fu la sorpresa nel ritrovare a vent'anni di distanza, nel 1960, e questa volta con tanto di titolo, la stessa omelia di Melitone in un papiro della collezione acquistata in blocco dall'industriale svizzero Bodmer 2. Istradati da queste scoperte, ci si accorse che la stessa omelia, almeno in parte, era sopravvissuta - senza che ci se ne accorgesse - in varie traduzioni: latina, georgiana, copta; quella latina (un'epitome) attribuita addirittura dai codici ora ad Agostino ora a Leone Magno 3. 1 C. BONNER, The Homily on the Passion by j!lIelito Bishop oj Sardis (Studies and Docrunents, 12), London 1940. 2 Méliton de Sardes, Homélie sur la Paqae. Papyrus Boclmer XIII, manuscript du IIIe siècle publié par M. TESTUZ, Cologny-Genève 1960. a Cfr. H. CHADWICK, A latin Epitome oj lVlelito's Homily on the Paseha: J. Th. S., -N. S., 11 (1960), pp. 76-82. È appena il caso di ritornare sul problema dell'autenticità del Peri Paseha. Da che esso fu ritrovato nei due papiri, una sola voce si è levata a metterla in dubbio: cfr. P. NAUTIN, L'homélie de 'Méliton' sur la Passion: Rev. Hist. EccI. 44 (1949), pp. 429-438. IVIa al punto attuale degli studi, mi pare che qualsiasi dubbio sia fuori posto se non sostenuto da elementi nuovi di giudizio. A parte la testimonianza diretta dei due papiri che recano il nome di Melitone, esiste quella di ANASTASIO SINAlTA, Viae dux, 12 (PG, 89, 197 A) che cita una frase della nostra omelia attribuendola, appunto, a l\le1itone. Tutti quelli che, per un verso o

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INTRODUZIONE

Ma chi era questo Melitone? Un personaggio di grande rilievo nella cristianità dell'Asia Minore nel torno di tempo che va dal 165 al 185 circa. Uno dei « grandi luminari» lo definisce Policrate di Efeso, scrivendo a papa Vittore poco dopo la sua morte 4. La tradizione lo presenta come vescovo di Sardi in Lidia: una delle chiese che aveva avuto stretti rapporti con Giovanni e alla quale è indirizzata una delle sette lettere dell'Apocalisse (Apne. 3, 1-6) e non delle più tenere. La tradizione greca gli ha conservato il titolo di santo. E in realtà, dallo elogio che ne fa PoIicrate, è facile intravvedere in lui una di quelle tipiche figure di vescovo carismatico, sullo stampo di Ignazio d'Antiochia, che fiorirono nei primissimi tempi della Chiesa. I cattolici, informa indirettamente Tertulliano, lo reputavano «( un profeta» 5; certo, nel senso neotestamentario con cui il termine è usato da S. Paolo. La nostra stessa omelia potrebbe esserne la riprova. «( C'è bisogno - scrive Policrate - che io nomini ... l'eunuco Melitone che visse interamente nello Spirito Santo e che giace in Sardi nell'attesa della visita celeste nelIa quale risorgerà dai morti?» 6. Eunuco non significa qui «( mutilato volontariamente », come nel caso di Origene. Significa semplicemente «( celibe volontario », come si desume dall'impiego che di questo termine fanno scrittori del tempo (Clemente Al.). Può destare sorpresa che un uomo siffatto si sia lasciato andare a tratti a una polemica veramente aspra nei confronti" dei giudei; al punto che qualcuno gli rimprovera oggi di essere stato «( il primo poeta del deicidio» d'Israele, per la sua frase: «Dio è stato assassinato per mano d'Israele» (P. Pascha, 96). L'antigiudaismo di quest'epoca va, tuttavia, considerato tenendo conto di una situazione tutta particolare. Il cristianesimo lottava allora - come fa ogni creatura che viene al mondo - per uscire dalla matrice in cui si era formato. In questo caso si trattava, per giunta, di una matrice tutt'altro che , materna'. A noi è rimasta, per ragioni comprensibili, quasi soltanto una voce della polemica: la voce cristiana. Ma tutto induce a credere che quella dei giudei non fosse più pacata. Melitone aveva un forte interesse per il mondo giudaico. Ci dice lui stesso, in un frammento conservatosi, che intraprese un viaggio in Palestina per informarsi dai giudei stessi sul canone dei libri sacri del Vecchio Testamento 7. E tuttavia in lui la polemica antigiudaica raggiunge davvero una temperatura più elevata che non nei suoi contemporanei, eccetto forse che nella lettera dello Pseudo-Barnaba. Lo dimostra anche un'operetta latina, l'Adversus Judaeos, che si ritiene derivata, almeno in parte, da lui 8. per l'altro, si sono occupati in questi anni dell'omelia hanno concluso che si tratta veramente di un'opera autentica di Melitone di Sardi. 4 In EUSEBIO, Hist. eccl. V, 24, 2. 5 In GIROLAMÒ, De viris illustribus, 24. 6 In EUSEBIO, Hist. eccl. V, 24, 5. 7 Cfr. Framm. III dalle Eclagae (p. 137 s.). Il testo è di enonne interesse perché contiene il primo canone cristiano del V. T. S Lo scritto, conosciuto come dello Pseudo-Cipriano, è stato riedito recentemente

INTRODUZIONE

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Questi toni plU accesi vanno spiegati, forse, tenendo presente che in Asia Minore, dove Melitone vive, la presenza giudaica è particolarmente vivace e agguerrita. Anche il Vangelo di Giovanni, scritto in Asia Minore, rispecchia una situazione analoga. Il contrasto si acuiva soprattutto in occasione della festa di Pasqua. A Sardi, come nelle altre grandi città asiatiche, gli ebrei celebravano con gran pompa (anche se senza l'agnello ritualmente immolato) la loro Pasqua, lo stesso giorno dei cristiani, il 14 Nisan. Era inevitabile la questione: quale delle due è la Pasqua biblica legittima? I giudei avevano più d'un motivo storico a cui appellarsi per rivendicare a sé il diritto di celebrare la Pasqua, istituita in occasione del loro esodo dall'Egitto. Per giustificare la propria Pasqua che per metà coincjdeva con quella antagonista degli ebrei - in tutta la parte cioè che riguardava la prefigurazione - i cristiani non avevano che un argomento, ma questo decisivo. La Pasqua che i giudei celebravano non aveva più senso alcuno; era un lucignolo tenuto acceso dopo che era spuntata la luce del sole. Non poteva esistere più una Pasqua giudaica o legale perché - dice Melitone - non esiste più il popolo giudaico e non esiste più la Legge. {( Il popolo è stato svuotato (delle sue prerogative), dopo l'apparizione della Chiesa; la figura si è dissolta dopo che è apparso il Signore lÌ (P. Pascha, 43). La loro non è più la Pasqua del Vecchio Testamento; ma è la Pasqua sopravvissuta al Vecchio Testamento, senza che Dio vi abbia più alcun beneplacito. In questo clima, assume grandissimo rilievo il tema del rigetto d'Israele e dell'elezione dei gentili, che costituisce, in certo senso, il Zeit-motiv di tutta l'omelia. Ma questo rigetto doveva essere spiegato. Ed ecco allora la parte più caduca della polemica: la lunga requisitoria contro Israele che non ha riconosciuto il suo Dio, Israele ingrato, Israele criminale (P. Pascha, 81), Israele che ha reso a Gesù male per bene, tristezza per gioia, morte per vita - dirà Melitone dando l'avvio a quel genere degli lmproperia, cioè rimproveri, che si recitano nella liturgia del venerdì santo. Per capire l'omelia di Melitone inte~essa in modo particolare conoscere la sua posizione sul problema pasquale. Dalle parole di Policrate sopra ricordate non si può dubitare che Melitone avesse praticato e difeso con i colleghi della sua terra la tradizione quartodecimana ereditata da Giovanni. È stato fatto recentemente un tentativo per negare ciò e sostenere che il vescovo di Sardi si staccò dai quartodecimani per adottare la cronologia sinottica e p.assare, in pratica, sul fronte degli avversari delle chiese dell'Asia. 1\1a il tentativo mi pare non riuscito 9. con commento e studio introduttivo da D. VAN DAMME, Pseudo-Cyprian Adversus Iudaeos. Gegen die Judenchristen. Die alteste lateinische Predigt, Freiburg in Schweiz 1969. ~ A W. HUBER, Passa lmd Ostern, Berlin 1969, pp. 31-45, che ha sostenuto tale tesi, ho risposto io stesso nell'articolo: Questioni melitoniane. Melitone e i quartodecimani: Rivista di Storia e Letteratura Religiosa 6 (1970), pp. 259-267.

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INTRODUZIONE

Oltre la presente omelia, Melitone scrisse un trattato sulla Pasqua in due libri, che è andato perduto. Esso si ricollegava storicamente - come è detto esplicitamente in un frammento conservato da Eusebio - alla controversia sorta in seno ai quartodecimani a Laodicea nel 164-167. Fu conosciuto e imitato da Clemente Alessandrino lO. Se i suoi libri sulla Pasqua ne fecero un portavoce della tradizione asiana, non minori simpatie e benemerenze gli procurarono nella Chiesa del suo tempo la sua franca difesa dei cristiani di fronte all'imperatore Marco Aurelio, la sua vigorosa lotta contro gli eretici gnostici e i turbolenti montanisti di casa- sua. Dei suoi scritti, che furono assai numerosi, non ci restano - al di fuori dell'omelia pasquale ~ che la lista dei titoli, redatta iu modo piuttosto confuso da Eusebio, e un certo numero dì frammenti che ho riuniti integralmente in un'appendice di questa raccolta 11. La sua fama di scrittore varcò presto i confini dell'Asia Minore, perché a una ventina d'anni di distanza vediamo che è già conosciuto tra i greci da Clemente e Origene 12 ed ha fatto la sua apparizione anche tra i latini, dove una schiera di ammiratori ne manterranno viva la memoria fino ad età tarda 13. Il declino di NIelitone, che portò alla progressiva scomparsa dei suoi scritti, cominciò quando ~ dopo il trionfo della prassi pasquale domenicale ~ sì cominciò a considerare i quartodecirnani come eretici, anche a motivo della collusione che si stabilì tra alcuni nuclei superstiti di essi e gli scismatici montanisti. Ma forse vi furono anche motivi dottrinali. Certe sue formulazioni ardite, come quella di P. Pascha, 9 «( Cristo in quanto genera è Padre; in quanto è generato è Figlio l}), comprensibili nel clima del II sec., dovettero apparire, ben presto, inadeguate dopo lo scoppio delle grandi controversie teologiche del IV-V secolo. Nestorio, per esempio, al concilio di Efeso (431) tenterà di distinguere due Me1itoni: uno ortodosso e uno eretico 14. Più tardi sembra che lo si accusasse anche di 'teopaschismo ' per la sua frase: « Dio è assassinato)} 15. Ciononostante, gli scrittori ortodossi continuarono per molto tempo ad appellarsi a lVlelitone, per dimostrare l'antichità di taluni dogmi cristologici. In nessun punto, infatti, come nella dottrina su Cristo il suo pensiero fu cosÌ fermo, lucido e ricco di spunti. Un ignoto autore dei

Cfr. EUSEBIO, Hist. ecc!. IV, 26, 3-4. Per la lista di titoli vedi EUSEBIO, Hist. ecc!. IV, 26, 2. A Melitone è dedicato tutto il cap. 26 del libro IV di Eusebio, segno che la sua fama era ancora viva nel IV sec. 12 Quanto a Clemente, sappiamo che nel suo libro Sulla Pasqua non solo citava Melitone accanto a Ireneo (i due autori sembrano affiancati nella stima della Chiesa in questo periodo), ma ne riportava anche dei brani: cfr. EUSEBIO, Hist. ecc!. VI, 13, 9. Per Origene, vedi Rom. in Levit. X, 1 (GCS, Or. VI, 1, p. 441). 13 Sulla presenza di Melitone negli scrittori latini, cfr. la rassegna che ne ho fatto in Questioni melitoniane. }v!elitone e i latini: Rivista di Storia e Letteratura Religiosa 6 (1970), pp. 245-259. 14 NESTORIO, in Schwartz, A. C. O,) I, 4, 2, pp. 52-53. 15 Cfr. ANASTASIO SINAITA, Viae dux, 12 (PG, 89, 197A). 10

Il

-INTRODUZIONE

11

primi decenni del III sec. (forse Ippolito di Roma in persona) lo affianca in ciò a Ireneo, scrivendo di lui: ({ Chi non conosce gli scritti di Ireneo, di Melitone e di altri che proclamano Cristo Dio e uomo?» lIl. Talunesue formule cristologiche (come quella di « due sostanze » del Framm. VI) furono raccolte da Tertulliano ed ebbero così il loro influsso nella maturazione della definizione dommatica di Ca1cedonia.

2.

L'ANoNIMO QUARTODECIMANO

(=

PSEIJDO IpPOLITO)

Prima di esaminare un po' più da vicino le due omelie quartodecimane è bene presentare anche il secondo autore, in modo da poter trattare poi congiuntamente i problemi che riguardano lo stile, la struttura e le fonti delle due omelie che presentano caratteristiche del tutto affini. La storia del secondo scritto, intitolato nei codici Sulla santa Pasqua (In sanctum Pascha), che è qui tradotto per la prima volta in italiano, è più oscura e travagliata di quella del P. Pascha di Melitone. Essendomene occupato a lungo in un voluminoso studio critico 17, richiamo soÌtanto alcune notizie più importanti. A differenza dell'omelia di Melitone, rimasta ignota fino alla sua recente scoperta, questa seconda omelia era relativamente nota, anche se sballottata da un autore all'altro e da un secolo all'altro della letteratura cristiana antica. Si trovava pubblicata nel Migne, tra la congerie delle opere spurie di S. Giovanni CrÌsostomo 18. Alcune osservazioni di un certo peso portarono ad attribuirla, dal 1926 in poi, al celebre Ippolito di Roma, vissuto nei primi decenni del III sec. 19. L'attribuzione resistette per una ventina d'anni. Abbandonata poi, in seguito a precise contestazioni, si pensò a un autore tardivo, del IV sec., che avrebbe rielaborato in essa il materiale di uno scritto perduto Sulla Pasqua di Ippolito 20. A questa ipotesi si sovrappose, pochi anni dopo, quella che faceva dell'omelia un'opera addirittura di papa Callisto, o del suo ambiente, quindi espressione della Pasqua occidentale 21. Una lunga serie di osservazioni (stilistiche, teologiche, liturgiche) mi hanno portato a collocare l'omelia nell'ambito del II sec. in Asia Minore e 16 In EUSEBIO, Rist. eccl. V, 28, 5. Sulla cristologia di Melitone mi permetto rinviare al mio articolo: Méliton de Sardes. Une christologie antignostique du Ile siècle: Rev. Sco ReI. 37 (1963), pp. 1-26. 17 Cfr. L'Omelia «In s. Pascha I) dello Pseudo-Ippolito di Roma, Milano 1967. la PG, 59, 735-746. 19 Cfr. Ch. MARTIN, Un « Peri tOll Pascha * de saint Hippolyte retrouvé?: Rech. Se. ReI. 16 (1926), pp. 148-165. 2~ È la tesi espressa da P. NAUTIN nell'edizione da lui curata dell'omelia: Homélies Pascales, 1. Une homélie inspirée du Traité sur la Paque d'Hippolyte (SCh, 27) Paris 1950. 21 M. RICHARD, Une homéHe mOllarchienlle sur la Paque: Studia Patristica, III (TU, 78), BerIin 1961, pp. 273-289.

12

INTRODUZIONE

a vedere in essa un'omelia gemella di quella di Melitone. Questa soluzione ha trovato buona accoglienza tra gli studiosi più versati nella materia, sicché - salvo inevitabili ritocchi e precisazioni - noi possiamo leggere oggi questo scritto con relativa sicurezza di trovarci dinanzi a un documento autentico e antichissimo della Pasqua quartodecimana. Non essendo possibile avanzare alcuna ipotesi circa l'identità e il nome dell'autore, ho pensato di adottare la denominazione di ANONIMO QUARTODECIMANO, che mi sembra ormai la più rispondente, abbandonando le etichette ora manifestamente fallaci di Pseudo-Ippolito o Pseudo-Crisostomo o, peggio, di Autore monarchiano. L'importanza di questo recupero è grande. Già quando pesava su tale scritto l'incertezza dell'ambiente di origine e della data, i pochi studiosi che ebbero occasione di occuparsene non esitarono a definirla un vero gioiello per il ricco e suggestivo contenuto teologico e per un non comune interesse stilistico e linguistico (l'autore vi conia una decina di vocaboli nuovi). La più bella e la più profonda delle omelie pasquali antiche da lui conosciute, la definÌ uno dei maggiori cultori dell'omiletica bizantina 22. Benché imparentata in modo evidente con l'omelia di Melitone per lo stile e i numerosi temi in comune, e~sa appare, tuttavia, scritta indipendentemente da Melitone. L'autore è un vescovo che attinge per proprio conto dà quel vasto repertorio di materiali liturgici e catechetici divenuto patrimonio comune del cristianesimo asiatico e dal quale anche Melitone chiaramente attinge 23. Accanto alle affinità, le due omelie presentano una tale originalità e individualità di temi e di svolgimento da rendere ugualmente preziose l'una e l'altra e da fare di esse come due occhi con i quali si può vedere, come in rilievo, la Pasqua cristiana del II sec.

3.

LE DUE OMELIE PASQUALI: STILE, FONTI, STRUTTURA

Stile, fonti e struttura del P. Pascha di Melitone e dell'In s. Pascha dell'Anonimo Quartodecimano sono cosÌ affini che vale la pena trattarne unitamente. L'aspetto stilistico in questi scritti liturgici pasquali è uno dei più ri~ levanti, talvolta (specie in Melitone) perfino a scapito della continuità del discorso teologico, che è interrotto da lunghi brani retorici. Predomina il gusto per l'antitesi, per l'isocolismo (serie di frasi brevi e simmetriche), per l'anafora e la rima finale (homoioteleuton). Talvolta, come nella descrizione melitoniana delle piaghe d'Egitto (P. Pascha, 22-30), l'autore si lascia prendere la mano dalla retorica e calca le tinte personificando tutto quello che gli ca22 CH. MARTIN, Hippolyte et Proclus: Rev. Hist. Eccl. 38 (1937), p. 264. 2a Il rapporto tra le due omelie è stato da me studiato a lungo in: L'Omelia «In s. Pascha» dello Pseudo~Ippolito, Milano 1967, pp. 45~65.

INTRODUZIONE

pita S::ltto la penna in prosopopee ardite e un tantino barocche (la morte che si tiene nascosta nel buio e afferra al passaggio i primogeniti egiziani; l'intero Egitto che si reca dal Faraone in lacrime e percuotendosi il seno come fosse una donna). Ma tutto questo si spiega benissimo, senza ricorrere a chissà quali influssi orientali (Norden e Banner), rimanendo nell'alveo della tradizione letteraria greca del tempo (Wifstrand). Il confronto con autori pagani del tempo, come Massimo di Tiro, Elio Aristide, Diane Crisostomo e Apuleio, mostra in Melitone e nell'Anonimo la preoccupazione di parlare un linguaggio gradito ai loro tempi e di mettere a servizio della liturgia cristiana un genere letterario, il «discorso sacro », coltivato in campo pagano nei santuari dell'Asia Minore da apposite confraternite di hymnologoi e di theologoi. Un genere letterario, oltre tutto, che doveva assolvere un preciso compito comunitario e liturgico: quello di fornire testi facilmente mandabili a memoria, grazie a particolari espedienti retorici, in un'età in cui non esistevano i messalini per i fedeli e neppure fonti liturgiche scritte. Questo spiega perché, a volte, la prosa di queste due omelie (ché di prosa si tratta e non di poesia, come taluno ha suggerito) abbia un'andatura innodica. È un (, inneggiare senZa metro)} diceva Aristide, il loro collega più qualificato in fatto di ({ discorsi sacri)) in campo pagano. Nonostante il giudizio ironico di Tertulliano, che definÌ Melitone (, elegans et dec1amatorium ingenium» 2.4., lo stile di Melitone esercitò un indubbio fascino nell'antichità e non a torto qualcuno gli attribuisce una parte di rilievo nella nascita dell'innologia liturgica bizantina 25. Quanto alle fonti dell'omiletica pasquale del II sec., credo si possano individuare tre matrici principali: l'Haggada pasquale giudaica, alcune parti del Nuovo Testamento, nate come catechesi pasquale, i misteri pagani, per la tenninologia, e alcuni scritti gnostici utilizzati in funzione polemica 26, Dall'Haggada i due omelisti mutuano - talvolta scopertamente - accostamenti e citazioni bibliche del V. T. e temi liturgici. Non vi insisto qui perché si avrà modo di mettedo in evidenza, di volta in volta, nel commento ai testi. Il Nuovo Testamento - oltre beninteso la sostanza di fondo del pensiero e del kerygma - offriva l'esempio dell'esegesi tipologica in cui spicca Ebrei, 10, 1 27 e presentava, in pari tempo, alcuni modelli di parenesi pasquale, In

GIROL.:o.M:O, De viris illustribus, 24. Cfr. E. J. WELLESZ, Melito's Homily on the Passion: An Investigation inta the Saurces oj Byzantine Hymnography: J. Th. S. 44 (1943), pp. 41-52. M Accenno qui solamente al fatto, avendo dedicato al problema degli influssi gnostici un apposito articolo dal titolo: Les homélies pascales de Méliton de Sardes et du Ps.-Hippolyte et les Extraits de Théodote che apparirà in EPEKTASIS. 111élanges patristiques j. Daniélou, Paris 1972. 27 Cfr. il mio articolo: Il papiro Chester-Beatty III (P46) e la tradizione indiretta di Hebr. lO, 1: Aegyptus 45 (1965), pp. 194-215. 2ì e. L'uomo però, che per sua natura è capace sia del bene che del male 31, come la zolla di terra che accoglie il seme buono e il seme cattivo, diede ascolto al consigliere ostile e ingordo': mettendo mano all'albero trasgredì il precetto e disobbedì a

a

Gen. 1, 1; 2, 4-5

e Gen. 2, 16-17

b Col. 1, 17; Gv. 1, 3 , Gen. 3, 1 SS.

c

Gen. 2, 7

d Gen. 2, 8

36

MELITONE

Dio. E così fu precipitato in questo mondo, come in un carcere di condannati 32.

49. Carico di prole e di anni egli ritornò alla terra per avere gustato dell'albero. Rimase però di lui un'eredità per i suoi figli. Ai propri discendenti trasmise infatti in eredità 33 non la castità, ma l'impudicizia a, non l'incorruttibilità, ma la corruzione, non l'onore, ma il disonore, non la libertà, ma la schiavitù, non la sovranità, ma la tirannide, non la vita, ma la morte, non la salvezza, ma la perdizione. 50. La sventura dell'umanità sulla terra era spaventosa e inaudita. Ecco qual era la loro sorte. Il Peccato tiranno" li afferrava e li spingeva verso i flutti delle passioni) dove venivano inondati da insaziabili cupidigie:

adulterio, fornicazione, impudenza,

cupidigia, sete dell'oro, omicidi, sangue, tirannide crudele, tirannide criminale b.

51. Il padre portava il pugnale contro il figlio, il figlio levava le mani sul padre, l'empio colpiva il seno che l'aveva allattato, il fratello uccideva il fratello " l'ospite faceva torto all'ospite, l'amico trucidava l'amico, l'uomo trucidava l'uomo con mano di tiranno. 52. Sulla terra erano diventati tutti chi omicida, chi fratricida, chi parricida, chi infanticida. a Rom. S, 12 b Rom. l, 28-32; 1 Coro 6, 9-11; Gal. S, 19-21 , Gen. 4, 8; Mt. lO, 21; Mc. 13, 12

37

SULLA PASQUA

Ma fu inventato qualcosa di più mostruoso e inaudito ancora: una madre metteva le mani sulle carni che aveva generato, si avventava sulle carni che aveva nutrito Con le sue mammelle, inghiottiva nelle sue viscere il frutto delle sue viscere e la sventurata, da madre, si trasformava in orrenda tomba, inghiottendo il figlio che aveva portato in grembo. 53. Non ho il coraggio di proseguire! Tra gli uomini infatti si perpetravano molti altri misfatti strani, terribili e privi di ogni ritegno: padri sul giaciglio della figlia·, figli su quello della madre, fratelli su quello della sorella, maschi su quello dei maschi b e ognuno desiderava la moglie del vicino c. 54. In questa situazione, chi si rallegrava era il Peccato, il quale, come complice della Morte, le apriva la strada nell'anima degli uomini e le apprestava in nutrimento i corpi dei morti. Su ogni anima il Peccato stampava la sua orma e coloro sui quali la stampava erano votati alla morte. 55. Ogni carne cadeva sotto il peccato, ogni corpo sotto la morte d, e ogni anima era scacciata dalla sua dimora di carne: ciò che era stato tratto dalla terra tornava a disperdersi nella terra e e ciò che era stato dato in dono da Dio f veniva rinchiuso nell' Ade. Era la disgregazione della bella armonia e il capolavoro del corpo (umano) si dissolveva. 56. L'uomo era infatti diviso dalla morte 35. Una sventura e una schiavitù inimmaginabile lo tenevano prigioniero. In catene egli era trascinato sotto l'ombra di morte c,

a Gen. 19, 31-38 l

Gen. 3, 19

b

Rom. 1, 27 c Ger. 5, 8 CIs. 9, 2; Le. 1, 79

f Eccl. 12, 7

d

Rom. 5, 12

MELITOhTE

38

mentre l'LTIllUagine dello spirito 36 giaceva abbandonata. Ecco quale fu la ragione per cui il mistero della Pasqua si è compiuto nel corpo del Signore 37.

Il mistero da lungo preparato

57. I1 Signore intanto veniva predisponendo in antIcipO i suoi patimenti nei patriarchi, nei profeti e in tutto il -popolo, conferendo loro così il sigillo della Legge e dei Profeti ". Quello L.-rtatti che doveva un giorno accadere in modo tanto inatteso e grandioso fu predisposto m.olto tempo prima, affinché, una volta realizzatosi, fosse creduto in quanto, appunto, da lungo tempo prefigurato 39. 58. In tal modo, il mistero del ,Signore da lungo tempo prefigurato e resosi manifesto ai nostri giorni 40 trova fede una volta compiutosi, nonostante che agli occhi degli uomini appaia inaudito. Il mistero del Signore appare in tal modo antico e nuovo: antico secondo la prefigurazione, nuovo invece secondo la grazia. lVla se guarderai alla figura la realtà ti si rivelerà attraverso il compimento. 59. Se dunque tu vuoi contemplare il mistero del Signore, volgi lo sguardo ad Abele come lui ucciso a n, a !sacco come lui legato b 42, a Giuseppe come lui venduto c, a Mosè come lui esposto d 43, a David come lui perseguitato e, ai profeti anch' essi sottoposti a patimenti a causa di Cristo. 60. Considera anche la pecora immolata in Egitto che con il suo sangue colpi l'Egitto e salvò Israele.

a Gen. 4, 8

b

Gen. 22, 9

c

Gen. 37, 28

d

Es. 12, 3

elRe19,9

SULLA PASQUA

39

61. Il mistero del Signore fu annunciato anche mediante la voce dei profeti 44. Dice infatti Mosè al popolo: (, E vedrete la vostra Vita appesa dinanzi ai vostri occhi notte e giorno e non crederete alla vostra Vita l) a 45. 62. David poi ha detto: {( Perché fremono le nazioni e i popoli fanno vani progetti? Si sollevano i re della terra e l principi si sono messi d'accordo contro il Signore e contro il suo Unto l) b. 63. E" Gèremia: {( Sono come un agnello innocente condotto per essere immolato. Hanno deciso cose malvagie contro di me, dicendo: Orsù, mettiamo legno nel suo pane, estirpiamolo dalla terra dei viventi e che il suo nome non sia più ricordato l) c. 64. E Isaia: {( Come pecora fu condotto aIruccisione e come agnello senza voce dinanzi a colui che lo tosa egli non apre bocca. La sua generazione chi la spiegherà? l) d. 65. Queste e molte altre cose furono da diversi profeti annunciate intorno al mistero della Pasqua che è Cristo 46, al quale è la gloria nei secoli. Amen.

Il compimen.to. del mistero La Pasqu.a della nostra salvezza

66. Egli venne dal cielo sulla terra in favore di colui che soffriva; rivestì 47 questo stesso nel seno della Vergine e apparve come uomo; prese su di sé le sofferenze di colui che soffriva e mediante il suo corpo capace di soffrire, ma mediante il suo Spirito, non soggetto alIa morte, uccise la morte che uccideva l'uomo 48.

a

Dt. 28, 66

b

Sal. 2, 1-2; Atti 4, 25-28

e Is. 53,4; Mt. 8, 17; 1 Pt. 2, 21. 25

c Ger. 11,19

d

Is. 53,7-8

40

MELITOz..~

67. Egli, infatti, condotto come agnello e immolato come pecora, ci ha riscattati dal vassallaggio del mondo come dalla terra d'Egitto; ci ha sciolti dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone; ha contrassegnate le nostre anime con il sigillo del proprio Spirito a e le membra del nostro corpo con il sigillo del proprio sangue ". 68. Egli è colui che 50 ha ricoperto di vergogna la morte, che ha gettato nel lutto il diavolo, come Mosè il Faraone. Egli è colui che ha colpito l'iniquità che ha privato 1'ingiustizia di discendenza, come Mosè iI Faraone. , Egli è colui che ci ha fatti passare dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannide al -regno eterno, facendo di noi un sacerdozio nuovo, un popolo eletto in eterno 51, 69. Egli è la Pasqua della nostra salvezza 52. Egli è colui che molto ebbe a sopportare nella persona di molti. Egli è colui che fu ucciso nella persona di Abele 53, legato in Isacco, venduto in Giuseppe, esposto in Mosè, immolato nell'agnello, pe~seguitato in David, vilipeso nei profeti. 70. Questi è colui che si incarnò 54 nella Vergine, che fu appeso al legno b, a

Ef. l, 13; 4, 30; 2 Coro 1, 22

b

Gal. 3, 13

41

SULLA PASQUA

che fu sepolto nella terra, che risorse dai morti, che fu assunto nelle altezze dei cieli

55.

71. Questi è l'agnello senza voce". Questi è l'agnello trucidato '. Questi è colui che fu partorito da Maria, la buona agnella ". Questi è colui che dal gregge fu prelevato, e al macello trascinato':, e di sera fu immolato 57 e di notte seppellito; colui che sul legno non fu spezzato d, che in terra non andò dissolto e, che dai morti è risuscitato e ha risollevato l'uomo dal profondo della tomba.

Israele ha rigettato il suo Dio

72. Egli dunque è messo a morte. E dove è messo a morte? Nel bel mezzo di Gerusalemme. E per quale motivo? Perché egli aveva guarito i loro zoppi, aveva guarito i loro lebbrosi, aveva ridato la vista ai loro ciechi e aveva risuscitato i loro morti f. Ecco perché egli ha patito. Non è forse scritto nella Legge e nei Profeti: «( Mi hanno reso male per bene e la mia vita senza discendenza l) g; «( hanno tramato cattivi disegni contro di me, dicendo: Leghiamo il giusto, poiché ci è èontrario)} h? 73. Come hai potuto commettere, inaudito?

° Israele,

un delitto così

a Is. 53, 7 li Is. 11, 19; Apoe. 5,2 .: Is. 53,7 Gv. 19, 33. 36 e Atti 2, 27. 31 f Mt. 11, 5; Le. 7, 22 12; 37, 21 h Is. 3, 10; Ger. 11, 19

d

Es. 12,46; g Sal. 34,

MELITONE

42

Hai disonorato chi ti aveva onorato 58; hai disprezzato chi ti aveva glorificato; hai rinnegato chi ti aveva riconosciuto; hai messo al bando chi ti aveva bandito (il Vangelo); hai ucciso chi ti aveva vivificato. Che cosa hai fatto, o Israele? 74. Non è per te che è stato scritto: «Non verserai sangue innocente, se non vuoi perire miseramente» a ? Israele dice: « Sono io che ho ucçiso il Signore. Volete sapere il perché? Perché era necessario che egli patisse») b. Ma ti sbagli, o Israele, quando cerchi di giustificare con simili sofismi l'uccisione del Signore. 75. Certo che doveva patire, ma non àa te; doveva essere disonorato, ma non da te; doveva essere crocifisso, ma non per mano tua. 76. Ecco invece, o Israele, ciò che avresti dovuto gridare a Dio: « O Signore, se è necessario che il tuo Figlio patisca e se questa è la tua volontà c, che soffra pure, ma non da me, piuttosto soffra da estranei; che sia giudicato da incirconcisi; che sia inchiodato dalla. mano di un tiranno, ma da me giammai! )~. 77. Ma non è certo questo che tu Israele hai gridato verso Dio; nessun religioso timore hai avuto davanti al tuo Sovrano, nessuna soggezione delle sue opere. 78. Non ti ha incusso timore la mano arida restituita sana al corpo d,

Ger. 7, 6; 22, 3 9-13 par.

D

b

Le. 24, 26

c Mt. 26, 42 par.

d

Mt. 12,

43

'SULLA PASQUA

né gli occhi dei ciechi aperti dalla sua mano a, né i corpi paralizzati consolidati dalla sua voce b. Non ti ha incusso timore il prodigio ancor più straordinario di un morto di ben quattro giorni richiamato dalla tomba c.

[79]

79. Ma tu, mettendo da parte queste considerazioni, ti sei affrettato 59 a uccidere il tuo Signore, preparando- per lui cruodi acuminati e falsi testimoni, corde e flagelli, aceto e fiele, spada e affiizione, come per un ladro assassino. Dopo infatti che applicasti i flagelli al suo corpo e le spine al suo capo, legasti anche le sue belle mani - quelle mani che ti avevano plasmato dalla terra 60 - e la sua dolce bocca, che ti aveva dato da bere la vita, l'abbeverasti di fiele. Hai ucciso il tuo Signore durante la grande festa 61! 80. Tu banchettavi, egli invece soffriva la fame; tu bevevi vino e mangiavi pane, egli invece aceto e fiele 62; tu eri raggiante in volto, egli invece aveva l'aria mesta; tu eri nella gioia, egli invece nell'afflizione; tu facevi risonare canti, ed egli era condannato; tu impartivi ordini, ed egli intanto veniva inchiodato; tu danzavi, ed egli era sepolto; tu te ne stavi reclinato in molle giaciglio, ed egli nella tomba e nella bara.

a

Mt. 9, 27-31

b

Le. 5, 18-26 par.

c

Gv. 11, 1-44

44

MELITONE

Chi è colui che è messo a morte

81. O Israele iniquo, perché hai commesso quest'ingiustizia inaudita 63 ? Dare il tuo Signore in preda a sofferenze incredibili, il tuo Sovrano che ti plasmò, che ti creò, che ti onorò, che ti chiamò Israele al

82. Tu non hai tenuto fede al tuo nome di Israele: non hai visto infatti Dio 64; non hai riconosciuto il Signore; non hai capito, o Israele, che egli è il Primogenito di Dio b, colui che fu generato prima della stella mattutina 65, che fece sorgere la luce, che fece risplender~ il giorno, che separò le tenebre, che fissò il fondamento, che sospese la terra, che prosciugò 1'abisso c, che spiegò il firmamento, che ordinò il cosmo,

[83]

che dispose gli astri nel cielo, che fece risplendere le stelle, che creò gli angeli del cielo, che in esso stabilì i troni e che plasmò l'uomo dalla terra. 83. È lui che ti elesse, che ti fece da guida; da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo, da Abramo a Isacco, Giacobbe e

dodici pa-

triarchi.

84. È lui che ti guidò in Egitto ", che anche laggiù ti circondò della sua protezione e ti nutrÌ. ., Gen. 32, 31

b Col. l, 15; Ebr. l, 6

CIs. 51, 10; Provo 8, 28

SULLA PASQUA

4S

È lui che ti illuminò mediante la colonna di fuoco, che ti protesse al riparo della nube a, che divise il Mar Rosso b, che ti condusse al di là di esso e che distrusse il tuo nemico.

8S. È lui che ti donò la manna dal cielo', che ti dissetò dalla roccia d, che sull'Oreb ti diede la Legge', che ti stabilì erede della terra (promessa)', che inviò a te i profeti, che suscitò per te i re g. 86. Ecco chi è che è venuto a te, che ha curato i tuoi malati e che ha risuscitato i tuoi morti. È contro di lui che hai commesso l'empietà; verso lui hai perpetrato l'ingiustizia; è lui che hai ucciso; è lui che hai mercanteggiato, dopo aver esigito da lui un didramma per tributo h.

Requisitoria contro Israele

87. Ingrato Israele! Fatti avanti, che io ti giudichi della tua ingratitudine. A che prezzo hai tu stimato l'essere stato da lui guidato? A che prezzo hai tu stimato l'elezione dei tuoi Padri? A che prezzo hai stimato la discesa in Egitto e il nutrimento che ivi trovasti grazie al buon Giuseppe? 88.

A che prezzo hai stimato le dieci piaghe? A che prezzo hai stimato la colonna di fuoco di notte? e la nube di giorno? e il passaggio del Mar Rosso?

a Es. 13, 21 i Giud. 1 ss.

bEs. 14-15 g 1 Re 1 ss.

~

Es. 16, 4-35 d Es. 17,4-7 h Mt. 17, 24-27

46

MELITONE.

A che prezzo hai stimato il dono della manna dal cielo? e dell' acqua dalla roccia? e la promulgazione della Legge sull'Oreb? e 1'eredità della terra con tutti i benefici in essa ricevuti?

[90]

89. A che prezzo hai stimato i sofferenti che egli guarì durante la sua permanenza? Valutami la mano arida che restituì al corpoa. Valutami il cieco dalla nascita, cui con la sua parola ridonò la vista b. Valutami quello che giaceva morto, che egli risuscitò dalla tomba quand' era al quarto giorno c. 90. Inestimabili sono i suoi benefici a tuo favore! Ma tu slealmente lo hai co~traccambiato con l'ingratitudine: gli hai reso male per bene, dolore per gioia, morte per vita.

91. Tu avresti dovuto essere disposto anche a morire per lui. Infatti, quando il sovrano di un popolo viene catturato dai nemici, per lui si dichiara la guerra, per lui si assaltano le mura,

per lui si -saccheggiano città, per lui vengono spediti riscatti, per lui vengono mandati ambasciatori, perché egli venga ripreso, perché venga restituito, se vivo, o perché sia seppellito, se morto. 92. Tu, al contrario, hai votato contro il tuo Signore. Colui infatti che i gentili adoravano d, che ,gli incirconcisi ammiravano, che gli stranieri glorificavano e, a Mt. 12, 13 e

b Gv. 9, 1 58. Gv. 12, 20; Mt. 8, 5~13

t

Gv. 11, 1 55.

d

Mt. 2, 11; 15, 25

47

SULLA PASQUA

per il quale anche Pilato si lavò le mani tu lo hai ucciso durante la grande festa.

67,

93. Per questo la festa degli azimi è amara per te, come sta scritto: (i Mangerete gli azimi con erbe amare)} a. Amari per te i chiodi che aguzzasti, amara per te la lingua che acuminasti, amari per te i falsi testimoni che assoldasti, amari per te i legami che preparasti, amari i flagelli che intrecciasti, amaro per te Giuda che hai comprato, amaro per te Erode che seguisti, amaro per te Caifa al quale credesti, amaro per te il fiele che apprestasti, amaro per te 1'aceto che producesti, amare per te le· spine che raccogliesti amare per te le mani che legasti. Hai ucciso il tuo Signore in mezzo a Gerusalemme! j

I pagani a testimoni

94. Ascoltate, o voi tutte stirpi delle genti, e vedete! Un delitto incredibile è stato perpetrato dentro Gerusalemme, nella città della Legge, nella città degli Ebrei, nella città dei profeti,. nella città -che si riteneva giusta. E chi è l'ucciso? Chi l'uccisore? Ho orrore a dirlo, eppure sono costretto a parlare. Avesse avuto luogo almeno di notte l'assassinio, o fosse stato trucidato in luogo deserto, sarebbe stato anche possibile tacere. Invece è al centro della piazza e della città, in pieno giorno e alla vista di tutti, che ebbe luogo l'ingiusta uccisione del Giusto. a Es. 12, 8

MELITONE

48

95. Così egli è innalzato sul legno" e un titolo viene applicato per indicare chi è l'ucciso b.

Chi è egli? È duro dirlo, ma è ancora più spaventoso il tacerlo.

Ascoltate dunque tremanti quello per cui anche la terra tremò/;.

96. Colui che appese la terra è appeso, colui che stabilì i cieli è inchiodato, colui che consolidò l'universo è fissato al legno. Il Sovrano è oltraggiato, Dio è assassinato 68, il Re d'Israele è rigettato

dalla mano d'Israele! 97. O delitto orrendo, o ingiustizia inaudita! Il Sovrano è reso irriconoscibile, nudo nel corpo, senza che lo si ritenga degno neppure di uno straccio con cui cingersi per non essere esposto agli sguardi. Ecco perché i luminari voltarono altrove lo sguardo e il giorno si oscurò con essi d per celare colui che stava nudo sulla croce, per oscurare non tanto il corpo del Signore, quanto gli occhi degli uomini.

98. Dal momento infatti che il popolo non tremò, fu la terra che si mise a tremare.

Poiché il popolo non ebbe spavento, furono i cieli che si spaventarono. Poiché il popolo non si stracciò le vesti, fu l'angelo che si stracciò le vesti 69. Poiché il popolo non gemette, fu « il Signore che tuonò dal cielo, e rAltissimo fece udire la sua voce >}e.

Il

Gv. 3, 14; 8, 28; 12, 32. 34

d

Mc. 15, 33

Cl

b Gv. 19, 19; Mc. 15, 26 Sal. 18, 14; Gv. 12, 28

c

Mt. 27, 51

SULLA PASQUA

49

99. Per questo, o Israele, non avendo tremato dinanzi al Signore, di colui che fu per primo plasmato, conforme al volere del Padre. Non scaricò su un angelo o su un arcangelo 1'onere della nostra salvezza, ma egli stesso, il Verbo, assunse interamente su di sé il combattimento per noi obbedendo al comando del Padre 63.

} indicherebbe l'anima umana e vorrebbe sottolineare che essa non è uno spirito puro, ma uno spirito partecipato, attenuato. Scrive TERTULLIANO commentando Gen. 2, 7: «L'uomo è immagine di Dio, cioè dello Spirito: Dio infatti è Spirito. L'immagine dunque dello Spirito è l'affiato) (Adv. Marcionem II, 9, 3). Il discorso è diretto contro gli gnostici che identificavano «( l'alito di vita» (la pnoè, spiraculum) immesso da Dio nell'uomo (Gen. 2,-7) con lo Spirito puro e semplice (Pneuma), cioè con la natura divina, facendo dell'anima umana 7

98

NOTE

una particella della sostanza divina. Cfr. A. ORBE, Imago Spz'ritus: Gregoria48 (1967), pp. 792-795. 37 Cristo compiendo nel suo corpo il mistero della Pasqua, cioè la Passione, doveva redimere il corpo dell'uomo dalla dissoluzione in cui era caduto a causa del peccato. È un primo annuncio dell'argomento soteriologico contro il docetismo, che sarà ripreso al § 66: «( Mediante il suo corpo capace di soffrire egli prese su di sé le sofferenze di colui che soffriva ». Cfr. anche ANONIl\'IO QUARTODECIMANO,. In s. Pascha, 89-9l. 33 Inizia l'esposizione delle figure e delle profezie della Passione di Cristo. Su questo tema, la prima generazione cristiana, incoraggiata dall'esempio del Nuovo Testamento (cfr. Le. 18, 3185.; 24, 25-27; 44-46; Atti, 17, 2 ss. e il Vangelo di Matteo, passim), aveva messo insieme delle apposite raccolte, dette Testimonia, da utilizzare nella polemica contro i giudei. Una di queste raccolte di testimonianze {( dalla Legge e dai Profeti)} fu redatta dallo stesso Melitone: cfr. Framm. III e XV. Possiamo farci un'idea del contenuto di queste raccolte di profezie della passione leggendo l'epistola dello PSEUDO-BARNABA, 6, 7; 12, 1 ss.; GIUSTINO, Dialogo, 86-112; IRENEO, Dimostrazione della predicazione apostolica, 67-82; TERTULLIANO, Adv. Judaeos, 9-13. J 39 Questa idea della necessità del V. T. come {( Praeparatio evangelica )}, cioè quale preparazione alla fede in Cristo, oltre che contro i giudei, si affermò sotto l'urgenza dell'eresia marcionita che contrapponeva i due Testamenti come opera di due diversi dii. TERTULLlAi"\TO scrive contro l\1arcione: {{ Questo mistero (della Passione di Cristo) più d'ogni altro certamente doveva essere pna::lnunciato nella predicazione (del V. T.), giacché era tanto incredibile, che sarebbe apparso uno scandalo, se fosse stato annunciato senza preparazione alcuna)} (Adv. Marcionem III, 18, 2). Tertulliano fa seguire una lista di figure del Cristo sofferente (Isacco, Giuseppe, Mosè ecc.) che ricalca quella di Melitone (§ 59), segno che essa era ormai comune tra i cristiani. Cfr. anche Adv. i11arcionem III, 2, 4. 40 In Me1itone ha un forte rilievo Pidea dell'oggi liturgico della Redenzione. Il termine hodie (cr1j!1-spov) del presente testo trova riscontro al § 43: «( Quello che prima era prezioso è oggi senza valore )ì. La redenzione operata da Cristo nella sua Passione ha costituito un tempo forte, un {( oggi ); perenne che la liturgia prolunga nei secoli fino al «domani) della parusia. È una conseguenza della particolare concezione escatologica di Melitone che fa leva sul {( già realizzato l). In ciò Melitone è sulla linea di Ebr. 3, 13: {( Incoraggiatevi a vicenda, ogni giorno, per tutto il tempo che si estende questo' oggi' l). L'oggi di cui si parla è quello che va dalla redenzione di Cristo al suo ritorno. 41 L'accostàmento tra l'uccisione di Abele e quella di Cristo ha origine da Ebr. 12, 24, dove si parla del sangue di Cristo che parla con più efficacia di quello di Abele. La serie di figure del Cristo sofferente dei § § 59 e 69 è studiata da O. PERLER, Typologie der Leiden des Herrn, in Kyriakon. Festschr. J. Quasten, I, Mtinster 1970, pp. 256 ss. nUID,

MELITONE

99

42 Il sacrificio di ]sacco (Aqéda) era uno dei temi centrali della teologia pasquale del giudaismo al tempo di Cristo. La notte di Pasqua evocava non solo la notte dell'Esodo, ma anche la notte del sacrificio di Isacco (cfr. Targum di Es. 12, 42, in R. LE DÉAUT, La nuit pascale, Roma 1963, pp. 64-65). Tale accostamento era favorito dalla tradizione, accolta anche da Melitone (vedi Framm. XI, Appendice, p. 142), secondo cui la {(montagna di Javè)} dove Isacco doveva essere immolato (Gen. 22, 2) era il luogo dove più tardi sorse il tempio di Gerusalemme (2 Crono 3, 1), il luogo cioè in cui veniva immolato l'agnello pasquale. Di qui l'importanza che assum_e, fin dagli inizi, nella catechesi pasquale cristiana il tema di Isacco come figura del sacrificio di Cristo: cfr. PSEUDO-BARNABA, 7, 3 e D. LERcH, ]saaks Opferung christlich gedeutet, Tiibingen 1950, pp. 27 ss. (per la tipologia di Isacco nei frammenti di Melitone). La tradizione liturgica giudaica (Targum) si soffermava in modo speciale sul particolare di Isacco legato dal Padre (Gen. 22, 9). E sarà appunto di Cristo legato nella passione che Isacco diverrà la figura classica: vedi MELITONE, Framm. IX-XI (pp. 141-142); TERTULLIANO, Adv. Marc. III, 18, 2; Adv. JudaeDs 13, 20-21. 43 Giuseppe figura di Cristo venduto e Mosè figura del Cristo esposto si incontrano per la prima volta in questo testo di Melitone. Per altri aspetti, tuttavia, Giuseppe è visto quale figura di Cristo dall'apocrifo Testamenti dei XII Patriarchi (Test. Zabulon, 4, 4), da Ippolito di Roma, da Tertulliano ecc.: cfr. L. MARIÈS, Le Messie issu de Lévi chez Hippolyte de Rome: Rech. Sco ReI. 39 (1951), pp. 381-396. Da notare che l'intera lista di queste figure di Cristo sofferente si legge di nuovo in Melitone nel Framm. XV (p. 146). H Dopo le figure, Melitone passa in rassegna le principali profezie del Cristo sofferente. Anche queste si attengono fondamentalmente a una lista di testi veterotestamentari in voga nella primitiva comunità cristiana. Le ritroviamo infatti, quasi con la stessa successione, in lRENEO, Dimostrazione 58-82, nel Dialogo con Trifone di GIUSTINO e in TERTULLIANO. A proposito della distinzione che si avverte nel testo tra prefigurazione ( § 57) e preannuncio, vedi nota 21. 45 Nel contesto da cui è desunto (Dt. 28, 66), questo brano voleva dire semplicemente che la vita degli ebrei sarebbe stata insicura per le calamità, fino a temere giorno e notte e a disperare di poter sopravvivere. I primi cristiani videro nelle parole {( la vita appesa) una designazione profetica di Cristo (vita) crocifisso (appeso), forse per influsso di Dt. 21, 23 (( Maledetto colui che è appeso al legno l») che S. Paolo aveva applicato a Cristo in Gal. 3, 12. Le parole: « non crederete alla vostra vita), dal canto loro, furono interpretate come una profezia dell'incredulità dei giudei. Questo stesso testo, con la stessa applicazione, si legge anche nell'omelia In s. Pascha, 93 e con poche differenze anche in lRENEo (Adv. Haer. V, 18, 2), in TERTULLIANO (Adv. Judaeos 13, 11), in CLEMENTE AL. (Strom. V, 72, 2-3), in Novaziano, in Cipriano ecc: cfr. J. DANIÉLOU, Etudes d'exégèse judéo-chrétienne, Paris 1966, pp. 53-75. 46 Questa ardita identificazione tra mistero della Pasqua e Cristo era

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NOTE

stata preparata da 1 Coro 5, 7, in cui Cristo è definito {< la nostra Pasqua », cioè la nostra vittima pasquale. GIUSTINO aveva scritto: « La Pasqua era Cristo)} (Dialogo 111, 3). Melitone fa un notevole passo avanti, in quanto non si limita più a chiamare Cristo la nuova {( vittima pasquale )}, ma vede racchiuso nella sua persona l'intero {( mistero pasquale l). L'espressione « mistero della Pasqua» raccoglie così tutto il ricco contenuto teologico che S. Paolo aveva racchiuso nell'espressione (< mistero di Cristo») (Col. 4, 3; Ef. 3, 4). Come in S. Paolo (Ef. 1, 4-12; 3, l-B), anche in Melitone questo {< mistero» indica l'intero piano salvifico di Dio realizzato mediante il Cristo. 47 Come si vede da questo passo e dal § 47, il verbo rivestire o indossare (èvMe:cr&cu) è il termine con cui Melitone ama designare l'incarnazione. Per un certo tempo, prima che si affermasse il verbo incarnarsi (crocPx.oi3cr&oc~), questo fu il termine prediletto per designare l'incarnazione. Lo si legge anche nella seconda omelia (§ 90) e in seguito in Clemente Al., Ippolito e Tertulliano. La Scrittura aveva preparato quest'uso in tutti quei testi in cui' rivestire' era detto in senso metaforico e soprattutto in S. Paolo dove era detto a proposito del cristiano che nel battesimo {( riveste l'uomo nuovo)} che è Cristo (Ef. 4, 24). Ma c'è anche una componente non biblica in quest'uso del termine 'rivestire'. Esso era stato usato dai pitagorici per indicare la metempsicosi, cioè l'assunzione d'un nuovo corpo da parte dell'anima (ARISTOTELE, De anima A 3, 407 h, 20) e da Platone per designare l'incarnazione dell'anima in un corpo umano, in un'accezione, quindi, che richiamava da vicino quella cristiana. Tuttavia l'uso di r rivestire l'uomo' per indicare l'incarnazione non comporta alcuna sfumatura di dualismo o di docetismo. Esso significa un vero' farsi' uomo come in Gv. 1, 14 e non {( prendere le sembianze esterne dell'uomo l). Lo dimostra il fatto che sono proprio gli scrittori antignostici a usarlo per primi e con più frequenza. 48 L'intero § 66 contiene in sintesi tutta la dottrina cristologica di Melitone. Si noti l'affermazione della reale incarnazione (rivestire l'uomo) e delle due nature designate - sulla scia di Rom. 1, 3-4 - con il binomio corpo-Spirito. Chiaramente rivolta contro i docetisti è l'insistenza sulla nascita reale dal seno di Maria. Valentino e Apelle infatti, pur riconoscendo a Cristo un certo corpo pneumatico, negavano che esso fosse stato assunto nel seno e dalla carne di Maria, affermando che era passato solo attraverso Maria, Come attraverso un canale, proveniente da materia celeste (cfr. TERTULLIANO, De carne Christi, 15 ss.; Adv. Valentinianos, 27, 1). Anche TH. HALTON (Valentinian Echoes in l11elito, Peri Pascha?: J. Theol. St., N. S., 20 [1969], pp. 535-538), basandosi su alcuni Estratti di T,odoto (59, l; 45, 2; 61, 7), scorge nel presente testo un'intenzione antivalentiniana. Altro tratto rivolto COntro i docetisti è l'affennazione che il corpo del Salvatore era necessario per redimere il corpo dell'uomo, secondo il noto principio che viene elaborandosi in questo periodo e che troverà in Origene la sua formulazione definitiva: «l'uomo non sarebbe salvato intero (cioè anima e corpo) se Cristo non avesse assunto l'uomo intero» (ORIGENE, Dialogo con Eraclide, 7). È ciò che si legge anche nell'omelia dell'Anonimo (§ § 89-90).

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49 Allusioni chiare ai due riti dell'iniziazione cristiana: il battesimo e l'unzione. L'Egitto è visto come figura del mondo e il Faraone come figura del demonio, principe del mondo. Le basi di questo simbolismo sono presenti in S. Paolo, ma TvleÌitone è uno dei primi a formularlo esplicitamente. Nel testo di Melitone è da scorgere, secondo me, anche un'allusione all'unzione postbattesimale, antitipo dell'unzione delle porte degli israeliti con il sangue dell'agnello (vedi nota 12, p. 91 e nota 34, p. 112-113). 50 Comincia qui un caratteristico linguaggio cristologico che si protrae poi fin quasi al termine dell'omelia, Si tratta di uno stile in auge nella retorica asiatica della seconda Sofistica e impiegato già nell'innologia in onore di divinità pagane. È un genere letterario detto 'aretalogia ' perché si propone di enumerare tutte le virtù (in greco aretai) e le imprese operate dalla divinità di cui si celebrano le lodi. Talvolta è la divinità stessa che è introdotta a parlare in prima persona (< lo sono colui che ... l»), come fa anche Melitone al § 102. 51 Abbiamo in questo testo una prova sicura che i primi cristiani accolsero nella loro catechesi pasquale elementi già in uso nella liturgia pasquale del giudaismo. Il Pesachim ha conservato un testo attribuito a R. Gamaliel in cui la liberazione dell'Esodo è descritta con le stesse antitesi usate da l\1elitone: «Ci ha tratti dalla schiavitù alla libertà; dalla tristezza alla gioia; dal lutto alla festa; dalle tenebre alla luce; dalla servitù alla redenzione» (Pesachim, X, 5). Una testimonianza della diffusione che il testo ebbe tra i cristiani si ha in un'omelia greca recentemente scoperta, dove esso è ripetuto alla lettera, certamente ripreso da Melitone: cfr. S. LILLA, in Byzantion 38 (1968), p. 283, 11-14. 52 L'espressione ritorna al § 103: do sono la Pasqua della salvezza» e sembra essere stata corrente nella catechesi pasquale dei quartodecimani (cfr. anche EUSEBIO, Hist. ecci. V, 23, 1). Ciò è molto importante perché conferma il carattere soteriologico (e quindi storico-commemorativo) della Pasqua primitiva della Chiesa, contro la tesi di coloro che vorrebbero ridurne tutto il contenuto all'aspetto escatologico, all'attesa cioè della Parusia nella veglia pasquale (B. Lohse), 53 Ripetizione del § 59. Queste ripetizioni, a modo di variazioni su un tema fisso, sono una delle caratteristiche dello stile di Melitone e avevano, forse, lo scopo pratico di imprimere nella memoria dei fedeli delle sequenze facili a ritenere per il loro carattere innodico e ritmico, 54 Tra le fonti giunte fino a noi, questa è la più antica testimonianza dell'uso del verbo' incarnarsi' (aapxoi3a&cu) destinato a diventare ben presto termine tecnico del linguaggio cristologico. Nel passaggio dall'uso profano a quello cristiano il vocabolo subisce una radicale trasformazione: incarnazione (crapxCùO"LC;) dal banale senso di ({ escrescenza nella carne» o « carnosità ) passa a significare l'atto del Verbo che assume la natura umana. 55 In questo, come in altri brani analoghi dell'omelia (cfr. § 104), si scorge già lo schema embrionale del simbolo apostolico che appunto in questa epoca veniva prendendo forma sempre più definita e fissa. Come si vede,

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NOTE

Me1itone - analogamente a quanto fa nella dossologia - conosce soltanto il simbolo a schema unitario o cristologico, non invece quello tripartito, che menziona tutte e tre le Persone della Trinità. 56 Questo suggestivo titolo della Madonna, che si incontra qui per la prima volta, mette in risalto soprattutto la verginità di Maria. Esso è suggerito dal parallelismo con il titolo di agnello senza macchia (1 Pt. 1, 19). Anche S. EFREM Smo sembra avere attribuito tale titolo-alla Vergine. Scrive: «Beata te, fanciulla, che divenisti gravida del Ieoncello di cui scrisse Giacobbe! Si umiliò egli e da te succhiò latte puro da cui fu nutrito, diventando agnello di pecorella vergine» (Inni alla V ergine IX, 3; ed. J. TH. LAl'\IT, S. Ephraem Syri HY11lni et Sermones, II, Mechliniae 1886, p. 550). Come titolo di Maria, agnella è accolto dalla liturgia, "bizantina del venerdì santo: « L' Agnella, al vedere il suo Agnello immolato, fu trapassata da una spada )ì. Il testo però non deriva, almeno direttamente, da lVlelitone, ma da ROMAt'1o IL MELODE, Inno LXXV, 1 (SCh, 128, p. 160). 57 L'affermazione secondo cui Cristo fu immolato «di sera)ì o « verso Sera)ì non corrisponde alle indicazioni dei Vangeli che la pongono verso l'ora nona, cioè dal mezzogiorno alle 4"e pomeridiane (IVIt. 27, 46). Si tratta di una tradizione propria dei quartodecimani destinata a far coincidere l'ora esatta della morte di Cristo con quella dell'immolazione dell'agnello pasquale nel tempio di Gerusalemme che, secondo Es. 12, 6, avveniva appunto «verso sera )ì. L'affermazione è ripetuta dall'ANONIMO QUART. (In s. Pascha, 53) e da IRENEo (Adv. Haer. IV, 10, 1) che fissano entrambi il momento al « tramonto del sole )ì. Tale tradizione suppone la cronologia giovannea della passione (morte di Cristo nel pomeriggio del 14 Nisan) e mette in risalto l'idea che la morte di Cristo segna la fine della Pasqua legale e inaugura la nuova Pasqua. 58 Comincia la requisitoria contro Israele. In questo e nei § § successivi si intravvede chiaramente l'embrione di quel genere liturgico che andrà sotto il nome di «Improperia lì, in uso nella liturgia del Venerdì Santo, che l'occidente ha ereditato dalla liturgia greca posteriore. Tra Melitone e la forma attuale, l'anello di congiunzione è costituito da un testo di ASTERIO SOFISTA (IV sec.): Omelia XXVIII in Ps. XV, 5-7 (ed. M. RrCHARD, Asteni Sophistae quae supersunt omnia, OsIo 1965, pp. 225-226). Si tratta di un genere letterario ereditato dal V. T., il processo sacrale (il rib), con cui si introduce Dio in atto di rimproverare al suo popolo la propria infedeltà. Particolarmente importante è a questo riguardo l'influsso di Dt. 32 (il cantico di Mosè), Michea 6, 3-4 e i due lunghi Salmi 77 e 105 che presentano la storia del popolo eletto come contrapposizione dei benefici del Signore e dell'ingratitudine d'Is-!'aeIe; cfr. anche il discorso di Stefano in Atti 7, 1 ss. Singolarmente affine a Melitone è l'inizio del IV libro di Esdra (IV Esdra, 1, 6-27). S9 Il testo greco (che in questo punto è conservato solo dal papiro Bodmer) porta la lezione « di sera» (tcr7tZplXç) come al § 71. Ma la versione latina reca invece « ti affrettasti)ì (properasti) che dal contesto risulta essere di gran

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lunga una lezione migliore. L'errore del copista greco potrebbe essere stato provocato dallo scambio di gcrneumxç (= properasti) con tmrspaç (= verso sera, di sera). 60 Affiora qui velatamente un concetto teologico assai caro agli autori del II sec.: Dio crea il mondo per mezzo di un comando. L'uomo, invece, Dio lo plasma con le sue mani dalla terra e alita in lui un soffio della propria vita (cfr. § 47). Si sa però che per questi autori è il Verbo lo strumento della creazione, colui che direttamente dà origine al cosmo e in seguito serve costantemente da mediatore tra Dio e il cosmo stesso. A questo allude Melitone additando nelle mani di Cristo quelle mani che all'inizio modellarono l'uomo; Secondo una tradizione della teologia asiatica, attestata da Ireneo, «le due mani)ì sono il Verbo e lo Spirito Santo: «Per mezzo delle mani del Padre, cioè ad opera del Figlio e dello Spirito Santo, è creato l'uomo a somiglianza di Dio}ì (IRENEO, Adv. Haer. V, 6, 1). Al pari dell'omelista Anonimo, Melitone rappresenta una fase più arcaica dello sviluppo del dogma trinitario: lo Spirito Santo non è da essi mai nominato come terza Persona della Trinità; ma designa, nella sua accezione più forte, la natura divina di Cristo e il carisma conferito dal battesimo (vedi § 66). 61 Questa frase costituisce una specie di lugubre ritornello in tutta quest2 sezione dell'omelia: è ripetuta infatti ai §§ 92 e 93. L'affennazione che Cristo fu «ucciso durante la grande festa l) non significa che 1'Ielitone accetti la cronologia sinottica secondo cui Cristo morì nel giorno di Pasqua, il 15 Nisan. Melitone - come tutti i quartodecimani tradizionali - segue la cronologia che pone la morte di Cristo nel « giorno di preparazione della Pasqua» (Gv. 19, 14), cioè il 14 Nisan. La sua affermazione che Cristo morÌ «durante la grande festa» si spiega tenendo conto che, al tempo del Nuovo Testamento, Pascha designava di solito l'intero periodo di sette giorni degli Azimi (Mt. 26, 2; Lc. 2, 41; Gv. 2, 13 ecc.; GIUSEPPE FLAVIO, Antiq. 14, 21: «al tempo della festa degli azimi, che chiamiamo Pasqua »); di essi il 14 Nisan era considerato l'inizio, il primo giorno (Mt. -26, 17): cfr. R. CANTALAMESSA, L'omelia «In s. Pascha )ì, pp. 79-90 e nota., 62 In nessun testo del Vangelo si dice che Cristo bevve « aceto e fiele l). Matteo parla di «vino misto a fiele lì (Mt. 27, 34) e tutti gli evangelisti menzionano il fatto del soldato che offre a Gesù una spugna intrisa d'aceto (Mt. 27,48; Mc. 15, 36; Lc. 23, 36; Gv. 19, 30). In ogni caso nel Vangelo la bevanda non ha carattere di tormento inflitto a Gesù dai giudei. La diffusissima tradizione secondo cui a Cristo fu dato da bere aceto e fiele (vedi anche l'ANoNIMO, In s. Pascha, 22; PSEUDO-BARNABA, 7, 3. 5; IRENEO, Dimostrazione, 82 ecc.) è dovuta all'uso del Salmo 68, 22: «< Mi hanno dato per cibo il fiele, nella mia sete mi hanno abbeverato di aceto l»), come si trattasse di una profezia della Passione di Cristo. 63 I §§ 81-86 contengono una delle sintesi teologiche più dense e più lineari di tutta l'omelia. L'intera storia della salvezza è passata in rassegna, tappa per tappa, dalla generazione eterna del Verbo alla passione redentiva, per far risaltare ({ chi è colui che è messo a morte l), cioè la persona di Cristo.

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NOTE

Dapprima è tracciato il rapporto di Cristo con il Padre (§ 82: «Primogenito di Dio, generato prima della stella mattutina »), quindi il rapporto di Cristo nei confronti del creato, dalla creazione della luce a quella dell'uomo (§ § 82-83); segue il rapporto di Cristo con ['umanità intera (§ 83: da Adamo ad Abramo) e in particolare con il popolo eletto (§ § 83-84). Tutto il lungo iter di preparazione culmina con l'incarnazione (§ 86: « È lui che è venuto a te l»~ e con la passione (§ 86: « È lui che hai ucciso »). Fondamentalmente è lo schema dell'inno di Col. 1, 15-20. Non è difficile scorgere anche una parentela spirituale con il Prologo di Giovanni, con cui ha in comune l'idea che anima tutto il brano e ne costituisce la triste conclusione: « Israele non ha riconosciuto il suo Signore»; (l Venne tra i suoi - dice Giovanni - e i suoi non lo riconobbero» (Gv. 1, 11). 64 Letteralmente: « Tu non sei stato trovato 'Israele' poiché non hai visto Dio ». Non avendo riconosciuto Cristo come Dio, Israele non è più Israele, vale a dire «colui che ha visto Dio» (cfr. Gen. 32, 31). L'etimologia è accolta da Filone e da molti autori cristiani antichi. 65 Questo e i seguenti titoli dissipano ogni dubbio di monarchianesimo dalla cristologia di --Me1itone. Egli pr,ofessa apertamente la distinzione del Verbo dal Padre, basandola - come GIUSTINO (II Apol. 6, Dialogo 61, 1) -sulla generazione. Dietro l'esempio di Ebr. l,Be lO, 13, la frase « ante luciferum genitus » desunta dal Sal. 109, 3 «< ex utero ante luciferum genui te ») divenne uno dei titoli prediletti di Cristo. L'ANONIMO QUART. lo usa tre volte (In s. Pascha, 2. 9. 81). 66 Tutta l'economia del V. T. e gli interventi di Dio in esso narrati vengono attribuiti in proprio al Verbo. Questa dottrina comune negli scrittori dei primi tre secoli ebbe diversi impieghi, a seconda dei destinatari o degli interlocutori cui è diretta. Quando - come nel nostro contesto - è diretta contro il Giudaismo, essa vuoI dimostrare sull'esempio di Cristo stesso (cfr. Gv. 5, 39r che tutto il V. T. è pieno di Cristo e ne costituisce la {( dimostrazione ». Nell'Apologetica rivolta ai pagani e contro lo Gnosticismo, la stessa dottrina serviva a salvaguardare l'assoluta trascendenza del Padre - esigenza acutissima della filosofia religiosa del tempo - , attribuendo al Verbo tutti i rapporti con il cosmo e con gli uomini (testo classico: TERTULLIANO, Adv. J.l1arcionem, II, 27, 6: Il Padre è « il dio dei filosofi l); il Verbo è colui che prende su di sé le cose' indegne' del Dio supremo; colui che è udito, visto e che sempre ha conversato con gli uomini). Dopo Melitone questa stessa dottrina delle « teofanie del Verbo » servÌ contro l'eresia modalista per dimostrare la personale distinzione del Figlio dal Padre (cfr. TERTULLIANO, Adv. Praxean, 16). 67 Si hanno in questo paragrafo allusioni a episodi evangelici, come quello dell'adoràzione dei Magi, del centurione romano, della donna cananea e dei gentili che chiedono di vedere Gesù (Gv. 12, 20-22). Significativo è il tentativo - suggerito dalla polemica antigiudaica - di scagionare Pilato da ogni colpa, interpretando come una dichiarazione dell'innocenza di Cristo il suo gesto di lavarsi le mani: cfr. O. PERLER, in Revue Biblique

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71 (1964), pp. 585-586. Il tema indirettamente rientra nella concezione di fondo dell'omelia del rigetto d'Israele e dell'elezione dei gentili. 68 È questo uno degli esempi più arditi di applicazione del principio teologico deila «comunicazione degli idiomi)} nella letteratura cristologica primitiva. Un autore posteriore ci informa che gli eretici Teopaschiti adducevano questa frase in favore della loro dottrina (fu~ASTASIO SINAlTA, Vz'ae dux, 12: PG, 89, 197 A). Ma la frase, intesa rettamente (Dio - in quanto anche uomo - è stato assassinato), è perfettamente ortodossa e biblica. In epoca moderna la frase ha meritato a Melitone la qualifica di «( primo poeta del deicidio)} d'Israele (E. WERNER, MeNto oj SaTdis, the first poet oj Deicide: Hebrew Union Coll. Annual 37 [1966], pp. 191-210). 69 L'angelo di cui fa menzione Melitone, assente nel racconto dei Vangeli, è l'angelo che secondo un'antica tradizione abitava nel tempio. Lo spezzarsi del velo del tempio è qui interpretato come uno stracciarsi le vesti per il dolore da parte dell'angelo, al momento di abbandonare i giudei per passate ai gentili. Numerosi testi che documentano questa tradizione sono riuniti da C. BONNER, The Homily on the Passion, London 1940, pp. 41-45. È una ennesima variazione sul tema del rigetto d'Israele e dell'elezione dei gentili. 70 Il testo di questo paragrafo ha subìto, pare, delle omissioni nella trasmissione del testo greco. S. G. HALL, The Melito Papyri: J. Th. St., N.S., 19 (1968), pp. 499-502, ha proposto di completare il testo con l'aggiunta di tre kola pe'! ricostruire la simmetria del brano. Ho accolto nella mia traperché la si legge duzione solo la prima delle tre frasi (indicata dal segno nella versione latina «< impugnatus ab hostibus contremuisti l»~; mentre non ho ritenuto opportuno accogliere le altre due che, quanto al contenuto, si basano solo su una congettura. Ho però indicato il posto delle probabili lacune con puntini. Il contenuto delle due frasi ricostruite da Hall è il seguente: « hai dovuto temere coloro che ti assediavano i>, e «non hai avuto pietà del Signore l). 71 Questo linguaggio in prima persona di Cristo richiama i numerosi (1 ego eimi)} (Sono io) del IV Vangelo che a partire dal § 103 assumono valore predicativo o nominale (( lo sono la vostra remissione. lo sono la vostra Pasqua l}) e si ispirano ad analoghe dichiarazioni di Cristo «1 lo sono la Luce. lo sono la Verità ecc. il). Per la componente stilistica e retorica di questo particolare linguaggio, vedi nota 50. 72 In pochi tratti ci è offerta una rappresentazione drammatica della discesa agli inferi. Nel brano sembra aversi un'eco della Tradizione apostolica di IpPOLITO: «Offrendosi liberamente alla sua passione, a fine di sciogliere la morte, spezzare le catene del demonio, calpestare l'Ade ... )} (Trad. Apost. 4, ed. B. Botte, p. 14). La discesa agli inferi ~ come si vede dalla frase immediatamente successiva del testo - è intimamente legata alla risurrezione. È un tratto ·che diverrà caratteristico della liturgia e dell'iconografia bizantina. Vedi analoga descrizione nell'ANONIMO QUART., In s. Pascha, 111 e in quella dello PSEUDO-EpIFANIO (Appendice, p. 154). 73 L'uomo che Cristo rapisce verso le sommità dei cieli è la sua umanità

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60 II testo da me seguito si distacca in questo punto da quello dell'editore Nautin: vedi in proposito quanto ho scritto in L'omelia «In s. Pascha), p. 418. 61 Secondo lo gnostico TEODOTO (Estratti, 76, 1), «la nascita del Salvatore ci ha sottratti al divenire e al fato (d[J.O:PfLÉvi'}) ". e la sua passione alla passione ». L'omelista sembra ricalcare questo schema affermando che la venuta di Cristo ci ha affrancato dall'antica necessità (&.v&yx'I)) e che {( con la sua passione ci ha liberati dalla passione)} (§ 92). Il fato dal quale ci libera la nascita di Cristo è quello, ben noto alla grecità, degli astri; per l'ame1ista però esso è anche quello della legge mosaica definita « giogo di necessità) (§ 29). La passione dalla quale siamo stati liberati indica per l'omelista « la passione incorsa mangiando» (§ 92), cioè la conseguenza del peccato libero e storico dell'uomo; per Teodoto è la passione mitica derivata dalle vicende dell'eone Sophia. 62 La Pasqua cristiana ci è presentata, in questa seconda parte dell'omelia, secondo la concezione classica d.ella catechesi primitiva, come memoria liturgica di tutto il mistero cristologico e dell'intera redenzione: dall'incarnazione all'ascensione al cielo, passando per la passione, la morte e la risurrezione (vedi Introduzione, pp. 15-16). 63 La stessa riflessione si iegge nell'Haggada pasquale giudaica, a proposito della redenzione dell'esodo: {( Dio ci ha condotti fuori dall'Egitto: non per mezzo di un angelo né per mano di un Serafino, né per mano di un inviato, ma lui stesso, il Santo, con la sua Maestà) (R. BONFIL, Haggada di Pésach, p. 61). La fonte pare essere Is. 63, 9: (< Non un messaggero, né un angelo, ma il Signore in persona li salvò a causa del suo amore )~. 64 Questo importante testo è stato talvolta travisato. La contrazione (crucr't"oÀ1j) dello Spirito divino che si fa carne non ha nulla a che vedere con l'espansione e la contrazione della sostanza divina, di cui parla qualche testo modalista, né con la systolè degli stoici. Con linguaggio popolare, in esso è espresso un tema cristologico assai profondo: l'impossibilità di contemplare la natura divina al suo stato puro e, quindi, la necessità dell'assunzione della carne, come una specie di velo e di schermo, per trattare con gli uomini. Cfr. lo stesso concetto in PSEUDo-BARNABA, 5, lO; Odi di Salomone, 7, 3-6; lRENEo, Adv. Haer. IV, 28, 1; ORIGENE, De principti·s I, 2, 8; EFREM SIRO, Hymni de crucifixione III, 6 (CSCO, 249, Lovanio 1964, p. 41). Particolarmente affine è il seguente testo gnostico: {( Il Figlio Unigenito ... sapendo ... che i mortali atterriti sarebbero andati soggetti a rovina, sopraffatti dalla grandezza e dalla gloria della sua potenza, scende contraendo se stesso (aua't"dÀo:ç, come nel nostro testo) come folgore potentissima in un piccolissimo corpo, o meglio come la luce della vista racchiusa sotto le palpebre ... )~ (in !PPOLITO DI ROMA, Refutatio, VIII, lO, 3). A ragione dunque Celso attribuiva ai cristiani la seguente spiegazione dell'incarnazione: (< Poiché Dio è grande e difficile a contemplare) egli ha introdotto il suo proprio Spirito in un corpo simile al nostro e lo ha inviato quaggiù, affinché potessimo ascoltarlo ed essere da lui ammaestrati) (in ORIGENE, C. Celsum, VI, 69). 65 Dal punto di vista della precisione teologica, è questa senza dubbio

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NOTE

la proposizione più evoluta dell'intera omelia, tanto che qualcuno l'ha ritenuta un'interpolazione posteriore (M. Richard). Si può però documentare che questo assioma nacque nel corso del II sec., in polemica con gli gnostici e contro coloro che concepivano l'incarnazione come una metamorfosi della divinità (così Celso; vedi ORIGENE, C. Celsum, IV, 14). TERTULLIANQ (De carne Christi, 3, 4-5) scrive contro Marcione: {( Non puoi sostenere che se fosse nato e avesse realmente rivestito l'uomo (il Verbo) avrebbe cessato di essere Dio, perdendo ciò che era per diventare ciò che non era»; ORIGENE (De principiis, I praef. 4): (I Fattosi uomo, è rimasto ciò che era, cioè Dio l). Un'altra testimonianza assai antica ed esplicita è contenuta nel Frammento XIV di MELITONE (vedi Appendice, p. 145), nel quale si vede come alla radice dell'affermazione vi sia il celebre passo di Fil. 2, 6-7 (il Verbo nella forma di Dio e nella forma di servo). 66 Traducendo alla lettera, si avrebbe: {( affinché i primi .... partecipassero della natura e della sostanza umana l). Deve essere caduta una o più parole dopo {( i primi l} che costituiva il soggetto della frase. Dal contesto sembra doversi supporre che esso fosse lo Spirito divino, designato al plurale con una delle perifrasi care all'autore (cfr. § 1: i raggi dello Spirito; § 8: le aurore dello Spirito divino; § 76; le irradiazioni dello Spirito). Il senso generale è abbastanza chiaro. Era necessario che lo, Spirito divino fosse rivestito di un corpo perché Cristo potesse dirsi veramente partecipe della natura umana. ~ Ancora una volta si deve costatare la sorprendente affinità di linguaggio con lo gnostico TEODOTO che scrive: {( Gesù (= la sostanza spirituale o Eone Salvatore) trovò da rivestire il Cristo (= la sostanza psichica umana) ... Ma anche questo Cristo psichico che rivestì era invisibile: ma era necessario che questi che veniva nel mondo, al fine di essere visto, tenuto e al fine di vivere come gli altri, avesse anche un corpo sensibile; perciò gli venne intessuto un corpo di sostanza psichica invisibile, giunto nel mondo visibile per potE;nza di divina preparazione» (Estratti di Teodoto, 59, 2-4). La differenza essenziale tra il nostro omelista e la gnosi sta nel fatto che il primo ammette un unico e reale rivestimento che dà luogo a una vera incarnazione da Maria; la seconda invece presenta diversi rivestimenti successivi (almeno tre) e degradanti dal mondo dello spirito a quello della materia, rivestimenti esteriori più apparenti (docetismo) che reali, in quanto, si precisa, {( egli è diverso dagli elementi che ha assunto)) (Ibidem, 61, l). 67 La descrizione dell'incarnazione procede secondo un certo schema logico. Dopo aver presentato il soggetto che si incarna, lo Spirito divino del Verbo, l'omelista passa ora a trattare il corpo umano in cui il Verbo si incarna. È da notare anzitutto che l'autore, seguendo un'antichissima tradizione, concepisce la discesa del Verbo nel corpo come autoincarnazione: è il Verbo stesso che si plàsma il suo corpo (vedi ançhe MELITONE, Framm. XIV, p. 144). Nella descrizione delle qualità del corpo umano di Cristo si avverte quella tendenza encratita, qui di sapore gnostico, di cui si è parlato sopra (vedi nota 50). Il vagheggiamento d'una carne di Cristo filtrata e quasi ange1izzata non implica però una vera adesione al docetismo gnostico nonostante l'affinità di linguaggio

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con il solito TEODOTO (cfr. Estratti, 47, 2-4) e con altre fonti gnostiche del tempo. L'omelista infatti attribuisce una precisa funzione soteriologica alla carne di Cristo (vedi § 89) e parla di una salvezza cosmica, che si estende cioè anche all'universo materiale. La ragione del suo curioso scrupolo nella presentazione della carne di Cristo è da ricercare nella polemica antignostica in atto. Gli gnostici traevano motivo dalle ignominie connesse con la gestazione e con la nascita per negare che Cristo avesse preso una vera carne umana nel seno di lVlaria. La maggioranza degli autori non si lasciano intimidire da questa obiezione, particolarmente sentita dagli antichi, ma accettano con estremo realismo la carne di Cristo con tutte le presunte spurcitiae che scandalizzavano Marcione, adducendo a motivo che {{ Cristo ha amato l'uomo così com'è: l'uomo che si forma tra le ignominie dell'utero. Con l'uomo ha amato anche il modo con cui viene al mondo» (TERTULLIANO, De carne Christi 4, 1-3). Ma alcuni scrittori ecclesiastici - come il nostro omelista e Clemente Al. ~ accolgono in parte l'istanza gnostica e attribuiscono a Cristo una carne più pura e diversa da quella comune, anche se veramente Uffifuìa e nata da Maria. 63 Per il titolo di Cristo Oriente o Aurora (anatolè) vedi sopra nota 12. Dopo aver spiegato chi è che si incarna e ii corpo in cui si incarna, l' omeiista fa seguire una bella mennazione della duplice realtà di Cristo. {( Spirito e corpo), è il binomio con cui viene espressa abitualmente la duplice natura di Cristo (cfr. anche § 77: origine spirituale - forma corporale; § 88). Tale schema deriva da Rom. 1, 3-4 (secondo la carne - secondo lo Spirito) e fu in auge nel II sec. fuori del mondo giudaico dove' corpo' era più comprensibile che ' carne' come designazione della realtà umana. Lo usa anche MELITONE (P. Pascha, 66) ed è lo schema cristologico conosciuto da Celso (ORIGENE, C. Celsum, VI, 69. 77). Lo schema si alterna con l'altro più esplicito: Dio e uomo (§§ 86.88) e con quello giovanneo: Verbo - carne (Apologisti e Ireneo). 69 Spirito del Signore, anziché Spirito Santo che è la lezione comune. Si tratta di una variante attestata anche in GIUSTINO (Dialogo, 100, 5), in ORIGENE (Hom. in Num. 27, 2) e in altri, legata forse al tema dell'autoincarnazione del Verbo; questi infatti è chiamato spesso nel II sec. {{ Spirito di Dio o «( Spirito del Signore l,. 70 Il senso originario ebraico del termine generazione è incerto (la sua causa, o la sua generazione ?), ma in ogni caso non si riferiva certo alla nascita. La tradizione cristiana ne ha tutto un testitnonium della misteriosa origine di Cristo, applicandolo ora alla generazione eterna dal Padre, ora, come nel nostro testo, alla sua generazione miracolosa da Maria. 7l I §§ 79-87 sviluppano un'originale dimostrazione del tema antignostico: Cristo è Dio e uomo. insieme (l'intenzione è dichiarata esplicitamente al § 86). La dimostrazione che Cristo è Dio si svolge cosÌ. Al Verbo incarnato vengono attribuiti nelle Scritture quattro titoli (che nel corso della dimostrazione diventano sei): Signore, Figlio (di Dio), Dio, Re eterno, Signore delle potenze, Sacerdote eterno. L'autore lo dimostra adducendo per ogni titolo un testo biblico (quasi tutti testimonia tradizionali). Questi titoli però sono

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prerogative dello «Spirito divino )}, cioè della natura divina (è questo il senso della frase iniziale), e dimostrano perciò la presenza in Cristo della divinità. 72 Questo testo di Is. 45, 14-15 ebbe una notevole importanza nella cristologia del II sec. Si tratta di un brano facente parte di una raccolta di testimonia biblici suna divinità di Cristo. Lo dimostra il fatto che è citato, con lo stesso intento, dai Noeziani (IpPOLITO, C. NoetuJn,2), da TERTULLIANO (Adv. Praxean, 13, 2) e da CIPRIANO nella sua raccolta di Testimonia (Testim . . II, 6). Nel testo ebraico « in te J> significava ({ in Gerusalemme» e non avrebbe potuto essere quindi interpretato « in Gesù Cristo )ì, se non fosse stato letto staccato dal contesto, come tutti i testimonia. 73 La dimostrazione dell'umanità di Cristo è fatta citando il testo di Ger. 17,9: un antichissimo testimonium utilizzato in modo identico da lRENEo

(Adv. Haer. III, 18, 3; IV, 33, 11), da TERTULLIANO (De carne Christi 15, 1; Adv. Mare. III, 7, 6) e da CIPRIANO (Testim. II, lO). Il suo senso originario era: «Il cuore è complicato più che ogni cosa e perverso e chi può scandagUado? )}. Il significato tutto diverso con cui lo interpretano gli autori cristiani fu reso possibile dai Settanta che lessero enos (uomo), al posto di anus (inscrutabile) (cfr. GIROLAMO, In Ier. III, 74). 74. Allusione alla dottrina di Marcione secondo cui Cristo non era nato da Maria, ma era apparso direttamente all'età adulta, a modo di fantasma, senza cioè un reale corpo umano. Si potrebbe però scorgere in ciò anche un'allusione alla dottrina comune agli ebioniti, adozionisti e gnostici valentiniani, secondo cui lo Spirito divino discese sull'uomo Gesù solo al momento del battesimo nel Giordano (A. Orbe). 75 Il testo greco rende possibile anche la traduzione con Spirito principale nel senso di Spirito del Padre, con un riferimento a Ps. 50, 14 (A. Orbe). L'esegesi' trinitaria ' di Ps. 50, 14 si trova in lP..ENEO, Adv. Haer. III, 17,2 e ORIGENE (Horn. in Jer. VIII, 1; Comm. in Rom. 7, 1). Nel nostro contesto però essa mi sembra improbabile. 76 Paragone destinato a grande fortuna e a grandi controversie nella storia della cristologia: come all'inizio, in Adamo, lo « spiracolo di vita)} si unÌ al fango per fOffi1are l'uomo, cosÌ in Cristo lo (i Spirito divino» si è unito all'umanità. Ritroviamo il paragone in Ireneo, abbastanza simile nella struttura per pensare a una matrice comune, ma abbastanza diverso nella terminologia per ritenere indipendenti tra loro i due testi: (l Vani sono anche gli Ebioniti i quali ricusano di accogliere per fede nelle loro anime l'unione tra Dio e l'uomo (in Cristo) ... Essi non considerano che, come all'inizio della nostra fonnazione in Adamo il soffio di vita uscito da Dio unendosi a ciò che era stato modellato (dalla terra) ha animato l'uomo e l'ha fatto apparire animale razionale, così negli ultimi tempi il Verbo del Padre e Spirito di Dio, unendosi all'antica sostanza modellata di Adamo, ha reso l'uomo vivente e perfetto capace di comprendere il Padre perfetto)} (Adv. Haer. V,l, 3). Notare come anche Ireneo - al pari del nostro oroelista - usi Spirito di Dio come sinonimo di Verbo del Padre. 77 Il rapporto tra divinità e umanità (l'autore dice tra Dio e l'uomo)

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è visto come rapporto di contenente e contenuto (vedi anche § 77: il corpo umano di Cristo detto ricettacolo dello Spirito), Siamo nella fase ancora embrionale del problema dell'unione ipostatica, quella attestata da PSEUDOBARNABA (7, 3; Il, 9) che chiama il corpo di Cristo {( recipiente dello Spirito l), e da ERMA che definisce la carne abitazione dello Spirito (Pastore, Sim. V, 6, 5), La duplice natura di Cristo Dio e uomo, in questo periodo, è molto più importante, per combattere gli gnostici, che non l'affermazione 'della sua unità personale che si affermerà più tardi. 78 Lo schema cristologico Spirito corpo trova qui subito la sua applicazione soteriologica come in MELITONE (P. Pascha, 66): Gesù è Spirz'to e corpo per poter con lo Spirito redimere lo spirito e con il corpo sanare il corpo dell'uomo decaduto. . 71l L'omelista rientra qui nell'alveo della tradizione dopo aver subìto un certo richiamo dello gnosticimo o dell'encratismo nella descrizione dell'incarnazione (vedi § 77). Non solo il corpo di Cristo non è di natura eterea né di carne' angelica', ma è un corpo decaduto e soggetto alla corruzione come quello che ogni uomo eredita da Adamo. L'omelista applica all'incarnazione (e non solo al momento della passione) il testo di 1s. 53, 2-3, mostrando di accogliere la tradizione assai diffusa nell'epoca antignostica della non bellezza fisica di Cristo. 80 Nella frase è certamente contenuta un'allusione alla nota equazione: Pasqua = Passione (vedi sopra, nota 31). 81 Abbiamo finalmente l'interpretazione della frase di Gesù: {( Ho desiderato ardentemente mangiare con voi questa Pasqua prima di patire l) (Le. 22, 15) che l'ome1ista ha annunciato a più riprese (§ § 12 e 22). Per capire l'affermazione che Cristo {( non desiderava mangiare la Pasqua, ma piuttosto patirla)} bisogna· tener presente la controversia dibattuta nel corso del II sec. tra i sostenitori della cronologia giovannea della passione e i sostenitori della cronologia sinottica e che portò, pare, all'accesa disputa di Laodicea (vedi Appendice, p. 138). I quartodecimani tradizionali (Apollinare di Gerapoli) e altri scrittori seguaci della cronologia giovannea (Ippolito di Roma) ponevano l'ultima cena di Gesù al 13 Nisan, dal momento che egli muore nel pomeriggio del 14 (cfr. Gv, 18, 28), perciò essi erano costretti ad affermare che la Pasqua del 14, nell'anno della sua morte, Cristo non la mangiò, ma la sostituì morendo quale vero Agnello sulla croce. È quello che afferma, in nome dei quartodecimani, Apollinare di Gerapolì (vedi Appendice, p. 148) e, fuori dell'Asia Minore, IpPOLITO: «( Nell'anno in cui morì Cristo non mangiò la Pasqua legale, essendo egli stesso la Pasqua preannunciata e realizzata al tempo stabilito l} (Framm. in Chronicon paschale: PG, 92, 80) e ancora: «( Quanto alla Pasqua egli non la mangiò, ma la soffrì. Non era quello, infatti (cioè il 13 Nisan), il tempo stabilito per mangiarlal} (Ibidem). CLEMENTE MESS. difende lo stesso punto di 'vista: ({ Negli anni precedenti, il Signore, celebrando la Pasqua, mangiò l'agnello pasquale immolato dai giudei. Ma dopo aver predicato il Vangelo, essendo egli stesso la Pasqua, l'Agnello di Dio condotto come pecora al macello, spiegò ai discepoli il mistero della prefigurazione

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e questo il 13 ... Fu dunque il giorno seguente che il nostro Signore morì, essendo egli stesso la Pasqua immolata dai giudei)} (Framm. in Chronicon pasellale: PG, 92, 81). L'ultima cena, in cui Gesù istituì l'eucarestia, non fu quindi per questi seguaci di Giovanni una cena pasquale, o fu una cena solo teologicamente, non ritualmente pasquale. 32 È questo uno dei testi in cui meglio si scorge la concezione di fondo della Pasqua come ritorno alle origini, allo stato paradisiaco (cfr. R. CA.l\fTALAl'vIESSA, La Pasqua ritorno alle origini nell'omelia pasquale dello Pseudo-Ippolito: La Scuola Cattolica 95 [1967], pp. 339-368). La croce è vista ~ secondo una tradizione di cui abbiamo qui una delle più antiche testimonianze quale nuovo albero di vita; la mano di Cristo stesa sulla croce è vista quale antidoto alla mano stesa verso il frutto proibito. La serie dei parallelismi continua in sordina fino al termine dell'omelia. Pcr il testimonium di Dt. 28, 66 (la Vita appesa al legno) vedi nota 45, p. 99. 83 Al mangiare dell'albero di vita del paradiso si oppone il mangiare eucaristico del nuovo albero di vita che è Cristo, del quale chi mangia non muore (Gv. 6, 50): Israele, non avendo creduto (cfr. § 52), si è privato di questo nuovo cibo di vita. La gnosi spirituale indistruttibile che permette al cristiano di accostarsi al nuovo alberJ di vita a differenza della gnosi del bene e del male (Gen. 2, 17) è l'illuminazione venutagli dalla fede. Lo stesso accostamento tra gnosi e vita nella Lettera a Diogneto (12, 4-9). 84 Suggestivo inno ana crcce quale albero di vita e albero cosmico, che trova riscontro per la sua struttura nell'inno iniziale a Cristo Luce, nell'inno alla Legge (§§ 26-31) e nell'inno finale alla Pasqua (§§ 117-121). La concezione della croce quale albero di vita e albero cosmico si ricollega a un simbolismo magico-religioso molto vivo nei testi religiosi dell'antico oriente. Si confronti, per es., il § 97 dell'omelia con il seguente testo del Veda in cui si parla dell'albero cosmico: {( Con la tua sommità tu sostieni il cielo, con la tua parte mediana riempi gli spazi dell'aria; con il tuo piede consolidi la teTra lì (çatapatha Brahmana, III, 7, 1, 4; altre fonti in M. ELIADE, Images et simboles, Paris 1952, pp. 52-72). Il mondo biblico aveva largamente utilizzato questo simbolismo per descrivere la potenza di un re o di un impero, in testi di cui si avverte chiaramente l'eco nel nostro inno: Ezech. 31, 3-14; Dan. 4, 7-9. Più vicino ancora al nostro testo è un passo dell'apocrifo giudaico Libro di Enoch (1 Enoch 8, 1 ss.), in cui, con immagini affini, si canta l'albero paradisiaco che affonda le radici nel paradiso terrestre e ha la chioma piena di frutti nel terzo cielo. S5 Nella caduta, l'uomo aveva perso lo spirito di vita che era il suo manto di santità per rivestirsi delle foglie di fico (Gen. 3, 7), simbolo e punizione della concupiscenza (IRENEo, Adv. Haer. III, 23, 5). La croce rovescia tale situazione: lo spirito di vita torna ad essere la nuova veste dell'uomo che si è spogliato delle foglie di fico, cioè dell'uomo vecchio. È chiaro in tutto ciò l'influsso di Col. 3, 9-10 e Ef. 4, 23-24. L'opposizione tra lo spirito di vita (o Spirito Santo) e le foglie di fico, unita alla metafora del vestito, ebbe largo corso nel simbolismo primitivo. IpPOLITO scrive della nuova Eva, la Chiesa,

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simboleggiata da Maria Maddalena: « Essa non ha più per vestito le foglie di fico, ma è rivestita di Spirito Santo) (In Canticum canto 25, 5). L'applicazione battesimale è chiara in ASTERIO SOFISTA: « Non più si cuciono nel paradiso foglie di fico, ma nell'acqua si tesse una veste di porpora. Non è più il fico che ricopre, ma il Giordano che riveste di una stola) (Hom. in Psalmos, XVI, 10: ed. M. RICHARD, p. 121). GREGORIO NISSENO, in un'omelia sul battesimo di Cristo, scrive: « Tu ci hai spogliato delle foglie di fico, vesti miserabili, e ci hai rivestiti di una tunica gloriosa 1} (In diem luminutn: PG, 46, 600 A). 86 La scala di Giacobbe, in cima dIa quale « era appoggiato il Signore J) (Gen. 28, 13), è vista quale simbolo della croce, in cima alla quale è veramente appoggiato, cioè crocifisso, il Signore. Lo stesso accostamento tra la croce e la scala di Giacobbe si ha in autori contemporanei, quali GIUSTINO (Dialogo, 86, 2) e IRENEO (Dimostrazione, 45). 87 I chiodi, che hanno fissato materialmente Cristo alla croce, hanno spirituahnente inchiodato l'umanità alla divinidt, perché non se ne" distacchi più. Lo stesso pensiero esprime IGNAZIO D'ANTIOCHIA: « 80 che siete stabiliti in una fede incroHabile, come inchiodati alla croce di Cristo, per la carne e per lo spirito, fissati mediante la carità nel sangue di Cristo)} (Smirn. 1, 1). Lo stesso IGNAZIO chiama i cristiani « rami della croce~) (Trall. 11, 2). 88 In questa celebrazione della croce cosmica si avvertono diversi mo~ tivi stoici come quello del Logos spermatikòs considerato causa dell'unità e della sympatheìa o coesione di tutte le cose; quello dello Pneuma permeatore del cosmo e anima del mondo (cfr. TERTULLIANO, Apol. 21, lO). Sono, insomma, le funzioni dello PnelL-rna stoico che vengono trasferite alla croce cosmica. Qualcosa di simile era avvenuto nel giudaismo ellenistico che aveva applicate le stesse prerogative allo « Spii"ito del Signore) di cui è detto che « riempie la terra e tiene unite tutte le cose) (Sap. 1, 7). La croce non indica più lo strumento materiale, ma - come dice un apocrifo del tempo - « il Logos disteso) in forma di croce nelI'unÌverso (Atti di Pietro, 8). Questa spiritualizzaziùne era forse anche una difesa contro l'accusa dei pagani di essere « adoratori della croce l), cioè di una cosa materiale (cfr. TERTULLIANO, Adz:. nationes I, 12, 1). Ma la fonte principale va ricercata in Platone che aveva parlato dell'anima del mondo come di una X cosmica tracciata nell'universo (PLATONE, Timeo, 36 b; cfr. GIUSTINO, l Apol. 60, 1). Tra i mctivi stoici e platonici da una parte e la croce cosmica dei ci"istiani dall'altra si pone come anello intermediario FILONE che aveva applicate al Logos biblico le funzioni dello Pneuma e del Logos greco. Scrive: ({ Il Logos del Dio eterno è il sostegno più saldo e fermo di tutte le cose. Disteso dal centro ai confini e dalla cima al mezzo, egli prolunga il corso invincibile della natura, tenendo insieme e legate tutte le sue parti >} (De plantatz'one, 8). Si vedano anche i testi citati nella nota 48 e Quis rer. div. heres, 188: ({ Il Logos è la colla e il vincolo che riempie tutte le "cose della sua sostanza )}. La celebrazione della croce quale albero cosmico, in campo cristiano, non è limitata al nostro omelista, anche se egli ne dà la formulazione più compiuta. I vari temi si ritrovano tutti in due testi apocrifi del II sec.: il Martirio di Andrea e gli Atti di Giovanni.

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Trascrivo iI primo, che presenta le affinità più accentuate: «Salve o croce! Conosco il mistero per il quale sei stata piantata. Tu infatti sei stata fissata nel cosmo per consolidare ciò che era instabile. Una parte di te si innalza fino al cielo per additare il Logos celeste. Un'altra parte di te fu estesa a destra e a sinistra per volgere in fuga la potenza terribile del nemico e ridurre a unità l'universo. Una parte di te affonda nella terra per unire alle cose celesti ciò che è sulla terra e ciò che è sottoterra. O croce strumento di salvezza dell' Altissimo! O croce trofeo di vittoria di Cristo sui nemici! O croce che sei piantata sulla terra e hai il tuo frutto nel cielo! » (Martyrium Andreae pn"us, 14). La tradizione nata da Ef. 2, 13-17 vedeva simboleggiati nei due bracci trasversali della croce i due popoli, giudei e gentili, riuniti nel sangue di Cristo (IRE.l'ffio, Dùnostrazione, 34). Secondo invece l'interpretazione che l'omelista ha in comune con il il1artirio di Andrea ora citato e gli Atti di Giovanni (§ 98), i bracci trasversali tengono prigionieri o mettono in fuga gli spiriti cattivi dell'aria. 89 Questo paragrafo, che commenta l'episodio della preghiera nell'orto del Getsemani, dovrebbe trovarsi tra il § 92 e il § 93. Non è escluso che sia finito qui per una trasposizione verificatasi nella trasmissione manoscritta. 90 In questo paragrafo e nei seguenti viene tratteggiata una visione grandiosa e profonda della redenzione come ripetizione del dramma originale. Gesù è il nuovo Adamo che ripete a ritroso, tappa per tappa, il tragitto dell'umana perdizione. Protende con obbedienza la sua mano verso la croce ( § 93) che diviene cosÌ il nuovo albero di vita (§ § 94 ss.); prende su di sé le conseguenze del peccato (le spine: § 99); fa sgorgare dal suo fianco i sacramenti, nuova fonte di vita, in opposizione a Eva portatrice di morte (§ 100). Finalmente, annullata la maledizione del peccato, l'universo intero - attraverso una sorta di agonia o di dolori del parto che accompagnano l'agonia di Cristo ( §§ 104-6) - è ricondotto alla sua purezza iniziale, con lo Spirito divino che torna ad aleggiare su di esso (§§ 106-7). Cfr. il mio articolo: La Pasqua ritorno alle origini nell'omelia pasquale dello Pseudo-Ippolito: La Scuola Cattolica 95 (1967), pp. 339-368. Taluni particolari dei §§ 99-100 fanno pensare a una loro utilizzazione da parte di CIRILLO DI GERUSALE1\oIlVIE che scrive: «( Adamo ricevette la condanna: - La terra è maledetta nelle sue opere; essa produrrà per te spine e triboli -. Per questo Gesù ha preso su di sé le spine per togliere la maledizione... Una donna formata dal costato fu all'origine del peccato, ma Gesù venuto a recare la grazia del perdono agli uomini e alle donne ebbe il costato trafitto per le donne per cancellare il loro peccato) (Catech. XIII,

18: PG. 33, 793 C, 800 A). 91 Questa frase costituisce una citazione del Vangelo degli Egiziani. In un frammento conservato da CLEMENTE MESS. si legge questa dichiarazione messa sulle labbta di Cristo: «( Sono venuto a distruggere le opere della donna )) (Strom. III, 63). Il fatto è molto significativo per la datazione dell'omelia, in quanto questo apocrifo di tendenze encratite fu sconfessato e messo al bando come eretico già al principio del III sec., come ci attesta ORIGENE (Hom. in Le. in GCS, Orig. IX, pp. 4-5). Se il nostro autore avesse scritto

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dopo tale data difficilmente avrebbe potuto citare tale apocrifo in un momento così solenne della liturgia. Si sa invece che lo scritto godette di grande favore anche in ambienti ecclesiastici nel corso del II sec. 92 S. Paolo (Ef. 5, 25-27) parla di Cristo che, mediante l'acqua del battesimo, purifica la sua Chiesa, perché possa comparirgli davanti come sposa immacolata, senza ruga né macchia. S. Giovanni da parte sua dice che Cristo «ci ha purificati dai nostri peccati mediante il suo sangue l) (Apoc. 1, 5). Tutto questo è espresso dall'omelista mediante un tacito accostamento agli usi religiosi che accompagnavano il matrimonio presso i greci. « Le iniziazioni alle nozze)} (-roc ..É:Àe:llX ..&v Y&fLUlV) era espressione tecnica per indicare i riti e i sacrifici che precedevano le nozze (PLATONE, Leggi VI, 774 e ~ 775 a; POLLUCE, Onomast. 3, 38). La cerimonia più importante era il bagno nuziale in acqua sacra, al quale si sottoponeva la sposa la vigilia delle nozze. L'omelista ci dà, in tal modo, una sua interpretazione del tema biblico del battesimo come « bagno nuziale) della Chiesa (cfr. O. CASEL, Le bain nuptial de l'Église: Dieu Vivant, 4 [1945], pp. 43-49). Un'analoga spiegazione dell'acqua e del sangue del costato si ha nel frammento di APOLLINARE DI GERAPOLI (vedi Appendice, p. 149) e in !PPOLITO (In Daniel. I, 16, 2: la Chiesa, a Pasqua, « purificata viene presentata a Dio quale sposa pura l}). In filigrana si intravvede già nel nostro testo il simbolismo classico: come dal costato di Adamo dormente uscì Eva la sposa (l portatrice di morte l}, cosÌ dal costato di Cristo, immerso nel sonno della morte, uscì la Chiesa, la nuova sposa che dona la vita con l'acqua del battesimo (vedi TERTULLIANO, De anima 43, lO). L'espressione «nozze spirituali)} (pneumatz'kòs gamos) è corrente in questo periodo anche tra gli gnostici: cfr. lRENEo, Adv. Baer. I, 21,3: «Chiamano nozze spirituali quelle che si celebrano presso di loro a imitazione delle unioni celesti )}. 93 Il popolo giudaico e il popolo dei gentili. 94 I due atteggiamenti che l'uomo può assumere dopo aver peccato: quello della conversione o quello dell'ostinazione. 95 Ancora due temi legati all'idea della croce cosmica: la croce confine cosmico e la croce trofeo. La croce confine, o divisorio, di tutte le cose trae origine da 1 Coro 1, 18 (la croce potenza di Dio per i salvati e stoltezza per i reprobi); da questa interpretazione soteriologica si passa volentieri ~ nei testi gnostici prima e, sulla loro scia, in alcuni autori ecclesiastici - a una interpretazione antologica: la croce che divide il mondo della luce (Pleroma) dal mondo delle tenebre (Kenoma), il mondo spirituale da quello sensibile: « La croce è il segno del Limite del Pleroma, poiché separa i fedeli dagli infedeli, come il Lùnite separa il mondo dal Pleroma» (Estratti di Teodoto, 42, 1). La concezione della croce cosmica è un altro di quei punti in cui l'omelista mostra una certa propensione per il gusto e la terminologia gnostica che era diffusa nella letteratura apocrifa. del II sec. (si veda per es. il testo gnostico sulla croce in IRENEo, Adv. Baer. I, 3, 5 da confrontare con il § 96 dell'omelia). La dottrina della Croce-vt'ncolo cosmz'co (vedi nota 88) e quella della Croce-divisorio di tutte le cose, apparentemente contraddittorie, si trovano accostate e sviluppate a lungo anche in FILONE che applica anche questa

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ultima al Logos (cfr. la lunga trattazione sul" Logos-divisore in Quis rer. div. heres, 130-235). ~ A proposito della croce tropaion, trofeo (anche § 95), si veda il testo parallelo del j11artirio di Andrea (cit. nota 88) e GIUSTINO, (1 Apol. 55, 3). L'immagine desunta dal1inguaggio militare si è çonservata nell'inno alla croce dì VENANZIO FORTUNATO: « Super crucis trophaeo clic

triumphum nobilem l) (Pange lingua). 95 Secondo Melitone è un angelo che strappa il velo del tempio in segno di lutto come fosse la propria veste (vedi nota 69). Nel nostro testo è forse contenuta un'allusione a Ebr. 9, 11-12. 97 Uno degli aspetti più caratteristici dell'omelia è la concezione cosmica del mistero pasquale e della redenzione: la Pasqua è {( un mistero cosmico e universale)ì (§ 40); {( anima celeste di tutte le cose, iniziazione sacra del cielo e della terra (§ lO); ({Solennità cosmica, onore e cibo dell'universo lì (§ 107); la passione « un agone cosmicO)ì (§ 103); i suoi destinatari non sono solo gli uomini ma « tutte le cose », {( l'universo intero )ì (§ 2) di cui annunzia l'universale salvezza (§ 7). È in questa chiave di redenzione cosmica, e non di panteismo stoic'o, che va letto il § 105. Nell'incarnazione lo Spirito divino diviene Spirito incarnato in un corpo ,di uomo (§ 76). Nella passione questo stesso Spirito dall'umanità di Cristo si estende a tutta l'umanità e all'universo intero, divenendo {( Spirito che circola nell'universo )ì. Ritroviamo qui la caratteristica concezione dei quartodecimani secondo cui l'effusione dello Spirito è messa in rapporto con la morte di Cristo più che con la sua risurrezione. La terminologia ricorda quella stoica, ma il significato è radicalmente diverso: non si tratta di un'unione ipostatica, come nell'incarnazione, ma di una trasfigurazione del cosmo che prelude alla sua piena redenzione finale annunciata da S. Paolo (Rom. 8, 19-22). L'omelista, che concepisce la redenzione come ritorno alle origini, ha presente, con tutta probabilità, la scena dello Spirito di Dio che aleggia al di sopra del caos primordiale (Gen. 1, 2), quando parla dello Spirito che torna a espandersi nell'universo dopo la contrazione dolorosa della Passione. La concezione della Pasqua nella liturgia bizantina conserverà molti di questi tratti cosmici che sono tipici della soteriologia paolina (Efesini e Colossesi). 98 Il tema dell'espa1lSione dello Spirito di Cristo nell'universo raggiunge quello della crocifissione cosmica, sviluppato a lungo nell'elogio della croce (§ § 96-97). La croce non ha più ormai un senso concreto e materiale, ma indica la nuova forma che ha assunto la presenza dello Spirito di Cristo nell'universo: presenza dolorosa e gloriosa; è la crocifissione che perdura nei suoi effetti. 99 Affermazione teologicamente imprecisa perché implica la separazione della divinità (lo Spirito) dal corpo e dall'anima di Cristo nel triduo della morte, ma storicamente preziosa perché documenta la grande arcaicità dell'omelia. Per l'omelista, al momento della morte, la divinità (lo Spirito) si espande nei cieli, il corpo va nella tomba e l'anima soltanto scende nell'Ade a liberare i giusti. Seguendo una tradizione giudaica, l'omelista interpreta il paradiso di Lc. 23, 43 nel senso di uno speciale reparto dello sheol, riservato

ANONIMO QUARTODECIMANO

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alle anime dei giusti: cfr. L'omelia {( In s. Pascha )}, p. 242. ORIGEi\'E, all'inizio del III sec., corregge energicamente questa concezione: i tre componenti che si dividono nella morte di Cristo sono per lui il corpo, l'anima e lo spirito umano del Salvatore, mentre la divinità resta unita a tutti e tre (Dt·alogo con Eraclide, 7). Anche GREGORIO DI NISSA si chiede « come il Signore potesse essere contemporaneamente in tre luoghi: nel cuore della terra, nel paradiso con illadrone e nelle mani del Padre» (In Christi resurrectionem, I: PG,46, 613 D), ma la distanza teologica che lo divide dall'omeIista è enorme. Egli infatti formula chiaramente il concetto della permanenza dell'unione ipostatica della divinità sia con il corpo che con l'anima di Cristo: «Egli che aveva trasformato in natura divina tutto l'uomo per la sua unione con lui, durante il tempo' della morte non si separò da nessuna delle due parti che a"eva assunto ... La divinità che aveva diviso volontariamente l'anima dal corpo mostrò di essere rimasta unita a entrambi)} (Ibidem, 617 Ai cfr. J. DANIÉLOU, L'état du Christ dans la mort d'après Grégoire de Nysse: Historisches Jahrb. 77 [1958], pp. 63-72). Per questo motivo non ritengo che si possa interpretare l'espressione che segue: « L'indivisibile si è diviso)} nel senso tecnico della divisione indivisa (cfr. A. OREE, Estudios Valentinianos, I, Roma 1958, pp. 598 ss.), perché ciò suppone il concetto della permanenza dell'unione ipostatica nel triduo della morte che è lontanissimo dalla prospettiva cristologica dell'omelista. Si tratta invece d'una tipica figura di oxymoron, o paradosso, come quelle analoghe di lVI:ELlTONE: {( L'immenso è stato misurato; l'impassibile ha patito; l'immortale è morto» (Framm. XIII, p. 144). 100 Un'espressione identica a quella dell'omelista si legge negli Estratti di Teodoto (36, 2): \MMENTI DELLE OPERE PERDUTE

l'immenso è misurato e non oppone resistenza; l'impassibile patisce e non si vendica; l'immortale muore e non dice parola; il celeste è sepolto e lo sopporta. Quale nuovo mistero è mai questo? Stupisce la creazione. Ma non appena il Signore nostro risorse dai morti e concu1cò con i suoi piedi la morte e vinse il forte e sciolse l'uomo, allora ogni creatura comprese che fu a causa dell'uomo che il giudice fu giudicato, che l'invisibile fu visto, che l'incomprensibile fu preso, che l'immenso fu misurato, che l'impassibile patì, che l'immortale morÌ, che il celeste fu sepolto. Il Signore nostro infatti, fattosi uomo, è stato giudicato per far grazia; è stato legato perché potesse sciogliere; preso per poter liberare;

pati per concedere perdono; morì per donare la vita; fu sepolto per risuscitare

l}.

XIV Dal libro Sulla croce

12

(Ibide'm, p. 18)

({ Per questo egli venne a noi; per questo da incorporeo che era si tessé un corpo della nostra stessa natura. 12 Dalla lista di EUSEBIO (Hist. ecc!. IV, 26, 2) non risulta che J\tlelitone abbia scritto un libro « Sulla croce )}. Probabihnente questo titolo è stato desunto dal contenuto del frammento. L'opera cui apparteneva potrebbe essere quella stessa dalla quale derivano i frammenti IX-XII che svolgono il tema della passione e della croce (forse il trattato Sulla Pasqua di cui parla Eusebio in Hist. eccl. IV, 26, 2-3).

DI MELITONE

145

Apparso come agnello, rimase pastore; tenuto in conto di servo, non perse la sua dignità di Figlio; era portato da Maria, mentre era rivestito del Padre; calpestava la terra e riempiva i cieli; si mostrava bambino, ma non abbandonò r eternità della sua natura; rivestì un corpo, ma non sminuì la semplicità della sua natura

divina; apparve povero, ma non si spogliò delle sue ricchezze; bisognoso di cibo, in quanto uomo, non smise di nutrire il mondo in quanto Dio; rivestì la forma di servo a, ma non mutò la forma del Padre 13.

Nella sua natura immutabile egli era tutto. Stava dinanzi a Pilato, mentre era assiso con il Padre; era fissato al legno e sosteneva l'universo »).

xv Dal libro Sulla fede (Ibidem, p. 68) « Dalla Legge e dai Profeti noi abbiamo riunito tutte quelle cose che furono dette in vista del Signore nostro Gesù Cristo, per provare alla carità vostra che Egli è !'Intelletto perfetto e il Verbo di Dio generato prima della stella mattutina Ò 14. Questi è creatore [con il Padre]; colui che plasmò l'uomo; che era tutto in tutte le cose: a

Fil. 2, 6-7

Ò

Sal. 110, 3

13 La dottrina su Cristo illustrata nel presente frammento è la stessa che l'ANONIMO QUARTODECIMANO sintetizza nella formula: ({ Senza perdere ciò che aveva, assunse ciò che non aveva) (In s. Pascha, 76; vedi nota 65, p. 117 s.). L'espressione «forma del Padre) è una parafrasi di Fil. 2, 6: ({ forma di Dio ) e si spiega sqlo tenendo conto di un particolare linguaggio di Melitone: cfr. R. CANTALAMESSA, Il Cristo 'Padre' negli scritti del II-III sec.: Riv. St. e Lett. ReI. 3 (1967), pp. 21-22. 14 Allusione all'opera delle Eclogae: vedi framm. III. Si direbbe che definendo Cristo ({ Intelletto e Verbo) Melitone condivida la concezione di ATENAGORA (Supplica, lO) e degli altri Apologisti che sfocerà nell'idea del duplice stato del Figlio: come Ragione o Intelletto immanente nel Padre e come Verbo proferito: cfr. TEOFILO D'ANTIOCHIA, Ad Autolycum II, 22; TERTULLIANO, Adv. Praxean, 5.

10

FRAMl\4ENTI DELLE OPERE PERDUTE

146

Patriarca tra i patriarchi,

Legge sotto la Legge, Sommo Sacerdote tra i sacerdoti, Sovrano tra i re,

Profeta tra i Profeti, Principe degli angeli tra gli angeli, Verbo per la voce, Spirito nello Spirito, Re nei secoli dei secoli. Questi infatti è colui che in Noè

che che che che che

f1!

nocehiero,

guidò Abramo, in Isacco fu legato, in Giacobbe fu esule, in Giuseppe fu venduto, in Mosè fu condottiero)

che con Giosuè spartì 1'eredità,

che in David e nei Profeti predisse la sua passione 15. Questi è colui infine che nella Vergine si è i.llcamato, che a Betlemme fu partorito, che dai pastori fu contemplato,

che dagli angeli fu glorificato. Fu adorato dai Magi, fu additato da Giovanni, convocò gli Apostoli,

predicò il Regno dei cieli, guarl gli zoppi, ridonò la vista ai ciechi, risuscitò i morti, fu visto nel tempio,

non fu creduto dal popolo (ebraico), fu tradito da Giuda, fu catturato dai sacerdoti, fu giudicato da Pilato,

fu trafitto nella carne dai chiodi, fu appeso al legno,

15

La lista delle figure ricalca quella di P. Pascha, 59. Tutto il brano

richiama continuamente, per lo stile e per i temi, l'omelia pasquale di Melitone.

DI MELITOJ:\"E

147

fu sepolto nella terra, risorse dal regno dei morti,

apparve agli Apostoli, fu assunto al cielo, siede alla destra del Padre. Questi è il riposo dei trapassati, il rÌtrovatore degli smarriti, luce di coloro che sono nelle tenebre, redentore degli schiavi, sostegno degli erranti, rifugio degli afllitti, sposo della Chiesa, auriga dei Cherubini, principe dell' esercito angelico, Dio da Dio, Figlio dal Padre, Gesù Cristo, Re dei secoli. Amen l).

XVI Dal libro Sulla Domenica (dal Florilegium Achridense, ed. M. RrCHAPJJ, in Symbolae Osloenses 38 [1963], p. 79) Di Melitone vescovo di Sardi, nel libro Sulla Domenica:

« Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore, o chi fu suo conszgliere a se non il Verbo che si incarnò nella Vergine, che fu sepolto in terra, che risorse dai morti, che fu elevato al cielo, e che nel Padre fu glorificato?» ".

a Is. 40, 13; Rom. 11. 34. 16 Frammento scoperto recentemente. L'opera Sulla Domenica è men~ zionata da EUSEBIO CHist. eccl. IV, 26, 2). Il brano è una parafrasi del sim~ bolo cristologico del tipo di quelle che si hanno nel P. Pascha C§§ 70. 104).

FRAMMENTI DELLE OPERE PERDUTE

148

ApOLLINARE DI GERAPOLI,

Sulla Pasqua

Apollinare, vescovo di Gerapoli, fu contemporaneo e conterraneo di Melitone: entrambi infatti vissero in Asia Minore intorno alla metà del II sec. La sua produzione letteraria mostra, in parte, gli stessi interessi di quella di Melitone: scrisse anch'egli un'Apologia a Marco Aurelio nel 172; compose un'opera contro i giudei, combatté il montanismo e forse anche lo gnosticismo.

Dei suoi scritti - andati tutti perduti - conosciamo appena i titoli trasmessi da EUSEBIO, in Histona ecclesiastica, IV, 27, 1. I due preziosi frammenti qui riprodotti sono tramandati dal Chronicon paschale (una compilazione del VII sec.) che afferma di averli desunti da un'opera intitolata Sulla Pasqua (Peri Pascha). A giudicare dal contenuto dei due brani, tale scritto di Apollinare doveva somigliare da vicino al Peri Pascha di Melitone. Vi si trovano dei concetti e delle espressioni identiche. Ambedue rispecchiano la prassi quartodecimana dell'Asia Minore del II sec. In particolare, Apollinare sostiene che Cristo morì il 14 Nisan (cronologia giovannea); perciò nell'anno della SU::j. morte egli non mangiò la cena pasquale giudaica, ma la sostituì con la sua immolazione. Ritroviamo quindi in lui l'identica posizione sostenuta dall'Anonimo Quartoclecimano (cfr. § 92); Testo greco in Chronz'con paschale, ed. L. Dindorf, Bonn 1832, pp. 1314, riedito da O. Perler, in SCh, 123, pp. 244-246.

Anche Apollinare santissimo vescovo di Gerapoli in Asia, che fu vicino ai tempi degli Apostoli, nel libro che scrisse Sulla Pasqua, sostenne una posizione analoga scrivendo:

I « Altri suscitano contese intorno a queste cose per ignoranza; ma sono da scusare, giacché l'ignoranza non è da perseguire con l'accusa, ma piuttosto bisognosa di essere istruita. Essi dicono che il 14 [Nisanl il Signore mangiò l'agnello con i discepoli e che patì il giorno sole1::lne degli azimi e spiegano che Matteo dice come intendono essi. Ma la loro opinione è in disaccordo con la Legge e secondo essi i Vangeli sarebbero in contraddizione tra di loro)} 17.

17

Per la contesa alla quale si accenna vedi nota 81, p. 121.

DI APOLLINARE DI GERAPOLI

149

Scrive ancora nello stesso libro: II « Il 14 è la vera Pasqua del Signore, la grande immolazione 18; in luogo dell'agnello il Figlio di Dio; colui che fu legato e legò il forte"; che fu giudicato ed è giudice dei vivi e dei morti; che fu consegnato nelle mani dei peccatori per essere crocifisso; che fu innalzato sulle corna dell'unicorno 19; che fu trafitto nel santo costato b e fece sgorgare dal proprio fianco il duplice bagno di purificazione: l'acqua e il sangue: la Parola e lo Spirito 20; che fu sepolto nel giorno di Pasqua, con una pietra apposta al sepolcro ... )}.

a

Mt. 12, 29

b Gv. 19, 34

18 La più chiara formulazione del modo con cui i quartodecimani dell'Asia Minore concepivano la Pasqua: il ricordo della « grande immolazione )ì cioè della morte di Cristo avvenuta il 14 Nisan. 19 Le corna dell'unicorno significano la croce in quanto formata da un sol palo verticale (un sol corno) e da due bracci trasversali (le due corna). Questo simbolismo deriva dal Salmo 21, 22 (il Salmo che Cristo intonò sulla croce), che dice: {( Salva la mia anima dalle corna dell'unicorno)}, e anche da Dt. 33, 17. Scrive GIUSTINO: « Non si può dire che le corna dell'unicorno siano figura di altra cosa che della croce. Infatti un palo della croce si eleva verticale e da esso parte il tratto superiore dopo che gli si è unito il palo trasversale, le cui estremità appaiono da entrambi i lati come corna unite a un sol COrnO}ì (Dialogo, 91, 2). 20 Vedi sopra, nota 92, p. 125.

ApPENDICE

II

PSEUDO - EPIFANIO SULLA SANTA PASQUA Omelia derivala da Me/itone di Sardi

In questa raccolta di tutto ciò che resta di Melitone è giusto includere un pezzo attribuito nella tradizione manoscritta ora a Epifania di Salamina ora a S. Giovanni Crisostomo, ma che è costruito quasi per intero con materiali desunti da Melitone. L'omelia ~ della quale diamo qui la prima traduzione italiana - era conosciuta solo grazie a una traduzione latina che l'ascriveva a Epifanio di Salamina l, Il testo greco ritrovato recentemente in tre manoscritti della Vaticana, è stato edito da P. Nautin 2. Il titolo datole dall'editore «Sulla risurrezione}) si trova in uno dei due codici ed è dovuto alla frase iniziale dell'omelia. Ma è senz'altro da preferire il titolo Sulla santa Pasqua attestato dagli altri due manoscritti. L'omelista infatti, fedele alla fonte melitoniana e quartodecimana, concepisce la Pasqua soprattutto come Passione. Il contenuto, come nelle due omelie di Melitone e dell'Anoni.-no, verte quasi per intero sulla morte di Cristo vista come momento decisivo del mistero pasquale. Nonostante i numerosi punti di contatto (talvolta letterali) che l'omelia presenta con il Peri Pascha di Melitone, non pare che sia da quest'opera che il compilatore posteriore ha attinto, ma da un altro scritto di l\rIelitone: probabi1nente da quello intitolato: Sull'anima e il corpo e l'unità 3. Che il contenuto di questa breve omelia derivi, almeno in buona parte, da Melitone lo si deduce dal fatto che in esso si trova inserito alla lettera un brano tramandatoci sotto il nome di Melitone nel frammento XIII sopra riportato. Lo si deduce anche dal fatto che il contenuto coincide per buona parte con quello dell'omelia Sull'anima, sul corpo e sulla passione del Signore attribuita ad Alessandro di Alessandria, ma ritenuta dagli studiosi un'imitazione anch'essa di Melitone 4. l

Ed. in PG, 43, 505-508.

P. NAUTIN, Le dossier d'Hippolyte et de Méliton, Paris 1953, pp. 151-159. 3 Il titolo è dato da EUSEBIO, Hisi. ecc[. IV, 26, 2, in modo corrotto ed è stato 2

così interpretato -dagli studiosi moderni. 4 Resta di questa omelia una traduzione siriaca pubblicata in PG, 18, 586607 e una traduzione copta, edita da E. A. WALLIS BUDGE, Coptie Homilies in the Dialect oj upper Egypt, London 1910, pp. 115-132; pp. 258-274 (traduzione inglese). Hanno sostenuto la sua dipendenza da Melitone W. SCHNEEMELCHER e O. PERLER (vedi bibliografia i..."1iziale).

SULLA SANTA PASQUA

151

Attraverso quale trafila questi autori posteriori abbiano attinto da Melitone è difficile stabilire, anche perché il testo originale di Melitone - per le sue spiccate caratteristiche di stile e forse grazie anche all'impiego liturgico - pare abbia ispirato numerose imitazioni e adattamenti. Le possibilità sono due: o entrambi (l'autore della presente omelia e Alessandro) hanno attinto - indipendentemente l'uno dall'altro - da una fonte intermedia; o il nostro omelista (che pare scriva dopo il 381) ha utilizzato Melitone attraverso Alessandro. Ciononostante riproduco qui l'omelia dello Pseudo-Epifanio a preferenza dell'altra, perché nella sua brevità mi pare contenga meno elementi dovuti a rielaborazione posteriore: più vicina quindi al tenore dello scritto di Melitone. Rispetto alle due omelie pasquali di Melitone e dell'Anonimo Quartodecimano, questa che presentiamo qui manca di tutta la prima parte relativa alla Pasqua della Legge, manca quindi dell'elemento tipologico. Il suo carattere compilatorio appare evidente: si tratta di brani stralciati da uno scritto più esteso (o forse anche da più scritti) e messi insieme. Le cuciture risultano evidenti nei bruschi passaggi di stile e di contenuto.

TESTO 1. Ora il lutto della morte è baudito ed è giunto lo splendore della risurrezione. È questa la grande prova della sua carità: Cristo morendo ha distrutto la morte di cui l'uomo era debitore; ha dato in riscatto anima per anima, corpo per corpo, l'uomo intero per l'uomo, morte per morte 1. 2. Quando mai un giusto è morto al posto di un malfattore? Quale padre è morto in vece del figlio o quale figlio in luogo del padre?

l Frase derivata in parte da CLEMENTE ROMAL'l"O: ({ Per la carità che ebbe per noi Gesù Cristo Nostro Signore, secondo la volontà di Dio, ha .dato per noi il proprio sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima) (Ad Coro 49, 6). La fa sua anche I:Rfu~EO: «Il Signore ci ha redenti con il proprio sangue, dando la sua anima per le nostre anime e la sua carne per la nostra carne)ì (Adv. Haer. V,l,l). Il testo interessa la storia della cristologia perché è una delle prime affermazioni esplicite dell'anima umana del Salvatore.

152

PSEUDO~EPIFANIO

È quello che il Signore ha fatto per noi, non contentandosi di averci plasmato di propria mano in Adamo 2, ma rigenerandoci per mezzo dello Spirito nella sua passione 3.

3. L'empio popolo dei giudei ha ucciso il proprio benefattore, dandogli in cambio male per bene, tristezza per gioia, morte per vita. Hanno ucciso appendendolo a un legno colui che risuscitava i loro morti, che sanava gli storpi, che ridonava la vista ai ciechi 4. 4. Guardate o uomini, guardate nazioni tutte quale misfatto inaudito: Hai1..l10 appeso colui che' appese la terra; hanno fissato al legno colui che fissò l'universo 5; hanno misurato colui che misurò i cieli 6; hanno legato colui che scioglie i peccatori; hanno abbeverato d'aceto colui che dà a bere la giustizia; hanno abbeverato di fiele colui che nutre con la vita; hanno distrutto le mani e i piedi di colui che aveva guarito loro le mani e i piedi; hanno chiuso con la violenza gli occhi di colui che aveva donato loro la vista; hanno sepolto colui che aveva ridestato i loro morti 7.

Vedi nota 60, p. 103. Creazione e redenzione sono accostate entrambe come opera di Cristo (cfr. Col. l, 15-20); allo «spiraculum vitae)} della creazione fa riscontro la pienezza dello Spirito elargito nella redenzione. In accordo con la tradizione quartodecimana antica, l'effusione dello Spirito non è messa in rapporto con la risurrezione, ma con la morte. 4 L'intero brano si legge in lVIELITONE, P. Pascha, 72. 90. S Cfr. lVIELITONE, P. Pascha, 96. 6 Sembra che l'autore alluda a un'azione COncreta: Cristo sarebbe stato misurato, forse in vista della crocifissione. Il particolare è ripetuto varie volte. 7 I §§ 3-4, con pochissime e lievi varianti, si leggono anche in ALESSANDRO DI ALESS., De anima et corpore, 5 (PG, 18, 598 B-D). 2

3

SULLA SANTA PASQUA

153

5. O nuovo mistero e prodigio incredibile! Il giudice è' giudicato, colui che scioglie i prigionieri è legato, colui che fissò la terra è inchiodato, colui che appese l'universo è appeso, colui che misurò i cieli è misurato, colui che diede in cibo la vita è cibato di fiele, colui che vivifica tutte le cose è morto, colui che risuscitò i morti è seppellito s. 6. Al vedere il Signore appeso al legno i sepolcri si aprirono, l'Ade si spalancò, i morti risorsero, le anime uscirono fuori e molti risuscitati furono Visti m Israele '\ mentre si compiva il mistero di Cristo 9. Egli innalzò sulla croce la carne b, affinché si vedesse la sua carne esaltata e la morte caduta ai piedi della carne. 7. Allora gli angeli furono ripieni di stupore e le potenze del cielo rimasero attonite per la paSSIOne di Cristo. Fu atterrito tutto il creato che pieno di stupore esclamò: Cos' è dunque questo nuovo mistero? Il giudice è giudicato e tace; l'invisibile è visto e non arrOSSIsce; a

Mt. 27, 52-53

b

Cv. 12, 32

8 Tutto il brano è un'applicazione del principio teologico della comunicazione degli idiomi (vedi nota 68, p. 105). Delle varie antitesi, particolare risonanza ebbe la prima: « il Giudice è giudicato », presente anche in Apollinare di Gerapoli (vedi sopra, p. 149) e in vari testi liturgici, fino a quello dell'attuale liturgia bizantina nei vespri della III Domenica di Quaresima. La fa sua anche S. EFRE1'" SIRO, Hymni de Paseha, I, 5 (CSCO, 249, p. 2). 9 Il mistero di Cristo è espressione paolina (Col. 4, 3; Ef. 3, 3). Come in S. Paolo esso abbraccia tutto il mistero dell'economia divina (cfr. Col. 2,2); qui però ha il senso più specifico che ha in MELITONE mistero del Signore (P. Pascha, 33. 51. 61) e mistero della Pasqua (P. Pascha, 2): vale a dire la passione e morte, tanto è vero che nella fonte parallela di ALESSANDRO DI ALESS. è ridato con mistero della croce (PG, 18, 599 A).

Il

154

PSEUDO_EPIFANIO

l'incomprensibile è preso e non si ribella; l'incommensurabile è misurato e non oppone resistenza; l'impassibile patisce e non si vendica; l'immortale muore e sopporta; colui che dimora in cielo è sepolto e tollera. Perché questo nuovo mistero? Non è forse tutto a causa dell'uomo? 8. Ma il Signore che si era dato spontaneamente alla morte risorse dai morti, dopo aver schiacciato la morte, legato il forte e sciolto l'uomo lO. La morte poi, fuori di sé, cadde ai piedi di Cristo; 1'Ade fu trascinato come prigioniero dietro il trionfo; tutte le sue potenze furono volte in fuga, avendo ascoltato la voce di Cristo, come dice la Scrittura: ({ Non abbiamo .visto il suo volto, ma abbiamo udito' la sua voce)} Il. L'Ade infatti non vide la faccia del Signore, ma udì la sua voce che diceva: « Anime in ceppi, che giacete nell' ombra di morte, uscite fuori: io vi annuncio la vita; io sono Cristo, la vostra vita» 12. 9. Allora l'Ade, ascoltando ciò, si dissolse: le sue porte di bronzo si spezzarono; i suoi catenacci di ferro si ruppero; le anime dei santi uscirono fuori, camminando sulle orme di Cristo. Si compì in quel momento il detto della Scrittura: « Là egli spezzò le porte di bronzo e ruppe i catenacci di ferro» 13.

lO L'intero brano « Tutto il creato pieno di stupore» (§ 7), fino a « sciolto l'uomo» (§ 8) coincide con il Framm. XIII di Melitone (vedi sopra, p. 143 s.). 11 A proposito di questa pseudo-citazione biblica, vedi nota 101, p. 127 s. 12 Vedi MELITONE, P. Pascha, 102-103. La frase: «Uscite fuori, anime che siete nei ~eppi l) sembra aver circolato come un agraphon biblico. Come tale la si legge in forma affine in CLEMENTE MESS. (Strom. VI, 6, 44, 3). Si tratta di un adattamento al descensus di Is. 49, 9. 13 Il versetto del Salmo 107, 16 è applicato alla discesa agli inferi anche dall'Anonimo (vedi § 118).

155

SULLA SANTA PASQUA

lO. Anche la terra fece risuonare la sua voce: Sovrano, risparmiami i tuoi castighi; togli da me la tua maledizione, poiché ho accolto il sangue e il corpo degli tuo stesso corpo; o Sovrano, riprenditi il tuo Adamo!

UOffillll

e il

11. Risorse dunque in capo a tre giorni, insegnando a noi ad adorare la Trinità nell'unità H. Tutte le stirpi delle genti furono salvate in Cristo. La condanna di uno solo significò la salvezza di miriadi: per tutti infatti è morto il Signore 4. 12. Avendo rivestito nuovamente tutto l'uomo, egli salì nell'alto dei cieli, recando in dono al Padre non oro, né argento, né pietra preziosa, ma l'uomo che aveva plasmato a sua immagine e somiglianza 15. 13. Il Padre lo innalzò alla sua destra, lo fece sedere su un trono eccelso b {( finché siano posti i suoi nemici sotto i suoi piedi »C. Verrà, infatti, come giudice dei V1VI e dei morti e il suo Regno non avrà fine 16. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

4

2 Coro 5, 14-15

hIs.6,l

c

Sal. 110, 1; Ebr. lO, 13

a Il simbolismo trinitario del triduo della morte e la parola stessa Trinità non può risalire a Melitone, che ignora ancora del tutto questa problematica. Il particolare si legge anche in ALESSANDRO DI ALESS. (PG, 18, 603 A) e questo induce a ritenere che i due abbiano attinto da un testo di Melitone già rimaneggiato in seguito alla controversia ariana, o che il nostro autore abbia attinto da Alessandro. Il riferimento alla Trinità nel triduo della morte è frequente a partire dal IV sec. 15 Vedi nota 106, p. 129. Il concetto dell'umanità offerta quale dono da Cristo al Padre si legge anche in IpPOLITO (C. Noetum, 4) e in ALESSA1\'DRO DI ALESS. (PG, 18, 603). 16 Gli ultimi paragrafi sono un commento alle proposizioni del simbolo cristologico. La frase (< e il suo regno non-o avrà fine )~ fu aggiunta al Simbolo nel Concilio di Costantinopoli del 381, per reazione all'eresia di Marcello di Ancira. La redazione attuale dell'omelia è dunque posteriore a tale data. Anche la dossologia trinitaria che segue non è sicuramente melitoniana.

INDICI

INDICE BIBLICO

GENESI

1, 1 p. 35 1, 2 126 2, 4-5 35 2, 7 35, 77, 97 2, 8 35 2, 16-17 35 2, 17 122 3, 1 S8. 35 3, 7 22 3, 19 37 4, 8 36, 38 8, 8 112 19,31-38 37 22,2 99, 142 141 22, 6 22, 6-10 142 22,9 38, 99, 141 22, 13 142, 143 28, 13 123 30, 37 71 32, 31 44, 104 37, 28 38 ESODO

3, 5 p. 71 4, 2-5 71 8, 15 111 lO, 21 29 12 15, 109, 110, 132 12, 1 ss. 25, 89 12, 1-15 59, 110 12, 2 67 12, 3 38, 69 12, 35S. 90 12, 3.5 27 12, 3.8 27 12,4 69, 114, 116 12, 5 69 12, 6 27, 61, 62, 69, 102

p. 27, 70, 91 12, 7 47, 70 12, 8 12, 8.15 71 61, 70 12, 9 25, 27, 71 12, lO 27,61,66,71,72,115 12, 11 12, 11.27 27 12, 12 66 12, 12.29 27 61, 67, 72 12, 13 27 12, 14 61 12, 15 65 12, 29 28 12, 29-30 12, 42 92, 99, 113 12,43-44 116 12,43-49 59 72 12, 44 41,61, 62, 73 12, 46 12, 49 73 45 13, 21 14, 16 71 14, 31 111 45 14-15 132 15, 1 88. 15, 1-18 85, 86 115 15, 23-25 15, 25 72 16, 4-35 45 45 17, 4-7 81 17, 6 116 17, 11 ss. 19-24 45 25, 40 94, 110 60 27, 8 31, 18 64

NUMERI

17, 23 24, 17

p. 71 109

INDICE BIBLICO

160

34, 2

36, 2

p. 34 34

DEUTERONOMIO

4, 12 21, 23 28, 66 32

p. 127 99 39, 99 102 32, 188. 85, 86 33, 17 149

45, 7-8 68, 22 77 89, 27 105 107, 16 109, 3 110, 1 110, 3 110, 4

p. 76 103 102 75 102 84, 154 104 75, 155 55, 57, 145 76

PROVERBI

GIUDICI

8, 28 1 S8.

p.44

p. 45 ECCLESIASTE

1 RE 1 58. 19, 9

p. 45 38

3,

155.

12, 7

2 CRONACHE

3, 1

p. 99, 142

p. 127 SALMI

2, 1-2 p. 39 2, 7-8 75 18, 1 56 18, 14 14 21, 22 149 24,7 83 24, 8-10 83 24, 9-10 76 34, 5 29 34, 12 41 37, 21 41

DEI

CANTICO

2, 3

GIOBBE

28, 22

p. 32 37, 97

CANTICI

p. 78

SAPIENZA

1, 7 p. 79, 123 11, 15 112 17, 2-21 28 17, 6 29 17-19 92 18, 1 127 18, 12 29

ISAIA

1, 1, 2, 3,

7 15 3 lO

p. 71 69 26 41

161

INDICE BIBLICO

6, 1 p. 155 7, 13-14 76 9, 2 37 9, 4-5 76 11, 1-2 n 11, 19 41 29, 18 77 31, 5 116 35, 6 77 40,13 147 42, 6-8 77 45, 14-15 120 49, 9 154 50,8 50 51, lO 44 111 53, 1 53, 2-3 77, 121 39 53, 4 25, 26, 34, 41, 69 53, 7 90, 141 53, 7-8 39 53, 8 75 53, 9 77 61, 2 68 63, 9 117 65, 2 116

DANIELE

+,

p. 65

37 42 39, 41, 90 79, 120 42

EZECHIELE

p. 111 1, 13 31, 3~14 122 47, 3 143

p. 122

GIOELE

3, 3 3, 3-4

p. 112 66

AMOS

5, 18-20 p. 67

MICHEA

+,2 6, 3-4

p. 26

102

ZACCARIA

2, 14 4, 2 6, 12

GEREMIA

4, 3 5, 8 7, 6 11, 19 17, 9 22, 3

7-9

p. 34

II1 75, 109

MALACHIA

I, 10-12 p. 34 112 3, 1 109 4,2

MATTEO

2, 3, 3, 3, 5, 7, 7,

11 p. 46 1 112 11 80 16 112 26, 33, 94 17 6 72 13-14 79

INDICE BIBLICO

162

8, 5-13 p. 46 8, 17 39 9,23 92 9, 27-31 43 lO, 21 36 Il, 5 41 12, 9-13 42 12, 13 46 149 12,29 13, 33 72 13, 52 25, 57, 109 14,25 57 15, 24 70 15, 25 46 15, 27 114 17,24-27 45 20,28 50 22, 1-14 131 22, 10-11 84 22, 11 131 25, 1-13 131 132 25, 8 26,2 103 103 26, 17 26, 26 70 26,26-28 78 26,41 80 26,42 42, 62 27, 11 51, 52 103 27,34 27,46 102 27,48 103 27, 51 48, 81 27, 52-53 84, 153 28,9 63, 83 MARCO

3,27 5, 38 lO, 45 13, 12 15, 26 15, 33 15, 36

p. 50 92 50 36 48 48 103

LUCA

1, 35 p.75 1, 68 107 1, 76 112 1, 78 109 1, 79 37 2, 41 103 3, 16 71 5, 18-26 43 5, 31 77 7,22 41 8, 54 82 12, 49 70 13, 20-21 72 16, 21 114 18, 31 ss. 98 22, 15 58, 62, 121 22,20 78 22,42 80 22,44 57 23, 33 80 23, 36 103 23, 43 62, 81, 126 23, 45 81 23, 46 81 24, 25-27 98 24,26 42 24, 39 71 24,44-46 98

GIOVANNI

1, 3 p. 1, 11 1, 14 1, 17 1, 29 2, 13 2, 19 3, 14 3, 17 5,22.27-29 5, 36

35 104 34, 100 25, 90 50, 69, 90 103 112 48 109 51, 52 109

163

INDICE BIBLICO

5, 37 p. 128 5, 39 104 6, 12 65 6, 31 63 6, 50 122 8, 12 50 8, 28 48 9, 188. 46 lO, 30 91 lO, 30.38 51, 52 11, 18s. 46 11, 1-44 43 11, 25 50, 51, 52 11, 43 82 12, 20 46 12, 20-22 104 12, 28 48 12, 32 153 12, 32.34 48 12, 38 111 14,9 128 14, lO 91 16, 28 130 18, 28 121 18, 37 51, 52 19, 14 51, 52, 103 19, 19 48 19, 30 103 19, 33.36 25, 41 19, 34 80, 149 20, 21 109 20,27 71

ATTI

2, 27.31 p. 41 2, 33 51, 52 4, 12 50 4, 25-28 39 7, 18s. 102 7, 55 51, 52 8, 32 25 17, 28. 98

ROMANI

1, 3-4 p. 100, 119 37 1, 27 36, 97 1, 28-32 2, 18-20 112 5, 12 36, 37, 129 97 5, 12 ss. 8, 3 77 8, 19-22 126 26, 33, 90 lO, 4 lO, 15 71 11, 34 147

1 CORINTI

1, 18 p. 125 5, 6-8 14 5, 7 15, 72, 100 6, 9-11 36, 97 lO, 4 . 81 11, 25 78 15, 26.55 77 15, 28 26 15,47-49 83 15, 56 82

2 CORINTI

1, 22 p. 40 2, 17 114 4,4 33 5, 14-15 155 5, 17 26 12, 2-4 96

GALATI

3, 12 3, 13 3, 28

p. 99 40, 73 73

INDICE BIBLICO

164

p. 73 4, 7 34 4, 25-26 36, 97 5, 19-21

EFESINI

1,4-12 p. 100 1, 13 40 51, 52 1, 20 2, 13-17 124 3, 1-13 100 3, 3 153 3, 4 15, 89, 100 4, 22-23 83 122· 4, 23-24 4, 24 100 4, 30 40 5, 25-27 125

1

2, 3, 3, 6,

5 15 16 16

TIMOTEO

p. 70, 115 94 33, 130 91

EBREI

p. 26 1, 3 1, 13 104 98 3, 13 94, 110, 111 8, 5 9,9 93 126 9, 11-12 9, 14 93 lO, 1 13, 93, 108 lO, 13 104, 155 11, 19 93 12, 22 34 12, 24 98

FILIPPESI

2, 6 2, 6-7

p. 91 118, 145

COLOSSESI

1, 1, 1, 1, 2, 2,

3, 3, 4,

p. 44, 68, 128, 141 15 15-20 104, 152 17 26, 35 18 82 2 153 9 112 9-10 83, 1Z2 11 26 3 15, 89, 100, 153

1 TESSALONlCESI

S, 23

p. 82

1

1, 2, 3, 4,

PIETRO

p. 27, 34, 73, 90, 102 19 21.25 39 19 131 11 91

ApOCALISSE

p. 82, 125 1, 5 1, 6 91 51, 52, 112 1, 8 1, 12-17 1Ù 8 3, 1-6 4,5 111 41 5, 2 12, 14 116 85, 86, 132 15, 3 34 21, 2 SS. 21, 3 34 51, 52 21, 6

INDICE DEGLI AUTORI Acta Pauli, 15 AFRATE SIRO, 116 AGOSTINO, 7, 15, 16, 97 ALAND K., 137 ALESSANDRO DI MESS., 97, 150, 151, 152, 153, 155 AMBROGIO, 128 ANASTASIO SINAITA, 7, lO, 105, 139 ANFILOCHIO D'!CONIO, 128

APOLLINARE DI GERAPOLI, 5,

6,

90,

APULEIO, 13 ARISTOFANE, 112

100 Ascensione di Isaia, 131 ASTERlO SOFISTA, 102, 123 ATANASIO, 15, 112 ARIsTOTELE,

145

Atti di Andrea, 115 Atti di Giovanni, 91, 115, 123, 124

Atti di Pietro, 123 Atti di Tommaso, 128 18

7, 13, 17, 89, 105 BOTTE B., 105

BONNER C"

BOWMAN

CALLISTO,

J.,

14

EFREM SIRO, 102, 117, 153 ELIADE M., 122 ELIO ARISTIDE, 13, 111 EPIFANIO DI SALAl\lINA, 150 Epistola a Diogneto, 108, 122

Epistula Apostoloru1Il, 15 91, 108, 121 IV Esdra, 102 Estratti di Teodoto, 96, 100, 125, 127, 128 ERMA,

CESAREA, 8, lO, 11, 101, 109, 111, 113, 131, 135, 136, 137, 138, 139, 144, 147, 148, 150 Exultet, 16, 107

EUSEBIO DI

Florilegium Achridense, 147 Florilegium Edessenum, 143, 144, 145 FILONE, 92, 93, 94, 95, 104, 111, 112, 113, 115, 116, 123, 125, 136 N., 92

R., 11, 12, 13, 16, 18, 91, 93, 95, 103, 113, 122, 124, 139, 145 CASEL O., 14, 125 CELSO, 117, 119 . CHADWICK H.. 7 Chronicon paschale, 137, 148

99, 120

CIRILLO ALESS.,

13, 111

J., 140

FUEGLISTER

Il

CANTALAMESSA

CIPRIANO,

13, 99, 127

Dottrina di Taddeo, 109, 131

93, 121, 125, 148, 153

R.,

J"

DOELGER F.

Apocalisse di Mosè, 129 Apocalisse di Pietro, 131

BONFIL

DANIÉLOU

DIONE CRISOSTOMO,

100

ATENAGORA,

CROMAZIO D'AQUILEIA, 113

CRoss F. L., 14 DIODORO DI TARsa, 110

ANSELMO, 96 APELLE,

8, lO, 91, 93, 99, 100, 109, 111, 121, 124, 127, 129, 131, 154 CLEMENTE ROMA..l\IO, 132, 151 CRISOSTOMO G., 11, 150 CLEMENTE ALESS.,

113, 124

GABBA E., 136 GAERTNER B., 14 GAILLARD J., 16 GAMALIEL, 101 GmoLAMo, 8, 13, 120 GIUSEPPE FLAVIO, 103 GIUSTINO, 91, 93, 94, 96, 98, 99, 100, 104, 109, 113, 115, 116, 119, 123, 126, 136, 137, 149

166

INDICE DEGLI AUTORI

GREGORIO NAZ., 90, 114, 129 GREGORIO Nrss., 123, 127 GRILLMEIER A., 97

8, 9 125 Predicazione di Pietro, 91

POLICRATE DI EFESO, POLLUCE,

PROCLO DI COST., 93

Haggadapasquale, 13, 14, 18,92,111, 112, 117, 142 HALL S. G., 17, 89, 105 HALTON T., 100 HUllER

W., 9

KA..EHLER

E.,

8, 131

PSEUDO-CRISOSTOMO, 114

151

130

8, 116, 123,

130 JpPOLlTO DI ROMA, 11, 99, 100, 105,

109, 111, 116, 117, 120, 121, 122, 123, 124, 130, 151 LATTANZIO,

116, 117, 121 PSEUDO-CIPRIANO,

PSEUD'O-EpIFANIO, 105, 128, 129, 150,

IGNAZIO D'ANTIOCHIA,

LE DÉAUT

PSEUDO-BARNABA, 8, 93, 98, 99, 103,

108 R., 92, 99, 113

LEONE MAGNO, 7

LERcH D., 99

QUASTEl'!

J., 98

RICHARD

M., 11, 102, 108, 118, 123,

147 ROMANO IL MELODE,

RUCKER

102

1., 143

W., 150 H.. 14 SIMONETTI M., 127 SORDI M., 135, 137 SCHNEEMELCHER SHEPHERD

Libro di Enoch, 96, 122 LOHSE

Targum di Esodo, 99, 113

B., 101

TAZIANO, MASSIMO DI TIRO,

13, 111

.i.Martirio di Andrea, 123, 124, 126 MARCELLO D'ANCIRA, 155 MARCIONE, 118, 139 MARTIN C., 11, 12 MELEAGRO DI

NAUTIN

P., 7, 11, 18, 128, 150

NESTORIO,

NORDEl'!

GADARA, 113

lO

E., 13

N OVAZIANO, 99 ORBE A., 98, 120, 127, 130 ORIGENE, 8, 10, 93, 95, 96, 100, 112,

117, 118, 119, 120, 124, 127, 128, 139

TEODOTO,

96 117, 118, 119

TEOFILO D'ANTIOCHIA, 91, 96, 129,

145 TERTULLIANO, 8, 11, 13, 15, 97, 98,

99, 100, 104, 109, 111, 115, 116, 118, 119, 120, 123, 125, 136, 145 Testamenti dei XII Patriarchi, 99 TESTUZ M., 7, 89 TOMMASO D'AQUINO, 92 100 VAN DAMME D., 9 Vangelo degli Egiziani, 124 Vangelo di Verità, 129 VALfu'fTINO,

VENANZIO FORTUNATO, 126

WELLESZ

E.

J.,

13

PERLER O., 17, ì8, 98, 104, 140, 148, 150 Pesachim, 101 PLATONE, 96, 100, 113, 123, 125

WERNER E., 105 WIFSTRAND A., 13

PLOTINO, 113

ZUNTZ G., 89

ZEILLER

J., 135

INDIC.E

PREMESSA

GENERALE

.

INTRODUZIONE

5 7

1. Melitone di Sardi e la sua omelia pasquale 2. L'Anonimo Quartodecimano (= Pseudo-Ippolito)

7 11

3. Le due omelie pasquali: stile, fonti, struttura.

12

BIBLIOGRAFIA

19

TESTI

Melitone di Sardi, Sulla Pasqua Anonimo Quartodecimano (Pseudo-Ippolito), Sulla Santa Pasqua

23 53

NOTE AI TESTI

Note a Melitone Note all'Anonimo Quartodecimano

89

107

ApPENDICI

L I frammenti delle opere perdute di Melitone di Sardi e di Apollinare di Gerapoli II. Pseudo-Epifanio, Sulla Santa Pasqua .

135 150

INDICI

L Indice biblico II. Indice degli Autori

159 165