Goyret - Chiesa e Comunione - Introduzione Alla Teologia Ecumenica PDF [PDF]

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19/02/2019

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CHIESA E COMUNIONE INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA ECUMENICA

PHILIP GOYRET

ROMA2012

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INDICE GENERALE

ABBREVIAZIONI...................... INTRODUZIONE... CAPITOLOI: PRINCIPALI CONFESSIONICRISTIANE...... 1.1. Antiche Chieseorientali... 1.2. Chiese ortodosse. 1.3. Luterani.. 1.4. Riformati 1.5. Comunione anglicana 1.6. Congregazionalisti...... 1.7. Comunità battiste.... 1.8. Comunità dei Quaccheri................. 1.9. Comunità metodiste... 1.10. Comumità avventiste..................

i

I

1.11. Chiesaveterocattolica............ 1.12. Pentecostalismo.... 1.13. Considerazioni conclusive... CAPITOLO Il: PROSPETTIVA STORICA DELL’ECUMENISMO... ..............

2.1. Il termine “ecumenismo”.. 2.2. Le vie perristabilire l’unità della Chiesa..... 2.3. Sintesi storica del movimento ecumenico... CAPITOLOII: INQUADRAMENTO TEOLOGICO DELL’ECUMENISMO....... 3.1. Unarealtà cristiana..... 3.2. Un approccio istituzionale................................. 3.3. Un compito missionario..............

3.4. Un traguardo da raggiungere....... CAPITOLOIV: LA COMUNIONEECCLESIALE. 4.1. Il disegnodell’amoredi Dio per la sua Chiesa.

69

4.2. Comunionetrinitaria e comunioneecclesiale.

70

4.3. LoSpirito Santo,principio dell’unità.

73

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4.4. Il ministero al servizio dell’unità.. 4.5. La comunionenella fede, nelculto nellacarità............ 4.6. L’Eucaristia, l’episcopato e l’unità della Chiesa... 4.7. La Chiesa communio Ecclesiarum... 4.8. L’indefettibilità della Chiesa: contenuto e conseguenze...

4.9. I peccati contro la comunione... CAPITOLOV: PRINCIPI CATTOLICI DELL’ECUMENISMO...

5.1. Dall’extra Ecclesiamnulla salus alla questione de membris.... 5.2. La gradualità della comunioneecclesiale..... 5.3. La relazione Chiesa di Cristo-Chiesa cattolica......... 5.4. Gli elementa Ecclesiae.

99

5.5. Battesimo d’acqua e Chiesa. 5.6. Status ecclesiale delle comunità

cristiane....

5.7. L’ecumenismoinprospettiva missionaria.... 5.8.1 “modelli di unità”.............

Rara

CAPITOLOVI: PRATICA DELL’ECUMENISMO.... 6.1.L’ecumenismospirituale...... 6.2. Mutua conoscenza, relazioni reciproche e collaborazioneistituzionale ......

6.3. Il rinnovamentoistituzionale..... 6.4. Cattolicità della missionee sensibilità ecumenica..........

6.5. La compartecipazioneai benispirituali... 6.6. Il dialogo teologicoe la suaricezione... 6.7. L’espressionedella dottrina di fede... 6.8. Il primato romanoin prospettiva ecumenica...... EPILOGO... BIBLIOGRAFIA.... INDICE DELLE CITAZIONI BIBLICHE...

INDICE DEI NOMI...

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ABBREVIAZIONI

[..] 3.2.1 AAS AG AT

Acta Apostolicae Sedis

Can. / cann.

canone/ canoni

Cap./ capp.

capitolo / capitoli

CCco

Codice dei canonidelle Chieseorientali

CCD

Le

Omissis capitolo 3, paragrafo 2.1 Concilio Vaticano II, Decreto Ad gentes Antico Testamento

Chiese

cristiane

nel

Duemila,

Johann-Adam-Mòhler-Institut,

Queriniana, Brescia 1998

CDF

Congregazione per la Dottrina della Fede

cf.

Confer, confronta

CFCC

Confessioni di fede delle Chiese Cristiane, R. Fabbri, EDR, Bologna 1996

CIC

Codice di Diritto Canonico

Cit.

citato/i

COD

Conciliorum oecumenicorumdecreta, G. Alberigo, Bologna 1996

CN

Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio

DE

Dizionario di ecclesiologia, G. Calabrese - P. Goyret - O.F. Piazza, CNE, Roma 2010

DS

Enchiridion symbolorumdefinitionum et declarationumde rebus fidei et morum, H. Denzinger e Schònmetzer

DI

Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus

DH

Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae

DME

Dizionario del movimento ecumenico, N. Lossky, EDB, Bologna 1994

DTF

Dizionario di Teologia Fondamentale, R. Latourelle - R. Fisichella,

Citadella Editrice, Assisi 1990 EB

Enchiridion Biblicum

ecc.

Eccetera

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ed.

edidit / ediderunt

EdeE

GiovanniPaolo II, Lett. Enc. Ecclesia de Eucharistia

EE

Enchiridion delle Encicliche

EO

Enchiridion Oecumenicum

EV

Enchiridion Vaticanum

Fontes

Fontes. Documenti fondamentali di storia della Chiesa, L. Martinez Ferrer - P.L. Giudici, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005

GLNT

Grande lessico del nuovo testamento, G. Kittel - G. Friedrich, Brescia

1965-1992 Ibid.

Ibidem

Id.

Idem

LG

Concilio VaticanoII, Cost. Lumen gentium

LDT

Lexicon. Dizionario dei teologi, L. Pacomio - G. Occhipinti, PIEMME,

Casale Monferrato 1998 LTK

Lexikonfiir Theologie und Kirche, M. Buchberger - W. Kasper, Friburgo

1993-2001 ME

Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Mysterium Ecclesiae

n./nn.

numero / numeri

NDT

Nuovo dizionario di teologia, G. Barbaglio - S. Dianich, Cinisello

Balsamo 2000 NDTB

Nuovo dizionario di teologia biblica, P. Rossano - G. Ravasi - A. Girlanda, Cinisello Balsamo 1988

NT

Nuovo Testamento

ODCC

The Oxford Dictionary ofthe Christian Church, F.L. Cross, Londra 1958

p./ pp.

pagina / pagine

PCPUC

Pont. Consiglio per la Promozionedell’Unità dei Cristiani

PDV

Giovanni PaoloII, Esort. Ap. Pastores dabo vobis

PG

Patrologiae cursus completus. Series graeca, J.-P. Migne

PL

Patrologiae cursus completus. Series latina, J.-P. Migne

Synopsis LG

Concilii Vaticani II synopsis. Constitutio dogmatica de Ecclesia Lumen gentium, F. Gil Hellin, Città del Vaticano 1995

Synopsis UR

Concilii

Vaticani II synopsis. Decretum de oecumenismo Unitatis

redintegratio, F. Gil Hellin, Città del Vaticano 2005

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Teol

Teologia, G. Barbaglio - G. Boff - S. Dianich, Dizionari San Paolo, Cinisello Balsamo 2002

TMA

Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente

UR

Concilio Vaticano II, Decreto Unitatis redintegratio

UUS

Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint

vol. / voll.

volume / volumi

WA

‘Weimarer Ausgabe

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INTRODUZIONE

«Cristo chiamatutti i suoi discepoli all’unità», ci ricordava Giovanni Paolo II all’inizio dell’Enc. Ut unum sint, la prima enciclica in assoluto dedicata interamente all’ecumenismo.

Ciò comporta un impegnoecclesiale a cui nessun cristiano è libero di sottrarsi. Cercando di scuotere le coscienze addormentate di tanti cristiani, il Santo Padre premeva ancora sullo stesso tasto: «come potrebbero, infatti, rifiutarsi di fare tutto il possibile, con l’aiuto di Dio,

per abbattere muri di divisione e di diffidenza, per superare ostacoli e pregiudizi, che impediscono l’annuncio del Vangelo della salvezza mediante la Croce di Gesù, unico Redentore dell’uomo, di ogni uomo?» (UUS2). La promozione dell’unità, infatti, è una sfida inderogabile; essa coinvolgetuttii cristiani e va affrontata contemporaneamente da diverse prospettive. L’ecumenismo,cioè, può(e deve) essere realizzato come impegnospirituale, attraverso la preghiera e la conversione del cuore; va attuato lavorando insieme — cattolici e non cattolici — a favore dei comuni valori

evangelici; deve tradursi nei rapporti ecclesiali interconfessionali e in quelli fra i singoli cristiani. Anche altre dimensioni sono importanti(si pensi alla purificazione della memoria, alla lotta contro il secolarismo, ecc.), ma in questa sede ci concentreremo più particolarmente

sull’ecumenismo inteso come realtà da studiare scientificamente. Sebbene esso sia una dimensionedell’intera teologia (comelo sono la pastorale o la spiritualità), ciò nontoglie la convenienza di farne oggetto specifico di studio (come si fa anche conle discipline appena menzionate). In tal senso, esso trova nell’ecclesiologia la sua collocazione adeguata, come avremooccasione di confermarepiù avanti.

La teologia ecumenica è una riflessione scientifica sull’unità

e sulla missione della

Chiesa, affrontata dalla prospettiva dolorosa delle divisioni che si devono superare. La missione della Chiesa, infatti, può essere contemplata comeunadilatazione della comunione. Nel

suo versante

comunitario,

la

perdita

dell’unità causata dal peccato ha la sua

manifestazione più esplicita nella dispersione dei popoli conseguenteagli eventi della Torre di Babele; nel tempus Ecclesiae, la Pentecoste (rovescio della Babele) segna l’inizio del

ristabilimento dell’unità perduta; alla fine dei secoli avrà luogo la consumazionedefinitiva dell’unità, quando «Diosarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). In questa cornice,l’unità della Chiesa

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risulta un requisito irrinunciabile; essa non può proporsi come germedi unità fra i popoli se nonsi presenta comeunae indivisa.

La prospettiva ecclesiologica è dunque quella privilegiata in questa Introduzione alla teologia ecumenica, e ciò si prospetta come strada promettente. In quanto patrimonio comune dituttii cristiani, l’articolo ecclesiologico del simbolo della fede costituisce, infatti, un punto di partenza molto valido per un rilancio degli sforzi a favore del ripristino della piena comunione ecclesiale'. Mentre un certo ecumenismoselvaggio ha sollevato, dopo il Vaticano II, sospetti di relativismo dogmatico, un altro ecumenismo sano ha tentato pazientemente di applicare i principi e le disposizioni stabiliti in quell’assise conciliare, ma con risultati piuttosto illudenti?, forse per mancanza di un atteggiamento più decisamente ecclesiologico. Il

decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, infatti, va letto e applicato alla luce della Cost. sulla Chiesa Lumen gentium, e contemporaneamente quest’ultima trova nel decreto la spiegazione di molte delle sue affermazioni?. Non si può comunque procedere allo studio dell’ecumenismo ignorando le altre dimensioni, che troveranno uno spazio adeguato. Nella fattispecie, l’aspetto storico delle divisioni della Chiesa ha una particolare incidenza e non può essere tralasciato; anzi, esso si

colloca come premessa ed è perciò affrontato nel primo capitolo. Anche il secondo capitolo ha untaglio prevalentemente storico, main riferimento alla storia dell’ecumenismoin generale, e

all’odierno movimento ecumenicoin particolare. Si susseguonopoii capitoli più direttamente teologici (terzo, quarto e quinto), per approdare finalmente a questioni di taglio più pratico e pastorale,nell’ultimocapitolo.

! Cf. P. GOYRET, «Credo Ecclesiame rilancio ecumenico», Nicolaus 37/2 (2010), p. 2 Cf. W. KASPER,Vie dell'unità. Prospettive perl’ecumenismo, Queriniana, Brescia 2006,p.6. 3 Cf. ibid., pp. 13-14.

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CAPITOLO I PRINCIPALI CONFESSIONICRISTIANE

Iniziamo questo studio con la considerazionestorica delle divisioni che hannocostellato la vita della Chiesa'. Lo sfondo storico contestualizza adeguatamente i conflitti all’origine delle separazionifra le tradizioni religiose e si manifesta sempre più come premessadiserietà per ogni dialogo. Per comprendereil presente e puntare correttamenteversoil futuro, occorre, infatti, una visione oggettiva del passato. Se ciò che si pretende è ricomporre l’unità, è d’obbligo analizzare come si sono prodotte le separazioni: solo allora si potrà tentare di trovare — a partire dall’esperienza storica e dalla rivelazione sull’unità della Chiesa — un camminovalido e realistico verso la comunionepiena della Chiesa. Di seguito passiamo in rassegna il fatto delle divisioni cristiane, presentando brevemente gli aspetti storici di maggiorrilievo, le cause che portaronoalle fratture, e la partecipazione di ciascuna delle Chiese al movimento ecumenico. Paradossalmente, le grandi divisioni si sono presentate lungo la storia con una cadenza approssimativa di cinque secoli: nel V sec. conle eresie cristologiche, nel XI sec. con lo scisma d'Oriente, nel XVIsec. con la

Riforma. Altre separazioni sono nate nei periodi intermedi, ma quasi sempre da una Chiesa già separata da Roma. 1.1. Antiche Chiese orientali Anche se la scissione di queste Chiese ebbe luogo ai tempi delle controversie cristologiche del V secolo, esse non nacquero ex novo in quel momento. Già in precedenza esisteva in esse un sostrato culturale, sociale, etnico e teologico molto diverso da quello della tradizione bizantina, che si tradusse in rivalità fra i grandi patriarcati5; cosicché, quando si

giunse alle polemichein senoai concili di Efeso e Calcedonia, tale contrasto emerse contutta la sua forza e, una volta varcato il confine dello scisma, conferì alle diverse Chiese

4 Cf. K. ALGERMISSEN, Konfessionskunde, Giesel, Hannover 19506 (= La Chiesa e le Chiese, Morcelliana, Brescia 1942); J. BOSCH, Para comprenderel ecumenismo, Verbo Divino, Estella 1991, cap.Il: N. LOSSKY (ed.), Dizionario del movimento ecumenico, EDB, Bologna 1994; F.L. CROSS(ed.), The Oxford Dictionaryof the Christian Church, Oxford University Press, 1997; JOHANN-ADAM-MOHLER-INSTITUT, Le Chiese cristiane nel Duemila, Queriniana, Brescia 1998. 5 P.SINISCALCO(ed.), Le antiche Chieseorientali, Città nuova, Roma 2005, pp.102-108.

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scismatiche una loro particolare fisionomia6. All’origine di queste scissioni non troviamo dunque una motivazione esclusivamente dottrinale; la stessa geografia in cui tali Chiese si diffusero — coincidente con le regioni periferiche dell’Impero o aldi là dei suoi confini — mostra quanto forte fu l'incidenza della componente antibizantina. Dal punto di vista prettamente dottrinale, lo scisma che si richiama a Nestorio emerse comereazione alla posizione di Apollinare di Laodicea (IV secolo), secondo il quale il Verbo

si era incarnato in un semplice corpoprivo dell’aspetto spirituale, per cui l’umanità di Gesù risultava molto imperfetta. Nestorio, Patriarca di Costantinopoli, affermava per contro la congiunzione in Cristo di un uomo completo e del Verbo, facendo della persona umana di Gesù una realtà distinta dalla persona preesistente del Verbo. Di conseguenza, la madre di Cristo, la christotokos, non si sarebbe potuta chiamare theotokos. Contro tale posizione si levò energicamente Cirillo, Patriarca di Alessandria, il quale riuscì a fare in modo che Papa

Celestino riunisse un sinodo a Roma per condannarela dottrina nestoriana. Cirillo presiedette poi, insieme ad un legato del papa, nell’anno 431, il Concilio di Efeso, convocato sotto l’auspicio dell’Imperatore Teodosio, in cui venne deposto e scomunicato Nestorio, che si ritirò in un monastero di Antiochia”. Il nestorianismoricevette unulteriore e definitivo colpo nel II Concilio di Costantinopoli dell’anno 553, con la condanna dei Tre Capitoli8, come vennero chiamati un insieme di scritti risalenti o attribuiti a Teodoro di Mopsuestia,

Teodoreto di Ciro ed Iba di Emessa; e conl’accettazione dei dodici anatematismi formulati da Cirillo contro Nestorio, e ribaditi dallo stesso Concilio?.

Frai seguaci di Nestorio, quelli che non accettarono la dottrina del Concilio di Efeso sull’unicità della persona del Verbo incarnato, confluirono nella cosiddetta Chiesa Assira

d’Oriente (in Persia), che si era separata qualche anno primadalla Chiesa Siriaca d’Antiochia. Lo scisma della Chiesa Assira d'Oriente non ebberagioni dottrinali, ma di autonomiarispetto alla Chiesa Siriaca d’Antiochia, soprattutto per evitare la persecuzione delpoterecivile. Poi, durante il V secolo, ma più ancora nel VI secolo, la Chiesa d’Oriente subì l’influsso dei

gruppi nestoriani, finché assunse un atteggiamento di aperta difesa di Nestorio. In questo processo ebbe un peso importante il confronto fra le diverse approssimazioni teologicoculturali, ovvero fra le teologie di taglio orientale e la teologia ufficiale bizantina, di matrice greca. La Chiesa d’Oriente si estese molto verso l’Est e raggiunse perfino la Cina; ma poi, 6 Cf. P. GEFAELL, Las Iglesias Orientales Antiguas Ortodoxas y Catélicas, in A. GONZALEZ MONTES

(ed.), Las Iglesias Orientales, BAC, Madrid 2000, p. 596. 7 C£J.-Y. LACOSTE(ed.), Storia della teologia, Queriniana, Brescia 2011, p. 95. 8 Cf. COD 119-122.

9 Cf. DS 252-263. 10

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sotto l’Islam, finì per essere numericamente molto ridotta!°. Nel XVI secolo, una parte consistente di essa tornò alla comunione con Roma(l’attuale Chiesa Caldea). Coloro che

rimasero separati da Roma costituirono la Chiesa Assira, da cui proviene la Chiesa Malabarese Ortodossa (India). Attualmente essi sono meno numerosi (poco più di 250.000) dei caldei, e si trovano soprattutto negli Stati Uniti; non sostengonopiù gli errori di Nestorio negli stessi termini di quindici secoli fa, rifiutando addirittura il nome di “nestoriani”; la loro

posizione, infatti, si è più avvicinata alla dottrina cattolica, come si può costatare dalla Dichiarazione cristologica comune fra la Chiesa cattolica e la Chiesa Assira d'Oriente (11.11.94)! Le Chiese non calcedonesi, chiamate Chiese Ortodosse Orientali, si collocano

all’estremo opposto delle idee precedenti. La loro dottrina si rifà alle posizioni assunte da Eutiche, monaco archimandrita di Costantinopoli, appoggiato da Dioscoro, Patriarca di Alessandria, nel sostenere l’unica pAysis (natura) del Logos incarnato, per cui l’umanità di Cristo sarebbe stata assorbita dalla divinità!?. Il Concilio di Calcedonia (a. 451), convocato dall’Imperatore Marciano, aderì però alle formulazioni contenute nel Tomus ad Flavianum,

unoscritto inviato dal Papa Leone Magnoal Patriarca di Constantinopoli, contrario a Eutiche. Furono così affermate le due nature, umana e divina, in Cristo: egli è «perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità», «vero Dio e vero uomo», «consustanziale al Padre

secondo la divinità, consustanziale a noi secondo l’umanità», esistente «in due nature, senza confusione, senza mutazione, senza divisione, senza separazione»'3. Bisogna tener presente,

tuttavia, che la posizione dottrinale non calcedoniana summenzionata, non è da loro condivisa, in quanto essi affermano nella Persona di Cristo una natura (unica) divino-umana,

sulla scia del pensiero di san Cirillo di Alessandria. Rifiutano perciò di essere chiamati monofisiti, presentandosi invece come miafisiti!4. Nello scisma ebbeinoltre un grande pesoil fattore politico (l’autonomia di Alessandria rispetto a Bisanzio):

l’assegnazione di

10 Cf. P. MORELLI, s.v. «Chiese non calcedoniane», in DE 197-198. !l Cf. EO 3, nn. 758-762. Per un maggior approfondimento, cf. A. NICHOLS, Rome andthe Eastern

Churches. A studyin schism, T. & T. Clark, Edinburgh - London- New York 1992, pp. 27-54.

!? Cf. G.L. MULLER, Dogmatica cattolica. Per lo studio e la prassi della teologia, San Paolo, Cinisello

Balsamo 1999,p. 425.

13 DS 301-302.

14 Cf. K. KRIKORIAN, «Calcedonia: storia, conflitti cristologici e riconciliazione», in DUCAY, A. (ed.), //

Concilio di Calcedonia 1550 annidopo, LEV,Città del Vaticano 2003,pp.114-137.

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Costantinopoli come «la seconda (sede) dopo Roma»!S fu, infatti, troppo umiliante per gli alessandrini, la cui sede vantava quella precedenza fino a quel momento!5. Nonostante la condannadel concilio, i non-calcedonesi ebbero poi diversi appoggi, fra cui quello dell’imperatrice Teodora, sposa di Giustiniano, nel VIsecolo, e quello degli scritti di matrice miafisita di Dionigi 1’Areopagita, erroneamenteritenuto discepolo di san Paolo!7. I “monofisiti” si concentravano nelle regioni di Antiochia, Armenia ed Alessandria. In Antiochia lo scisma diede origine alla Chiesa Siro-occidentale (chiamata a volte, ma impropriamente, Chiesa Giacobita), diffusa in Siria, Iraq, Libano, Giordania, e Turchia: conta

oggi un milione e mezzodi fedeli. Da questa Chiesa proviene quella Siromalankarese (India), uscita dalla comunione cattolica solo nel XVI secolo'8. Dalla Chiesa Armena non nacquero altre Chiese; essa è presente in Armenia, Turchia, Canada e Australia, con 7 milioni e mezzo di fedeli. Da Alessandria provengono le Chiese copta (8 milioni di fedeli, in Egitto, Gerusalemme, Sudan e Africa del Sud), etiopica (17 milioni, in Etiopia) e quella di Eritrea!?,

La vita di molte di queste Chiese è stata segnata dalla persecuzione, dalla discriminazione e dall’isolamento, soprattutto dopo l’espansionedell’Islamin quelle regioni. Anchein questi casi le posizioni dottrinali si sono avvicinate alla dottrina cattolica, e con alcune di esse si è giunti adaccordi dottrinali sulle questioni più basilari: la Formulazione breve sulla cristologia, del 12.2.88, con la Chiesa Ortodossa Copta?°; /’Accordo dottrinale

cristologico del 3.6.90 con gli ortodossi siro-malankaresi?!; la Dichiarazione comune As They Bring for unity in Christ, Word of God madeflesh (De modo unionis Verbi incarnati), con la Chiesa armena (13.12.96); e la Dichiarazione comune Au terme, con la Chiesa di Cilicia

(25.1.9722. 1.2. Chiese ortodosse L’ortodossia ama chiamarsi“la Santa e Grande Chiesa di Cristo”, quella che professa la “vera fede” o, più alla lettera, la “corretta opinione” (in greco: orthos doxa)?3. In sensostretto, si deve in realtà parlare di Chiese ortodosse (al plurale), poiché non esiste tra di esse

15 Canone28 del Concilio di Calcedonia, in COD 100

16 Il canone 28, tuttavia, non fu mai accettato dai Papi, perché fondava la precedenza sul fatto che

Costantinopoli («la nuova Roma») era «città imperiale». Veniva così a mancare il criterio delle «sedi apostoliche», che conferiva la precedenza quelle di origine petrina (Roma,Alessandria ed Antiochia). !7 J.-Y. LACOSTE(ed.), Storia della teologia, p. 104.

18 Cf. CCD 109.

19 Cf. P. GEFAELL,Las/glesias Orientales Antiguas Ortodoxas y Catélicas, p. 600. 20 Cf. EO 3, nn. 1996-2000.

21 Cf. EO3, nn. 2016-2024.

22 Per un maggior approfondimento, cf. A. NICHOLS, Rome and the Eastern Churches, pp. 55-104.

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un’autorità vincolante comune, pur coincidendo sostanzialmente nella dottrina. Il Patriarca

Ecumenico di Costantinopoli possiede un primato che è solo d’onore (primus inter pares); ciascuna Chiesa ortodossa è autonoma, sebbene in comunioneconle altre e con il Patriarcato

di Costantinopoli. Ad esse appartengono approssimativamente 214 milioni di fedeli, prevalentemente concentrati nel vicino Oriente, nei Balcani e nell’ex Unione Sovietica. Esistono 9 patriarcati (i quattro più antichi, di Costantinopoli, Gerusalemme, Antiochia ed

Alessandria; più quelli di Russia, Romania, Bulgaria, Serbia e Georgia), 5 Chiese autocefale (Grecia, Cipro, Polonia, Albania e Cechia-Slovacchia) e 3 Chiese autonome (Cina, Giappone,

Finlandia), a volte chiamate “nazionali”. A queste si dovrebbero aggiungere le Chiese della diaspora (sorte dalla migrazionedei fedeli), molto forti negli Stati Uniti e in Canada, anche se

in linea di principio dipendonodalla Chiesa d’origine?4. Come elementi

caratteristici dell’ortodossia possono

annoverarsi

l’accettazione

esclusiva dei primi 7 concili ecumenici, l’inclinazione verso la teologia apofatica e il grande sviluppo della pneumatologia. La dottrina sul purgatorio è abbastanza diversa da quella

cattolica. In ambito sacramentale spiccanotratti caratteristici quali la pratica del battesimo per immersione, il

conferimento

simultaneo dei

tre sacramenti d’iniziazione al neonato

(amministrati ordinariamente dai presbiteri), l’uso di pane fermentato per l'Eucaristia, la

collocazione della transustanziazione nell’epik/esis e l’inesistenza del culto eucaristico (processioni, adorazione, benedizioni, ecc.) al di fuori della celebrazione della Messa?5. Gli ortodossi conservano l’episcopato; l’ordinazione sacramentale dei loro ministri (vescovi, presbiteri e diaconi) è ritenuta valida dalla Chiesa cattolica. Accettano l'ordinazione di persone sposate, anche se non per l’episcopato: per questo motivo, gran parte dei loro vescovi provengono dal monachesimo. La celebrazioneliturgica delle principali feste cristiane solitamente non coincide con quelle della Chiesa cattolica, data la differenza fra il loro calendario giuliano (risalente a Giulio Cesare) e quello gregoriano, in vigore in occidente dal

secolo XVI. Laspiritualità ortodossa è profondamentesegnata dalla tradizione liturgica, patristica ed iconografica. Una sua caratteristica importante è la cosiddetta “preghiera di Gesù”, chiamata anche preghiera del cuore o preghiera continua, nata in ambito monastico. Il monachesimo gode, infatti, di grande prestigio ed ha nel Monte Athos (Grecia), in possesso dei monaci già dal sec. IX, il suo centro vitale. Qui è nato il movimento esicasta ed è stata composta la

23 C£. N. BUX,s.v. «Chiesa ortodossa», in DE 165.

24 Cf, s.v. «Ortodox Church», in ODCC 1198. 25 A differenza degli orientali cattolici, per gli ortodossi il vincolo matrimoniale, in alcuni casi determinati, è dissolubile dalla Chiesa. 13

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Filocalia. Gregorio Palamas, il grande teologo ortodosso del XIV secolo, era monaco dell’Athos. Nella spiritualità ortodossa esiste inoltre una profonda venerazioneper la Vergine Maria; anche se non accettano l’Immacolata Concezione e 1’ Assunzione come dogmi, essi in

gran parte ne condividonoi contenuti?0. Nonsi può sottovalutare la stretta relazione esistente tra Chiesa e stato, relazione che non si riduce a motivi di circostanza. Nell’ortodossia, infatti, resta viva l’antica tradizione

orientale circa la symphonia fra le dueistituzioni, la quale conferiva all’imperatore anche un ruolo ecclesiale, con punti di contatto conil sacerdozio. Storicamenteciò portò spesso ad una situazione di cesaropapismo, tanto che ancoroggiesiste una certa sudditanza — non generale — rispetto al governo civile. Questo comportamento sembrerebbe scaturire dal loro aucomprendersi come Chiese etniche, e in tale contesto s’inserirebbe anche la nozione ortodossa di “territorio canonico”. La convergenza della centralità della liturgia e dell’“ecclesiali!

dell’autorità

civile portano inoltre ad un disinteressamento — non

configurato come mancanzadi carità — peril ruolo della Chiesa in ambitosociale?7. Lo scisma fra la Chiesa cattolica e quelle ortodosse ebbe luogo nell’anno 1054, per motivi più culturali e politici che religiosi. Costantinopoli, la “Nuova Roma”, possedeva una grandiosità incomparabilmente maggiore della “Prima Roma”, che già da vari secoli aveva perso il suo splendore imperiale. Il peso della questione aumenta se pensiamo che il patriarcato di Costantinopoli nonsi basava suun ipotetico carattere di Sede Apostolica (non lo è mai stato, nonostante avesse le reliquie dell’apostolo S. Andrea, trasferite da Efeso), ma

sull’importanza politica della città. Nel secolo VIII, il pontificato aveva inoltre abbandonato la protezione dell’imperatore orientale e si era rivolto versoi franchi. A ciò si deve aggiungere la

separazione tra Oriente e Occidente dovuta all’espansione dell’Islam e al suo dominio sul mare Mediterraneo. La differenza culturale, e non solo linguistica, si acutizza via via che diminuisce la comunicazione reciproca. L’ellenismo raccoglie i suoi rimproveri nei celebri Kata Latinon(contro i latini); i latini rispondono con i Contra Graecos.

In questo contesto

non può dunquesorprendere il manifestarsi di inclinazioni separatiste.

Esisteva inoltre il problema delle giurisdizioni di Roma e Bisanzio sulle diverse regioni di missione, ulteriormente complicata dalle variazioni di confini dell’impero orientale: un quadro complessivo che contribuiva a deteriorare le relazioni con il primato romano. Gelosi deiloro privilegi, gli orientali guardavano consospetto e indignazionegli interventi di Roma 26 Cf. CCD 130-136. Nell’ortodossia, il modo dicapire l'essenza del peccatooriginale, più legato alla

mortalità, si riversa sul mistero dell’Immacolata Concezione, creando alcunedifficoltà dal punto di vista della teologia cattolica.

27 Cf. CCD141-143.

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in Oriente (deposizione dei vescovi, giudizi di appello, ecc.). La preferenza di Romaperil Patriarcato di Alessandria, contrapposto a quello di Costantinopoli come “seconda sede”, fu motivo di frequentiattriti. Daun punto di vista prettamente dottrinale, la differenza più importante con la Chiesa

cattolica è ravvisabile nella teologia trinitaria, la quale, da parte orientale, non accetta che lo Spirito Santo proceda dal Padre e da! Figlio (Filioque). In proposito, conviene ricordare due questioni storiche spesso taciute, che depongono ciascuna a favore dell’una o dell’altra parte. Gli ortodossi hanno ragione quando dicono che il Filioque non appartiene al credo nicenocostantinopolitano: in esso, seguendo alla lettera Gv 15,26, si usò la formulazione greca “che trae la sua origine dal Padre”, la quale in realtà non è equivalente a quella latina a Patre procedit. La dottrina professata nei primi due concili ecumenici fu solennemente ribadita dal Concilio di Calcedonia?8. Il Filiogue non è neppurepresente nella liturgia romana anteriore al sec. IX; anzi, la sua inserzione nella confessione di fede fu esplicitamente rifiutata dai Papi Adriano I e Leone III?9. La processione dello Spirito Santo a Patre Filioque appare nel V

secolo, sulla scorta di sant Ambrogio,negli scritti di sant’Agostino30, ma anchenell’Africa orientale con Cirillo di Alessandria3!. Nei documenti del magistero la troviamo per la prima volta al Concilio INI di Toledo (a. 589), come conseguenza tardiva della lotta contro l’arianesimo, per affermare che il Figlio, pienamente Dio, non è inferiore al Padre?2. Lo si

rinviene anche nel simbolo pseudo-atanasiano — probabilmente del VII secolo —, con il quale condivise la sua grande autorevolezza3. Da lì passa alla liturgia dei franchi, probabilmente per influsso di Alcuino di York34, e viene ardentemente difeso nella teologia dei libri carolini. Durante l'impero carolingio sonoi franchi a vincere la resistenza del Papa ad introdurreil Filioque nella liturgia romana?5. In seguito, nell’anno 1014, Benedetto VIII lo inserisce definitivamente nel credo, sotto pressione dell’Imperatore Enrico II, in occasione

della sua incoronazione?9.

28 Cf. COD 84e 87. 29 Cf. J.-Y. LACOSTE(ed.), Storiadellateologia, p. 115. 39 «Nonpossiamodire che lo Spirito Santo nonproceda anche dalFiglio»: De Trinitate 4,20,29, in A TRAPÈ(ed.), Opere disant'Agostino, Città Nuova, Roma 1973,IV,p. 225. 3! «Lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio; è evidente che esso è di sostanza divina, procedendo sostanzialmentein essa e da essa»: Thesaurus, in PG 75, 585A. 32 Cf. DS 470e J. ORLANDIS,LaIglesia enla Espaîùavisigética y medieval, Eunsa, Pamplona 1976, pp. 35-60. 33 Cf. CFCC11.

34 Cf. B. CAPELLE, «Alcuinetl’histoire du symbolo de la Messe», in AA.VV., Travaux liturgiques de

doctrineetd'histoire, Volz, Louvain 1962,211-221.

35 Cf. le discussioni epistolari riportate in PL 102, 971-973.

36 Così in W. KASPER, Vie dell'unità, p. 160. La più antica professio fidei promulgata da un Papa con l'inserto del «Filioque»risulta, secondo l 'Enchiridion symbolorum, definitionumet declarationumde rebusfidei 15

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D’altra parte, la questione dottrinale del Filioque non fu causa di discordia fino al IX secolo. Primadi allora, c'erano in Oriente e in Occidente differenti teologumeni per spiegare la relazione fra Figlio e Spirito santo, fra cui la procedenzadello Spirito a Patre per Filium, intesa nel senso di procedere principalmente dal Padre attraverso il Figlio: ossia, come da un unico principio. Formule simili furono usate anche in Oriente, presso Gregorio Nisseno?7, Massimo il Confessore?8 e Giovanni Damasceno?9, senza entrare in collisione con il a Patre nicenocostantinopolitano, da nessuno interpretato, fino ad allora, nel senso esclusivo di “solo dal Padre”. La sfumatura diversa fra l’orientale a Patre per Filium e l’occidentale a Patre Filioque «non ha in ultima analisi una base e una motivazione dogmatica (in senso stretto), bensì è il risultato del fatto che la teologia trinitaria orientale dovette prendere posizione contro il modalismo, mentre la teologia occidentale dovette prendere posizione contro forme tardive dell’arianesimo e delpriscillianismo»4®. Mail Patriarca Fozio, nelle sue lotte contro il Papa, trovò in questoil pretesto per accusare Romadieresia e proclamare la Chiesa orientale comevera custode dell’ortodossia. Secondo lui, la proposta della teologia latina equivaleva a confondere le prime due Persone divine, rinnovando l’eresia sabelliana e mettendoa rischio la monarchia del Padre. D’allora in poi, malgrado si fosse ricucito il breve periodo scismatico del IX secolo, il Filioque sarà la bandiera di guerra contro Roma. Con ciò s’innesca in Occidente un movimento di reazione sotto la forma di trattati polemici, come il Contra

Graecorum opposita Romanam Ecclesiam infamantium di Ratramano di Corbie il Liber adversus Graecos di Eneadi Parigi. L’esito finale dello scisma si ebbe nelle reciproche scomuniche, proclamate nel luglio del 1054. Il Card. Umberto da Silva Candida, uomo poco diplomatico, era stato inviato a Costantinopoli per chiarire l’ennesimo problema giurisdizionale tra la sede romana e quella costantinopolitana, scattato in realtà a proposito della controversia millenaria sull’uso del pane azimonell’Eucaristia*!. Nonarrivando ad un accordo, depositò sull’altare di santa Sofia il decreto di scomunica del Patriarca Michele Cerulario. Pochi giorni dopo il Patriarca

et morum, quella di Leone IX, contenutanella Lettera Congratulamur vehementer del 13.4.1053 indirizzataal Patriarca di Antiochia (DS 682: «CredoetiamSpiritum Sanctum, plenumet perfectum verumque Deum, a Patre et Filio procedentem»). 37 C£.I Discorsocontro Eunomio,in PG 45, 369A. 38 Cf. Ep. ad Marinum, in PG 91, 136. 39 Cf. Expositio defide orthodoxa 1,9

4° G.L. MÙLLER, Dogmatica cattolica. Perlo studio e la prassi della teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999,p. 556. 4! Cf. A. NICHOLS, Rome and the Eastern Churches. A study in schism, T. & T. Clark, EdinburghLondon - New York 1992,pp. 235-237. 16

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Michele riunì un sinodo che a sua volta scomunicò il vescovo di Roma, Leone IX, in realtà

morto tre mesi prima. Loscisma dell’ XI secolo scaturì, perciò da una polemica prevalentemente ecclesiastica; per molto tempo nella popolazione non ci fu coscienza della separazione. È solo a partire

dalla presa di Costantinopoli per mano dei crociati (a. 1204) con il successivo saccheggio della città e l’erezione del patriarcato latino, che lo scisma assunse tutta la sua virulenza

antilatina, anche come sentimento condiviso dal popolo; e la teologia orientale — tanto trinitaria quantorelativa ad altre questioni — acquistò un carattere decisamente antiromano. Sorprende perciò come solo 70 anni doposia stato raggiunto un accordodi unionenelII Concilio di Lione, nel 1274. Confluirono in questo evento gli interessi dell’Imperatore

orientale Michele Paleologo, che da poco aveva riacquistato il potere a Costantinopoli, seppur in modoinstabile, e aveva perciò bisogno di essere in buoni rapporti con l’occidente. Ci fu inoltre una certa diminuzione dell’importanza conferita alla questione del Filioque, anche se la dottrina trinitaria fu ampiamente sviluppata nella professione di fede fatta dall’Imperatore greco e ricevuta al Concilio; a Lioneil centro d’attenzione fu occupato piuttosto dal primato del vescovo di Roma, che il Patriarca bizantino Giovanni Bekkosera disposto ad accettare, e

dalla dottrina sul purgatorio, che a partire d’allora cominciò ad essere sempre presente nelle discussioni teologiche fra grechi e latini. Sulla materia usata per l'Eucaristia (pane azzimo in

ambito latino), gli ortodossi ne riconobberola validità. Tuttavia, l'atmosfera irenica [irenista] prevalente a Lione era assolutamente assente a Bisanzio, e dopo il ritorno dell’Imperatore e

dei delegati ortodossiin quella città, un sinodo, celebrato solo 3 anni dopo, ripudiò totalmente i terminidell’unione*?. Nel XV secolo ebbe ancora luogo un’altra effimera unione, sancita con la Bolla Laetentur coeli del Concilio di Firenze, nell’anno 1439. In essa convèrsero la passione unionistica di Papa Eugenio IV, estesa anche ad altri orientali, e le necessità politico- militari

dell’Imperatore Giovanni VII Paleologo,il quale, minacciato dalle truppe turche ottomane, aspirava a ricevere aiuto dagli eserciti dell’occidente cristiano. Anche se il fattore extra-

ecclesiale non si può trascurare, occorre prendere atto che nelle discussioni del concilio e nell’elaborazione dei documenti prese parte una quantità non indifferente di teologi e vescovi orientali, spalleggiati dalla presenza sia dall'Imperatore, sia dal Patriarca di Costantinopoli Giuseppe II. Rispetto alla questionetrinitaria, si giunse a stabilire che «la spiegazione data con l’espressione Filioque è stata lecitamente e ragionevolmente aggiunta al simbolo per rendere

42 Cf. ibidem, pp. 247-261. 17

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più chiara la verità e per una necessità urgente di quel momento». La bolla lasciava però spazio aperto per le due spiegazioni della processione dello Spirito Santo; concretamentesi dice: «Noi dichiariamo che quello che hanno detto i santi dottori e padri, cioè che lo Spirito

Santo procede dal Padre per mezzo del Figlio, mira a far comprenderecheil Figlio, proprio come il Padre è causa, secondo i greci, principio, secondo i latini, della sussistenza dello Spirito Santo»*4. Stando agli storici, l’insuccesso dell’unione si può attribuire a tre motivi. In primo luogo, il fallimento della crociata inviata in soccorso a Costantinopoli, il cui esercito fu

annientato nella battaglia di Varna nel 1444. In secondo luogo,il fatto che la stragrande maggioranza della popolazione dell’impero orientale era decisamente contraria all’unione. Infine, con la caduta di Costantinopoli nel 1453 non solo cessarono le speranze di ricevere aiuto dall’occidente, ma per molti essa fu inviata da Dio come castigo peril “tradimento”

perpetrato a Firenze. Nell’anno 1484 un sinodo a Bisanziorifiutò formalmente l’unione di Firenze e addirittura decretò l’obbligo di abiurare la dottrina del Filioque ai latini convertiti all’ortodossia45. Alle vicende storiche rassegnate si aggiunseil divario di metodo, sempre più acuto, fra il pensiero teologico occidentale ed orientale. Mentre nel primo eccelse la scolastica, nel secondo fu determinante, nei secoli XIV-XV, l’esicasmo (dal greco hesychia = riposo)

palamitico, riaffiorato poi nel sec. XX e caratterizzante oggi, in grande misura, la teologia ortodossa. Questo sistema di pensiero insegna che nella contemplazione e nell’unione mistica si vede non Dio stesso, ma le energie divine, che sarebbero delle istanze mediatrici tra l’umanità creata e le Persone della Trinità divina. Si tenta così di mettere al riparo la trascendenzadivina, con evidenti conseguenzeperla dottrina trinitaria e soteriologica*. Negli ultimi anni, comunque, le posizioni rispetto alla questione trinitaria si sono ravvicinate, almeno da parte cattolica: esiste infatti il riconoscimento di un’impostazione trinitaria che può essere condivisibile, sebbene rimanga diversa nella forma. Nel 1995 il

PCPUChapubblicato il documento La processione dello Spirito Santonelle tradizioni greca e latina*?, nel quale si specifica che «la Chiesa cattolica riconosce il valore conciliare ed ecumenico, normativo e irrevocabile, quale espressione dell’unica fede comune della Chiesa e

43 Ds

44 DS1301.

45 Cf. A. NICHOLS, Rome and the Eastern Churches, pp. 263-280. 40 Cf. CCD120.

47 Cf. EV 14, nn. 2966-2992. Sull'argomento si può consultare A. STIRNEMANN - G. WILFLINGER

(edd.), Von heilegen Geist. Der gemeinsametrinitarische Glaube und das Problem des Filioque, Tyrolia, 18

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dituttii cristiani, del simbolo professato in greco dal II concilio ecumenico a Costantinopoli nel 381». Contemporaneamente si dice che «la Chiesa cattolica interpreta il Filiogue in riferimento al valore conciliare ed ecumenico, normativo e irrevocabile della confessione di fede sull’origine eterna dello Spirito Santo così come l’ha definita nel 381 il concilio ecumenico di Costantinopoli nel suo simbolo». Secondo W. Kasper, gli ortodossi non avrebbero bisognodi adottare il Filioque, però dovrebbero ammettere che esso nonè eretico e che può essere interpretato alla luce del credo comune*8. Più distanti restano invece le posizioni rispetto al modo di intendere l’unità della Chiesa‘. Gli ortodossi concepiscono ciascuna Chiesa locale come completa inse stessa; ciò che le unisce tra loro sarebbe solamente il mutuo riconoscimento di essere in comunione le une con le altre. Questo modo di concepire l’unità della Chiesa ha ricevuto una nuovaspinta col concetto di sobornost (conciliarità), sviluppato da A.S. Khomiakov nel XIX secolo, non mirante direttamente ai concili, ma al mododi pensare la Chiesa comeunità nella diversità. In

questa concezioneecclesiologica la dottrina sul primato del vescovo di Romanontrova posto sufficiente, e perciò la rifiutano. Attualmente è questo lo scoglio principale nel cammino versol’unità. Di grande incidenza per l’ecumenismo si è rivelata la teologia russa della diaspora, proveniente dalla persecuzione comunista del XX secolo, e la correlativa emigrazione in

Occidente. In questo contesto, alcuni teologi ortodossi confluirono nella facoltà di teologia di Saint-Serge, a Parigi, creando un interessante foro di dialogo Oriente - Occidente. Alcuni di essi, come S. Bulgakov, avevano conosciuto V. Soloviev, teologo russo del XIX secolo, chesi era distinto per i suoi studi sulla sofiologia, e che aveva beneintuito la differenza fra latinità e

romanità, avvicinandosi per questa via a posizioni molto cattoliche. In Soloviev, tali idee incontrarono il pensiero di P. Florensky sulla “metafisica della carità”, generando una "filosofia religiosa” coninteressanti aperture ecclesiologiche. Il suo pensiero fucriticato dalla “neopatristica” della stessa scuola, sotto la penna di N. Lossky e G. Florovsky e successivamente da J. Meyendorf e dal neopalamismo. In questa atmosfera, comunque,si svilupparono condizioni adatte per un dialogo intellettuale cattolico - ortodosso di buon livello, dialogo reso più intenso nell’altro polo della teologia russa in Occidente, il Saint Vladimir's Theological Seminary, con sede a NewYork. Nell’ambito della teologia ortodossa

Innsbrick-Wien 1998, e E. ALVAREZ, Procededel Padre ydel Hijo. Estudio de la “Clarificacibn Romana” de 1995 y desusfuentespatristicas, Lang, Bern 2011. 48 Cf. W. KASPER,Vieperl'unità, pp. 162-163.

49 Su questo temaè obbligata le lettura di Y. SPITERIS, Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra

Orientee Occidente, EDB, Bologna 2003.

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di matrice greca, troviamo nelle speculazioni di J.D. Zizioulas, sul collegamento fra ecclesiologia e ontologia trinitaria, un riferimento interessante per il dialogo ecumenico50. L’incorporazione delle Chiese ortodosse al dialogo ecumenico non fu all’inizio molto entusiasta", e solo gradualmente esse s’inserirono nel Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC),data l’origine prevalentemente protestante del movimento ecumenico. Con la Chiesa cattolica ebbe un grande significato l’abrogazione reciproca delle scomuniche (7.12.1965), che ha cercato di cancellare i risentimenti dei fatti incresciosi del 1054, e di inaugurare “il dialogodella carità” fra le due Chiese. In questa linea troviamoaltri gesti, come lo scambiodi visite a motivo delle feste dei santi Pietro e Paolo e di sant’Andrea. Nacquero così le condizioniper poter avviareil dialogo teologico ufficiale, primaa livello locale, poi, dal 1980,

a livello internazionale attraverso un’apposita commissione mista5?. Uno sguardo d’insieme sui documenti del dialogo? rileva che ci si era finora occupati di temi piuttosto settoriali, i quali fungono, però, da premesse indispensabili per affrontare i nodi che separano le due tradizioni in modo più globale. Col documento firmato dalla Commissione mista a Ravenna

nel 2007, intitolato Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità54, sembra che si sia finalmente concluso il periodo delle premesse e si possa ora affrontare il tema concreto del primato romano a livello di dialogo internazionaleS5. Quest'ultimo documento esamina, infatti, il

rapporto fra conciliarità e primato a livello locale, regionale e universale, e conclude

esprimendo la volontà di «studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunioneditutte le Chiese»(n. 45). Negli ultimi anni del XX secolole relazioni delle Chiese ortodosse con il CEC hanno sofferto a causa dell’orientamentoliberale-protestante predominante in quest’organismo. Con la Chiesacattolica le relazioni si sono raffreddate a causa del rifiorire delle Chiese cattoliche di rito orientale in territorio ex-sovietico, una problematica sorta con la caduta dell’Unione

50 Cf. I. ASIMAKIS, «Alcuneconsiderazionisull’ecclesiologia ecumenica»,Studi ecumenici 29/2 (2011), pp.224-226. 5! C£. G. THILS, Historia doctrinal del movimiento ecuménico, Rialp, Madrid 1965, pp. 310-316. 52 Cf. G. CERETI, Ecumenismo. Corso di metodologia ecumenica, Istituto di Teologia a Distanza, Roma

1991, pp. 108-111. 53 I principali documentidi dialogofinora pubblicati sono: // mistero della Chiesa dell'Eucaristia alla

luce della Santissima Trinità (EO 1, nn. 2183-2197); Fede, sacramenti ed unità della Chiesa (1987, in EO 3, nn. 1762-1811); /l sacramento dell'ordine nella struttura sacramentale della Chiesa (1988, in EO 3, nn. 1812-

1866); L'uniatismo, metodo d’unionedelpassato e la ricerca attuale di unità (1993, in EO 3, nn. 1867-1900); Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa, comunione ecclesiale, conciliarità ed autorità (2007, in Zenit, 15.11.07). 714.

54 La traduzionein italiano dell’originale inglese è pubblicata in Regno/Documenti 20 (2007), pp. 708-

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Sovietica. Le stesse circostanze portano gli ortodossi ad accusare la Chiesa cattolica di proselitismo indebito. L’insieme di queste condizioni mette sempre più in evidenza l’importanza, finora non sufficientemente apprezzata, della differenza nel mododi capire la cattolicità della Chiesa, intesa questa non come denominazione, ma nel suo genuino senso teologico. La cattolicità, infatti, non comporta solo l’idea della destinazione universale del Vangelo, ma è intrinsecamente legata alla libertà religiosa: dove quest’ultima nonesiste, difficilmente può essere attuata la cattolicità. Il legame fra Chiesa autocefala e nazione, fondato nella nozione ortodossa di “territorio canonico” (vedi infra), di fatto annienta la libertà religiosaS6, e conessala cattolicità, sebbene essa sia professata anche dalla ortodossia.

1.3. Luterani La riformaluterana trova in John Wycliff (1324-1384) e in Jan Hus (1369-1415) i suoi

antecedenti più immediati. Wycliff, sacerdote francescano, studiò e insegnò teologia nel Balliol College di Oxford, fondò il movimento riformatore dei Lollards e fu scrittore prolifico; fra l’altro, sua è una Summa theologiae in quattordici volumi. Le sue proposte di riforma, abbinate a posizioni teologiche contrarie alla libertà di Dio, alla causalità sacramentale, alla transustanziazione eucaristica e al ruolo della Chiesa nella salvezza,

trovarono la dura opposizione dei vescovi inglesi e la condanna del Concilio di Costanzaî?. Le idee di Wycliff arrivarono in Boemia attraverso la famiglia reale, imparentata con quella inglese, e trovarono in Hus, sacerdote nato in seno ad una famiglia contadina della Boemia meridionale e predicatore instancabile, il suo grande sostenitore. Su uno sfondo apocalittico, le critiche alla Chiesa del suo tempoe al Papa presero forme semprepiù violente,

sfidando apertamente le autorità di Praga e di Roma. Nel 1413 scrisse la sua opera più conosciuta, De Ecclesia, di grande diffusione allora e dopo, fra i valdesi e i luterani. Anche Husfu condannato nel Concilio di Costanza, dove fu giustiziato88.

Nell’Europa rinascimentale degli inizi dell’Età Moderna, il XVI secolo è lo scenario delle grandi divisioni della Chiesa in Occidente. Protagonista indiscusso della Riformafu il religioso agostiniano Martino Lutero (1483-1546). Nato ad Fisleben, nella bassa Sassonia, studiò filosofia e teologia a Erfuhrt prima di diventare insegnante di successo in esegesi

55 livello localeesiste, invece, la Dichiarazione congiunta Primatoe conciliarità (Brighton, 1989) della Consulta ortodossa-cattolico romana degli Stati Uniti (cf. EO 4, nn. 3436-3444). 56 Cf. W. KASPER,«Leradiciteologiche del conflitto tra Mosca e Roma», LaCiviltà Cattolica 3642/1 (2002 pp. 531-541. ST Cf. O.F. PIAZZA,s.v. «Wyeliff John», in L. PACOMIO - G. OCCHIPINTI, Lexikon. Dizionario dei teologi, Piemme, Casale Monferrato 1998, p. 1325. 21

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pressol’università di Wittenberg.I suoi studi sui salmi, sul corpus paulinume particolarmente sulla Lettera ai Romani furono il terreno dove germinarono le sue posizioni sulla natura dell’uomo

radicalmente corrotto

dal

peccato,

il

quale

può

trovare

giustificazione

esclusivamente nell’atto di fede, senza mediazione delle opere. Egli legge la “giustizia di Dio” menzionata in Rm 1,16-17 non come l'intervento divino che premia i giusti e punisce i

peccatori, ma come l'atto con cui il Signore misericordioso copre i peccati di quanti si abbandonanoin lui attraverso la fede. Questa interpretazione trovò confermanell’esperienza della torre (la turmerlebnis), un episodio che segnò per sempre la sua vita. Con parole sue, «quelpasso di san Paolo fu veramente per mela porta del paradiso»99. Data simbolica dell’inizio della riforma è il 31 ottobre 1517, quando, a seguito del suo

invio al vescovo Alberto di Brandeburgo, le sue celebri 95 tesi furono affisse alla porta della chiesa delcastello di Wittenberg, mentre nei dintorni dilagava la predicazione del domenicano Tetzel sulle indulgenze, incoraggiata dal Papa Giulio II in vista di raccogliere fondi per la costruzione della basilica di san Pietro. Dopo essere stato processato a Romae dopo dibattiti accessi conteologi del calibro di Caetano (Tommaso di Vio) e J. Eck, Lutero fu dichiarato eretico da Leone X (bolla Exsurge Domine, 1520) e successivamente scomunicato (bolla

Decet Romanum Pontificem, 1521). In quell’anno pubblicò tre delle sue opere più diffuse: Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, La cattività di Babilonia e La libertà cristiana.

Filippo Schwarzerd, più conosciuto conil nome grecizzato di Melantone, grande umanista e collega di Lutero a Wittemberg, sposò entusiasticamente la causa della riforma e consolidò i suoi fondamenti intellettuali, spesso moderando i suoi estremismi®0. Sua è l’Apologia della Confessione di Augusta (1531)6!, scritta in risposta alla Confutatio pontificia dell’anno

precedente,il cui articolo IV, sulla giustificazione, è una delle esposizioni luterane più diffusa sul tema. Scrisse anche De potestatae papae (1537). La teologia

scolastica dell’epoca, ormai tardiva e decaduta, soggiogata da un

nominalismo la cui matrice risale a G. Ockam, nonriuscì a trovare risorse sufficientemente forti per bloccare le proposte della riforma. Una serie di congiunture storiche — fra le quali soprattutto il favore dei principi, l’uso della carta stampata e, non ultima, la decadenza morale della gerarchia ecclesiastica dell’epoca — favorì notevolmentela diffusione del luteranesimo specialmente in Germania e nei paesi nordici, dove arrivò ad essere la religione di stato. In

58 Cf. F. BUZZI, Brevestoria del pensiero protestante. Da Lutero a Pannenberg, Ancora, Milano 2007, pp. 7-12. 59Fontes, p. 305. 50Cf. M. DE ROSA,Teologia protestante. Momentie figure, Elea Press, Salerno 1990, pp.34-36. SI Testo in CFCC 124-569. 22

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seguito, si estese a macchia d’olio negli Stati Uniti attraverso le migrazioni dei tedeschi. Attualmente il numero globale dei luterani9? si aggira intorno ai 90 milioni, raggruppati nella Federazione Luterana Mondiale®3. Nonostante il peso di questi fattori, la questione di base del luteranesimo — l’articulus stantis et cadentis Ecclesiae — è la nozione teologica della giustificazione per la sola fede e

nonperle opere. Lutero credette di scoprire nelle penitenze monacali, nella predicazione delle indulgenzee nella venerazione dei santi, un mondoche favorisse il merito dell’uomoa scapito della giustificazione gratuita ottenuta da Cristo. Come già accennato, in tale questione ebbe larga incidenza lo screditamento della teologia scolastica dell’epoca, in gran parte confinata nelle strettezze del nominalismo. Sulla base di Rm 1,17, Lutero intese la giustizia di Dio non

più come giudizio, ma come giustizia donata al peccatore e ricevuta mediante la fede. Essa non trasformerebbe l’uomo in “giusto”, ma lo renderebbe soltanto consapevole di essere considerato da Dio come tale. Il principio della sola Scriptura apparve solo in un secondo momento,di fronte alla necessità di giungere alla massimaautorità dottrinale, una volta persa qualsiasi possibilità di dirimere la controversia in seno alla Chiesa cui apparteneva. Fu perciò

molto benaccolta la traduzione tedesca del Nuovo Testamento, magistralmente preparata da Lutero durante il suo rifugio nella fortezza di Wartburg, sotto la protezione di Federico di Sassonia. Il documento più completo della dottrina luterana si trova nella Confessio augustana (1530), anche se non ha un valore normativo95. La giustificazione per la sola fedesi traduce nell’accentuare la totale iniziativa di Dio a favore della nostra giustificazione, con i principi so/us Christus, sola fides, sola gratia. Il luteranesimo non accetta la giustificazione come rigenerazione interiore dell’uomo e, pertanto,il cristiano è simul justus et peccator. L'autorità della Bibbia è unica e nonsi accetta la tradizione comecriterio ermeneutico, ma solo come prima espressione di ciò che in seguito fu scritto neilibri sacri: la sola Scrittura resta sempre come norma normans non normata. La Chiesa non è, nel sistema luterano, una comunità salvifica (non è strumento di salvezza),

bensì esclusivamente la “comunità dei salvati”. Ne consegue che la dottrina sui sacramenti non ammette nessuntipo di causalità strumentale. Il battesimo ha un’importanza centrale nella teologia luterana, come evento assolutamente gratuito di giustificazione; il battesimo dei

62 | eristiani provenienti dalla Riforma furono chiamati “protestanti” perché nella Dieta di Spira del 1529 protestaronocontroil Papae l'Imperatore, esigendola riforma della Chiesa secondo principi di Lutero. Oggisi

tende ad abbandonare questa terminologia, anche se essa è ancora molto diffusa (esiste addirittura la rivista

scientifica «Protestantesimo», pubblicata dai valdesi). Luteranie riformati preferisconoil termine «evangelici». 63 G. BOUCHARD, Chiese e movimenti evangelici del nostro tempo, Claudiana, Torino 20063, p. 27.

64 Testo completo in CFCC 14-123.

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bambini è quindi prassi regolare. In ambito eucaristico si riconosce la presenza reale del Signore nella “santa Cena”, in, con e sotto le specie del pane e del vino. Poiché l'Eucaristia —

distribuita sempre sotto le due specie — è compresa solo comepasto, essa è spogliata da ogni valore sacrificale ed è ridotta al solo momentocelebrativo. Il battesimo e l'Eucaristia sono considerati gli unici sacramenti contenuti nella rivelazione; sebbene esistano riti luterani

paralleli ad alcuni degli altri sacramenti della Chiesacattolica, la loro natura sacramentale non è accettata. La vita pastorale è incentrata sulla predicazione, in coerenza con un concetto di Parola di Dio che non ha bisogno della mediazione sacramentale per operare la salvezza. Il ministero ordinato, privo di valore sacramentale“, si ritiene necessario peril bene esse della Chiesa, ma

non apparterrebbe all’esse Ecclesiae. Esso è inteso come realtà scaturita dal sacerdozio comunedi tutti i fedeli, ma è comunque conferito con l’ordinazione fatta con l’imposizione delle mani. È concepito come un servizio pubblico alla comunità e può essere revocato. Presso i luterani scandinavi e presso alcune comunità nel nord della Germania esiste

l’episcopatointeso comefunzionesopralocale di sorveglianza. Nel XVII secolo, il luteranesimo si sviluppò verso la cosiddetta ortodossia luterana,

nell’ambito di uno sforzo di formulazione teologico-sistematica del pensiero di Lutero, accompagnato da una grandeistituzionalizzazionedella vita religiosa e da un controllo stretto da parte del principeterritoriale. Paradossalmente, l’ortodossia luterana non fu sempre fedele a Lutero, proprio a causa del suo genere sistematico, estraneo al genio del fondatore9?. L’aridità di questa impostazione suscitò comereazionela spiritualità pietista, che si protrasse fino

al XVII secolo,

orientata a coltivare il sentimento religioso in modo meno

intellettualistico. Nell’avvio del pietismo ebbe grande importanza la pubblicazione dei Pia desideria del teologo luterano Ph.J. Spener, nel 167568. La chiave di volta di questa proposta fu il concetto di rinascita, che spostò il baricentro della spiritualità luterana dalla fides alla pietas. Nel privilegiare l’esperienza personale di Dio a partire solo dalla Bibbia, senza catechismi, né manuali e fuori dall’ambito di una collettività organizzata, il pietismo si mostrò

65 Per un maggiorapprofondimento, cf. G. TOURN(ed.), La confessione augustana del 1530, Claudiana, Torino 1980.

66 Su questo tema la posizione di Lutero è netta: «La Chiesa di Cristo ignora questo sacramento inventato

dalla Chiesa del Papa: infatti non solo noncontiene alcuna promessadigrazia, ma tutto il Nuovo Testamento non nefa cennoneppure conunaparola. E° ridicolo considerare sacramentoquello che nonsi può dimostrareistituito da Dio»(La cattività babilonesedella Chiesa,sez. L'ordine, in LUTERO,Scritti politici, UTET, Torino 1949,p. 328. 97 C£. J.-Y. LACOSTE(ed.),Storia della teologia, p. 277.

68 Il titolo completo è: Pia desideria oder Herzliches Verlangen nach gotigefiilliger Besserung der wahren evangelischen Kirche. 24

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estremamente critico nei confronti dell’istituzione ecclesiale’. Con A.H. Francke (16631727) essosiaprì alle opere sociali (scuole, orfanotrofi) e all’ansia missionaria. In N.L. von Zinzerdorf (1700-1760) la “logica del cuore” del pietismo trovò un esponente di spicco, soprattutto con la pubblicazione a Londra dei Venti e un discorso sulla Confessione di Augusta (1748), doveil testo della Confessione fu trascritto secondola chiavedel“io sento”, in sostituzione del "io credo”?. Si giunse poi, dalla fine del XVIII secolo, ad una convivenza

dicircoli pietisti con ambienti dottrinali permeati dall’illuminismo.Fra i primispiccala figura di F.D.E. Schleiermachere le sue opere Sulla religione. Discorsi a quegliintellettuali che la disprezzano (1799), e La fede cristiana (1822), nelle quali il sentimento assume un ruolo centrale. In modo più critico verso l’istituzione religiosa, va certamente annoverato S. Kierkegard, secondo cui “cristiano non si è, ma si diventa”, sviluppando per questa via il fondamento per il posteriore fenomeno dei ‘cristiani senza Chiesa”7!. Fra i razionalisti si

possono menzionare le posizioni religiose di G.W.F. Hegel (1770-1831), che nell’ultimo corso accademicotenutoalla fine della sua vita, si professò evangelico luterano??. Dalla seconda metà del XIX secolo si assiste all’ascesa del protestantesimo liberale, soprattutto con A. von Harnack (1851-1930), che nelle sue lezioni su l'essenza del

cristianesimo, tenute nell’università di Berlino nel 1900 e successivamente pubblicate, distingue fra il vangelo nel quale Cristo è l’oggetto, e il vangelo veramente annunciato da

Cristo, di stampo semitico, non deformato dalla mediazione ellenica. Poco posteriore è E. Troeltsch (1865-1923), che con la sua opera L’assolutezza delcri. ianesimo e la storia delle

religioni (1912), di matrice relativista, porta a concepire il cristianesimo come una cultura. Nel XXsecolola teologia liberale prende ancora forma con R. Bultmann(1884-1976) e la sua distinzionefra il Gesù della storia e il Cristo della fede, chesiallarga poiall’intero messaggio cristiano nel tentativo di demitizzazione del nuovo testamento. In sintonia, invece, con il

razionalismo hegeliano si trova W. Pannenberg (Stettino, 1928), che neltentativo di conciliare fede e ragione, concepisce la storia come rivelazione continua di Dio (così nella sua opera Rivelazione come storia, 1963). Ma il XX secolo è stato caratterizzato anche dal ritorno all’autenticità luterana,

particolarmente con D. Bonhoeffer (1906-1945), pastore e teologo tedesco, morto giustiziato in un campo di concentramento dai nazisti. Protagonista attivo della “Chiesa confessante”,

59 C£. CCD 276-279. 70 Cf. J.-Y. LACOSTE(ed.),Storiadella teologia, p. 299. 71 Ibid., p. 322. 72 Sull’incidenza del pensiero hegeliano nel luteranesimo, cf. F.M. CACCIATORE, Protestantesimo e filosofia in Hegel, Soveria Mannelli, Rubettino, 2003. 25

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ebbe,fin dall’inizio del suo lavoroteologico, un grandeinteresse perl’ecclesiologia. Nella sua opera Sequela, del 1937, egli si scaglia contro un luteranesimo troppo incentrato sulla giustificazione per la sola fede e con ciò dispensato dalla prassi conforme al vangelo. In un’opera successiva, l’Etica (1940), egli imposta la formula concettuale “l’esistenza per gli

altri” come nucleo centrale della vita cristiana. Occorre inoltre menzionare il desiderio, espresso da più di un teologo luterano del secolo scorso, di “riscoprire il primo Lutero” e di “risalire allo spirito originale della riforma”, che per molti versi non coincide con l’attuale “protestantesimo””73. La partecipazione delle Chiese luterane al dialogo ecumenico è stata sempre intensa. Nei confronti della Chiesa cattolica, esso è portato avanti in seno alla Commissione

Internazionale Luterana - Cattolico Romana per l'Unità. Avviati i lavori nel 1967, essa emanò un primo documento sul Vangelo e la Chiesa?4. In una secondafase del dialogo (19731984) si trattarono temi diversi come la Cena del Signore?5 e il ministero”, e temi più direttamente vincolati all’ecumenismo, come Vie verso la comunione? e L'unità davanti a noi?8.

Nel

1986 iniziò la terza fase del dialogo, incentrato sull’ecclesiologia”? e la

giustificazione, e durato fino al 1993. Comefrutto di questa terza fase, in data e luogo cariche di significato, il 31 ottobre 1999 si firmò ad Augsburg una dichiarazione congiunta di accettazione di alcuni punti dottrinali sulla giustificazione80, che costituisce “una pietra miliare” per il dialogo cattolico - luterano8!, e un importante progresso a livello teologico8?. Infine, dal 1995 ha avuto inizio la quarta fase, sull'apostolicità della Chiesa; nel 2007 è stato

pubblicato un documento di studio sull'argomento, che appare sempre più al centro del

73 Cf. H. MEYER, «La Chiesa Popolo di Dio, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo, nel dialogo tra la Chiesa cattolica romana e le confessioni protestanti. Una prospettiva luterana», in P. RODRÎGUEZ(ed.),

L'ecclesiologia trent'anni dopola “Lumen gentium”, Armando, Roma 1995, pp. 225-228. 74 Cf. COMMISSIONE DI STUDIO EVANGELICA LUTERANA - CATTOLICA ROMANA,Rapporto // Vangelo e la Chiesa, Malta 1972, in EO 1, 1127-1206.

75 Cf. EO I, nn. 1207-1307. 76 Cf. COMMISSIONE CONGIUNTA CATTOLICA ROMANA- EVANGELICA LUTERANA, Documento //

ministero pastorale nella Chiesa, Lantana 1981, in EO 1, nn. 1434-1520.

77 EO1, nn. 1308-1404. 78 EO I, nn. 1548-1709. 79 Cf. COMMISSIONE CONGIUNTA CATTOLICA ROMANA - EVANGELICA LUTERANA, Documento

Chiesa e giustificazione. La comprensione della Chiesa alla luce della dottrina della giustificazione, Wiirzburg

1993, in EO 3, nn.1223-1538. 80 FEDERAZIONE LUTERANA MONDIALE - CHIESA CATTOLICA, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, Augsburg, 31.10.99, in A. MAFFEIS (ed.), Dossier sulla giustificazione, Queriniana, Brescia 2000, pp. 23-42. 81 W. KASPER, «Unapietra miliare nel cammino dell’ecumene», in A. MAFFEIS (ed.), Dossier sulla

giustificazione, pp. 305-309. 82 Cf. IR. VILLAR, «La declaracion comin Iuterano-catélica sobre la doctrina de la justificaciòn», in Scripta Theologica 32/1 (2000), pp. 101-129. 26

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dibattito ecumenico sul ministero83. Sebbene non ristabilisca la piena comunione ecclesiale, a causa del suo carattere vincolante dovuto alle tradizioni firmatarie, la dichiarazione congiunta di Ausgburg suggella ufficialmente la reciproca ricezione della dottrina ivi esposta, e merita pertanto una speciale considerazione. Essa «s’ispira a un modello di consenso ecumenico cheapplica il principio secondo cui l’unità nella fede, fondamentale per la comunione ecclesiale, non esige

necessariamente che la fede comune sia detta con i medesimi concetti, ma sopporta espressioni dottrinali differenti»$4. Nella dichiarazione si costata «un consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione»(n. 5), e infatti nella terza parte del testo (nn. 14-18) si descrive «La comune comprensione della giustificazione». Nella quarta parte si passano invece in rassegna i differenti modi in cui ciascuna delle tradizioni capisce l'impotenza dell’uomodi fronte alla giustificazione (nn. 19-21), il perdono dei peccati e la santificazione (nn. 22-24), il ruolo della fede e della grazia (nn. 25-27), l’essere peccatore del

giustificato (nn. 28-30), la legge e il vangelo (nn. 31-33), la questione della certezza della salvezza (nn. 34-36) e le buoneoperedelgiustificato (nn. 37-39). Nella risposta ufficiale della Chiesa cattolica, mentre da unaparte si ritiene «giusta la constatazione che c’è un consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione»,

dall’altra si aggiunge come «nonsi possa ancora parlare di un consenso tale che elimini ogni differenza fra cattolici e luterani nella comprensione della giustificazione»$5; restano infatti divergenze su temi di peso non indifferente, come, fra l’altro, l’affermazione luterana

dell’uomo simul iustus et peccator, non condivisa daicattolici, la posizione della dottrina della giustificazione nell’insiemedelle verità di fede, e la qualità della cooperatio umanaalla giustificazione86. Queste precisazioni non dovrebbero togliere valore all’accordo raggiunto; comeè stato giustamente detto, ad Ausgburg «nonsi sonosciolti tutti i nodi della controversia fra cattolici e luterani — neppureriguardo alla giustificazione —, masi è trovata la via per realizzare nuove convergenze»8?.

83 LUTHERAN-ROMAN CATHOLIC COMMISSION FOR UNITY, Study Document The Apostolicityofthe Church, 2007, in Service dInformation 128/2 (2008), pp. 59-133. 84 A. MAFFEIS (ed.), Dossier sulla giustificazione, pp. 15-16.

85 CDF - PCPUC,Risposta della Chiesa cattolica alla dichiarazionecongiuntatra la Chiesa cattolica e la Federazioneluterana mondialecirca la dottrinadella giustificazione, 25.6.1998, Introduzione,in ibid., pp. 67-68. 86 C£. ibid., pp. 68-73. 87 C. PORRO,«Dichiarazione congiuntasulla giustifi azione: orientamenti per la lettura», Rassegnadi Teologia 41/6(2000), p. 897. 27

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1.4. Riformati Contemporaneamente alla riforma luterana si svilupparono nell’attuale Svizzera altri due movimenti riformatori: uno a Zurigo, iniziato da Ulrico Zwingli (1484-1531), e l’altro a

Ginevra promosso da Giovanni Calvino (1509-1564). Zwingli, nato a Wildhas in seno ad una famiglia molto praticante (ebbe tre fratelli sacerdoti e due sorelle religiose), fu parroco a Glarona, e divenne poi instancabile predicatore a Zurigo. Era amico di Erasmo da Rotterdam, di cui subì un grande influsso. Contò sul forte appoggio dalla borghesia di Zurigo per lottare contro la corruzione dilagante in buona parte del clero cittadino. Il suo pensiero, caratterizzato, fra l’altro, dal rifiuto della validità delle forme esteriori del culto, dal risalto dato alla vita etica, e dal non riconoscimento dell’autorità del Papa e del Concilio, si trova

plasmato in tre sue opere pubblicate nei primi anni della riforma da lui intrapresa: il Commento e prova di 67 conclusioni (1523), il compendio Breve introduzione cristiana (1523), e il saggio De veraetfalsa religione (1525). Ebbe contatti personali con Lutero, che

nonportarono però ad una posizione dottrinale comune, soprattutto in ambito eucaristico. Diversi eventi storici (soprattutto la sconfitta militare e la morte di Zwingli nella battaglia di Kappel) portarono i suoi seguaci a restare inglobati nel movimento capeggiato da Calvino. Quest'ultimo, nel 1536 cominciò adapplicarele sueidee politico-religiose nella città di Ginevra, ma fu da essa espulso dopo due anni. Tornatovi in piena attività nel 1541, dedicò

tutte le sue energie alla costruzione di una specie di “città-chiesa”, sulla base delle celebri Ordinanze da lui promosse, instaurando una società teocratica fortemente intransigente in temietici, sia in ambito privato che pubblico. Stabili una forma di governobasata su pastori eletti da ciascuna congregazione, affiancati da dottori e anziani, e coadiuvati dai diaconi.

Diede grande importanza all’educazione,sia civile che religiosa88. I riformati (o “calvinisti”’) si diffusero in Olandacon l’appoggio decisivo di Guglielmo d’Orange, e in Francia, Ungheria, Romania e Scozia, dove la riforma s’impose nel 1560 ad opera di John Knox,i cui seguaci presero il nome di “presbiteriani”. Dalla Scozia migrarono dall’Europa verso l'America del Nord,

dove

si

trova

oggi

la

concentrazione

più

consistente

di

presbiteriani.

Complessivamente, la tradizione riformata conta più di 87 milioni di aderenti, riuniti nella

Comunione Mondiale delle Chiese Riformate8®. Il pensiero di Calvino, frutto di una predicazioneininterrotta nella cattedrale di Ginevra, è esposto nella sua opera /nstitutio Religionis Christianae (1536, ampliata successivamente fino all’edizione definitiva del 1560), una vera summa teologica del protestantesimo

88 Cf M. DE ROSA, Teologia protestante. Momenti e figure, Elea Press, Salerno 1990, 36-39. 89 G. BOUCHARD, Chiese e movimentievangelici, p. 45.

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riformato. In essa si prende grandedistanza dalla tradizione medievale e particolarmente dalla scolastica, nel tentativo di ripristinare la primitiva purezza delcristianesimo. Tale operae il Catechismo di Heidelberg (1563) costituisconogliscritti più significativi dei riformati, anche se non sono ritenuti scritti confessionali

vincolanti. La dottrina calvinista sostiene

sostanzialmente la posizione luterana, ma in modo più radicale; la Chiesa sarebbe la “comunità dei predestinati”, si sottolinea la trascendenza divina e la regalità di Dio, e

s’imposta una vita morale tendenzialmente rigorista, come conseguenza della “totale corruzione dell’uomo”. Nella Santa Cena si afferma una presenzasolo spirituale di Cristo. Del resto, il calvinismo è abbastanza simile al luteranesimo, potendosi menzionare come una

sua caratteristica particolare la non accettazione dell’episcopato (perciò in alcuni paesi sono chiamati presbiteriani). Si distingue anche per la comune dignità assegnata all’antico e al nuovo testamento, e ciò ha contribuito ad escludere posizioni antigiudaiche, presenti invece

negliscritti di Lutero. Nelculto spiccano la grande sobrietà e semplicità, così da evitare qualsiasi mediazione nell’accesso diretto del credente alla parola di Dio. Da qui la mancanzadeifiori, dell’incenso,

dei paramentiliturgici, ecc., con la sola eccezione della musica, che gode di granderilevanza. Nella predicazione si usa la toga nera, simbolo austero di autorità. La spiritualità calvinista è incentrata sulla lettura familiare della Bibbia e favorisce non pocola spinta all’azione ed al

progresso. L’iniziale desiderio di “purificare” la Chiesa dalle rimanenti “scorie papaliste” diede ai calvinisti in Inghilterra il nomedi puritani, anche se il puritanesimo calvinista è più conosciuto come atteggiamento etico di grande influenza nell’avviamento del regime democratico americano e nell’educazione di molte generazioni del mondo occidentale, soprattutto attraverso rinomate università come Yale, Princeton e Harvard.

Nel XX secolo il calvinismo originale è stato ripreso e riplasmato da personalità di grande spicco come Karl Barth (1884-1968) e Oscar Cullmann (1902-1999). Il primo insegnò

a Gottinga e Bonn prima di tornare nella propria città natale, Basilea, a causa della sua opposizione al nazismo. Nella seconda edizione del suo commento alla lettera ai romani

(1922), Barth si stacca dalla tradizione protestante liberale, alla quale aveva finora aderito, e pone le fondamenta del suo più grande contributo alla teologia contemporanea: la teologia dialettica, in cui la Parola di Dio è rimessa al centro del pensieroteologico e funge da cerniera fra la trascendenza infinita di Dio e la finitezza egocentrica dell’uomo. Questa linea di pensiero si approfondisce ulteriormente nel 1927 con / prolegomini di una dogmatica cristiana. Tuttavia, l’opera ecclesiologicamente più rilevante è, senza dubbio, la Dogmatica ecclesiale, iniziata con la pubblicazione del primo volume (su tredici) nel 1932, e rimasta 29

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incompiuta al momentodella sua morte. In essasirifiutano in modoseccoi praeambula fidei, poiché

l’unico

accesso

al Dio

totalmente

trascendente

è quello della rivelazione

soprannaturale: l’ana/ogia entis è respinta in termini assoluti. La Chiesa è contemplata dal punto di vista dogmatico con un’impronta fortemente trinitaria e cristologica, che porta a spostare l’accento dalla “comunità dei predestinati” a quella degli scelti da Dio in Cristo®9. Cullmann, professore di storia della Chiesa antica nella sua città natale (Strasburgo) e a

Parigi, grande studioso del nuovo testamento e appassionato di ecumenismo (partecipò come osservatore al Concilio Vaticano II), è conosciuto soprattutto peril suo libro Cristo e il tempo (1946), nel quale la storia è considerata come una dimensionedella salvezza e, anzi, comeil

luogo dove essa si realizza: il Regno di Dio è una realtà veramente storica, oltre che escatologica. Si prende così distanza polemica dalla “demitizzazione” del cristianesimo avviata da R. Bultmann. In ambito più direttamente ecumenico spicca la sua opera Pietro. Discepolo, Apostolo, Martire (1952), nella quale, contrariamente all’opinione allora prevalente nell’esegesi protestante, si affermachele parole di Mt 16, 13-19,rivolte da Gesù a Pietro, gli conferiscono un vero primato,il quale, però, non avrebbe successione, casomai potrebbe fungere da modello nell’esercizio dell’autorità ecclesiale. Un altro saggio ecumenicamente impegnativo è L'unità attraverso la diversità (1986), con idee che hanno trovato buonapresa nel dialogo ecumenico, sebbene l’operanel suo insiemesia stata giudicata

come minimalista, sia in ambito cattolico che protestante?!. I calvinisti partecipano al movimento ecumenico con meno entusiasmo della restante

area sorta dalla Riforma del XVI secolo, a causa principalmente della loro specifica ecclesiologia, con poco spazio per l’elemento visibile. La loro affinità con il luteranesimosi cristallizzò nella forma di comunione denominata “diversità riconciliata”, alla base della

Concordia di Leuenberg del 1973°2, Fra la Comunione Mondiale delle Chiese Riformate e la Chiesa cattolica si è comunqueavviato un dialogoufficiale, arrivato ormaialla quarta fase: la primafase (1970-1977) si è conclusa con la pubblicazione di Presenza di Cristo nella Chiesa e nel mondo; la seconda (1984-1989), con il rapporto Una comprensione comune della Chiesa”; la terza (1998-2005), con il documento La Chiesa come comunità di testimonianza

comune del Regno di Dio; la fase attualmente in corso ha come tema generale Giustificazione

1990, passim.

A. MODA,Strutture della fede: un dialogo con Karl Barth, EMP- Edizioni Messaggero, Padova

9! Cf. G. IAMMARRONE,s.v. CullmannOscar, in LDT 341-344. 92 Testoreperibile in EO 2, nn. 319-367.

93 Cf. COMMISSIONE MISTA DI STUDIO CATTOLICA ROMANA - RIFORMATA,Rapportoufficiale del

dialogo (1970-1977) PresenzadiCristo nella Chiesa e nel mondo, Roma 1977,in EO 1, nn. 2314-2425. 30

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e sacramentalità: la comunità cristiana, agente di giustizia, che dovrebbe protrarsi fino al

201795. 1.5. Comunioneanglicana Anche se le origini della Chiesa d’Inghilterra trovano la loro motivazione immediata nella problematica ereditaria e il conseguente desiderio del re Enrico VIII di ottenere la nullità del suo matrimonio, occorre tenere presenti le premesse dei secoli precedenti, le quali serpeggiavano già, sebbene sottilmente, in ampli strati della società inglese. Nel Trecento, infatti, si sviluppò il movimento riformista di John Wyclif (1320-1384), e la sua teologia di stampo evangelico rimase viva, covata all’interno del movimento popolare dei Lollardi. Nel XVIsecolo troviamo già anche l’influsso di Lutero, combinato con l’umanesimo di Erasmo

da Rotterdam, insieme alla traduzione inglese della Bibbia, realizzata con successo da William Tyndale (1494-1536), base della futura King James Version del 1611.

Con l’autoproclamazione del re Enrico VIII come capo della Church of England mediante l’Act of supremacy (1534) si compie lo scisma,e il posteriore Act ofUniformity, ai tempi del lungo regno di Elisabetta I (1568-1603), lo conferma definitivamente. Nel suo consolidamento

durante

l’E/izabethan

Settlement,

ebbe

un

grande

peso

la

figura

dell’arcivescovo Thomas Cranmer (in carica dal 1533 al 1555), quella del chierico Richard

Hooker (1544-1600), e quella del vescovo J. Jewel (1522-1571). Col primo si consolidarono le posizioni ecclesiali di governo; con il secondo — specialmente con la sua opera Ecclesiastical Polity, di 8 volumi — si conferì all’anglicanesimo una certa ossatura teologica”; con il terzo, attraverso il suo saggio Apologiadella Chiesa d'Inghilterra (1562), si acquisì credibilità ad extra. In seguito, nel XVII secolo, fiorì la teologia “carolina”, più votata verso una posizione di compromesso, promossa dai caroline divines, chiamati così perché furono protetti prima dal re Charles I e poi da CharlesII. Di questo periodoè inoltre la Versione autorizzata della Bibbia (conosciuta come King James Version), pubblicata nel 1611, che ebbe un grande impatto nella cultura e nella lingua inglese. Contemporaneamente, si sviluppo però anche l’opposizione del puritanesimo, movimento a carattere trasversale e affine al calvinismo, particolarmente ostile al cattolicesimo e alle strutture gerarchiche di

94 Cf. COMMISSIONE INTERNAZIONALE CONGIUNTA CATTOLICA ROMANA - RIFORMATA, Rapporto

ufficiale del dialogo (1984-1990) Una comprensione comunedella Chiesa, 1990, in EO 3, nn. 2266-2445. 95 Cf. Service d'Information 136 (2011), p. 18.

96 Cf. A. NICHOLS, The Phanter and the Hund. A Theological History of Anglicanism, T&T Clark, Edimburg 1994,pp.37-53. 31

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matrice episcopale, divenuto particolarmente forte sotto Oliver Cromwell (1599-1658), Lord Protettore dal 1653. Nato come scisma, sostanzialmente motivato da cause extraecclesiali, l’anglicanesimo

emerge dunque inizialmente privo di una dottrina propria, mantenendosi nella grande tradizione cattolica. L’aspirazione ad un’identità specifica lo porta a cogliere spuntiteologici, primadel luteranesimo poi del calvinismo. Si configura così l’ampiospettro checaratterizza l’anglicanesimo: la High Church, più vicina al cattolicesimo (anglican-catholics); la Low Church, più incline al luteranesimo (anglican-evangelics); e la Broad Church, di taglio più liberale. Tutte si riconoscononei contenuti del Book ofcommon prayer(1549 e 1552), mentre i celebri 39 Articles (pubblicati prima nel 1553, così come i 42 articoli sulla religione, rielaborati poi nel 1563 e definitivamentenel 1571) non godonooggidi accettazione generale. La comunione anglicanasi diffuse specialmente nelle colonie britanniche, anche se dal XIX secolosi estese ad altre regioni a causa dell’emigrazionee degli sforzi missionari. Negli Stati Uniti, dopo l’indipendenza,essasi distaccò dalla Church of Englande prese il nome di

Chiesa episcopaliana (1789). A livello globale si configura come una comunione di Chiese autonome, che riconoscono nella sede primaziale della Chiesa d’Inghilterra (il vescovo di

Canterbury) un primato d’onore sull’intera comunione anglicana, senza concederle autorità effettiva. Tutte le Chiese partecipano alle Conferenze di Lambeth, le quali si celebrano dal 1867 ogni 10 o 12 anni, anche se la Conferenza nonha poterelegislativo e le sue decisioni nonsonovincolanti. Attualmente hannocirca 82 milionidi fedeli distribuiti in 44 province9?. La Conferenza di Lambeth del 1888 ebbe unaparticolare rilevanza dottrinale per il suo celebre documento noto comeil “quadrilatero di Lambeth”, nel quale si enunciaronoi quattro pilastri su cui poggia la comunione anglicana: la Scrittura, considerata come «comprendente tutto ciò che è necessario per la salvezza», e quindi come normae regola della fede; il Credo apostolico, ritenuto il simbolo battesimale per eccellenza e compendio autentico della fede; il

battesimo e l'Eucaristia, ritenuti come i due unici sacramenti voluti dallo stesso Cristo; infine, l’episcopato storico affermato come elemento essenziale della Chiesa®. La questione del

historic episcopate è diventata cruciale nel dialogo ecumenico, specialmente dalla fine del XIX secolo, in seguito alrifiuto, da parte cattolica, di riconoscere la validità delle ordinazioni

anglicane”.

97 Cf. G. BOUCHARD, Chiese e movimenti evangelici, pp. 57-58. 98 Cf. W.R. CURTIS, The Lambeth Conferences. The Solution for Pan-Anglican Organization, Columbia

University Press, NewYork 1942, 297. 99 Cf. LEONE XIII,Bolla Apostolicae curaesulle ordinazioni anglicane, 13.9.1896, in EE 3, 2034-2048; G. RAMBALDIOrdinazionianglicane e sacramentodell'ordine nella Chiesa. Aspetti storici e teologicia cento 32

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Forsela caratteristica più forte dell’anglicanesimo — un terminepiuttosto recente, più legato all’aspetto dottrinale che all’ecclesiale — è la capacità di riunire nel suo seno tendenze dottrinali, pastorali e liturgiche di segno diverso:

questa proprietà è nota come la

comprehensiveness, tipica del pensiero anglicano.Il triplice ministero esiste in tutte le Chiese, e, dall’ultima decade del XX secolo, anche le donne sono ammesseal ministero ordinato (fino al presbiterato nella Church of England, fino all’episcopato in altre). I due sacramenti ammessi da tutti sono il battesimo e l'Eucaristia. Gli altri sono praticati in varia misura nelle diverse Chiese, ma senza dar loro il senso sacramentale professato nella Chiesa cattolica. L’Eucaristia si distribuisce sempresotto le due specie, e solo in alcunicasisi riserva per la sua adorazione. Nel XIX secoloè stata restaurata la vita religiosa, abolita ai tempi di Edoardo VI, e concretamente nell’anno 1829, con la legge di emancipazione deicattolici, si restituirono loro alcuni dei loro diritti civili, e si permiseil culto cattolico in ambito privato. Dal punto di

vista etico, sono da mettereinrilievo gli sforzi d’ispirazione anglicanainvista dell’abolizione della schiavitù (ottenuta grazie a W. Wilberforce nel 1833) e della regolazione dell’orario lavorativo (frutto della tenacia di A. Shaftesbury, nel 1847). In quegli anni emersela figura

del poeta S.T. Coleridge (1772-1834), difensore — raro a quell’epoca — della non contraddizione fra scienza e fede, e promulgatore del cristianesimo come fenomeno esclusivamente morale, con le sue conseguenze per l’unificazione delle Chiese, la quale

sarebbecostruita su fondamentietici!0%, Anche se le Chiese anglicane non-britanniche mantengonoil principio di separazione Chiesa-Stato, la Chiesa d’Inghilterra è ancora ritenuta Chiesa ufficiale dello Stato. Il Capo della Church of England è il re (o la regina) e nella nomina dei vescovi — molti dei quali sono Lords e occupano un seggio nella Camera Alta — intervieneil governo civile (anche se ormai è divenuta una formalità).

L’anglicanesimo è pioniere nel dialogo ecumenico. Per la sua storia e la sua configurazione si considera una “Chiesa-ponte”, specialmente tra cattolici e luterani (la via

anni della bolla Apostolicae curae di Leone XIII, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 1995;

C.

HILL - E. YARNOLD(edd.), Anglican Orders: the documents in the debate, Canterbury Press, Norwich 1997; W.

FRANKLIN (ed.), Anglican Orders. Essays on the Centenary of Apostolicae Curae 1896-1996, Mowbray, London1996. Suqueste ordinazioni incide attualmente un fattore nuovo,e cioè il fatto che dalla prima metà del XX

secolo (quandogli anglicani i veterocattolici riconobberoreciprocamente la validità delle loro ordinazioni), in molte delle ordinazioni episcopali anglicane hanno partecipato, come ministri consacranti, diversi vescovi

veterocattolici, dei quali la Chiesa cattolica non dubbita della validità delle loro ordinazioni. Si tratta di una

questione molto complicata, che non può essere sviluppata in questa sede. 100 Cf. J.-Y. LACOSTE (ed.), Storia della teologia, p.

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media). Mantiene una totale intercomunioneconi veterocattolici!0! e con le Chiese luterane nordiche e baltiche!°2, Rispetto al rapporto con la Chiesa cattolica, non si può tralasciare l’incidenza del movimento di Oxford del XIX secolo: conil ritorno ai Padrisi riscoprì infatti il passato cattolico della Chiesa d’Inghilterra, risvegliando la nostalgia per l’unità della Chiesa indivisa. Spiccano in questo contesto personalità di grande peso culturale come J. Keble, pastore e professore di poesia a Oxford, resosi celebre con un sermone pronunciato nel 1833 intitolato L'’apostasia nazionale, nel quale denuncia il crescente predominio dell’autorità civile sulla Chiesa e la necessità di tornare alle fonti. Insieme con J.H. Newmane E.B. Pusey diede vita ad un progettointellettuale che si sviluppò lungo unaserie di opuscoli pubblicati nei Tracts for the Time, fra 1833 e 1841. I “trattariani” furonoi principali promotori dell’idea di considerare l’anglicanesimo come via media fra cattolicesimo e protestantesimo, e l’ortodossia cristiana come il “consenso dei primi cinque secoli”. Newman fu conosciuto primaperil suo libro Gli ariani del quarto secolo (1833), che divenneun classico. Nel 1841 pubblicail celebre Tract 90, nel quale propone un’interpretazione dei TrentanoveArticoli alla luce del Concilio di Trento, suscitando grande scalpore fra i suoi colleghi. Divenuto poi cattolico, scrisse, fra l’altro, il Saggio sullo sviluppo della vita cristiana (1845), L’idea di

università (1852) e la Grammatica dell’assenso (1870), di grande rilevanza per capire la coerenza dell’atto di fede con la natura umanarazionale. Nell’Apologia pro vita sua (1864) racconta il processo della sua conversione. L’influsso di Newman sull’Inghilterra di allora non è stato ancora adeguatamente valutato, e molte delle sue idee conservano ancor oggi una grandissimaattualità. Come disse Benedetto XVInell’omelia della sua beatificazione, «le sue intuizioni sulla relazione fra fede

e ragione,sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio, non furono soltanto d’importanza profonda per l'Inghilterra vittoriana, ma continuanoancor oggiad ispirare e ad

illuminare molti in tutto il mondo»!93. Un’eredità del movimento di Oxford furonoi contatti anglicano-cattolici portati avanti, dalla fine del XIX secolo, da Lord Halifax e da P. Portal, e ripresi più tardi, sotto la presidenza del Card. Mercier, nelle conversazioni di Malines (1921-1926). Qui si studiarono le

101 Cf. CONFERENZAFRA I RAPPRESENTANTI DELLE CHIESE VECCHIOCATTOLICHE E LE CHIESE

DELLA COMUNIONE ANGLICANA, Dichiarazione concordata sull'intercomunione, Bonn 1931, in EO 1, nn. 568-573. 102 Cf. Dichiarazione di Porvoo, Jirvenpàà 1992, in EO 4, nn. 362-379. Nell’accordo non è coinvolta l’intera comunioneanglicana, masolo le Chiesedell'Inghilterra, dell'Irlanda, della Scozia e del Galles. 103 BENEDETTO XVI, Omelia della Santa Messa con Beatificazione del Venerabile Cardinale John Henry Newman, Birmingham,19.9.2010,in www.vatican va. 34

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divergenze più sostanziali esistenti tra cattolici e anglicani. Occorre menzionare anche la Conferenza di Lambeth del 1920, che indirizzandosi all'intero popolo di Dio, riformulò il Quadrilatero di Lambeth in modo più condivisibile da parte delle comunità cristiane non-

episcopali. Dopoil Concilio Vaticano II il dialogo con la Chiesa cattolica — interrotto dai tempi delle Conversazioni di Malines — riprese con la creazione dell’Anglican-Roman Catholic International Commission (ARCIC)!%, che nel 1981 pubblicò un rapporto finale'95 sulle convergenze ottenute durante questa prima fase del dialogo attorno ai temi dell’Eucaristia'%, del ministero!07 e dell’autorità nella Chiesa!08. I risultati non trovarono però i consensi delle rispettive autorità ecclesiastiche'%; successivamentesi continuò il dialogo in seno all’ARCIC II, più incentrata sull’ecclesiologia, che emanò nel 1986la dichiarazione comune La salvez. e la Chiesa!!%; e nel 1990 la dichiarazione congiunta La Chiesa come comunione!!!. In quegli anni la situazione si è aggravata con l'ammissione delle donneal ministero ordinato, ponendo un nuovo problema a livello dottrinale!!?. Il dialogo comunque è continuato; nel 1998 l’ARCIC II ha emanato unaltro importante documento bilaterale sull’autorità nella Chiesa!!3, e nel 2004si è concluso a Seattle, USA, il Joint Statement sulla mariologia Mary: Grace and

Hope in Christ. Nel 2011 è entrata in funzioni l’ARCIC II, che dovrebbe concentrarsi su questioni ecclesiologiche piùspecifiche, quali il rapporto fra Chiesa universale e Chiese locali

e, al suo interno, la tematica del corretto discernimento dell’insegnamentoetico!!4. Dall’anno 2000 esiste inoltre l'International Anglican-Roman Catholic Commission for Unity and Mission (IARCCUM), con compiti complementari al lavoro dell’ARCIC.

104 C£. Rapportodi Malta, in EO 1, nn. 137-160. 105 C£. EO 1, nn. 1-136. 106 Dichiarazionedi Windsor (1971), in EO1, nn. 16-28. 107 Dichiarazione di Canterbury(1973), in EO 1, nn. 40-57. 108 Dichiarazione di Venezia (1976), in EO 1, nn. 64-94; Dichiarazione di Windsor (1981), in EO1, nn. 103-135. 109 Cf. la Risposta all'ARCIC della Conferenza di Lambeth (1988), in EO 3, 269-277; e la Risposta cattolica all’ARCIC I (1991), in EO3, nn. 278-304. 110EO3, nn. 1-37. La Congregazioneper la Dottrina della Fede espresse le sueriserve nel 1989 conle Osservazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede su «La salvezza e la Chiesa» (in EO 3, nn. 234259).

111 EO 3,nn. 38-106. 112 J. RATZINGER, Problemie speranze del dialogo anglicano-cattolico, in Chiesa, ecumenismo e politica, Cinisello Balsamo 1987, pp. 67-88. Anchela Dichiarazionedi Porvoosuriportata solleva probleminel dialogo cattolico-anglicano, perché si sottointendonoposizionisulla successione apostolica non compatibili con la dottrina cattolica. Su questa edaltre difficoltà, cf. C. MOREROD, «Réflexions surl’Accord de Porvoo entre Anglicans et Luthériens», in Novaet Vetera 72/3 (1997), pp. 71-103. 113 TheGift of Authority, 3.11.98. Iltesto è riperibile in Origins 29/2 (1999) 17-29.

114 Cf. Service d'Information 136 (2011), p. 19.

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In tempi recenti è emersa la problematica sull’omosessualità, ammessa in alcune provincie (anche a livello presbiterale ed episcopale) e rifiutata da altre, con inevitabili

conseguenze anche a livello ecumenico. A ciò si aggiunge l’elezione di alcune donne all’episcopato e la costituzione della Global Anglican Futire Conference (2008), che sembra contrapporsi alla Conferenza di Lambeth e tende quindi anche ad ombreggiare l’unicità dell’interlocutore del dialogo con la Chiesa cattolica!!5. Per alcuni anglicani, queste tematiche furono la goccia che fece traboccare il vaso, spingendoli a chiedere l’ammissionealla piena comunione cattolica. Per rendere possibile la loro accoglienza come comunità e permettere loro di conservare il patrimonio liturgico e spirituale anglicano all’interno del cattolicesimo, con la Cost. Ap. Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI (2009) fu istituita la figura dell’ordinariato personale, che finora ha trovato applicazione in Inghilterra, Galles e negli Stati Uniti d'America. Torneremosull’argomento.

1.6. Congregazionalisti Il congregazionalismo porta fino in fondo le premesse ecclesiologiche calviniste, privilegiando l'assemblea locale dei credenti, chiamati attraverso la parola, la quale va sempre accolta con decisione personale e libera. Da questi principi si capisce perché vengapraticato esclusivamente il battesimo degli adulti, e perché si rifiuti qualsiasi legame e dipendenza

istituzionale, specialmente dal governo civile. La comunità dei fedeli, anche se piccola e ristretta, è considerata Chiesa in senso vero e proprio, libera da ogni tendenza centralista. Analogamente, tutti i fedeli sono uguali; i pastori sono considerati tali esclusivamente per ragioni pratiche. Le Chiese congregazionaliste — non sempre usano questa denominazione — sorgono nel XVII secolo in ambito anglicano come movimento anticonformista di fronte alle strutture della Chiesa d’Inghilterra. È il caso deibattisti, dei pentecostali e più in generale

delle Free Churches, oltre che dei congregazionalisti in senso stretto!!0. Questi ultimi hanno la loro origine nelle idee di Robert Browne, verso la fine del XVI

secolo, il quale conia la prima definizione di Chiesa congregazionalista: “una compagnia di cristiani che fanno alleanza con Dio e sotto Cristo”. Chiamata, congregazione e alleanza diventano i tre assi portanti dell’ecclesiologia congregazionalista, insieme poi con molti elementi della Westminster Confession del 1643, un documento proveniente dall’ambito ecclesiastico presbiteriano. Il congregazionalismo conosce comunque evoluzioni e fratture,

15 Cf. G. DAL FERRO,«L’anglicanesimo, presenzacristiana di comunione», in Studi Ecumenici 39/2

(2011), pp. 262-264. 116 Cf. sv. Congregationalism, in ODCC399-400; CCD 255-262. 36

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soprattutto nel XIX secolo negli Stati Uniti, fra le tendenze di stampo liberale (chiamati “unitariani”’) e altre più tradizionaliste (chiamati“trinitari”’). Da un puntodi vista storico, il congregazionalismo è legato a John Robinson (15761625) e agli anglicani emigrati con lui in Olanda, dove fondarono una comunità. Imbarcati poi sulla celebre May/lower, arrivarono nel 1621 sulle coste del Massachussets come Padri

Pellegrini, superando diverse peripezie, che li portarono a ringraziare Dio e iniziare la tradizione del Thanksgiving Day. Nelle Thirteen Colonies promossero una società tipicamente teocratica, a volte conosciuta comeil New England style, che per certi versi diventò modello ecclesiale interdenominazionale, condiviso cioè da larghe frange all’interno delle tradizioni mennonita, battista, presbiteriana e metodista, e specialmente influente nelle Free Churches

dell’Inghilterra e della Scozia. Il fenomeno congregazionalista è stato molto presente nel dinamismo aggregativo interconfessionale, sia in vista della promozione di tematiche speciali, come l’American Education Society (1815) e l'American Bible Society (1816); sia per avere

maggior impatto ecclesiale, come la Congregational Union of England and Wales (1832), la United Church of Christ (1957) negli Stati Uniti; sia per migliorare il coordinamento internazionale,

come

l’/nternational Congregational Council (1891)

e

l’International

Federation ofFree Evangelical Churches (1948)!!7. Molto diffusi già nel XVIII secolo, i congregazionalisti hanno influito non poco sul

movimento indipendentista degli Stati Uniti e sulla sua cultura: basta pensare che sono all’origine della fondazione delle Università di Harvard (1636), Yale (1701) e Princeton (1746), del movimentoabolizionista (fra l’altro, con Harriet Beecher Stowe, autrice di Unc/e

Tom's Cabin) e del movimentodel Socia/ Gospel, moltodiffuso verso la fine del XIX secolo. Dottrinalmente sono moltovicini al calvinismostorico, anche se l’accentuato campanilismo è

causadi frequenti controversie!!8, 1.7. Comunitàbattiste Le loro radici storiche affondano negli anabattisti, un movimento contemporaneo a Zwingli ma più radicale, con una posizione molto ferma riguardoalrifiuto del battesimo dei bambinie al ribattesimo degli adulti. Per il loro pacifismo peril totale rifiuto a cooperare con lo Stato, furono molto perseguitati, quasi fino alla loro totale scomparsa. Agli inizi del XVII secolo questo movimento prese nuovamente corpo nella comunità cristiana fondata in Olandadal chierico anglicano John Smyth, come contrappunto all’istituzionalismo imperante

117 Cf. T.F. ROSSI,s.v. Ecclesiologia congregazionalista, in DE 479-485. 118 Cf. J. BOSCH, Para comprenderel ecumenismo, pp. 73-74.

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nelle Chiese anglicane di quel tempo. Lo stesso accadde a Londra, attraverso l’opera di Thomas Helwys. A sua volta in Olandasi sviluppò il movimento con a capo Menno Simons — i cui seguaci sono conosciuti come “mennoniti” —, anche come reazione anticonformista rispetto alle Chiese “ufficiali” del protestantesimo. L’insieme di queste realtà trovò convergenza nel fenomeno battista, che per ragioni di persecuzione nel Vecchio Mondo, si diffuse maggiormente nelle colonie inglesi in America. La prima Chiesa battista americana è stata fondata da Roger Williams in Providence (RhodeIsland) nel 1631.

Le Chiesebattiste crebbero molto durante i sec. XVII e XIX,e si diffusero soprattutto tra la popolazione di colore. Negli Stati Uniti sono divise — per motivi dottrinali e per posizionistoriche differenti rispetto alla questione della schiavitù — tra le Chiese del Nord, del Sud, e Nera. Nella seconda metà del sec. XIX, ad opera del commercialista tedesco Johann Gerhard Oncken,i battisti si diffusero molto nei paesi europei di lingua tedesca. Il XX secolo

fu unulteriore periodo di espansione negli States, sotto la spinta del celebre pastore Martin Luther King e di personaggi di grande peso politico ed economico comeil presidente Harry Truman e il miliardario John Rockefeller. Furono questi anche gli anni dello sviluppo dei Gospel Songs e dei Negro Spirituals. Agli inizi del terzo millennioi battisti erano 52 milioni distribuiti in 165 mila comunitàlocali appartenenti all’ Alleanza Mondiale Battista!!9. La Bibbia è l’unica regola di fede e di vita: non esistono né dottrine ufficialmente proclamate, né tradizioni vincolanti, anche se la dottrina sviluppata daibattisti coincide, nelle linee essenziali, con quella d’impronta calvinista. L’ecclesiologia battista è di tipo congregazionalista ed è in realtà il suo punto più caratteristico: la Chiesa è costituita esclusivamente da credenti convinti. Ciascuna comunità locale è del tutto autonoma, con una

separazione dallo Stato ritenuta essenziale. Ogni comunità è presieduta dagli e/ders, nominati tra i suoi membri, senza però annullare l’uguaglianza radicale fra tutti i battezzati. La parte fondamentale del culto battista è la predicazione, intensamente biblica e con assiduo ricorso all’emozionalismo.Il battesimo è amministrato per immersionesolo agli adulti, e l'Eucaristia è celebrata come mera commemorazione della Cena del Signore. Nonsi accettanogli altri sacramenti!20, L’Alleanza mondiale battista ha iniziato conversazioni con la Chiesa cattolica e, al

termine degli incontri, svoltisi fra gli anni 1984-1988, è stato pubblicato un rapporto sulle

119 Cf. G. BOUCHARD,Chiese e movimenti evangelici, p. 71. Altre informazioni nella voce Baptists, in

ODCC154;e in CCD 269-271

120 Cf. J. BOSCH, Para comprenderel ecumenismo, pp. 72-73.

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reciproche convergenze e divergenze, affrontando tematiche quali la persona e l’opera di Cristo,il discepolatoe il proselitismo, e la testimonianza!?!, 1.8. Comunità dei Quaccheri I quaccheri costituiscono un fenomeno di dissenso all’interno del anglicanesimo del XVII secolo. Anche se denominati ufficialmente “Società Religiosa degli Amici”, sono più conosciuti sotto il nome di “quaccheri”: un termine proveniente dall’inglese to quake (tremare), per la ripetizione delle minacce pronunciate dal fondatore George Fox (1624-1691) ai suoi giudici, ammonendoli a “tremare” di fronte alla parola di Dio!?2. Perseguitati sia in Inghilterra che nel Massachussets, dove erano emigrati, furono concentrati da William Penn (1644-1718) nello stato che da lui prende il nome (la Pennsylvania), come tentativo di

realizzazione politica della religiosità quacchera.Il rifiuto di qualsiasi formadi proselitismo e di attività missionaria fa di loro una realtà numericamente povera: attualmente sono approssimativamente 250.000. Essi hanno tuttavia esercitato un’influenza decisamente superiore al loro numero!23,

Fox fu uno degli uomini più anticonformisti nei confronti della Chiesa d’Inghilterra. Nemico di qualunque struttura, promosseil rapporto assolutamente diretto di ogni uomo con Dio, senza il bisogno di nessuna mediazione sacramentale, liturgica o sacerdotale. Per i

quaccheri, dunque, occorre sperimentare la “luce di Cristo” nell’anima e condurre una vita morale coerente con quella luce. Non posseggono un proprio corpo dottrinale: sono esplicitamente adogmatici. Al loro interno la vita delle comunità ha un’attività di culto molto scarsa, e per questola loro spiritualità è incentrata sulla /uce interiore dello Spirito di Dio. Le

riunioni, presiedute da qualsiasi uomo o donna, danno ampio spazio al silenzio come attitudine di meditazione e adorazione. Si permettono brevi letture bibliche e alcuni canti, ma prevale l’austerità.

I quaccheri sono grandi difensori della libertà religiosa, dell’uguaglianza (totale opposizione alla schiavitù), e in modo speciale del pacifismo: nemici di qualsiasi guerra, rifiutano di svolgere il servizio militare e partecipano a diversi movimenti in favore della pace. Si oppongonoalla pena di morte e al giuramento.

121 Cf. Rapporto Testimoniare Cristo oggi, 1988, in EO 3, nn. 524-584; vedi anche G. GOOSEN, Introduzione all’ecumenismo,137. 122 Secondo altri, il nome è collegato ai «tremori» che Fox e i suoi seguaci esperimentavano in concomitanza conla percezionedella «luceinteriore»: cf. CCD 314. 123 Cf. G. BOUCHARD,Chiese e movimenti evangelici, p. 131.

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La loro natura come entità cristiana resta avvolta da una certa penombra, data la loro

debole concezione del battesimo — spesso nonpraticato — e le loro incertezze di fronte alla stessa Bibbia, vista con sospetto da alcuni, ovvero come un intervento incompatibile con la visione quacchera di un rapporto assolutamente diretto tra l’uomo e Dio. Per questo motivoi quaccheri non partecipano al movimento ecumenico!?4, 1.9. Comunità metodiste Nell’ambito dell’anticonformismo inglese del XVIII secolo, quando si affacciarono sull’orizzonte le prime manifestazioni della rivoluzione industriale e dell’illuminismo scientifico e filosofico, apparve la figura del chierico anglicano John Wesley (1703-1791). Nonostante non abbia maipreteso di fondare una Chiesa separata dalla Church of England, è il padre delle Chiese metodiste che emersero dopo la sua morte. Docente universitario, devoto

anglicano, grande ammiratore dell’Imitazione di Cr to di Thomas Kempis, il 24.5.1738 Wesley ebbe una forte commozione spirituale in seguito alla lettura in comunità della Prefazione alla Lettera ai Romani di Lutero, sperimentando dentro di sé il perdono dei suoi peccati. A partire da quel momento, dedicò tutta la sua vita a diffondere l’esperienzareligiosa incentrata sull’amore di Dio, sul perdono dei peccati e sulla gratuità della giustificazione per la fede. Promosse subito nell’ambito universitario di Oxford un sistema religioso di vita

(studio della Bibbia, pratica dell’elemosina, partecipazione alla Santa Cena) estremamente “metodico”, da cui proviene il nome di questo movimento. Predicatore instancabile delle masse operaie proletarie nelle strade e nelle piazze, promosse a loro favore numerose opere sociali, conferendo al metodismo quel tratto caratteristico di unione fra predicazione e

promozione sociale. Fu anche un grande compositore di inni sacri, che continuano a essere cantati ancora oggi. Il metodismosi diffuse molto negli Stati Uniti, a causa dell’opposizione che trovò in Inghilterra e al suo forte dinamismo missionario, e si trovò alla base del Great Awakening che scosse il mondodegli immigrati nel continente americano nel XVIII secolo, in convergenza con la predicazione del calvinista Jonathan Edwards (1703-1758) e la sua opera

Religious Affections (1746), di grandissimadiffusione. Anchese la sua matrice teologica contiene molti elementi presi dalla Riforma del XVI secolo e dal successivo pietismo, essendo nato come anticonformismo senza motivazioni dottrinali di fondo, il movimento metodista non possiede un corpodottrinale chiaro e definito. Naturalmente, gli scritti che raccolgono la predicazione di Wesley hanno una grande rilevanza; a questi si aggiungonole “regole generali”, che egli diede alle sue comunità (1743), 124 Cf. J. BOSCH, Para comprenderel ecumenismo, pp. 78-80.

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di contenuto sostanzialmente etico, e i 25 articoli preparati da lui per il movimento metodista americano (1784)!25, I metodisti hanno sofferto numerose fratture lungo la loro storia: fra queste, le varie posizioni sulla questione della schiavitù. Nel 1881 riuscirono a unirsi in gruppo nella World Methodist Conference con sede a Lake Junaluska, nel North Carolina. Insieme a una generale somiglianza con le Chiese del protestantesimo storico e allo specifico dei congregazionalisti, dal calvinismo hanno preso una concezione piuttosto pessimista della natura umana. La loro spiritualità accentua, tuttavia, la cooperazione delcredente e la vita intensa di meditazionee di

contemplazione: esse trovano espressionein riunionidi piccoli gruppi, al fine di incoraggiarsi a vicendae confessare le proprie colpe. I metodisti di tutto il mondosonooltre 50 milioni!?6. Il dialogo con la Chiesacattolica ha di particolare il fatto che nonesiste un contenzioso immediato fra le due confessioni, essendo il metodismo nato da una scissione all’interno

dell’anglicanesimo. Nei primi rapporti pubblicati (Denver 1971, Dublino 1975, Honolulu 1981) sono trattati temi quali la prassi ecclesiale, la spiritualità, la vita morale e la collaborazionepratica!27. Nella secondafase del dialogo i documenti affrontano più da vicino gli argomenti più sostanziali di divergenza confessionale!?8. 1.10. Comunità avventiste Gli avventisti nascono nel XIX secolo negli Stati Uniti, sull’ondata di un secondo “risveglio”, che scosse il mondo protestante anglosassone. La scintilla iniziale proviene da una particolare rivelazione in ambito escatologico da parte del battista William Miller (+1849), universalmente riconosciuto come l’iniziatore dell’avventismo contemporaneo,

anchese già in precedenzavi erano state alcunealtre manifestazioni. Dopole errate predizioni sulla seconda venuta di Cristo, il movimento avventista ricevete l’appoggio decisivo di Ellen Gould Harmon (1827-1915), inizialmente metodista, autrice di numerosi libri su questioni

escatologiche, e più conosciuta come la signora White. Spesso divisa a causa delle diverse questioniescatologiche, la Chiesa avventista più solida è quella conosciuta come Seventh Day Adventist Church (1860), seguita dai Second Advent Christians. Le sue numerose emittenti radiofoniche e case editrici ne hannofacilitato la diffusione, sulla spinta di una massiccia

125 Cf. CCD 285.

126 Cf. G. BOUCHARD,Chiese e movimenti evangelici, p. 81

127 C£.EO 1, nn. 903-1021. 128 Cf. il Rapporto Verso una dichiarazione sulla Chiesa, Nairobi 1986, in EO 3, nn. 1574-1657;e il

Rapporto La tradizione apostolica, Singapore 1991, in EO 3, nn. 1658-1761. Il dialogo è continuato abbastanza regolarmente ed ha prodottoaltri documenti: The Word of Life (Rio 1996), Speaking the Truth in Love (Brighton 4l

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distribuzione di Bibbie, libri, giornali, ecc. La rimessa in valore del principio ebraico della

decima, per cui ogni avventista dona alla Chiesa il 10% dei suoi guadagni, facilita grandementeil finanziamento delle sue strutture missionarie. Gli Avventisti del Settimo Giorno sono evangelici conservatori, fedeli alle dottrine tradizionali della Riforma e difensori di una morale di taglio nettamente puritano. Senza dubbio, le dottrine particolari su temi escatologici (seconda venuta di Cristo, mortalità delle

anime dei condannati, il millenarismo,ecc.) li fa apparire a molti come una setta. Celebrano lo Sabbatbiblico al posto della Domenica. Il corpo umano, come tempiodello Spirito Santo, è tenuto in grande considerazione: da qui l’interesse perle istituzioni sanitarie (hanno numerosi centri medici), la loro inclinazione all’alimentazione vegetariana e la disapprovazione verso caffè, tè, carne di maiale, alcool e tabacco!29.

La cooperazionedegli avventisti all’unità della Chiesa è quasi nulla; non appartengono a nessun organismo di carattere ecumenico. Il loro numero si aggira attualmente attorno ai 15 milioni!30, 1.11. Chiesa veterocattolica Conosciuta anche come Chiesacattolico cristiana, o Unione di Utrecht, nasce dalrifiuto di

alcune comunità cristiane,

dell’area

centro-europea di

lingua tedesca,

al

dogma

dell’infallibilità papale proclamato dal Concilio VaticanoI (a. 1870). Queste si unirono a una piccola Chiesa già esistente in Olanda (Utrecht), separata da Romaperil suo rifiuto della Bolla Unigenitus del 1713 (contro il giansenismo). La Chiesa veterocattolica è di tipo episcopale ed ha pocopiùdi 500.000fedeli. Il suo fondamento dottrinale è contenuto nella Dichiarazione di Utrecht del 1889. La sua caratteristica più rilevante è la venerazione della più antica tradizione della Chiesa (questo è alla base del rifiuto delle “innovazioni” del Concilio Vaticano I), con il conseguente rifiuto

dei

dogmi mariani dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione.

I veterocattolici

posseggonoil triplice ministero dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato; il celibato dei chierici è stato abolito agli inizi del XX secolo. Credono nei sette sacramenti, anche se

‘hanno smessodipraticare la confessione personale auricolare.

2001), The Grace Given You in Christ (Seoul 2006). Più informazioni in G. GOOSEN, Introduzione all’ecumenismo, p. 137. 129 Cf. J. BOSCH, o.c., pp. 75-77 130 Cf. G. BOUCHARD,Chiese e movimentievangelici, p. 95.

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Membro fondatore del CEC, mantiene una totale comunione interna con le Chiese anglicane, alle quali riconosce la validità delle loro ordinazioni. Nel dialogo ecumenicosi relaziona soprattutto concattolici e ortodossi!3!. 1.12. Pentecostalismo Si tratta di un fenomenorisalente agli inizi del XX secolo, sorto in modo trasversale in

ambienti protestanti americani. Alcuni predicatori itineranti di diverse confessioni si trovarono d’accordo sulla necessità di “far sperimentare”la santità nei fedeli addormentati attraverso una nuova pentecoste, la quale ha inizio con il “battesimo nello Spirito” e si sviluppaattraverso i donie le forze dello Spirito, menzionati nella 1Cor e in Rm 12. La prima esperienza forte di questo tipo, con manifestazioni concrete di glossolalia, ebbe luogo il 9 aprile 1906 a Los Angeles, come effetto della predicazione di William Seymour, ed è

considerata il punto di partenza del movimento pentecostale. Rifiutati dalle loro confessioni d’origine, i predicatori pentecostali fondarono le prime comunità autonome, non sempre con questo nome. Attualmente le più numerose sono le “Assemblee di Dio”, originatesi a Hot

Springs (Arkansas) nel 1914. Il regime ecclesiastico delle comunità pentecostali è molto vario: si va dal tipo congregazionalista o metodista fino a quello più specifico stabilito dai rispettivi fondatori. I pentecostali accettano la cornice dottrinale generale del protestantesimo, con notevole accentuazione della liberalità biblica (sono nemici degli studi esegetici). Danno grande enfasi alla santificazione e alla manifestazione delle opere dello Spirito per mezzo del dono delle lingue, il potere curativo e la profezia. Il modello di Chiesa descritto nel libro degli Atti è normativo. Il battesimo è praticato per immersione e l’Eucaristia è considerata solo come commemorazione della cena del Signore. Sul piano morale i pentecostali sostengono enfaticamente l’etica puritana, con conseguenze molto concrete nella vita pratica: è bandito l’alcool, il tabacco, la droga. Laspiritualità pentecostale fa grande leva sull’emozionalità. Come fenomeno interconfessionale, il pentecostalismo potrebbe raggiungere i 350

milioni di membri, anche se è difficile stabilirne la statistica precisa!32. Depurato dei suoi elementi noncattolici, il suo influsso sulla Chiesa cattolica ha originato diversi movimenti di

rinnovamento nello Spirito!33. Il dialogo fra la Chiesacattolica e il pentecostalismo non-cattolico, avviato nel 1969, ha

quindi un carattere particolare, vista la loro fumosa entità istituzionale. Più che il

131 Cf. CCD 324-331

132 Cf. G. BOUCHARD,Chiese e movimentievangelici, p. 108.

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ristabilimento dell’unità, si tenta di sviluppare un clima di mutua comprensione e di trovare aspetti comunidi collaborazione: è questa l’atmosfera dei primi anni di conversazioni!34. La seconda fase del dialogo (1977-1982) è stata sintetizzata in un Rapporto finale (sulle diverse

concezioni teologiche ed esperienzespirituali)'35, mentre dalla terza fase (1985-1989) è natoil documento Prospettive sulla koinonia!35, con un interesse crescente da parte della comunità pentecostale. La quarta fase delle conversazioni (1990-1997) si è conclusa con la

pubblicazione del rapporto Evangelizzazione, proselitismo e testimonianza comune, dopo di che il dialogo è continuato concentrandosi sull’iniziazione cristiana e sul battesimo nello Spirito!37, 1.13. Considerazioni conclusive La presentazione di questo quadro storico — volutamente sintetica — non dovrebbe lasciare nell’oblio che all’origine delle grandi separazioni vi sono stati spesso autentici sentimenti spirituali, vere intuizioni teologiche, e ragioni di coscienza che portarono alla rottura, poiché si considerava sfumata “l’essenza” del Vangelo; così pure atteggiamenti sinceri portarono a bandire dal seno della Chiesa coloro che erano considerati come “corruttori” del Vangelo. Molte divisioni iniziano da un profondo desiderio di rinnovamento interiore della Chiesa; la separazione nasce di fronte alla difficoltà o all’impossibilità di

realizzarlo. Prende così corpo l’importanza di un rinnovamento — e, quando è necessario, di una purificazione — continuo!38, per non trovarsi di fronte alla necessità di riforme radicali,

chesi trasformerebbero facilmentein scissioni. Inoltre, non si può sottovalutare l’importanza della componente culturale. Nelle controversie incidono non solo motivi teologici: con frequenzasitratta di scontri tra diverse culture. Ciascuna delle grandi Chiese storiche possiede il proprio contesto culturale: l’ortodossia si muove nell’orbita orientale; il luteranesimo si configura come un fenomeno tipicamentetedesco; l’anglicanesimo è profondamente impregnato della mentalità britannica. Ciò costituisce un richiamo all’attenzione da parte della Chiesa cattolica, che non può permettersi di essere esclusivamente una Chiesa “occidentale”, “latina”. Essa è “cattolica” non

solo come denominazionedi fronte alle Chiesecristiane non cattoliche, ma anche come sua specifica proprietà (in senso teologico, infatti, crediamo la Chiesa una, santa, cattolica e 133 Cf. J. BOSCH, Para comprenderel ecumenismo, pp. 77-78.

134 Cf. EO 1, nn. 1075-1089.

135 EO 3,nn. 2056-2153. 136 EO 3, nn. 2154-2265.

157 Cf. G. GOOSEN, Introduzione all’ecumenismo, pp. 138-139.

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apostolica). Per la sua cattolicità la Chiesa, in modo estensivo è chiamata a diffondere il Vangelo a tutti gli uomini, senzadistinzioni di razza, sesso, lingua, ecc.; e, in modointensivo, è chiamata ad essere portatrice dell’intero patrimonio dei beni salvifici, ad annunciareil Vangelo in modo che sia accessibile a tutti (come nella Pentecoste), facendosi “tutto per

tutti”; in modo che«tutte le risorse, le ricchezze e le consuetudini dei popoli, nella misura in cui sono buone, accogliendole le purifica, le consolida e le eleva»(LG 13).

138Ecclesia «sancia simul et semper purificanda»: LG 8.

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CAPITOLOII PROSPETTIVA STORICA DELL’ECUMENISMO

2.1. Il termine “ecumenismo” La parola oikoumene, dal greco classico, appartiene a una famiglia di vocaboliriferibili alla casa, all’abitazione, alla permanenza (oikos: casa; oikeiotés: relazione di parentela;

oikoumene:terra abitata e civilizzata, universo). Nella letteratura greca profana, la oitoumene indicavail mondoabitato della civilizzazione ellenica; più in là c’era il mondodeibarbari. In seguito alla pax romana, la oikoumene prese a indicare l’area geografico-culturale sotto il dominio dell’impero!39. Il nuovo testamento usa questo terminenello stesso senso profano, ma ne conosce anche unsignificato specificamentereligioso, quandoindica il mondo, inteso come cosmo nella sua transitorietà, in attesa della sua trasformazione in Cristo. In questa prospettiva escatologica è talvolta anche applicato agli uomini: «la oikoumene futura, quella di cui parla Eb 2,5,

rappresenta la totalità universale dell’umanità in quanto sottomessa assolutamente alla Signoria del Cristo»!40. Il termine è introdotto nel linguaggio ecclesiastico ufficiale quandoil Concilio di Costantinopoli (381 d.C.) si riferisce a quello di Nicea (325 d.C.) denominandolo

“Concilio Ecumenico”. Da allora il termine designa quelle dottrine, usi ed eventi accettati come norma valida, autoritativa e universale nella Chiesa cattolica. Così si distinguono i concili ecumenici da quelli provinciali!4!. Il significato tecnico e teologico attuale si manifesta solo a partire dal XX secolo (nel XIX secolo se ne trovano alcune tracce, ma insufficienti), ai tempi della prima guerra mondiale, e in seno ai movimenti Fede e Costituzione e Vita e Azione. Il senso di unità e di universalità, in qualche modo presente nell’applicazione profana e biblica del termine, è giudicato molto adeguato per parlare del mistero della Chiesa nella prospettiva della

139 Cf. W.A. VISSER'T HOOFT, The word «Ecumenical». Its History and Use,

in R. ROUSE - S. NEILL

(edd.), A History ofthe Ecumenical Movement(1517-1948), SPCK, Londra 1967, pp. 735-740; KLEIN,A., s.v. «Okumene», in LTK 7, 1017

140 G. THILS, Historia doctrinal del movimiento ecuménico, p. 152. Questa versione dellibro del Thils

non solo traduzione dell'originario Histoire doctrinale du mouvement oecuménique del 1955, ma contiene alcuni ulteriorisviluppideiqualici serviamo inqueste pagine. 141 Cf. ibidem, pp. 213-219.

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comunionedaristabilire!42. Alla Conferenza di Oxford del 1937 il termineindica già contutta chiarezza gli sforzi delle differenti comunioni a favore dell’unità della Chiesa, nonostante che

nell’ambiente anglosassone si incontri una certa resistenza linguistica: “ecumenico”, infatti, è fortemente associato ai concili. Essi perciò non parlano del “Consiglio Ecumenico delle Chiese” ma del “Consiglio Mondiale delle Chiese” (World Council of Churches)!

2.2. Le vie perristabilire l’unità della Chiesa Fin dai suoialbori la Chiesa ha dovuto fronteggiare fratture di vario tipo, sorte nel suo seno. Il nuovo testamento attesta in diversi momenti la reazione della Chiesa di fronte alla presenza dei “giudaizzanti” e di elementi gnostici, che penetravano impercettibilmentetra i fedeli. In seguito si dovette far fronte ai novaziani, ai donatisti, agli ariani, ai pelagiani, ecc. Mentrein alcunicasisi trattava di deformazioni dottrinali all’interno della Chiesa stessa, altre volte si trattava di vere e proprie “Chiese parallele” con una loro gerarchia. Alcune divisioni sono state superate, sia per l’estinzione progressiva dei non-cattolici (donatisti), sia per la loro conversione (ariani), o anche per la ricostituzione dell’unità

(scisma d’occidente). Lungo la

sua storia bimillenaria, la Chiesa si è resa sempre più consapevole di non poter rimanere indifferente di fronte alla mancanza di unità trai cristiani, ed ha esercitato in vari modii suoi intenti di promuovere l’unità. Per questo motivo si può affermare che l’ecumenismo, inteso

comela preoccupazione per conservare e per estendere l’unità della Chiesa, è antico quanto la Chiesa stessa, anche se il termineè stato coniato in questo senso solo nel XX secolo. Gli studi

di teologia ecumenica distinguono tre diversi modi secondo i quali la Chiesa ha diretto i propri sforzi ecumenici: la cosiddetta “via costantiniana”, la “via unionista” e la “via

missionaria”?!4, La via costantiniana corrisponde al periodo storico compresotra la pace costantiniana e I'VII secolo. Nella società si fondono la dimensione politica e religiosa, e perciò l’unità ecclesiale ha, allo stesso tempo, un grande peso politico. Si comprendeallora l’interesse degli imperatori a promuoverel’unità religiosa, tanto che di solito sono loro a convocare i grandi concili del primo millennio. Più che una forma espressamente cercata dalla Chiesa (servirsi del potere imperiale per restaurare l’unità), il fenomenorisponde alla peculiare conformazione storica della società dell’epoca. Di fatto, la Chiesa ha dovuto faticare non pocoperliberarsi

142 Cf.

ibidem, pp. 149-151.

143 Tuttavia, già nel 1950il comitato esecutivo del CECesaminòla questione e raccomandòdi eliminare questa espressione dai circoli ecumenici, perché World Church evoca l’idea di una «Superchurch with a centralised administrative machinery»(The EcumenicalReview, Spring 1950, pp. 298-299). 47

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dall’imperante cesaropapismo. Dal puntodi vista teologico, questo tipo di “ecumenismo” non offre validi punti di appoggio, e allo svanire delle circostanze che lo motivarono, non fu più praticato. Ad ogni modosi potrebbe parlare di un “germoglio” della via costantiniana durante il periodo della controriformacattolica. Nonè facile emanare un retto giudizio rispetto alla legittimità di questa modalità “ecumenica”, poiché si tratta di visioni della società molto diverse dall’attuale. Si tenga inoltre presente che si tratta di una “via” praticata anche dai non cattolici, i quali, in più di un caso, conservano ancor oggi almeno unacerta intesa conil potere temporale. Ad ogni modo è chiara l’inopportunità attuale della “via costantiniana”, anche in senso teologico: l’autentica unità della Chiesa nasce, infatti, dal suo interno, indipendentemente da eventuali istanze

extraecclesiali, tanto nella sua dimensionevisibile quanto in quella invisibile. La via unionista (detta anche, in modo impreciso, via “del ritorno”) corrisponde più particolarmente alla relazione della Chiesa cattolica con le comunità scismatiche orientali,

allorché si trattò di promuovere il loro ritorno in modo globale, ossia accogliendole come comunità. Esempi di questa modalità furono le effimere unioni ottenute nei Concili di Lione (sec. XIII) e di Firenze (sec. XV), quella portata a buonfine nell'Unione di Brest del 1596 con la Chiesa ucraina!45, e altre di portata minore!#6. Nei dueprimi casi, si trattò di unioni d’intere

Chiese con la Chiesa cattolica; negli altri, l’unione si estese solo ad una parte della Chiesa

coinvolta nel processo, i cui membri vennero chiamati, in modo piuttosto dispregiativo, “uniati”. Anche se questi cristiani furono accolti nel seno della Chiesa cattolica non uno a uno, ma come comunità, il contesto della teologia sottesa a quest’impostazione non discerneva una vera ecclesialità in queste comunità separate, nonostante fossero chiamate “Chiese” anche in documenti cattolici ufficiali!4. Pur ritenendo valido il battesimo in esse conferito

(di

fatto

non

si

ribattezzava),

la

condizione

cristiana

non

risultava

144 Cf. G. CERETI, Molte Chiesecristiane, un'unica Chiesadi Cristo. Corso di ecumenismo, Queriniana,

Brescia 1992, 30-41. 145 Cf. O. HALECKI, From Florenceto Brenst (1439-1596), Roma1958. 146 Tornarono alla comunione con Roma,fra gli altri: nel 1181, Ja Chiesa Maronita, il cui Patriarcato ha oggila sua sede a Bkerké (Libano); nel 1553, con la creazionedel Patriarcatocattolicodi rito caldeo, una parte della Chiesa Siria d’Oriente; nel 1742, con la creazione delPatriarcato armeno-cattolico di Cilicia, una parte della Chiesa Armena; nel 1774, parte della Chiesa Sira di Antiochia; sempre nel sec. XVIII, una parte della Chiesa Copto-ortodossa,diventata poi(a. 1895) il Patriarcatocattolico-copto di Alessandria (sebbene con sede al Cairo); nelsec. XIX sorse la Chiesa Etiopica-cattolica come unioneparziale con la Chiesa Etiope-ortodossa, con sede ad Addis Abeba; nel 1930,parte della Chiesa Siro-malankarese, nel sud dell'India (cf. CCD 24-26). 147 Cf. l’appendice IV «sur les termes employés dans les documentscatholiques officiels récents pour désignerles dissidents» in Y. CONGAR, Chrétiens désunis: principes d’un «oecuménisme» catholique, Cerf, Paris 1937, pp. 381-382. 48

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contemporaneamente condizione ecclesiale!48. Per questo si trattò di unioni a senso unico (“tornano alla Chiesacattolica”), visto che fuori della Chiesacattolica nonci sarebbealtro che il “vuoto ecclesiale”. La storiografia di stampo ecumenico si riferisce spesso all’unionismo in termini negativi, comeatteggiamentosleale della Chiesa cattolica, che “toglie pezzi” ad altre Chiese. È ancheoggetto dicritica il fatto del “senso unico”dell’unione, senza modifiche interne da parte cattolica. A questo si aggiunge l’accusa di “latinizzazione” che le Chiese Orientali avrebbero subito dopo la loro unione con Roma. Si contesta altresì la terminologia “del ritorno”, che evoca una precedente “uscita” dalla Chiesa cattolica, in molti casi storicamente non esatta! Occorre, tuttavia, distinguere adeguatamente l’unionismo dall’uniatismo'50,

Mentre il primo concetto consiste nelristabilimento della piena comunionefra diverse Chiese (prese nella loro totalità), nel secondo, solo una parte di una Chiesa rientra in piena

comunione con un’altra. L’unionismo qua talis potrebbe essere considerato quale modalità legittima dell’ecumenismo, in quanto cerca la piena comunione fra le Chiese!5!, L’uniatismo,

anche se non corrisponde ai parametri dell’attuale movimento ecumenico!52, non dovrebbe essere subito bollato come prassi illegittima!53. Uno sguardo storico più ravvicinato rileva che, in realtà, «non c’è un solo uniatismo come singolo fenomeno uniforme»,e, inoltre, «esso

nonsi trova solo dalla parte della Chiesa cattolica»!54. Addirittura, in molti casi l’unione con Roma proveniva dall’iniziativa dell’altra parte, mentre da parte cattolica ci si limitava a facilitarla. In altri casi, era la Chiesa cattolica a prendere l’iniziativa, rivolgendosi alle

competenti autorità dell’altra Chiesa; ma mentre si proponeva l’accoglienza dell’intera 148 Cf. B. SCHULTZE, «Riflessione teologica sul significato di “Chiesa Orientale” e “Ortodossia”», in

Gregorianum42 (1961), pp. 444-462; G. HOFMANN,«Notae historicac de terminologia theologica Concili Florentini», in Gregorianum10 (1939), pp. 257-263.

149 Inoltre, quelle Chiese o comunità ecclesiali la cui originerisale ad una «uscita»dalla Chiesacattolica non vorrebbero«tornare»alla situazione di allora, ma ad una Chiesa «migliorata». Su questa tematica, cf. THILS,

0.c., pp. 286-287.

150 Cf. P. GEFAELL,LasIglesias Orientales Antiguas Ortodoxas y Catòli

pp. 601-602; A. GARUTI,

Saggidi ecumenismo, Pont. Atheneum Antonianum, Roma2003, pp. 91-97. 151 Purcon una terminologia che nondistingue uniatismo da unionismo, sembrano molto azzeccate le seguenti affermazionidi G. Cioffari: andrebbe «rigettato l’uniatismo comesi è conformatonei secoli di lotta con l’ortodossia, con la negativa conseguenza di un ibrido avvicinamentoal latinismo», ma «andrebbe accettato

l’uniatismooriginale(si riferisce a quello del Concilio di Firenze del sec. XV) di una pura e semplice comunione con Roma,rispettoso in modoautentico della tradizione ortodossa»(«Il vero uniatismo in un sincero dialogo ecumenico», in Studi Ecumenici 11/2 [1993], p. 180). 152 Cf. COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA CATTOLICA E LA CHIESA ORTODOSSA,L'uniatismo, metododi unionedelpassato, la ricerca attuale della piena comunione, 23 giugno 1993,in EO 3, nn. 1867-1900. 153 Su questa complicata questione, cf. E. FORTINO,£/didlogoteològico entre la Iglesia Catélica yla

Igesia Ortodoxa: III. La cuestiòn del «uniatismo» y su solucién, in A. GONZALEZ MONTES(ed.), Las /glesias

Orientales, BAC, Madrid 2000, pp. 565-592.

154 W. KASPER,Vie dell’unità, p. 128.

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comunità, spesso solo una parte di essa accettava di tornare!55. Rispetto al “senso unico”, la storia della vita di queste Chiese una volta accolte nella piena comunione della Chiesa cattolica mostra infatti alcuni casi di “latinizzazione”, ma questa prassi non fu permanentee,

specialmente a partire da Leone XIII, essa fu abbandonata!S6. Ciò che sostanzialmente si chiedeva era l’accettazione del primato romano; non emetterebbe un giudizio veritiero chi affermasse una generale rinuncia unilaterale delle loro tradizioni!5?. Conviene tener presente che la Chiesa è cattolica non solo come denominazione, ma anzitutto come proprietà teologica; con parole di Benedetto XV, «la Chiesa diCristo(...) non è né latina, né greca, né slava, ma cattolica»!58. Sul rispetto dovuto alle tradizionidei cattolici

orientali il Concilio Vaticano II «circonda di doverosa stima e di giusta lode questo patrimonioecclesiastico e spirituale» e proclamail loro «diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari» (OE 5). Esiste una «pari dignità» fra Chiese particolari

occidentali ed orientali, «così che nessuna di loro prevale sulle altre per ragione delrito, e godono degli stessi diritti e sono tenute agli stessi obblighi, anche per quanto riguarda la predicazione del Vangelo in tutto il mondo» (OE 3). Nel caso dei cristiani accolti nella pienezza della comunionecattolica, si esorta a che «mantengano dovunqueil proprio rito, lo

onorino e, secondo le proprie forze, lo osservino» (OE 4). Queste indicazioni conciliari non restarono lettera morta; allo scopodifacilitare la loro applicazione e conservazione, le Chiese orientali

sono

state

gradualmente

sottratte

alla

giurisdizione

della

Cong.

per

l’Evangelizzazione dei Popoli e sottoposte a quella per le Chiese Orientali. È stata inoltre promossal’istituzione di collegi e seminari per la formazionedelclero orientale, e sonostati creati istituti per lo studio dell’oriente cristiano, consentendo anche il passaggio di

ecclesiasticilatiniairiti orientali!S9.

155 Secondo T. Khomych, «the stablishmentofthese partial unions may not be explained exclusively by

the aggression of the RomanCatholic Church. In the mayority of cases it came aboutasthe result of a complex interaction of various motives» («Eastern Catholic Churches and the Question of “Uniatism”: Problems of the Past, Challenges of the Present and Hopes for the Future», in Louvain Studies 31/3-4 [2006], p. 219). Occorre inoltre tener presente che l’“uniatismo” fu praticato anche da parte ortodossa, come attestato con casistorici

concreti dallostessoautore (cf. ibidem, pp. 229-230).

156 V. PERI, Considerazionisull’uniatismo, in Lo scambiofraterno tra le Chiese, Città del Vaticano 1993, p. 384.

157 Risulta comunque doveroso segnalare che non sempre le direttive generali della Santa Sedecircail rispetto dovuto alle tradizioni orientali trovarono sintonia presso le autorità latine locali. Così, per esempio, abbiamonella Enc. Orientalium dignitas di Leone XIII (30.11.1894) unaforte difesa di queste tradizioni, ma ciò nonostante, «un gran numerodi sacerdoti e di istituti latini hanno perseveratonella loro politica di latinizzazione,

aggirandola leggeed evitandole sanzionipreviste» (P.K. MEDAWAR,De la sauvegardedesdroits del’Eglise orientale, Damasco 1959,p. 24, nota 20).

158 Motu proprio Dei providentis, 1.5.17, in AAS 9 (1917), p. 530. 159 Cf. G. CERETI, Ecumenismo, p. 29.

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Agli inizi del XXI secolo, la migrazione alla Chiesa cattolica di comunità di fedeli anglicani con i loro pastori ha fatto germogliare in occidente un fenomeno che, secondo alcuni, sarebbe analogo all’uniatismo orientale dei secoli precedenti. Questi fedeli sonoinfatti

accolti insieme nella piena comunione cattolica, all’interno di una struttura pastorale creata appositamente per loro: gli ordinariati personali, nei quali possono vivere da cattolici conservando il patrimonio della tradizione liturgica e spirituale anglicana!Non sembra tuttavia legittimo mettere i due fenomenisullo stesso piano;oltre al fatto che in quest’ultimo caso,l’intera questione è stata avviata all’interno di una grande sintonia fra le autorità della comunione anglicana e della Chiesa cattolica, occorre nonperdere di vista che l’“uniatismo” orientale si è sempre compreso nei riguardi di due Chiese strutturate in modo episcopale, mentre questo non è il caso della comunione anglicana, la quale, secondo l’ottica cattolica, nonconserva un episcopato sacramentalmente valido. Comunquesia, è pur vero che l’“unionismo”è frequentementeinteso “in senso unico” e perciò come fenomenoecclesiologicamente diverso dall’attuale movimento ecumenico. Oggi è considerato un temapolitically incorrect, perché viene concepito come “assorbimento”nella Chiesa cattolica, cosa che — naturalmente — gli altri partners ecumenici non sono disposti ad accettare. Lo stesso Concilio Vaticano Il non parla di redditus, ma di redintegratio dell’unità. Al di là dell’aspetto terminologico, da un punto di vista teologico è difficile

comprendere una separazione tra la condizionecristiana e la condizione ecclesiale, perché la grazia salvifica è la stessa grazia unificante. La Chiesa non è unarealtà che si sovrappone in un secondo momento alla nostra condizione cristiana; apparteniamo ad essa peril battesimo, lo stesso evento percui siamocristiani.

La via missionaria (detta anche “apologetica” o “controvertistica”) corrisponde, negli

studi ecumenici, all’atteggiamento che assunse la Chiesacattolica rispetto alle divisioni sorte dalla Riforma!9!,

Alla controriforma cattolica,

oltre

la

componente politico-militare,

appartenneroaltri due elementi di non pocorilievo: l'invio di missionari nelle terre cadute in manoairiformatori, e lo sviluppodella letteratura polemico-apologetica, spesso non esente da diffamazioni (da entrambele parti), avente come obiettivo anche quello di mettere a nudo gli errori dell’avversario!6?. Il periodo della controvertistica si è protratto nei secoli successivi

160 Cf. BENEDETTO XVI,Cost. Ap. Anglicanorumcoetibus, 4.11.2009. 16! Cf.

H. JEDIN, Reformation, katholische Reform und Gegenreform, in H. JEDIN, Handbuch der

Kirchengeschichte, Vol. 4, 1967, pp. 449-686

162 Su questo argomento, cf. M.-J. LE GUILLOU, «Des controverses au dialogue oecuménique», in Zstina

5/1 (1958), pp. 65-112, specialmente la sezione su Les rapports entre protestants et catholiques (pp. 81-90). SI

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senza successo per nessuna delle parti in causa; al contrario, è scivolato verso una

metodologiasterile ed ha contribuitoa irrigidire le opposizioni!93, Anche qui conviene distinguere quello che appartiene all’area sociologica da ciò che si riferisce più direttamentealla teologia. I problemicirca il primo aspetto sonostati abbastanza superati da entrambe le parti: oggi regna un’aria di cordialità, nella sincera ricerca di conoscere meglio la realtà dell’altra parte e trovare punti in comune.I toni polemicidei secoli passati devono essere intesi alla luce delle circostanze storiche e dello stile in cui si scriveva all’epoca. Rispetto al secondo aspetto, quello teologico, bisognatener presente cheil tentativo da parte della Chiesa cattolica di ottenere conversioni (sempre individuali) si intendeva a volte in unacornice che nondistingueva accuratamente l’eretico dal non-cristiano. Anche se nonsi ribattezzavano i convertiti, il battesimo ricevuto nell’eresia, seppur valido, era ritenuto inoperante: da non pochiautori, l’assioma extra Ecclesiam nulla salus era inteso in un senso escludente ogni salvezza al di fuori della Chiesa cattolica. Se l’unionismo a senso unico non percepisce l’ecclesialità degli scismatici, in questo caso rimaneocculta la condizionecristiana deglieretici. Ad ogni modo non si può ignorare che questa presentazione delle “vie” appartiene ad una storiografia dell’ecumenismo che — più o meno consapevolmente — cerca di prendere le distanze da esse, a favore dell’attuale movimento ecumenico; in questo processo si tende ad

esagerare l’atteggiamento “pretenzioso”, “orgoglioso” della Chiesa cattolica. La storia delle “tre vie” offre quindi validi spunti di riflessione, ma non va dogmatizzata: i diversi atteggiamenti della Chiesa di Roma rispetto ai non cattolici non provengono tanto da elaborate posizioni teologiche, ma sono piuttosto il risultato — come già accennato in precedenza — delle circostanze del momento. Comunquesia, l’attuale movimento ecumenico è concepito secondo una visuale molto diversa dalle “vie” sopra riportate: l’unione cercata non s’imposta comeil frutto di un ritorno ad un ovile, ma piuttosto comeil risultato di un cammino comune di conversionee diriforma verso una reintegrazione di tutti i valori autenticamente cristiani e di tutte le Chiese nella

cattolicità dell’unica Chiesa di Cristo!9. Perciò Giovanni Paolo II ha esortato a «ritrovare Sono divenute celebri le opere di G. Eck (Enchiridion locorum communium adversus Lutherumet alios hostes

Ecclesiae, 1525), R. Bellarmino (De controversiis christianaefidei, adversus huius temporis haereticos, 1593) e F. Feuardent (Yheomachia calvinistica sedecim libris profligata, quibus mille et quadringenti huius sectae novissimae errores refelluntur, 1604), da parte cattolica; in ambito luterano, con questo stesso stile controvertistico, si possono citare F. ILLYRICO, Antilogiae Papae, hoc est de corrupto Ecclesaiestatu et totius tate scripta aliquot veterum authorum, 1555; CALOV, Pdpstliche Torheitslehre, 1650.

163 Cf. Y. CONGAR, Chrétiens en dialogue. Contributions catholiques à l'Oecuménisme, Cerf, Paris

1964, pp. 158-161.

164 Cf. Y. CONGAR, Chrétiens désunis, pp. 333-344.

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medianteil dialogo e la preghiera l’unità visibile nella comunioneperfetta e totale, l’unità che (...) non è assorbimento e neppure fusione. L’unità è l’incontronella verità e nell’amore, che ci sono donati dallo Spirito»!55. 2.3. Sintesi storica del movimento ecumenico Conl’espressione movimento ecumenico s’indica la particolare forma che ha assunto l’ecumenismo nel XX secolo, come fenomenosuscitato dallo Spirito Santo in senoalle varie Chiese a favore dell’unità. Di seguito vedremo — sinteticamente — i punti fondamentali da una prospettiva storica!66, mentre la sua considerazione teologica verrà presentata nei capitoli successivi. Gli storici sono soliti indicare la Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo (1910) come punto di partenza dell’attuale movimento ecumenico. Non sarebbe giusto però ignorare alcuni autori del XIX secolo, le cui idee fecero da premessa all’ecumenismo germogliato nell’ambito del rinnovamento ecclesiologico dell’inizio del secolo successivo. Della scuola di Tiibingen occorre senz'altro menzionare J.A. Mòhler (1796-1838) e le sue due

opere ecclesiologiche fondamentali: L'unità della Chiesa, cioè il principio del cattolicesimo nello spirito dei Padri della Chiesa dei primi tre secoli (1825), e Simbolica o esposizione delle antitesi dogmatiche tra cattolici e protestanti secondo i loro scritti confessionali pubblici (1832). In esse si esce dall’ecclesiologia di stampo giuridicista e societario, predominante in quell’epoca, per dare più spazio alla sua dimensione misterica. Nella prima opera di Mohlersi accentuail fatto che principio dell’unità della Chiesa è lo Spirito santo, giungendo ad una maggiore chiarezzarispetto alla continuità organicaesistente fra Cristo e la Chiesa. Nella Simbolica, invece, si sottolineano di più gli aspetti cristologici e s'intende la Chiesa come continuazione o prolungamento del Verbo incarnato. Sebbene queste idee non ebbero allora grande accoglienza,il pensiero di Méhlerè alla base della teologia che approdò poi nella Mystici corporis di Pio XII e, più ancora, nell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II!9?.

165 GIOVANNI PAOLOII, Enc. S/avorum Apostoli, 2.6.85, n. 27.

166 Cf. i contributi di ROUSE, R., Voluntary Movementsin the Second Half-Century(pp. 327-329); The World Christian Lay Movements(pp. 599-612); World Denominational Fellowships (pp. 613-620), in R. ROUSE - S. NEILL(edd.), A Historyof the Ecumenical Movement (1517-1948). C£. anche l’opera di G. THILS, Histoire doctrinale du mouvement oecuménique, Warny, Louvain 1955; e quella di P. RODRIGUEZ, Iglesia y ecumenismo, Rialp, Madrid 1979. 167 Cf. C. PIOPPI, s.v. Scuola di Tubinga, in DE 1297-1298.

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Un altro precursore dell’attuale ecumenismo, appena posteriore a Méhler, fu J.M. Scheeben(1835-1888) con il suo celebrelibro / misteri del cristianesimo (1865), nel quale la Chiesa è contemplata nel contesto del mistero trinitario e cristologico, e all’interno

dell'assunzione, da parte di Dio, delle realtà corporali nell'economia della salvezza!88, Nella stessa epoca troviamo in Inghilterra J.H. Newman(1801-1890), che conil suo Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana (1845), e altre opere, disegnò i tratti fondamentali della

“gerarchia delle verità”, la quale troverà grande accoglienza nel VaticanoII e si svelerà come strumentoprezioso nel dialogo ecumenico!99. Nel XIX secolo eranoinoltre già sorti vari fenomeni interconfessionali istituzionalizzati,

comereazione di fronte alla generalizzata perdita di influsso della Chiesa nella società: la Young Men Christian Association (YMCA), fondata in Inghilterra nel 1844, e molto diffusa

negli Stati Uniti, con la preoccupazione principale di evangelizzare la gioventù; la parallela Youth Women Christian Association (YWCA, Inghilterra, 1854); la World Student Christian Association (Inghilterra 1895); l'Alleanza Mondiale per l’ Amicizia Internazionale attraverso

le Chiese, agli inizi del XX secolo, per fomentare la pace internazionale. Pur essendo associazioni interconfessionali, esse non mirano in mododiretto all’unità delle Chiese!70.

Puòinoltre essere considerata come fenomeno che precorre il movimento ecumenico la creazione, durante il sec. XIX e agli inizi del sec. XX, di alleanze o federazioni di Chiese

appartenenti alla stessa tradizione confessionale. Il fenomeno ebbe luogo tra le confessioni nate dalla Riforma, o a partire da queste, come pure tra anglicani e veterocattolici. Le principali sono!7!: 1. Conferenza di Lambeth (1867), della comunioneanglicana. 2. Alleanza delle Chiese Riformate (1875), poi Alleanza Riformata Mondiale, ora

Comunione Mondiale delle Chiese Riformate 3. Conferenza Ecumenica Metodista (1881); dal 1951 si chiama Consiglio Metodista Mondiale 4. Unionedeiveterocattolici di Utrecht (1889) 5. Consiglio Internazionale Congregazionalista (1891) 6. Alleanza Battista Mondiale (1905)

168 Cf. C. PIOPPI, s.v. Scuola romana, in DE 1300-1301.

169 Cf. H.E. ERNST, «Hierarchy of Truths in John Henry Newman», in Zrish Theological Quarterly 70/4

(2005),p. 330.

170In questasezione,dicaratterestorico, viene usatala parola «Chiesa»in unsensopiuttosto sociologico,

anche per rispettare le denominazioni delle diverse confessioni cristiane e i loro raggruppamenti, senza pregiudicare la valutazione teologica di questa terminologia, di cui si parlerà più avanti.

171 Cf. G. GOOSEN, Introduzione all’ecumenismo, Claudiana, Torino 2007,p. 31

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7. Convenzione Luterana Mondiale (1923); dal 1947 si chiama Federazione Luterana

Mondiale Questi fenomeni preparano il cammino ecumenico in quanto, per la prima volta, si vengono a creare realtà interconfessionali, 0 s’istituiscono alleanze di unificazione; ma l’interconfessionalità e l’unificazione percorrono strade parallele. Solo a Edimburgo, nel

1910, questi cammini confluiscono. Infatti, sotto la spinta del metodista John Mott (18651955), si riunirono in tale città rappresentanti delle diverse Chiese(i cattolici e gli ortodossi nonparteciparono a questa conferenza) per analizzare il problema costituito dalla concorrenza tra diverse confessioninello stesso territorio di missione. Quisi prese coscienza, per la prima volta, dello scandalo che comportavano le attuali divisioni, e il pregiudizio che da ciò derivava per l’evangelizzazione. Prese così corpo in tutti la convinzione della necessità di arrivare all’unità visibile delle Chiese. A tal fine si

creò il Consiglio Missionario

Internazionale come organismo permanente, che si integrerà nel 1961 nel Consiglio Ecumenicodelle Chiese. In contemporanea, si gettarono le basi del movimento Vita e Azione, promosso dal vescovo luterano svedese Nathan Sòderbom (1866-1931), che col motto “la dottrina separa,

l’azione unisce”, tentò un’azione comune delle diverse Chiese su argomenti di carattere sociale, morale, di cooperazione, ecc. A Edimburgo nacque anche il movimento Fede e

Costituzione, suscitato dal vescovo canadese episcopaliano Charles Brent (1862-1929) e impostato come base per il dialogo dottrinale interconfessionale. Entrambi i movimentisi integrarono nel Consiglio Ecumenico delle Chiese fin dalle sue origini, nel 1948; Fede e Costituzione è tuttora attiva, con questo nome, come commissione permanente. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese

(CEC) nasce nell'Assemblea Generale di

Amsterdam (1948). Non è né una Chiesa, né una super-Chiesa, né la Chiesa del futuro, né un

concilio o un sinodo. Nonprende decisioni a nome delle Chiese rappresentate, né ha autorità su di esse: le Chiese che ne fanno parte continuano a mantenere la loro identità. Anche se l’incorporazione al Consiglio non implica il riconoscimento di una particolare dottrina sull’unità della Chiesa, esiste un’ecclesiologia minima fondante riguardante il CEC,

esplicitamente menzionata nel testo costituzionale: «Il Consiglio Mondiale delle Chiese è una fraternità di Chiese che confessanoil Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le Scritture e cercano perciò di rispondere alla chiamata comunealla gloria di un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo»! n

172 Traduzionein italianoriportata in ibidem, p. 39. 55

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Per essere accettata come membro, deve naturalmente trattarsi di una realtà veramente

cristiana; si deve quindi sottoscrivere una base dottrinale comune (sulla fede in Dio Uno e Trino, Gesù Cristo, la Bibbia, la volontà di arrivare all’unità visibile). Obiettivo del CEC è

offrire un foro comune peril dialogo, sia in ambito dottrinale, sia per proposte di azione comune!7?3, Attualmente aderiscono al CEC 348 Chiese!?4. Dal 2004 la carica di segretario generale è affidata al metodista Samuel Kobia. Anchese le relazioni del CEC con la Chiesa cattolica sono semprestate cordiali, questa non ha mai chiesto l’ammissione in qualità di membro, nonostante fosse stata invitata. Possiede tuttavia osservatori permanenti al Consiglio, e partecipa a titolo pieno, per mezzo di teologi ufficialmente delegati, ai dialoghi dottrinali della commissione Fede e Costituzione. Dal 1965 esiste inoltre il Gruppo Misto di lavoro, costituito da membri del CEC e della Chiesa cattolica. Agli inizi del Consiglio, il rifiuto della Chiesa cattolica di far parte di quest’organismo era conseguenza del suo mantenersi a margine del dialogo ecumenico. Le attuali ragioni per non entrarvi si devono solo in parte a motivi di ordine pastorale (il rischio di eventuale confusionefra i fedeli). In realtà, l’attuale organizzazione del Consiglio darebbe alla Chiesa cattolica un peso che non è desiderato da nessunadelle parti in causa!75. In seno a questo Consiglio, che si riunisce periodicamente ogni 10 anni, si sono sviluppati dialoghi ufficiali bilaterali tra le diverse confessioni, e dialoghi multilaterali, che

hanno prodotto abbondanti documenti, i quali, però, pur essendo ufficiali, non implicano l’automatica accettazione da parte delle Chiese partecipanti. Si tratta di accordi teologici su questioni concrete che in seguito, se è il caso, possonopassare peril processo di “ricezione” in ciascuna delle Chiese. Nelle sue prime fasi, il movimento ecumenico non trovò accoglienza nella Chiesa cattolica e, anzi, esso fu esplicitamente respinto da Pio XI nell’Enc. Mortalium animosdel 6.1.1928. Più avanti, quando il CEC cominciòle sueattività nell’assemblea di Amsterdam del 1948, il Santo Ufficio pubblicò un Monitum(5.6.1948) peril quale si escludeva assolutamente ogni partecipazione cattolica a quell’assemblea'?6. Si dovrà aspettare fino al pontificato di Giovanni XXIII per poter parlare di un impegnodeciso a favore dell’ecumenismo. Tuttavia, esistono alcuni indizi anteriori, addirittura prima della nascita del movimento ecumenico. Già

173 Cf. G. THILS, Historia doctrinal del movimiento ecumenico, pp. 153-160. 174 Cf. G. BOUCHARD,Chiese e movimentievangelici, p. 152.

175 Il numero dei rappresentanti di ciascuna Chiesa presso il CEC è proporzionale al numero dei fedeli

della rispettiva Chiesa.Il totale dei cristiani nel mondooltrepassa, secondostatistiche del 2006, i 2.175 milioni; mentreil numerodeicattolici, nella stessa data e secondola stessa fonte, supera i 1.135 milioni (cf. World adherentsof ali religions, Mid 2006, in Britannica Online Encyclopedia). 56

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Papa Leone XIII aveva molto a cuore la questionedell’unità dei cristiani, e fu durante il suo pontificato che si cominciò ufficialmente con la preghiera perl’unità deicristiani, configurata all’inizio come novena, che precedeva la solennità della Pentecoste. Sotto il suo impulso fu creata la Commissio pontificia ad reconciliationemdissidentium cum Ecclesia fovendam, che però nonoltrepassò il suo pontificato!””. Varcato ormai il primo decennio del secolo XX,

l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, culminante nella festa della conversione di San Paolo del 25 gennaio,preseil sopravventorispetto alla novena di Pentecoste. L’ottavario nacque su iniziativa di Paul Watson (1863-1940), il fondatore dei francescanidell’Atonement,

e fu poi molto diffuso, anchefra gli altri cristiani, per opera di Paul Couturier (1881-1954); esso corrisponde all’odierna settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Oltre alle già menzionate Conversazioni

di

Malines,

occorre anche ricordare

l’attività dell’abbazia

benedettina di Chevetogne (Belgio, 1939), che ebbe la sua origine a partire dal priorato di Amay-sus-Meuse, fondato da Dom Lambert Beauduin nel 1925. Essa è dedicata allo studio

del monachesimoe della spiritualità orientale, e pubblica la celebre rivista /rénikon. Sempre del 1925 è la creazionea Parigi del Centro Istina per opera del domenicano J. Dumont, con l’ugualmente rinomata rivista ecumenica /stina (1954); a ciò si aggiunge l’inizio, a Roma, dell’attività dell’associazione Unitas nel 1947!78 e la fondazione a Paderborn, nell’anno 1957, dell’Istituto Joham Adam Mòéhler, realizzata dal vescovo Jiger. Occorre infine segnalare che

l’Istruzione Ecclesia Catholica, emanata dal Santo Ufficio il 20.12.1949!?9, ridimensionò parecchio la proibizione fino ad allora vigente, permettendo una discreta partecipazione cattolica al dialogo teologico interconfessionale. Anche se ufficialmente la Chiesa cattolica rifiutava di partecipare al movimento ecumenico — pur permettendo la creazione delle suddette istituzioni —, durante la prima metà del XX secolo,si sviluppò a poco a poco unacorrente teologica, semprepiù estesa, favorevole all’ecumenismoe all’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico. Fra i diversi teologi che vi s’impegnarono a quell’epoca, ebbe una rilevanza particolare Yves Congare la sua opera Chrétiens désunis. Principes d'un oecumenisme catholique, del 1937. In tale contesto nacquero le condizioni fondamentali perché si potesse finalmente decollare ai tempi del pontificato di Giovanni XXIII. A ciò contribuirono anche i movimenti biblico, patristico e liturgico; ma il peso maggiore lo ebbe il rinnovamento dell’ecclesiologia, che

176 Ci furono in precedenzaaltre indicazioni della Santa Sede nella stessa direzione: cf. G. THILS, Historiadoctrinal del movimiento ecumenico, pp. 290-291 177 Cf. ibidem, pp. 295-296.

178 Cf. M. VILLAIN, Introducciénal ecumenismo, Desclée de Brouwer, Bilbao 1962, pp. 303-321 179 È anche chiamata De motione oecumenica. Il testo è reperibile in AAS42 (1950), pp. 142-147. 57

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dalla considerazione della Chiesa come societas perfecta — con poco spazioperl’ecumenismo — giunse ad evolversi fino a contemplare la Chiesa come Corpo Mistico di Cristo e, successivamente, come mistero di comunione. In vista del Concilio Vaticano II, Giovanni

XXIIIcreò il Segretariato Romanoper l’Unità dei Cristiani. Il suo primo Presidentefu il Card. Agostino Bea, a cui successero il Card. Johannes Willebrands, il Card. Eduard Cassidy (1989), il Card. W. Kasper (2001) e, dal 2010, il Card. K. Koch. Il segretariato rimase come

organismo stabile durante e dopo il Concilio, e nel 1989 (Cost. Apost. Pastor Bonus, sulla Curia Romana) diventò l’attuale Pont. Consiglio per la Promozionedell’Unità dei Cristiani!80, Il Concilio Vaticano II rappresentò un vero capovolgimento copernicano per l’atteggiamento della Chiesa cattolica rispetto all’ecumenismo. Da un punto di vista dottrinale, la Cost. dogmatica Lumen gentium segnò un cambio di rotta decisivo per l’ecclesiologia; l’esposizione del mistero della Chiesa, contemplata come una comunione, aprì definitivamente le porte al movimento ecumenico. In questo documento la sussistenza (subsistit in) della Chiesa di Cristo nell'attuale Chiesa cattolica è intesa come un rapporto d'identità non escludente (cf. LG 8/2), come studieremo a fondo più avanti. Ciò permise di riconoscere come «al di fuori dell’organismo visibile (della Chiesa) si trovino parecchi

elementi di santificazione e di verità» (ibid.) e quindi di rendersi consapevole «di essere per più ragioni unita» (LG 15) alle altre Chiese e comunità ecclesiali, affermando senza

tentennamenti che «anche in loro lo Spirito con la sua virtù santificante opera per mezzo di doni e grazie»(ibid.).

Questa premessarese possibile la pubblicazione, durante lo stesso Concilio, del decreto Unitatis Redintegratio, il quale può considerarsi, da parte cattolica, la pietra miliare dell’ecumenismo,

e

che

di

fatto

risulta

il

primo

documento

interamente

dedicato

all’ecumenismoin tutta la storia dei concili ecumenici. Significativamente, il decreto porta la stessa data di approvazione della Lumen gentium (21.11.64); come ebbe a dire Paolo VI in

quel giorno, «tale dottrina (quella del de

‘sia) va integrata dalle dichiarazioni contenute

nello schema de oecumenismo»!8!. Come documento appartenente al magistero solenne, l'Unitatis redintegratio è teologicamente vincolante, sebbene in modo differenziato, come succede negli altri documenti conciliari!8?. Si tratta, cioè, di un documento di valore

180In occasione del 50° anniversario della creazione del Segretariato, fu pubblicato presso la Libreria Editrice Vaticana (2010)l'opuscolo Unità deicristiani: dovere e speranza, curato dal PCPUC, con abbondante informazione sulla vita del Segretariato/Consiglio, specialmente sul suo ruolo durante lo svolgimento del VaticanoII. 181 Discorsodi Paolo VIa chiusuradelterzo periododel Concilio, 21.11.64, in EV 1, n. 293. 182 Cf. W. KASPER,Vie dell'unità, p. 17.

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dottrinale, non solo pastorale e disciplinare!83. Dopo un'esposizionesintetica sulla concezione cattolica dell'unità della Chiesa, si afferma, in coerenza con la Lumen gentium, che «quelli infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamenteil battesimo sonocostituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica» (UR 3/1). A partire da questa certa comunione, bendiversa dalla situazione dei noncristiani, si lavorerà in vista di arrivare

ad una piena comunione. L’integrazione con la dottrina della Lumen gentium, menzionata da Paolo VI, va estesa anche al decreto Orientalium Ecclesiarum, sulle Chiese cattoliche orientali, approvato nella stessa data. Vanno infine menzionate, per le loro indubbie ripercussioni in ambito ecumenico,

altre due dichiarazioni promosse dal Segretariato per l'unità dei cristiani durante l’assise conciliare: la Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa, e la Nostra aetate, sulle religioni non cristiane, approvate durante l'ultimo periododel concilio, nell'anno 1965184. Dopoil VaticanoII seguìil Direttorio Ecumenico, pubblicato in due parti nel 1967 e nel 1970, e poi nel 1993 in una nuovaversione (Direttorio perl'applicazione deiprincipi e delle

norme sull’ecumenismo, del 25.3.93). Merita una menzione speciale la Lettera enciclica Ut unumsint, pubblicata da Giovanni Paolo II il 25.5.95, che costituisce in tutta la storia della

Chiesail primo documento pontificio interamente dedicato all’ecumenismo. Infine, nel 1997 appare il documento Ecumenismo e formazione alla pastorale, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Esistono anche diversi documenti, emanati dalla Congregazione perla Dottrina della Fede, che riguardano alcuni aspetti puntuali dell’ecumenismo: la Dichiarazione Mysterium Ecclesiae (24.6.73), la Lettera Communionis notio

su

alcuni

aspetti

della

Chiesa intesa

come comunione

(28.5.1992),

la

Nota

sull’espressione “Chiese sorelle” (30.6.2000), la Dichiarazione Dominus Jesus circa l’unicità

e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (6.8.2000), e le Risposte a quesiti circa la dottrina sulla Chiesa (29.6.07).

I documenti menzionati, in quanto testi magisteriali, si rivolgono direttamente ai cattolici, pur auspicandone la lettura anche da parte non-cattolica. La Chiesa cattolica è coinvolta nell’ecumenismo anche attraverso i documenti interconfessionali di dialogo, dei

quali abbiamoparlato a proposito delle singole confessionicristiane e di cui parleremo ancora più avanti; conviene ora solo accennare al fatto che, dall’epoca dell’ultimo concilio fino ai 183 Si vedano le considerazioni di F. Ocàriz a proposito di un punto dottrinale specifico dell’UR

(l’attribuzione del titolo “Chiese” alle comunità cristiane separate dalla Chiesa cattolica, che conservano la

successione apostolica e quindi anchel'Eucaristia valida), nella presentazione a F. GIL HELL.ÎN (ed.), Decretum

de oecumenismo Unitatis redintegratio, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2005,pp. VII-IX. 184 Per una visione dettagliata del coinvolgimento del Segretariato nell’iter conciliare di questi documenti, vid. Unità dei cristiani: dovere e speranza, pp. 31-67. 59

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nostri giorni, la Chiesa cattolica si è impegnata in prima personain questo dialogo dottrinale, con unfrutto abbondante di documentibilaterali. Dobbiamotuttavia prendere atto che in questo momento, superati gli anni di ingenuo ottimismo ecumenico caratteristici del periodo immediatamente postconciliare, stiamo attraversando una “fase d’ibernazione”. In alcuni ambienti, «diffusa è la convinzione che le differenze tradizionali siano oggi irrilevanti per la maggioranza della gente e che sarebbe possibile passarci semplicemente sopra». Da questo atteggiamento è nato ciò che il card. Kasper chiama «l’ecumenismo selvaggio» e che ha generato, come reazione, un nuovo confessionalismo. «Il movimento ecumenico è stato ritenuto responsabile dello sviluppo del relativismo e dell’indifferenza nelle questioni di fede. In realtà un sano ecumenismo, quale quello definito dal Concilio VaticanoII, è la vittima piuttosto che l’origine di questa diffusa apatia»!85, Occorre dunqueripristinare il “sano ecumenismo”del Concilio VaticanoII, ritornando allo studio approfondito dei documenti pertinenti. Perciò, nei seguenti capitoli, pur senza ignorare il magistero successivo e la teologia postconciliare, verrà tuttavia privilegiata l’originaria dottrina conciliare, nel tentativo d’identificare con precisionei principi teologici basilari che dovrebberoreggere l’intero impianto ecumenicodella Chiesacattolica.

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CAPITOLOII INQUADRAMENTO TEOLOGICO DELL’ECUMENISMO

Nella teologia contemporanea s’intende per ecumenismo quell’aspetto della missione ecclesiale che cerca di condurre tutti i cristiani alla comunione piena nell’unica Chiesa di Cristo. Lungola storia gli sforzi a favore dell’unità hanno assunto le varie modalità appena studiate. La formaattuale di questi sforzi è quella del movimento ecumenico, ossia «le attività e le iniziative che, a seconda delle varie necessità della Chiesa e l'opportunità dei tempi, sono

suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani» (UR 4). Le attività contemplate sono «in primo luogo,tutti gli sforzi per eliminare parole, giudizi e opere che nonrispettano con equità e verità la condizione dei fratelli separati»; in secondo luogo, «il dialogo avviato tra esponenti debitamente preparati nel quale ognuno esponepiù a fondola dottrina della propria comunità e ne presenta con chiarezza le caratteristiche»; in terzo luogo, «una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienzacristiana per il bene comune», che include anche il radunarsi «per pregare insieme». In queste attività, infine, «tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com’è dovere, intraprendono con vigorel’opera di rinnovamentoe di riforma». Si cerca in tal mododi far sì che «a poco a

poco, superati gli ostacoli che impediscono la perfetta comunione ecclesiastica, tutti i cristiani, in un’unica celebrazione dell’Eucaristia, si riuniscano in quell’unità dell’una e unica Chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica» (UR 4).

Prima di affrontare lo studio della teologia ecumenica in quanto ri/lessione ecclesiologica sull’unità da ristabilire nella Chiesa, è d’obbligo un passo previo — al quale sono dedicate le pagine di questo capitolo —, ovvero quello di inquadrare teologicamente l’ecumenismo, determinandoneil soggetto, la natura, lo scopo la specificità rispetto ad altre attività ecclesiali. 3.1. Unarealtà cristiana L’ecumenismoè un’attività svolta fra cristiani, ossia fra tutti coloro che hannoricevuto validamente il sacramento del battesimo (cattolici, ortodossi, luterani, anglicani, ecc.),

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«invocanola Trinità e professano la fede in Gesù Signore e Salvatore» (UR 1). Si distingue, quindi, dal dialogo interreligioso, che si riferisce al dialogo con le religioni non-cristiane (islamici, buddisti, induisti, ecc.), e dal dialogo coni non-credenti (gli atei e agnostici)!86.

Pertanto occorre non mettere sullo stesso piano le comunioni non cattoliche e le religioni non cristiane. Si tratta di una differenza facile da afferrare come questione difatto,

mapiù difficile da comprendere a livello terminologico e concettuale. Da un puntodi vista semplicemente fattuale, l’appartenenzaal cristianesimo,all’interno di comunionicattoliche e non cattoliche, dipende dal battesimo e dalla fede trinitaria-cristologica, come appena accennato. Il vocabolo “comunione/comunioni”, però, è qui usato in senso più nominale che teologico, col rischio di impoverire un concetto che invece si trova al centro della teologia ecumenica (come verrà studiato nel prossimo capitolo). Esso, infatti, ha il merito di aver superato

la terminologia anteriore,

-

in

verità mai

accettata

da tutti — incentrata

sull’espressione ‘“confessione/i cristiana/e”, in base alla quale si sosteneva che dalle differenti “confessioni di fede” (gli antichi “simboli”) derivassero le diverse confessioni cristiane. La

Chiesacattolica, però, si è abitualmente mostrata refrattaria all’uso di questa terminologia, poiché portatrice di un certo relativismo rispetto al concetto di simbolo della fede!87.

Nell’ambiente

ecumenico

attuale,

l’espressione

è

inoltre

associata

all’idea

di

“confessionalismo”, nel senso di un indebito attaccamento alle formule, a scapito del

contenuto!88, e pertanto si tende a prendere distanza da essa. Tuttavia, ciò non dovrebbe condurre al “confusionismo” nella propria fede, un fenomeno preoccupante e, purtroppo, ricorrente fra diversi partners del dialogo ecumenico, tanto da far emergere fra alcuni autori l’eventuale convenienzadi ritornare alla teologia simbolica di J.A. Mòhler!89, Più complicato ancora si presentail tentativo di stabilire il contenuto del concetto di religione (cristiana e noncristiana )'!99, anche perchéil riferimento al “sacro”, alla “divinità”, alla “trascendenza”, e via dicendo, è sostanzialmente diverso in ciascuna formareligiosa .

Occorrerebbe,inoltre, accostarvisi mediante un approccio tendenzialmente olistico, che nonsi rinchiuda nell’ambito esclusivamente filosofico, o antropologico, o sociologico e nemmeno

186C£. ibid., p. 61. 20.

187 C£. Y. CONGAR,«Notesurles mots confession, Église et communion»,in /rénikon 23 (1950). pp. 14-

188 Per tutto ciò non sembra adeguatoil titolo della traduzione spagnola dellibro di K. Algermissen, Konfessionskunde(Giesel, Hannover 1939), reso con Iglesia Catélica y ConfesionesCristianas (Rialp, Madrid 1964). 189 Cf. W. KASPER, Harvesting the Fruits. Aspects of Christian Faith in Fcumenical Dialogue, Continuum, London-New York 2009, pp. 201-202. 190 Sull'argomento, troppo esteso per essere affrontato qui, si possono consultarele incisiveriflessioni

contenute in G. MASPERO - G. TANZELLA-NITTI,La verità della religione. La specificità cristiana in contesto, Cantagalli, Siena 2007. 62

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solo teologico!9!. Essenzialmente potremmodire cheil concetto di religione indica l’ambito delle relazioni dell’uomo con unarealtà ritenuta trascendente e a lui superiore, stabilmente strutturata e socialmente rilevante. Non si tratta quindi della mera “religiosità”, anche se la presuppone!°2, Tornando ora alla distinzione fra religione e comunione, ciò che sostanzialmente interessa capire è che una “comunione non cattolica” non è semplicemente un “sistema religioso di pensiero”, o un insieme di persone delimitate dal fatto esterno di essere battezzate e di far riferimento a qualche forma di organizzazione. Si tratta, invece, di una vera partecipazione attuale alla vita divina in Cristo, mediante genuinivincoli ecclesiali. Essa non è realizzata secondotutte le esigenzee le possibilità esistenti all’interno della Chiesa cattolica; tuttavia, supera assolutamente l’ambitodelle religioni non cristiane, nelle quali non esiste una partecipazione alla vita divina in Cristo, che oggettivamente provengadagli elementi specifici di quelle religioni. Per tal motivo, la distinzione in questione è premessa indispensabile peril dialogo ecumenico. Nondimeno è da tener presente il caso particolare degli ebrei, che pur non essendo cristiani, sono i “figli delle promesse”, il “popolo eletto” e “nostri fratelli maggiori nella

fede”, con i quali condividiamo l’antico testamento. Essi perciò meritano una considerazione speciale fra gli altri non-cristiani, e la Chiesa si pone in rapporto istituzionale con loro

attraverso una sezione speciale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Nonappartiene inveceall’ambito ecumenicolarelazione della Chiesa conle “sette” 0 comeadessosi suggerisce di chiamarle - “i nuovi movimentireligiosi”, che non posseggono un valido battesimo, né conciliano le loro convinzioniconla rivelazione contenuta nelle Sacre

Scritture, anche se a volte mutuano alcuni elementi dal cristianesimo (NewAge, Scientology, Bambini di Dio, ecc.). Per gli stessi motivi, in ambito ecumenico non si trattano neanche fenomeni religiosi relativamente più antichi, come i Mormoni o i Testimoni di Geova,

argomentosu cui torneremopiùavanti, a proposito dei peccati contro la comunione. Il “certificato di cittadinanza” come partner del movimento non è un’automatica conseguenza della condizione cristiana. È necessaria l’autentica volontà di dialogare su un piano di uguaglianza, senza pretese di imporre con prepotenza la propria posizione, col desiderio di arricchirsi reciprocamente e imparare dall’esperienza altrui, nell’instancabile ricerca di un linguaggio comune. È imprescindibile, inoltre, la ferma convinzioneche l’attuale

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situazione di divisione è assolutamente anomala e contraddice la volontà del Signore e la stessa ecclesialità delle Chiese. Perciò non sonointerlocutori validi quelli che, pur essendo

cristiani, rifiutano esplicitamente il dialogo. Tra questi si trovano varie sette cristiane nate dalle Chiese del protestantesimo storico, molte comunità fondamentaliste di tradizione riformata e altre. Fin dall’inizio, il movimento ecumenico incontrò l’opposizione della parte

più radicale del protestantesimo di matrice calvinista, a causa della collocazione del suo traguardo nell’unità visibile della Chiesa; ciò fu considerato contrario a uno dei principi ritenuti essenziali dalla Riforma, quello secondo il quale la Chiesa è esclusivamente una comunità spirituale. Così, per contrastare il Consiglio Ecumenico delle Chiese sorsero sia il Consiglio Internazionale delle Chiese Cristiane (Carl Mac Intyre, 1948), che l’Alleanza

Evangelica Mondiale (1968), i quali ebbero però unarilevanza piuttosto scarsa!99. 3.2. Un approccioistituzionale Nel dialogo ecumenicogli altri cristiani non sono considerati come persone singole, ma

in quanto facenti parte di una comunità. Ossia, propriamente parlando, più che l’unità dei cristiani, si promuove l’unità fra le Chiese e le comunità ecclesiali!*. Questo non solo

implica che il dialogo ecumenicosi stabilisca tra istituzioni, ma include anche il fatto che “l’altra parte” è contemplata come realtà ecclesiale, come comunità costituita da vincoli

veramente ecclesiali, e non solo come somma di singoli cristiani. Occorre, tuttavia, non isolare

in

modo

assoluto

queste

due

dimensioni,

perché

la

fede

è

una

realtà

contemporaneamente personale ed ecclesiale; quando accade che una comunità cristiana è accolta nella piena comunione, occorre, infatti, incanalare in modo adeguato l’assenso

personale dei fedeli alla fede cattolica. L’ecumenismo, dunque,si distingue dall’accoglienza individuale nella pienezza della comunionecattolica!95, È importante ricordare che, pur trattandosi di due differenti attività,

esse non si oppongono mutuamente; il Concilio ha, infatti, espressamente dichiarato che «l’opera di preparazionee di riconciliazione di quelle singole persone che desiderano la piena comunione cattolica è di natura sua distinta dall’iniziativa ecumenica; non c’è pero alcuna

opposizione, poiché l’unae l’altra procedonodalla mirabile disposizione di Dio» (UR 4).

!92 Cf. M. DHAVAMONY,s.v. Religione: definizione, in R. LATOURELLE - R. FISICHELLA (edd.),

Dizionario di Teologia Fondamentale,

Citadella Editrice, Assisi 1990, pp. 919-929.

193 Cf. P. RODRIGUEZ, Iglesia y ecumenismo, pp. 59-60.

194 Cf. G. THILS, Historia doctrinal del movimiento ecumenico, pp. 281-282. 195 C£. ibidem, pp. 285-286. 64

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3.3. Un compito missionario Dalla prospettiva di coloro che sono oggetto della missione della Chiesa, questa può essere considerata sotto tre diverse angolature: l’aspetto pastorale della missione (ad intra: indirizzata ai fedeli cattolici), l’aspetto ad gentes (ad extra, nel senso tradizionale dell’’’attività missionaria” della Chiesa, rivolta ai non-cristiani), e l’aspetto ecumenico, che si

occupa dei cristiani non cattolici. Troviamo esplicitamente questa distinzione in AG 6/6: «l’attività missionaria tra le genti differisce sia dall’attività pastorale da svolgere nei riguardi

dei fedeli, sia dalle iniziative da prendere per ricomporre l’unità dei cristiani». Intendere l’ecumenismo come un aspetto specifico dell’unica missione della Chiesa è importante per nonconfondere i mezzi impiegati nei vari ambiti della missione, diversi a secondadel caso in questione; e anche peruna corretta considerazioneteologica degli “altri cristiani” (espressione senz'altro migliore di quella di “fratelli separati”: cf. UUS 42), che se non possono essere equiparati ai fedeli cattolici, neppure possono essere considerati “infedeli”. Allo stesso tempo è opportuno ricordare la convergenza di questi tre aspetti nell’unica missione; come prosegue il decreto Ad Gentes, «queste due formedi attività (pastorale ed ecumenica) si ricongiungono saldamente

con l’operosità missionaria della Chiesa».

L’ecumenismo,in definitiva, risulta configurato come un’attività della quale non è lecito alla Chiesa disinteressarsi: la Chiesa cattolica non può non essere ecumenica senza tradire la

propria missione e la volontà esplicita del Signore (Gv 17,21: «perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una sola cosa, perché il

mondo creda che tu mi hai mandato»). Perciò Giovanni Paolo II ha riaffermato «in modo irreversibile» (UUS 3) l’impegno della Chiesa a favore dell’ecumenismo. Così operando si

segue una volontà esplicita di Cristo, si tenta di evitare lo scandalo delle divisioni che tolgono credibilità alla Chiesa e pregiudicano l’evangelizzazione,si cerca di offrire a tutti i battezzati

l’intero patrimoniodei beni salvifici. La Chiesa, che è madre, non può noncurarsi dei suoi

figli. 3.4. Untraguardo da raggiungere Nonbisogna infine dimenticare che l’obiettivo finale dell’ecumenismoè l’unità visibile della Chiesa'!9: «un solo gregge con un solo pastore» (Gv 10,16). Si punta alla “comunione piena” o “perfetta” fra le Chiese in senso “strutturale”: «nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio» (UR2). Si tratta dunquedi ristabilire fra tutte le comunità cristiane i tia vincula visibili di

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unità: symbolicum, liturgicum, gerarchicum. Comeaffermato da Kasper, «sebbene ci possano essere diverse fasi intermediea livello di ecumenismospirituale o pratico, il traguardo finale non è l’unità sulla base del minimo comune denominatore, né la semplice coesistenza

pacifica, né l’uniformità, mala piena e visibile comunione nella fede, nella vita sacramentale, nel ministero apostolico e nella missione, in analogia con l’immaginedell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santoin senoalla Trinità»!9?. L’unità visibile, infatti, non è solo ritenuta

conveniente per il buon andamento della Chiesa, ma è insita nel suo codice genetico, come evidenziato dalla rivelazione neotestamentaria sulla vita della primitiva comunità cristiana: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42)!98. Propriamente parlando, la “comunione piena” si riferisce anche, e soprattutto, alla comunione intima con Dio per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo(lo stato di grazia); questa prospettiva non è però quella propria dell’ecumenismo, sebbenelo stretto legame tra comunione “interiore” e comunione “strutturale” ci obbliga a tenere presente anche questa dimensione della comunione. Per l’ecclesiologia cattolica risulta di grande importanza la considerazione dell’unità

visibile

simultaneamente

come

dono

e

come

compito.

L’unità

come

obiettivo

dell’ecumenismo non può intendersi come se essa non esistesse ora, poiché nonsitratta di

creare l’unità, la quale, nel suo aspetto più profondo, altro non è che un donoconcesso da Dio alla sua Chiesa in modoirrevocabile. È proprio la fiducia nella fedeltà di Dio e nei suoi doni, che dà speranzaall’ecumenismo. L’unità è data alla Chiesa come un donocostituente; perciò l’ecumenismo vero nontenta di crearla, come se nonesistesse, macerca di scoprirla intuttii

luoghi dovesi trova, per spogliarla di quel che la oscura, impedendo la manifestazione della sua pienezza. Questo porta a intendere l’ecumenismo come una dilatazione dell’unità già presente, di «quell’unità dell’una e unica Chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua

Chiesa e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica»

(UR 3). Nonè valida nemmenola posizione opposta: ovvero,“in realtà già siamo uniti, l’unità importante è l’unità spirituale della grazia”. Senza eliminare così drasticamente il peso dell’aspetto visibile della Chiesa, già nel XIX secolo si ipotizzava la teoria delle three 196 Cf. W. KASPER,Vie dell'unità, p. 60 197 Cf. W. KASPER, Harvesting the Fruits, p. 205.

198 Nonpochiautori scorgonoquii tria vincula di unità, appena menzionati: su questo, cf. CONGAR,Y.,

Proprietà essenziali della Chiesa, in J. FEINER - M. LOHRER(ed.), Mysterium Salutis, Vol. 7: L'evento salvifico nella comunitàdi GesùCristo, Queriniana, Brescia 19815, pp. 456-457. 66

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branches: la Chiesa di Cristo sarebbe già unae sussisterebbe nella Chiesacattolica, ortodossa e anglicana, come i tre rami di uno stesso albero!99. Semmai, occorrerebbe solo passare

“dall’unità all’unione”, come i membridi una famiglia che hannolitigato, mai cui legamidi origine vitale non si possono cancellare?29, Tuttavia, l’unità già esistente non può essere ridotta alla sola unità invisibile, o ad un debole raggruppamento di Chiese. La rivelazione, infatti, mostra chiaramente i vincoli visibili di unità come qualcosa d’intrinseco alla

comunioneecclesiale, come è stato appena accennatosulla base di At 2,42. Entrambi questi estremi (negazione dell’unità esistente, affermazione di un’unità già piena) sonostati rifiutati dal magistero della Chiesa20!, Ciò che consente di affermare senza contraddizione l’unità comerealtà già data, ma cheallo stesso tempo deve ancora raggiungere la sua pienezza, è la storicità della Chiesa, semprein tensione escatologica finché dura il suo pellegrinaggio in terris. Essa si trova in statu viae, tra la redenzione già operata da Cristo, e l’ancora non consumata recapitulatio omnium escatologica?%, Usando un’immagine molto espressiva, nel 1957 l’abate Couturier diceva: «la Chiesa cattolica romana afferma che l’unità

è già esistente ed è un “dato rivelato”; ma non nega che questa stessa unità sia anche un compito ed un avvenire. In un qualsiasi essere vivente si congiungono armoniosamente nella

sua unità individuale ciò che è dato conciò che deve avvenire. La forza unificante dell’albero è la stessa già presente nel seme». La Chiesa, quindi, non si può accontentare

semplicemente di conservare l’unità che già le è stata data, poiché si tratta di un dono in tensione escatologica verso la sua pienezza. Per questo “frenare” l’ecumenismo equivarrebbe a soffocaretale tensione,togliendo alla comunionela suaintrinseca dinamicità.

199 Era questa la posizione di fondo della Association for Promoting the Union of Christendom, fondata in Inghilterra nel 1857 da cattolici ed anglicani insieme. Per decreto del Santo Ufficio del 16.9.1864 (AAS 2 1919], p. 310), la Santa Sede vietò la partecipazionedeicattolici a quest’associazione: cf. G. THILS, Historia doctrinal del movimiento ecumenico, pp. 233-234.290. 200 Cf. G.D. ROSENTHAL, The Unity of the Church, in Report ofthe Anglo-Catholic Congress 1930 (The

Church), Westminster 1930, pp. 22-29. 201 «Nonpossono quindii fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma — differenziata ed in qualche modounitaria insieme — delle Chiese e Comunità ecclesiali; né hannofacoltà di pensare che la Chiesa di Cristo ogginonesista più in alcun luogoe cheperciò,debbaessere soltanto oggettodi ricercada parte ditutte le Chiese e Comunità»: CDF, Dichiarazione Mysterium Ecclesiae, 24.6.73, n. 1 .J. DUMONT,Lesvoies del’unité chrétienne. Doctrine et spiritualité, Cerf, Paris 1954, pp. 210213.

203 P. COUTURIER, Prière et unité chrètienne, Mappus, Le Puy 1952. La citazione è riperibile in

VILLAIN,o.c., p. 341.

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CAPITOLO IV LA COMUNIONE ECCLESIALE

All’origine delle scissioni della Chiesa sono evidentemente esistite incomprensioni, orgogli feriti e atteggiamenti non sempre permeati dal fervore per la verità e l’onore di Dio; inoltre, come già segnalato, a ciò si devono aggiungere numerosi altri motivi di ordine culturale o politico. Mase ci limitiamo alle cause strettamente ecclesiologiche, si può dire che alla base di molti allontanamenti dalla comunione cattolica si riscontra, paradossalmente, un

desiderio, almeno implicito, di fedeltà alla sostanza del vangelo, sostanza che si vede compromessa e al cui difetto si cerca di porre rimedio. La storia delle divisioni potrebbe riassumersi così come un differente apprezzamento, a seconda delle parti in causa, di ciò che nella Chiesa è sostanziale e di ciò che in essa è secondario, accidentale, mutevole in base alle

circostanze di tempo,luogoo cultura. Lo studio teologico dell’ecumenismo dovrebbe allora realizzarsi alla luce di questa esperienza storica,

focalizzando l’attenzione

sull’essenziale, distinguendo ciò che nella

comunione è vincolante da ciò che, invece, può ammettere diversità, in modo da risalire il

versante separatista e ricondurrele parti all’unità. Il punto di partenza doveroso non dovrebbe essere altro che la rivelazione divina sull’unità della Chiesa; questa è proprio l'impostazione del decreto Unitatis redintegratio, il quale esordisce(al n. 2) con unadichiarazionediprincipi sul modoin cui la Chiesa concepiscela sua unità. Per forza di cose,si tratta di unariflessione cattolica sull’unità della Chiesa e sull’ecumenismoin generale, che non sempre coincide — anzi, in certi punti risulta anche molto distante — con la concezioneche di essi hannole altre Chiese e comunità. È proprio questo unodei quesiti più scottanti della teologia ecumenica: qualè l’unità che stiamo cercando? Sulla scia di una tale logica, in questo capitolo studieremo dettagliatamente il testo di UR sull’unità della Chiesa, integrandolo con l’apportodi altri aspetti dell’unità ecclesiale presenti nella Lumen gentium e nel magistero postconciliare, al fine di poter in seguito meglio comprenderele rotture dell’unità. Nei capitoli successivi affronteremo lo studio teologico dei principi ecumenici che dovrebbero guidare il ristabilimento dell’unità (cap. V), e i modi concreti secondoi quali il movimento ecumenicotentadi applicarli (cap. VI).

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4.1. Il disegnodell’amoredi Dio perla sua Chiesa Il primo capoverso di UR 2 è unasintesi dell’essenza della comunioneecclesiale e dei suoi elementi fondanti. Il linguaggio è volutamente accogliente e persuasivo; anchese i suoi destinatari sono primariamentei fedeli cattolici — pastori e semplici fedeli —, è naturale che sia stato scritto in modo da facilitarne la lettura anche ai noncattolici. Il documento, infatti,

esponela dottrina nei seguenti termini: «In questo si è mostrato l’amore di Dio per noi, che l’unigenito Figlio di Dio è stato mandato dal Padre nel mondoaffinché, fatto uomo, con la redenzione rigenerasse il genere umano e lo radunasse in uno. E il Figlio, prima dioffrirsi vittima immacolata sull’altare della croce, pregò il Padre per i credenti, dicendo: “Perché tutti siano uno, come tu, 0 Padre, sei in me e io in te, anch’essi siano uno in noi, cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21), e istituì nella sua Chiesa il mirabile sacramento

dell’Eucaristia, dal quale l’unità della Chiesa è simboleggiata e prodotta. Diede ai suoi discepoli il nuovo comandamento del mutuo amore e promise lo Spirito paraclito, il quale restasse con loro per sempre, Signoree vivificatore» (UR 2/1).

Unostudio del testo, fatto da una prospettiva più sistematica, rileva cinque aspetti che conviene evidenziare. Da una parte, attraverso la citazione di Gv 17,21 si accenna al rapporto tra comunione trinitaria e comunione ecclesiale (1), di cui si riparlerà più estesamente alla

fine di questo numero. Più diretto è invece il riferimento al carattere comunionale della redenzione (2). Infatti, si presentano gli effetti della redenzione contemporaneamente come rigenerazione e come congregazione. Nella Chiesadi Cristo, l’essere cristiano (“rigenerato”) coincide con l’essere in comunione (“radunato”), perché la grazia che ci salva è la stessa grazia che ci congrega. Risulta perciò assai riduttiva quella lettura del Concilio Vaticano II, piuttosto frequente nel periodo immediatamente successivo al suo svolgimento, secondo la quale esso avrebbe abbandonato l’individualismo caratterizzante la vita cristiana di allora, per abbracciare indifferentemente un certo collettivismo salvifico. In realtà, superando un

bipolarismo assurdo, nel Concilio si è proprio intesoil cristiano nel suo senso forte, ovvero come persona in comunione. La componente pneumatologica (3), naturalmente, non poteva

essere assente da questo primo capoverso sugli elementi essenziali dell’unità ecclesiale. Lo Spirito Santo è, in definitiva, ciò che rende possibile la comunione. Se l’economiadell’intero progetto salvifico è l’amore, avente la sua radice nella communio divina, si deve dire cheil

principio che la esprimee la realizza è lo Spirito Santo. Come vinculum amoris intratrinitario, lo Spirito è anche vinculum amoris ecclesiale. Nei cuori degli uomini, ciò si traduce nella virtù della carità (4), o “comandamento nuovo”. Essa non è semplicemente unavirtù tra le 69

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altre; l’unità della Chiesa, che è comunione, è primariamente una communio amoris. La unitas

fidei è il suo presupposto, ma in prospettiva escatologica resterà soltanto la carità. L’Eucaristia (5), infine, è manifestazione e causa di unità. Esiste un collegamento, appena

insinuato nel decreto, fra l’Ecclesia de Trinitate e l'Eucaristia: in qualità di Chiesa pellegrinante, \' Ecclesia de Trinitate si realizza nell’Eucaristia. Come è stato opportunamente sintetizzato, «la convocatio, quindi, del Padre (“l’amore

di Dio per noi”), come progetto-dono all’uomodella communiointratrinitaria nella Pasqua del Figlio suo Gesù, genera unastoria di salvezza che ha il suo momentopiù alto nell’Eucaristia della Chiesa,il suo principio di continuità nello Spirito, la sua espressività nel comandodella carità»?0. Esistono, evidentemente, altri elementi di comunioneecclesiale (il primato romano,

il collegio episcopale,i tria vincula symbolicum, liturgicum, hierarchicum), e di essi si parlerà nei capoversi successivi. Ma qui si vogliono sottolineare quegli elementi corrispondenti alla Chiesa considerata come fructus salutis; cioè, non gli elementi al servizio della comunione,

mala comunionein se stessa. L’Eucaristia partecipa tuttavia alle due dimensioni: manifesta la comunioneed edifica la comunione. In questo numeroil decreto non sviluppa in modo ordinato e sistematico tutti i suddetti

elementi, ma semplicemente dedicail capoversosuccessivo allo Spirito Santo, per passare poi all’aspetto visibile dell’unità della Chiesa, e concludere riprendendo l’aspetto trinitario.

Puntando invecesulla sistematicità che queste pagine vorrebberoprivilegiare, noi studieremo prima l’aspetto trinitario, poi quello pneumatologico, per considerare in seguito l’aspetto visibile, integrato con alcuni punti del magistero postconciliare non direttamente presenti nell’Unitatis redintegratio.

4.2. Comunionetrinitaria e comunioneecclesiale Il concetto di comunione è «l’idea basilare e centrale dei documenti del Concilio»?05, Purtroppo esso è stato usato spesso in modo confusoo superficiale, con la conseguenzachela validità dell’ecclesiologia di comunione risulta molto vanificata quando si sbanda verso applicazioni indistinte e indifferenziate di questo concetto. Da non pochi è inteso in senso esclusivamente orizzontale, mentre l’aspetto fondamentale e più importante resta nell’ombra. Occorreperciò risalire all’originario significato neotestamentario, e da lì procedere alla sua applicazione in sede ecclesiologica.

204 G. PATTARO, Corso di teologiadell’ecumenismo, Queriniana, Brescia 1985, p. 152. 205 Cf. SINODO DEI VESCOVI, II Assemblea straordinaria (1985), Re/atiofinalis, Il, C, 1, in JI Regno-

Documenti 1 (1986), p. 24. 70

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Il termine comunione proviene dalla radice greca Koinon-, usato per esprimere i più diversi rapporti di comunanza, la comune partecipazione ad una cosa, le imprese comuni. Koinonia si utilizza specialmente per denotare una stretta comunanza di vita?Nel nuovo testamentoil termine ricorre 19 volte, di cui ben 14 in Paolo. Esso esprimeil legamedicarità fra le diverse comunità (2Cor 9,13) e l’unione di fede con il Figlio (1Cor 1,9), anche nella sofferenza (Fil 3,10). La nozione di comunione diventa particolarmente forte in relazione

all’Eucaristia (1Cor 10,16): si afferma,infatti, che la comunione nell’unico pane eucaristico è segno e sorgente della comunione nel corpo ecclesiale. La comunione ha un aspetto pneumatologico esplicitamente menzionato (2Cor 13,13), come termine dell’amore di Dio Padre. In At 2,42 compare in ambito esplicitamente ecclesiologico, come appartenenza dei fedeli a Cristo, per cui essi sono anche membra gli uni degli altri e possiedono tutto in comune. Negli scritti giovannei si collega la comunionetrinitaria con quella ecclesiologica: esplicitamente in 1Gv1,3 e, senza usare il termine, in Gv 17,21207, La stessarealtà trinitaria è

una communio personarum — l’autodonazionee l’autocomunicazione del Padre e del Figlio e di ambeduenello Spirito Santo208 —, ed è sorgenteoriginaria di ogni comunione. La Lettera Communionis Notio della Cong. per la Dottrina della Fede (28.5.92) fa sua la centralità del concetto di comunione e afferma che esso «sta nel cuore dell’autoconoscenza della Chiesa, in quanto mistero dell’unione personale di ogni uomoconla Trinità divina e con

gli altri uomini, iniziata dalla fede, ed orientata alla pienezza escatologica nella Chiesa celeste, per quanto già incoativamente unarealtà nella Chiesa sulla terra». Tuttavia, nontralascia di avvertire, subito dopo, che «affinché il concetto di comunione, che non è univoco, possa servire

come

chiave

interpretativa

dell’ecclesiologia,

dev’essere

inteso

all’interno

dell’insegnamento biblico e della tradizione patristica, nelle quali la comunione implica sempre una duplice dimensione: verticale (comunione con Dio) ed orizzontale (comunione tra

gli uomini)» (CN 3). La Chiesa, dunque, è comunioneperché partecipa alla comunione di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Questa è la dottrina sintetizzata in Gv 17,21 — una citazione classica in

teologia ecumenica —,la quale nonvaintesa in modosolo parenetico, maanzitutto teologico. Neldecreto Unitatis redintegratio incontriamo questa posizione di fondo laddove si coronano le affermazioni introduttive sull’unità della Chiesa dicendo: «Questo è il sacro mistero

dell’unità della Chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, mentre lo Spirito santo opera la varietà dei doni. Il supremo modelloe il principio di questo mistero è l’unità nella trinità delle

206 Cf. F. HAUCK,s.v. koinonds, in GLNT5, pp. 696-697. 207 Cf. P. MARTINELLI, s.v. comunione, in LDTE, p. 186.

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persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo» (UR 2/6). In questo modosi riprende, in modoriassuntivo, la dottrina della Cost. Lumen gentium (nn. 2-3-4) sull’origine trinitaria della Chiesa, e ci si rifà nuovamentealla dottrina di Cipriano secondo la quale «la Chiesa universale si presenta come “un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”»209, La Trinità non è, pertanto,

semplicemente un modello da

imitare.

L’Unitatis

redintegratio parla non solo di “modello”, ma anche di “principio”; la comunione ecclesiale nonsolo deve essere simile alla comunionetrinitaria, ma proviene dalla comunionetrinitaria,

è una sua partecipazione. In senso analogo,l’espressione Ecclesia de Trinitate — riassuntiva della frase ciprianea — non solo richiama una unità ecclesiale modellata secondo l’unità trinitaria, ma vuole sottolineare che la Chiesa è Chiesa di Dio perché hala sua origine in Lui: è Chiesa di Dio perché è da Dio?!°. Dall’insieme di queste considerazioni possiamo dire che la comunione trinitaria

si

presenta pure

come

traguardo di

quella ecclesiale:

è

contemporaneamente dono e compito. Fra la comunione ecclesiale e quella trinitaria

intercorre dunque un quadruplo rapporto di origine, modello, partecipazione e traguardo: 1) di origine, perché la Chiesa ha la sua genesi, come già detto, nel decreto di salvezza

di Dio Padre e nelle missioni del Figlio e dello Spirito Santo; la Chiesa, nei suoi aspetti essenziali, altro non è cheil dispiegamento nel tempo delle missionetrinitarie;

2) di modello, perché così come perciascuna delle Persone divine il suo essere persona coincide con il suo essere in comunione con le altre (la Persona divina è una “relazione sussistente”), in modo simile nella Chiesa,l’essere cristiano (“rigenerato”) coincide conil suo

essere in comunione (“radunato”). La stessa logica regge a livello collettivo; infatti, l’essere Chiesa particolare implica necessariamente l’essere in comunione con le altre Chiese particolari;

3) di partecipazione, secondo la prospettiva usata in Gv 17,21: «anch’essi siano uno în noi», ripreso anche in 1Gv 1,3 («perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra

comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo»). In un senso che non vuole essere figurativo, si può dire che la Chiesa è unadilatazione della comunionetrinitaria;

4)di traguardo, perché proprioin questosi distingueil cristianesimo dalle altre religioni monoteiste: nonci si trattiene sulla “soglia” del Dio Uno, ma si penetra nell’intimità della

208 Cf. W. KASPER,Le vie dell'unità, p. 81 209 CIPRIANO, De Orat. Dom. 23, in PL 4, 553, citato in LG4 in fine.

210 Nella buonalatinità la preposizione «de» aggiunge qualcosa in più che la sola provenienza, resa meglio con la semplice preposizione «a»; «de»puòindicare anche unarelazione o unaimitazione. Il «de unitate 72

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comunione del Dio Trino. Nell’eschaton, quando «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28), la

comunione ecclesiale diverrà partecipazione piena alla comunionetrinitaria, pur conservando semprela sua condizione creaturale.

4.3. LoSpirito Santo, principio dell’unità Riprendendoil filo di UR 2, nel secondo capoverso si individua la causa più profonda dell’unità ecclesiale, nello Spirito Santo proveniente dal mistero pasquale. Sulla scorta di

quanto appena detto sul rapporto comunionetrinitaria - comunioneecclesiale, ci si accorge facilmente che lo Spirito è vinculum communionis sia in senoalla Trinità, sia all’interno della Chiesa, anche se in modo diverso. Richiamandosi a testimonianze neotestamentarie di grande

calibro,il testo dice: «Innalzato sulla croce e glorificato, il Signore Gesù comunicò lo Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell’unità della fede, della speranza e della

carità il popolo della nuova alleanza, che è la Chiesa, come insegna l’apostolo: “Un solo corpo e un solo Spirito, come conla vostra vocazione siete stati chiamati a una sola speranza.

Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4, 4-5). Poiché “quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo... Tutti voi siete uno in Cristo Gesù”(Gal3, 27-

28)»(UR 2/2). Si tenga presente come l’unità della Chiesa poggi sull’unità del mistero pasquale,

all’interno del quale si colloca l’invio dello Spirito; quest’ottica non lascia spazio alcuno per unaipotetica bipolarità fra missione di Cristo e missionedello Spirito. L’unità ecclesiale resta, inoltre, configurata come una realtà teologico-dogmatica, alla quale dovrà poi seguire l’obbligo morale di conservarla, didilatarla e diristabilirla dove sia stata perduta . «Lo Spirito è il donodelcrocifisso glorificato ed eredità prima ed ultima della Pasquacelebrata, in Lui e con Lui, dal Padre a favore del mondo. Per questo la Chiesa, in Cristo e per lo Spirito, sarà sempre e solo una e unica. Per vocazione, quindi, di identità e non per decisione sociologica odetica»?!!. La Chiesa, in definitiva, è un solo corpo in Cristo perché è vivificata dall’unico

Spirito nell’unità della fede, della speranzae della carità. Da segnalarsi

è anche la prospettiva contemporaneamente pneumatologica ed

escatologica assunta dal decreto. L'unione ecclesiale riguarda il Cristo g/orioso, risorto; perciò la consumazione della Chiesa avverrà conla risurrezione dei corpi. La Chiesa, in realtà, guarda più in avanti che indietro. «(Chiesa) nello Spirito, di conseguenza, essa è radicata nel

Patris et Filii et Spiritu Sancti adunata» va quindi tradotto come «un popolounificato partire da e secondoil modellodell’unità...» 0 «partecipandoall’unità del Padre,delFiglio e dello Spirito Santo». 211 G. PATTARO,Corsoditeologia dell'ecumenismo, p. 152.

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movimentoche la fa essere da Cristo, da cui viene, e la apre al Cristo, che la chiamadal futuro

del suo giudizio»?!?, Nella seconda parte dello stesso capoversoil testo conciliare descrive più direttamente l’azione dello Spirito all’interno della Chiesa: «Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e tutta riempie e regge la Chiesa, produce quella meravigliosa comunione dei fedeli e tanto

intimamentetutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa. Egli opera la varietà delle grazie e dei servizi e arricchisce con vari doni la Chiesa di Gesù Cristo “organizzando i santi per compiere l’opera del servizio e per l’edificazione del corpo di Cristo” (Ef 4,12)»(UR 2/2). Il parallelismo con la Lumen gentium è più che evidente: «E perché ci rinnovassimo continuamente in lui (cf. Ef 4, 23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l’unità e il movimento, così che i santi padri

poterono paragonare la sua funzione con quella cheesercita il principio vitale, cioè l’anima nel corpo umano»(LG 7/6). Nel testo del decreto, tuttavia, si sottolinea meglio la componente della diversità, propria della comunione generata dallo Spirito: un aspetto, questo, di grande rilevanza ecumenica, perché esclude l’uniformità come condizione sine qua non. L’odierna

teologia ecumenica è perciò proclive a parlare della comunione, più che dell’unione, come traguardo del movimento ecumenico.

Tuttavia, quel che è più importante in questo capoverso è anche ciò che è più evidente, ovveroil fatto che la comunioneecclesiale è edificata dallo Spirito, “principio dell’unità della Chiesa

È cosìripresala dottrinadi S. Ireneo, secondola quale «dove è la Chiesa,là è anche

lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio là è la Chiesae tutta la sua grazia»?!3. L'aspetto pneumatologico, in definitiva, resta assolutamente prioritario nei confronti degli elementi istituzionali, i quali vannointesial servizio dell’effusione dello Spirito sul corpo ecclesiale. 4.4. Il ministero al servizio dell’unità Fedele alla sua intenzione di non restare sul generico, il decreto dedica il terzo capoverso all’elemento ministeriale, mentre in quello successivo affronterà il rapporto fra i tria munera dei ministri e i tria vincula della comunionedel popolo di Dio. Sono ancora molti i cristiani che danno credito a quella frase di Loisy, secondo cui «Cristo predicò il Regno, ma è venuta la Chiesa»?!4, come se l’elementoistituzionale fosse

212 /bidem, 153

213 Adversus haereses 3, 24, 1, in IRENEODI LIONE, Contro le eresie e glialtri scritti, a cura di E.

BELLINI,Jaca book, Milano 2003, p. 296. 214 L'Evangile et l’Église, Parigi 1902, p. 153 74

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stato assente dall’orizzonte intenzionale del Signore. Il Concilio non ha inconvenienti ad affermare coraggiosamenteil contrario: «Perstabilire dovunquefinoalla fine dei secoli questa sua Chiesa santa, Cristo affidò al collegio dei Dodici la funzione di insegnare, di reggere e di

santificare» (UR 2/3). Il testo sottolinea l’aspetto strumentale del ministero, mentre la Chiesa resta come l’elemento sostanziale al servizio del quale si svolge la funzione pastorale. Il ministero è menzionato nella sua fase originaria incarnata nei dodici apostoli, in collegamento diretto con un’azione dello stesso Cristo; la successione in questo ministero è comunque sottointesa, giacché il compito affidato riguarda la Chiesa «dovunquefinoalla fine dei secoli». Dei Dodici è affermatala loro collegialità, contemporaneamente alla loro strutturazione comecorpo e capo. Il primato petrino,infatti, occupa subito l’attenzione del testo conciliare: «Tradi loro scelse Pietro, sopra il quale, dopola sua confessionedi fede, decise di edificare la sua Chiesa; a lui promise le chiavi del regno dei cieli e, dopo la sua professione di amore, affidò tutte le sue pecore perché le confermassenella fede e le pascesse nella perfetta unità, restando lo stesso Cristo Gesù la sommapietra angolare e il pastore delle anime nostre in eterno» (UR 2/3). Anche se non compaionocitazioni bibliche, il riferimento aitesti classici di Mt 16,13-

19 e Gv21,15-19 palese.Sirisale alla dottrina della Lumen gentium, pur senza menzionarla esplicitamente. Infatti, affermando l’elezione di Pietro (e in lui, anche quella dei suoi

successori) inter eos (tra gli apostoli) - parallelo al «scelto di mezzo a loro» di LG 19 - il primato petrino (e poi romano) non è inteso come subordinazione ad un elemento esterno, ma come funzione apostolica; è quindi chiamato ad essere esercitato in comunioneconglialtri portatori del ministero apostolico. La funzione primaziale può essere svolta seorsum, non però separatim?!5, Dalla natura primariamente apostolica del primato petrino deriva il carattere prettamente episcopale della successione petrina, e quindi la sua strumentalità sacramentale. Sulla scorta di 1Pt5,4, il testo conciliare nontralascia di ribadire, infatti, che solo Cristo Gesù è «il pastore delle anime nostre in eterno».

4.5. La comunionenella fede, nel culto e nella carità

Il rapporto fra la funzione pastorale dei ministri e la comunione ecclesiale dei fedeli è descritto dal decreto con parole molto ben calibrate: «Gesù Cristo per mezzo della fedele predicazione del vangelo, dell’amministrazione dei sacramenti e del governo esercitato nell’amore daparte degli apostoli e dei loro successori, cioè i vescovicona capo il successore 215 Cf. G. PHILIPS, La Chiesae il suo mistero nel Concilio Vaticano II. Storia, testo e commentodella

Costituzione Lumen Gentium, Jaca Book, Milano 19894, p. 259.

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di Pietro, sotto l’azione dello Spirito Santo, vuole cheil suo popolo cresca e sia perfezionata la sua comunionenell’unità: nella confessione di unasola fede, nella comunecelebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio» (UR 2/4).

Occorre innanzitutto segnalare l’accento posto su nostro Signore come vero soggetto attivo: la predicazione,il culto e il governo sonoazioni di Cristo, mentre i ministri svolgono una funzione meramente strumentale rivolta alla comunità dei fedeli. Nel nostro testo le due triadi, relative rispettivamente al ministero e alla comunità, si trovano legate secondo un rapporto di mediume fructus: la prima triade è infatti introdotta dal testo conciliare con le parole «per mezzo di»; la seconda è introdotta da «vuole che». Si sottolinea, così, la priorità

della comunione dei fedeli nell’unità, ma al contempo si afferma la volontà di Cristo di giungerea tale unità attraverso i tria munera del ministero apostolico. Nell’agire dell’elemento ministeriale occorre inoltre segnalare la priorità data all’aspetto pneumatologico: i ministri si muovono «sotto l’azione dello Spirito Santo». Il ministero e lo Spirito non sonoinfatti due binari paralleli di santificazione, tanto che già dall’inizio, nella Pentecoste, li troviamo mirabilmente congiunti?!6. Proprio perché è lo Spirito a edificare l’unità della Chiesa attraverso la funzione ministeriale dei pastori, «la loro predicazione è tale e non solo gnosi, l’amministrazione dei sacramenti è dono di salvezza e non solo rito, il

governopastorale è diaconia di comunionee nonsolo potestas d’ordine socio-giuridicoy?!?. La comunionevisibile dei fedeli nella fede, nel culto e nella concordia è a sua volta manifestazione della comunioneinvisibile. L'unità tra l’aspetto visibile e l'aspetto invisibile della comunioneecclesiale, nel nostro testo solo insinuata, trova un’espressioneesplicita nella lettera Communionis notio: «La comunioneecclesiale è allo stesso tempoinvisibile e visibile.

Nella suarealtà invisibile, essa è comunione di ogni uomoconil Padre per Cristo nello Spirito Santo, e congli altri uomini compartecipi nella natura divina, nella passione di Cristo, nella stessa fede, nello stesso spirito. Nella Chiesa sulla terra, tra questa comunioneinvisibile e la comunionevisibile nella dottrina degli Apostoli, nei sacramenti e nell’ordine gerarchico, vi è un intimo rapporto. In questi divini doni, realtà ben visibili, Cristo in vario modoesercita

216 «Due sonogli elementi che Cristo ha promesso e hainviato, sebbene diversamente,per costituire la

sua opera, per l’estensione nel tempoe sulla terra del Regno da Lui fondato, e per fare dell’umanità redenta la sua Chiesa,il suo Corpo Mistico,la sua pienezza, in attesa del suoritorno ultimoe trionfale nella consumazione

dei secoli: l’apostolato e lo Spirito. L’apostolato agisce esternamente e oggettivamente: formail corpo, percosì dire, materiale della Chiesa, gli conferisce le sue strutture visibili e sociali; mentre lo Spirito Santo agisce internamente, dentro di ciascuna delle persone e anche sull’intera comunità, animando, vivificando, santificando.

Questi due agenti, l’apostolato, a cui succede la sacra gerarchia, e lo Spirito di Cristo, che fa di essa il suo ‘ordinario strumento nel ministero della parola e dei sacramenti, operano congiuntamente: la Pentecoste li vede

meravigliosamenteassociati all’inizio della grande opera di Cristo» (PAOLO VI, Discorso di apertura del III periodo del Concilio VaticanoII, 14.9.64, in ASS 56 [1964], p. 807. Nostra traduzione). 217 Cf. G. PATTARO, Corsoditeologia dell’ecumenismo, p. 163.

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nella storia la sua funzione profetica, sacerdotale e regale per la salvezza degli uomini. Questo rapporto tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come sacramentodi salvezza»(CN 4).

Conviene tuttavia tener presente che /’Unitatis redintegratio parla della «crescita e la perfezione della comunionenell’unità» in modotale da collegarle conl’aspetto istituzionale (predicazione, sacramenti, governo), ma non in senso meccanicista. Tra il momento misterico

e il momentoistituzionale non intercorre né una separazioneparallela, né un’automaticità, ma piuttosto una relazione dinamica. È opportuno riportare qui la distinzione operata in LG 14 sulla possibilità di stare nella Chiesa corpore, sed non corde; e la necessità assoluta di «avere lo Spirito di Cristo» per essere pienamente incorporati ad essa . L'economia dello Spirito, non lo si può dimenticare, è un’economia di dono, non didiritto. Può esistere dunque un certo divariotra la res e il signum, tra la communio e la communitas, poiché il mistero nonsilascia racchiuderenella sua istituzionalità rappresentativa. Anchequi si vede comeil decreto si collochi in continuità conla dottrina della Lumen gentium. Su quest’argomento, infatti, esiste nella costituzione un testo di grande portata

ecumenica, che conviene riportare per intero: «La società costituita di organi gerarchicie il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunitàspirituale, la Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due realtà, ma

formano una sola complessarealtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino. Per una non debole analogia, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, comela natura assunta è a servizio del Verbo divino come vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, în modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa è a servizio dello Spirito di Cristo che lo vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16)»(LG 8/1). Si noti comela successione dei tre binomi contempla, da angolature diverse,il rapporto fra l’umanoe il divino dell’unica realitas completa. In particolare, «l’assemblea visibile e la comunità spirituale» coincideranno pienamente soltanto nella consumazionefinale, ma già ora costituiscono una sola realtà. La loro analogia col Verbo Incarnato non è assoluta, ma «non

dissimile». Non si possono separare, ma neppure si conformano come un’unica identica realtà. Si affaccia nuovamentela distinzione tra la communitas e la communio, anchese i loro confini non sono paralleli: se così fosse, la distinzione diverrebbe separazione. Anche se possono presentare un eventuale divario, occorre non dimenticare che, nella rivelazione

neotestamentaria, la communio cum Deo e la communio cum pastoribus emergono entrambe reciprocamente legate: «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anchea voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio 77

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suo Gesù Cristo» (1Gv 1,3). La ricerca dell’unità visibile della Chiesa passa perciò sulla linea

di tangenzadi queste due estremizzazioni?!8, 4.6. L’Eucaristia, l’episcopatoe l’unità della Chiesa UR 2/1 menziona il sacramento dell’Eucaristia «dal quale l’unità della Chiesa è simboleggiata e prodotta», senza aggiungere ulteriori precisazioni. Il documento conciliare è fedele al suo carattere di esposizione sintetica, ma in questa sede dovremo sviluppare più estesamente tale importante argomento, attingendoadaltritesti. Il tema nonsi puòisolare da quello dell’episcopato, come vedremo subito. E neanche si può eludere la menzione della Chiesa intesa come communio Ecclesiarum, questione che verrà studiata in modo più particolareggiato nella sezione successiva. «La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude insintesi i/ nucleo del mistero della Chiesa» (EdeE 1). Essa

nonsolo la manifesta, ma «c’è un influsso causale dell'Eucaristia, alle origini stesse della Chiesa» (EdeE 21/2). In prospettiva più direttamente comunionale,

l’argomento fu

esplicitamente trattato_nella Lettera Communionis notio (n. 5): «La comunione ecclesiale,

nella quale ognuno viene inserito dalla fede e dal Battesimo, ha la sua radice ed il suo centro nella Santa Eucaristia. Infatti, il Battesimo è incorporazione in un corpo edificato e vivificato

dal Signore risorto mediante l’Eucaristia, in modo tale che questo corpo può essere chiamato veramente Corpo di Cristo. L’Eucaristia è fonte e forza creatrice di comunione tra i membri della Chiesa proprio perché unisce ciascuno diessi con lo stesso Cristo: “nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla

comunioneconluie tra di noi: ‘Perché c’è un solo pane,un solo corpo siamonoi, quantunque molti, noi che partecipiamo tutti ad un unico pane’ (1Cor 10, 17)” (LG 7/2). Perciò l’espressione paolina “la Chiesa è il Corpo di Cristo” significa che l'Eucaristia,

nella quale il Signore ci dona il suo Corpo e ci trasforma in un solo Corpo, è il luogo dove permanentemente la Chiesa si esprime nella sua formapiùessenziale: presente in ogni luogo e, tuttavia, soltanto una, così come unoè Cristo».

Da una parte, dunque, l’unità partecipata è quella del Corpus verum, uno ed unico in tutta la Chiesa, presente nella sua totalità in ogni sua realizzazione singolare: l’Eucaristia în Ecclesia è la stessa Eucaristia in Ecclesiis. Così, il mistero eucaristico diventa mistero

ecclesiale; l’integrazione nella comunità eucaristica, mediante la partecipazione al Corpus verum, è al contempo integrazione nella Chiesa universale; grazie alla comunione nell’unico

218 Cf.ibidem, p. 163. 78

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Corpo del Signore le diverse comunità cristiane sono in comunione l’una con l’altra. Il mistero eucaristico ci porta ad affermare una reciproca inclusione delle Chiese locali e della Chiesa universale. È questo l’orientamento della CN (n. 11/3): «L’unicità e indivisibilità del

Corpoeucaristico del Signore implica l’unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile. Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di

ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore ne consegue l’inserimento nel suo Corpo,unico ed indiviso». Tuttavia, se l’idea di comunione di Chiese particolari fosse pensata solo a partire dall’Eucaristia, essa risulterebbe facilmente presentata «in modo da indebolire, sul piano visibile ed istituzionale, la concezione dell’unità della Chiesa»: non perché l'Eucaristia non abbia in sé la forza di produrre da sola l’intera unità di comunione, ma a causa di una sua

considerazione isolata da un aspetto molto concreto della sua ministerialità sacramentale, quello che richiama la previa comunione gerarchica del ministero. La considerazione unilaterale dell'Eucaristia non è sufficiente: «L’unità o comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale, oltre che nella stessa fede e nel comune Battesimo, è radicata soprattutto nell’Eucaristia e nell'episcopato» (CN 11).

Quest'ultimo aspetto merita una più profonda spiegazione. Nel contesto eucaristicoecclesiologico delineato, il ministero episcopale — comeservizio al sacramentumunitatis nel

suo frutto di unitas communionis — è simultaneamente ministero dell’unità della propria comunità in se stessa e ministero dell’unità della comunità con la Chiesa universale. Ciò deriva dal fatto che il vescovo è, anche simultaneamente, capo della Chiesa particolare e membro del collegio episcopale: quando agisce comecapo della sua Chiesa, lo fa anche come membrodelcollegio. Il “mistero completo” dell’Eucaristia chiede al ministero episcopale che il singolare — ciascun vescovo — sia in comunione con l’universale — il collegio episcopale—. In altre parole, possiamo ben dire che la comprensione eucaristica del mistero

della Chiesa în fieri è inscindibilmente legata alla comprensione ecclesiologica del mistero dell’Eucaristia, anch’esso in fieri:

l'Eucaristia è mistero ecclesiale sia perché il suo frutto è

l’unitas et communio Ecclesiae, sia perché essa è celebrata all’interno dell’unitas et communio Ecclesiae. In questo secondo senso (Ecclesia facit Eucharistiam), il compito

episcopale è anchequello di significare l’unità e la comunionedella Chiesa celebrante. Non è ipotizzabile la permanenza del vescovo nell’unitas Ecclesiae senza che egli partecipi simultaneamente

all’unitas

episcopatus;

un

vescovo

svincolato

dai

suoi

fratelli

nell’episcopato non s’integrerebbe adeguatamente nel segno sacramentale dell’Eucaristia, perché nonsarebbe segnodi unità. 79

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Poiché l’unitas episcopatus ha il suo centro nel vescovo di Roma, ne consegue la necessità del vescovo celebrante di essere in comunionecol successore di Pietro. Giungiamo così finalmente a chiudereil cerchio fra l'Eucaristia, l’episcopato e l’unità ecclesiale; è questa la dottrina che, in modo sintetico, troviamo in CN 14: «Unità dell’Eucaristia ed unità dell’episcopato con Pietro e sotto Pietro non sonoradici indipendenti dell’unità della Chiesa,

perché Cristo haistituito l’Eucaristia e l’episcopato come realtà essenzialmente vincolate. L’episcopato è uno così comeunaè l’Eucaristia: l’unico Sacrificio dell’unico Cristo morto e risorto.(...) Ogni valida celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e conl’intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma». 4.7. La Chiesa communio Ecclesiarum Tale peculiare rapporto fra Eucaristia, episcopato e Chiesa fa sì che quest’ultima esista contemporaneamente come communio omniumfidelium («la Chiesa universale, vale a dire l’universale comunità dei discepoli del Signore»: CN 7) e come communio Ecclesiarum (0

corpus Ecclesiarum, secondo la dicitura di LG 23). Perciò «è possibile applicare in modo analogico il concetto di comunione ancheall’unione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale come una comunione di Chiese» (CN 8). Fra queste due dimensioni

(universale e particolare) intercorre un rapporto non paragonabile né a quello delle province rispetto allo stato (comedistretti amministrativi), né a quello di una confederazionedi nazioni indipendenti; fra le Chiese particolari, costituite «a immagine della Chiesa universale» (LG 23), e la Chiesa universale stessa esiste «un peculiare rapporto di “mutua interiorità”2!9, perché in ogni Chiesa particolare “è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica” (CD 11)» (CN 9). Certamente, il rapporto comunionale non esiste solo fra ciascuna Chiesa particolare e l’intera Chiesa universale, ma anche fra le diverse Chiese particolari. In quanto tale, esso aggiunge alla semplice nozione di unione le componentidella diversità e della dinamicità. Ciò vuoldire, in primo luogo, che l’unità non si configura come uniformità; anzi, la diversità (che

non significa divisione) è fonte di reciproco arricchimento all’interno della comunione. «L’universalità della Chiesa, da una parte, comporta la più solida unità e, dall’altra, una pluralità e una diversificazione, che non ostacolano l’unità, ma le conferiscono invece il

carattere di comunione» (CN 15). In secondo luogo, bisogna aggiungere che fra i diversi elementi (persone,istituzioni, ecc.) della comunione ecclesiale — in questo caso concreto, fra

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le Chiese particolari — intercorre un reciproco rapporto dinamico di comunicazione; nonsi tratta solo dell’unione statica di parti indipendenti, ma di un tutto vitalizzato dalla comunicazione fra tutti. In definitiva, gli elementi che compongonola Chiesa comunione, pur essendo diversi, non solo “convivono” pacificamente, ma si scambiano reciprocamente le proprie virtualità. Tutto ciò va però completato con la considerazione della priorità dell’unità rispetto all’universalità. Sembra infatti questo il modo più consono per impostare il discorso sul rapporto fra Chiesa universale e Chieseparticolari. Nel rapporto “pericoretico”’20 o di “mutua interiorità” fra queste due dimensioni, «l’unità della Chiesa ha la precedenza sulla diversità delle Chiese locali», come affermato da W. Kasper??!. In questo modosi lascia legittimo spazio per ammettere alcuni ambiti nei quali l’aspetto locale della Chiesa possa essere prioritario rispetto all’universale — come l’Eucaristia dal punto di vista celebrativo —, senza che venga meno la dottrina della Lett. Communionis notio, secondo la quale la Chiesa universale «è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa

particolare» (n. 9). Dato che in alcuni casiè prioritario l’aspetto locale e in altri l’universale, sarebbe corretto affermare una “priorità reciproca”; si tratterebbe però di una “reciprocità asimmetrica” a favore dell’aspetto universale, come emerge soprattutto dalla considerazione storica e teologica della successione apostolica??2. La rilevanza di questo discorso nel contesto delristabilimento dell’unità ecclesiale balza subito agli occhi???. Le diverse Chiese (e i loro raggruppamenti) si rapportano fra loro

all’interno di una legittima diversità. In questo contesto, la Cost. Lumen gentium parla positivamente delle «varie Chiese che, in vari luoghi fondate dagli apostoli e dai loro successori, durante i secoli si sono costituite in molti gruppi, organicamente uniti, i quali, salva restando l’unità della fede e l’unica divina costituzione della Chiesa universale, godono

di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale

219 GIOVANNIPAOLOII, Discorso alla Curia Romana, 20.12.90, n.9.

220 Espressione presa in prestito dalla teologia trinitaria, nella quale indica la reciproca presenza e compenetrazione delle Personedivine.

221 Lo stesso autore si è mostrato molto critico rispetto alla priorità della Chiesa universale,

particolarmente in polemica con l’allora Card. Ratzinger (sul dibattito, cf. K. MCDONNELL, «The Ratzinger/Kasper Debate: The Universal Church and Local Churches», in Theological Studies 63/2 [2002], pp. 227-250). Risulta perciò particolarmente interessante il fatto che la polarità universale - locale non verte indiscriminatamente sul binomio unità - diversità.

222 L'argomento esula ampiamente dallo spazio consentito in queste pagine. Perunariflessionesintetica

della questione, cf. P. GOYRET, «Ermeneutica conciliare ed ecclesiologia contemporanea», in Annales Theologici 23/2 (2009), pp. 405-440. Per unulteriore approfondimento, cf. P. GOYRET, Dalla Pasqua alla Parusia. La successioneapostolica nel «tempus Ecclesiae», Edusc, Roma 2007, pp. 301-374. 81

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proprio». Lungi dal costituire un pericolo per la comunione ecclesiale, «questa varietà di Chiese locali, fra loro concordi, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa» (LG 23).

4.8. L’indefettibilità della Chiesa: contenuto e conseguenze

Nel contesto di queste riflessioni sull’unità della Chiesa non può mancare la considerazione della sua indefettibilità, una caratteristica fermamente ribadita dall’ Unitatis redintegratio, come già anticipato.Il traguardo del movimento ecumenico,infatti, consiste nel raggiungere «quella unità dell’una e unica Chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamosussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica e

speriamochecrescerà ognigiorno dipiù finoalla fine dei secoli» (UR 3). Delcarattere dinamico di questa unità — contemporaneamentesussistente e in tensione verso la sua pienezza — si è già parlato. Occorre ora notare che l’affermazione dell’indefettibilità

dell’unità

è

una

conseguenza

necessaria

dell’affermazione

dell’indefettibilità della Chiesa in generale. Quest'ultima ha un solido fondamento cristologico in Mt 16,18 («le porte degli inferi non prevarranno contro di essa») e appartiene al patrimonio della fede. Nella tradizione teologica il concetto di indefettibilità si è sviluppato secondo un triplice significato: «1°) che la Chiesa non perirà mai; 2°) che non commetterà

degli errori(infallibilità); e 3°) che sussisterà fino alla fine così comeCristo l’ha voluta e l’ha fondata, senza subire cambiamenti sostanziali, che si assimilerebbero alla sua distruzione»?24.

Il terzo aspetto esclude che nessuno degli elementi essenziali della Chiesa possa venir meno. Tutto ciò, inoltre, riguarda la Chiesa sia nel suo aspetto di medium salutis che di fructus

salutis: «la Chiesa in generale, nella sua unitotalità, non può non essere santa, nel doppio senso di non potere non avere la presenza di Cristo in essa, che agisce attraverso i mezzi da Luistabiliti: il ministero apostolico, la predicazione della fede, i sacramenti della fede; e di (...) non potere nonavere unacerta efficacia di santità»??5. Portando l’argomento ancora più in profondità, l’indefettibilità dell’unità della Chiesa affonda le sue radici nella teologia dell’alleanza; in base ad essa «ormai per sempre nella storia, esisterà una comunità nel cui seno, in modooggettivo e indubbio, si offre a Dio 1’hesed

(l’amorefedele) dell’uomoin Cristo Gesù, che ci redime, e nella quale Dio offre agli uomini,

223 «I think I am able to say in conclusion that the deepening and the working towards a balanced

presentation ofan ecclesiology of comunionis a greatpossibility, perhaps the greatest possibilityfor tomorrow's ecumenism»: WILLEBRANDS, J., The Future of Ecumenism, in Onein Christ 11 (1975), p. 323 224 P. FAYNEL,L ‘Église,vol.Il, Paris 1970, p. 21. Nostra traduzione. 82

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sempre attraverso Cristo Gesù, l’%esed eterno di Dio (l’amore misericordioso). Ossia,

indefettibilità della Chiesa significa che, lungo il tempoe lo spazio,la struttura istituzionale e visibile della comunità cristiana, che rende possibile la rinnovazione incruenta delsacrificio di Cristo secondoil volere di Dio, resterà inalterata malgrado le minacce del nemico»?26. 4.9. I peccati contro la comunione In realtà, ogni peccato danneggia la comunione ecclesiale: oltre ad essere di offesa a Dio, esso ha sempre un effetto disgregante. Esistono tuttavia alcune azioni o posizioni che intaccano direttamentei vincoli visibili della comunioneecclesiale: esse possono provenire da persone singole o riguardare intere comunità. La teologia ecumenica è particolarmente interessata alla secondaprospettiva. Ladottrina circa le scissioni che feriscono l’unità del Corpo di Cristo verte abitualmente sull’eresia, sull’apostasia e sullo scisma???. A questi temi tradizionali occorre, tuttavia,

aggiungere la problematica delle sette e alcuni aspetti della nozione di scomunica, anche se quest’ultima non è propriamente l’azione di colui che si allontana della comunione, bensi lo

status ecclesiologico risultante e abitualmente accompagnato dalla relativa pena canonica. Da un punto di vista canonistico, l’eresia è definita come «l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere perfede divinae cattolica,

o il dubbio ostinato su di essa» (CIC 751). Da quest’angolatura, l’eresia si contrappone al dogma: ne è la negazione, e ne condivide anche il carattere verbale, oggettivato, come espressione pubblica, esterna, che non si risolve nella sola convinzione interiore?28. Si distingue dallo scisma peril suo riferimento diretto alla fede (assente, in linea teorica, nello scisma), e dall’apostasia, in quanto quest’ultima consiste nell’abbandonototale della Chiesa;

nell’eresia inveceil conflitto riguarda solo una parte delle verità di fede. In effetti, «la genesie lo sviluppo di unadottrina eretica sono quasi sempreda ricondurrealla scelta (hairesis) di una singola affermazione della rivelazione, la quale viene posta assolutamente e con ciò deformata»?. Conservano validità quasi universale alcune considerazioni di Pascal: «Avvienedi solito che, non potendo concepire il rapporto tra due verità opposte e credendo

225 L. BOUYER,L'Église de Dieu, Corps du Christ et Temple de l'Esprit, Paris 1970, p. 612. Nostra traduzione.

226 P. RODRIGUEZ,Iglesia yecumenismo, pp. 130-131. Nostra traduzione.

227 È anche la terminologia presente nel Catechismodella Chiesa Cattolica (CCC 817), nel CIC (ce. 751 e 1364) e nel CCEO(cc. 1436-1437). 228 Cf. G. BOF, s.v. Unità, in Teol, p. 1807.

229 G.B. SALA,s.v. Ortodossia, in NDT, p. 991. Questo tema stato studiato con molta profondità da

1.H. Newman, comeevidenziato in J. GUITTON, La philosophie de Newman: essaisurl’idée de développement, Bovinet C.ie, Paris pp. 1933,pp. 79-80.114-115.

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chela confessione di una comporti l’esclusionedell’altra, essi (gli eretici) si attaccanoall’una, escludono l’altra, e pensano che noi facciamo alcontrario(...). Il loro errore non è di seguire

unafalsità, ma di non seguire un’altra verità»?3°. Bisogna infine tener presente che l’eresia, oltre all’errore in materia di fede, include la pertinacitas, l’ostinazione o la contumacia: «non c’è peccato di eresia se non quando chi professa un errore in materia dottrinale rifiuta di

lasciarsi istruire e correggere dalla Chiesa, e si ostina a tenere contro essa la sua opinione personale»?3!, Se dall’eresia ci spostiamo allo scisma, occorre anzitutto richiamare il senso teologico più unitario che questi concetti avevano originariamente. Secondo Congar, «si è avuto dapprima e durante il primo millennio un concetto di eresia più ecclesiologico che propriamente dogmatico»?32, cosicché nonla si distingueva nettamente dallo scisma. L’unità della Chiesa era pensata soprattutto come unità nell’ordine della santità; lo scismatico «è un

uomo che, mancandoalla santità della comunione, pone la premessa per mancare alla purezza della fede; l’eretico non ha mancato nella dottrina se non perché ha mancato alla

comunione»?33. Fondamentalmente, la difficoltà di distinguere i diversi modi possibili di rompere l’unità era parallela al carattere più interdipendente dei diversi vincoli ecclesiali d’unità fra loro, cosa che rendeva incoerente la separazione fra il piano noetico e quello disciplinare. Come scriveva con grande acume Méhler, «per la Chiesa primitiva il principio

che genera la fede e il principio che crea la comunionetra i fedeli erano un’unica e identica realtà; perciò essa era convinta (...) che chi non ha il primo, non ha neppure il secondo, e viceversa»?34. Sarà solo con la tarda scolastica, e soprattutto nel periodo della controriforma,

chela fides quae creditur si organizzerà classificando le diverse specie di verità cattoliche, e definendo l’eresia per la sua opposizione alla fede definita?35. Qualcosa comunque di quell’aspetto più unitario (sia dei vincoli ecclesiali, sia dei peccati contro l’unità) è ancora percepibile, dal momento che, posta la definizione dogmatica del primato pontificio, in linea

di principio lo scisma implica sempreun’eresia. Sullo scisma (dal greco skhisma, separazione), inteso secondo l’accezione odierna del termine — ossia, come la rottura istituzionale del vincolo di comunione gerarchica —,

occorretenere presente la grande incidenza dei motivi extraecclesiali. Mentre l’eresia riguarda 230 B. PASCAL, Pensieri, Paoline, Cinisello Balsamo 1986*, nn. 862-863. 231 y. CONGAR, Proprietà essenziali della Chiesa, p. 523.

232 Ibidem, p. 518.

233 A. ACERBI, s.v. Ortoprassi, in NDT,pp. 1008-1009. 234 J.A. MOHLER,L'unità nella Chiesa. Il principio delcattolicesimonellospirito dei Padri della Chiesa

dei primitre secoli, Città nuova, Roma 1969, $ 27, p. 109. 235 Cf. A. ACERBI,Ortoprassi, in NDT, pp.1009. 84

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più direttamente la verità di fede, nello scisma il disaccordo alla base della rottura della

comunione ecclesiastica proviene spesso dall’ambito civile e più concretamente dai nazionalismi e dai regionalismi. La catholicitas rappresentata nel primato romano è considerata come un’invadenza nei confronti della particolarità e dell’autonomia non solo della Chiesa locale, ma anche di quella della comunità umananella sua dimensionepolitica e culturale236, Non pochevolte lo scisma ecclesiastico è conseguenza dello “scismapolitico”. La nozione di apostasia non dovrebbe essere qui tralasciata, in quanto costituisce il peccato “più ampio” contro la comunione;tuttavia, dal punto di vista della teologia ecumenica non suscita troppo interesse, giacché l’apostata è intenzionalmente e totalmente fuori della comunione ecclesiale. Dal punto di vista ontologico, resta ancora nella sua animail carattere indelebile del battesimo (ovvero, un legame “strutturale” di comunione), ma non esiste

neppure un germe di fede sul quale far leva perché egli possa essere ricondotto nella comunioneecclesiale. Di conseguenza, uno degli aspetti per cui l’apostata si differenzia dallo scomunicato è che quest’ultimo “non se ne va”, bensì “è sospinto fuori” dalla comunione ecclesiastica, anche se internamente può ancora professare l’intera verità della fede o gran parte di essa. Lo scomunicato, cioè, non cerca la scomunica (almenoin linea teorica), ma la

subisce. Inoltre, anche se entrambi conservano nelle loro animeil carattere battesimale, tanto l’apostata quanto lo scomunicato si trovano in una situazione soggettiva tale da rendere

inoperanti i mezzi di salvezza. Riguardo alla scomunica conviene non dimenticareil suo significato originario, quello evidenziato anche etimologicamente: era scomunicato colui che era escluso dalla comunione eucaristica. Ciò corrispondeva alla conseguenza naturale di una lesione o rottura della comunioneecclesiale, sia sul piano morale che su quello dottrinale. Le nozioni di scisma e di scomunica coincidevano in quanto la prima era pensata come un “levare altare contro altare”: in questo senso Agostino diceva dei seguaci di Parminiano che «altare sui schismatis erexerunty?37,

Oltre che a livello individuale, la scomunica si poteva dichiarare fra le Chiese fra i loro vescovi, e ciò escludeva ognitipo d’intercomunioneeucaristica sia fra i fedeli che fra i pastori. Solo in un secondo tempo,conlo sviluppodella canonistica nel secondo millennio, la scomunica è stata sempre più intesa come pena giuridica imposta dall’autorità ecclesiastica, comportante l’esclusione da determinatidiritti o attività della Chiesa, spesso con effetti anche

515.

236 Su queso tema,cf. i diversi esempistoricicitati in Y. CONGAR, Proprietà essenziali della Chiesa, p.

237 C£.ibidem, pp. 505-506. 85

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civili238, Occorre tener presente che la scomunica canonica non coincide necessariamente con una mancanza parziale o totale di comunione teologica ed ecclesiale. In primo luogo, conviene qui ricordare quanto detto in precedenza sul carattere “non meccanicista” del rapporto fra gli elementi visibili ed invisibili nella Chiesa. In secondo luogo, come verrà sottolineato nel capitolo successivo, la comunione ecclesiale è una realtà che ammette

gradualità, cosa invece impossibile nell’ambito della scomunica canonica. La comunione ecclesiale, infine, può anche essere danneggiata dalle sette e dalla mentalità settaria. Su questo argomento la terminologia ha subito un notevole cambiamento. Negliscritti ecclesiastici si parlava talvolta di “setta” in riferimento a una comunità cristiana noncattolica (oltre alle sette non cristiane). Erano dunque annoveratefra le sette i luterani, i riformati, ecc.; spesso l’argomentazione si muoveva contrapponendol’universalità della verità cattolica alla “settorialità” della verità da loro professata. Pur essendo vero che etimologicamenteil termine evocal’idea di secessione (da secare: tagliare)?39, è palese cheil suo significato odierno non può più essere applicato alle Chiese e alle comunità ecclesiali “storiche”, e neppure a quelle di origine più recente, ma che si richiamano ad una certa cattolicità (ritenuta o almeno desiderata). Per evitare questa confusione, fino agli anni ‘70 dello scorso secolo si usò molto la distinzione coniata da E. Troeltsch fra “Chiesa “ e “setta”: entrambe erano considerate “gruppireligiosi”, ma mentre i primi si muovono in armonia con la società circostante, gli altri la rifiutano o addirittura la osteggiano?#9. Lostile di vita delle sette cristiane però evolve, e oggi la stragrande maggioranzadi esse non si mette né a margine né in opposizionealla società civile. Perciò, dagli anni ‘80 - ‘90 la terminologia ha subìto un ulteriore cambiamento:si parla ora di “nuovereligioni” e “nuovi movimentireligiosi”, visto il carattere alquanto dispregiativo del termine “setta”’?4!, La differenza fra questi due concetti sarebbe solo una questione di consolidamento e di quantità di membri. In ambito anglosassone si parla anche dei cults, da alcuni intesi come «gruppi religiosi devianti all’interno di una tradizione deviante»?42, sebbene sia molto discussala loro distinzione rispetto alle sette.

AI di là della questione terminologica, non è facile circoscrivere con precisione il 238 Cf. G. CERETI, s.v. Comunione, in Teol, p. 265.

1136.

239 Risale ancheall’idea di sequela (da segui: seguire): cf. R. BERGERON,s.v.

Sette cristiane, in DTF, p.

240 Cf. M. INTROVIGNE, Le“nuovereligiosità” e la religione, in G. TANZELLA-NITTI - G. MASPERO

(edd.), La verità della religione, Cantagalli, Roma 2007, pp. 139-140. 24! F. ARINZE, Lasfida delle sette o nuovi movimenti religiosi: un approccio pastorale. Relazione generale al Concistoro Straordinario del 1991, in M. INTROVIGNE (ed.), La questionedella nuovareligiosità, Piacenza 1993, pp.59-93. 242 Cf. M. INTROVIGNE, Le “nuovereligiosità” e la religione, pp. 140-141.

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contenuto teologico della nozione di setta?4. La sua specificità non va cercata nella sua dinamica di dissidenza, né nel suo atteggiamento contestatario nei confronti della Chiesa “costituita”. Secondo Schònborn,nella teologia cattolica odierna «unasetta è caratterizzata soprattutto mediante l’abbandono della comune verità biblico-apostolica e dei contenuti centrali della nostra fede»?44. Peraltri, il propriumdella setta risulterebbe dalla congiunzione fra un radicalismo escatologico e un esasperato illuminismo, la quale produrrebbe un precipitato di dualismo, di fideismo e di radicalismo etico?45. Per gli studiosi di ecclesiologia, il concetto odierno di setta cristiana comporta un rifiuto del carattere propriamente “ecclesiale” della comunitàcristiana: si accetta il Vangelo, ma non la Chiesa, che non sarebbe

stata né fondata né voluta da Gesù. Esistono inoltre alcuni segni frequentemente legati ad una mentalità settaria, come per esempio quando «alcuniarticoli tradizionali della fede vengono sottolineati in modo eccessivo, al punto di privare il Cristo e il Vangelo di quel posto centrale che devonoavere nella fede cristiana; nuove dottrine e forme di credenza, che sono estranee

alla bibbia e alla tradizione della Chiesa, acquistano una importanza centrale e diventano elementi per distinguere i membri del gruppodatuttiglialtri cristiani(...). I seguaci delle sette sono distaccati dal mondo ed esclusivisti; la loro identificazione con il gruppo rende praticamente impossibile la comunione con la Chiesa e determina spesso formedi isolamento sociale»?46, Solitamente, la setta circoscrive la possibilità di raggiungere la salvezza a un numero determinato di persone, appartenenti al rispettivo gruppo: perciò le sette sonoil contrario delle grandi Chiese, delle Chiese popolari. Tutto ciò compone un quadro che esclude le sette dalle realtà coinvolte nel movimento ecumenico.

243 Occorre tener presente che esistono anchecriteri sociologici e giuridici per definire il concetto di

setta. Suquesto, e per una panoramica più complessiva del tema,cf. E. FIZZOTTI- S. TAPIA,s.v. Sette e nuovi movimenti religiosi, in DE, pp. 1321-1329. 244 €. SCHONBORN, «Ci sonosette nella Chiesa?», in Religioni eSette nel mondo3/1 (1997), p. 204. 245 Cf. R. BERGERON, Settecristiane, in DTF, p. 1135 246 H.D. REIMER,s.v Sette, in DME,p. 990.

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CAPITOLO V PRINCIPI CATTOLICI DELL’ECUMENISMO

Nelcapitolo III si sono offerte le coordinate che definiscono l’ecumenismo come tema specifico, distinguendolo da altre attività o realtà, e situandolo nel contesto della missione

della Chiesa. Nel capitolo successivo abbiamo studiato la dottrina cattolica sulla comunione ecclesiale, soffermandoci sulle ferite inferte all’unità. Dobbiamo ora affrontare il pensiero cattolico sul ristabilimentodell’unità, cioè sull’ecumenismoin senso vero e proprio?47. Naturalmente, in queste pagine si offre una considerazione cattolica dell’ecumenismo, che non coincide del tutto con la concezione che di esso hanno le altre Chiese, risultando,

talvolta, anche molto distante. Questa considerazione non deve però farci dimenticare che l’ecumenismo cometale — ovvero, quale movimentosuscitato dallo Spirito Santo — è uno solo e il medesimoin tutti i casi. Lo Spirito che “soffiò” in ambienti protestanti e anglicani agli inizi del XX secolo accendendoinessi il desiderio dell’unità, è lo stesso Spirito che “soffiò” più tardi nella Chiesa cattolica spingendola ad integrarsi nel movimento ecumenico. Questo è

il motivo percui il titolo del capitolo I del decreto Unitatis redintegratio, durante la sua stesura in sede conciliare, fu modificato da «Principi dell’ecumenismocattolico»al definitivo «Principicattolici dell’ecumenismo»?#8. Dopo uno sguardosintetico alla situazione nel periodo preconciliare, studieremo in un primo momento i principi teologici dell’ecumenismo in se stessi; poi li considereremo nell’ambito delle varie situazioni di relazione con l’una Ecclesia, per mettere così a fuoco la strada verso il ristabilimento della piena comunione; infine, passeremo in rassegna alcune

proposte di “modelli di unità”, valutandole alla luce della dottrina sull’unità ecclesiale sviluppatasi a partire dal Concilio VaticanoII.

247 Comebibliografia generale su questocapitolo, cf. B. MONDIN,L’ecumenismo nella Chiesa Cattolica

prima, durante e dopo il concilio, Herder, Roma 1966; G. PATTARO, Corso diteologia dell’ecumenismo,

Queriniana, Brescia 1985; P. RODRIGUEZ,Iglesia y ecumenismo, Rialp, Madrid 1979; L. SARTORI, Teologia ecumenica, Libreria Gregoriana Editrice, Padova 1987; J.M.R. TILLARD, Chiesa di Chiese. L'ecclesiologia di comunione, Queriniana, Brescia 1989; J. VERCRUYSSE, Introduzione alla teologia ecumenica, PIEMME, Casale Monferrato 1992; J.R. VILLAR, Eclesiologia y ecumenismo. Comuniòn, Iglesia local, Pedro, EUNSA, Pamplona1999. 248 Cf. Relatio super Schema emendatum Decreti de Oecumenismo, Tipografia Vaticana, 1964, p. 6. 88

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5.1. Dall’extra Ecclesiamnulla salus alla questione de membris Nell’ecclesiologia più diffusa nel periodo anteriore al Concilio VaticanoII, risalente alla controriforma e profondamente permeata dall’aspetto societario, non si riusciva ancora a trovare una strada adeguata per incanalare la modalità specifica del movimento ecumenico. Percapire la problematicità di quel vicolo cieco occorre ripercorrere, seppursinteticamente,il lungo iter che collega l’assioma di origine patristica extra Ecclesiam nulla salus?9 alla trattazione più moderna della questione de membris Ecclesiae. Le prime formulazioniesplicite dell’assioma patristico appaiono quasi simultaneamente in Oriente con Origene, e in Occidente con Cipriano. Nelle sue omelie su Giosuè, Origene,in

polemica con gli ebrei, commenta l’episodio di Raab, la donna che nasconde gli esploratori inviati a Gerico, ottenendo in cambio la salvezza per sé e pertutti coloro che si sarebbero rifugiati nella sua casa (segnalata da una fune scarlatta), durante l’assalto alla città (Gs 2 e 6).

In questo contesto, egli afferma: «Nessunoperciòsiilluda, nessuno ingannisestesso:fuoridi questa casa, cioè fuori della Chiesa nessuno si salva»?50. Per afferrare correttamente il suo pensiero, conviene non perder di vista che «Origene collega profondamente in prospettiva tipologica le gesta di Giosué congli eventi salvifici compiuti dal Cristo, nei quali si radica la funzione mediatrice della Chiesa una ed unica in ordine al conseguimento della salvezza»?5!.

Daparte sua, Cipriano, sullo sfondo dell’unicità della Chiesa contro ogni forma di scisma che sbiadisca l’esclusività della mediazione salvifica della Chiesa, avverte che fuori di essa nonsi può avere la vita, poiché la casa di Dio è una sola e nemini salus esse nisi in Ecclesia possit?52. Altrove aggiunge, con riferimento alla vita intraecclesiale253, che agli eretici il battesimo e il martirio non serve alla salvezza, quia salus extra Ecclesiam non est?54. Sant'Agostino, sulla scia di san Cipriano, ma con una maggior apertura, polemizza con i donatisti, dei quali dice che possono avere i sacramenti, il vangelo, la fede nella Trinità, ma

nonla salvezza, perché salus extra Ecclesiam non est255, Coloro che peccano controlo Spirito e restano fuori dell’unità della Chiesa fino alla fine della loro vita non possono salvarsi,

249 Per una trattazione più approfondita,

cf. Y. CONGAR, «Hors de l’Église, pas de salut», in

Catholicisme, Vol. 5, col. 948-956, B. SESBOUÈ, “Hors de l'Église, pas de salut”. Histoire d'une formule et problèmes d’interprétation, Desclée de Brouwer, Paris 2004; G. CANOBBIO, Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e sensodi uncontroversoprincipioteologico, Queriniana, Brescia 2009. 0 Omelie su Giosuè 3,5, in PG 12, 841. 251 S. MAZZOLINI, «Extra Ecclesiam nulla salus. Prospettiva patristica», Annales Theologici 25 (2011),

pp. 322-323.

252 Epistula 4,4, in CCSL ITI/B, p. 24. 253 Cf. S. MAZZOLINI, Extra lesiam nulla salus, p. 324. 254 Epistula 73,21, in PL 3, 1169A.

255 De baptismo,4,17,24.

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perché lo Spirito Santo non vivifica nessuno fuori del Corpo di Cristo?50. Tuttavia, per il vescovo d’Ippona ci sono battezzati della Carholica che in realtà non sono nell’arca della

salvezza, perché stanno nella Chiesa corpore sed non corde; e ci sono battezzati fuori della Chiesa che stanno realmentenell’arca, corde sed non corpore?S?, Doposant’Agostino il vincolo fra salvezza e Chiesa s’irrigidisce più ancora e prende una piega sempre più esclusivista. Negli statuta Ecclesiae antiqua (anno 475 circa) il principio «fuori della Chiesa cattolica nessuno è salvato», enunciato in termini assoluti, è incluso

nell’esame

della

dottrina

di

coloro

che

sono

promossi

all’episcopato?58.

Quest’assolutizzazione si radicalizza presso san Fulgenzio di Ruspe, quandoscrive a Pietro, un pellegrino in partenza verso Gerusalemme e desideroso d’essere illuminato con la vera fede, dicendogli: «Tieni con assoluta certezza e non dubitare mai che non solotutti i pagani, maanche tutti i giudei, gli eretici e gli scismatici, che concludonola vita presente al di fuori della Chiesa, andranno nel fuoco eterno, preparato peril diavolo e i suoi angeli»?59, In termini somiglianti, troviamo questa radicale negazionenelle posteriori confessioni di fede: in quella prescritta da Innocenzo III ai valdesi?99, in quella del Concilio Lateranense IV?6! e nella Bolla Unam Sanctam di Bonifacio VII? Stando alla formulazionedeitesti, questo esclusivismo

progressivo arriva al suo culmine con la Bolla Cantate Domino del Concilio di Firenze (a. 1442), sull’unione con i copti e gli etiopi, che riprende l’espressione di san Fulgenzio,

conferendole forza magisteriale: «La Chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che “nessunodi quelli che sono fuori della Chiesacattolica, non solo i pagani, ma anchei giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andrannonel fuoco eterno, preparato peril diavolo e per i suoi angeli”, se prima della morte non sarannostati ad essa riuniti»?93, Prese alla lettera, si comprende facilmente come queste espressioni siano state rimproverate alla Chiesa a causa della loro durezza. Tuttavia, come ben evidenziato da G. Philips, «nonsi può, se si vuol essere obiettivi, perdere di vista la fonte del testo (un’omelia

[sic] di S. Fulgenzio) e la problematica generale dell’epoca. Si prosegua la lettura e ci si renderà conto che il decreto si rivolge solo a uomini consapevoli di strappare la tunica

256 Cf. Epistula 185,49-50. 257 Cf. Debaptismo 7,5,28. 258 DS 325.

259 Defide ad Petrum 81,37, in CSEL 91/A,757.

260 Lettera Eius exemplo, 18.12.1208, in DS 792. 261 Cf. DS 802 262 Cf. DS 870. 263 DS 1351. 90

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inconsutile rifiutando di restare nell’unica Chiesa cattolica»?6*. Altri autori aggiungono diverse sfumature nei confronti del Concilio di Firenze; per A. Antén,occorre tener presente la convinzione allora prevalente dell’ormai compiuta diffusione del Vangelo su tutta la terra, che renderebbe inescusabile la non adesione ad esso?65; per G. Canobbio,il decreto avrebbe (polemicamente) di mira soprattutto i vescovi ancora presenti a Basilea e leali all’antipapa Felice V266; per J. Ratzinger, infine, nel decreto fiorentino si teorizza in modo oggettivo un assioma rivolto inizialmente a scismatici ed eretici dei primi secoli e, più in particolare, a coloro che cercavano di modificare la Chiesa agendo all’interno di essa. Ossia, ciò che

originariamente era un’avvertenza pareneticarivolta ai cristiani, diventa a Firenze — invista di consolidare un quadro dottrinale antiscismatico — una formula teorica valida pertutti?97, Ciò che nonsi può ignorare, in vista di una corretta interpretazione del testo, è l’atipicità di quell’assise: un vero concilio di unioneal quale preseroparte padri grecie latini insieme?08, Con la scoperta dell'America nel 1492 e con i viaggi marittimi verso i continenti americano ed asiatico, il contesto culturale in cui si muovevala riflessione teologica mutò,

poiché cisi accorse dell’esistenza di grandi schiere di uomini mai evangelizzati. San Roberto Bellarmino affronta esplicitamente l’argomento e ammette la possibilità di un votum Ecclesiae inteso come appartenenza all’anima, ma non al corpo della Chiesa?99, in modo simile a come gli scolastici usavanola distinzione in re 0 în voto a proposito della ricezione

delbattesimo?70. Di fatto, lo stesso magistero ha denunciato più di una volta come erronea la lettura rigorista dell’extra Ecclesiam nulla salus. Alessandro VIII condanna la dottrina giansenista cherifiuta la diffusione della grazia di Cristo fuori dei confinivisibili della Chiesa??!. Pio IX assumeil concetto di ignoranza invincibile, finora patrimonio dei moralisti, per applicarlo alla nostra tematica: «Coloro i quali ignorano invincibilmentela nostra santissima religione e che osservando diligentemente la legge naturale e i suoi precetti, scolpiti da Dio nel cuoreditutti, e disposti a obbedire a Dio, conducono una vita onestae retta, possono con l’aiuto della luce e

264 G. PHILIPS, La Chiesa il suo misteronel Concilio VaticanoII, p. 174. 265 EImisterio de la Iglesia, Vol. I, BAC, Madrid 1986, p. 339.

266 G. CANOBBIO, «Extra Ecclesiam nulla salus. Interpretazioni e prospettive», Annales Theologici 25

(2011), pp. 296-297. Con le precedenti bolle Laetenzur coeli e Exultate Deo dell'anno 1439 si era ormai raggiunta l’unionecon gli ortodossi, seppureffimera,e congli armeni. 267 J. Ratzinger, // nuovo popolodi Dio, Queriniana, Brescia 1992, p. 372. 268 Cf. M. DE SALIS, «Extra Ecclesiam nulla salus. Prospettiva conciliare», Annales Theologici 25

(2011), p. 354. 269 Cf. De controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereti Generalis, Liber 3, De Ecclesia militante, caput II, apud J. Giuliano, Neapoli 1857, p. 75.

Seconda Controversia

270 Cf. G. CANOBBIO, s.v. Necessità, in DE 948.

271 Cf. Decretodel S.Uffizio del 7.12.1690,n. 5, in DS 2305. 91

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grazia divina conseguire la vita eterna, giacché Dio, il quale perfettamente vede, scruta e conosce le menti, gli animi, i pensieri e il comportamentoditutti, non soffre per sua somma bontà e clemenza che sia punito con gli eterni supplizi chi non è reo di colpa volontaria»?7?, Pur trattandosi di un notevole passo avanti, ancora nulla si dice del legame di queste persone con la Chiesa. Nell’Enc. Mystici Corporis (1943), Pio XII annovera fra i membri reapse della Chiesa quelli che hanno ricevuto il battesimo e conservano i vincoli della fede e della comunione?73;

ma contemporaneamente si rivolge a coloro che non sono stati illuminati con la verità del Vangelo o che, per scissione dalla fede o dall’unità, si sono separati dalla Chiesa cattolica, e

prega affinché «facciano di tutto per sottrarsi al loro stato in cui non possono sentirsi sicuri dalla propria salvezza; perché sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito (inscio quodamdesiderio ac voto) siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di tanti doni ed aiuti celesti come è solo possibile trovare nella Chiesa cattolica»?74. Infine, nella Lettera del Santo Uffizio all’ Arcivescovo di Boston (1949) contro il rigorismo del P.

Leonard Feeney, la dottrina del votum si sviluppa chiarendo che «non è necessario che sia sempre esplicito, come accade per i catecumeni; ma dove l’uomo soffre d’ignoranza invincibile, Dio accetta pure un voto implicito»?75. Dauna parte, sembra ben azzeccato dire che «intorno alla metà del XX secolo vengono

distinti

due

temi,

considerati

fino

ad

allora

strettamente

collegati:

la

questione

dell’appartenenza alla Chiesa (...), e la trattazione dell’assioma qui preso in esame(...). L’extra Ecclesiam, infatti, diventa progressivamente un principio più oggettivo che personale: nonindica tanto chi si salva, quanto il modo in cui giungono alla salvezza coloro che si salvano»? Dall’altra parte, però, l’insieme del patrimonio dottrinale accumulato, pur con i diversi chiarimenti, presentava ancora molti aspetti problematici. La considerazione dei cattolici come gli unici membri reapse della Chiesa lasciava in sordina la natura ecclesiale della situazione deicristiani noncattolici. Si sarebbe così accettata una pericolosa spaccatura tra l’essere cristiano e l’essere ecclesiale.

Inoltre, la distinzione reapse-voto implica

un’equiparazione teologicatra gli infedelie i cristiani noncattolici, rispetto alla loro relazione conla Chiesa. Infine, la possibilità di salvezza attraverso il votum si muove esclusivamente

all’interno della soggettività dei singoli, lasciandonell’ombral’esistenza di mezzi oggettivi ed

272 Ene. Quantoconficiamur moerore, 10.8.1863, in DS 2866. 273 Cf. DS 3802.

274 DS 3821

275 Cf. DS 3870.

276 M. DE SALIS, «Extra Ecclesiamnullasalus. Prospettiva conciliare», p. 359.

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ecclesiali di grazia e di salvezza pressoi cristiani noncattolici. Si tratta di questioni rischiose e delicate che non potevano essere accantonate,se si voleva essere fedeli alla verità totale. In quest'ottica va compreso lo sviluppo dottrinale operato dal Concilio Vaticano II: sebbene

attuato in continuità con la dottrina tradizionale, esso si configura come una vera evoluzione?7?, 5.2. La gradualità della comunione ecclesiale Possiamo ora affrontare appieno il primo dei principi che scaturiscono dalla dottrina conciliare; già sviluppato all’interno del capitolo precedente, non resta ora che presentarlo nella sua formalità specificamente ecumenica. Esso consiste nel fatto di concepire la comunione ecclesiale come una realtà graduale, sulla base di un’impostazione che deriva, necessariamente, dal modo in cui la stessa nozione di comunione è pensata, ovvero come

partecipazione alla comunione trinitaria. Ciò significa che si può essere più o meno in comunione con la Chiesa, sia dal punto di vista del singolo, sia strutturalmente come comunità.

è espresso da Unitatis redintegratio (n. 3) quando afferma che «quelli infatti

che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica». Come si è detto durante i lavori conciliari, la communio inter christifideles perfecta vel minus perfecta esse potest??8. La comunione, quindi, varia gradualmente dalla non-esistenza fino alla sua piena realizzazione. La possibilità di una comunione strutturale imperfetta è dovuta al fatto che i tria vincula dell’unità visibile (symbolicum, liturgicum, hierarchicum) possonoesistere, sebbene in modo anomalo, separatamente l’uno dall’altro; e ciascuno di essi può addirittura esistere in modo

incompleto. Si giunge così alla nozione di comunione(incorporazione) piena (perfetta) o non piena (imperfetta). Tale “flessibilità” è percettibile in un’ecclesiologia di comunione, mentre è più difficile da concepire considerando la Chiesa secondo le immagini di Corpo Mistico di Cristo e di societas perfecta, le quali ammettono unicamente l’alternativa membro/nonmembro. 5.3. La relazione Chiesa di Cristo-Chiesa cattolica Dal punto di vista dogmatico, l’affermazione della Lumen gentiumsul subsistit in, che ci accingiamo ora a studiare, è la cerniera sulla quale poggia l’intero impianto ecumenico

277 Cf. P. RODRIGUEZ,Ig/esia y ecumenismo,pp. 141-154. 278 AS III/VII, p.25.

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della dottrina conciliare??9: possiamo dunque parlare di esso come di un altro dei principi dell’ecumenismo(il secondo). La Chiesa di Cristo e la Chiesacattolica si relazionano in modo tale che la prima, «in questo mondo costituita e organizzata come una società, sussiste (subsistit) nella Chiesa cattolica governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione

con lui, ancorché al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica» (LG 8/2). Per capire la portata di questa ormai celebre espressione?8, occorre risalire, almeno sinteticamente, alla sua genesi in sede conciliare.

Nella prima bozza della Cost. Lumen gentium, il testo parallelo (allora il n. 7) riprendeva la dottrina della Enc. Mystici Corporis di Pio XII sull’identità fra la Chiesa cattolica e il Corpo mistico, citandola esplicitamente in nota in calce?8!. Secondo questa prima bozza, sola iure

Catholica Romana nuncupatur Ecclesia28. Nella

seconda

bozza

comparivano gli e/ementa plura sanctificationis che possono trovarsi fuori dell’organismo visibile della Chiesa cattolica, conservandoil rapporto d’identità con l’espressione haecigitur Ecclesia (Christi) est Ecclesia catholica?83. Nella terza bozza si approdava all’espressione definitiva haec Ecclesia (...) subsistit in Ecclesia catholica, e la commissione dottrinale del

Concilio spiegava che /oco “est” dicitur “subsistit in”, ut expressio melius concordet cum affirmatione de elementis ecclesialibus quae alibi adsunt?84. Ladottrina cattolica sulla peculiare relazione Chiesa di Cristo - Chiesa cattolica muove da alcuni presupposti, e si allarga con diverse implicazioni, che non si possono tralasciare.

279 Conparole dell'allora Card. J. Ratzinger, «nella differenza fra “subsistit” e “est” troviamol’intera problematica ecumenica»(L'Osservatore Romano, 4 marzo 2000,p. 7). 280 Giànegli anni immediatamente posteriorialla promulgazionedella Lumen gentiumG. Philips predisse concertezza che questa espressione avrebbefatto «scorrere fiumi d'inchiostro» (La Chiesae il suo mistero nel Concilio Vaticano II, p. 111). Per una panoramica delle pubblicazioni sull'argomento, cf. P. MOLAC, «La réception du “subsistit in”: une premièrè étape. Du concile Vatican II à l’encyclique Ut unum sint», Bulletinde Literature Ecclesiastique 107/1 (2006), p. 23-50: fra la letteratura ancora abbondante dopo la UUS, cf. R. KNITTEL, «Il “Subsistit in” di Lumen Gentium 8 e la permanenzaindeffetibile della Chiesa pellegrinante», Divinitas 44/3 (2001), pp. 253-271, P. RODRIGUEZ - J.R. VILLAR,«Las Iglesias y comunidadescclesiales separadas de la Sede Apostélica Romana», Didlogo Ecuménico 39 (2004), pp. 537-623, e D. VALENTINI, s.v. Subsistit in, in DE 1383-1408, con abbondantebibliografia. 281 Cf. Synopsis LG, 62. Alcuni anni dopola pubblicazionedella Mystici corporis lo stesso Pio XIIribadì

questa posizione nell’Enc. Humani generis (12.8.50), quando disse: «Certuni nonsi ritengonolegati alla dottrina

che noi abbiamoesposta in una Nostra enciclica e che è fondatasullefonti della rivelazione, secondocuiil corpo mistico di Cristo e la Chiesacattolica romana sono unasola identica cosa» (EE 6, nn. 727). ? C£. Synopsis LG,p. 64. 283 Cf. ibidem.

284 Cf. ibidem. Si deve anche aggiungere la motivazione dell’intero capoverso, spiegata dalla Commissione Dottrinale del Concilio in questa maniera: «Intentio (LG 8) autemestostendere, Ecclesiam, cuius deseripta est intimaet arcana natura, qua cum Christo Eiusque opere in perpetuum unitur, his in terris conerete inveniri in Ecclesia catholica.(...) Ecclesia est unica, et his interris adest in Ecclesia catholica» (AS III, pp. 176-177). 94

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Dovrebbe anzitutto essere chiaro che fuori dai confini visibili della Chiesa cattolica non tutto è «vuoto ecclesiale» (UUS 13/3), come ha autorevolmente ribadito Giovanni Paolo II, e come

in altro modoera già stato anticipato da Papa Pio XI: «Anchelepietre staccate da una roccia aurifera sono aurifere»?85. Ciò trova confermanella validità dei sacramenti conferiti fuori dai confini visibili della Chiesa cattolica, validità che può contare su un’amplissimatradizione a proprio favore?86, riaffermata anche dal magistero conciliare quando dice che «lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse (delle Chiese e comunità separate) come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica» (UR 3/3). Nello stesso documento si annoverano affermazioni quali «la parola di Dioscritta, la vita della grazia, la fede, la speranzae la carità, e altri doni

interiori dello Spirito santo ed elementi visibili» come «elementi e beni» possono trovarsi anche «fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica», e per essi «la stessa Chiesa è edificata e vivificata» (UR 3/2). Ciò non dovrebbenuocereall’identità fra Chiesa di Cristo e Chiesacattolica. Il subsistit in di LG 8/2 semplicemente colloca questo rapporto nell’ambito di un’identità nonescludente, in modo tale da includere gli elementa Ecclesiae nella Chiesa e, contemporaneamente,

ribadire l’essenziale identità fra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa cattolica così comela troviamo oggi, «governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui»?87.

Infatti, malgrado le divisioni subite e l’infedeltà al Vangelo manifestata in diversi occasioni dai suoi figli, la Chiesa di Cristo sussiste ancora (continua ad esistere) nella Chiesacattolica, e

in questo senso «la continuità di esistenza comportaunasostanziale identità di essenza»?88. Di recente, ciò è stato autorevolmente confermato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, affermando che «nella cost. dog. Lumen gentium, n. 8, la sussistenza è questa perenne

continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica»?89. Lo stesso documentoribadisce che «l’uso di questa espressione (subsistit in), che indica la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesacattolica, non cambia la dottrina sulla Chiesa»(ibidem).

285 Discorso del 10.1.27, in /rénikon 2 (1927), p. 20. 286 Sulla questione della validità del battesimoconferito fuori dalla Chiesacattolica,cf. il lungo elencodi documenti magisteriali compilato dal Congarin Chrétiens désunis, p. 288.

287 P. RODRIGUEZ - J.R. VILLAR, Las Iglesias y comunidades eclesiales separadas de la Sede

Apostélica Romana, pp. 596-597

288 U. BETTI, «Chiesa di Cristo e Chiesa Cattolica. A proposito di una espressione della “Lumen

Gentium”», Artonianum 61 (1986), p. 743. 289 CDF, Risposte a quesiti circa la dottrina sulla Chiesa, 29.6.07, n. 2, in Il Regno - Documenti 15 (2007), p. 469.

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Neppuresi affievolisce la fede cattolica sull’unicità della Chiesa; infatti, non si afferma l’esistenza di altre Chiese in se stesse complete, ma semplicemente si riconosce che “gli elementi di santificazione e di verità” (i sacramenti, le Sacre Scritture, il ministero, la liturgia,

ecc.) esistono e agiscono conefficacia anche tra gli altri cristiani in seno alle loro comunità. Abbiamo una Chiesa “in se stessa completa” solo quando essa possiede la totalità degli elementiecclesiali; in questa direzione, il magistero riafferma l’unicità della Chiesa quando dice: «gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre comunità» (UUS 14). Perciò, solo la Chiesa

cattolica è il «sacramentouniversale di salvezza» (LG 48/2), perché solo inessasi trova «tutta la pienezza dei mezzidi salvezza» (UR 3/5), attraverso i quali Dio viene incontro agli uomini. Uni

della Chiesa e pienezza di elementi ecclesiali sono dunque inscindibilmente

legati fra loro ed escludonol’ipotesi di un’altra sussistenza della Chiesa di Cristo altrove, né

piena, né parziale. Su tale questione ci fu un concreto pronunciamento a proposito dell’affermazione di L. Boff nel suo libro Chiesa: carisma e potere, secondo cui da LG 8 seguirebbe che «essa (l’unica Chiesa di Cristo) può puresussistere in altre Chiese cristiane». Si chiarì allora che «il concilio aveva invece scelto la parola subsistit proprio per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo “elementa Ecclesiae”y?%. Il concetto di sussistenza, infatti, oltre all’idea, già

accennata, di continuità dell’esistenza nel corso del tempo, indica anche una modalità molto

specifica di essere. Con parole di Ratzinger, «*Subsistere” è un caso speciale di “esse”. È l’essere nella forma di un soggetto a sé stante»?9!. Si tratta dunque di un esse in se, in contrapposizione ad unesse in aliud. Ciò spiega perchéin altre Chiese e comunità, nelle quali pure troviamoalcuni, o addirittura molti, elementi ecclesiali, non sussiste la Chiesa di Cristo, neanche “parzialmente”, in quantosi tratta sempre di elementiecclesiali «il cui valore deriva

dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica» (UR 3/3). Tutto ciò rende assolutamenteillegittima ogni forma di «relativismo ecclesiologico»??, comese una Chiesa o comunità valesse tanto quanto un’altra, per cui si renderebbeirrilevante l’appartenenza ad unaspecifica comunitàcristiana, inclusa la Chiesa cattolica. La dottrina conciliare sul subsistit in presuppone contemporaneamente un modo d’intendere l’indefettibilità dell’unità della Chiesa inscindibilmente legato alla sua un

290 CDF, Notificazione în merito allo scritto di p. Leonardo Boff: Chiesa: carismae potere, 11.3.85, in EV 9, n. 1426. Vedi anche DI16/3: «la Chiesa di Cristo, malgrado le divisionideicristiani, continua adesistere pienamentesoltanto nella Chiesa Cattolica». 291 J. RATZINGER,«L'’ecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium», in R. FISICHELLA(ed.), Il

Concilio Vaticano II. Recezionee attualità alla lucedel Giubileo, San Paolo,Cinisello Balsamo 2000,p. 79. 96

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parla dell’unità della Chiesa di Cristo «che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica» (UR 4/2). Ciò deriva direttamente dalla rivelazione neotestamentaria; infatti, «le promesse del Signore di non abbandonare maila sua Chiesa(cf. Mt 16,18; 28,20) e di guidarla con il suo Spirito (cf. Gv 16,13) comportano che, secondo la fede cattolica, l’unicità e l’unità, cometutto quanto appartiene all’integrità della Chiesa, non verranno mai a mancare»?93, Si afferma perciò «che esiste una continuità storica — radicata nella successione apostolica — tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa cattolica»?%; non è quindi possibile affermare che l’unità sia sussistita nella Chiesa cattolica fino ad un determinato momento, maora(o nel futuro) sussista in un’altra Chiesa. Questa dottrina colloca la concezione cattolica dell’ecumenismo su un binario molto

concreto,il quale «non parte dalle differenze per raggiungere l’unità, ma presuppone unaunità data all’intemo della Chiesa cattolica e all’interno della sua parziale comunioneconle altre Chiese e comunità

ecclesiali, al fine di raggiungere la piena comunione con esse»?95.

Approdiamo così, ora da un’angolatura più prettamente ecclesiologica, ad un’impostazione dell’ecumenismo di cui abbiamo già parlato in precedenza: si tratta cioè di “dilatare” una comunione già esistente, e proprio perché essa esiste già (sebbene in modo non pieno) anche fuori della Chiesacattolica, l’ecumenismovarealizzato con lo sforzoditutte le parti coinvolte e a partire dalla loro realtà.

Infine, giungiamo così ad individuare il limite della cosiddetta “ecclesiologia delle Chiese sorelle”. L’espressione “Chiese sorelle”, presente in alcuni documentiecclesiastici del V secolo e del medioevo, ricorre frequentemente nel dialogo ecumenico del XX secolo, specialmente fra cattolici e ortodossi. Spesso è stata usata per auspicare un rapporto di

fratellanza fra le Chiese, senza la pretesa di un rigore teologico. Da una angolatura più sistematica, invece, il Concilio ricorda che «presso gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle

fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devonoessere tra le chiese locali» (UR 14/1). Il testo conciliare ci avvia sul binario giusto, circoscrivendo l’uso dell’espressione al rapporto fra Chiese particolari (anche di confessioni diverse), fra loro sorelle e aventi come madre la Chiesa universale.

292Ibidem.

293 CDF, Dichiarazione Dominus Jesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della

Chiesa,6.8.00,n. 16. 294 Ibidem

295 W. KASPER,Le viedell'unità, p. 98.

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Nonsi vede invece comepossa essere ecclesiologicamente coerente parlare di ‘Chiese sorelle” per esprimereil rapporto intercorrente fra la Chiesa cattolica (presa nel suo insieme) e un’altra Chiesa (per esempio, la Chiesa ortodossa). Ciò supporrebbe che l’unica Chiesa di Cristo sussistesse pienamente in più Chiese fra loro sorelle, ma, in tal modo,verrebbeallora a mancare l’unicità della Chiesa, come è stato appena spiegato. La limitazione di questa espressione esclusivamente al rapporto fra Chiese particolari — cattoliche e non — è stata recentemente

ribadita

dalla

Congregazione

per

la

Dottrina

della

Fede

nella

Nota

sull’espressione “Chiese Sorelle”, del 30.6.2000296, 5.4. Gli elementa Ecclesiae Uno sguardo storico agli antecedenti del concetto di e/ementa Ecclesiae — già affacciatosi nelle pagine precedenti — dovrebbe giovare a capirne meglioil significato. Nel medioevo non controvertistico, gli “attributi” — in particolare, quelli della Chiesa — erano trattati soprattutto sotto la categoria di conditiones; proveniente etimologicamente dal verbo condere (fondare, creare, istituire), questa nozione voleva indicare qualcosa di nativo, appartenente all’essenza stessa, costitutivo ma anche costituente?9?, La tradizione protestante, soprattutto quella di radice calvinista, parla invece di vestigia Ecclesiae, poiché privilegia la Chiesa nella sua forma di Chiesa confessante: la Chiesa, nella sua presente fase storica, non

sarà mai in grado di esprimere interamente la ricchezza della Chiesa di Cristo?98. Il mysterium Ecclesiae rimane nascosto fino alla consumazione escatologica; esso si manifesta ora solo per vestigia.

Il

discorso

cattolico

delle

notae

Ecclesiae,

caratteristico

dell’ecclesiologia

controvertistica, si trova all’altro estremo. Dove esistono le notae, lì si trova la Chiesa di

Cristo. La via notarum era impostata sulla base del concetto scolastico di nota, inteso come qualcosa di fenomenico, atto a mediare la conoscenza e l’individuazione di una determinata

realtà. La demonstratio catholica può essere così brevemente descritta: «sulla base delle

296 Cf. EV19, nn. 1025-1038. Occorre tener presente che in ambito ortodossoesiste, a livello ufficiale, un atteggiamento abbastanzacritico rispetto all'ecclesiologia delle Chiese sorelle: cf. SINODO DEI VESCOVI DELLA CHIESA ORTODOSSA RUSSA, Principi fondamentali dell’atteggiamento della Chiesa Russa verso le

altre confessioni cristiane, 14.8.2000, Il Regno - Documenti 5 (2001), p. 188-196; e il rifiuto del Sacro Sinodo

della Chiesa ortodossagrecaa considerare la Chiesa cattolica «sorella» della Chiesa ortodossa, la cui traduzione puòtrovarsi in Y. SPITERIS, «L’ecclesiologia della Dominus lesuse il dialogo ecumenico»,in Park 1 (2002), p. 364.

297 Cf. M. SEMERARO,Mistero, comunione e missione. Manualedi ecclesiologia, Dehoniane, Bologna

1998, p.129.

298 Cf. G. PATTARO,o.c., 170-171. Calvino parla anche delle vestigia Ecclesiae che sono comunque

rimaste presso i «Papisti», come le rovine di qualcosa che ormai ha perso le sue native qualità e si trova degradata: cf. Institution dela religion chrétienne,libro IV, cap.2, nn. 11-12.

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testimonianze neotestamentarie si mostra anzitutto che Cristo Gesù ha voluto per la sua Chiesa le quattro notae distintive e permanenti dell’unità, della santità, della cattolicità e

dell’apostolicità. A questa premessa maggiore segue la minore, che evidenzia l’indubitabile e esclusiva presenza di queste quattro caratteristiche nella Chiesa Cattolica Romana. Esse mancano, invece, e comunque non si presentano in forma ugualmente chiara e netta, nelle altre confessioni cristiane»?”. Il discorso sull’unità, santità, cattolicità ed apostolicità si è

sviluppato in seguito sulla scia del concetto di proprietas, spostandosi da una posizione apologetico-difensiva (distinzione ad extra) versoil terreno più teologico dell’autoconoscenza (descrizione ad intra). A rigor di termini, però, la proprietas nondice tutto; dal punto di vista epistemologico,il propriumsi distingue dall’essenza, sebbene conservi con essa una relazione inscindibile300. Nello scegliere la via dei bona seu elementa Ecclesiae — un altro principio dell’ecumenismo,il terzo — il Conciliosirifà alla più antica impostazionedelle conditiones È unascelta che comunquetrovacerte riserve presso le comunitàuscite dalla Riforma, perché il senso cattolico del concetto di elementa Ecclesiae sarebbe più legato ad unfare /a Chiesa (in modo “meccanicista”, a mododidiritti acquisiti), mentre la loro considerazione come doni

dello Spirito cadrebbe nell’oblio. Giova tuttavia molto alla causa dell’ecumenismoil fatto che la Chiesa cattolica abbia dichiarato esplicitamente la presenza di questi e/ementa anche aldi

fuori dei suoi confinivisibili. Bisogna accorgersi bene dell’intera portata del discorso cattolico sulla presenza degli elementa Ecclesiae in ambito noncattolico. Fra questi il Concilio menziona «laparola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranzae la carità, e altri doni interiori dello Spirito santo ed elementivisibili» (UR 3/2) e anche «non pocheazionisacre della religione cristiana» (UR 3/3). Nonsi tratta però di un elenco esauriente; in realtà, tutto ciò che manifesta e/o produce ecclesialità — tranne il primato romano — puòessere trovato anche fuoridei confini

della Chiesacattolica. Di questi elementi si dice che «secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio produrre realmentelavita della grazia e si devonodireatti ad aprire l’ingresso nella comunione della salvezza» (UR 3/3). In questo modo il Concilio abbandona definitivamente l’idea della santificazione deicristiani noncattolici ex voto, per la 299 Cf. M. SEMERARO, Mistero, comunione e missione, p. 131. All’inizio i difensori della Chiesa

Romanagiunsero ad enumeraresinoa sette, dieci, quindici e perfino centonote. Nella riduzione alle quattro note (e non più) ebbe il suo influsso l’autorità del Simbolo Niceno-costantinopolitano e, posteriormente, la giustificazione di tipo metafisico che accostava le quattro notealle quattro causearistoteliche (cf. ibidem).

300 Cf. M. SEMERARO, Mistero, comunione e missione, p. 131-132.

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loro non colpevole ignoranza e il loro desiderio di compiere la volontà di Dio; la loro santificazione, invece, non è operata nonostante la loro confessione, ma in essa e per essa®9!. Comesi legge subito dopo, «le stesse Chiese e comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo Spirito di Cristo nonricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza»

(UR3/4). Gli “elementi” riferiti sono inoltre e/lementa Ecclesiae; questo significa non solo che manifestano ecclesialità, ma che “fanno Chiesa”. La loro efficacia, cioè, non siriduce alla sola

santificazione individuale, ma include anche l’aspetto congregante: quelli che ricevonoi loro effetti, anche fuori della Chiesa cattolica, si santificano e si congregano in una Chiesa o

comunità. Questo non è altro che una conseguenzadella natura della grazia, già accennata in pagine precedenti: quella che ci salva è la stessa grazia checi unisce. Bisogna adesso aggiungere che, secondol’ecclesiologia cattolica, l’universo cristiano ed ecclesiale esistente fuori della Chiesa cattolica non è un tutto omogeneo.Il maggiore o minor possesso degli «elementio beni, dai quali, presi insiemenel loro complesso, la stessa Chiesa è edificata e vivificata» (UR 3), degli «elementi di santificazione di verità»di cui parla LG 8,

determina la “densità ecclesiale” di una determinata comunità. Tra le varie comunità cristiane esistono, percosì dire, “salti di qualità” rispetto alla loro condizione ecclesiale. Perciò il grado

di comunioneconla Chiesacattolica non è lo stesso perle diverse confessioni302. Inoltre, il possesso o menodell’episcopato (e con esso, dell'Eucaristia) determina una

“differenza qualitativa” sostanziale — e non solo di proporzione — rispetto alle altre. Propriamente parlando, meritanoil titolo di “Chiese”solo quelle che possiedono l’episcopato e l’Eucaristia. Ciò non vuole essere uno sgarboperle altre, ma è semplicemente qualcosa che emerge dalla considerazione cattolica del concetto di “Chiesa”, così come la teologia lo apprendedalla rivelazione. Il termine “Chiesa”, infatti, proviene dal greco eXWesia (da ek-kalein: convocare), come è denominata nel nuovo testamento la comunità dei credenti in Cristo, mentre per il popolo d’Israele si riserva il termine synagogé. Nella versione greca dell’antico testamento (versione dei LXX), entrambiquesti termini, ma con prevalenza numerica a favore del primo, traducono il vocabolo ebraico gahal, che rende l’idea di convocazione della comunità come assemblea

301 C£. CCD75-76. Comeesempio dell’atteggiamentodella teologia cattolica anteriore al Vaticano I si puòconsiderarela posizione di M. Jugie. Parlandodelle Chieseortodosse, afferma che «sunt omninoad salutem consequendaminutiles»; il cristiano ortodossodi buonafede può raggiungerela vita eterna «per accidens», e la Chiesa dissidente è casomaiusata «fanquam meruminstrumentumvel canalis» della grazia che «exvera Ecclesia manat»(cf. Theologia dogmaticachristianorumorientalium, VOL.I, Parigi 1926, 39). 100

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ordinata per la celebrazione cultuale. Synagogé è più spesso usato per tradurre l’ebraico edah, il qualeallarga il suo significato al popolo nella sua totalità, considerato unitariamente come comunità dell’alleanza?%, EXk/esia, dunque, indica in modo peculiare «l'assemblea del popolo eletto riunita davanti a Dio, soprattutto l'assemblea del Sinai, dove Israele ricevette la legge e fu costituito da Dio come suo popolo santo. Definendosi “Chiesa”, la prima comunità di coloro che credevano in Cristo si riconosce erede di quell’assemblea» (CCC 751). La comunità cristiana emergente dal mistero pasquale è edificata da Dio attraverso il sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo, il sacrificio della nuova alleanza, prefigurato in quelli dell’antica, ai quali la parola ekk/esia era associata. Perciò il nome “Chiesa” rimanda al popolo cristiano inteso come assemblea cultuale, che ha la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione eucaristica (cfr. SC 10). Recentementeè stato affermato dal magistero addirittura

«un influsso causale dell'Eucaristia, alle origini stesse della Chiesa» (EdeE 21/2). In questa prospettiva, il nome “Chiesa” non si adegua ad una comunità di credenti in Cristo che non

celebra validamenteil sacrificio eucaristico. Questa è la situazione delle comunità cristiane non episcopali. Sebbene i loro membri siano inseriti nel Corpo di Cristo per il battesimo, le comunità non raggiungono la “densità ecclesiale” derivante dall’Eucari: ia. La Chiesa cattolica le ritiene «comunità ecclesiali», e contemporaneamente dice di loro che «non sono Chiese in senso proprio»3%. Ciò non dovrebberisultare offensivo, giacché sono queste stesse comunità a non desiderare di essere considerate Chiesa nello stesso senso in cui la Chiesa cattolica intende se stessa. Ad ogni modo, quando non si pretende di parlare con precisione teologica assoluta, esse possono essere designate come “Chiese”, anche perché spesso questa è la loro denominazione ufficiale. Salvo alcune eccezioni, dalla storia emerge che le comunità cristiane più lontane (teologicamente) dalla piena comunione,sono le più suscettibili di soffrire ulteriori divisioni. Questo avvalora storicamente la dottrina degli e/lementa Ecclesiae, che come «elementi costitutivi dell’ecclesialità» conferiscono e

rafforzano l’unità interna, mentre la loro

diminuzione l’indebolisce. Gli elementi ecclesiali, cioè, hanno senso pieno nel loro rapporto

reciproco; come affermato da Congar: «presi nel loro insieme, essi conformano l’anima 302 Cf. G. THILS, Historia doctrinal del movimiento ecuménico, p. 249. 303 Cf. L. DE LORENZI, s.v. Chiesa, in NDTB 251-252.

304 Dominus Jesus, n. 17. È opportunoribadire che questa distinzione Chiese - comunità ecclesiali non è

originaria di questo documento. È presente nel Concilio Vaticano II, ma anche in documenti ecclesiastici

precedenti, come evidenziato dal Congarnell’appendice IV (già citata) «sur les termes employés dans les documents catholiques officiels récents pour désigner les dissidents», della sua opera Chrétiens désunis. principes d'un «oecuménisme»catholique, Cerf, Paris 1937, pp. 381-382. 101

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dell’unica Chiesa, perché non sono una sommadi elementi diversi, ma piuttosto una pienezza ordinata, organica e vivente»30. Essi quindi «spingono verso l’unità cattolica» (LG 8/2), ma se nonsi ne assecondail processo,si rischia la disgregazione. Questa ontologia degli elementa Ecclesiae è di grande importanza per l’avviamento della ricerca della piena comunione ecclesiale. Gli elementi ecclesiali che una determinata

comunità possiede parzialmente, nella misura in cui vengono autenticamente assimilati ed approfonditi, conducono alla pienezza della comunione, proprio perché appartiene a questa

loro “ontologia” l’esistere non separatamente, ma insieme39. L’unità ecclesiale non è una mera additio elementorum, ma consiste in un toto organico?(non nella sola sommadegli elementi ecclesiali, ma in un tutto organico). Alla piena comunione,quindi, si arriva dilatando

la comunionegià posseduta. Esiste un altro “salto sostanziale di densità ecclesiale” tra le Chiese episcopali (quindi con l’Eucaristia) e la Chiesa cattolica, non riducibile ad un ultimo elemento in più che la

contraddistingue (il primato romano). Tra l’avere “quasi tutti” gli e/lementa Ecclesiae e l’averlì tutti (la Chiesa in senso pieno) è in gioco la sussistenza, la coesione, l’efficacia di ciascuno di essi e del loro insieme, perché gli elementa Ecclesiae, come appena detto, non sonorealtà isolate e indipendenti l’unadall’altra; il raggiungimentodella piena comunione — e quindiil possesso della totalità degli elementi ecclesiali — è comel’inserimentodella pietra angolare negli antichi edifici: pur essendo solo unapietra in più, è quella che sostiene tutto398. Come ha ribadito la commissione dottrinale durante l’elaborazione del Decreto Unitatis redintegratio, non agi de mera additione elementorum, sed de toto organico39. La Chiesa «è

305 CONGAR, Y., Chrétiens désunis, p. 283

306 Sul piano individuale sembra opportuno riportare qui la testimonianza di H. Schlier sulla sua

conversione dal luteranesimo al cattolicesimo: «The New Testament led me to inquire whether the Lutheran Confession and more specifically modern protestantfaith, which has so widely deviated fromits original form,is

in agreementwith its owntestimony. Gradually I becameconvincedthat the Church which I had in mind wasthe RomanCatholic Church. Henceit was, if I may say so, anauthentic Protestant path which took me to the Church; a path whichis actually provided forin the Lutheran confessional writings, althoughnaturally not expected. In that context I muststill mention something else. What led me to the Church was the New Testamentasit presented itselî to unbiased historical interpretation» (Kurze Rechenschafi, in Bekennnis zur katholischen

Kirche, Wiirzburg 1956, p. 176; traduzioneall’inglese in H. KUNG, Structures ofthe Church, Burnsand Oates, London1965, p. 141). 307 AS IN/VII, p. 31. 308 Risulta comunque molto opportuno il seguente commento del Card. Willebrands: «Ma sarebbe fraintendere seriamente il pensiero del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo se considerassimo questa “pienezza” come qualcosa che scaturisce solamente dalla comunione giuridica e canonica conil vescovo di Roma. È condizionata da questa comunione, ma non riducibile ad essa. È essenzialmente una comunione nell’economia totale dei mezzi della grazia» (Chiesa, Corpo di Cristo, comunione nel Concilio Vaticano II, in

Unasfida ecumenica: la nuova Europa(discorsi), Pazzini Editore, Verucchio 1995, p. 94). 309Cf. Synopsis UR, p. 37. 102

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edificata e vivificata», con parole di UR 3/2, dagli elementi o beniecclesiali «presi insieme nel loro complesso». In sostanza, la Chiesa non va considerata come la semplice somma matematica degli elementi ecclesiali; la communio cum Deoet inter se è una realtà ben più complessa, dovein definitiva ciò che conta è la fedeltà alla Parola di Dio. Con grande coraggio Giovanni Paolo II nonhaesitato a dire che nelle altre comunità cristiane «certi aspetti del mistero cristiano sono stati a volte messi più efficacemente in luce» (UUS 14). Ciò interpella seriamente la Chiesa cattolica, comerileva G. Thils: «sarebbe intollerabile che i cattolici, vantandosi del possesso

della totalità degli elementi ecclesiali, immaginassero di possederli ipso facto nella loro perfezione, nella loro pienezza, nella loro massima vitalità»3!°. In definitiva, non si può

dimenticare che «in una situazione di divisione l’unità non è concretamente realizzata nella Chiesacattolica in tutta la sua pienezza; la divisione rimaneunaferita anche per lei)?!!. 5.5. Battesimo d’acqua e Chiesa «Quelli che non hanno ancoraricevuto il Vangelo, in vari modi sonoordinati al popolo di Dio» (LG 16): così la dottrina conciliare introduceil discorso sulla relazione della Chiesa

coni noncristiani. Nonsitratta di una situazione di comunione imperfetta (i non cristiani non sono “imperfettamente incorporati” alla Chiesa), ma di ordinamento alla Chiesa, in quanto

tutti gli uomini sono destinati alla comunione con Dio?!2. Ciò che distingue le situazioni d’incorporazione da quelle di ordinazione è ben visibile e concreto:

battesimo d’acqua.

«Egli (Cristo), inculcando espressamentela necessità della fede e del battesimo (cf. Mc 16,16; Gv 3,5), ha insieme confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesimo»(LG 14).

Nelnuovo testamento,infatti, si dice che la Chiesa è «un solo corpo, unsolo spirito», poiché esiste «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,4-5). Più specificamente ancora, Paolo afferma che «noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo»(1Cor 12,13). Il significato soteriologico del battesimo è dunque affiancato alla sua inscindibile dimensione ecclesiologica. Il battesimo è annoverato tra i fondamenti principali dell’unità della Chiesa, sebbene in modoarticolato: diventiamo membra di Cristo per il possesso dello Spirito ricevuto nel battesimo, nel quale la fede personale

310G. THILS, Historia doctrinaldel movimiento ecumenico, p. 248. 3!! W. KASPER,Viedell'unità, 97.

312 Per un approfondimentodella nozione di «ordinamentoalla Chiesa», e della sua genesi e sviluppo in sede conciliare fino al suoassetto definitivo in LG 16, cf. J.A. GIL SOUSA, «Ordenadosa la Iglesia», Aurensia 5 (2002) 61-99.

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diventa fede ecclesiale. L'essere in Cristo per il battesimo coincide dunque con l’essere membri del suo corpo, la Chiesa.

Si tratta di un argomentodi grande rilevanza ecumenica, poiché è proprio questa realtà di fede — il battesimo validamente conferito, che incorpora nella Chiesa — ciò che spinge la Chiesa cattolica a cercare la piena comunione concoloro che si trovano non perfettamente uniti ad essa. Perciò «l’ecumenismocristiano è sempre ecumenismo battesimale»3!3, e non è

possibile ammettere in quest'ambito nessuntipo di concessione che possa mettere in dubbio la validità del battesimo?!4. Esso «costituisce il vincolo sacramentale dell’unità, che vigetra tutti

quelli che per mezzodi esso sonostati rigenerati» (UR 22/2), perché anche quando è conferito fuori dalla Chiesa cattolica, resta sempre tra «i doni propri della Chiesa di Cristo», che

«Spingono verso l’unità cattolica» (LG 8/2). Se da una parte, nel caso della vita cristiana vissuta nel seno della Chiesa cattolica, il battesimo è costituito come permanente richiamo alla piena identificazione con Cristo (alla santità), parimenti il battesimo conferito fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica «è

ordinato all’integra professione della fede,

all’integrale incorporazionenell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto e, infine, alla integra inserzione nella comunione eucaristica» (UR 22/2).

Naturalmente, la fede nel battesimo inteso come ianua Ecclesiae (porta della Chiesa) deve essere in armonia con l’unicità della Chiesa. Nonesistono, cioè, tante Chiese quanti sono

i battesimi validi. Davanti alle divisioni nate nella Chiesa di Corinto («Io sono di Paolo, io

invece sono di Apollo, e io di Cefa, e io di Cristo»: 1Cor 1,12), l’apostolo ribadisce l'assoluto rimandocristologico: «Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, 0 è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?» (1Cor 1,13). I cristiani sono dunque sempre «battezzati in Cristo» (Gal 3,27, Rm 6,3) per l’incorporazioneall’unica Chiesa, «la quale è il suo corpo» (Ef 1,23), in modo tale che “la molteplicità dei battesimi” (come realtà attuate

secondo il rito cattolico o meno) non comporta una “molteplicità di Chiese”, ma l’incorporazione ad un’unica realtà (la Chiesa fondata da Cristo) che sussiste solo nella Chiesa cattolica (cf. DI 16/6). Nell’«un solo battesimo»di Ef 4,5, «‘uno” s’intende nonin antitesi ad un battesimo che si ripeta, ma nel senso di battesimo unico e unificante, che, in virtù

dell’unico Spirito, incorporatuttii fedeli nell’unico corpo del Signore»3!5.

313 K. KOCH,«Sviluppiecumenicie nuovesfide», Studi Ecumenici 29/2 (2011), p. 199.

314 Risultano perciò preoccupanti tanto l’atteggiamento di alcune Chiese ortodosse che, in caso di

conversioni, conferiscono nuovamente il battesimo(cf. #bid., p. 200), quantoquello di alcune comunità cristiane

che non considerano essenziale la formula trinitaria con cui esso viene conferito (cf. W. KASPER, Harvesting the

Fruits, p. 191). 315 H. SCHLIER, LaLetteraagli Efesini. Testo greco, traduzione e commento, Paideia, Brescia 1973,p. 296. 104

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Il brano di LG 14 citato all’inizio di questa sezione menzionanonsolola necessità del battesimoe della fede, ma anche della Chiesa. Occorre ora riprendere l’argomentoe vedere in quale modo il Vaticano II ha legato salvezza e Chiesa. Il testo completo, che si trova all’interno del capitolo II sul popolo di Dio ed è dedicatoai fedeli cattolici, dice così: «Esso (il Concilio) insegna, appoggiandosi sulla sacra scrittura e sulla tradizione, che questa Chiesa

pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo, presente per noi nel suo corpo, che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cf. Mc 16,16; Gv 3,5), ha insieme confermatala necessità

della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesimo comeper la porta. Perciò nonpotrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non ignorandoche la Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata comenecessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare». Tre aspetti sono specialmente rilevanti per il tema in analisi.

Da una parte, l’assioma

patristico extra Ecclesiam nulla salus è assunto, ma nonalla lettera, ed è enunciato in modo positivo: non si mette l’accento sui condannati, ma sui salvati. Esso è inoltre collocato in

prospettiva eminentemente cristologica: la Chiesa è necessaria non per se stessa, ma perché Cristo, mediatore e via di salvezza, è presente nel suo Corpo, che è la Chiesa. Infine, l’assioma

è

assunto

secondo

l’originaria

intenzione

patristica,

ovvero

è

rivolto

prevalentemente a chi, consapevole della verità del Vangelo, non si degna di entrare nella Chiesa, o a chi, appartenendo ad essa, dubita se lasciarla o meno, attirato dall’eresia o dallo

scisma. Ladottrina conciliare si completa poi con l’affermazionefatta dalla Lumen gentiumal n. 16, riprendendo implicitamente la dottrina di Pio IX e del Sant’Uffizio: «quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio; e sotto l’influsso della grazia si sforzano di compiere conle opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna». In ogni caso conviene non dimenticare che la salvezza è un dono gratuito, e la grazia qua talis ha sempre

una dimensione ecclesiale: è contemporaneamente salvifica ed ecclesiale, in quanto ci salviamo perl’incorporazione al corpo di Cristo, che è la Chiesa. Queste idee convergono nella densa espressione conciliare sacramento universale di salvezza (LG 48) applicata alla Chiesa: quest’ultima, infatti, non “produce” la salvezza, ma la trasmette o almeno accoglie nel suo seno i salvati, perché ogni salvezza non può che essere ecclesiale. Dire che l’ecclesialità della salvezza è di tipo sacramentale vuol dire che essa proviene da Cristo attraverso la Chiesa come suo strumento, o che almeno si richiama

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oggettivamente ad essa, anchein riferimento al suoaspettovisibile, sebbene nella soggettività del salvato nonesista un contatto esplicito. Si tratta di un aspetto della salvezza nonfacile da afferrare ma di grande importanza anche numerica, se si tiene presente che attualmente, nel secolo XXI, più di due terzi degli uomini non hannoricevutoil battesimo. Questo panorama, per certi versi drammatico, è controbilanciato da un’affermazione coraggiosa fatta dal Vaticano II nella Cost. Gaudium et spes: «Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione

ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col

mistero pasquale». Concludendo, possiamo dire che guardando «ad intra del cristianesimo troviamo l’insiemedei battezzati, mentre se lo sguardosi rivolge ad extra, varchiamoil territorio delle religioni non cristiane e dei non credenti, trovandoci così al confinetra le realtà corrispondenti al dialogo ecumenico e a quelle del dialogo interreligioso, tema di cui ci siamo occupati nel terzo capitolo. Si tratta di un argomentodi vitale importanzanella teologia ecumenica, poiché tra un cristiano e un noncristiano, anche se entrambi sono destinati alla comunione con Dio,

si trova l’evento fondamentale dell’incorporazione in Christo, il solo ed unico «Mediatoree la via della salvezza, presente per noi nel suo corpo che è la Chiesa»(LG 14).

5.6. Status ecclesiale delle comunità cristiane Ciò che abbiamostudiato in questo capitolo può essere così sintetizzato: la Chiesa è una comunione degli uominicon Dio e tra loro. Questa comunione è per propria natura unarealtà che ammette gradualità: si può essere più o meno in comunione, tanto a livello personale (la

vita della grazia è graduale), quantoa livello “strutturale” (una comunità ecclesiale può essere in comunione non piena con la Chiesa cattolica), a seconda degli e/lementa Ecclesiae

posseduti. Questo ci porta ad affermare che lo status ecclesiale dei battezzati nonsia un autaut (appartenere o non appartenere alla Chiesa), ma piuttosto una condizione graduale, che a

partire dal battesimo progredisce da un’incorporazione imperfetta alla Chiesa (o stato di comunione non piena, a sua volta graduale) fino a giungere all’incorporazione perfetta (o di comunionepiena). Si possonocosì stabilire gli status ecclesiali delle comunità cristiane in base ai diversi gradi di comunione con la Chiesa3!6. Si tratta di un punto di partenza importante per un ecumenismo sano ed equilibrato: prima di avviare un processo di ristabilimento della 316 Cf. P. RODRIGUEZ, «Ordenaciòne incorporaciòna la Iglesia. Sintesis doctrinal», Teologia Espiritual

17 (1972),pp. 353-366. 106

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comunione, è necessario individuare il grado di separazione esistente. Si tenga pure presente chelo “stato di comunione”con la Chiesa potrebbe essere visto come “comunionestrutturale” (l’unione visibile) o come comunione interiore (la vita della grazia); come comunione

personale (ciascun fedele nella sua individualità) o istituzionale (la comunità). Propriamente parlando, e attenendoci a quanto detto precedentemente sull’inquadramento teologico dell’ecumenismo,

la teologia

ecumenica dovrebbe occuparsi

solo della

comunione

“strutturale-istituzionale”. La realtà senza dubbio non si lascia racchiudere secondo rigidi modelli, cosicché è inevitabile che i vari piani si intreccino, considerando le diverse situazioni

di comunione. Si parla di situazioni di incorporazione piena per indicare quella dei fedeli (tutti i battezzati) che conservano il triplice vincolo simbolico (la fede), liturgico (il culto) e gerarchico (pertanto, i fedeli cattolici) e godono della vita nello Spirito (lo stato di grazia). Questaè, in sintesi, la dottrina contenuta in LG 14.

Le situazioni di incorporazione imperfetta costituiscono una realtà molto articolata. Bisognerebbedistinguere qui, in primo luogo,i fedeli cattolici che per il peccato hanno perso la vita della grazia; finché rimangonoin tale stato non possono salvarsi. Occorre però subito aggiungere che dal puntodivista strutturale, la loro condizionerispetto alla Chiesa cattolica è di comunione piena, poiché mantengono il triplice vincolo di unità. «La Chiesa che

comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantementesi applica alla penitenza e al suo rinnovamento»(LG 8/3). Diversa è la situazione di «quelli che ora nascono e sonoistruiti nella fede di Cristo in tali comunità (non cattoliche)». Essi «non possono essere accusati del peccato di separazione, e la Chiesa cattolica li abbraccia confraterno rispetto e amore. Quelli infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica» (UR 3/1). Occorre distinguere qui le Chiese episcopali (che possiedono l’Eucaristia valida) dalle comunità ecclesiali non episcopali (senza una valida Eucaristia), in quanto l'Eucaristia non è semplicemente un elemento in più, ma «la fonte da cui promanatutta la sua virtù (dell’attività della Chiesa)» (SC 10/1), è la radice di ogni comunione ecclesiale. In realtà, coloro che non

partecipano all’Eucaristia (valida) acquisiscono la comunione ecclesiale per un votum Eucharistiae esplicito o implicito, proveniente almeno dal battesimo ricevuto, nel quale si contiene sempre un richiamo oggettivoall’Eucaristia. Dato che «nella santissima Eucaristia è racchiusotutto il bene spirituale della Chiesa» (PO 5/2), non si possonoipotizzare situazioni ecclesiali da essa indipendenti. 107

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Lasituazione di coloro che vo/ontariamente si sono separati dalla Chiesa cattolica peril peccato di eresia, scisma o apostasia, o che sono stati scomunicati, è molto peculiare. Essi possiedonoil battesimo, mail tipo di peccato commesso genera unasituazionesoggettiva tale da rendere inoperanti i mezzi di salvezza. A tale stato corrisponde il “grado minimo” di incorporazione. Infine, le situazioni di ordinazione comprendono l’insieme dei non battezzati, i quali

sono ordinati alla Chiesa, ma non incorporati né pienamente, né imperfettamente. Ad ogni modo,la Chiesa non li misuratutti secondola stessa regola, ma distinguele situazionidai più prossimiai più lontani: dai catecumeni(che possiedonoil votumbaptismi e con esso il votum Ecclesiae), agli ebrei, ai musulmani e alle altre religioni monoteiste, e finalmente, in modo

radicale,a tutti gli altri uomini, in quanto oggetto della volontà salvifica di Dio. Occorre, comunque, salvaguardare sempre la signoria assoluta di Dio,il cui potere non è legato agli elementa Ecclesiae, e che «desidera che tutti gli uomini si salvino e giunganoalla piena conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Come già detto, sebbene la comunione visibile nella Chiesa sia sacramento della comunioneinvisibile (la comunità di salvezza), non lo è in

modo

“meccanico” o “automatico”. «Solo Dio conosce quello che succede nel cuore di

ciascun uomo, e Lui nontratta le anime in gruppo, ma unaa una. A nessunospetta giudicare in questa terra sulla salvezza o condanna eterna di un caso concreto»?!?. Le “situazioni” sopra

elencate nonsono “status salvifici”’, ma collocazioni oggettive in rapporto alla Chiesa. 5.7. L’ecumenismoin prospettiva missionaria Alla luce di tale inquadramento, è evidente la coerenza con quanto detto nel capitolo III sul triplice aspetto della missione della Chiesa. La cura pastorale è rivolta a coloro che sono “pienamente incorporati”, affinché conservino questo stato e crescano in perfezione, e ai cattolici incorporati solo imperfettamente (ovvero, a quelli che si trovano in peccato), in modo che la loro situazione personale di comunione corrisponda con la pienezza strutturale della comunione che non cessano di possedere. Questi ultimi vengono ammoniti ricordando loro che «nonsi salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella

carità, rimane in seno alla Chiesa col “corpo”, ma noncol “cuore”». Il Concilio si rivolge poi a tutti i cattolici, peccatori e non, dicendo: «Si ricordino benetuttii figli della Chiesa che la loro esimia condizione non vaascritta ai loro meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; se non

317 SAN JOSEMARIÎA ESCRIVA, Omelia // fine soprannaturale della Chiesa, 28.5.72, n. 50, in La Chiesa

nostra Madre, Ares, Milano 1993, p. 41. 108

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vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo nonsi salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati» (LG 14/2). L’attività di missio ad gentes si indirizza alle situazioni “di ordinazione”, perché godano

quanto prima della comunione con Dio nella sua Chiesa, incorporandosi ad essa per il battesimo d’acquae la crescita dei vincoli visibili ed invisibili di comunione. Infine, l’attività ecumenica si rivolge a coloro che si trovano nel secondo caso

d’incorporazione imperfetta, perché raggiungano la situazione di comunionepiena. Oltre alle varie questioni divergenti, da un puntodi vista istituzionale-teologico, le comunità cristiane nonepiscopali dovrebbero compiere un passo ecclesiologico di grande trascendenza, ovvero quello di accettare la natura sacramentale della Chiesa?!8; è difficile impostare la necessità dell’unità visibile quando si concepisce la Chiesa solo nella sua dimensione di comunità di salvati. Infatti, nell’ottica sacramentale, la Chiesa di Cristo, senza escludere la dimensione carismatica, sussiste in una realtà istituzionale concreta, permanente, e ministerialmente strutturata (con l’episcopato). In cornice non sacramentale, invece, si privilegia l’idea di

Chiesa comeevento, intesa cioè come «l'assembleadei santi nella quale si insegna il Vangelo nella sua purezza e si amministrano correttamente i sacramenti»3!9, come detto nell’articolo

VII della Confessio Augustana3°°. Il ruolo del ministero è qui assolutamente secondario e non essenziale; come creatura verbi, secondo un’espressione cara a Lutero?2!, l’assemblea dei

credenti si concepisce semplicemente come proclamazione e accettazione della parola in un contesto di fede, che trova nei sacramenti una singolare manifestazione. Si può qui intravedere come il problema fondamentale si trovi proprio nel significato della realtà sacramentale??? , sia rispetto ai sacramenti, sia come dimensione della Chiesa. Analogamente,

le

Chiese

episcopali

dovrebbero

riflettere

sulla

natura

stessa

dell’episcopato che già possiedono, perscoprire al suo interno il primato romano comerealtà intrinsecamente necessaria. Ciò pone in primo piano l’importanza della dottrina sulla successione apostolica, all’interno della quale si trova la successione petrina. Non è infatti sufficiente “l’episcopato valido”; un vescovo è vescovo in comunionecongli altri vescovi,

318 Ancheseil documento della Commissione congiuntacattolica romana - evangelica luterana, Chiesa e

giustificazione. La comprensionedella Chiesa alla luce della dottrinadella giustificazione (Wirzburg 1993, in EO3, nn. 1223-1538)ha portato ad un avvicinamentoin quest'area,la strada da percorrere è ancoralunga. Come

disse D. Valentini versola fine del secolo scorso, «la sacramentalità della Chiesaè il punto decisivo nel dialogo cattolico-luterano» (citato dal Card. Kasper in «La successione apostolica nel ministero episcopale come

problema ecumenico», Salesianum 59/3 [1997], p. 399). 319 Fontes, p. 318.

320 Cf. W. KASPER, Harvesting the Fruits, p. 204. 321 Cf. Decaptivitate babilonica Ecclesiae, Praeludium, in WA 6, 561 322 Cf. W. KASPER, Harvesting the Fruits, p. 154.

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mediante una comunione che non è una questione semplicemente affettiva, ma teologica e gerarchica, derivante dal fatto che, in realtà, è l’intero collegio episcopale a succedere all’intero collegio apostolico33. Così, da una parte, si è vescovo solo all’interno del collegio episcopale, e di fatto «uno viene costituito membro del corpo episcopale in virtù della consacrazione episcopale», sebbene rimanga come condizione indispensabile «la comunione gerarchica col capo del collegio e con i membri» (cf. LG 21/2). Questo è ciò che conduce l’ecclesiologia cattolica a considerare l’esistenza di un episcopato valido fuori dal collegio episcopale come una seria anomalia, che deve essere rimediata. Dall’altra parte, l’aspetto collegiale della successione apostolica comporta la permanenza della struttura del collegio apostolico — capo e membra — nelcollegio episcopale: «come sanPietro e gli altri apostoli costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successoridegli apostoli, sono fra loro uniti» (LG 22/1). L’essere membrodelcollegio, dunque, non può escludere l’accettazione della capitalità del successore di Pietro, ed è per questo che la Chiesa cattolica non può escludere dall’agenda del dialogo ecumenicola questione del primato romano. La terza situazione d’incorporazione imperfetta rimane invecedifficile da classificare: per coloro che hanno abbandonato questo mondoresta solo l’aiuto della preghiera; per quelli che ancora pellegrinano su questa terra restano aperte le porte della riconciliazione, e

potrebberoessere accolti solo individualmente, dato che, macchiati personalmente dal peccato di eresia, scisma, o apostasia, si sono autoesclusi dalla comunione ecclesiale. Si tratterebbe,

pertanto, di ecumenismointeso in senso largo, comenelcasodelle conversioni. Rebussic stantibus, si può dire che il traguardo ultimo dell’ecumenismo è l’unità di tutti i cristiani nella Chiesa cattolica? La risposta è positiva, se la tappa finale alla quale si punta è la piena comunioneditutti i cristiani in una Chiesa profondamente purificata, la cui cattolicità non è solo di denominazione, ma anzitutto di proprietà teologica, «con un nuovo equilibrio vitale e dottrinale, una fisionomia rinnovata, nella pienezza spirituale di una

cattolicità

perfettamente

sviluppata»3?4.La

risposta

si

prospetta

invece negativa,

se

l’ecumenismo s’imposta come sola strategia per nascondere il tentativo di conversione dell’interlocutore. Occorre prendere sul serio la validità e la specificità dell’ecumenismo, formalmente diverso dall’accoglienza individuale nella comunionedella Chiesa cattolica. La prospettiva cattolica dell’ecumenismo, dunque, non è pensata come il “sistema solare”, con la Chiesa cattolica al centro e le altre Chiese e comunità orbitanti in circoli

323 Cf. P. GOYRET, Dalla Pasqua alla Parusia. La successione apostolica nel «tempus Ecclesiae»,

Edusc, Roma2007,pp.317-318. 110

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concentrici, le quali si avvicinano a poco a poco versoil “sole”; essa si prospetta invece come un cammino comune verso unobiettivo che si trova avanti, nella piena comunioneditutti in Cristo, comunione alla quale bisogna arrivare attraverso un processo di conversione e rinnovamento che coinvolge tutte le parti interessate. A ragione si dice, perciò, che «il lavoro ecumenico è un comunepellegrinaggio verso la pienezza della cattolicità, che Gesù Cristo vuole per la sua Chiesa»325. Ancora conaltre parole, «la vera essenza dell’unità intesa come comunione piena è cattolicità non nel senso confessionale del termine, ma nel suo senso originario e qualitativo di piena realizzazione di tutti i doni che le Chiese locali e confessionali possono offrire»329. 5.8.1 “modelli di unità” Oltre al “punto di partenza”, quello che si è tentato di individuare nelle pagine precedenti, è dunque importante la chiarezza sul “punto di arrivo” del processo ecumenico. Naturalmente, esso consiste nel raggiungimento della comunionevisibile, la quale, però, può essere pensata secondo diverse modalità. La posizionecattolica ufficiale al riguardo è quella sviluppata nel capitolo IV, sulla scia di UR 2; esistono anche altre proposte, dentro e fuori della Chiesa cattolica, che conviene esaminare®?7. La mera “convivenza pacifica” fra le diverse Chiese e le comunità non viene nemmeno presa in considerazione, in quanto, pur essendo una premessa necessaria, non si prospetta come traguardo. Il modello della diversità riconciliata proviene dall’ambiente protestante e parte dal presupposto che «la multiformità dei patrimoni confessionali sia legittima e che appartenga alla ricchezza della vita di tutta la Chiesa. Se nell’incontro aperto con l’eredità dialtri, le confessionie tradizioni esistenti perdonoil loro carattere di esclusione e di separazione,allora appare la visione di un’unità che ha la caratteristica di essere una diversità riconciliata»3?8. L’unità voluta da Cristo, quindi, lungi dall’implicare la distruzione o il superamento delle diverse identità confessionali, ne supporrebbe l’accettazione e di conseguenza il mutuo arricchimento. A una tale convinzione soggiace l’idea che alla base dell’esistenza di ogni singola Chiesa nonvisia una divisione del corpo di Cristo, ma una manifestazione particolare 324 G. THILS, Historia doctrinal del movimiento ecuménico, p. 289.

325 W. KASPER, Vie dell'unità, p.97. 326 Jbidem, p. 99.

327 Cf. PCPUC, La dimensione ecumenica nella formazione dichi si dedica al ministero pastorale, 1997,

II, B, c; J. VERCRUYSSE, /ntroduzionealla teologia ecumenica, PIEMME, Casale Monferrato 1992, pp. 106118; A. MAFFEIS, «Modelli di unità della Chiesa nella storia del movimento ecumenicoe nel dibattito teologico recente», Teologia 19/1-2 (1994), pp. 62-93; 109-150.

328. COMMISSIONE CONGIUNTA CATTOLICO ROMANA - EVANGELICA LUTERANA, Documento

L'unità davanti a noi, 3.3.84, n. 32, in EO1, n. 1581.

ul

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della fedeltà alla parola di Dio. Le divisioni, riconciliandosi tra loro per il loro riferimento comune al centro del messaggio di salvezza e di fede cristiana, si trasformerebberoin diversità

legittime. Quest’impostazione può trovare spazio solo all’interno di un’ecclesiologia che non conceda troppa rilevanza all’elemento visibile della Chiesa. Occorre, infatti, distinguere fra

diversità legittima nell’espressione dell’unica fede, e la contraddizione fra posizioni opposte, che resterebbe come “diversità irriconciliata” e, dunque, come unione di Chiese senza unità reale, come coesistenza pacifica, come intercomunione travestita di comunione piena??9.

Difatti, si è giunti al traguardo proprio tra le Chiese luterane d’Europa e le Chiese riformate (Concordia di Leuenberg, 1973339), all’interno, dunque, di tradizioni nelle quali l’aspetto istituzionale ha minor peso. La comunione ecclesiale, infatti, è qui concepita come “comunione di pulpito e di cena del Signore”, di Chiese rimanenti autonome e differenti, anche dal puntodivista dottrinale. È un'ottica nella quale la divisione diventa diversità, senza mutamenti delle posizioni originali; nella coesistenza dell’unità e della diversità — in sé legittima e caratteristica della nozione di comunione — si accentua la diversità nell’unità,

lasciando in sordina /’unità nella diversità. Il modello della “diversità riconciliata” potrebbe forse essere ritenuto adatto come metododell’ecumenismo33!, ma non comesuotraguardo. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha affermato, nella V assemblea generale celebrata

a Nairobi(1975), che la Chiesa Una «deve concepirsi come una comunità conciliare di Chiese locali che sono veramenteunite. In questa comunità conciliare, ogni Chiesa locale possiede, in comunione con le altre, la pienezza della cattolicità; dà testimonianza della stessa fede apostolica e, di conseguenza, riconoscechele altre Chiese appartengonoalla stessa Chiesa di Cristo e sono guidate dallo stesso Spirito (...) Ogni Chiesa tende verso quest’obiettivo mantenendo alti e arricchenti legami con le sue Chiese sorelle, che si manifestano nelle riunioni conciliari quando lo richiede il compimentodella loro vocazione comune»332. Oltre a sorvolare sul grande scoglio della diversità nella fede, l’unità visibile esisterebbe di fatto solo nelle

“riunioni

conciliari’,

mentre

in

modo

abituale

quest’unità

si

realizzerebbe

esclusivamente per mezzo di “alti e arricchenti legami” reciproci. Balza agli occhi la debolezzacostitutiva di questo tipo di unità.

329 Cf. W. KASPER,Vie dell'unità, pp. 8-9. 330Cf. EO 2,nn. 319-367.

331 In questa direzione sembra muoversi J. Ratzinger: cf. Progressi dell'ecumenismo. Una lettera alla

«Theologische Quartalschrift» di Tubinga, in J. RATZINGER, Chiesa, ecumenismoe politica. Nuovisaggidi ecclesiologia, Paoline, Cinisello Balsamo 19872, pp. 134-137. 332 D. PATON(ed.), Breaking barriers, Londra 1976,p. 60. 112

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Il modello dell’unità organica totale, invece, «corrisponde a una concezione che vede nell’esistenza di differenti Chiese confessionali un ostacolo determinante per un’autentica realizzazione dell’unità cristiana e pensa, perciò, di poter realizzare l’unità solo al prezzo della rinuncia alla propria identità ecclesiale e confessionale»?33. S”invitano, dunque, le Chiese che entrano nel processodi unificazione a cessare di esistere come organismi autonomial fine di creare un corpo ecclesiale totalmente nuovo, scartando così l’ipotesi “dell’assorbimento” dell’una nell’altra. Si accetta il ministero ordinato (episcopato) come uno degli elementi fondamentali della Chiesa unita. Si afferma altresì — questa è, metodologicamente, la cosa

principale — che l’unione sul piano dottrinale non può essere raggiunta mediante la previa e rigida imposizione di un credo unico, ma attraverso un processo successivoallo stesso atto di riunione, in modo tale che entrare a far parte della “Chiesa unita” significa lealtà a questa Chiesa, abbandonando la tradizione a cui si è appartenuti in passato: il ché comporta la volontà di scomparire, come entità separata, interamente e per sempre. Nei suoi tratti principali, questo modello fu applicato nel 1947 nel sud dell’India fra congregazionalisti, presbiteriani, metodisti ed anglicani, dando origine alla South Indian Church3%. L’esperienza tuttavia non ebbeulteriore diffusione; non è, infatti, difficile percepire qui un atteggiamento molto pragmatico, ma poco teologico, che rifiuta l’unità comerealtà già in parte esistente, anche se non pienamente. Si sacrifica la verità in favore del pragmatismo, comesesi dicesse:

“visto che non ci possiamo mettere d’accordo mentre dialoghiamo come entità separate, azzeriamotutte le posizioni e ricominciamo insieme da capo”. Come si può vedere, si tratta di un’impostazione opposta a quella delle diversità riconciliate. Sono i due estremitra cui si muovono molti degli intenti unionisti: o le Chiese,

partendo dall’eliminazione totale delle proprie tradizioni, si fondono in una realtà assolutamente nuova; 0, al contrario, si tenta di arrivare ad una comunionefra le Chiese nella

loro attuale situazione, senza chiedere la scomparsa o la modifica delle attuali strutture e delle differenze dottrinali, quando non interessano il nucleo fondamentale della rivelazione apostolica. Per completareil quadro dei modelli di unità ecclesiale bisognerebbe parlare anche della federazione di Chiese, ma tale modello non resiste ad unaseria analisi teologica. Si ricalca un modello valido nella società politica, la cui consistenza ecclesiale non va più in là di una testimonianza comune, di un foro di dialogo e di un organo decisionale. Le Chiese federate continuano ad essere Chiese separate, non la Chiesa Una.

333 COMMISSIONE CONGIUNTA CATTOLICO ROMANA - EVANGELICA LUTERANA, Documento

L'unità davantianoi, 3.3.84, n. 17, in EO 1, n. 1566.

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Più consistente è invece la proposta proveniente dall’ortodossia, e più precisamente dall’ecclesiologia eucaristica. La Chiesa, si dice, è pienamente Chiesa quando celebra validamente l’Eucaristia, come troviamo esplicitamente affermato neltesto biblico: «il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corposolo:tutti infatti partecipiamodell’unico pane» (1Cor 10,16-17). La comunione nell’unico pane eucaristico è dunque segno e sorgente della comunionenell’unico corpo della Chiesa; per la partecipazione al corpo eucaristico di Cristo s’inerementa l’unità nel suo corpo ecclesiale. Per questo, ogni Chiesa locale che celebra l’Eucaristia presieduta dal suo vescovo è Chiesa in senso pieno. Ad ogni modo, non esistono tante Chiese quante sono le Eucaristie celebrate; infatti, il Corpo eucaristico del Signore è uno e lo stesso in tutte le parti, e ogni Chiesa che riconosce l’ecclesialità eucaristica delle altre, è

in comunione con esse. Così, la “Koinonia eucaristica” sarebbe sufficiente come legame di unità. In ambito cattolico, occorre anzitutto dire che l’ecclesiologia eucaristica qua talis trova unpostopiùche legittimo. L’aedificatio Ecclesiae, infatti,

si realizza quandoperil ministero

episcopale (e presbiterale) i fedeli sono nutriti col Corpus verum e diventano quindi Corpus mysticum: è Ecclesia Corpus Christi effecta, secondo l’espressione di Henri de Lubac, per cui le Chiese particolari sono veramente “comunità eucaristiche”, con un’unità modellata

secondo quella del Corpus verum, uno e unico in tutta la Chiesa, presente nella sua totalità in ciascuna delle sue realizzazioni singolari: 1’ Ecclesia in Ecclesiis. Ma la comprensione eucaristica del mistero della Chiesa è

inscindibile dalla

comprensione ecclesiologica del mistero dell’Eucaristia; l'Eucaristia è mistero ecclesiale sia perché il suo frutto è la comunione ecclesiale, sia perché essa è celebrata all’interno della comunione ecclesiale.

Ciò

ha una ricaduta diretta

sul

ministero

episcopale,

inteso

contemporaneamente come ministero dell’unità della comunità in sé stessa, e ministero

dell’unità della propria comunità con l’intera Chiesa universale335. Come già detto precedentemente,il “mistero completo” dell'Eucaristia richiede nell’episcopato che la realtà singola (ciascun vescovo) sia in comunione conla realtà universale (il collegio episcopale). Occorre non dimenticare che alla dinamica dell’Eucharistia facit Ecclesiam si affianca anche l’altra “direzione”, Ecclesia facit Eucaristiam; e, in questo secondo senso, il ministero

episcopale si colloca significando l’unità di comunione della Chiesa celebrante come realtà previa al frutto di unità

di comunione proveniente dall’Eucaristia. Perciò, il vescovo

334 Cf. VILLAIN, Introduccién al ecumenismo, pp. 114-116.

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svincolato dai suoi fratelli nell’episcopato non s’inserirebbe adeguatamente nel segno sacramentale dell'Eucaristia, perché non sarebbe più segnodiunità. In definitiva, l’esistenza di una doppia dimensione del munus episcopale — sussistente nell’episcopato universale e nel singolo vescovo — è in rapporto diretto con quell’aspetto dell’Eucaristia per il quale l’unico e intero Cristo è presente in ciascunadelle sue realizzazioni sacramentali. Proprio la convergenza di queste due realtà bidimensionali

— l’Eucaristia

e l’episcopato —

nell’aedificatio Ecclesiae è ciò che fa di quest’ultima una realtà anch'essa bidimensionale (universale e particolare), nella quale l’unità diventa plurale senza distruggere la stessa

unità Tornando all’impostazione ortodossa dell’argomento, si dovrebbe ora comprendere perché essa non trova accettazione in ottica cattolica. Comesi dice nella Lett. Communionis notio, «è proprio l’Eucaristia a rendere impossibile ogni autosufficienza della Chiesa particolare. Infatti, l’unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l’unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile» (n. 11). Lo stesso documento aggiunge che «l’unità della Chiesa è pure radicata nell’unità dell’episcopato», e, al suo interno, nel primato romano: «l’unità dell’episcopato comporta l’esistenza di un Vescovo Capo del Corpo o Collegio dei Vescovi, che è il Romano Pontefice» (n. 12). Da tutto ciò risulta che «unità dell’Eucaristia ed unità dell’episcopato con Pietro e sotto Pietro non sono

radici indipendenti dell’unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito l’Eucaristia e l’episcopato comerealtà essenzialmente vincolate» (n. 14). Nell’ecclesiologia eucaristica di matrice ortodossa,

invece,

la comunione ecclesiale si riduce al solo riconoscimento

dell’ecclesialità delle altre Chiese, oltre alla propria comunione interiore. La dimensione universale della Chiesa Una, come l’intera congregatio fidelium presieduta da un unico collegio episcopale, si dilegua in una considerazione della communio Ecclesiarum che non lascia sufficiente spazio perle strutture universali di comunione. Questi “modelli di unità”, in definitiva, si muovono a partire da ecclesiologie che non

riescono ad esprimere il mistero della Chiesa nella sua totale pienezza. Sebbene non venga sempre detto esplicitamente, la comunione piena come traguardo da raggiungere tende ad essere sostituita dall’intereomunione ecclesiale, già attuabile. Si potrebbe forse impiegare qualcuno di tali modelli come base metodologica del processo ecumenico, ma non come traguardo definitivo dell’unità ecclesiale da raggiungere. 335C£. J. RATZINGER, Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie, Wewel

Verlag, Minchen 1982, p. 266.

336 Cf. P. GOYRET,EI obispo, Pastor de la Iglesia. Estudio teol6gico del munus regendi en Lumen

gentium 27, EUNSA, Pamplona 1998, pp. 275-283.

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CAPITOLOVI PRATICA DELL’ECUMENISMO

Alla luce deiprincipi studiati nei capitoli precedenti, l’ecumenismo si comprende come l’insieme degli sforzi intrapresi per condurre tutte le comunità cristiane nella condizione di piena comunionevisibile nell’unica Chiesa di Cristo. Gli sforzi menzionati si muovono su pianidiversi, che convieneoratrattare337. 6.1. L’ecumenismospirituale Esso è «l’anima del movimento ecumenico» (UR 8/1). Comesi ricorda nel Vademecum sull’ecumenismospirituale338, «è significativo che Gesù non abbia primariamente espresso il suo desiderio di unità in un insegnamento o un comandamentorivolto ai discepoli, ma in una preghiera al Padre. L’unità è un dono dall’alto, che ha origine e cresce nella comunione d’amore con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo» (n. 4). In questo contesto di ricerca

dell’unità intesa come accoglienza di un dono divino, e non quindi comerealtà costruita dal basso, si comprende comela spiritualità ecumenica e la fedeltà alla propria tradizione di fede nonsi possano separare. Occorre quindi evitare d’intendere l’ecumenismospirituale in «un

senso puramente emotivo, come una fuga da una oggettiva confessione della fede c come un suo sostituto(...). Una simile tendenza, che cerca unaspiritualità separata dalla fede oggettiva delle Chiese, diventa primao poi vuotae insipida, non può aiutare le Chiese a superare le loro differenze e diventa ecumenicamenteinutilizzabile»33. «Poiché l’unità è un dono, conviene che cristiani preghino insieme per implorarla», insiste il Vademecum (n. 5). L’Unitatis redintegratio si occupa di mettere a fuoco il fondamento di questa convenienza: «Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità, sono una genuina manifestazione dei vincoli, con i quali i cattolici sono ancorauniti coni fratelli separati: “Poiché dove sono due o 357 Cf. L. ANTINUCCI, Ecumenismo, PIEMME, Casale Monferrato 1991; PCPUC, Direttorio per

l'applicazionedei principie delle normesull'ecumenismo, 25.3.93, e, dello stesso Consiglio, il documento La dimensione ecumenicanellaformazionedichisi dedica al ministeropastorale, 1997. 338 Il testo si trovaall’interno del libro W. KASPER, L'ecumenismospirituale. Linee-guida per la sua

attuazione, Città nuova, Roma 2006.

339 Cf. W. KASPER,Vie dell'unità, p. 223.

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tre adunati nel nome mio, ci sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20)» (n. 8/3). Con finezza

teologica, Giovanni Paolo II batteva sullo stesso tasto per sottolineare il valore speciale della preghiera fra cristiani di diverse confessioni: «La preghiera, la comunità di preghiera, ci permette sempre di ritrovare la verità evangelica delle parole “uno solo è il Padre vostro” (Mt 23,9) (...). E poi: “Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). La preghiera “ecumenica” svela questa fondamentale dimensione di fratellanza in Cristo, che è morto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (UUS 26/1). Abbiamo già accennato alle origini storiche della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani; ma i cristiani di diverse confessioni — anche i cattolici (cf. Direttorio, nn. 108-115) - possono riunirsi per pregare insieme anchein tante altre occasioni*4%. Tanto in questa, quanto in altre attività di tipo interconfessionale, si devono evitare sia la strumentalizzazione proselitista dell’evento, sia l'indifferenza(cf. Direttorio, n. 23).

ecumenismo spirituale non consiste solo nelle preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, ma soprattutto nella «conversionedel cuore» e nella «santità di vita» (UR 8/1). Non si può dimenticare chealla radice di ogni disunione c’è sempreil peccato; ne deriva che i mezzipiù efficaci per superare le distanze e ristabilire la comunione saranno quelli che mirano più direttamente ad eliminareil peccato attraverso la conversionedei cuori. In questa direzione si muoveil Concilio quandoribadisce: «si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio

promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione deicristiani, quanto più studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo» (UR 7/3). La santità personale dei fedeli sarà quindiil mezzopiù efficace perla ricostituzione dell’unità, perché amore e verità convergono e, a breve o a lungo termine, coincidono. D'altra parte, «la necessità della conversione del

cuore» (UUS 15/1) per l’esercizio di un vero ecumenismovaintesa in tutta la sua profondità, in modo tale da includere il perdono (tanto implorato quanto ricevuto) per le offese reciproche, e anche qualcosa su cui Giovanni PaoloII hainsistito molto negli ultimi anni del suo pontificato: la «necessaria purificazione della memoria storica» (UUS 2/3). Il perdono

delle colpe, infatti, riguarda non solo quelle personali, ma anche quelle dei cristiani che ci hanno preceduto, specialmente quando esse si sono incarnate in strutture peccaminose che hannocontribuito alla divisione della Chiesa o al suo rafforzamento. Nell’omelia pronunciata nella Messa della giornata del Grande Giubileo del perdono, il 12 marzo 2000, Giovanni

Paolo Il disse coraggiosamente: «non possiamo non riconoscerele infedeltà al Vangelo in cui sono incorsi certi nostri fratelli, specialmente durante il secondo millennio. Chiediamo

340Nei nn. 26-31 del Vademecumsi suggeriscono diversi momenti e modalità per questi incontri di preghiera. 117

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perdonoperle divisioni che sono intervenutetrai cristiani, per l’uso della violenza che alcuni di essi hannofatto nel servizio alla verità» (n. 4)34!,

La piena comunione, quindi, non è solo una questione di convergenza, ma di conversione, tanto personale quanto comunitaria (cf. UUS 15/2). La conversione conferisce

all’ecumenismo la “pietra di paragone” della retta intenzione, allontanandolo da desideri svianti di “monopolio”, di dominio o d’indifferentismo, dotandolo invece dell’intento sincero

di comunicare a tutti i cristiani l’intero patrimonio dei beni della salvezza. La santità personale, unita al fervente amoreperla verità, spinge necessariamenteversolacattolicità: sia in senso quantitativo (il desiderio di avvicinare tutti a Cristo, senza alcuna discriminazione) sia in senso qualitativo, come apertura universale della verità posseduta. Infine, la coraggiosa confessione della verità del Vangelo fino all’effusione del sangue, particolarmente frequente durante le persecuzioniversoi cristiani delle diverse confessioni, perpetrate nel corso del XX secolo, si è configurata, in certo modo, come “ecumenismo dei martiri”, dal momento che la

piena comunioneesistente fra loro in cielo è stata preceduta dalla fedeltà personale alla fede fino all’estremo del martirio. Anzi, e ancora con parole di Giovanni Paolo II, possiamo dire che «l’ecumenismo deisanti, dei martiri, è forse il più convincente», perché «la communio

sanctorumparla con vocepiù alta deifattori di divisione» (TMA 37/3). 6.2. Mutuaconoscenza,relazioni reciproche e collaborazioneistituzionale Si tratta di temi di particolare importanza nella formazione ecumenica. Oltre allo studio delle origini e dell’attuale situazione delle altre confessionicristiane — libero da pregiudizi e fuori da un’ottica polemico-apologetica —, si tratta di apprezzare sinceramentei valori positivi presenti in esse, evitando atteggiamenti contrari al dialogo, tanto nell’ambito dell’intolleranza discriminatoria e della chiusura mentale, quantoin quello del sincretismoindifferenziato e del confusionismoreligioso?42. Le relazioni personali e istituzionali con gli altri cristiani vanno curate non solo come una questione di cordialità umana, ma come conseguenza della comunione già in atto, sebbene imperfetta, che richiama il rapporto di fraternità reciproca propriodeicristiani. Quanto appena detto resterebbe solo in superficie se la formazione ecumenica non permeasse l’intera teologia e la spiritualità, in modo da modellare una forma mentis aperta ad

341 Insegnamenti di Giovanni Paolo II 23/1 (2000), p. 353. Sulle colpe riguardanti le divisioni dei cristiani e la violenzadaesse scaturita, e sulla coerenza di chiedere perdonooggiper fatti compiuti nel passato,

cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Documento Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le

colpe del passato, 7.3.2000,nn. 5.2-5.3 32 Cf. PCPUC, La dimensione ecumenica nella formazione di coloro che lavorano al ministero pastorale, 1997,n. 7. 118

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altre tradizioni, pur senza tradire la propria. Si riesce così ad evitare il pericolo di un'eventuale spaccatura fra teologia e prassi ecumeniche.Tale è l’orientamento presentato nel documento pubblicato nel 1997 dal PCPUC, intitolato La dimensione ecumenica nella

formazionedi coloroche lavoranoal ministero pastorale. Sul versante della collaborazione fra le diverse Chiese e comunità ecclesiali — argomento di sempre maggior attualità, anche al fine di far fronte comune all’onda di secolarizzazione aggressivae, talvolta, di aperta persecuzione —,si è raggiunto un importante traguardo, a livello europeo, con la Charta Oecumenica. Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa, pubblicata il 22 aprile 2001 congiuntamente dalla Conferenza delle Chiese europee (alla quale appartengono la maggior parte delle Chiese ortodosse, anglicane, riformate e veterocattoliche) e dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee (che raggruppa gli episcopati cattolici). In essa le Chiese e le comunità firmatarie s’impegnano a lavorare insieme per favorire o per difendere, fra l’altro, la libertà religiosa,i diritti delle minoranze,i valori fondamentali all’origine dell'Europa, la soluzione nonviolenta dei conflitti fra le nazioni e la salvaguarda del creato, e per contrastare tutte le forme di antisemitismo. A livello locale, la collaborazione fra cristiani di confessioni diverse può

prendere corpo mediante varie forme d’iniziative congiunte, come lo scambio d’informazioni, l’attuazione di operedi carità, la difesa dei buoni costumi, e le altre possibilità delle quali si

parla nei nn. 45-48 del Vademecum. 6.3. Il rinnovamentoistituzionale Il camminoverso l’unità riguarda tutte le parti coinvolte, nel senso che tutte — anche la Chiesa cattolica — devono riformare ciò che è di ostacolo alla vera unità (cfr. UR 6, UUS 16).

Si può dire che per un fruttuoso ecumenismo adextra è indispensabile intraprendere un sano ecumenismo ad intra, attraverso la purificazione e il rinnovamentodella propria istituzione. Non si tratta quindi di attuare riforme diplomatiche, secondo una politica di mutue concessionial fine di ridurre le differenze, quanto piuttosto di avviare un doppio movimento, forse apparentemente contraddittorio, ma che in realtà incarna il concetto autentico di tradizione viva: si tratta di “risvegliare la forma originale” (ri-forma), applicandola adeguatamente alle circostanze attuali. La riforma, in sostanza, guarda simultaneamente indietro ed avanti, e la sua correttezza è misurata dalla fedeltà. «Ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione» (UR 6/1), e questa

fedeltà riguarda sia il Vangelo unico e perenne,sia l’uomo contemporaneo. Se da ogniparte si accentuasse lo sforzo per tornare alle origini, si potrebbe pensare chelici ritroveremmotutti, 119

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dato che tutti i cristiani provengono dalla stessa fonte; contemporaneamente, le esigenze attuali della missione della Chiesa ci dovrebbero spingere a trovare la “veste comune” più adeguata per svolgerla conefficacia.

Ricordiamo che spesso, com’è attestato dalla storia, le divisioni nella Chiesa sono la conseguenza di periodi troppo prolungati d’insofferenza risentita, di paralisi pastorali, di corruzione mascherata, di

situazioni bisognose di

una riforma,

la quale,

rimandata

continuamente all’indomani, giunge al punto di generare il sospetto che non la si voglia attuare. Saggiamente perciò il Vaticano II ha parlato di Chiesa sempre purificanda (LG 8/3), poiché con una purificazione incessante si può evitare che gli aspetti negativi prendano corpo; le riforme che comportano cambiamentiestremirischiano di scivolare verso lo scisma, perché si oscura la continuità col passato e si genera più facilmente la sensazione di rottura. A tal proposito, resta ancora valido ciò che scriveva Congar nel 1950 nelsuo celebrelibro Vera e falsa riforma nella Chiesa, sulle quattro condizioni per avviare una riforma senza scisma. In una riforma siffatta deve primeggiare la dimensione pastorale, senza che la motivazione riformista proceda dalla mera speculazione teoretica; si deve restare nella comunione del tutto, sia nel senso del rispetto e sottomissione all’autorità gerarchica, sia nel senso di essere

congiunti con tutte le parti integranti del tessuto ecclesiale; si deve avere pazienza e non lasciarsi tentare dalla via rapida dei “fatti compiuti”; occorre infine rispettare il principio della

tradizione, nella quale l'evoluzione verso il bene procede dal doppio movimentodiritorno alle fonti, da una parte, e dallo sviluppo in continuità, dall’altra, evitando, inoltre,

l’introduzione

di

novità

assolutamente

scollegate

col

passato,

che

produrrebbero,

ipoteticamente, un “adattamento meccanico”, non “naturale”, il quale alla fine si rivelerebbe nocivo34. Occorre anche tener presente che la riforma non è solo un rimedio necessario per eliminare o arginare le conseguenze del peccato, ma scaturisce spontaneamente dal fatto che la Chiesa è un’istituzione incarnata nella storia34. Essa quindi non riguarda ciò che viene da Dio, ma quanto nella Chiesa viene dall’uomo; «è la Chiesa in quantoistituzione anche umana

e terrena che deve essere riformata»345. Gli eventuali aspetti da riformare possono includere i mores (sia in senso morale, sia inteso come pratiche tradizionali, comportamenti generali, ecc.), la disciplina canonica, le istituzioni “di diritto ecclesiastico”, ecc., senza comunque

343 Cf. Vera e falsa riforma nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1972, pp. 175-266; itolo originale: Vrai e fausse réforme dans l’Eglise, Paris 1950. 344 Cf. G. CERETI, Ecumenismo. Corso di metodologia ecumenica, p. 53

345 Cf. ibidem, p. 48. 120

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dimenticare che il rinnovamento istituzionale riceve il suo impulso dal rinnovamento spirituale34: altrimenti è destinatoal fallimento.

Sebbene la Chiesacattolica affermi di possedere senza difetto l’intero patrimonio della verità rivelata, il rinnovamentoistituzionale riguarda anche l’aspetto dottrinale: non in vista di concessioni alla fede, ma alle sue espressioni e al giusto equilibrio tra i suoi contenuti. Ricordiamo come la Dei Verbum del Vaticano II parla di «questa tradizione, che trae origine dagli apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito santo: infatti la comprensione,tanto delle cose quanto delle parole trasmesse,cresce (...) conla riflessione e lo studio deicredenti, i quali le meditanoin cuorloro»(n. 8/2). La tradizionecristiana, infatti, ha conosciuto un legittimo sviluppo dottrinale, tema che trovò grandi assertori in J.A. Mòhler e in J.H. Newman. Si può considerare come esempiodi un riuscito rinnovamentodottrinale la rivalutazione del sacerdozio comune dei fedeli, operata a partire dall’ultimo concilio:

argomento molto sentito nell’ambito delle comunità ecclesiali sorte a partire dalla Riforma. Lo stesso si potrebbe dire rispetto alla conquistata rilevanza del ministero della parola, processoiniziato a partire dal Concilio di Trento, e che nell’ultimo concilio ha ricevuto nuovi impulsi. Esistono altre aree dove questo genere di operazione è ancoraagli inizi: si pensi alla pneumatologia, al rinnovamentodella teologia morale, ecc. Fra le istituzioni da rinnovare spicca, per la sua centrale incidenza nel dialogo ecumenico, quella del primato romano. Paradossalmente, il ministero petrino di comunione è diventato l’ostacolo più grande nel camminoverso la piena comunione?47. Lo stesso Giovanni Paolo II ha ricordato la difficoltà che costituisce il primato romanoperglialtri cristiani (cf. UUS 88), e ha incoraggiato lo studio teso a «trovare una formadi esercizio del primato che,

pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova» (UUS 95/2)348. Si tratta di un approccio squisitamente ecumenico, perché

346 Cf. S. SPINSANTI, Ecumenismo, Istituto di teologia a distanza “Ut unumsint”, Roma1982, p. 140.

347 Sonocelebri le parole di Paolo VI davanti all'assemblea dell'allora Segreteriato per l’unità dei cristiani, il 28.4.67: «il Papa, noi lo sappiamo bene, è senza dubbio l'ostacolo più grande sul cammino dell’ecumenismo»(Insegnamenti di Paolo VI 6 [1967], pp. 192-193).

348 L'appello papale è stato accolto con grande entusiasmo in ambito ecumenico e, durante gli anni

successivi,ci sono stati diversi convegniscientifici su questo tema; fra le diverse pubblicazioni si possonocitare CDF, Jl primatodel successoredi Pietro. Atti del Simposio Teologico (Roma, dicembre 1996), Libreria Editrice Vaticana, Roma 1998;J. PUGLISI(ed.), «Il ministeropetrino l’unità della Chiesa. Atti del Simposio (Roma, 46.12.97)», Studi Ecumenici 17/1 (1999); A. ACERBI(ed.), /! ministero del papain prospettiva ecumenica. Atti del colloquio Milano, 16-18 aprile 1998, Vita e pensiero, Milano 1999; ISTITUTO TEOLOGICO MARCHIGIANO, Atti dell'incontro ecumenico su «Il primato del Papa», Firmana 24 (2000), pp. 9-48; P. HUNERMANN(ed.), Papatoed ecumenismo.Il ministeropetrinoal servizio dell'unità, EDB, Bologna 1999; W. KASPER(ed.), // ministero petrino. Cattolici ed ortodossiin dialogo, Città nuova, Roma 2004.Sulla tematica del primatoingenerale,cf. inoltre M. MACCARRONE (ed.), 7/ primato del vescovo di Romanelprimomillennio. ricerchee testimonianze.Atti del Symposium storico-teologico (Roma,ottobre 1989), Libreria Editrice Vaticana, 121

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implica la distinzione del sostanziale («l’essenziale della sua missione» ) dall’accidentale,

suscettibile di mutamento («una formadiesercizio» che «si apre a una situazione nuova»)349, I nodi da sciogliere a livello dottrinale saranno menzionati più avanti. Bisognatener presente che la Chiesa cattolica ha riconosciuto con lealtà che le divisioni si sono prodotte «talora non senza colpa di uomini d’entrambele parti» (UR 3/1); riguardo alla responsabilità che può avere avuto la Chiesa cattolica da un punto divista dottrinale, si potrebbero annoverarele situazioni in cui una determinata dottrina non è stata esposta con la sufficiente cattolicità (nel senso di apertura universale), perché potesse essere correttamente intesa e accettata nei vari ambienti culturali. La cattolicità, e non solo rispetto alla dottrina,

acquista così un peso decisivo come punto di arrivo dell’ecumenismo. «Si tratta dell’integrazione nell’Una Catholica, che è una ed unica nonper povertà e isolamento, come una bimba orfana rimasta sola al mondo, ma per pienezza e totalità, affinché, animata dallo Spirito di Dio, riempia comelui il mondo»350, 6.4. Cattolicità della missionee sensibilità ecumenica «Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo popolodi Dio. Perciò questo popolo, restando unoe unico, si deve estendere a tutto il mondoe a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio ha creato la natura umana una, e vuole

radunare insiemeinfinei suoifigli, che si erano dispersi» (LG 13/1): così introduce la Lumen gentiumil discorso sulla cattolicità della Chiesa, incorniciandola nella volontà congregante di Dio. La cattolicità è descritta nella sua doppia dimensione estensiva ed intensiva; infatti, «il popolo di Dio nonsolo si raccoglie da diversi popoli, main se stesso si sviluppa l’unione di vari ordini» (LG 13/3). Per l’ecumenismo ha una peculiare importanza la cattolicità “intensiva”, in quanto legittima la diversità ammessanella Chiesa e, anzi, ne proclama la sua

necessità. Ciò non si può tradurre, tuttavia, in una considerazione negativa della cattolicità

“estensiva”. Come «sacramento universale di salvezza» (LG 48/2), la Chiesa è destinata ad offrire a tutti gli uominitutti i mezzi di salvezza; ne consegueche fra la cattolicità intensiva e

Roma 1991; J. RATZINGER,«Il primato di Pietro e l’unità della Chiesa», in Divinitas 36 (1992) 207-221; A.

GARUTI, Primato del vescovo di Roma e dialogo ecumenico, Pontificium Athenaeum Antonianum, Roma2000.

349 Lo studio di questo tema è troppo complicato per essere sviluppato in questa sede. Per una prima

approssimazione al problema della congiunzione fra le variabili forme storiche del primato il suo sostrato essenziale immutabile,cf. CDF, // primatodel successoredi Pietro nel mistero della Chiesa, 31.10.98, in EV 17, nn. 1588-1608, e il mioarticolo «Ermeneuticaconciliare ed ecclesiologia contemporanea», Annales Theologici 23/2 (2009), pp. 428-439. 350 Y. CONGAR,Chrétiens

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quella estensiva esiste un vincolo inscindibile, che non consente di promuoverel’una facendo a menodell’altra. Entro questa cornice ecclesiologica trova il suo assetto quanto già affermato in precedenza sulla non opposizione fra l’attività ecumenica e l’accoglienza di singole persone nella piena comunione cattolica. Distinguere senza opporre queste due realtà ha le sue ripercussioni rispetto al concetto — e all’attività — del proselitismo.

Inteso come

l’atteggiamento personale di colui che, mosso dalla comunione con Dio e coni fratelli nella fede, cerca di allargare questa comunioneadaltri fino alla piena comunionenella Chiesa, esso non può essere mai messo al bando, perché implicherebbe una contraddizione: la dimensione verticale della comunione (con Dio) si separerebbe dalla dimensione orizzontale (con gli uomini), spogliandola della componente diffusiva caratteristica di

ogni

comunione

autentica35!. Meno ancora potrebbe biasimarsi l’accogliere nella propria Chiesa coloro che,

dopo maturariflessione e per motivi di coscienza, decidono spontaneamentedi aderirvi: «una Chiesa, infatti, non può precludere la possibilità di una conversione individuale e non può respingere coloro che per sincera convinzione desiderano farne parte. Ciò sarebbe in

contraddizione con la missione universale della Chiesa»352. Diverso è il caso del proselitismo “di mala fede”, orchestrato istituzionalmente per sottrarre gruppi di fedeli alle altre confessioni e portarli verso la propria, attraverso l’inganno,

la diffamazione, la costrizione, o con una propaganda troppo aggressiva della propria confessione. In questo sensoil proselitismo — da unaparte e dall’altra — non può mai essere approvato, anzi, va severamente respinto. Per esempio, nel documento Testimonianza comune, proselitismo e libertà religiosa pubblicato nel 1968 dalla commissione Fede e Costituzione si legge al n. 8: «La parola (proselitismo) esprime qui gli atteggiamenti e i comportamenti non in armonia con la pratica della testimonianzacristiana. Il proselitismo abbraccia tutto ciò che viola il diritto della persona umana, cristiana o noncristiana, di rimanere libera da coercizioni esterne nelle questionireligiose; esso abbracciaaltresì tutto ciò che,nella proclamazione del Vangelo, non è in conformità con i modiin cui Dioattira a sé gli uominiliberiin risposta ai suoi appelli a servire inspirito e verità»353. Si tratta della stessa dottrina, pur senza ricorrere all’uso del termine “proselitismo”,

presente nella Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II. Lì si legge: «gli

351 Cf. N. BUX,Il quintosigillo. L'unità dei cristiani verso il terzo millennio, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 109.120.127; «Il proselitismoreligioso»(editoriale), in Civiltà Cattolica 1/3544 (1998), pp.319-328. 352 W. KASPER,«Leradici teologiche del conflitto tra Mosca e Roma», Civiltà Cattolica 3642/1 (2002), p.539 (sezione Checosasignifica proselitismo?).

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uomininonpossono soddisfare a questo obbligo (di cercare la verità) in modorispondentealla loro natura, se non godonodella libertà psicologica e nello stesso tempo dell’immunità dalla coercizione esterna» (DH 2/2). E più specificamente, «nel diffondere la fede religiosa e

nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri aver sapore di coercizioneo di sollecitazione disonesta o scorretta, specialmente quandositratta di personeincolte o bisognose» (DH 4/4).

Nondovrebbeessere considerato, invece, “proselitismo di mala fede”il solo fatto della diffusione di una determinata confessione cristiana (con l’invio di missionari, l'erezione di circoscrizioni ecclesiastiche per la cura dei propri fedeli, ecc.) sul territorio già “occupato” da un’altra confessione. Se così fosse, verrebbe meno la cattolicità rivendicata da diverse

confessioni (non solo da parte cattolica) come proprietà intrinseca della Chiesa, che richiama l’estensione anche in senso geografico.

Si tenga presente che il concetto di proselitismo è stato tradizionalmente inteso dalla Chiesa secondo il primo significato, corrispondente anche a quello attribuitogli dalla Bibbia354; Gesù, addirittura, non solo prende distanza da una valutazione negativa del proselitismo ebraico, ma colloca l’universalità della sua missione in continuità con lo spirito proselitista giudeo*55. Da alcuni anni, però,

è andato guadagnando terreno il secondo

significato del concetto di proselitismo,in parte a causa dell’influsso della terminologia in uso in ambito politico?59. Da qui la necessità della prudenza nell’uso del termine, tenendo conto della possibilità di essere fraintesi357. Infine, in tutti i casi prevale la libertà delle coscienze: «Bisogna rispettare i legittimi desideri di verità: l’uomo ha l’obbligo grave di cercare il Signore, di conoscerlo e di adorarlo, ma nessuno sulla terra deve permettersi di imporre agli altri una fede che non hanno; e, reciprocamente, nessuno può arrogarsiil diritto di porre ostacoli a chi ha ricevuto la fede di Dio»358.

353 EO1, nn. 385-386.

623.

354 C£. Mt 23,15; At 2,11; 6,5; 13,43; e C. GANCHO,s.v. Proseliti, in EB 5, nn. 1295-1297. 355 Cf. F. OCARIZ, «Evangelizacién, proselitismo y ecumenismo», Scripta Theologica 38/2 (2006), p.

356 C£. «Il proselitismoreligioso»(editoriale), Civiltà Cattolica 1/3544 (1998), p. 320. 357 Nel suo commentoalla Dichiarazionesullalibertà religiosa Dignitatis humanae del VaticanoII,il Card. J. Willebrands dice che «l’usage a donné à ce motdes résonancesdiverses. On peutcertesl’employer dans

un senspositif: il signifie alors tout effort pour faire des adeptes. Mais dans notre monde contemporain, le sens

péjoratif prévaut la plupart du temps, et le mot désignealors l’ensemble des efforts pour faire des adeptes à tout prix et par tous les moyensefficaces, sanstrop regarder à leur qualité»: J. HAMER - Y. CONGAR,Laliberté religieuse. Déclaration “Dignitatis humanae personae”. Texte latin et traduction francaise, Cerf Paris 1967, 246.

358 SAN JOSEMARIA ESCRIVA, Omelia La libertà, dono di Dio, 10.4.56, n. 32, in Amici di Dio. Omelie,

Ares, Milano 19884, p. 53. 124

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6.5. La compartecipazioneai beni spirituali È naturale che la communicatio in spiritualibus359 sia tema ricorrente in ambito ecumenico, visto che l’insieme dei cristiani ha in comunele realtà spirituali. Dalla dottrina cattolica sull’ecumenismo, così come è presentata dall’ultimo concilio, non è difficile trarre i

principi che regolano la pratica della communicatio în sacris fra cristiani di confessioni diverse. Essa dovrà rispecchiare una doppia realtà (cf. Direttorio, n. 104): 1) la vera

comunione esistente tra i cristiani, che può trovare espressione nella preghiera e nel culto liturgico; 2) il carattere incompleto di questa comunione (perle differenze nella fede), che impedisce una compartecipazione completa ai benispirituali. Questo doppio principio ci obbliga a discernere,tra i vari “benispirituali”, quelli che si conformano comeeredità spirituale in comune (ad esempio, la preghiera), da quelli che, peril fatto di significare e richiedere l’unità tra coloro che vi partecipano, non sono condivisibili da tuttii cris iani. Alcuni di questi ultimi, per ragioni pastorali — la sa/us animarum è sempreil principio prevalente —, possono essere condivisi in situazioni d’eccezione. Della preghiera in comuneperl’unità deicristiani abbiamogià parlato. Il Direttorio (nn. 116-121) regola inoltre la compartecipazione alla liturgia extrasacramentale (liturgia delle ore, esequie, ecc.). Rispetto alla vita sacramentale, è necessario distinguere le Chieseorientali (che possiedono l’episcopato e l’Eucaristia) dalle altre confessioni cristiane. Con le prime,

quandolo suggerisca una vera necessità spirituale (mancanza di un ministro proprio e urgenza del momento) e non esista pericolo di errore, scandalo o indifferenza, è possibile — da

entrambele parti — ricevere da un ministro di confessione diversa i sacramenti dell’Eucaristia, della penitenza e dell’unzione degli infermi. I fedeli devono chiederlo spontaneamente, senza che sia occasionedi proselitismo da nessunadelle parti (cf. Direttorio, nn. 122-128). Rispetto alle altre confessioni cristiane, la disciplina è più restrittiva ed è legata alla retta fede su questi stessi sacramenti e alla loro eventuale validità:

temi molto variabili, che

impediscono di sancire unadisciplina generale. Il Direttorio ne enuncia i principi generali nei nn. 129-1365390, Si tenga presente che i casi appena accennati sono da considerarsi eccezionali, e non mezzi di attività ecumenica. La partecipazione ai sacramenti, comesi è già detto, richiede la previa unità completanella fede, poiché essi non solo conferiscono la grazia, ma significano anche l’unità della Chiesa. La comunepartecipazione ad essi da parte di persone di diversa

359 È questa una nozione più ampia che la communicatio in sacris, la quale, a rigor di termini, include

solo i sacramenti.

360 La disciplina che regola i matrimoni misti è troppo estesa peresseretrattata qui: può essere consultata

nel Direttorio, nn. 143-160. Cf.inoltre la legislazione canonica in CIC cann. 1124-1129 e CCEO cann. 813-816.

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fede, impostata come prassi regolare, entrerebbe in collisione con il senso dell’economia sacramentale. 6.6. Comunioneeucaristica e comunioneecclesiale L’Eucaristia è il sacramento dell’unitas Ecclesiae, e per questo la Chiesa proibisce in modo assoluto la concelebrazione eucaristica tra ministri di diverse confessioni, compresi anche coloro che possono celebrarla in modo sacramentalmente valido (cf. CIC 908; CCEO

702). Comeè stato recentemente ribadito dal magistero, «l’intimo rapporto esistente tra gli elementiinvisibili e gli elementi visibili della comunioneecclesiale è costitutivo della Chiesa come sacramento di salvezza. Solo in questo contesto si ha la legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera partecipazione ad essa. Perciò risulta un’esigenza intrinseca all’Eucaristia che essa sia celebrata nella comunione, e concretamente nell’integrità dei suoi vincoli» (EdeE 35). In coerenza con quest’asseverazione, più avanti lo stesso documento

ribadisce, a proposito della concelebrazione, che «proprio perché l’unità della Chiesa (...) ha l’inderogabile esigenza della completa comunionenei vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico, non è possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica fino a che nonsiaristabilita l’integrità di tali vincoli» (EdeE 44). Questa posizione forte della Chiesa cattolica non è semplicemente una questione disciplinare, che potrebbe forse nel futuro mutare. La Chiesa si sente legata ad una tradizione già presente nel cristianesimo primitivo. In At 2,42 troviamo abbinati «l'insegnamento degli apostoli» con «la frazione del pane», e nel più antico racconto della sinassi eucaristica, quello della 1Cor,si dice: «chi mangia e beve(il corpo il sangue del Signore) senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11,29). «Riconoscere il corpo» non comporta solo distinguere l'Eucaristia dal pane comune, ma intendere la comunità

ecclesiale

come

corpo

del

Signore.

Ossia,

l’accesso

all’Eucaristia è condizionato

dall’accettazione della comunità nella sua unità, come corpo unico, come unica Chiesa (tale era proprio il problema della comunità di Corinto, descritto nel primo capitolo della

lettera)35!. I successivi testimoni antichi sulla vita dei cristiani confermano e consolidano questa prassi; la Didaché (9,5) avverte: «Nessuno però mangi né beva della vostra eucaristia

se non i battezzati nel nomedel Signore, perché anche riguardoa ci il Signore ha detto: Non

361 In questa sede non è possibile entrare nell’intero dibattito esegetico su questo versetto. Non è

comunquedifficile intravedere come entrambele interpretazioni («corpo»inteso 0 come la personadi Cristo

presente nell’Eucaristia o come la vera Chiesa) siano legittime e complementari, addirittura richiamandosi l’una

all’altra. Per una bibliografia specifica, cf. P. GOYRET, «Cuerpoeucaristico y cuerpoeclesial: la communicatio in sacris enla Enc. Ecclesia de Eucharistia», Annales Theologici 19/1 (2005), pp. 151-1 126

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date ciò che è santo ai cani»; nella I Apologia di san Giustino(n. 66,1) si legge: «Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede chei nostri

insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato». Il condizionamento della comunione eucaristica alla comunioneecclesiale diede luogo in epocapatristica alle litterae communionis nelle

loro

diverse

varianti

(/itterae

communicatoriae,

litterae.

pacis,

litterae

recomendationis...), mediante le quali i cristiani in viaggio erano riconosciuti come pienamente appartenenti alla Chiesa e potevano quindi essere accolti alla comunione eucaristica392, In tale contesto si capisce comeil concetto di “scomunica”, prima di acquistare pregnanzagiuridica, sia nato significando l’esclusione dall’Eucaristia e dall’altare. La liturgia odierna esprimein positivo queste idee con il rito della pace immediatamente anteriore alla comunione; comesi dice nell’Ordinamento Generale del Messale Romano(n. 82), conil rito della pace «la Chiesa implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento». A livello di riflessione teologica, su questo argomento concorrono tre aspetti che conviene menzionare, pur sinteticamente. Da una parte, la distinzione fra comunione imperfetta, fondata sul vincolo genuinamente ecclesiale proveniente dal battesimo, e la piena comunione nella fede, nel culto e nella gerarchia, necessaria per la partecipazione all’Eucaristia. Sebbene la comunione battesimale «è ordinata alla piena comunione ecclesiale», come ci ricorda il Direttorio (n. 22), quest’ultima non è unarealtà scontata a

partire della prima. Come ha affermato Congar, «si comprende che, uniti nel battesimo,si possanonesserlo nell’Eucaristia. Perché questa è, in rapporto al battesimo, consumazione e, in rapporto al mistero della Chiesa, pienezza»>93. In secondo luogo, occorre prendere atto che l’esigenza reciproca fra comunione eucaristica e comunione ecclesiale è conseguenza dell’unica comunionenella verità; esiste infatti «un’interdipendenzaontologicafra la pienezza della rivelazione del Logos e la pienezza della sua presenza nel Sacramento dell’Altare(...). Nonsi possono perciò separare comunione eucaristica e comunione nella verità»3%. Infine, sebbene quantodetto finora riguardi tanto i fedeli quanto i ministri, le eccezionialla disciplina

362 Cf.

PERETTO, Lettere di comunione, in A. DI BERARDINO (ed.), Dizionario patristico e di

antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato 1983, II, col. 1939-1940. Più informazioni in L. HERTLING, Communio. Chiesa e papato nell'antichità cristiana, Libreria Editrice della Pontificia Università Gregoriana, Roma1961, pp. 16-22. 363 Y. CONGAR, Uniti nel battesimo, disuniti nell’Eucaristi

problemi, CNE, Roma 1986, p. 224.

in Saggi ecumenici. Il movimento, gli

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generale per i primi (menzionatenella sezione precedente) non possonoapplicarsi ai secondi, soprattutto per il loro diverso ruolo nell’assemblea eucaristica. Il ministro, come dice LG

10/2, «compieil sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nomeditutto il popolo», e questo lo fa esercitando la repraesentatio Christi capitis et Pastoris (PDV 15/4), una funzione rappresentativa assente nei semplici fedeli. Un’ipotetica concelebrazione interconfessionale rappresenterebbe sacramentalmente un’unità piena inesistente, e perciò risulterebbe una situazione assurda. Il ricorso all’intereomunione come modo di promuoverel’unità deicristiani va pertanto respinto senza mezzi termini365, È falso affermare che, visto che “l’Eucaristia fa la Chiesa” (quindi la sua unità), conviene celebrarla insieme per accrescerne l’unità. Questo assioma, di origine patristica366, è inseparabile dalla sua contropartita “la Chiesa fa l’Eucaristia” (anch’essa di origine patristica), dove “Chiesa” va intesa nella sua pienezza di vincoli di comunione. Perciò il Decreto Unitatis redintegratio (n. 22/2) afferma che «il battesimo è

ordinato all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto e, infine, alla integra inserzione nella comunione

eucaristica»: il processo che porta dal battesimo all’Eucaristia (infine, dice il testo) passa necessariamente per l’integra professione della fede e per l’integra incorporazione nella Chiesa. Per celebrare fruttuosamente l'Eucaristia è necessaria, in definitiva, una realtà previa

di Chiesa, nell’unità di fede e di comunione. 6.7. Il dialogo teologico e la sua ricezione L’unità nella piena comunione non può che scaturire dall’unità nella fede; senza

quest’ultima, si potrebbe al massimoarrivare ad unapiù stretta collaborazione su temisociali, morali,

ecc.,

fra le diverse Chiese

e comunità ecclesiali,

ma l’obiettivo ultimo

dell’ecumenismo — la piena comunionevisibile nell’unica Chiesa — resterebbe nell’oblio. Perciò le diverse confessioni cristiane si sono impegnate in un dialogo teologico fraterno e

593.

364 P. RODRIGUEZ, «La Eucaristfa y la unidad de la Iglesia», Scripta Theologica 7/2 (1975), pp. 592-

365 Estato opportunamentedetto che l'uso del vocabolo “intercomunione”«è addirittura contraddittorio quandosi vuoldire che nell’intercomunione comunicano insieme nel sacramentodeicristiani che, peril resto, non sono in comunione: inter nega ciò che afferma comunione»: S. SPINSANTI, Ecumenismo, p. 143. Un’autentica ecclesiologia di comunione rimane sconcertata e ferita davanti alla dilatazione del lessico sviluppatasi in questo contesto: si parla di intercelebrazione, intercomunione, ospitalità, comunione aperta, comunione aperta reciproca, comunione aperta limitata, comunione chiusa... Cf. C. O*DONNELL, s.v. «Intercomuniòn», in C. O*DONNELL- S. PIÉ NINOT(edd.), Dicionario de eclesiologia, San Pablo, Madrid 2001, p. 575. 366 Sul rapporto Chiesa - Eucaristia nella patristica e nel medioevo, cf. H. DE LUBAC, Corpus mysticum.

L'eucarestia e la Chiesa nel Medioevo, Jaca book, Milano 19962,pp. 33-159. 128

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sincero sui problemidottrinali che le dividono, al quale, come già detto, la Chiesa cattolica partecipa a pieno titolo397. I dialoghi e i loro rispettivi documenti sono di vario genere, e non sempre sono di carattere

strettamente

dottrinale

(come

le

chiarificazioni

storiche,

gli

accordi

di

collaborazione, ecc.). Si possonosvolgere a livello locale o internazionale, e quando tutte (o quasi tutte) le confessioni sono coinvolte, solitamente hanno luogo in seno alla Commissione

Fede e Cos tituzione del CEC388, Più abbondanti sono però i dialoghi bilaterali fra due confessioni determinate, anche perché dal coinvolgimento di duesoli interlocutori risulta una minore divergenza sugli argomentida trattare. Nel capitolo I sono stati menzionatii principali documenti di dialogobilaterale fra la Chiesa cattolica e le altre confessioni899; adesso occorre

piuttostoriflettere, anche se brevemente,sulla natura di questi dialoghi. Essi si svolgono fra esperti designati ufficialmente dalle rispettive Chiese o comunità. Nelle conversazionisi tenta di superare le divergenze confessionali risalendoalle radici della fede, attraverso un leale confronto con la Sacra Scrittura e con le tradizioni della propria Chiesa, cercando anche di smorzare le eventuali unilateralità

e parzialità, inserendole nel più

vasto orizzonte dell’insieme della Tradizione. Spesso ciò si traduce primariamente in una conoscenzapiù autentica della propria tradizione, e questo è già un grande bene. Daparte cattolica, la magna carta dei dialoghi ecumenici è un documento pubblicato il 15.8.70 dall’allora Segretariato per l’Unità dei Cristiani, intitolato Riflessioni e suggerimenti circa il dialogo ecumenico? La natura di questo dialogo è qui descritta nei seguenti termini: «il dialogo esiste, tra persone o tra gruppi, quando ogni partecipante ascolta e risponde al tempostesso, cerca di comprenderee di farsi comprendere,interrogae si lascia interrogare,si mette a disposizione e accoglie gli altri, a proposito di una situazione, di una ricerca, di un’azione, allo scopo di avanzare insieme verso una più grande comunione di vita, di vedute,

367Il dialogo ecumenicoa livello dottrinale è diventato molto più faticoso di quanto prospettato ai tempi

dell’ultimo concilio. Per alcuni ciò si è tradotto in un certo scoraggiamento, che li ha condotti a proporre l’abbandono del dialogo dottrinale, per concentrare gli sforzi sulla comune collaborazione in temi di ordine moralee sociale (cf. K. RAISER, «Thirty Years in the Service of the Ecumenical Movement: The Joint Working Group betweenthe Roman Catholic Church and the World Council of Churches», in Centro Pro Unione Bulletin

48, Fall 1995). Non sembraperò unastrategia adeguata; giàagli albori del movimento ecumenicosi era tentata

una cosa simile con il movimento Vita ed azione, ma conrisultati molto effimeri. Fu un'esperienza che servì proprio per accorgersi della necessità di una fede comune comesostrato necessario per un’azione comune.

368 Il frutto più apprezzato del dialogo multilaterale è il cosiddetto Documento di Lima (Commissione

Fede e Costituzione, Battesimo, Eucaristia, Ministero, Lima 1982, in EO 1, nn. 3032-3181). Seguì poi un

interessante documentodistudio intitolato Confessando l’unica fede. Verso una spiegazione ecumenica della fede apostolica espressa nel Credo Niceno-Costantinopolitano (381), pubblicato in 1987 e destinato ad essere continuamente migliorato con l'apporto di tutte le comunitàcristiane.

369 Occorrerebbe tener presente anchel’esistenzadei dialoghibilaterali fra le diverseconfessioni cristiane

non-cattoliche; l'argomentooltrepassa peròi limiti di queste pagine.

370 EV 3, nn. 2686-2756.

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di realizzazioni. Ciascuno degli interlocutori è disposto a mettere sempre più a punto le sue idee, i suoi modi di essere e di agire, se gli sembra che la verità ve lo conduca. Così la

reciprocità e l’impegno comunesono gli elementi essenziali del dialogo»37!. Queste indicazioni non dovrebbero restare solo a livello di semplice cordialità; esse vanno accolte all’interno della concezione cristiana della fede, la quale è intesa comeil

risultato di un dialogo fra Dio e l’uomo,fra il Dio che interpella e l’uomo che risponde. A questo si aggiungeil carattere intrinsecamente dialogico della Chiesastessa, radicato nella sua natura comunionale, dalla quale deriva necessariamente la comunicazione come suo aspetto dinamico. Tutto ciò presuppone necessariamente anche la libertà religiosa. Con parole del Card. Willebrands, «non è malgrado la nostra ecclesiologia che noi professiamo la libertà religiosa, ma proprio a ragionedella nostra dottrina sulla Chiesa»372, In questo contesto, occorre prendere distanza da ogni formadi sincretismo in nomedi un dialogo erroneamenteinteso. «Il dialogo non produceverità, il dialogo scopre la verità che ci è data una volta per sempre in Gesù Cristo»373. L’ottica corretta, dunque, si allontana dall’ideologia del “dialogo relativistico”37, ma non dall’uso del dialogo come strumento di

conoscenza della verità. In questa direzione si esprime positivamente la Dich. Dignitatis humanae, quando parla del «dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongonoagli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di

avere scoperta» (DH 3/2). Esso va dunque visto «come un camminosucui la Chiesa cresce nella conoscenza della verità rivelata una volta per sempre e avanza verso una più piena comprensione della verità divina». Cristo, in definitiva, «è il compimento e la pienezza del dialogo, nonla sua fine o la sua soppressione»375. Analogamente vanno prese le distanze da ogni «falso irenismo, dal quale ne viene a soffrire la purezza della dottrina cattolica» (UR 11/1), e dal quale si devonodistanziare anche i nostri fratelli separati. Un non cattolico di grande peso teologico, O. Cullmann,hascritto con buon senso: «considero comeil più grande pericolo attuale dell’ecumenismo la tendenza a dissimulare ciò che ci separa (...). Esiste da ambo le parti la pericolosa tentazione di considerare come manifestazione di spirito particolarmente ecumenico, le discussioni nelle quali i partecipanti spostano facilmente gli accenti, in maniera di

imilarli fra loro. In realtà

ST EV3, n.2701

372 J. Willebrands, «Lalibertà religiosa e l’ecumenismo», in J. HAMER - Y. CONGAR (edd.), La liberté

religieuse. Déclaration “Dignitatis humanae personae”. Texte latin et traductionfrancaise, Cerf Paris 1967, 245.

373 W. KASPER,Levie dell'unità, p. 56.

374 Cf. W. KASPER, Harvesting the Fruits, p. 6. 375 W. KASPER,Le viedell'unità, pp. 56 e 59.

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questi spostamenti, benché appaiano di poca importanza, falsano sovente la verità, generano illusioni e nuocciono alla causa ecumenica, poiché prima o poi, si concludono in grandi disillusioni»?76, Lo svolgimento dei diversi dialoghi nel corso del periodo postconciliare ha messo in evidenza l’importanza d’individuare una metodologia che riesca ad ottenere risultati più consistenti. Finora gli sforzi di sono avviati in gran parte puntando verso un “consenso differenziato”. Con parole di K. Koch, «secondo questo metodo, da un lato il consenso raggiunto nel dialogo su un contenuto fondamentale di una dottrina del passato controversa viene formulato e articolato congiuntamente; dall’altro, si menzionano in maniera altrettanto

chiara le differenze che permangono, mostrando che esse non minano il consenso raggiunto e non sono più differenze che causano una divisione tra le Chiese, ma devono essere ulteriormente approfondite dal dialogo teologico futuro»377. Questo metodo è stato criticato

sotto diversi aspetti e sembrerebbe subire un certo rallentamento dall’inizio del nuovo millennio, ma è lo stesso Koch ad incoraggiare il suo uso, «soprattutto se è animato dalla “ermeneutica della reciproca fiducia”»378. L’importanza della questione metodologica prende più corpo davanti al fenomeno dell’“ecumenismodeiprofili”, in crescita durante gli ultimi anni, consistente nella rinnovata ricerca della propria identità confessionale, realizzata però in contrasto con quella delle altre

Chiese??°. Il panorama diventa ancora più complicato se consideriamo la controversa individuazione dell’obiettivo dell’ecumenismo, che, specialmente fra le comunità cristiane

provenienti dalla Riforma, non consisterebbe più nella comunione visibile nella fede, nel culto e nella gerarchia, ma nel riconoscimento reciproco delle altre Chiese come Chiese, senza che ciò comporti mutamenti da nessuna dalle parti380, Questo è ciò che è stato denunciato da K. Lehmann come «eresia spirituale»38!. Si comprende la desolazione dell’ecumenista protestante H. Meyer quando avverte del «pericolo della dimenticanza ecumenica», allorché «ciò che abbiamo già conseguito nel dialogo diventa incerto e ci sfugge

Ide», p. 192.

376Testo pubblicato in Documentation catholique, giugno 1965, col. 1115; la citazionein italiano è presa if AresMilano196824-25

377 K. KOCH, «Sviluppi ecumenici e nuovesfij

378 Ibidem.

2-193. ine?», Katholische Nachrichten Agentur - Okumenische

379 C£. K. KOCH,«Sviluppi ecumenici», pp. l 380 Cf. ibidem, pp. 193-194. 381 «Wie viel Hoffnung bringt die Okum

Information 20-21 (2010),p.8.

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nuovamente, quando ciò che abbiamoraggiuntosi disperdee si volatilizza di nuovo, comese nonci fosse mai stato»882, Una proposta metodologica più recente punta a ritornareall’articolo ecclesiologico del simbolo della fede — credo unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam —, confessato da tutte la parte implicate nel dialogo ecumenico, per metterlo a fuoco alla luce della sacramentalità della Chiesa e del richiamo reciproco di ciascuna delle quattro proprietà rispetto alle altre. Nel sottofondodi questa propostasi trovail testo di LG 8/2,nell’ambito del quale molta attenzione è stata finora rivolta alla celebre frase subsistit in. Tuttavia, non

sempresi è tenuto sufficientemente presente il fatto che i «parecchi elementi di santificazione e di verità» esistenti anche «al di fuori del suo organismovisibile (della Chiesa cattolica) », fra cui le quattro proprietà, «quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica». In questo modo, i termini del dialogo non s’impostano situandole posizioni di una confessione di fronte a quelle di un’altra, ma confrontando ognuna di esse con la verità rivelata. Si procede perciò portando fino in fondo la coerenza con la propria tradizione, la quale dovrebbe trovare nel simbolo della fede il paragonedi fedeltà383,

Il frutto del lavoro delle commissioni di dialogo ecumenico può cristallizzare in documenti di vario tipo: dichiarazioni congiunte di accordo, relazioni sul lavoro svolto,

rapporti conclusivi, ecc. Spessosi trovanodelle frasi (o lo stesso titolo del documento) molto misurate sul grado di accordo raggiunto: si parla così di una

“convergenza”, di una

“dichiarazione concordata” (agreed statement), di un “pieno consenso” (fu/! agreement), di un “accordo sostanziale” (substantial agreement), ecc. Anche l’intero linguaggio di questi documenti è molto sfumato ed a volte volutamente generico, nel tentativo di arrivare ad un accordo condivisibile da entrambe le parti, ma che può rischiare di ridurre la sostanza dell’accordo. Per l’ermeneutica di questi documenti occorre vagliare non soltanto gli aspetti appena riferiti, ma anche il grado di ricezione nella rispettiva Chiesa. Molti di questi restano come documenti di esperti in materia, e come tali «hanno un valore intrinseco, in ragione della

competenza e dello statuto dei loro autori» (Direttorio, n. 178). Ma affinché essi possano condurre veramente al ristabilimento della comunione ecclesiale, è necessario che vengano

«approvati dalle competenti autorità ecclesiastiche» (ibidem). Spessosi tratta di una questione complessa, che sotto molti aspetti esula dalla prospettiva strettamente dottrinale. Può succedere chele rispettive autorità ecclesiastiche abbiano le loro riserve su quanto accordato

382 Okumenische Perspektiven aus evangelischerSicht, in J. KRUGER - J.M. KRUSE(edd.), Unus fons, unusspiritus, unafides, Karlsruhe 2010, 234. 132

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previamente dalla commissionebilaterale di dialogo, e si sentano obbligate ad esprimerle in formadi chiarificazioni, di osservazioni, o di risposte?84. O può darsi, ed è auspicabile, che entrambele parti assumanoufficialmente l’accordo raggiunto, esso sia firmato dalle autorità competenti, e diventi così vincolante per la fase successiva del dialogo385. L’esperienza finora maturata indica che la ricezione dei frutti del dialogo ecumenico non è questione facile e scontata, e difatti negli ultimi anni essa emerge come motivo di preoccupazione e di riflessione. Fra le diverse difficoltà, non ultima è l’assenza di “simmetria” fra le diverse Chiese e comunità quantoal livello di ricezione e al tipo di vincolo ivi incluso. Mentre la Chiesa cattolica possiede un’istanza magisteriale vivente che funge da puntodi riferimento,i cui impegni sono stabili, molti dei partners del dialogo non hanno una configurazione istituzionale centralizzata in grado di prendere decisioni vincolanti, e perciò gli impegni a seguito di un accordo interconfessionale restano esposti ad eventuali cambiamenti. Occorre infine aggiungere che il processo di ricezione non è solo di carattere intellettuale; le dimensioniesistenziale, pastorale e spirituale non sonoindifferenti. «La vita dî fede e la preghiera di fede, come purelariflessione sulla dottrina della fede, entrano in questo processo diricezione, attraverso il quale, sotto l’azione dello Spirito Santo “che dispensa fra i fedeli di ogni ordine grazie speciali” (LG 12)e che più particolarmente animail ministero di coloro che insegnano,tutta la Chiesa fa propri i frutti di un dialogo, in un caminodiascolto, di sperimentazione, di discernimentoe divita» (Direttorio, n. 180). 6.8. L’espressionedella dottrina di fede Lastrada versola verità da tutti condivisa non è un camminofacile; sono stati appena accennati i problemi metodologici nell’elaborazione e nella ricezione dei documenti di dialogo. In fondosi tratta di far confluire, nella formulazione della verità, due qualità che possono apparire contrapposte, ma che debbono integrarsi armonicamente: la purezza e la

pienezza38. Quando,invece,si privilegia una ricerca smisurata e unilaterale della “purezza” della verità, si rischia di farlo a scapito della sua pienezza: il depositumfidei potrebbe restare,

383 C£. P. GOYRET,«Credo Ecclesiame rilancio ecumenico», Nicolaus 37/2 (2010), pp. 251-259.

384 Nel dialogo cattolico-anglicanotroviamo parecchi esempi, comele Osservazioni della Congregazione per la Dottrinadella Fede su «La salvezza e la Chiesa» (1989), reperibile in EO 3, nn. 234-259;la Risposta all'ARCICdella Conferenza di Lambeth (1988), in EO 3, nn. 269-277;la Rispostacattolica all’ARCIC I (1991), in EO 3, nn. 278-304;le Chiarificazioni su Eucaristia e ministero (lettera del Card. Cassidy ai copresidenti dell’ARCICII, 1994), in EO 3, nn. 315-317. 385 Si possonocitare come esempile dichiarazioni cristologiche fra la Chiesacattolica e alcune antiche Chiese orientali, e la dichiarazione congiunta fra la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale del 31.10.99. 386 Cf. Y. CONGAR,Chrétiens en dialogue, p. 180

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così, incompletamente raggiunto, ridotto esclusivamente al suo nucleocentrale. E viceversa, unaricerca sproporzionata della “pienezza” della verità è tendenzialmenteincline a trascurare

la sua purezza; si rischia di allargare — falsamente — il depositumfidei, oltrepassando i confini della rivelazione. Sul raggiungimento della verità nel rispetto di questo delicato equilibrio incidonoi tre principi-guida di cui ora ci occuperemo. Rispetto al principio della differenza tra espressione e contenuto, il Concilio ci avverte che «il modo e il metodo di enunciare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli» (UR 11/1). Si distingue così l’«enunciare» (il modo il metodo) dalla «fede cattolica» (il contenuto). In altre parole, non sono la stessa cosa «l’espressione di fede» — condizionata dal linguaggio, dalla cultura, dall’epoca, ecc., che può variare e ammettere diversità — e «la fede in se stessa», necessariamente unae unica,alla quale soltanto si riferisce l’atto di fede soprannaturale del credente (cfr. UUS 19). In questa linea si

muove gran parte del dialogo ecumenicoa livello teologico, ovvero alla ricerca di espressioni della fede che siano allo stesso tempo apostoliche (corrispondenti alla fede trasmessa dagli apostoli) e cattoliche (cioè, sufficientemente “aperte” alla comprensione e accettazioneditutti). Sitratta in realtà di uno degli sviluppi della tradizione di fede, così com'è esplicitata nella Cost. Dei Verbum del Vaticano II, quando dice: «Questa tradizione, che trae origine dagli apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito santo(...). La Chiesa, cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa giungano a

compimentole parole di Dio» (DV 8/2). In questo contesto si dovrebbe capire che, così comeall’interno dell’unica Chiesa ci devono essere formulazioni comuni vincolanti sulle verità fondamentali (come il Credo), così

nella comunione cattolica possono esistere formulazioni diverse della stessa fede nei riguardi di aspetti meno centrali. L'espressione della fede” non dipende solo dal contenutodottrinale, ma anche dal contesto culturale, dalla visione generale del cosmo, dal modo di capire la relazione dell’uomo conil creato e conil creatore. Le Chiese cristiane, infatti, si sono separate

cattolicesimo romano, alla matrice tedesca del luteranesimo, all’aspetto profondamente britannico dell’anglicanesimo, al carattere orientale dell’ortodossia.

Infine, la storicità delle definizioni dogmatiche, anche di quelle all’origine delle divisioni confessionali, fa emergere con grandeforzala tensionefra il valore permanente delle formule dottrinali e il loro processo ermeneutico, con tutto ciò che questo comporta nel modo di concepire il rapporto fra storia e verità, fra linguaggio e interpretazione, fra conoscenza e

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realtà: in definitiva, si tratta di una cornice che non può essere ignorata nell’ambito delle discussioni del dialogo ecumenicoriguardanti l’espressione della fede387, Il principio d'’integrità risulta imprescindibile per un dialogo teologico sincero. «Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è più alieno dall’ecumenismo, quanto quel falso irenismo, per il quale viene a soffrire la purezza della dottrina cattolica e ne viene oscurato il senso genuino e preciso» (UR 11/1). Si pone freno così al falso ecumenismo che pretende di “dissimulare” le verità “difficili”, in vista di un maggiore consenso (cfr. UUS 18). Ciò nontoglie che neldialogoteologicosi parta dai fattori di convergenza — sarebbe irrisorio pretendere il contrario —, pur nondesistendo dal cercare l’unità integrale nella fede come obiettivo finale: «l’esigenza della verità deve andare fino in fondo» (UUS 79). È già un passo avanti la determinazione precisa degli elementi che coincidono, distinguendoli da quelli rispetto ai qualisi è in disaccordo. Neiconfronti delle altre confessioni, il principio d’integrità deve essere inteso non solo comeil “non tacere le verità conosciute”, ma anche come “lo sforzo per arrivare alle verità sconosciute”, fino alla “verità

integrale”. In tal senso, le Chiese impegnate nel dialogo

ecumenico mantengono viva la convinzione che non si sono esaurite le possibilità nella conoscenza del mistero, così come si manifesta nelle altre comunità cristiane, senza che questo comporti un tradimento della propria confessione, o il sommare elementisciolti ed eterogeneitra loro. Contemporaneamente,il principio d’integrità implica uno sforzo rivolto anche “verso l’interno”, nel tentativo di mettere a fuoco la distinzione fra ciò che appartiene alla sostanza della propria dottrina (ed è quindi vincolante), e ciò che è invececircostanziale (e, pertanto, non necessariamente esigibile). “Integrare”, in definitiva, non vuol dire assimilare in modo indiscriminato; come diceva Congar, «l’ecumenismo non è, in modo alcuno, il risultato

sincretistico di una sommadi Lutero, Calvino, S. Tommaso d’Aquino, Gregorio Palamas, S. Agostino»388, L’ecumenismo è invece fedeltà alla propria tradizione, che non può disinteressarsi della fedeltà alla volontà di Cristo sull’unità della Chiesa. Infine,i/ principio della gerarchia nelle verità38° si prospetta sempre più comela chiave metodologica nel dialogo ecumenicoa livello teologico-scientifico. «Nel mettere a confronto

387 Perulteriori approfondimenti su questo argomentosi può consultare il documento pubblicato nel 1990 dalla Commissione TeologiaInternazionale,intitolato interpretazione dei dogmi: cf. CTI, Documenti 19692004, ESD, Bologna 2006,pp. 300-421. 388 Y. CONGAR,Chrétiens en dialogue, p. 180.

389 P, FONTANA,«Gerarchiadelle verità: una categoria controversa», in G. CALABRESE(ed.), Lo Spirito

Santo Teologo del Popolo di Dio, PIEMME, Casale Monferrato 1997, pp. 221-234; C. CARDONA, La «jerarquia de las verdades»y el orden delo real. Los movimientosteolgicos secularizantes, BAC, Madrid 135

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le dottrine si ricordino che esiste un ordine o “gerarchia nelle verità” della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana» (UR 11/3). Il concetto di “gerarchia” utilizzato qui non indica, evidentemente, che ci siano “verità più vere di altre”, perché la verità non ammette gradualità; non si dice, pertanto, “gerarchia de/la verità”, ma “nelle verità”. Perciò, come si ribadisce nel documento del PCPUC sul dialogo ecumenico precedentemente citato, «tutte le verità rivelate esigono la stessa adesione di fede, ma,

secondo la maggiore o minore relazione prossima che hanno rispetto al fondamento del mistero rivelato, esse stano in posizioni diverse le une di fronte alle altre e in rapporti differenti tra di loro»39. Esistono infatti misteri di fede centrali (la SS. Trinità e l’Incarnazione del Figlio di Dio), mentre altri, ugualmenteveri e rivelati, non si trovano alla

base “dell’edificio dottrinale” (comeil ministro dell’unzione degli infermi), e pertanto vanno intesi alla luce dei misteri centrali. Ciò spiega perché la successiva Dichiarazione Mysterium Ecclesiae parla con prudenza di una ve/uti hierarchia fra i dogmi della fede, mentre usa menoriserve per la parola ordo, termine che sottolinea meglio l’articolazione fra diversi

elementi, senza necessariamente negare un’uguaglianzafra loro392, Questo “ordine fra le verità”, tuttavia, non si riduce ad una mera questione di “logica

intellettuale”, ma scaturisce dal fatto che il depositum fidei è una realtà viva, organica, costituita da elementi fra loro relazionati in modo armonico, armonia derivante dalla logica

interna degli elementi salvifici. In altre parole, le diverse verità si rapportano fra loro secondo un certo ordine oggettivo d’importanza, perché non tutte contengono ed esprimonorealtà dello stesso valore salvifico39. Più a monte ancoracontail fatto cheil «fondamentodella fede cristiana» (UR 11/3), col quale si relazionanotutte le verità di fede,si riferisce primariamente ad unarealtà viva e che dàvita, ovvero, il mistero della personastessa di Cristo3%. Nonsi punta, pertanto, ad individuare quali sarebbero «le verità fondamentali» della fede, o quale sarebbe «il centro del Vangelo»39, in vista di stabilire il minimo comune

1973,pp. 143-164; G. THILS, «Hiérarchie des véritésde la foi et dialogue cecuménique», Revue Théologique de Louvain 15 (1984), pp. 150-151. 390 n. [V,4,b), in EV3, n. 2722. 391 Emanatadalla Congregazioneper la Dottrina della Fedeil 24.6.73. 392 A ragione nel documento di studio Yhe Notion of “Hierarchy of Truths”. An Ecumenical Interpretation, pubblicato congiuntamentenel 1990 dal PCPUCe dalla Commissione Faith and Order del WCC, si dice (n. 9): «usandole parole “ordine” o “gerarchia” il Concilio volle affermare la natura organicadella fede. Leverità si articolano intorno ad un centro o fondamento, non sono semplicemente accostate l’una accanto

all'altra».

393 C£. S. NAGY,«Lajerarquia de los dogmasa la luz del pensamiento teolégico contemporaneo», in P.

RODRIGUEZ (ed.), E7 misterio de la Iglesiayla Iglesia como comuniòn, Palabra, Madrid 1994,pp. 87-88.

39 Cf. PCPUC - WWC,The Notionof “Hierarchyof Truths”, nn. 20-22. 395 Espressioni, queste, fortementecriticate duranteil pontificato di Pio XI: cf. Y. CONGAR, Diversités et

communion,Paris 1982, p. 192. 136

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denominatore fra le diverse confessioni cristiane, e riducendo a questo nucleo la fede da professare39%, Il magistero ha esplicitamente ribadito che «tutti i dogmi, peril fatto di essere stati rivelati, debbono essere creduti con la stessa fede divina» (ME 4). Il principio della gerarchia nelle verità, dunque, non trova spazio nel processo del credere(lafides qua); risulta, invece, di grande aiuto nell’ambito della fides quae (del contenuto oggettivo della fede), perché «alcuni dogmi poggiano sualtri più principali e da loro sono illuminati» (ME 4). L’incidenza di questo tema nel dialogo ecumenicorisiede nel fatto che spesso il disaccordo nonsiriferisce alla falsità o alla verità di certe proposizioni, ma piuttosto «ai differenti legami cheessestabilisconotra le verità e il fondamento della fede»3%, legami che possono porre in rilievo aspetti non presenti in un’altra posizione. Il principio della gerarchia nelle verità ha, inoltre, grande importanza metodologica per il dialogo teologico in vista di valutare il peso delle differenze dottrinali esistenti, poiché queste «variano d’importanza a seconda del loro rapporto col mistero centrale di Cristo»398. 6.9. Il primato romanoin prospettiva ecumenica livello metodologico, quindi, nel dialogo ecumenicointeressa anche stabilire l’ordine di trattazione delle diverse questioni, sullo sfondo del principio della gerarchia delle verità. Non sarebbe coerente, cioè, prendere in considerazione semplicemente una questione dopo

l’altra, perché l’accordo su una determinata questione, solitamente, dipende da talune

premesse circa le quali si deve prima trovare una sufficiente convergenza. In definitiva, nell’articolazione dei temi da trattare esiste un’“architettura logica”, che impone un’agenda strutturata a volte “a gradini”, altre volte con unacerta “circolarità”. In ambito più direttamente ecclesiologico, la questione più basilare — come è stato già detto — il concetto stesso di Chiesa e della sua unità. Per le comunità ecclesiali uscite dalla piena comunionecattolica al tempo della Riforma, l’argomento centrale sembra essere quello della natura sacramentale della Chiesa, abbinato a quello della sacramentalità dell’episcopato (e dell’intero ordine sacro). In tale contesto si dovrebbe trovare una convergenzasul rapporto fra l’apostolicità della Chiesa e la successione apostolica: mentre per la dottrina cattolica l’apostolicità della Chiesa (intesa come l’identità della Chiesa di oggi con la Chiesa della Pentecoste, presieduta dal collegio apostolico) è garantita dalla successione apostolica,

396 Cf. P. HRYNIEWICZ, Hierarchia veritatum, in Swieta tajemnica jednosci, Lublino 1988, p. 38.

397 GRUPPOMISTODI LAVOROTRA LA CHIESA CATTOLICA E IL CONCILIO ECUMENICO DELLE

CHIESE, Documento di Studio La nozionedi «gerarchia delle verità»: un'interpretazione ecumenica, 1990,in

EO 3, n.931. 398 /bidem, n. 929.

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sacramentalmente presente nell’episcopato, nelle comunità riformate prevale il concetto di successione apostolica (non necessariamente episcopale) come segno (non indispensabile) dell’apostolicità della Chiesa, ma non comesua garanzia. Il background del dibattito risiede, fondamentalmente, in una diversa concezione del contenuto e della trasmissione della traditio apostolica399. Per le Chiese ortodosse, invece, il problema sembra trovarsi ad un livello successivo

dell’“architettura” su menzionata. La successione apostolica appartiene al loro patrimonio di fede in quanto realtà sacramentale, mail loro concetto di successione è contestualizzato da

un’ecclesiologia dove la successione petrina trova uno spazio molto ridotto, che l’indebolisce fino al punto da non essere compatibile con la dottrina cattolica. Nel privilegiare troppo unilateralmente la Chiesa locale nei confronti della communio Ecclesiarum, la successione

apostolica è vista più come successione di Chiese che come successione di vescovi4%. Viene meno così il senso forte della collegialità episcopale — il collegio episcopale come successione del collegio apostolico — e, più ancora,della capitalità dello stesso collegio, che nella Chiesacattolica si colloca nella persona del Successoredi Pietro. In questa prospettiva, il Papa nonsarebbe caput, ma solo il primus fra vescovi sostanzialmente uguali: il primus inter pares, al quale corrisponderebbe un primato di onore, manondi giurisdizione. Si capisce così perché il tema del primato romano non sia stato ancora affrontato in modosostanziale nei documenti del dialogo ecumenico ufficiale‘: le premesse necessarie per entrare in argomento, sulle quali non esiste ancora una sufficiente convergenza, sono troppe. Pur così, a livello di dibattito teologico il primato romano è semprepiù al centro dei colloqui ecumenici, soprattutto a seguito dell’appello papale, già menzionato, di «cercare,

399 Cf. P. GOYRET, Dalla Pasquaalla Parusia, pp. 281-300.

400 Questa è l'impostazione della moderna ecclesiologia ortodossa (cf. J.R. VILLAR, La teologia

ortodossa della Chiesa locale, in P. RODRIGUEZ (ed.), L'ecclesiologia trent'anni dopo la «Lumen gentium», ArmandoEditore, Roma 1995, pp. 211-220), che comunquecontrasta conla teologia ortodossatradizionale(cf. JR. VILLAR, i/ ministero episcopale nella communio Ecclesiarum, in P. GOYRET(ed.), / vescovie il loro ministero, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, 78). Per una panoramica generale della teologia ortodossasu questo tema, cf. P. GOYRET, Dalla Pasqua alla Parusia, pp. 263-281.

401 Recentemente l'argomento è stato esaminato nel documento Le conseguenze ecclesiologiche e

canonichedella natura sacramentale della Chiesa, comunioneecclesiale, conciliarità ed autorità (nn. 40-44) della Commissione mista internazionale peril dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa (Ravenna, 13.10.07, reperibile in Zenit, 15.11.07). Anchenel dialogo cattolico-anglicanoil tema è semprepiù presente (cf. le Dichiarazioni concordate Autorità nella Chiesa(I eII), Venezia 1976, Windsor1981, in EO1, nn.64-94 e 103-135; e la più recente The Gift of Authority, 1999, in Origins 29/2 (1999), pp.17-29). Tuttavia, non è stato mai il tema centrale di un documento ufficiale del dialogo ecumenico internazionale. A

livello locale,l'argomentoè stato affrontato nella Dichiarazione comune Primatopontificio e Chiesa universale (Minneapolis 1974) della Commissione cattolica-luterana USA; nella Dichiarazione congiunta Primato e conciliarità (Brighton, 1989) della Consulta ortodossa-cattolico romanadegli Stati Uniti (EO 4, nn. 3436-3444); e nella Dichiarazione // primato romano nella comunione delle Chiese (Parigi 1991) del Comitato misto 138

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evidentemenme insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (UUS 95/3). Anchese il tema è troppo esteso per essere sviluppato in questa sede, conviene almenoriferire sinteticamente le divergenze più significative, senza la pretesa di esaurire l’argomento. De parte noncattolica, a monte del problema della successione petrina, si trova quello

del primato dello stesso Pietro, da alcuni inteso non come primato della persona di Pietro rispetto agli altri apostoli4°?, ma comeprimatodella fede da lui professata a Cesarea di Filippo (cfr. Mt 16, 13-18). Si pone poi la questione della trasmissione del primato, non esplicitamente attestata dalla Scrittura, anche se essa trova conferma già nelle più antiche testimonianze cristiane. A questa è legato il problema della sede in cui ha luogo la trasmissione (a Roma, a Costantinopoli, eventualmente altrove) e dei fondamenti addotti

comecausadelle pretese delle diverse sedi45, L'argomento diviene ancor più difficile quando si affronta il contenuto della potestas primaziale, particolarmente nei confronti della potestà giurisdizionale immediata sututti i pastori e su tutti i fedeli, e dell’esercizio del magistero infallibile ex cathedra'%. Come sottofondo di queste questioni troviamo la problematica più

basilare dell’appartenenza del primato romanoall’esse Ecclesiae (ossia, come istituzione necessaria iure divino) o al bene esse Ecclesiae (la sua esistenza sarebbe conveniente, ma non

intrinsecamentenecessaria). La complessità dell’argomento è facilmente percepibile e ciò non dovrebbestupire, dato che ci troviamo proprio al vertice dell’“architettura logica” menzionata; il primato è, con parole di J.A. Méhler, la «chiavedi volta di tutta la costruzione»407. Vale, comunque, la pena di affrontare nel dialogo anche questo tema, non perché si prospetti una sua soluzione

indipendentemente dalle “premesse”, ma in vista di una metodologia “circolare”di dibattito, che percepisca i problemidi fondo,perpoi rivolgere l’attenzionealle difficoltà successive.

cattolico-ortodosso in Francia (FO 4, nn. 920-967). Per una prospettiva generale sul tema, cf. A. GARUTI, Primato del vescovo di Romae dialogo ecumenico, Pontificium Athenacum Antonianum, Roma2000.

402 Cf. BARTOLOMEOI, Discorsoai vescovisuizzeri, dic. 1995, n. 3, in La Documentation Catholique

(1996),p. 135.

403 Su questa questione, cf. J. GNILKA, «Il ministero petrino. Fondazione nel nuovo testamento e

configurazionenella Chiesa primitiva», in P. HUNERMANN(ed.), Papatoed ecumenismo,pp. 9-21. 404 C£. ibidem, p. 19.

405 Cf. O. CLÉMENT, La Chiesa ortodossa, Brescia 1989, p. 65.

406 Cf. CONCILIO VATICANO I,Cost. Dog. Pastor Aeternus, 18.7.70, in DS 3050-3075.

497 L'unità nella Chiesa, p. 283.

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EPILOGO

Giunti alla fine di questa Introduzione alla teologia ecumenica, dovrebbe risultare

tangibile la necessità di uno squisito atteggiamento d’amore all’unità nella divers distinguere cioè ciò che nella Chiesa è sostanziale (e che pertanto deve essere comunea tutti e non può mutare) da ciò che in essa ammette pluralità: nel modo di esprimere la fede, nella disciplina, nei riti, nella spiritualità, ecc. Bisogna convincersi che entrambe le dimensioni — unità e pluralità — sono necessarie, ancheall’interno della Chiesa cattolica. A proposito della libertà in questioni temporali — e ciò riguarda anche molti aspetti della Chiesa — è stato detto da un santo del XX secolo: «Non dobbiamo dimenticare che l’esistenza di un autentico pluralismo di criteri e di opinioni, anche fra i cattolici, nell’ambito di ciò che il Signore ha

lasciato alla libera discussione degli uomini, non solo non è di ostacolo all’ordinamento gerarchico e alla necessaria unità del Popolo di Dio, ma anzi rafforza questi valori e li protegge da eventuali inquinamenti»98.

498 Colloqui con Mons.

, Ares, Milano 19824, n. 12, p. 27.

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LOSSKy,N.(ed.), Dizionario del movimento ecumenico, EDB, Bologna 1994 MÒHLER, J.A., L'unità nella Chiesa. Il principio del cattolicesimo nello spirito dei Padri della Chiesa dei primi tre secoli, CNE, Roma 1969 MONDIN, B., L’'ecumenismo nella Chiesa Cattolica prima, durante e dopo il Concilio, Herder,

Roma19662 142

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Cinisello Balsamo 19872 RODRIGUEZ, P., Iglesia y ecumenismo, Rialp, Madrid 1979 SPITERIS, Y., Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra Oriente e Occidente, EDB,

Bologna 2003 THILS, G., Histoire doctrinale du mouvement oecuménique, Warny, Louvain 1955 THILS, G., Le décretsur l’oecuménisme, Casterman, Tournai-Paris 1966 TILLARD, J.M.R., Chiesa di Chiese. L’ecclesiologia di comunione, Queriniana, Brescia 1989 VERCRUYSSE, J., Introduzione alla teologia ecumenica, PIEMME, Casale Monferrato 1992

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INDICE DELLE CITAZIONI BIBLICHE Gs 2e6: Mt

16,13-18: 16,13-19: 16,18: 18,20:

23,8: 23,9:

15,28:

2Cor 9,13:

13,13: Gal

3,27:

3,27-28:

23,15:

Ef

Me

4,5:

28,20:

16,16:

Gv

3,5:

10,16:

15,16:

15,26:

16,13: 17,21:

1,23: 4,4-5: 4,12:

4,14: 4,16:

4,23:

Fil

3,10: 1Tim

21.15-19:

24:

At

Eb

6,5: 13,43:

Pt 5,4:

2,11: 2,42:

Rm

1,16-17:

1,17: 6,3: 12:

2,5:

1Gv

1,3:

1Cor

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INDICE DEI NOMI Acerbi: Adriano I: Agostino (d’Ippona): Alberigo:

Alberto (di Brandeburgo): Alcuino (di York):

Alessandro VII: Algermissen: Alvarez: Ambrogio:

Antinucci: Antòn: Apollinare (di Laodicea): Arinze: Asimakis: Barbaglio: Barth:

Cassidy: Cereti: Cioffari:

Cipriano(di Cartagine): Cirillo (di Alessandria):

Clément: Coleridge: Congar: Couturier: Cranmer: Cromwell: Cross: Cullmann: Curtis: DalFerro: DeLorenzi:

Bartolomeo(Patriarca): Bea:

Beauduin: Bellarmino: Bellini: Benedetto VIII: Benedetto XV: Benedetto XVI: Bergeron:

Betti: Bof: Boff: Bonhoeffer: Bonifacio VIII: Bosch: Bouchard: Bouyer: Brent: Browne: Buchberger: Bulgakov: Bultmann: Bux: Buzzi: Cacciatore: Calabrese: Calvino: Canobbio: Capelle: Cardona:

Denzinger:

Dhavamony:

Dianich: Dionigi(1’Areopagita): Dioscoro (di Alessandria): Ducay:

Dumont: Eck:

EdoardoVI(Re):

Edwards:

Elisabetta I (Regina): Enrico HI (Imperatore): Enrico VIII (Re): Erasmo(da Rotterdam):

Ernst: Escrivà: Eugenio IV:

Eutiche (di Costantinopoli):

Fabbri: Faynel:

Federico (di Sassonia): Feeney:

Feiner: Feuardent: Fisichella: Fizzotti: Florensky:

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Florovsky: Fontana: Fortino: Fox:

Fozio (Patriarca):

Franke: Franklin: Friedrich: Fulgenzio (di Ruspe): Gancho: Garuti: Gefaell: Gil Hellin: Gil Sousa:

Giovanni Bekkos (Patriarca): Giovanni (Damasceno):

Giovanni III Paleologo (Imperatore): GiovanniPaolo Il: Giovanni XXI: Girlanda: Giudici: Giulio Cesare: Giulio I: GiuseppeII (Patriarca): Giustiniano (Imperatore): Giustino: Gnilka:

Gonzalez Montes:

Goosen: Goyret: Gregorio Nisseno:

Guglielmo (d’Orange):

Guitton:

InnocenzoIII: Introvigne:

Ireneo (di Lione):

Jiger : Jedin: Jewel: Journet: Jugie: Kasper:

Keble: Kempis: Khomiakov: Khomych: Kierkegard: Kittel: Klein: Knittel: Knox:

Kobia: Koch: Krikorian: Kriiger: Kruse: Lacoste: Latourelle: Le Guillou: Tehmann:

Leone (Magno): Leone HI: Leone IX: Leone X: Leone XIII: Léhrer: Loisy: Lossky: Lutero: MacIntyre:

Hauck: Hegel: Helwys: Hertling: Hill: Hofmann: Hooker: Hryniewiez:

Hiinermann: Hus:

Tammarrone: Iba (di Emessa): Illyrico:

Maccarrone: Maffeis: Marciano (Imperatore): Martinelli: Martinez Ferrer: Maspero:

Massimo(il Confessore): Mazzolini: McDonnell: Medawar: Melantone: Mercier: Meyendorf: Meyer: 147

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Michele Cerulario (Patriarca):

Michele Paleologo (Imperatore): Migne: Miller: Moda: Mòhler: Molac: Mondin: Morelli: Morerod: Mott:

Miiller: Nagy: Neill: Nestorio: Newman: Nichols: O°Donnell: Ocariz. Occhipinti: Ockam: Oncken:

Origene (di Alessandria):

Orlandis:

Pacomio:

Palamas:

Pannenberg: Paolo VI:

Parminiano: Pascal: Paton: Pattaro: Penn:

Peretto: Peri: Philips: Piazza: Piè Ninot: Pio IX: Pio XI: Pio XII: Pioppi: Porro: Portal: Puglisi: Pusey: Raiser: Rambaldi: Ratzinger:

Ravasi Reimer:

Robinson: Rockefeller: Rodriguez: Rosenthal: Rossano: Rossi: Rouse: Sala: Sartori: Scheeben: Schleiermacher: Schlier: Schònbom: Schultze: Schònmetzer: Semeraro: Sesboiié: Seymour: Shaftesbury: Silva Candida: Simons: Siniscalco: Smyth: Sòderbom: Soloviev: Spener:

Spinsanti:

Spiteris: Stirnemann: Stowe: Tanzella-Nitti:

Tapia: Teodora (Imperatrice): Teodoreto (di Ciro): Teodoro (di Mopsuestia):

Teodosio (Imperatore): Tetzel: Thils: Tillard: Tommaso(d’Aquino):

Tourn: Trapè: Troeltsch: Truman:

Tyndale: Valentini:

Vercruysse:

Villain: Villar: Visser’t Hooft: Von Zinzerdorf:

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Watson: Wesley: Wilberforce: Wilflinger: Willebrands: Williams: Wyclif: Yarnold: Zizioulas: Zwingli:

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