Gesù di Nazaret Signore e Cristo. Saggio di cristologia sistematica. Il Cristo annunciato dalla Chiesa [Vol. 3] [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

Marcello Bordoni

,

GESU DI NAZARET SIGNORE E CRISTO saggio di cristologia sistematica

3. Il Cristo annunciato

dalla Chiesa

Herder

M

Università Lateranense

In memoria di mia sorella Maria testimone di Cristo tra i piccoli, ai quali il Padre si è degnato rivelare i «Misteri del Regno », dispensatrice della «sapienza dell'Amore» tra coloro che non credevano di poter essere amati.

Con approvazione ecclesiastica

Prima edizione

PROPl\IF.TÀ LF..'ITEllAl\lA RlSERVATA STAMPATO IN ITALIA Pl\lNTED IN ITALY

GESTISA S.r.l. - Stabilimento Tipografico «Pliniana» Viale F. Nardi, 8 Selci Umbro - Perugia - 1986

INDICE GENERALE INTRODUZIONE

!.

IL RINNOVAMENTO DEL METODO TEOLOGICO DOGMATICO . A) Primato dell'evento originario della Parola di Dio incarnata B) Il luogo ecclesiologico C) Il luogo antropologico

Pag.

1

» ))

2 4

))

11

))

16

Il. LE LINEE PROGRAMMATICHE DELLA« CRISTOLOGIA DELLA CHIESA»

1. Punto di partenza: l'avvenimento della resurrezione del Crocifisso . 2. Dalla soteriologia pasquale alla « protologia » . 3. L'evento cristologico del «divenire carne» del Logos

» »

16 17 20

))

21

»

22

»

26

))

29

))

IJJ. LA RESURREZIONE

DI CRISTO CROCIFISSO CENTRO E FONDA· MENTO DELLA CRISTOLOGIA DEL Nuovo TESTAMENTO .

1. Unità e pluralità della cristologia del Nuovo Testamento

2. L'evento pasquale fondamento della unità della cristologia del Nuovo Testamento Conclusione .

SEZIONE I

IL CRISTO CROCIFISSO E RISORTO NEL PRESENTE E NEL FUTIJRO DELLA STORIA DI SALVEZZA (soteriologia pasquale e parusia)

I.

Introduzione .

))

33

lL FUTURO COME ORIZZONTE ES SENZ!ALE PER LA COMPRENSIONE DEL PRESENTE DELL'UOMO .

))

35

1. Funzione del futuro per l'autocomprensione dell'uomo 2. Continuità e discontinuità tra presente e futuro .

» »

36 37

»

38

»

39

II. JL FUTURO COME ORIZZONTE ESSENZIALE PER LA COMPRENSIONE DEL PRESENTE DELLA FEDE .

1. La rivelazione divina evento fondatore della escatologia biblica .

VI

INDICE GENERALE

Pag.

2. Speranza biblica ed impegno nel presente storico 3. Il giudizio escatologico nel tempo 4. Escatologia profetica ed apocalittica .

)) ))

39 41 41

CAPITOLO

IL CROCIFISSO RISORTO « FINE » E «CENTRO» DEL TEMPO La problematica escatologica e soteriologica della cristologia del Nuovo Testamento

»

1. Il Cristo Crocifisso e Risorto « fine e compimento » del tempo . 2. Il Cristo Crocifisso e Risorto « centro del tempo » .

»

52

))

58

))

67

Conclusione . CAPITOLO

49

II

IL CRISTO CROCIFISSO RISORTO AVVENIMENTO ESCATOLOGICO PRESENTE DI SALVEZZA

I.

L'AVVENIMENTO PASQUALE COMPIMENTO ESCATOLOGICO DELLA STORIA TERRENA DI GESÙ DI NAZARET .

!I.

IL CRISTO CROCIFISSO-RISORTO RIOLOGICO ED ESCATOLOGICO TESTAMENTO .

COME AVVENIMENTO

NELLA TEOLOGIA DEL

))

76

SOTE-

Nuovo

A. L'evento della croce e della resurrezione come martirio ed esaltazione del Giusto . B. La croce e la resurrezione come sacrificio espiatorio . 1. Il linguaggio della soteriologia veterotestamentaria . 2. Dalla autointerpretazione soteriologica sacrificale della morte e della resurrezione di Gesù· a quella della Chiesa a) Soteriologia sacrificale paolina della croce-resurrezione b) Interpretazione sacrificale della croce-resurrezione nella teologia giovannea . c) La teologia sacerdotale della Lettera agli Ebrei . C. La croce e la resurrezione « ora escatologica » della rivelazione di Dio Amore 1. La rivelazione paterna dell'Amore trinitario nella croce 2. La rivelazione filiale dell'Amore trinitario nella croce 3. La rivelazione pneumatologica dell'Amore trinitario nella croce

a) L'azione dello Spirito nell'atto oblativo sacrificale del Cristo b) L'azione dello Spirito nella glorificazione di Gesù c) L'azione dello Spirito come dono comunicato dal Cristo Croci.fisso-Risorto .

93 ))

94

»

»

100 103

))

109

))

110

»

»

116 122

l>

126

»

»

128 130

l>

132

)) »

132 133

))

134

VII

INDICE GENERALE

D. L'efficacia salvifica dell'evento escatologico della croce e della resurrezione . 1. L'avvenimento della croce e della resurrezione inizio dell'era escatologica 2. Il Crocifisso-Risorto e la redenzione della morte dell'uomo 3. L'efficacia soteriologica dell'Amore trinitario nella croce 4. La forza trasformatrice dello Spirito

E. La Comunità di fede compimento della soteriologia pasquale . 1. La fede della Chiesa nel Messia Crocifisso 2. La Chiesa ' dalla croce ' nella cristologia giovannea a) L'unità della Chiesa dalla croce . b) La nascita mistica della Chiesa impersonata nella Donna, Maria, la Madre di Gesù . 3. La Chiesa dalla Croce nella teologia paolina Conclusione

CAPITOLO

Pag. ))

139 140

» »

142 144 149

))

152

»

153 153

))

))

»

153

))

154

»

161

))

165

III

IL CRISTO CROCIFISSO-RISORTO NEL SUO AVVENTO PARUSIACO »

169

PAOLINA

))

171

A. L'orizzonte dell'attesa parusiaca B. La parusia anticipata nella resurrezione di Cristo

)) ))

172 179

L'AVVENTO DEL CRISTO NELLA TEOLOGIA GIOVANNEA

))

182

A. Il predominio dell'orizzonte presente escatologico B. I diversi strati redazionali . C. Le motivazioni cristologiche e pneumatologiche della escatologia del quarto evangelo D. Il futuro avvento del Crocifisso-Risorto nell'Apocalisse

» »

183 186

)) »

192 195

1. Il «Cristo del presente» nell'Apocalisse 2. Il « Cristo del futuro » nell'Apocalisse

» »

198 203

LA PARUSIA DEL CRISTO NELLA TEOLOGIA LUCANA

»

210

A. B. C. D.

» » »

211 212 213

»

214

»

217

Compimento escatologico della salvezza

l.

II.

Il!.

RESURREZIONE ED ATTESA DELLA PARUSIA NELLA TEOLOGIA

I terni classici comuni alla tradizione sinottica in Luca . L'annuncio dell'evento della fine . Il senso escatologico della cristologia lucana . Le caratteristiche proprie della attualizzazione escatologica lucana .

Conclusione

VIII

INDICE GENERALE CAPITOLO

IV

I TITOLI ATTRIBUITI AL CRISTO CROCIFISSO E RISORTO NELLA CRISTOLOGIA ECCLESIALE DEL NUOVO TESTAMENTO

I. h II. IL

III.

Pag.

CRISTO E SIGNORE .

»

224 231 234

A. Il significato del titolo « Cristo » B. Il significato del titolo « Signore»

» »

235 238

»

238

))

243

))

247

)) ))

247 251

)) )) »

251 254 255

SERVITORE E L'AGNELLO FIGLIO DELL'UOMO .

»

1. L'origine del titolo «Signore» nel cristianesimo pri-

mitivo.

2. I diversi usi del titolo « Signore » nella cristologia del NT IV. FrGLIO nr

Dm

A. La genesi del titolo « Figlio di Dio » B. Il significato cristologico del titolo «Figlio di Dio » 1. L'orizzonte primo escatologico del titolo . 2. Il rapporto di missione ed obbedienza al Padre 3. Il rapporto della figliazione allo Spirito

»

256

1. Il « Figlio Unico »

»

2. Il rapporto al Padre . 3. Il Figlio nella sua missione 4. Il rapporto del Figlio allo Spirito

)) »

257 257 258 259

«CRISTO SOMMO SACERDOTE))

))

260

»

265

C. II titolo « Figlio di Dio » nella cristologia giovannea

V.

lL

Conclusione della prima sezione biblica

CAPITOLO

»

V

IL CROCIFISSO-RISORTO E LA SUA PARUSIA NEL PENSIERO DELLA TRADIZIONE ECCLESIALE POST-BIBLICA

l.

CROCE, RESURREZIONE E PARUSIA. DEL CRISTO NEL PENSIERO DELL'ANTICHITÀ CRISTIANA: LA SOTERIOLOGIA E L'ESCATOLOGIA CRISTOLOGICA DEI p ADRI

»

273

»

278

A. Il Crocifisso-Risorto: «Illuminatore ed Educatore» dell'uomo B. « Christus Victor »: la salvezza nella croce e nella resurrezione come conquista . . . . C. L'evento pasquale~ principio di divinizzazione dell'uomo

))

284

))

292

1. L'identità dell'uomo creato « ad .immagine e somiglianza» di Dio . . . . . . . 2. L'accesso dell'uomo alla immortalità .

)) »

294 295

IX

INDICE GENERALE

D. Il Cristo «Agnello Immolato»: la salvezza nella pasqua come espiazione sacrificale . E. La filantropia divina: il motivo dell'amore come ragione formale della redenzione F. Il ruolo dello Spirito nella soteriologia pasquale . G. L'efficacia della pasqua di Cristo: la generazione della Chiesa

))

309

»

314

»

328

))

329

»

332

»

335

))

337

))

339

))

347

))

347

»

348

))

350

»

))

353 355

))

357

»

359

))

361

))

365

))

375

))

380

SULLA SOTERIOLOGIA DELLA CROCE E DELLA RESURREZIONE

»

383

A. Significato della «salvezza nella croce» secondo Lutero

»

385

1. La comunità corpo 2. La comunità dalla croce: la «Chiesa Madre», « Nuova Eva», «Maria »

a} «Eva-Maria » nel fiat dell'annunciazione . b) «Eva-Chiesa » dal fianco del «Nuovo Adamo » sulla croce c) Rapporto di reciprocità tra le due Eve e la loro maternità . H. La parusia del Cristo: nel pensiero patristico 1. L'anticipazione presente della parusia futura 2. L'accentuazione dei ' beni ' della parusia rispetto all'evento 3. Il tema delle «due parusie » ed il differimento della seconda 4. La parusia del Cristo come vittoria definitiva sulla morte 5. La tendenza spiritualizzatrice della parusia ·in Origene 6. L'apporto di Agostino: la parusia nel quadro universale della storia

II.

EVENTO PASQUALE E PARUSIA NELLA SPIRITUALITÀ E NELLA TEOLOGIA MEDIOEVALE

A. La croce, la resurrezione e la parusia al centro della devotio medioevalis . B. Il motivo dell'amore nell'opera di redenzione della croce secondo la scolastica medioevale . C. La resurrezione di Cristo e la speranza escatologica nel pensiero medioevale D. Mediazione del Cristo e mediazione materna della Chiesa personificata in Maria

III.

Pag. 300

L'APPORTO DELLA /RIFLESSIONE DELLA

RIFORMA

LUTERANA

1. Il principio dell'agire di Dio ' sub contrario ' 2. La sapienza della croce come prassi 3. Il senso escatologico della soteriologia luterana

))

388

))

389

»

390

B. Verso gli sviluppi contemporanei della « theologia crucis » luterana

))

391

1. La riflessione sulla croce-resurrezione di K. Barth .

))

393

INDICE GENERALE

X

2. La 11iflessione sul significato della croce-resurrez>ione in R. Bultmann 3. La posizione di W. Marxen . 4. Il ruolo della resurrezione di Cristo nella storia e nella riflessione cristologica di W. P-annenberg . 5. Il messaggio del Cristo Crocifisso nella reinterpretazione della cultura contemporanea

Pag. ))

396 399

))

402

»

405

))

406

»

409

))

415

DELL'EVO MODERNO-CONTEMPORANEO

))

423

A. La mistica della croce B. La riflessione controversistica e scolastica

»

424 426

C. Il nuovo punto di partenza: gli influssi dell'illuminismo e romanticismo sulla soteriologia cattolica

))

430

»

440

A. La soteriologia tridentina B. La soteriologia nel Vaticano I C. La salvezza dalla croce e dalla resurrezione nel Vaticano II

» » »

440 440 444

Conclusione >, bensl « quaerens intellectum ».

INTRODUZIONE

11

teologo la metodica e critica esposizione di una « teologia vivente ». In questo lavoro di una intelligenza illuminata dalla fede, la teologia prepara la via ad una sempre più penetrante e ricca comprensione dell'avvenimento storico della rivelazione di Dio in Gesù Cristo ed alla sua stessa espressione linguistica nei documenti del magistero. Questo ha bisogno non solo del carisma della assistenza dello Spirito per la sua autenticazione delle verità di .fede che si manifestano sempre più chiaramente nella Tradizione della Chiesa, ma anche del lavoro della riflessione teologica che opera la sintesi tra i dati della Tradizione biblica, della Tradizione post-biblica, del magistero e del sensus fidei del popolo cristiano (LG 12).21 C) Il luogo antropologico. Il luogo antropologico nell'ambito del metodo dogmatico appare una novità: dall'epoca dell'affermazione del « modello positivo scolastico » della teologia di cui Melchior Cano fu il teorico (De locis theologicis, 1563), il discorso teologico formulava le sue « tesi » fondandosi sui soli luoghi teologici della Scrittura e della Tradizione attinta dalla testimonianza dei Padri ed autenticamente espressa nelle definizioni dogmatiche del magistero della Chiesa. Al terzo posto figurava la « ratio theologica » consistente in un semplice argomento di convenienza. Alla fine c'era, talora, la risposta alle obiezioni e qualche scholion pietatis. 11 Il rinnovamento del metodo dogmatico al quale abbiamo fatto accenno al principio di questa introduzione, nel suo aperto richiamo fondamentale alla missione di annuncio del messaggio cristiano nel mondo, ha sempre più rilevato l'importanza per la teologia del « luogo antropologico » costituito dall'esperienza dell'uomo vivente nelle culture con le sue fondamentali e molteplici attese. Il compito della teologia non è, infatti, solo quello di un apporto alla crescita della fede all'interno della comunità ecclesiale, come se questa potesse concepirsi quale un mondo chiuso, impermeabile alla risuonanza delle voci del mondo del suo tempo e della sua cultura. Se la Chiesa non esiste concretamente che in un luogo particolare ove essa è la « concretizzazione del Corpo di Cristo in un dato popolo, in un luogo e tempo determinati » allora essa è « una

21 Vedi M. LOHRER, cit. 630 che pone in un circolo ermeneutico la Tradizione e la Teologia in rapporto alla Scrittura. 22 C. V AGAGGINI, Il modello positivo scolastico, in « Teologia », NDT cit., 1629; J. P. de RUDDER, Linguaggio di fede e 'linguaggio della teologia, analisi introduttoria descrittiva dell'uso dogmatico e religioso cristiano della lingua, in (AA.VV.) «L'interpretazione del dogma», Brescia 1971, 15-46; P. ScHOONENBERG, Storicità e interpretazione del dogma, ivi 75-140.

12

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

Ill

Chiesa incarnata in un popo'lo, una Chiesa indigena e inculturata », una Chiesa «in dialogo permanente, umile ed amabile con le tradizioni vive, le culture, le religioni, in breve con tutte le realtà vitali del popolo, in cui deve affondare profondamente le sue radici e di cui fa sua la storia e la vita ».23 Perciò l'apporto del teologo potrà essere valido nella misura in cui esso contribuisce a far risuonare l'intramontabile verità della fede nel contesto della comunità inculturata della Chiesa. Questo è il servizio che egli deve compiere già all'interno della stessa Chiesa. Ma l'esigenza dell'attenzione al « luogo antropologico » va anche considerata in rapporto alla missione stessa di dialogo e di evangelizzazione della Chiesa nel mondo, onde rimediare al «dramma della nostra epoca, come ( ... ) anche di altre» e cioè «la rottura tra Vangelo e cultura ».24 La comunicazione del Vangelo è infatti un processo dinamico « ne1 quale un posto particolare spetta alla condizione degli ascoltatori del messaggio, cioè alle loro esigenze e desideri, al loro modo di parlare, di sentire, di pensare, di giudicare, di entrare in contatto con gli altri. Tutte queste condizioni molto diverse tra loro secondo la verità dei luoghi e dei tempi, spingono le chiese particolari ad una appropriata traduzione del messaggio evangelico e, secondo il principio di incarnazione, ad escogitare sempre nuovi, ma fedeli modi di radicarsi ».is In questi ultimi anni di vita della Chiesa, l'accentuazione di questa esigenza missionaria di evangelizzazione nel mondo non ha fatto che ribadire costantemente nei vari documenti delle conferenze episcopali, dei sinodi e dei documenti pontifìci questa esigenza e responsabilità. Cosl dal Sinodo episcopale sulla evangelizzazione nel mondo (1974), 26 alla « Evangelii Nuntiandi »,n al Sinodo episcopale sulla catechesi,211 ai docu-

23 First Plenary Assembly of Federation of Asian Bishops Conferences (FABC), in « Officiai Statement of the Assembly », 27 aprile 1974, nn. 9-18. Confronta tale dichiarazione con le parole di PAOLO VI alla fine del Sinodo (AAS 66 (1974) 636-637). Per il rapporto tra « crisrologia ed ecclesiologia » vedi il nostro lavoro Gesù di Nazaret, I, 186-194. 24 PAOLO VI, EvNu, AAS 68 (1976), 6-76, n. 20. is Dichiarazione dei Padri sinodali, Roma 1974, n. 9. 1" C. CAPRILE, Il Sinodo deì vescovi. Terza assemblea generale (27 sett.-26 ott. 1974). Roma 1975, 140 s.; J. SAllAIVA MARTINS, L'evangelo e le culture nell'ultimo sinodo dei vescovi, in «Evangelizzazione e culture». Atti del Congr. Intero, di Missionologia, Roma 1976, I, 58-69. A. MARRANzINI, Il magistero a servizio della inculturazione, in « Inculturazione della fede. Saggi interdisciplinari », Napoli 1981, 129-173. IT PAOLO VI, Ev Nu, 5-76; R. DrvARKAR, Evangelii nuntiandi and the Problem of Inculturation, in « Teaching Ali Nations,. 15 (1978) 226-232. 28 C. >, Dogmatique I, Paris 1982, 294. 38 Com. Teol. Iotem.: Pluralismo, unità di fede, pluralismo teologico, tesi 1, Bologna 1974, 15.

INTRODUZIONE

17

Nazaret esaltato da Dio, donatore dello Spirito. In questa situazione soteriologica in cui i credenti in Cristo esperiscono il « già-adesso » dell'eschaton, essi esperiscono anche la tensione dinamica verso il « non-ancora » della Parusia finale. Lo Spirito stesso, già donato nel cuore dei credenti, è una « caparra » che alimenta il gemito e la speranza di questo compimento finale. Se la prima sezione di studio di questo saggio di cristologia dogmatica mette in evidenza la soteriologia pasquale e l'evento parusiaco per la loro priorità sul piano della esperienza della fede (priorità epistemologica) non intende con ciò lasciare nell'ombra ii ruolo della Persona del Cristo che sta al fondamento di tutta l'opera salvllìca. A questo porta ancora la cristologia del Nuovo Testamento che acclama Gesù di Nazaret Kyrios e Christos, Figlio di Dio in potenza e con altri titoli che uniscono 'costantemente l'orizzonte soteriologico con quello cristologico. La soteriologia è il luogo in cui la Chiesa apostolica ha sempre più profondamente penetrato il mistero dell'essere del Cristo (cristologia), ma la « cristologia » è la ragione che fonda la possibilità stessa autentica dell'agire salvifico di Cristo.39 Il mistero della pasqua e della parusia vengono approfonditi nella prima sezione dì questo saggio dogmatico considerando anche l'ap· porto della teologia patristica e medioevale e delle affermazioni dogmatiche per giungere al problema ermeneutico-culturale circa il linguaggio cristiano della salvezza nel quadro degli interrogativi posti dall'emancipazione e dal futuro. 2. Il pensiero cristologico del Nuovo Testamento attraverso la esperienza della salvezza e la contemplazione, nella fede, della gloria del Cristo Crocifisso Esaltato, perviene alla conoscenza del suo mistero di «Preesistente» (enunciato protologico) che costituisce uno degli ultimi stadi della cristologia apostolica. In questo essa attualizza e sviluppa la dinamica già esistente nella cristologia di Gesù 40 che indicava il luogo dell'escatologia come quello in cui gli uomini avrebbero potuto sciogliere l'enigma della sua Persona: il dove egli giunge nella gloria ha in verità rivelato « chi Egli era». Questo vuol dire che nella cristologia del Nuovo Testamento gli enunciati « soteriologici ed escatologici » sono al fondamento (in ordine epistemologico) degli enunciati « protologici ». 39

Vedi sul rapporto « cristologja e soteriologja » le questioni di metodo: Gesù di Nazaret, I, 170·179. 40 Vedi il secondo volume del presente saggio sulla dinamica della cristologia dì Gesù per cui «l'enigma della sua origine» si penetra guardando al «dove Gesù va» (Gesù di Nazaret, II, 360-362; 471-475).

M.

BORDONI,

18

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

Ill

La seconda sezione di questo trattato di cristologia dogmatica costituisce un capitolo di «cristologia trinitaria»: dal cuore dell'evento escatologico della salvezza realizzatosi nella pasqua di Cristo esso risale al cuore del mistero trinitario che proprio nella pasqua manifesta l'identità trascendente del Figlio di Dio Unigenito, Logos e Primogenito della creazione. In questa sezione seconda, che si colloca dopo quella soteriologico-escatologica per le suddette motivazioni genetiche, ci si propone anzitutto di recuperare il valore che ha, sia letterariamente che teologicamente, questa idea cristologica della « preesistenza ». Essa non è stata il frutto di un processo razionale i11duttivo che segue la logica di una cultura extra-biblica. La preesistenza del Cristo non è prodotta da una contaminazione, da una ontologizzazione e deescatologizzazione della cristologia pasquale-parusiaca originaria. Il pensiero di fede nel N. T. ha seguito invece una logica interna alle proprie prospettive, sotto la luce dello Spirito, che ha consentito di esplicitare la stessa cristologia di Gesù, mediante l'ausilio della letteratura sapienziale, giungendo alla affermazione che, nell'evento di glorificazione, il Figlio dell'Uomo non è apparso un «uomo adottato » alla condizione di Figlio di Dio, bensì come Colui che fin dall'inizio era il Figlio eterno di Dio. Solo un Figlio preesistente poteva infatti pervenire alla condizione di esaltazione alla destra del Padre, nei cieli, a cui Gesù di Nazaret è pervenuto. In questa seconda sezione della « cristologia dogmatica » a partire dalla genesi neotestamentaria della categoria stessa di preesistenza, approfondita dal contributo della cristologia patristica e dogmatica, il nostro studio mostrerà come il « Preesistente » del pensiero cristiano non evade in una immagine puramente ieratica ed evanescente del Cristo. Essa non giustifica alcuna opposizione del Cristo della fede al Gesù della storia, ma vuole che si rispetti il movimento originario del pensiero cristiano il quale procede costantemente dal basso verso l'alto e viceversa: «colui che è disceso è lo stesso che è asceso» nel più alto dei cieli (Ef 4, 9-10). È a questo livello che è possibile sintetizzare il movimento « dall'alto» con le prospettive « dal basso » mostrando l'identità (uno ed identico: Calcedonia} tra incarnato, glorificato e preesistente. La preesistenza del Cristo mostra tutta la sua importanza, nella cristologia, in quanto fonda trinitariamente anzitutto lo stesso valore « unico », « irrepetibile », « insuperabile » dell'evento compiutosi nella storia di Gesù. È perché l'Eterno Figlio di Dio che è rivolto verso il seno del Padre (Gv 1, 18) si rende presente nel tempo, che la missione storica di Gesù, il suo messaggio, la sua libertà di fronte alla morte e nella morte, hanno un valore intramontabile, non logorabile dal

INTRODUZIONE

19

passare dei secoli. Le affermazioni protologiche della cristologia del N. T. non si limitano quindi alla sola condizione di esistenza presso il Padre del Cristo-Logos: esse sono funzionali alla storia di salvezza, non sono separabili dalle intenzioni storico-salvifiche del piano economico di Dio. Il risalire del pensiero cristiano alle « origini » non ha a che vedere con una astratta speculazione metafisica, ma costituisce un momento di rivelazione di quell'intimo mistero di Dio come fonte da cui promana la dinamica storica del « segreto disegno» {mysterìon: Ef 1, 9), di ricapitolare tutto in Cristo (Ef 1, 10). Così, a livello di « preesistenza » si viene anche a fondare trinitariamente la ·« portata universale » di quanto è accaduto nella storia di Gesù e si dà ragione ultima della potenza di irradiazione della sua mediazione salvifica, per lo Spirito, nella storia umana considerata nella sua totalità. È a partire dalla presenza del Cristo-Logos all'opera creativa (Col 1, 15-16; Gv 1, 3) che si può cogliere la ragione per cui l'opera della « nuova creazione » che già adesso incomincia nell'evento pasquale e pentecostale, avviene in piena sintonia con le attese più profonde del mondo e della storia. Di qui lo sviluppo dell'universalismo cristiano della salvezza che vede ogni uomo «creato» e «chiamato» in Cristo, per cui l'annuncio di Gesù Cristo non avviene al di fuori, come il messaggio di un estraneo o di un intruso al tessuto della storia dell'umanità. Il nostro studio mostrerà come la « creazione in Cristo » fondi la destinazione cristologica dell'uomo, il suo essere plasmato « secondo » quella Immagine di Dio che è Cristo (2 Cor 4, 4; Col 1, 15), come omega o destino di ogni essere umano, chiamato ad essere cristiano. Qui si pongono le basi non solo dell'universalismo cosmico della salvezza, ma anche quelle della prospettiva antropologica della cristologia evitando il rischio di vedere il Cristo « solo come risposta» alla domanda umana: 41 solo una prospettiva dall'alto consente di vedere l'attesa del Cristo da parte dell'uomo vivente nella storia come una domanda suscitata dal Cristo stesso per la sua presenza nella fondazione creativa dell'uomo ad immagine di Dio (Gen 1, 26). È così che si fonda «dall'alto» lo stesso «approccio dal basso » e la cristologia può « mediare » !'antropologia consentendo di vedere in Gesù Cristo non solo il Salvatore dell'uomo nella sua vocazione soprannaturale di ·«figlio nel Figlio », ma anche dell'uomo nella sua stessa identità umana.

41 M. BoRDONI, Cristologia ed antropologia · La cristologia media l'antropologia, in «Gesù di Nazaret », I, 186 s. 192·219; W. KERN, La matrice antropologica del processo della tradizione ecclesiale, in (K. NEUFELD ed.) «Problemi e prospettive», 71-96.

20

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

3.

!Il

Il pensiero teologico del Nuovo Testamento alla luce della

« esaltazione pasquale », anticipazione della Parusia, e della « pree-

sistenza» ha operato una «rilettura» dell'evento cristologico del « farsi carne » del Logos. La '> il libro parla nel capitolo 20, 4, 5, nel contesto del millennio: ·in considerazione del parallelo con la profezia di Ezechiele 3 7, 1-14 che annunzìava il rin1r1

J.

COMBLIN,

Le Christ vivant, in «Le Christ dans l'Apoca]ypse », 196-231.

210

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

JI!

novamento spirituale del popolo di Dio dopo l'esilio, la «prima resurrezione » dell'Apocalisse sembra riferirsi a quella resurrezione, come passagio dalla morte alla vita a cui si riferisce Io stesso quarto evangelo (5, 24) e che oggi si realizza già mediante la fede ed il battesimo.sa Della «seconda resurrezione», invece, non parallela alla prima e che piuttosto la porta a compimento, l'Apocalisse non fa menzione esplicita. Essa però ·è anzitutto inclusa come riferimento correlativo alla 'resurrezione prima' (20, 5-6) e quindi compresa nell'orizzonte della «nuova creazione» («nuovo cielo e nuova terra»: Ap 21, 1; Is 65, 17-18) esplicitamente distinta dal primo cielo e dalla prima terra, scomparsi ormai (21, 1 b), mentre tutte le cose sono rese « nuove » (Ap 21, 5; Is 4 3, 19). Tali cose )_si Da qui si vede anzitutto come l'opera di Cristo vincitore si assolve nei confronti .dell'uomo: Satana è debellato in quanto si vede sfuggirgli la preda che gli viene sottratta da Cristo che riconquista l'uomo mediante la forza del suo esempio di « santità-umiltà» che risplende nella croce. ·Qui appare anche la presenza, in Agostino, dell'idea «soggettiva» .di redenzione. È importante ancora osservare come nel pensiero di Agostino, ·se Cristo assolve il ruolo essenziale di salvezza, nella giustizia-santità, specialmente nella croce, esso non prescinde mai però dalla «resurrezione>). Alla «croce >) Agostino attribuisce la rivelazione .della « santità-umiltà>), ma alla «resurrezione» egli attribuisce la rivelazione di « potenza >) con cui Cristo adempie la sua « vittoria ».si In quanto Gesù è « giusto » e « santo )> e va liberamente verso la morte, ci riscatta dalla schiavitù del peccato, ma in quanto è «Verbo » fa risplendere la Vita e risuscitando il corpo, diviene modello e sacramento della nostra resurrezione. 53 È così essenziale ai fini soteriologici che Gesù sia insieme « uomo » per morire operando secondo la « giustizia » e che sia « Dio)> per operare mediante la sua « potenza » .54 In questo modo Gesù, Risorto per la sua «potenza)>, pascal. Chez les Pères de l'Église de Saint Irénée à Saint Léon le Grand », Paris 1968, 173-216. 47 AGOS1"INO, Ep. 232, 6: PL 33, 1029. 48 In., De Trinit., 13, 17, 22. 49 In., De Lib. arb. 3, 10: PL 32, 1285; De Vera Rei. 16, 30-31: PL 34, .134-135. 50 In., De Trinit. U, 13, 17: PL 42, 1026-1027.

Ivi. sz Ivi, 13, 14, 18: PL 42, 1028,1029. sJ Ivi, 4, 13, 16: PL 42, 898-900. 54 I vi, 13, 14, 18: PL 42, 1027. 51

«LA SOTERWLOGIA PASQUALE NELLA CRIS1'. ECCL. POS1'·BIBLICA

»

291.

trionfa sul demonio che egli ha già debellato, come Crocifisso, per la sua giustizia.55 Importante testimone del tema del Christus Vietar nella patristica latina è Leone Magno per il quale, conformemente a tutta la tradizione, nella pasqua si compie la veritas dominicae incamationis. Nella passione salutare, egli dice, il Cristo consuma l'economia di tutti gli altri misteri della sua vita. Se questi già sono sublimissimae divinae misericordiae sacramentum, la pasqua è però excellens super omnia, passionis dominicae sacramentum. 56 Anche presso Leone Magno il termine stesso passio esprime la totalità dei « misteri divini dei sacramenti pasquali» e cioè mortis Christi resurrectionisque mysterium.si Nella totalità di questo mistero di «morte e di resurrezione » Leone vede il combattimento intrapreso mediante l'umanità dal Cristo {uomo per soffrire e morire) 1 come da lui vinto per la sua divinità, che gli consente di essere più forte della morte: « la natura inviolabile è unita alla passibile. Dio vero ed uomo vero è congiunto nella unità del Signore, affinché secondo quanto era opportuno al nostro rimedio, un unico ed identico mediatore di Dio e degli uomini potesse morire per una parte e risorgere dall'altra» ;5a la sua «debolezza umana gli ha consentito di essere crocifisso, di morire e di essere sepolto, la sua potenza divina di risorgere al terzo giorno, di risalire al cielo, di sedere alla destra di Dio, il Padre ». 59 Anche Leone Magno, come Agostino, vede nel combattimento vittorioso di Cristo nella pasqua un'opera di « giustizia »: egli però in alcuni passi 60 sembra adoperare un linguaggio più giuridico nel quale alcuni hanno voluto vedere una anticipazione dell'idea di « soddisfazione »sviluppata in seguito da Anselmo. 61 Però bisogna anche dire a proposito di Leone che l'espressione « il Dio giusto » non è riferita alle sue esigenze adeguate di «riparazione». Anche in lui, come in Ago-

55 Da notare come tra le due espress10n1 neotestamentarie sulla resurrezione «il Padre ha resuscitato il suo Servitore» ed «il Cristo è risorto», Agosiino sceglie la seconda (Trac. in Jo 10, 11: PL 35, 1472-73). Cosl egli, dice Agostino, liberamente cammina verso la morte e per In sua «potenza» (in Jo 11, 2) ricostruisce il tempio di Dio (Enarrat. in Ps 56, 8: PL 26, 666)_ Nessuno può prendergli la vita, ma è lui che la dà e la riprende (trac. in Jo 47, 6: PL 35, 1735). « Assumpsit ergo vita mortem, ut vita occideret mortem ... intet Verbum suscipiens et carnem resurgentem, mors media consumpta est» (in ]o 26, 10: PL 35, 1611). 56 LEONE MAGNO, Sermo 41, 273; 44, 287; 4, 7, 294-295. 57 Id., Sermo 45, 289-90; 44, 286; 45, 291; 43, 283. ss In., Sermo 21, 191. 59 Io., S. Nat. 8. flJ Io., S. Pasch. 5. 61 M.-J. NrcoLAs, La doctrine christologique de Saint Léon le Grand, RT 51 (1951), 609-662; A. LAVRAS, Etudes sur Saint Léon le Grand, RSR 49 (1961), 482-

499.

292

GESÙ Dl NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

III

:stino, la «giustizia» di Dio esprime il senso morale ed evangelico di «santità»: essa, in Cristo, si manifesta nella humilitas, nella obbedienza, nel coraggio, nella sofferenza: humilitatis mysterium, nos -redemit et docuit, 62 unendo insieme la remissione dei peccati e la forma iustitiae che è « la forma della sua mansuetudine ed umiltà » insinuandola in noi. Cosi egli ci ha « imbevuto di quella virtù per la quale ci ha redento ». In questo modo la « vittoria di Cristo » appare come «vittoriosa umiltà ». 63 Qui appaiono congiunte le due prospettive di redenzione soggettiva, come « persuasione » e la redenzione oggettiva come «insinuazione » in noi dell'opera salvifica. Da quanto 1abbiamo detto si vede come il tema del Christus Vfctor ha una risuonanza nelle maggiori voci della patristica e si riallaccia ai dati stessi della tradizione biblica che la teologia dei Padri arricchisce, raramente e marginalmente rasentando il mitologico. È importante osservare come il nodo vitale del combattimento vittorioso è per loro l'evento della pasqua intesa come morte e risurrezione: esso condensa in sé tutto il significato della vita terrestre del Salvatore. Mediante « l'umiltà » della obbedienza che risplende nella sua morte, Cristo infatti, ha distrutto l'impero della disobbedienza istigata dal potere demoniaco e mediante la « potenza » della sua resurrezione egli ha ricondotto l'uomo allo splendore della sua santità. 1n questo modo il « combattimento » di Cristo non è veduto tanto come una lotta .diretta contro le potenze esteriori che detenevano l'uomo in schiavitù, quanto come un'azione di liberazione diretta all'uomo in se stesso, sollevandolo dalla schiavitù interiore attraverso f(Ji « persuasione » (Ireneo, Agostino) che proviene dallo esempio di obbedienza della sua morte. La visione dei Padri però ha una importante risuonanza « cosmica »: riscattando l'uomo, Cristo ha operato una distruzione del potere effettivo di schiavitù di ogni « potenza » demoniaca. In alcuni Padri si mette l'accento anche nella risuonanza della vittoria di Cristo nel mondo dei morti con riferimento non tanto ad un combattimento ultraterrestre ( espressione mitica della « discesa » agli inferi) quanto alla potenza del kerigma di salvezza che risuona nel regno dell'Ade. ·C.

L'EVENTO PASQUALE: PRINCIPIO DI DIVINIZZAZIONE DELL'UOMO.

Non meno importante per la teologia patristica è il tema della ·salvezza dell'uomo nel suo accesso alla «immortalità» (aphtharsia) 62 Vedi Id,, Sermoni 110-120; D. R. DoLLE, Léon le Grand, Sermons (Sourc. chr. 22), 49-74; J,-P. JossuA, Saint Léon le grand. L'incarnation active dans le mystère ·pascal, qui tient d'ellc tout son sens, in « Salut », 281-320. 63 Serm. 18; 69.

« LA SOTERIOLOGIA PASQUALE NELLA CRIST. ECCL. POST-BIBLICA»

293

ed alla «divinizzazione» (theopoiesis). 64 Anche questa prospettiva soteriologica si pone in continuit.à con la teologia neotestamentaria: basti ricordare 2 Pt 1, 4 in cui si può dire riluce l'idea centrale modulata in tanti registri dal pensiero patristico; la « potenza divina», infatti di «Gesù Signore nostro» {1, 2) ci ha concesso di divenire « partecipi della natura divina, essendo fuggiti alla corruzione del mondo a causa della concupiscenza » ( 1, 4). Nel pensiero dei Padri l'opera di salvezza compiuta dal Cristo riconducendo l'uomo alla immortalità ed alla divinizzazione è profondamente legata al substrato antropologico del loro pensiero circa la condizione creativa dell'uomo ad «immagine di Dio », alla concezione del suo decadimento e sfigurazione della sua identità originaria. Rispetto al ruolo minore che ha questo tema antropologico nella teologia dell' AT e la maggiore importanza che esso acquista nel NT ,65 nel pensiero dei Padri si può dire che esso occupa una posizione alquanto centrale.66 Può darsi che una cultura influenzata di neoplatonismo abbia dato una spinta determinante in questo senso, tuttavia non si deve pensare che una simile idea sia semplicemente una reliquia di platonismo. Essa, infatti, non si muove in un contesto fisico, cosmologico, quanto « storico-salvifico ». 67 64 H. E. W. TURNER, The Patristic Doctrine, 70-75; J. GROSS, La divinisation du chrètien d'après /es pères grecs, Paris 1938; G. W. H. LAMPE, A Patristic Greek Lex .. Oxford 1961: ciqi&o:polo:, 274-276; &eorro(7Jotç, 630 s. 65 Per l'AT vedi: P. van IMSCHOOT, L'bomme,. image de Dieu, in « Théologie de l'AT », II, Tournai 1956, 7-11; F. FEsToRJ\ZZI, L'uomo immagine di Dio. Gen. 1, 26 nel contesto della Bibbia, BO 6 (1964), 105-117; R. KocH, L'uomo immagine di Dio secondo l'AT, VP 54 (1971), 777-786; H. W. WoLFF, Immagine di Dio. Il dominatore del mondo, in «Antropologia dell'AT », Brescia 1975, 205-212. Prospettiva comparativa tra AT e NT: K. L. SCHMIDT, Home imago Dei im ·Alten und Net1en Testament, in « Der Mensch als Bild Gottes » (Hera11sg. L. SCHEFFCZYK), Darrnstadt 1969, 10-48; R. Mc. L. W1LSON, Gen. 1, 26 and tbe New Testament. in Bijdr. 20 (1959), 118·125; E. LARSSON, Christus als Vorbild. Eine Untersuchung zu den paulinischen Tauf-und Eikontexren, Upsala 1962; C. SPICQ, L'uomo immagine di Dio, in «Dio e l'uomo secondo il NT », Roma 1969, 277-331. 66 J. KrRCHMEYER, L'image et la ressemblance, in « Grecque (f.glise) », DSp VI, Paris 1967, c. 812-822; P. SHWANZ, Imago Dei als cbristologisch-a11thropologischen Problem in der Geschichte der Alten Kircbe von Paul11s bis Klemens von Alexandrien, Halle 1970; A. SoLJGNAC, Image et ressembla11ce dans la patristique latine (II B), in DSp, VIII, 2, Paris 1971, c. 1406-1425; B. MONDIN, A11tropologia teologica, Alba 1977, 88-91; R. CANTALAMESSA, Cristo «Immagine di Dio». Le tradizioni patristiche su Colossesi 1, 15, in RSLT 16 (1980), 356 s.; S. RAPONI. Il tema dell'immagine-somiglianza nell'antropolo[!.ia dei Padri, in « AA.VV., Temi di Antropologia Teologica» (E. ANCILLI ed.), Roma 1981, con ampia bigliografia patristica (p. 259 s.). 67 H. CRouzEL, Tbéologie de l'image de Dieu chez Origène, Paris 1956, 3170; In., L'image de Dieu dans la tbéologie d'Origène, in «Studia Patr. » II, Berlin 1957, 194-201; R BERNARD, L'Image de Dieu d'après Saint Atha11ase, Paris 195/.: J. DANIÉLOU, Message évangélique et culture hellénistique au Il' et III' siècle, Tournai 1961.

294

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

III

1. B necessario qui anzitutto precisare il senso di questa identità dell'uomo creato ~< ad immagine e somiglianza» di Dio (Gn 1, 26-27), per poter comprendere il tema soteriologico della divinizzazione dell'uomo. La prima riflessione patristica sul testo di Gn 1, 26-27 tende a vedere l'immagine di Dio come identica all'uomo stesso, costituito nella sua spiritualità (anima) e corporeità. B nella sua integrità di uomo che è costituito «.immagine» di Dio, mentre la rassomiglianza ( omoiosis) comporta in più l'opera dello Spirito Santo per cui l'uomo è assimilato a Dio. 68 In Atanasio si tende ad abbandonare questa distinzione corrente tra ' immagine ' e ' somiglianza'; i due termini divengono sinonimi in una interpretazione dell'identità di immagine strettamente « teologico-religiosa » e p1u espressamente ·« cristologica ». Nel quadro generale della creazione, questa « condizi~ne di immagine » non esprime la stessa « natura » dell'uomo, quanto un dono ulteriore che egli riceve partecipando alla forza del Verbo, diventando logik6s, capace di riconoscere, nel Verbo il Padre. 69 Questo rapporto cristologico dell'immagine al Logos è tutt'altro che ignorato da Ireneo, Origene ed esprime, anche in loro, il destino dell'uomo chiamato, al di sopra del mondo sensibile, alla contemplazione del Verbo, Immagine del Padre.'0 Per Atanasio però la vocazione dell'uomo ad essere immagine, attraverso una particolare relazione al Verbo per cui egli diviene logik6s, elevandosi al di sopra dei suoi limiti, è generata da un atto rivelatore di Dio che pone gli uomini in relazione salutare con lui. Ora, è nella misura in cui l'uomo «vive» la sua condizione di immagine, conoscendo Dio, che egli accede alla immortalità ed alla divinizzazione. L'incorruttibilità, infatti, per sé non appartiene alla « na68 Vedi in tal senso IRENEO, AH 5, 6, 1: PG 7, 1138A; 0RIGENE, Peri Arch6n, 3, 6, 1: GCS 12, 280; in Jo 20, 22: GCS 10, 355; CLEMENTE ALESSANDRINO, Ped. 1, 98, 2-3: GCS 12, 148; A. MAYER, Das Bild Gottes nach Clemens von Alexandrien, Roma 1942. 69 Terminologia già presente in ORIGENE, vedi CROUZEL, Théologie, 168; per Atanasio vedi J. RoLDANUS, Le Christ et l'homme dans la théologie d'Athanase d'Alexandrie, Leiden 1977, 37. Nelle Lett. Fest si afferma che l'uomo non fu creato come immagine e che l'immagine è Cristo: noi «ad eius ( =Christi) imaginem facti sumus ... ». Vedi R. BERNARD, 23; J. B. ScHOEMANN, Eikon in den Schriften des hl. Althanasius, in Schol. 16 (1941), 335-350. 1o Ireneo per ragioni antignostiche raramente attribuisce il titolo di « Immagine di Dio» (ROLDANUS, 40, n. 6) al Logos stesso inquanto Dio-Uomo, modello dell'uomo. Il destino cristologico dell'uomo è più dominato dall'idea ricapitolativa per cui il Cristo è il solo vero e secondo Adamo. Per Origene il termine « Immagine » è attribuito al Logos nella sua stessa identità eterna di Figlio, generato dal Padre, sua immagine perfetta, anteriormente al quadro storico-salvifico (ROLDANUS, 42, 3). Il suo discorso si colloca in un quadro più esemplare e sottolinea un rapporto più netto alla spiritualità dell'uomo, kat'eik6na non-corporale. H. C. GRAEF, L'image de Dieu et la structure de l'ame chez les Pères grecs, in VSp., Suppi. 22 (1952) 331-339.

« LA SOTERIOLOGIA PASQUALE NELLA CRIST. ECCL. POST·BIBLICA »

295

tura» ( physis) dell'uomo. Proprio dell'uomo come physis è infatti il suo ritorno al nulla. L'immortalità ( aphtharsia) è pertanto, qualità divina e non evidenzia tanto, negativamente, il non morire, quanto, positivamente, il « conoscere Dio », Colui che solo « è » e « vive » veramente. 11 L'immortalità viene così intesa come « vita di amicizia » con Dio, non come prerogativa fisica dell'uomo. Essa è dono originario e gratuito di comunione soprannaturale (divinizzazione) concesso in una prospettiva « escatologica ». In questo convengono sia Ireneo, che Origene, che Atanasio e lo stesso Cirillo Alessandrino. Considerando quanto abbiamo ora detto, la « caduta » dell'uomo, il suo allontanamento dalla condizione di immagine e dalla immortalitàdivinizzazione, riporta gli uomini alla loro «natura fisica» soggetta alla corruzione, privati della grazia del « secondo l'immagine ». 72 Tuttavia, dice Atanasio, non era conveniente che gli esseri che una volta erano stati creati logik6i perissero ritornando al nulla e cosi il Logos stesso intraprende la « ricreazione dell'uomo » ad immagine di Dio, restituendolo alla immortalità. Da questo richiamo antropologico si vede come nel pensiero di un importante filone della tradizione patristica il destino alla immortalità ed alla divinizzazione fa parte del progetto stesso creativo di Dio, che tutto ha creato nel suo Logos e fonda la più intima « identità dell'uomo » il quale è inconcepibile senza il r01pporto con Dio. L'uomo abbandonato a se stesso se ne ritorna al nulla. L'antropologia dei Padri, come quella biblica, è essenzialmente religiosa: il loro linguaggio di « immagine » di Dio e di « divinizzazione » non fa che esprimere la chiamata dell'uomo ad essere pienamente se stesso nella comunione con Dio. Diremmo con linguaggio odierno: «l'umanizzazione » vera dell'uomo sta nella sua theopoiesis (divinizzazione). 2. ·Nella teologia patristica la « conoscenza di fede » e l'accesso dell'uomo alla « immortalità » sono poste in riferimento alla opera salvifica del Cristo. 73 Questa non viene veduta dai Padri, come vorrebbe la cosl detta « teoria mistico-fisica», compiuta solamente per il fatto fisico dell'incarnazione, bensì nell'evento pd.squale. In Ireneo, nel cui pensiero domina come abbiamo già detto, la « ricapitolazione », l'opera salvifica di Cristo si adempie nella pasqua 71 Fin dall'inizio della tradizione patristica, la conoscenza di fede e l'immorta· lità sono l'opera principale della restaurazione di Cristo che quindi è « illuminatore » (vedi primo paragrafo) e «comunicatore di immortalità» (1 Clem. 36, 2; 2 Clem 20, 5). M. LoT-BORODINE, La déi/ication de l'homme selon la doctrine des Pères grecs, Paris 1970 .

1. Didache' 9, 3; 10, 2; 1 Clem 36, 2; Clem 20, 5; Rm 6, 3. .72 ROLDANUS, 91, n. 73

IGNAZIO,

Eph. 15, 3; Magn. 14;

296

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

III

nella quale egli, vincendo la morte, ha fatto partecipare gli uomm1 alla immortalità, riportandoli alla conoscenza salutare di Dio. Se per la sua morte, il Cristo si è assimilato agli uomini peccatori, nella sua resurrezione egli assimila, mediante lo Spirito, gli uomini a sé, quale Adamo resuscitato. In questo processo positivo di assimilazione per la resurrezione e lo Spirito, si compie l'omoiosis redentrice dell'Uomo (AH 5, 17, 1: PG 7, 1169). La visione unitaria dell'economia di salvezza in Cristo porta Ireneo a vedere come un solo avvenimento l'incarnazione e la resurrezione. Richiamandosi alle più antiche formule di fede cristologica (secondo la carne, secondo lo Spirito: Rm 1, 3-4) egli confessa «un solo Gesù Cristo Nostro Signore, che è dal seme di David secondo quella generazione che è da Maria, questo stesso Figlio di Dio, Gesù Cristo, manifestato nella potenza secondo lo Spirito di santità nella resurrezione dai morti ».74 Ora, questa potenza della resurrezione si manifesta proprio nel dono all'uomo della immortalità (Epid. 38-40). In Atanasio è altrettanto profondo il legame tra incarnazione ed evento pasquale come mistero unico di salvezza nel quale Cristo ha riportato l'uomo alla sua condizione creativa di immagine, di essere logik6s « nessun altro poteva rendere immortale l'essere mortale, se non colui che è la vita stessa, Nostro Signore Gesù Cristo; nessun altro poteva far conoscere il Padre e distruggere il culto degli idoli se non il Verbo che ha ordinato tutte le cose » (De Inc. 20: PG 25, 130) .75 Ma il passaggio dell'uomo dalla corruzione e mortalità alla incorruttibilità ed immortalità, alla vera conoscenza di Dio, il Padre, si è compiuto attraverso la missione di insegnamento di Cristo, attraverso l'offerta del suo corpo e la· potenza della sua resurrezione: ·« la morte di tutti si è consumata nella carne del Signore e la morte e la mortalità sono state annientate dal Logos, che si è fatto carne» (ivi): Per l'evento pasquale si è ripristinata l'aphtharsia della vita e la :figliolanza divina dell'uomo: 76 « il Verbo offrendo ... il suo corpo in riscatto per tutti, paga il nostro debito nella sua morte. Cosl unito a tutti gli uomini, mediante un corpo simile a loro, il Figlio incorruttibile di Dio può giustamente rivestire tutti gli uomini di incorruttibilità e promet74 lRENE0, AH 3, 16, 3: del resto, egli dice «se non si accetta la nascita da una vergine, come si accetterà la resurrezione dai morti? Se non fosse nato non, sarebbe morto, se non fosse morto non sarebbe risorto dai morti, né vincitore della morte e se la morte non fosse vinta, come noi saliremmo alla vita? » (Epid. 38-40). A. AmnNEAU, Incorruptibilité et divinisation selon S. Irénée, RSR, 44 (1956), 2552; J. ARRONIZ, La Immortalidad coma deificaci6n del hombre en S. Ireneo, in «Script. Victoriense », 8 (1961), 262-287. 75 RoLDANUS, 100, n. 31. 76 ATANASIO, Contr. Ar. I, 41.48.

« LA SOTERÌQLOGIA PASQUALE NELLA CRIST. EGCL. POST-BIBLICA»

297

tere loro la resurrezione ».TI Particolarmente la resurrezione è per Atanasio l'evento attraverso il quale si irradia il dono della. immortalità e che rende i credenti nel Cristo incorruttibili. 18 La « divinizzazione » ( theopoiesis) è linguaggio strettamente congiunto alla « immortalità » e riceve da questa il suo contenuto principale: « l'idea di theopoiesis si esercita nella direzione dell'idea di immortalità, la raggiunge e vi si incorpora in modo che nella aphtharsia si ritrovano contenuti i risultati e l'essenziale della salvezza ». 79 Per i Padri Cappadoci va messa in particolare evidenza la dottrina di Gregorio di Nissa che vede l'opera soteriologica di Cristo compiuta attraverso l'evento pasquale: per lui se la deificazione dell'umanità di Gesù comincia già con la sua nascita e prosegue con la sua. vita terrena culminando nella resurrezione ed ascensione, la deificazione del genere umano non comincia che dalla resurrezione del Salvatore: « poiché è dalla nostra specie che proviene la carne che ha riavuto Dio, questa carne che fu elevata e saldata alla divinità per la resurrezione, è avvenuto che, come nei nostri corpi l'azione di uno dei nostri sensi trasmette Ia sensazione al tutto unito alla parte, così essendo tutta la natura un solo essere vivente, la resurrezione di .una parte penetra il tutto ».ro E così la risurrezione della carne di Cristo che è principio della divinizzazione e resurrezione di tutta la nostra natura: per essa la « pura ed incorruttibile divinità del Figlio discende nella natura mortale e corruttibile degli uomini ». 81 Un apporto notevole per il pensiero patristico circa la divinizzazione dell'uomo realizzata mediante la pasqua del Cristo ci viene da Cirillo Alessandrino. Certamente, come vedremo nello studio dell'idea di incarnazione, l'efficacia soteriologica dell'opera del Cristo non può prescindere dalla unità esistente tra umanità e divinità. Ma per Cirillo la virtù della divinità non si manifesta e non opera che attraverso la morte e la resurrezione di Cristo. Infatti, è dopo la resurrezione che il corpo di Cristo è incorruttibile e vivificante « esso è, in effetti, il corpo della vita, cioè del Figlio Unico; è rivestito di una gloria tale che conviene alla divinità e si presenta come il

In., De lncarn. 9, 2. Ivi, 27, 2-.3. 79 A. GrLG, Weg rmd Bedeutung der Altkirchlicben Christologie, Miinchen 1961, 86. BO GREGORIO DI NrssA, Orat. Cat. 32: PG 45, 80 BC. E. MoursouLAS, L'incarnation du Verbe et la déification de l'homme selon la doctrine de St. Grégoire de Nysse, Athènes 1965; J. B. ScHOEMANN, Gregors van Nyssa theologische Anthropologie als Bildtheologie, in Schol. 18 (1943), .31-53; 175-200. 81 In., Orat. cat. 25; 26; 37: PG 44, 68.69.97. TI 78

298

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

Il!

corpo di Dio ... ».82 Questo carattere incorruttibile, vivificante, di~ vino, che possiede l'umanità di Gesù, così come il ferro unito al fuoco diviene incandescente ,B.3 non le appartiene prescindendo dalla resurrezione. Specie nei commenti su S. Giovanni, una delle opere di Cirillo anteriore alla controversia nestoriana, viene più rilevato il ruolo soteriologico della resurrezione di Cristo come mistero che rende vivificata e vivificante la sua carne. È proprio per rendere vivificante la sua carne, dice Cirillo, che Cristo ha patito la passione e la morte, per abolire la morte di tutti (in Jo I. 12: PG 74, 628; ivi 74, 89), ma egli è «risuscitato», «riformando, in se stesso per primo, la natura dell'uomo per l'immortalità e la vita beata ». 84 La resurrezione è quindi un evento di vivificazione non solo fisica, ma di « divinizzazione » che Cirillo vede particolarmente legata, come mostreremo in seguito, alla effusione dello Spirito (in Jo I. 1, 9: PG 73, 161-164). Il linguaggio patristico della « divinizzazione » ( theopoiesis) dell'uomo come espressione più rappresentativa dell'opera soteriologica di Cristo compiuta attraverso l'incarnazione e l'evento pasquale non comporta. una diminuzione della autonomia dell'uomo, un attenuarsi delle sue caratteristiche umane, uno sbiadirsi della sua libertà. Testimone della portata, diremmo antropologica, della « divinizzazione » dell'uomo è Massimo Confessore a termine della patristica greca. Egli, da un lato, riprende l'affermazione comune della theopoiesis in cui si assolve « il grande mistero della economia divina nei nostri riguardi »,85 ma dall'altro, al seguito di Calcedonia si preoccupa di rilevare che tale affermazione non comporta una diminuzione dell'essere umano. In polemica con le eresie del monoenergetismo e del monotelismo egli dà grande importanza alla « autonomia umana » del Cristo, nella sua opera salvifica, come espressione della sua libertà umana. È proprio questa ·« accentuazione » dell'opera salvifica come «atto di libertà» {Op. Theol. et polem.: PG 91, 157 AB) che mostra contro le teorie :fisiche come la redenzione mediante la divinizzazione non avviene in maniera « automatica ». Essa. mette in giuoco la libertà dell'uomo 86 che si manifesta, partiEp. 45: PG 77, 236. Adv. Nestorium 4: PG 76, 192; in Jo 2, 6; 4, 2.3: PG 73, 349, 577.581.601.604; in Mt 24, 51: PG 77, 446; Hom. Pasch. 17: PG 77, 581. W. J. BuRGHARDT, T.?e lmage of God in Man according to Cyril of Alexandria, Woodstock (Maryl.), 1957. 84 In., in Jo. 4: PG 73, 572; Hom. Pasch. 9, 27.28: PG 77, 940, 956. 85 MASSIMO CONFESSORE, Op. theol. et poi.: PG 91, 225 D; Ep. ad ]o. cub.: PG 91, 468 C. 86 J. M. GA,RRIGUES, La compénétraction de l'agir bumain et divin dans la liberté filiale, in « Maxime le Confesseur. La charité avenir de l'ho=e », Paris 1976, 11682 CIRILLO ALESSANDRINO, 83 CIRILLO

ALESSANDRINO,

«LA SOTERIOLOGIA PASQUALE NELLA CRlST. ECCL. POST-BIBLICA»

299

colarmente, nella sua obbedienza fino alla morte che ha fatto di Cristo il «primogenito tra i morti». È particolarmente illustrando il dramma del Calvario, infatti, che Massimo il Confessore dà un apporto nuovo alla teologia. dei Padri. Questi nel loro pensiero cristologico non avevano messo in evidenza la libertà umana del Cristo che là ove essa sembrava opporsi alla volontà divina: cosl la preghiera del Getsemani, nella sua prima parte, era attribuita dai Padri al volere umano del Cristo; mentre nella sua seconda parte, in cui si esprime l'accettazione del volere del Padre, essa era attribuita all'unica volontà divina comune al Figlio ed al Padre.87 La novità di Massimo 88 sta nel considerare anche l'accettazione della passione riferita alla volontà umana del Cristo; essa ·esprime «l'atto supremo della sua volontà umana», atto supremo di « consenso » e di « accordo ( sum phuia) perfetto » con la volontà divina. La salvezza operata dal Cristo è quindi espressione della piena libertà dell'uomo Gesù. Obbedendo al Padre, il Figlio vive la sua relazione di volontà con lui (il Padre), non come relazione tra lui stesso come uomo e lui stesso come Dio. È al Padre che egli, infatti, obbedisce e non a se stesso. Così già in Cristo stesso a,ppare come la più profonda identità ed unione tra Dio e l'uomo è la più profonda «non-identità »,69 il che vuol dire: quanto più l'uomo si unisce a

Dio, divinizzandosi, tanto più egli stesso diviene « uomo ». « La comprensione occidentale degli effetti della redenzione non raggiunge la stessa altezza né prima, né in Agostino stesso. Piuttosto con lui la visione degli effetti dell'azione salvifica di Dio perde la sua stretta connessione con la cristologia e viene trasferita nella « dottrina della grazia ». Questo processo viene portato avanti nella dottrina tridentina della giustificazione. Con ciò la dottrina latina della salvezza viene profondamente trasformata in una antropologia teologica (in accordo con la dottrina del peccato originale e della grazia) ». 90 Non si può tuttavia misconoscere l'importanza che Agostino attribuisce, nella linea dei Padri greci, alla partecipazione del-

124; M. LoT-BORODINE, La doctrine de la grace et de la liberté dans l'ortbodoxie greco-orientale, in «La déi.fication », 188.233; P. PmET, La volonté bumaine du Cbrist Jésus, in «Le Christ et la Trinité selon Maxime le Confesseur », Paris 1983, 249-283. frT F.-M. LÉTHEL, Théologie de l'agonie du Christ. La liberté huroaine du Fils de Dieu et son importance sotériologique mises en luroière par Saint Max.ime le Confesseur, Paris 1979, 92. 88 MASSIMO CONFESSORE, Op. 6; LÉTHEL, 87-90 sulla agonia del Getsemani. 89 In., De duabus Christi nat.: PG 91, 145 B-148 A; Op. Theol. et po!.: PG 91, 100 B; 204 A; 232 B-D. 90 A. GRILLME!ER, Dottrina postbiblica degli effetti dell'azione salvifica di Dio in Cristo, in MySa, VI, 482.

300

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

III

l'uomo a quella gloria divina del Cristo che risplende nella sua incarnazione, morte e resurrezione come solidale assunzione della nostra natura mortale. 91 Ora, è per questa partecipazione alla grazia del Cristo Capo che l'uomo divinizzato è veramente reso « libero » ( Gv 8, 362) ,92 libertà che non è solo « libertà dal male », ma anche « libertà di scelta» nella quale l' « onnipotentissima » azione di Dio agisce (De cor. et gr. 14, 45: PL 44, 943) nella «soave libertà dell'amore » .93 Nella sua morte e resurrezione, dunque, Cristo opera non solo una restaurazione dell'uomo secondo la sua prima « immagine creativa» che già era modellata «secondo l'immagine» del Logos, ma porta a compimento il progetto originario di elevazione della natura umana corruttibile a quella « immortalità » che è profonda comunione alla vita stessa di Dio che egli possiede in se stesso e pienamente si manifesta e si comunica all'uomo nell'evento pasquale.

D.

IL CRISTO «AGNELLO IMMOLATO»: LA SALVEZZA NELLA PASQUA COME ESPIAZIONE SACRIFICALE.

Lo sviluppo del linguaggio sacri:fìcale-espiatorio ha avuto un processo lento nella soteriologia patristica. All'epoca dei Padri Apostolici, mentre in consonanza con la tradizione biblica si afferma che Cristo « morl per noi », tale formula neotestamentaria ha però un suono convenzionale. In realtà ·« è necessario ammettere che in confronto al Nuovo Testamento, i Padri Apostolici complessivamente non si preoccuparono molto del peccato ed i loro scritti mostrano un notevole indebolimento dell'idea di espiazione ».94 In vero nella loro visione soteriologica, essi assegnano un ruolo relativamente minore al valore « espiatorio » della sua morte e danno piuttosto rilievo, come abbiamo già visto, ad una salvezza per via di rivelazione, di illuminazione. Ciò che importa per essi è quanto Cristo ci ha rivelato e donato: una scienza nuova, l'immortalità, riscattandoci dalle tenebre dell'errore. La passione e la morte di Cristo ha soprattutto efficacia di esempio, quale « modello di obbedienza». Tuttavia anche se meno emergente, non manca del tutto l'idea 91 AGOSTINO, Enchir. 108; De Trin. 2, 4: PL 42, 848; ivi 4, 2.4: 887.892; ivi 13, 9.12.17: 42, 1023.1026.1031; in ]o. tract. 12 10-12: PL 35, 1489-1490. Vedi ]. ALFARO, in MySa V, 854. 92 AGOSTINO, in ]o 41, 9-13: PL 35, 1697-1699. A. TRAPÈ, S Agostino, in QuASTEN, «Patrologia», III, Torino 1978, 415. 93 TRAPÌ;, ivi, 416. 94 J. N. KELLY, Man and bis Redemption, in « Early Christian Doctrines », London 19775, 165.

« LA SOTERIOLOGIA PASQUALE NELLA CRIST. ECCL. POST-BIBLICA»

301

sacrifìcale, per cui Cristo ha versato il suo « sangue » a nostro vantaggio (1 Clemente 21, 6; 49, 6), in quanto per mezzo del suo sangue egli ci ha « purifìcato nella remissione dei nostri peccati » (Barnaba 5, l; 6, 11; 8, 3) e ci ha restituito alla vita (Ignazio, Ad Eph. 1, 1). Questa ·«offerta» del sangue di Cristo ha valore di riscatto ( lytrosis) (I Clem 7, 4) e Barnaba afferma anche apertamente che Cristo offri il suo corpo in sacrificio per i nostri peccati, ricordando il sacrifìcio di Isacco (7, · 3)Anche nel secondo secolo gli Apologisti danno un solido fondamento razionale, con la dottrina del Logos, all'idea della soteriologia per illuminazione: Cristo infrange il potere di seduzione dei demoni attraverso la conoscenza nuova dell'unicità di Dio e della legge morale (Giustino, I Apol., 12-19; 23). Però in questo periodo, soprattutto con Giustino, si affe1-ma il significato sacrificale della croce per la remissione dei peccati. Cristo, infatti, egli dice, ha ottenuto possesso . dell'umanità « con il sangue e col mistero della croce >) (Dial. 134, 5 s.), «la sua morte ci ottiene ltti remissione dei peccati e la redenzione dalla morte» (ivi 41, l; 111, 3). Anche il richiamo ad Is 53 ,5 con l'idea dell'aspetto vicario della sofferenza per cui Cristo ha assunto su di sé la maledizione di tutti va in questo senso di una soteriologia sacrificale. Giustino non è il solo, nel secondo secolo, a rilevare questo aspetto della redenzione per espiazione e sacrificio. Ireneo nell'ambito della dottrina della « ricapitolazione», come abbiamo già detto, vede nell'evento pasquale il momento più espressivo della obbedienza di Cristo (AH 2, 3, 22) causa di vita e di immortalità. Ora, tale obbedienza è anche « sacrificio » compiuto « per noi », « per la nostra redenzione » (AH 3, 16, 9; 5, 17, 1 ) . Anche se questi passi in cui Ireneo afferma, con un linguaggio tradizionale, che Cristo, morto per noi, ci ha « riconciliati » con Dio, « ci propiziò con il Padre contro il quale avevamo peccato » sono considerati come indipendenti dalla sua teoria principale della « riconciliazione » per la via dell'obbedienza, resta il fatto che essi si integrano perfettamente in questo quadro. Infatti, proprio nella prospettiva paolina ispiratrice dell'idea del « secondo Adamo » obbediente, « ricapitolatore » dell'umanità nuova, la passione e la croce appaiono l'espressione sacrificale suprema di questa sua obbedienza. Accanto a questa interpretazione predominante appaiono marginali l'idea della « sofferenza espiatoria » come « riscatto » o « prezzo pagato » per la liberazione dell'umanità. Nei secoli posteriori, nell'oriente cristiano, va rilevato l'apporto di Origene, il primo Padre che tratta particolarmente l'opera della passione del Cristo non solo come un atto obbediente al volere di Dio, con cui egli ha posto una riparazione alla disobbedienza del

302

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

III

primo Adamo, 95 ma anche come un « sacrificio » espiatorio: Cristo ha preso su di sè i nostri peccati ed ha sofferto liberamente ' per noi ' (Hom. in Lev. l, 3: PG 12, 408-409) come sacerdote, offerente al Padre un vero sacrificio di cui egli stesso è vittima che ci ha propiziato il Padre (in Rm 3, 8): ·« fìnché ci sono peccati, egli scrive, sono necessarie anche le vittime per i peccati ... ma tra tutte le vittime uno solo è l'Agnello che poté togliere il peccato di tutto il mondo ». 96 Queste affermazioni sacrificali appaiono veramente poco integrabili nel sistema generale soteriologico di Origene. Egli, in realtà le us·a e conserva, perché la Scrittura ne è piena e perché ritiene che la visione storica del « sacrificio di Cristo » corrisponda alla sensibilità dei cristiani più semplici. Ma per gl'iniziati alla conoscenza mistica ricorda le parole di Paolo ( 2 Cor 5, 16) invitt1'11doli a ruperare la storia documentaria e lo stesso realismo cruento della passione per sollevarsi alle realtà spirituali e divine che consentono la « deificazione del credente ». o ·« Spirito del Padre »: è in quanto « Spirito del Padre » che egli ·« precorre >> (Basilio, Gregorio Nazianzeno) la venuta del Figlio e l'annuncia come suo « precursore»: «lo Spirito, che procede dal Padre, riposa sul Figlio», dice Giovanni Damasceno (De Fide Orth. 1, 8: PG 94, 822 b). Così il dono dello Spirito del Cristo glorificato dal Padre non è né una appendice della incarnazione, né un'opera ministeriale: la venuta dello Spirito è «un nuovo atto personale » (secondo atto del Padre: P. Eudokimov) con cui lo Spirito « compie, attraverso il Figlio, quel che desidera il Padre, come fosse il suo proprio volere ». 138 Ora, questa opera personale dello Spirito che umanandosi nella carne di Cristo (mistero della unzione) irrompe attraverso di essa nel mondo, si manifesta, tiella teologia dei Padri sotto diversi profili: da un lato lo Spirito « divinizza » l'uomo consentendo al Verbo di inabitare in lui (Ireneo), consentendogli di raggiungere la forma eristica dell'uomo nuovo (Massimo Confessore); dall'altro unifica i credenti con il Padre ed il Figlio e tra loro, rivelandosi come Spirito di amore ( nexus amoris) e di comunione (Agostino). Egli cosl opera la dimensione comunitaria della salvezza. Dall'altro, ancora, come potenza vivificante esso si manifesta nel suo volto « exstatico » e « carismatico», mostrando il volto dell'amore del Padre e del Figlio come. (>, Zurich 1967; In., Heilsgeschehen und Geschichte, in « Kerygma und Dogma» ( =KD), 5 (1959), 218-237; 259-288. Sull'autore vedi il lavoro critico di 1. BERTEN, Hirtoire, révélation et foi. Dialogue avec W. Pannenberg, Bruxelles 1969. 55 PANNENBERG, Esquisse, 55 s. Unifica due dati della vita di Gesù spesso giustapposti: il conflitto di Gesù sulla Legge che lo conduce a morte ed .il senso espiatorio di tale morte. Opponendosi alla Legge è caduto sotto la maledizione della Legge (Gal 3, 13). Per il problema del rapporto tra Gesù e la Legge rinviamo però al nostro GSC, II, 165-186. 53 54

«

LA SOTElUOLOGIA PASQUALE NELLA CRIST. ECCL. POST-BIBLICA »

403

ferma di questa sua pretesa. Una piena 'verifica ''della sua pretesa è possibile, per sè, solamente nel quadro di una ' storia universale ' e soprattutto nell'evento escatologico finale di questa storia che mostrerà la portata salvifica della storia singolare di Gesù per tutta la umanità. Il problema della cristologia rimarrebbe, cosl, per sè aperto di fronte ad una storia universale ancora incompiuta. Ma, intanto, la pretesa di Gesù appare compromessa proprio dal fatto conclusivo della sua vita: la sua crocifissione. La croce, dice Pannenberg, costituisce infatti la smentita del significato della vita terrena di Gesù, della sua straordinaria pretesa. Secondo la tradizione giudaica, infatti, la morte di Gesù è quella di un empio, di un bestemmiatore, quindi essa sarebbe la condanna da parte di Dio della sua pretesa singolare di definire la storia rispetto a se stesso. Prendendo sul serio il contesto giudaico non esisterebbe, pertanto, una continuità tra la vita pre-pasquale di Gesù con la sua pretesa divina sulla storia e la fede pasquale dei discepoli. Questa continuità non può essere stabilita solo sulla ' significazione ': una ermeneutica della ' significazione ' da sola sembra piuttosto una ideologizzazione della croce e non è quindi che illusoria. Perché la croce cambi ' realmente ' il suo significato storico realizzando la continuità tra storia di Gesù e kerigma pasquale è necessario un « avvenimento oggettivo » che ·è la « resurrezione » e che, proprio in quanto avvenimento, determina il valore salvifico della croce e ne attua la portata universale. L'importanza della resurrezione si rivela, quindi, da un lato in riferimento alla stessa storia singolare di Gesù, come suo essenziale, oggettivo compimento e dall'altro in riferimento alla storia universale, come anticipazione (prolessi) della sua fine. Vediamo brevemente questi àue aspetti. In quanto al primo Pannenberg sostienè giustamente che bisogna superare ogni scissione tra ' fatto ' e ' senso ' per affermare la conoscibilità storica della resurrezione.56 La resurrezione di Gesù non può essere ricondotta solo ad una ermeneutica della significazione, come vuole R. Bultmann, per il quale essa è solo ' il senso della croce ' o, come vuole G. Ebeling, il « senso della vita terrestre di Gesù » .57 In tal caso, infatti, ciò che importa nella resurrezione non sarebbe quello che è accaduto personalmente a Gesù (resurrezione-accadimento), quanto il ' senso ' della sua vita e del suo

Analisi critica in I. BERTEN, Histoire, 110-111. G. EBELING, Die Frage nacb dem bistoriscben Jesus und das Problem der Cbristologie, in « Wort und Glaube », Tiibingen 1960 (ed. fr. « L'essence de la fai chrétienne », Paris 1970, 64-80). Vedi GSC, I, 50-52 per l'interpretazione da parte di EBELING dell'evento della resurrezione di Gesù. 56

Y1

404

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

III

messaggio che richiama alla conversione {vedi W. Marxen: la' causa' di Gesù continua). Pannenberg afferma, in tale dibattito, che è proprio quanto è accaduto a Gesù, nella resurrezione, come avvenimento oggettivo e con la significazione che le appartiene, che è essenziale alla cristologia. La 'oggettività' della croce che a sè stante annulla la pretesa di Gesù, richiede, come abbiamo detto, l'oggettività della resurrezione, per cui la croce diviene oggetto di predicazione. La predicazione apostolica ha reinterpretato la croce inserendola nel disegno di Dio. La crocifissione, infatti, ha un senso ambiguo: il giudaismo era portato a vedervi un rifiuto di Dio; la· resurrezione, invece, un senso chiaro come risposta e consenso di Dio. Se Gesù è {veramente) risorto, la sua morte non può essere un semplice episodio tragico, la fine scandalosa della sua missione, ma deve potersi integrare alla resurrezione e cioè la morte di Gesù deve essere compresa a partire dalla ' giustificazione ' di Gesù da parte di Dio che lo costituisce Signore. Seguendo questa linea la comunità apostolica ha cercato di elaborare tale reinterpretazione seguendo il filone del destino dei profeti {At 2, 23; Mt 23, 37; Le 13, 33-34) e l'idea stessa sostitutiva. Se Gesù ·è dichiarato ' innocente ' da Dio, perché risorto, egli non ·è morto per se stesso, ma per noi. Quindi, realizzando al massimo quel servizio di amore annunciato nella sua predicazione. Cosl richiamando il destino espiatorio del Servo (Is 52-53) Gesù dona la sua vita in riscatto i(Mc 10, ·45; Le 22, 27). :Si apre la via alla interpretazione soteriologica espiatoria della croce nel quadro del disegno redentore di Dio, con una funzione, quindi, universale: Gesù, morendo come giusto, ha portato la pena dei peccatori e li ha liberati dalla loro schiavitù. 58 L'apporto alla soteriologia da parte di Pannenberg è importante in quanto in contrasto con le teorie teologiche soddisfattorie, spesso la resurrezione appare come un epilogo che non rischiara il senso della redenzione. Per lui, invece, è nella resurrezione, come avvenimento, che si rivela'il senso della morte di Gesù, strappata dalla sua ambiguità, per mostrarci che essa è la sofferenza da lui subita al nostro posto a motivo della nostra condizione peccatrice (blasfema). Ma la resurrezione assolve il primo compito nei confronti della croce in forza del significato che essa possiede nel contesto storico giudaico tradizionale. 59 In tale contesto essa ·è attesa come evento che accompagna la :fine della storia e la rivelazione definitiva di Dio. La resurrezione di Gesù è allora l'avvenimento che manifesta come

58 PANNENBERG,

327-347. s9

Ivi, 72 s.

Le sens de représentation de la mort de Jésus, in « Esquisse >>,

«LA SOTERIOLOGIA PASQUALE NELLA CRIST. ECCL. POST-BIBLICA»

405

la vita di Gesù è di fatto una anticipazione della rivelazione escatologica di Dio, una prolessi della fine. Come tale essa è la conferma della verità della sua pretesa e che tale pretesa non è stata annullata dalla morte, ma, in essa, a sua volta confermata. Con la sua morte, infatti, « Gesù ha sopportato la conseguenza della separazione da Dio, la pena del peccato, non solo al posto del suo popolo, ma al posto della umanità intera. Per mezzo di lui è stato vinto a favore di tutti gli uomini l'abbandono divino nella morte: nessuno, d'ora innanzi, subirà più da solo e senza speranza la propria morte; nella comunione con Gesù si fonda la speranza nella partecipazione personale della nuova vita futura che è già apparsa in Gesù e che consiste nella comunione con Dio » 60

5. Da questi sviluppi della teologia protestante sul tema soteriologico della croce e della resurrezione appare quanto esso sia sempre attuale e vivo nella riflessione della riforma. Il pensiero di questa confessione cristiana sul tema: «come la morte di Gesù può significare salvezza » ha trovato una espressione e consenso pubblico in occasione del consiglio delle Chiese evangeliche del 1964 61 nella risposta centrale: « la morte di Gesù viene annunciata, perché il crocifisso vive ». Questa affermazione di fede viene delucidata nelle linee teologiche varie legate alle prospettive teologiche che già abbiamo delineato: per alcuni, infatti, il vivere di Gesù ' oltre ' la croce, esprime che la ' causa ' del Gesù terreno continua e cioè l'azione viva della sua coscienza e del suo messaggio (G. Ebeling, W. Marxen). Si tratterebbe, in sostanza, del sopravvivere dello ' stile di Gesù ', di quel modo di esistere che egli ha inaugurato. 62 Alcuni però si sono opposti a tale interpretazione piuttosto ideologizzante. Per altri il vivere attuale del Crocifisso è veduto in rapporto alla efficacia salvifica della morte di Gesù, veduta sia nella sua validità oggettiva di avvenimento extra nos inteso come « soddisfazione vicaria » che nel suo carattere soggettivo (pro nobis) che opera mediante l'annuncio della parola della croce, la quale sollecita la fede. In questa linea la croce è il sì di Dio che salva il peccatore, lo accoglie e gli dà vita, ma è anche il no di Dio che condanna il peccato. Nell'incontro del consiglio delle Chiese evangeliche al quale abbiamo ora accennato è emersa anche la tematica della prassi della ero-

ro Ivi, 76 s. 61 AA.VV., Die Bedeuttmg der Auferstehungsbotschaft fur den Glauben cm ]esus Christus, Giitersloh 1966; Io., Das Kreuz ]esu Christi als Grund des Heils. Giitersloh 1967. 62 AA.VV., Zum Verstiind11is des Todes Jesu, Giitersloh 1968; 18.

406

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

III

ce come « sequela » del Crocifisso, nell'ambito delle situazioni culturali dell'uomo e quindi come impegno che prosegue ciò che Cristo ha compiuto, nella sua morte, per la salvezza del roondo.6.J Questo comporta una certa svolta per la teologia protestante della croce non solita incontrarsi con le tendenze culturali proiettate verso il progresso, lo sviluppo, la liberazione.64 a. Un esempio di questa svolta si era affermato già nella prima metà di questo secolo con la teologia dell'ultimo D. Bonhoeffer,65 nel suo tentativo di conciliare profondamente la trascendenza cristiana di Dio con il postulato fondamentale della cultura secolare circa il «mondo adulto», la sua emancipazione ed autonomia. Il tema bonhoefferiano della sofferenza dì Dio si allontana, in realtà, dalla riflessione tipica della theologia crucis che va da Lutero a Barth. Questa, come abbiamo veduto, sottolinea, nella infermità di Cristo l'infermità ontologica dell'uomo che pur nella giustificazione rimane essenzialmente peccatore, come pure sottolinea la sua infermità conoscitiva. La theologia crucis J{iterana, quindi, inchioda l'uomo nella sua nullità etica ed operativa. Per Bonhoeffer, invece, la croce manifesta l'impotenza cli Dio in funzione della potenza dell'uomo. Nella riflessione bonhoefferiana sulla croce possiamo cogliere due motivi fondamentali: il primo è quello negativo della crisi del dio della religione e della metafisica che viene detronizzato dall'avvento della cultura secolare. L'uomo dell'età adulta del mondo non può continuare ad essere religioso in quanto ha legittimamente superato lo stadio di « insicurezza » che lo legava al bisogno di un .dio (tappabuchi), che assolveva un continuo ruolo di supplenza rispetto alla incapacità dell'uomo. Anzi, proprio questa esplosione della «potenza » del dio delle religioni manteneva l'uomo nella sfera della soggezione e della minorità. 66 Ormai, però, la religione ed il dio della religione è morto in quanto l'uomo non ha più bisogno di lui per il suo equilibrio interiore e la sua sicurezza che la sua maggiore età

Ivi, 20-23. M. E. MARTY, Jesus und die Bewegungen innerhalb der Gesellschaft, in « Jesus-Konfrontation und Gemeinschaft », Frankfurt aM. 1974, 13·27. 65 Per lo studio dell'ultimo BoNHOEFFER, oltre alla biografi.a monumentale di E. BETHGE, Dietrich Bonhoef!er. Theologe-Christ-Zeitgenosse, Miinchen 1967, pp. 1102, vedi il quarto volume di Die Miindige Welt, Miinchen 1963, ove il fenomeno Bonhoeffer è studiato in regioni culturali che ne hanno sentito l'influsso (Germania orientale, estremo Oriente, cultura inglese ed americana). I. MANCINI, Bonhoeffer, Firenze 1969, 329-440 (cristianesimo senza religione.) 66 È tipico della mentalità religiosa, secondo B., pensare secondo la concezione delle «due sfere» (D. BoNHOEFFEll, Etica, Milano 1969, 165-173) esterna l'una all'altra; da una parte, il mondo (profano) e dall'altra Dio (il sacro). Queste due sfere sono concorrenziali: il potenziare l'una è depotenziare l'altra. 63

64

« LA SOTERIOLOGIA PASQUALE NELLA CRIST. ECCL. POST-BIBLICA »

407

ed il mondo adulto (miindige W elt) gli offre. Come mai in questo tempo secolarizzato, di «crisi degli dei », il cristianesimo non è travolto dal processo di mondanizzazione? La risposta che dà D. Bonhoeffer trova il suo motivo centrale nell'affermazione che il Dio cristiano non : come profeta escatologico e vero dottore della Legge, Gesù è «la luce del mondo}>. L'interpretazione della sua morte quale uccisione del profeta di Dio, attesta pertanto una visione della morte di Gesù che non la vede isolata, ma nella prospettiva della sua vita profetica precedente. « Si può dire che alla morte di Gesù « in sé » non si attribuisce un significato proprio, ma essa rivela che la stessa persona ed azione profetica di Gesù è la « luce del mondo }>.1s Questo contesto storico della missione profetica di Gesù nel suo ministero terreno è richiamato ben a ragione, in quanto la morte

di croce acquista il suo vero senso di martirio profetico in questa luce. Gesù ha realmente veduto la sua morte in riferimento al martirio dei profeti di Israele come la teologia lucana ha ben documentato.76 Ora la m1ss10ne profetica ha assolto in Israele un compito, ms1eme, di « crisi-giudiziale » e di « annuncio ». Per quanto riguarda la sua funzione critica, essa si assolve attraverso la parola con cui il profeta in nome di Dio educa il suo popolo a vivere «nel presente storico» all'orizzonte di un futuro creato dalle nuove possibilità aperte da Dio al suo popolo. Esse si concentrano, come abbiamo visto,77 nella promessa del Regno escatologico di Dio. È proprio nella funzione di annuncio di questo messaggio che la missione profetica apre continuamente Israele alla speranza liberandolo dal rischio costante di lasciare divorare H suo presente dal rigurgito del passato di schiavitù. La parola profetica ricordava al popolo le sofferenze passate e l'opera liberatrice di Dio ed alla luce escatologica del Regno annunciava ulteriori e più grandi opere di Dio relativizzando -le conquiste ed il benessere presente acquisito. La parola profetica con il suo compito di « crisi » e di « annuncio » tende a guidare Israele nel suo cammino storico dando un senso alla sua storia. Con que75 E. SCHILLEBEECKX, La morte di Gesù nell'interpretazione del crirtianesimo primitivo. A. Il profeta martire escatologico. Schema di contrasto, ìn « Gesù la sto· ria di un vivente», 290. 76 BORDONI, GSC, II, 426435; W. PANNENBERG, Esquisse d'une christologie, Paris 1971, 183; 320;· E. ScHILLEBEECKX cìt., 282 s. 77 GSC, II, 10-36; 362-377.

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

480

III

sta sua azione la missione profetica richiama anche Israele alle sue « responsabilità» (funzione appellativa) per cui il futuro promesso da Dio dipende anche dalla « risposta libera » del suo popolo.78 Questo annuncio critico ed appellativo si risolve spesso in persecuzioni e martirio per gli araldi del messaggio di Dio e per tutti coloro che accogliendolo se ne fanno partecipi e portatori. La missione profetica specie nel periodo post-esilico assume accenti « apocalittici» 79 sottolineando con essi di più l'irruzione dell'avvenire trascendente di Dio con cui si annuncia la sua opera trionfatrice che priverà '1e potenze oppressive del male della loro forza virulenta, liberando i credenti definitivamente da ogni sofferenza ed instaurando una creazione nuova. Questo messaggio escatologico ha una particolare forza consolatoria con cui protegge Israele dalle crisi di delusione, di scoraggiamento, di fronte al persistente imperversare del male nella storia presente e lo esorta anche alla paziente attesa del compiersi dei piani di Dio. Esso radicalizza il contra·sto tra l'epoca presente dominata dalle forze demoniache del male e l'epoca che viene, trascendente, in cui si compie l'azione vincitrice di Dio. Nella vita storica di Gesù si adempie il profetismo antico: il Regno di Dio viene come forza travolgente attraverso la rivelazione di Dio nella Persona di Cristo ed attraverso i segni portentosi con cui mostra l'anticipazione della vittoria definitiva contro le potenze del male. « Il suo progetto di liberazione nasceva da una profonda esperienza di Dio, vissuta, come il senso assoluto di tutta la storia (Regno di Dio) e come Padre di infinita bontà ed amore verso tutti gli uomini, specialmente gli ingrati e malvagi, gli sbandati e perduti. L'esperienza di Gesù non è più quella del Dio della Legge che discrimina i buoni e cattivi, giusti ed ingiusti, ma è del Dio buono che ama e perdona ... la. nuova prassi di Gesù ... si radica, come suo fondamento ultimo, in questa nuova esperienza di Dio. Chi si sa totalmente amato da Dio, ama come Dio, ama indistintamente tutti, anche i nemici. Chi si sa accettato e perdonato da Dio, accetta e perdona anche gli altri» .80 È proprio questa rivelazione del Padre misericordioso che nel mi-

nistero profetico di Gesù dà senso all'annuncio del Regno nel mondo dei poveri ed alla stessa «povertà della sua vita ». 81 Gesù «ha talVedi sopra: Sez. I, pp. 41-43. Ivi, I, 2/4 (escatologia profetica ed apocalittica), pp. 41-47. 80 BOFF, Passione di Cristo, 40. Dopo quanto noi abbiamo già detto a proposito del rapporto tra Gesù e la Legge (vedi GSC, II, 165-186) l'affermazione di Boff richiede una precisazione. Altro è il vero Dio della Legge, che Gesù non è venuto ad abolire, ma la cui rivelazione è venuto a condurre a compimento. Altro è l'immagine del Dio del « sistema della Legge » che nel tardo giudaismo aveva travisato le grandi tradizioni profetiche di Israele . .11 BoRDONr, GSC, II, 220-224 (la povertà di Gesù). 78 79

« SOTERIDL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

481

mente impersonato sulla terra il mistero del « Dio con noi » e del « Dio per noi » da divenire fratello di coloro che sono nell'indigenza. Per questo gli esclusi e gli emarginati vengono a lui dagli angoli delle caverne in cui li ha relegati la società bene ... Essi non sono semplicemente schiavi oppressi ed il proletariato sfruttato, bensì i « dannati della terra » che non servono a nessuno stato ed a nessuna rivoluzione. Ma Gesù è chiamato « Figlio dell'Uomo » dopo essersi identificato ed aver fatto comunione con essi ... colui che si identifica con i « non-uomini » per dare loro· il nome di « uomini l>.82 La missione profetica di Gesù che porta personalmente a termine la rivelazione di Dio come Padre misericordioso e chiama gli uomini alla penitenza-conversione in maniera ormai decisiva ed improrogabile suscita la crisi suprema: « Gesù è il profeta degli ultimi tempi che reagisce alla apostasia finale di Israele chiamandolo in modo decisivo alla conversione definitiva ». 83 Proprio questa crisi suprema determina però anche, oltre alla risposta di conversione, l'opposizione nella sua forma più radicale che già dall'epoca dei Maccabei si annunciava come « anti-salvezza »,come «opposizione demoniaca» (Dan 7, 20, 25; 1 Mac 1, 44-49). Nel contesto della vita di Gesù questa opposizione del principe di questo mondo (Gv 12, 31), assume un carattere (( anti-cristiano »: essa è indicata nel vangelo delle tentazioni. che proietta la sua luce sulla vita storica di Gesù ed annuncia lo scontro supremo dell'ora delle tenebre (Le 22, 53).

3. In rapporto alla vita storica di Gesù, da cui assume il suo vero significato, la croce rappresenta il momento culminante supremo della crisi escatologica determinata proprio dall'annuncio-rivelazione del profetismo di Gesù. In essa emerge da un lato il ruolo critico della umiliazione estrema del profeta e dall'altro, nella sua stessa umiliazione risplende la sua singolare testimonianza rivelatrice. L'una e l'altra funzione di ' crisi ' e di ' annuncio ' sono assolte proprio attraverso la sofferenza del èrocifisso. a. La croce come «giudizio» (krisis) rilevatore del male. Il profetismo, nella sua missione, ha assunto un notevole compito di « coscientizzazione etica», di richiamo di Israele alle sue colpe ed alle sue responsabilità morali, alimentando la coscienza di peccato e l'appello alla conversione, particolarmente attraverso la sofferenza dei profeti ed il loro martirio (Le 13, 34). Così possiamo dire che il modello soteriologico del «martirio profetico» mette anzitutto l'accento nella crisi o denuncia di ogni male non solo nelle forme oppressive 82 MoLTMANN, Uomo, 41. 83 ScHILLEBEECKX, Gesù, 283.

482

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

Ill

sociali, ma anche nelle sue più intime radici personali che affondano nell'interiorità della coscienza umana, nel cuore della ma libertà f erita e fallace. Sotto questo aspetto la croce è smascheramento di quella potenza interiore di alienazione che è il peccato. Questo aspetto critico che tocca la coscienza personale morale è di solito meno· rilevato nelle riflessioni sul modello soteriologico del « sacrificio profetico ». In esse è messo in evidenza piuttosto il dolore innocente, frutto di oppressione e di ingiustizia. Il Crocifisso appare cosl come colui che subisce e sopporta in sé l'umiliazione dei «poveri-pii»: è colui che sostiene la croce come conseguenza del suo collocarsi dalla loro parte. « Solidarizzare con coloro che sono crocifissi in questo mondo: quelli che soffrono violenza, che sono ridotti alla miseria, disumanizzati, offesi nei loro diritti . .. la croce di Gesù e la sua morte furono conseguenza di questo impegno per i diseredati di questo mondo ». 84 L'umiliazione di Cristo Crocifisso, però, ha un carattere di « martirio » non solo in quanto ingiustizia, di fatto subita alla maniera di uomini oppressi, per essersi collocato tra loro: essa è piuttosto una sofferenza legata proprio alla sua missione di denuncia profetica. La croce è a lui inflitta, perché annuncia la « verità di Dio » che salva i poveri smascherando ogni sistema oppressivo: «il profeta ed il giusto, come Gesù, che muore per la giustizia e la verità, denuncia il male di questo mondo e mette in scacco i sistemi chiusi che pretendono monopolizzare la verità ed il bene ... ». 85 Il sistema oppressivo crea i falsi valori, le non-verità (Gv 18, 3 8) a cui si oppone la « verità » per eccellenza che è il Cristo. Questi è perseguitato ed ucciso proprio per tale verità e sopporta per essa, non solo i dolori della carne, ma la calunnia più grande: quella di essere considerato «bestemmiatore» e «rifiutato da Dio» (Is 53, 4 b).86 La croce, cosl non solo smaschera le ingiustizie del « sistema chiuso » che irretisce l'uomo con le sue ideologie conservatrici, a ne addita le sue caratteristiche demoniache per cui erige la « non verità » a sistema e combatte i testimoni dell'autentica verità. Nel racconto della passione, la croce è posta in riferimento alla potenza delle tenebre (Le 22, 53) che sul Calvario ingaggia il duello supremo, la «crisi» definitiva con la verità di Dio. In quanto « crisi escatologica » del male nel mondo, in tutte le sue manifestazioni, il martirio della croce respinge ogni atteggiamento di passiva rassegnazione e disimpegno. Al contrario, essa suscita una prassi di lotta e di repulsione del male: la croce, come 84 BOFF, 85 86

Passione di Cristo, 177-178.

In., ivi, 91. DuQuoc, Christologie, II, 195.

« SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE »

483

martirio profetico, ha una notevole carica combattiva che sta proprio nella sua funzione « critica » con cui smaschera il male (coscientizzazione), lo denuncia e richiama l'uomo alle sue responsabilità etiche ed alle sue possibilità di respingerlo e combatterlo sull'esempio di Cristo. Sta qui, secondo questa lettura soteriologica della croce, un primo significato, talora ignorato in ambienti cristiani, della sequela: «predicare la croce, oggi, significa predicare la sequela di Gesù. Non è « dolorismo », né magnificazione del negativo. È annuncio della positività dell'impegno per rendere sempre più impossibile che uomini continuino a crocifiggere altri uomini. Questa lotta implica l'assumere la croce e portarla con coraggio ed anche essere crocifissi con dignità ». 87 Nell'ambito della teologia europea soprattutto J. B. Metz ha posto in evidenza il valore di anamnesi della croce. 88 La memoria, egli dice, è una forza essenziale della comprensione della fede: « nella fede i cristiani rinnovano la memoria passionis, mortis et resurrectionis Jesu Christi ». Questa «memoria di martirio», non suscita un sentimento pietistico, dolorifico, fatto di lamenti e di sospiri; non suscita un richiamo nostalgico del passato, a colori di sogno, che riconcilia con quanto nella croce c'era di pericoloso e di provocante rinchiudendolo definitivamente nella sua fattispecie di passato. L'anamnesi della croce è una « memoria pericolosa» che incalza e mette in questione il nostro presente: « ricordare il passato può dare origine ad intuizioni pericolose e la società stabilita sembra temere i contenuti sovversivi della memoria. Ricordare è un modo di dissociarsi dai fatti come sono, un modo di « mediazione», che spezza per brevi momenti il potere onnipresente dei fatti dati. La memoria richiama il terrore e la speranza dei tempi passati ». 89 Cosl l'annuncio del Crocifisso mantiene vivo l'atteggiamento del credente che nella sequela di Cristo, per la sua causa, seguendo la sua missione profetica, si fa vicino ai crocifissi della storia, e smaschera le radici interiori e sociali del male denunciandone l'errore e la nequizia demoniaca e sopporta lui stesso per amore del vangelo (Mc 8, 35) il ricatto e la persecuzione offrendo la vita per questa causa. b. La croce del martirio come « testimonianza rivelatrice » di amore. Accanto all'aspetto di « funzione critica » come umiliazione e sofferenza del giusto, la croce assolve quella di testimonianza riveBoFF, cit., 180 .. J. B. METZ, Il carattere teologico della «teologia politica»: la tesi della memoria, in «La teologia politìca in discussione», Brescia 1971, 254 s.; In., Erinne· rung des Leidens als Kritik eines theologisch·technologischen Zukunftsbegrifjs, EvTh 32 (1972), 338 s.; In., La fede nella storia e nella società, Brescia 1978. 89 METZ, Carattere teologico, 256. 87

88

484

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

III

latrice di Dio come Amore. Tale rivelazione si compie sempre attraverso la sofferenza della croce che in questa prospettiva appare come la massima solidarizzazione di Dio con la storia di sofferenza della umanità. II Crocifisso è, per eccellenza, quella manifestazione di Dio ' con noi ' che Io rende « uomo dei dolori, esperto nel patire » (Is 53, 3 ). Qui si manifesta il senso profetico del «principio vicario» o di rappresentanza inteso non in maniera sostitutiva, bensì dinamica, come libera partecipazione alla emarginazione dei poveri-pii. La croce esprime il pieno e libero lasciarsi coinvolgere da parte di Cristo nel dolore dell'uomo proprio per testimoniare, nel cuore della sofferenza, l'offerta dell'Amore misericordioso del Padre che vuole liberarlo dal fondo della sua miseria: « Dio assume la croce per solidarietà e amore con i crocifissi, con coloro che soffrono la croce; dice loro: benché assurda, la croce può essere la via di una grande liberazione. Purché tu l'assuma nella libertà e nell'amore. Allora libererai la croce dal suo assurdo e libererai te stesso ».9() In questa solidarizzazione con cui Cristo si fa povero e sofferente tra i poveri fino alla nudità estrema della croce in cui muore tra i malfattori (Is 53, 12 a; Le 22, 37; 23, 32) si manifesta l'abisso di quella carità divina che va alla ricerca dell'uomo perduto. Cristo « vive » nella umiliazione della croce il senso della sua proesistenza profetica per cui nella sua dedizione si fa vicino a coloro che sono privi di amore e soffrono ogni forma di abbandono, per offrire ad essi il suo amore che li riscatta. Così egli testimonia « la signoria del Dio che viene come la potenza liberatrice di un amore senza riserve ».91 Accogliendo, come Servo sofferente, senza potenza e senza gloria i perduti e gli impuri, il Crocifisso mostra che « la sua forza è l'impotenza della grazia, la virtù riconciliatrice della sofferenza, la signoria dell'amore che rinuncia a se stesso. Il suo regno fa corpo con l'inapparente fraternità dei poveri, dei prigionieri, degli affamati e dei peccatori ». 92 La riflessione teologica contemporanea tende a rilevare qui, in consonanza con tutta la tradizione di fede cristiana, che è «l'amore di Dio che risplende nella croce di Cristo, la fonte e la potenza di riscatto dell'uomo ». Nell'amore che risplende nel cuore di una sofferenza « per noi », « l'uomo scopre la sua umanità, nel fatto di essere già amato da Dio nonostante la sua inumanità ».93 Cosl l'amore fa di un essere non-amato, un essere-amato ed il Figlio dell'Uomo Crocifisso introduce la riconciliazione anzitutto nell'intimo del cuore 90 BoFF, Passione, 158. 91 METZ, Carattere teologico, 256. Uomo, 187 (il sottolineato

92 MoLTMANN, 93

In., ivi, 188.

è nostro).

« SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE »

485

dell'uomo colpito dal dolore che lo disgrega, lo dissocia da se stesso. Egli potrà allora accettarsi, nonostante tutti gli aspetti insopportabili che sono in lui perché è accettato da Dio (Tillich), «nel cuore della intollerabile storia di sofferenza del mondo, egli scopre la storia della sofferenza riconciliatrice di Cristo. E ciò gli dà la forza di sperare là dove non c'è più nulla da sperare e di amare là dove ci si odia ».94 L'amore di Cristo che risplende nella croce appare una profonda risposta a quella domanda di salvezza che, come abbiamo veduto inizialmente in questo capitolo, scaturisce dall'umanità dolorante. Mediante l'amore sofferente Cristo offre un valore alla sofferenza umana, le dà senso, l'elabora facendone una « via di redenzione » per cui l'uomo ritrova la sua identità in mezzo alle inumane non-identità. Per questo amore, Cristo anticipa la nuova umanità pur nelle condizioni di inumanità che offendono Dio: egli, Crocifisso, annuncia la patria in condizioni di esilio. In questa prospettiva è possibile comprendere il valore di una « mistica della croce » ed una sua giustificazione sul principio che « la sofferenza viene superata attraverso la sofferenza e le ferite sanate con le ferite ».95 Cosl la sofferenza dell'abbandono si supera mediante il patimento di un amore che non rifugge dall'infermo e dal deforme, ma lo accetta ed assume per sanarlo. Il Crocifisso diviene, allora, per eccellenza, il Dio degli abbandonati, che con il suo dolore sana i nostri dolori.96 Questa attitudine di ' accettazione ' della sofferenza della croce non appare in antitesi con quanto sopra si diceva circa il « giudizio » della croce. Se è vero, infatti, che la mistica della croce potrebbe tramutarsi in una giustificazione e magnificazione del dolore o in una apatica e malinconica rassegnazione al proprio destino, sfociando in una attitudine autocommiserativa,97 è pur vero 94 MoLTMANN, Dio ·crocifisso, 64: «Nella sua passione e morte Gesù si identificò con gli schiavi e prese su di sé il loro tormento ... Gesù significava la loro identità con Dio in un mondo che ·aveva sottratto loro ogrù speranza e distrutto ogni loro identità umana ». ~s Ivi, 62. 96 I vi, 63 l'A. cita la pietà degli Black Spiritua[s in cui la passione di Gesù è il simbolo della passione degli oppressi, del loro disprezzo subito, della loro sorte rnumana. 97 Bisogna riconoscere che talora il pietismo popolare è scivolato in un culto della croce che è solo proiezione di un sentimento dolorifico che non produce cambiamento né nelle sofferenze, né nelle persone che soffrono. Alimentato talora da concezioni antropologiche ed ascetiche molto discutibili, questo pietismo rischia di inculcare un insano amore al dolore che non ha a che vedere con l'amore cristiano della croce. Una analisi critica sul «corpo malato nella letteratura ascetica » si può ritrovare in S. SPlNSANTI, Il corpo nella cultura contemporanea, cit., 78 s.; specialmente 78-89 ove si denuncia il voler spacciare per visione cristiana della sofferenza la concezione cli un « dolorismo morboso» che confonde ìl disgusto della vita con «l'accettazione della croce». Sul tema vedi ·anche: Umaniz~are la malattia e la morte,

486

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

IIJ

che l'autentica mistica cristiana non cade in questo equivoco: essa vede nel Cristo Crocifisso, il Dio che rinunciando alla sua forma divina assume quella di schiavo (Fil 2, 6-11) per amare i derelitti, condividendo, per amore, i loro dolori e riconoscendo cosl la loro « dignità» ed offrendo loro una «speranza ». L'amore del Crocifisso esprime la stima di Dio per cui nel cuore della loro miseria risuona la protesta contro la miseria: « Colui che nella propria passione incontra Cristo sofferente ed esperimenta in se stesso il travaglio dell'amore di Dio, sa di non essere più colui che i dolori e le angosce di morte ... hanno fatto di lui ed intendono fare ... la fede che si è acquisita in questa mistica, impedisce lo sprofondamento nella miseria, la rinuncia a se stessi, il suicidio per disperazione »,98 al contrario, provoca nella riconciliazione dell'uomo con la sua dignità, la sua liberazione interiore dalla apatia e rassegnazione alla propria sorte, affrontando, come Cristo, attivamente il foro dolore per la causa di Dio. L'amore del Crocifisso risplende non solo come parola di riconciliazione con l'uomo sofferente, con l'oppresso (il povero-pio), ma anche come parola di perdono nei confronti degli ingiusti oppressori (i poveri-empi). Se la croce è la sconfessione di ogni ingiustizia dell'uomo sull'uomo essa è anche la sconfessione della via della violenza come metodo di lotta 99 che pretende di giustificare altre forme di oppressione per ribaltare la situazione. La parola di perdono della croce (Le 23, 34) è la realizzazione massima, sul piano della vita vissuta, del comando di Gesù circa «l'amore dei nemici» (Le 6, 27.35.37). Nella croce risplende, al massimo, la carità di Gesù che perdona coloro che sono divorati dall'odio contro di lui. Anche questa manifestazione di amore non deve essere interpretata come gesto di debolezza e come rifiuto dello scontro, bensl è il gesto dei forti che ha come finalità quella di spezzare l'incantesimo del male. L'odio, infatti, ha il potere di suscitare l'odio e la faida delle vendette, l'amore, invece fa « saltare la chiusura su se stesso di chi fa il male, di rompere questo cerchio magico in cui nessuna comunicatività reale è possibile. È un gesto rischioso perché è fondato sulla speranza che la bontà, aprendo all'operatore del male uno spazio diverso da quello della propria logica, lo introduca in una scelta meno inumana. Il perdono è un gesto di libertà. Colui che perdona non si lascia domiDocumenti pastorali dei vescovi francesi e tedeschi, Roma 1982: L'attacco critico nei confronti di J. MoLTMANN da parte di D. SoLLE, Leiden, Stuttgart 1973 e L. BoFF, Passione, 154-155 non riguarda propriamente questo aspetto della questione quanto quello trinitario sul quale torneremo. 9B MoLTMANN, Dio Crocifisso, 66. 99 Vedi sul tema BORDONI, GSC, II, 198-206.

« SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE.»

487

nare dal male generato dall'avversario ... crea un nuovo rapporto, come un appello a che il male non abbia l'ultima parola. Il perdono è un gesto creatore: se l'operatore del male fo accetta, esso gli riapre in modo positivo le relazioni sociali ». 100 In realtà la giustizia del Regno che culmina nella croce non consiste nel distruggere l'operatore del male, ma nel liberarlo dalla sua volontà di distruzione. La parola di amore della croce resta sempre denuncia di ogni ingiustizia e di ogni male, ma rivela la sua forza di conquista come appello supremo, come l'offerta di Dio rivolta all'uomo accecato dall'odio, dalla sete di potere e di vendetta. In questo senso 1a croce «è il luogo in cui si rivela la forma più sublime dell'amore, dove se ne mostra l'essenza. L'essenza dell'amore si realizza nel poter essere nell'altro in quanto altro, nel totalmente altro. Il totalmente altro da me è il nemico. Amare il nemico (croce), poter essere in lui, assumerlo, tutto ciò è opera di amore. Qui sta la sua essenza. La croce assunta realizza totalmente l'uomo, perché gli offre l'occasione di amare nel modo più sublime. La croce non è amore, né frutto dell'amore. È il luogo dove si mostra quel che può l'amore ».101 In rapporto a questo aspetto di « rivelazione » del martirio della croce, come annuncio dell'Amore riconciliatore, la prassi cristiana del discepolo non deve essere solo quella di lotta e di denuncia profetica del male, sotto ogni forma, ma anche quella della testimonianza dell'Amore Crocifisso, che il discepolo è chiamato a dare, sia sotto l'aspetto di predilezione verso l'umanità sofferente nella quale egli scorge la presenza stessa di Cristo (Mt 25, 35-40; 18, 4-.5; Le 10, 33-37), sia sotto l'aspetto di perdono che risuona come appello pressante, di chi soffre con amore, a coloro che generano la sofferenza degli altri perché essi cambino la loro vita liberandosi dalle suggestioni dei cerchi satanici del potere, dell'avere, dell'ambizione e dell'odio. Nell'ambito della tradizione teologica, l'efficacia defl'amore della croce è espressa attraverso il linguaggio dell'efficienza (causalità efficiente: Tommaso d'Aquino). 102 A quale categoria causale si appella questa riflessione che abbiamo presentato nella teologia con1

100 C. DuQUOC, Jésus, Homme libre. Esquisse d'une christologie, Paris 197.3 (ed. it., Brescia 1974, 138); BDFF, Passione, 91: la reazione di Gesù «non fu dentro lo schema dei suoi nemici. Vittima della oppressione e della violenza, egli non usò violenza e l'oppressione per imporsi ... definl il senso della vita in termini di amore, di donazione, di sacrificio libero ... ». 101 BoFF, Passione, 158. 102 Per il significato di questo linguaggio scolastico vedi sopra: c. V, 2/b, pp . .372-374.

GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

488

III

temporanea? La potenza conquistatrice dell'amore della croce farebbe pensare alla forza dell'esempio, all'efficacia della testimonianza che trascina. Gli autori citati sopra non pongono, in genere, se si eccettua C. Duquoc, il problema di una terminologia precisa sulla « efficacia causale », il che potrebbe indurre ad interpretare il loro pensiero in termini di '·soggettivismo ' abelardiano o sociniano. In generale, però, nel nostro tempo, il discorso teologico sulla efficacia della redenzione tende a superare il rapporto tra la così detta redenzione « oggettiva » e « soggettiva » consacrata dalla scolastica moderna con l'apporto di M. J. Scheeben. 1m Da allora la teologia ha pensato la categoria della efficienza causale come un processo in due momenti: nel primo dei quali (redenzione oggettiva) Cristo avrebbe costituito, con la sua vita e la sua morte, come un deposito di forza redentrice, completo una volta per sempre; mentre nel secondo momento (redenzione soggettiva) avrebbe luogo l'àpplicazione di tali energie, nel corso della storia, per tutti gli uomni. Cosl « i meriti acquisiti una volta per tutte dal Redentore », sarebbero « comunicati ai singoli credenti ». 104 In tal caso la redenzione oggettiva sarebbe la causa o il principio della vera redenzione,105 la cui efficacia fisica sarebbe solo un momento applicativo di quanto una volta per sempre era già acquisho. Alla prevalenza dell'oggettivismo scolastico, la reazione della teologia influenzata dal pensiero kantiano determinava il sopravvento del soggettivismo soteriologico,100 restando però sempre nelle maglie dei rapporti tra ' oggetto ' inteso come cosa a se stante e ' soggetto ' umano. E il modello stesso di pensiero « oggetto-soggetto » che tende oggi ad essere sottoposto àd una analisi critica: esso, infatti, tende a spiegare la redenzione con categorie prese in prestito dal mondo della natura apersonale e fisica. La scelta del linguaggio di ' redenzione oggettiva ' per esprimere l'evento della vita profetica, della morte e della resurrezione di Cristo, non sembra proprio felice, in quanto « vi si potrebbe udire l'eco di una qualificazione dell'avvenimento redentivo che degraderebbe l'azione salvifica di Cristo ad una cosa ». 1117 Per questi motivi si tende nella riflessione teologica attuale a superare lo schema « redenzione oggettiva-soggettiva » che è a monte

IOJ

M.-J.

ScHE.EBEN,

Handbucb der katboliscbe Dogmatik, II, Freib. 18542,

rm.

1240, 1330-13.31. 1114 A. D'ALÈS, De Verbo Incarnato, Paris 1930, 379. ios J. GALOT, La rédemption, mystère d'Alliance, Paris-Bruges 1965, 19-20. 106 Vedi il primo volume del nostro saggio cristologico: riduzione del valore soteriologico universale al soggettivismo della fede, 170 s. 1o7 B. A. WILLEMs, La redenzione nella Chiesa e nel mondo, Brescia 1969, 28.

« SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TE\)LOGIA ATTUALE»

489

della spiegazione di efficienza-causale della croce reinterpretandolo con categorie piuttosto interpersonalistiche. L'amore della croce si mostra efficace in quanto « atto personale » del Padre che, in Cristo fa appello alla posizione personale dell'uomo. « Se la redenzione tocc~ l'essere più profondo dell'uomo, allora l'evento della redenzione deve compiersi nell'ambito dell'incontro tra persone. Non è affatto un « processo » nemmeno un esclusivo processo di conoscenza, ma libera donazione



  • 557

    mordiale di «Eva», la «Madre dei viventi» che nella sua maternità comunica il dono della vita ricevuta, come « seno procreatore dell'umanità». Ma nello stesso tempo il pensiero cristiano non distacca mai la tipologia di Eva dalla sua funzione personale responsabile, per cui essa, accanto ed insieme al primo Adamo, dissociandosi dai piani di Dio, genera una umanità soggetta alla morte. Il pensiero di fede nel suo cammino dal Nuovo Testamento alla patristica ed all'alto Medioevo sviluppa una comprensione del mistero della Chiesa come ' Ma:dre ' alla luce di Eva e di Maria attraverso una struttura di discorso parallelo: 'Eva-Chiesa' e 'EvaMaria ', in riferimento a Cristo, Nuovo Adamo. La funzione tipologica di « Eva » è talora scomposta nella sua funzione « sponsalematerna » e nella sua funzione «personale-responsabile ». L'EvaChiesa, è veduta soprattutto nel quadro cristologico-pasquale. È cosl la « Sposa-Madre», «Nuova Eva», congiunta al fianco del «Nuovo Adamo » sulla croce. Questa sua origine pasquale la costituisce « Madre » in un ruolo permanente nei confronti dei suoi figli. Il suo rapporto sponsale a Cristo è veduto però (nella patristica) riferito più all'episodio del sangue e dell'acqua (Gv 19, 34) che non alla parola di Gesù alla Madre (ivi, 19, 25-27). L'accento fortemente cristologico di questo rapporto sponsale per cui la Chiesa, Nuova Eva è fondata, per cosl dire, ontologicamente e sacramentalmente nella sua fecondità materna, sottolinea meno il suo ruolo attivo personale. La Chiesa è ' costituita ', come Madre, ' adornata ', ' fecondata ' dal Verbo e dall'azione dello Spirito. Il predominio, nella prospettiva patristica, del punto di vista cristologico-sacramentale nell'immagine della « Eva-Chiesa » l'accosta di molto all'idea paolina di ' corpo di Cristo'. Di qui l'importanza dell'altro rapporto, diremmo complementare, dell'immagine « Eva-Maria » con la quale i Padri rievocano piuttosto l'evento dell'annunciazione in cui vedono in contrapposizione alla prima Eva, disobbediente, la « Nuova Eva » che nella sua obbedienza realizza una maternità verginale, divenendo un initium salutis, « causa di salvezza » per tutto il genere umano, dice Ireneo. Nella struttura di discorso « Eva-Maria », in questo contesto,, riluce maggiormente il tratto ' personale ', libero, della sua stessa maternità come risposta all'invito di Dio. La duplice prospettiva della Chiesa e di Maria, riferita alla immagine della donna primordiale Eva, veduta nei momenti fondamentali della sua origine da Adamo (Gen 2, 21-22), del suo ruolo personale nel dramma della prova della libertà (Gen 3, 1-4) e nella sua maternità da cui desume il nome (Gen 3, 20) appare decisiva per una comprensione di fede del mistero soteriologico della Chiesa in rapporto

    558

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    JIJ

    a Cristo e del ruolo di Maria, nella Chiesa. Le due prospettive, infatti, tendono nella tradizione a fondersi nel quadro di una identica maternità, insieme, verginale e sponsale per cui l'apertura del seno di Maria è l'apertura del seno della Chiesa. I Padri, come abbiamo visto, operano l'aggancio delle due figure Maria-Chiesa attraverso la categoria esplicativa tipologica attraverso la quale si afferma l'evolversi di un unico mistero veduto realizzato anzitutto in Maria e poi nella Chiesa, la quale però è agli i~izi degli intenti del piano divino. Questa articolazione tipologica consente di illuminare con il mistero centrale della nascita e della maternità della Chiesa la figura di Maria, ma anche, nella attitudine e nel ruolo di Maria, di comprendere il ruolo della Chiesa nella sua maternità e sponsalità. Dalla unità dell'uno e dell'altro aspetto scaturisce nell'alto !Medioevo una rilettura, insieme ecclesiologico-mariologica nello stesso evento pasquale del ruolo della « Donna presso la croce » e poi della Donna, « Chiesa-Maria», nella glorificazione. Possiamo qui richiamare alcuni dati teologici fondamentali di questo mistero, insiere ecclesiologico e mariano, dell'evento della salvezza in Cristo, per cui l'uomo nuovo è generato, è educato e condotto alla maturità, nell'attesa del compimento futuro della gloria. a. Il pensiero di fede deve essere anzitutto centrato « nell'economia del piano divino» (mysterion: Ef 1, 9-10) in cui domina il rapporto Cristo-Chiesa come « mistero di elezione » totalmente gratuita dell'umanità nel Salvatore. Così la « Chiesa » è la « prima creatura eletta », prima della fondazione del mondo: in essa risplende l'idea primigenia della chiamata degli uomini alla santità ed alla immacolatezza (Ef 1, 4) attraverso quella « nascita dal!' alto» (Gv 3, 7) per cui essi sono «figli adottivi» (Ef 1, 5) nel Figlio diletto (Ef 1, 6). Questo mistero è veduto nel pensiero di fede anzitutto prefigurato ed annunciato da una serie di eventi che ne costituiscono una prima realizzazione, come l'elezione del1'antico Israele, la sua personificazione nella figura femminile di « Figlia di Sion », fino a giungere, nella pienezza dei tempi, alla « nuova creazione » con la generazione di Gesù dallo Spirito Santo, in Maria. È così che Matteo vede nell'evento della nascita di Gesù la « nuova genesi » di Israele,317 esprimendo la prima e fondamentale realizzazione del mysterion del Padre: è perché Cristo è generato da Maria per opera dello Spirito Santo, potenza creatrice e vivificante che aveva già presieduto alla prima genesi del mondo e dell'uomo, che ormai inizia la « rinascita spirituale » dell'umanità (Gv 3, 5). Anche Luca conviene in questa prospettiva parlando m GSC, II, 39-40.

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE »

    559

    dello Spirito che «verrà su di te» (1, 35) 318 richiamando l'annuncio della nuova creazione (Is 32, 15) e l'evento della pentecoste cristiana (At 1, 8). Sotto questo profilo si può affermare che il « mistero della Chiesa » trova la sua prima fondamentale realizzazione in questa straordinaria nascita dallo Spirito Santo che avviene in Maria: in lei, con il Salvatore, ha la sua prima misteriosa presenza il nuovo popolo di Dio. L'apertura del seno di Maria è perciò la prima apertura della Chiesa, come seno generatore della nuova umanità. Ma anche in altri momenti della vita di Maria il pensiero ·di fede del Nuovo Testamento, seguito posteriormente dalla Tradizione ecclesiale, vede in lei questa attuazione personificata della Chiesa, per cui nell'Eva Maria vive già l'Eva-Chiesa: cosl avviene a Cana di Galilea ·ove la Madre di Gesù personifica Israele che si apre alle nuove nozze di alleanza (Gv 2,5: Es 19,8; 24, 3-7), inaugurando la nuova comunità di fede (Gv 2, 11-12); cosl nei« pressi» della croce, nello spazio cristologico in cui opera il Crocifisso,319 la Donna-Eva-Maria impersona tutta la Chiesa comunità messianica che riceve il dono della fecondità nello Spirito per cui accoglie ed unifica i dispersi fi. gli di Dio. Cosl avviene ancora nel cenacolo nella presenza di Maria al centro della comunità orante {At 1, 14). b. Questa visione dell'Eva-Maria che anticipa, nella sua funzione materna tutto il mistero della Chiesa è come abbiamo visto, espressa dai Padri attraverso la categoria del linguaggio « tipologico», linguaggio che viene ripreso dal Vaticano II (LG 53) e che evidenzia un «principio di discorso strutturale ecclesiotipico »,320 per cui Maria costituisce come la personificazione dell'essenza spirituale e mistica della Chiesa (LG 63) anticipandone il mistero nelle sue funzioni essenziali di maternità verginale (ivi), Questa funzione strutturale tipologica non implica però ancora nei Padri l'idea che Maria sia come una causa attraverso cui scaturisce la Chiesa come un effetto. Né il linguaggio di Ireneo circa Maria, causa di salvezza, va propriamente interpretato attraverso le categorie posteriori del pensiero teologico: esso piuttosto, come ha mostrato A. Miiller, va interpretato nel complesso della struttura teologica della ' riconciliazione ' o ' ricapitolazione ' secondo appunto il criterio tipologico.321 Questo vuol dire, come già abbiamo mostrato, che il pensie31s 319

    Ivi, 43 ss. Ivi, 502 s.

    370 A. MtiLLER, Discorso di fede sulla Madre di Gesù. Un tentativo di mariologia in prospettiva contemporanea, Brescia 1983, 69 per la determinazione del discorso strutturale su cui ritorneremo. 321 MiiLLER, Ecclesia-Maria, 4953-55, 58.

    560

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    ro dell'antichità cristiana vede anzitutto il mistero della Chiesa realizzarsi in Maria, in maniera decisiva, e poi lo vede compiersi nella umanità intera salvata in Cristo. La continuità tra l'Eva-Maria e l'Eva-Chiesa sta nel disegno di Dio che si attua come in momenti di concentrazione, per espandersi poi universalmente. Non ci sarebbe, allora 'comunicazione' o passaggio diretto causale tra l'uno e l'altro momento. In questa struttura di pensiero tipologico ogni discorso su EvaMaria è funzionale a quello sulla Chiesa e più precisamente sul « mistero della nascita di Cristo nei cuori»: Maria è veduta nell'ambito dell'unico mysterion, porzione eletta della Chiesa, membro santo, di primo piano, ma del corpo intero (Agostino). 322 In Maria è dunque il mistero stesso della Chiesa che è in giuoco, la mariologia esce dall'isolamento teologico e dalle astrazioni determinate dalla ' svolta individuale ',323 che l'aveva posta in uno stato di crisi. L'importanza della luce che la Chiesa getta sulla figura di Maria sta nel ricondurre il suo mistero ed il senso degli eventi della sua vita in seno alle vicende della vita dell'umanità redenta a cui appartengono. In lei è già la Chiesa che vive il suo destino e la sua vocazione di santità. c. Ma dobbiamo dire che è altrettanto vero che molta luce getta sulla Chiesa e la sua coscienza di fede la figura di Maria. Essa anzitutto richiama la Chiesa alla sua identità « soggettivo-personale », come partner dell'opera rivelatrice dell'Amore di Dio in Cristo. Già abbiamo visto come la rivelazione tripersonale di Dio, in Cristo, richiama una risposta personale, quella di un « noi » che sia in grado di accoglierla nell'amore e nella fedeltà. Il discorso di fede sulla Chiesa Vergine, Madre, Sposa richiama quella iniziativa dell'agape divino che offrendosi secondo l'originario progetto (mysterion) del Padre, suscita nel contempo nell'umanità la grazia della recettibilità di questo dono supremo, grazia per cui il «noi ecclesiale » è costituito seno materno, partner del dialogo rivelativo con il «noi trinitario». Ora Maria impersona questa « ecclesialità » della grazia di accoglienza e la incarna personalmente nella sua femminilità, chiamata ad essere Madre di Colui che è per eccellenza il dono del Padre. Maria, la persona, resa dallo Spirito la creatura capace di accogliere e generare il Verbo Divino, prima nel cuore che nel corpo, è la donna in cui si esprime al massimo grado questa grazia della recettibilità dell'offerta .di Dio. È quanto Luca, nell'annunciazione, ci mostra presentando Maria come la donna predesti322

    Ivi, 203.

    323 MilLLER,

    Discorso, 71 s.

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    561

    nata, l'eletta per eccellenza che è già ricolma dei divini favori (kecharitoméne: Le 1, 28) per accogliere la pienezza dello stesso agape di Dio. Così essa, su cui aleggia lo Spirito (Le 1,3 5), personifica la Nuova Sion, colei che ha la pienezza della presenza del Signore in sè (Le 1, 28 b). Qui dobbiamo dire che se è vero che, in Maria, l'idea primigenia della Chiesa, come ' mistero della nascita dall'alto ', prende concretezza nella sua forma più perfetta, la Chiesa, in Maria, si riconosce nella sua identità di Madre nell'ordine dello Spirito, in correlazione essenziale all'evento Cristo. Particolarmente, sotto questo aspetto, si deve notare che lo Spirito Santo il cui riferimento a Maria è molto studiato nel nostro tempo,324 non assolve, nella sua maternità, la funzione di una specie di principio maschile: 325 lo Spirito è presente in Maria considerata proprio come donna Madre, nella sua femminilità, nella sua funzione materna pneumatica, per cui essa è resa spiritualmente feconda, Madre del popolo messianico. 326 Quale Madre dei credenti, per la virtù dello Spirito, Maria appare l'icona rivelatrice della fecondità dello Spirito stesso. Potremmo dire che: « poichè lo Spirito è la Persona divina che ci rivela meglio « ciò che può corrispondere in Dio, nell'increato, a questa realtà creata che è l'essere femminile» (L. Bouyer), cosl l'opera di Dio, come Spirito, che dispone l'uomo ad accogliere in profondità ed interiorità la Parola del Figlio, ha operato in Maria, nella sua stessa femminilità il soggetto umano storico che ha reso possibile la venuta «tra noi» di questa Parola ».m Cosl nella sua maternità pneumatica, Maria appare come prototipo della « Chiesa spirituale », che agisce maternamente richiamando costantemente all'ideale di santità orientando i credenti ai valori dello Spirito ed alla vita mistica. H. U. von Balthasar, nella sua estetica teologica, richiama a quella che potremmo chiamare l'esperienza archetipa della marianità della Chiesa (l'esperienza mariana di Dio);™ distinta da quella archetipa degli apostoli, esperienza più storica, legata al toccare, vedere, udire (1 Gv 1, 1-3). Tale espe-

    324 Sul rapporto tra lo Spirito Santo e Maria: R. LAURENTIN, Esprit Saint et théologie mariale, NRT 99 (1967), 26-42; Le Saint-Esprit et Marie, in « Études mariales »>' t. I-III (1968-70); S. DE FroREs, Mariologia e pneumatologia, in «Mariologia », NDT, 86Qc864; J. DE SAINTE MARIE, Le role de Marie dans le don de l'Esprit du Christ à l'Église, in «Credo in Spiritum Sanctum », Vaticano, II, 1983, 973 s.

    325 Perciò sembra inadatta ed ambigua la dizione: « Maria sposa dello Spirito Santo ». DE FroREs, Ivi, 861. 326 MiiLLER, Discorso di fede, 71 s.; A. ROMANI, L'immagine della Chiesa «Sposa del Verbo» nelle opere di H. U. van Balthasar, Roma 1979, 79. 3Z7 BORDONI, GSC, I, 238. 328 H. U. von BALTHASAR, La gioire et la croix. Les aspects esthétiques de la révélation, I, Paris 1965, 286; ID., Spo11sa Verbi, 145.

    562

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !Il

    rienza mariana appare più interiore e transistorica, comunicativa di trascendenza; essa assolve un ruolo essenziale, complementare, af:fìnchè l'identità della Chiesa non sia contratta nelle strutture organizzative, nelle espressioni di concettualità tecnica e nelle mere ·storicizzazioni: « quando l'immagine della donna scompare dalla realtà teologica, hanno la meglio una concettualità ed una tecnica astratta maschili e senza immagine. Ma allora la fede si vede scacciata dal mondo e rigettata nel campo del paradosso e dell'assurdo ».3"1!! Ma il linguaggio della tradizione di fede non solo vede nel rapporto di « Maria-Chiesa » una dimensione strutturale suscitata dallo stesso evento rivelativo compiutosi nella Parola e nello Spirito. Già in Giustino ed Ireneo si manifesta, come abbiamo visto, un altro polo, più personale ed umano, nella considerazione di Maria, nel mistero della annunciazione. Non si tratta tanto di un punto di vista individuale che anticipi la cosl detta ' svolta individuale ' della mariologia dell'era tardo medioevale, quanto di un punto di vista che evidenza l'aspetto attivo, responsabile, libero, di Maria nella sua risposta al disegno divino rivelato nella Parola. La « soggettività materna » di Maria non è una qualità puramente passiva, una pura recettività: essa, suscitata dallo Spirito presente ' in Lei ', è da lui attivata e si esplica ed esprime nell'agire umano libero e responsabile, che personalmente risponde in « modo fedele » all'offerta del dono supremo di Dio, il suo Figlio. Sotto questa angolazione, in Maria, la Chiesa scorge anche il senso della umanità della sua fede, in quanto in lei si può cogliere « tutto ciò che la grazia può fare di una creatura, dell'umanità, lasciandola tuttavia nel suo ordine creato ». Maria è «la più alta rivelazione delle possibilità offerte alla umanità dalla grazia ... la ripresa totale della creatura in Dio ... la realizzazione perfetta della immagine divina ».330 Questa partecipazione ' attiva ' dell'uomo libero comprende, nella prospettiva prototipica mariana, una attitudine ' responsabile ', ossia la manifestazione della libertà umana personale come « risposta » (responsio) e come « offerta » per cui essa si definisce insieme nei confronti dell'appello divino e nei confronti dell'appello dei fratelli. È cosl che la « maternità di Maria » come dono dello Spirito (aspetto pneumatico) e come atto umano responsabile (aspetto antropologico) appare espressione prototipica della « maternità della Chiesa».

    329 330

    !D., ivi, 357. L. BoUYER, Le trone de la Sagesse. Essai sur la signification du culte marial,

    Paris 1961, 10, 146-147, 175.

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    563

    d. Proprio in questo suo carattere libero e responsabile, sempre suggerito dall'azione carismatica dello Spirito, la maternità di Maria rivela due aspetti fondamentali e strutturali del!' azione stessa materna della Chiesa, nell'ordine della fede, che in ragione del riferimento tipologico a Maria, vengono denominati dalla tradizione come « verginità » e « sponsalità » (LG 63). La verginità di Maria, notoriamente, non è solo un enunciato ontologico che riguardi la sua condizione fisico-biologica: 331 essa in331 Ai dati della tradizione evangelica sulla ' concezione di Gesù ' non può non riconoscersi anche un valore ' storico-narrativo ' che esprime non già un semplice teologumeno in forma di racconto, bensl un valore reale oggettivo: specie in Luca il valore anche storico-documentario si impone (vedi GSC, Il, Le origini della esistenza storica di Gesù, 37-53 ). La verginità di Maria appare, infatti, una caratteristica del suo stesso concepimento il quale non appartiene solo all'ordine della fede, ma è anche un fatto reale fisico. Se è vero che tale verginità è veduta nel suo giusto contesto cristologico, pneumatologico, come esprimente la volontà personale di Maria che risponde alla offerta di grazia, è pur necessario ammettere che c'è un dato storico al fondo delle interpretazioni, onde evitare deviazioni di senso (R. LAURENTIN, Bulletin sur la Vierge Marie, RSPT 56 (1972), 459; J. RATZINGER, Introduz:ione al cristianesimo, 225-26, n. 5). Non ci sembrano perciò accettabili le posizioni di Bauer, Ortensio da Spinetoli, Schillebeeckx, Evely, Malet, Kiing per i· quali la narrazione lucana è solo ' saga eziologica ', teologumeno che serve solo a comunicare una affermazione di trascendenza: Cristo, cioè, è Figlio di Dio. Il teologumeno, infatti, in tal caso, come conseguenzialmente dice Kting, diviene « mitologumeno »: la verginità di Maria sarebbe solo ' simbolo pregnante ' dell'asserto teologico che con Gesù si conclude l'alleanza antica e se ne apre una nuova. La sua nascita non si può spiegare per via umana (Essere cristiani, 515 s.). Il che comporterebbe, secondo il citato autore, che questo « nuovo inizio » si può oggi annunziare diversamente senza ricorrere alle leggende dì una nascita verginale la cui equivocità si è altamente accentuata nell'era moderna. Per quanto riguarda la recente posizione di A. MtiLLER, Discorso di fede, 86-92 con la sua stessa tendenza a ridurre tutti gli asserti teologici (e nel caso, mariologici) ad un « discorso mediatore di trascendenza» (ivi, 29-37) essa rischia, crediamo, di lasciare scivolare il discorso stesso teologico al solo piano significativo, lasciando cosl decadere il senso «documentario-storico» degli asserti di fede. Ci sembra che questo sia un concedere troppo alla mitologizzazione della fede stessa. È importante, però, a questo punto, che il realismo della verginità di Maria che riteniamo l'affermaz:ione di un fatto indiscusso, secondo la tradizione di fede, non vada interpretato in modo apersonale ed esclusivamente nella sua realtà negativa di assenza di ogni intervento virile, quasi che proprio questa «assenza di una paternità umana » costituirebbe, nel tempo e nella carne, la realtà di un Figlio, che non ha se non Dio per Padre (vedi J. GALOT, La conception virginale du Christ, Gr 49 (1968), 658-659; lo., Cristo contestato. Le cristologie non cakedonesi e la fede cristologica, Cristologia III, Firenze 1979, 209). In realtà, la fìgliazione divina di Gesù, come è intesa nella fede ecclesiale, non poggia sul fatto che Gesù non abbia avuto alcun padre terreno: «nel NT la concezione di Gesù è una nuova creazione, non una generazione da parte dì Dio. Pertanto, Dio non diventa suppergiù il padre biologico di Gesù» (J. RATZINGER, Introduz:ione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico, Brescia 1969, 221-222). Bisognerà, perciò abbandonare «l'argomentazione che parte dalla nascita verginale di Gesù per provare la sua divinità, tanto più che biblicamente il tema della concezione verginale non ha effettivamente preso piede nella teologia cristiana che dopo l'affermazione e la elaborazione di una cristologia in cui la fìgliazione divina di Gesù era oggetto di asserzione senza equivoci» (S. de FroRES, Mariologia NDT, Roma 1977, 869: l'ultima citazione dell'A. è di P. GRELDT, La naissance d'Isaac et celle de Jésus. Sur une in-

    564

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    lIJ

    dica, oltre a questo aspetto realissimo, ancor più un enunciato che riguarda l'attitudine personale di Maria nella sua accoglienza fedele e docile della Parola sotto l'azione dello Spirito (verginità ' secondo

    lo Spirito ': segno pneumatologico-cristologico). Tale accoglienza nel contesto di quanto abbiamo sopra detto, si esprime ' attivamente ' come un concedersi totalmente, senza limiti, nella oscurità di ciò che possa comportare e significare l'offerta di Dio. Cosl essa designa, potremmo dire, l'attitudine spirituale-personale con cui Maria porta a consumazione le più profonde aspirazioni religiose dell'antica fede del suo popolo, incarnando in sè l'invocazione e l'attesa degli umili e dei poveri di Jahvé (tra i quali 'primeggia ': LG 55) e che con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza (ivi). Tale attitudine svela il piano di Dio che opera la salvezza come puro dono che viene dall'alto ed offerto ai deboli (1 Cor 1, 17-25). Questa qualità fondamentale della fede veterotestamentaria che Maria riprende o ricapitola in sè, sboccia però, in lei, in un atteggiamento nuovo che supera ormai i tentennamenti del passato di Israele. e le incertezze di quella sposa infedele, inaugurando, nella «Nuova Sposa » dei tempi escatologici, la « verginità-povertà » di una fede conservata in modo integro e fedele (LG 64 ). In questo tratto della dimensione verginale-strutturale della fede emerge la « marianità » della fede neotestamentaria, come sua nuova prerogativa. Per intendere questa « marianità » della fede neotestamentaria che si concretizza e personalizza in Maria, in forma prototipica, dobbiamo considerare che essa è resa possibile ed è interamente ' correlativa' alla rivelazione escatologica dell'agape di Dio. È l'amore del Padre che pienamente si rivela in Cristo-Figlio e nella donazione dello Spirito che suscita questa risposta verginale di amore da parte della creatura ' Maria-Chiesa ', come dedizione totale e fedele a questa offerta suprema. Cosl la « verginità » di Maria, in quanto

    realtà corporea inglobata in una opzione religiosa personale di consacrazione al Regno di Dio che viene, ci appare come un « segno terprétation « mythologique » de la conception virginale, in NRT 104 (1972), 6. 577). Noi riteniamo che il «segno» della verginità non vada astratto dalla personalità di Maria (è «Maria Vergine» il segno e non solo la verginità), coinvolgendo cosl con la realtà fisica, anche le qualità esistenziali e morali della stta persona espresse nel « fiat ». Con ciò si evidenziano pure gli aspetti positivi della verginità come consacrazione. Maria esprime 'personalmente' (nel corpo e nell'anima) una attitudine positiva di «offerta totale a Dio» il quale si dona escatologicamente nell'offerta di amore del Figlio, Gesù. f: proprio questa offerta escatologica di amore divino che, nello Spirito, suscita la risposta altrettanto radicale di amore. Per cui la «verginità», che si esprime nella attitudine mariana è un comportamento specificamente cristiano che si giustifica, in una sua propria novità, in un quadro crisrologico.

    « SOTERIOL.

    PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    565

    cristologico-pneumatologico ».332 Essa non si definisce tanto c10e, negativamente e biologicamente, come assenza del partner maschile e come contrapposizione all'eros umano,333 quanto si definisce soprattutto positivamente come « totalità di dedizione alla causa del Regno», dedizione che trascende l'eros ed ogni rapporto umano coniugale in quanto si proietta escatologicamente verso quella mistica comunione con Dio che si offre nella sua Parola di Amore e pienezza di comunione con i fratelli, diventando perciò principio di fecondità di una nuova vita, non ' secondo la carne ', ma ' secondo lo Spirito '. La marianità · della fede è allora espressione prototipica della maternità spirituale della Chiesa, quale donna libera (Gerusalemme celeste: Gal 4, 26 ), generatrice dell'autentica libertà dell'uomo-nuovo, liberato nell'amore. Se la verginità di Maria sottolinea di più l'attitudine di « povertà nello spirito » che esprime la totale disponibilità di fronte 332 «Segno cristologico» (in un contesto spirituale-personale) va qui preso proprio nella sua consistenza fisico-corporea: la carne verginale di Maria, animata dallo Spirito che è ' in Lei ' e ' su di Lei ' ci appare come la dimora di Dio: è il 'segno tangibile ' della stessa incarnazione. Ma è pur vero che la verginità come ' attitudine responsabile ' dì scelta totale e di dedizione piena al Regno che viene, esprime quella 'consacrazione' che è resa possibile solo dalla reale imminenza. presenza del Regno escatologico di Dio in Cristo. Per questo, Maria supera le donne antiche (profetessa Anna) proprio per la sua 'verginità ' non comune, né significativa nel contesto dell'ambiente antico-testamentario. L'ideale di una castità praticata per una più profonda unione con Dio era veramente penetrato nei gmppi essenici e nelle vergini dedite alla contemplazione nella setta ebraica dei terapeuti (FILONE, De vita contemplativa, 68). Si trattava però di casi piuttosto rari. Luca sottolinea l'esistenza in Maria di un intento verginale (' non conosco uomo ', è affermato come volontà e non solo come stato di fatto) il che va inteso come preludio, in quanto piena di grazia, dell'orientamento totale cristologico della sua vita. Ma questa volontà si consuma e si rende propriamente ' attitudine verginale ' di ' consacrazione al Regno che viene ', solo dinanzi alla venuta della « Parola di Dio » nel suo seno. 333 Eccessiva, ci sembra la posizione di K. BARTH, Kirchliche Dogmatik, I/2, 1938, 157 s.: in ogni generazione naturale c'è l'uomo forte dcUa sua volontà, cosciente del suo potere, fiero della sua forza creatrice. t:; l'uomo autonomo e supremo che si trova in primo piano. Il processo di generazione umana non sarebbe segno adeguato del mistero che si tratta di indicare qui ... Questo segno de\\a potenza cosmica dell'eros umano ... non sarebbe segno valido dell'agape divina che non cerca il suo interesse. La volontà di potenza e di dominio sull'uomo, guale si esprime particolarmente nell'atto sessuale indica tutt'altra cosa della maestà misericordiosa divina. Ecco, perché è la verginità di Maria e non l'unione di Giuseppe con Maria il segno rivelatore del mistero del natale». Barth non sembra distinguere le differenze tra i contesti culturali diversi in cui s'innesta il rapporto stesso coniugale, come quello giudaico in cui la donna appare soggetta ed umiliata. Il giudizio troppo negativo sull'eros umano penalizza il rapporto coniugale umano contrapponendolo all'agape.' L'unione naturale dell'uomo e della donna non va per sé giudicata e declassata come fatto peccaminoso, dal momento che Paolo vede in tale unione «grande sacramento» in riferimento a Cristo ed alla Chiesa (Ef 5, 32). Non potrebbe essere santificata se fosse intrinsecamente peccaminosa. La verginità di Maria è «segno dell'agape» nella sua realtà positiva di dedizione totale e consacrazione al Regno che viene in Cristo.

    566

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    alla iniziativa della grazia e quindi la soggezione umile della « Serva del Signore » al piallo di salvezza di Dio, c'è un altro aspetto della vita storica di Maria che indica ancora una qualità strutturale della fede ecclesiale e che possiamo chiamare con H. U. von Balthasar, la sua « sponsalità ». È una qualità che pone l'accento sull'aspetto della Chiesa soggetto umano e soprannaturale in quanto si colloca dinanzi a Cristo come partner di dialogo {alleanza) e di comunione. L'idea della sponsalità sottolinea di più il rapporto vissuto di interpersonale-comunione tra Cristo e la comunità credente per cui questa è attratta e coinvolta nella sfera di Cristo, partecipe dei misteri salienti della sua vita quale specialmente la sua morte e resurrezione. Ora, Maria è « prototipicamente, per grazia, la perfetta realizzazione dell'idea sponsale ed ecclesiale. Ella è l'attestazione «personale » che Dio, in Gesù, ha voluto instaurare un rapporto individuale, intimo, personale con ogni uomo ».334 In realtà come abbiamo già veduto, nei dati neotestamentari, Maria è presente, personalmente coinvolta, nei misteri fondamentali di Cristo: è al punto di partenza dell'incarnazione (Le 1, 35), al punto di partenza della sua vita pubblica (Cana di Galilea: Gv 2, 1-11), nel momento della morte di Gesù (Gv 19, 25-27), nella pentecoste (Atti 2). E sempre, il ruolo di « Maria persona » con-vivente con Cristo (a lei è rivolta la Parola: Le 1, 35; Gv 2, 4; 19, 26) è definito in funzione della Chiesa: Maria che ha creduto prima dei discepoli, .genera la fede dei discepoli, provocando a Cana il segno che li conduce alla fede. Ora questa fede di Maria che « genera » la fede dei discepoli porta come essenziale qualità l'orientamento cristologico alla norma di Cristo, alla sua Persona ed alla sua « ora ». 335 E questa la nota di ' sponsalità' della fede, come· fede modellata a Cristo: la fede personale di Maria è caratterizzata non solo dall'affidamento totale all'opera di Dio, ma dal suo svilupparsi ed adempiersi nella partecipazione vissuta alla esistenza di· Cristo (LG VIII, 58).336 Questa « sponsalità »proprio perchè sottolinea anche un valore inter334 A. ROMANr, L'immagine della Chiesa «Sposa del Verbo» nelle opere di H. U. von Balthasar, Roma 1979, 77; per la citazione di B. vedi « Sponsa Verbi», Brescia 1979, 157. La possibilità reale che ognuno «nella chiesa» è la totalità della clùesa, « quindi che la chiesa è nel suo senso più profondo « in una persona » si poggia sul fatto che Maria è stata ed è tale e la chiesa nel suo insieme e nei suoi singoli può divenire tale solo mediante Maria, perché questa è stata la volontà salvifica di Dio ... è per questo che i Padri e tutto il medioevo hanno sempre veduto la soggettività e la qualità sponsale di Maria come terzo mediatore tra la « Virgo Ecclesia » e la «Virga anima» (ROMANI, 79). Tale discorso, però, non può essere sostenuto a livello antropologico, noi crediamo, senza la prospettiva pneumatologica che soprattutto qualifica la « soggettività soprannaturale » della Chiesa.Maria. llS BORDONI, GSC, I' 241. ll6 Io., L'evento Cristo, 47.

    , che nell'ordine salvifico costituirebbe un processo illimitato della interazione mutua tra libertà divina e libertà umana, sempre aperta all'avvenire. Sarebbe allora necessario superare la rappresentazione secondo cui il futuro della storia sarà la sua soppressione (Aufhebung) in un « al di là » della storia stessa, preparato e realizzato solo da Dio.:iro Il senso della storia non andrebbe rappresentato come quello di una marcia verso la sua definitiva scomparsa, verso una pienezza solo soprastorica, ma come l'effettuarsi permanente di una pienezza che ora si sta compiendo. Tale processo comprenderebbe, sia l'opera di Dio che nella resurrezione di Cristo realizza la sua vittoria e signoria, sia dei singoli uomini liberi e della consumazione del loro destino nell'ora della loro morte .e resurrezione.361 Infatti, egli dice, nella « morte-resurrezione » di ogni uomo, un frammento di mondo e di storia arriva alla sua pienezza: in essa si compie un evento dialogico, in cui, interviene l'attività creatrice di Dio ed il contributo attivo dell'uomo che plasma e finalizza il mondo. Cosl la « consumazione » della storia sarebbe l'atto del camminare (senza termine finale) di Dio e dell'uomo, verso un avvenire sempre nuovo. 362 Greschake vede l'era presente come un grande avvenimento escatologico in cui la pienezza dell'opera risuscitante e trionfante di Dio in Cristo si incontra con la pienezza della risposta dell'uomo singolo nella sua « morte-resurrezione ». Il presente dell'era cristiana è parusiaco ed è un presente di resurrezione e di vita. Questa pienezza non comporta per Greschake il futuro di una fine della storia. La storia è realtà sempre in cammino: essa non è immobilizzata ed il destino di ogni singolo uomo, nella sua 'morte-resurrezione', apporta in continuazione, in

    359 G. GRESHAKE, Auferstehung der Toten, 163-169: nota la distinzione tra «consumazione» (Vollendung) e «termine» (Ende). È necessaria una consumazione, ma non un termine della storia. 360 Ivi, 332-340. La storia è dialogo tra Dio e l'uomo, aperto all'avvenire e pro· duttivo dell'avvenire. Per l'esame del suo concetto di storia, vedi 344-348. Per lui, la storia si fonda su Dio stesso, come storia: «Dio è storia, colui che liberamente dà e riceve» (348). 361 Ivi, 396. Per G. il tempo dell'agire umano esige un termine finale: la morte (p. 384 ). Le decisioni dell'uomo nel tempo sarebbero prive cli significato se il tempo per prendere decisioni libere non avesse termine finale. La morte dà pienezza di significato alle decisioni dell'uomo, alla storia personale. 362 Ivi, 356-376; ID., G. LoHPINK, Naherwartung, Auferstehung, Unsterblichkeit, Untersuchungen zur christlichen Eschatologie, Freib. Br. 1975, 11-37.

    582

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Il!

    questa storia, il suo frammento di compimento parusiaco, che le dà un tocco definitivo senza mai chiuderla. Sia J. Alonso che G. Greschake hanno ragione di non dividere l'evento pasquale e la parusia come fossero due realtà separabili e due avvenimenti disgiunti ed indipendenti. In realtà nel NT non si parla tanto di «seconda venuta» di Cristo: «a rigore, Cristo non se ne è mai andato; la resurrezione non ha inaugurato un vuoto cristologico nella storia. Al contrario, la fede confessa una presenza reale ed attuale di Cristo nel mondo, significata dai sacramenti e dalla comunità (Mt 18, 20 ... 28, 20 ... ), anche se si tratta, ovviamente, di una presenza nel mistero, non manifesta ». 363 Sarebbe perciò più opportuno parlare non di «due venute», linguaggio che crea l'idea di uno spazio vuoto intermedio, ma di momenti distinti di un unico evento globale, che si snoda dall'incarnazione alla croce-resurrezione e si conclude nella parusia finale. La distinzione anche cronologica del «momento pasquale» e della «parusia », pur nell'unità, sembra però doversi imporre per gli argomenti che tra poco vedremo. Dal punto di vista negativo, infatti, si deve già notare, per quanto riguarda Greschake, che la sua tesi della consumazione della storia sul fondamento del destino di « morte-resurrezione » del singolo uomo e dei frammenti di mondo e del tempo che porta a consumazione con sè, conduce inevitabilmente ad una idea «privatistica» dell'eschaton ed alla concezione della storia umana universale come un mosaico. 364 La concezione del mondo come insieme dei singoli momenti estatici degli atti liberi dell'uomo non è la necessaria alternativa alla concezione monistica del soggetto universale hegeliano. Giustamente osserva J. Alfaro, il mondo non è solo lo spazio della corporalità totale della libertà intersoggettiva 365 esso è anche « il momento estatico » della auto-espressione dell'uomo, lo spazio delle intersoggettività umane totali, non solamente nella loro libertà, ma anche nella loro capacità di espressione e di mutua intercomunicazione creativa di espressioni. « La comunione interpersonale umana, attraverso la corporalità ed il mondo, non può ridursi alla comunione di libertà, nè il mondo al luogo delle decisioni intersoggettive. Nella relazione « uomo-mondo » ha luogo non solamente l'umanizzazione, ma 363 Rurz DE LA PENA, L'altra dimensione, 177; K. R.AHNER, Parusie II, L Th K VIII, 123 s (tuttavia Ebr 9, 28); W. KASPER, La speranza della venuta finale di Gesù Cristo nella gloria, in « Communio », n. 79, 1985, 40. 364 GRESHAKE, Auferstebung, 384-491. 365 J. ALPARO, La resurrezione dei morti nella discussione teologica attuale sull'avvenire della storia, in «Cristologia ed antropologia. Temi teologici attuali», Assisi 1973, 565; KASPER, La speranza, 41-43.

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE »

    583

    anche la crescente « ominizzazione » dell'uomo nella sua azione intersoggettiva di trasformare il mondo ed arricchire cosl il proprio spirito ».311> Insomma, c'è a monte di queste visioni, un difetto sulla concezione della universalità della storia che abbraccia aspetti insieme antropologici, ecclesiologici e cristologici, che vogliamo qui brevemente accennare. a. Anzitutto, la concezione universale della storia, non solo come storia della libertà dell'uomo, ma anche della sua inter-azione con il cosmo come esigenza di pienezza dell'uomo stesso, rivela l'importanza che ha nel discorso del rapporto resurrezione-parusia la dimensione della corporeità umana a cui è legata la dimensione cosmica della stessa salvezza dell'uomo. La storia segna il cammino di questa ominizzazione del mondo ed apre la prospettiva di un progresso che supera la dimensioni delle traiettorie puramente individuali del destino del singolo. Ogni storia individuale, infatti, è sostenuta dai dati oggettivi del mondo e dalle altre libertà intersoggettive; per questo la crescita dell'individuo non è un atomo che lascia dietro di sè la storia del mondo, ma la porta con sè. Ognuna delle opere dell'uomo nel mondo è un contributo alla edificazione della nuova creazione ed in questa inter-azione è la storia universale nella unità dei popoli e del cosmo che si prepara per il futuro. Non è. comprensibile una escatologia del singolo se non in un futuro della comunità e dell'universo intero. b. Proprio questa riflessione ci porta a rilevare come, in una visione propriamente biblica e particolarmente cristiana, l'escatologia è nativamente legata all'ecclesiologia: la speranza del ' giorno ultimo ' e della ' resurrezione dei morti ' è essenzialmente comunitaria. Non c'è speranza per il singolo se non all'interno di questa speranza comune di tutto Israele: è solo per l'appartenenza ad Israele che si partecipa alle promesse di Dio. È la Chiesa, dunque, il soggetto adeguato della speranza cristiana, speranza aperta a tutti i popoli ed al mondo intero. Non si può fare a meno di rammaricarsi dell'incomprensione e della conseguente sottovalutazione dell'apocalittica che si denota ancora in autori contemporanei come R. Bultmann. Essa viene ritenuta semplicemente responsabile di una mitizzazione e cosmologizzazione dell'escatologia. In realtà una erronea comprensione dell'apocalittica ha portato spesso a questi risultati. Ma il messaggio apocalittico come già abbiamo mosttato al principio di questa sezione, tra gli altri aspetti importanti della speranza sottolinea la dimensione universale dell'opera trionfatrice di Dio, Signore della storia, proprio attraverso la sua regalità in 366

    I vi, 566.

    584

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    Israele. Questo aspetto ' comunitario-sociale ' concernente il destino della storia, come storia di salvezza, è ancor più evidenziato nella prospettiva neotestamentaria. Il Concilio Vaticano II ha messo pienamente in luce nella Lumen Gentium 48 (cf GS 45) questo aspetto ' ecclesiologico ' della escatologia come nota dominante e conglobante ogni altro aspetto parziale ed individuale. Non è più lecito alcun discorso separato o stralciato circa l'escatologia del singolo, se non nel contesto globale di una costante ecclesiologica. 307 È attraverso questa prospettiva, che coinvolge il destino stesso della creazione, che noi dobbiamo affermare, per esigenze interne alla fede stessa e non per presunti teologumeni, l'importanza di una 'consumazione ' della storia di salvezza che supera l'idea del compimento della consumazione della storia dei singoli uomini. 368

    307 Dopo l'apporto escatologico della dottrina del Vaticano II, riteniamo che sia del tutto superata metodologicamente l'impostazione che si ritrova ancora in saggi recenti, di una sezione dedicata alla sola escatologia individuale, che viene fatta coincidere con «l'escatologia intermedia», ed una collettiva, che viene considerata come « escatologia finale» o « parusiaca ». Dobbiamo dire a questo riguardo, anzitutto che il linguaggio di «escatologia intermedia», che non esclude evidentemente gli aspetti anche personali della escatologia (vedi in tal senso le affermazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede del 17 maggio 1979), deve però essere riscattato da una concezione eccessivamente individualista: l'escatologia intermedia abbraccia, infatti, tutta l'era cristiana inaugurata dalla venuta storica di Cristo, dal suo passaggio pasquale. Essa è perciò un'era escatologica che riguarda «La Chiesa» come comunità peregrinante, nella quale già oggi il singolo vive la sua personale esistenza cristiana escatologica. Questa « era intermedia » comprende anche il momento del passaggio pasquale della morte, con tutto ciò che il dogma afferma sulle condizioni decisive di questo passaggio per il destino e l'immediata retribuzione del singolo. Ma in questa fase del ' morire in Cristo ' della escatologia intermedia, è sempre tutta la Chiesa che vive questo passaggio decisivo, nei singoli, i quali hanno accesso alla dimora celeste (2 Cor, 1-10) e vivono la loro comunione con Cristo nello Spirito, formando «una sola Chiesa e sono uniti tra loro in Lui (Ef 4, 16) » (LG 49). Non esiste quindi nessun momento escatologico puramente individuale, astratto dalla vita della Chiesa. In ogni fase del cammino escatologico della Chiesa c'è sempre l'aspetto individuale personale; ma esso è una dimensione di una comunione ecclesiale indivisibile. Il momento intermedio della morte (appartenente all'era escatologica intermedia il cui soggetto adeguato è la Chiesa) è distinto dal momento parusiaco che riguarda ancora b Chiesa, il mondo, ma anche la storia di ogni singolo individuo nella Chiesa e nel mondo. P. MOLINARI, Caractère eschatologique de l'Église pérégrinante et ses rapports avec l'Églìse céleste, in « L'Église de Vatican II. Études autour de la Constitution conciliare sur l'Église », III, Paris 1966, 1193-1216. Mai il discorso sullo stato escatologico dei singoli va quindi separato o affrontato fuori del contesto ecclesiologico. 361! Una certa incongruenza si rivela nel pensiero di Greschake tra il suo modo di affrontare il destino del singolo e quello della storia: egli esige e giustifica una fine temporale della storia dell'individuo, in quanto, egli dice, « l'oggi aperto al futuro sarebbe indifferente e perderebbe la sua incessante funzione di stimolo se non si offrisse come possibilità del definitivo (Endgiiltiges) » (Auferstehung, 384), ma lo stesso argomento dovrebbe valere per la storia universale: è possibile concepire una storia che « ca=ina indefinitamente verso una pienezza che non raggiungerà mai e non sarà mai compiuta?» ]. ALFARO, cit., 569; Ru1z de la PENA, cit., 173.

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    585

    c. Ma al fondo di questo discorso c'è il dato cristologico che dà senso ed unità al cammino della storia di salvezza e che determina, in questa unità l'esigenza di quei momenti fondamentali che sono il compimento-anticipazione e la consumazione finale. Fin dagli inizi della trattazione metodologica noi abbiamo detto che l' annuncio di Cristo non può essere isolato dal quadro di una storia di salvezza come venuta di Dio nella storia umana. 369 Ora, in questo contesto l'evento cristologico appare come il compimento, la ' fine del tempo ' e come tale ' avvenimento escatologico ' considerandolo globalmente nel tempo dell'incarnazione (la storia di Gesù) che si conclude nell'ora pasquale. Abbiamo visto come è proprio il « cristologico » legato alla Persona di Cristo, alla rivelazione trinitaria di Dio in lui che riluce in modo particolare nella croce e nella resurrezione che si fonda ' l'escatologico '. La rivelazione definitiva di Dio nella storia apre l'era della consumazione finale. Non ci sarà rivelazione ulteriore che potrà superare questo evento per cui la eternità irrompe nel presente. Tutte le promesse e le attese divengono « sì » in Gesù Cristo: in lui la storia di salvezza tocca già il suo limite ultimo. Questa consumazione del tempo (il tempo è compiuto: Mc 1, 15; tutto è compiuto Gv 19, 30) non comporta però come abbiamo visto nel primo capitolo, una abolizione del tempo. Cristo è venuto non per liberare l'uomo 'dal tempo e dalla storia ', ma per salvarlo ' nel tempo e nella storia ': cosl la consumazione comporta una anticipazione della fine, nel centro del tempo, guidando ed animando il tempo stesso verso la realizzazione della parusia finale (consumazione ultima del progetto di Dio). Questa sboccerà dal travaglio della storia presente che già va maturando, per l'opera di Dio e dell'uomo, la nuova creazione. Ma proprio per questo legame dell'evento cristologico ad una storia che esso adempie, ma non sopprime, bensì potenzia, .si impone il proseguimento di questa storia finché sia superato ogni scarto ancora esistente tra il ' già adesso ' del Cristo, Crocifisso e Risorto ed il ' non ancora ' dell'umanità e del cosmo. L'evento cristologico e soteriologico, proprio in quanto atto di anticipazione, fonda l'esigenza di quel veniet consummatio che è appunto la Parusia. Ma noi dobbiamo considerare anzitutto come l'evento pasquale possa considerarsi già anticipazione parusiaca, per poi considerare come questa anticipazione rimandi alla consumazione definitiva. 3. Giustamente, molti teologi contemporanei cattolici e non cattolici sottolineano il valore realizzato dell'escatologia pasquale, la quale rappresenta già una «parusia». Ad essa, infatti, appartengo369

    GSC, I, 137-138.

    586

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    no pienamente tre caratteristiche fondamentali del « giorno del Signore » secondo le promesse profetiche ed apocalittiche: il « carattere giudiziale», quello di «resurrezione» e di «palingenesi». a. Per quanto riguarda l'aspetto giudiziale del!' evento pasquale ne abbiamo già parlato a proposito del messaggio del Crocifisso-Risorto come martirio profetico. L'aspetto giudiziale della pasqua pone in evidenza un carattere essenzialmente salvifico: 370 esso realizza e proclama l'intervento definitivo con cui Dio, in Cristo, sconfigge le potenze oppressive del· male liberando il suo Servo dai dolori e dalle umiliazioni di morte. Cosl la « croce e resurrezione » annuncia ed inaugura ormai l'atto escatologico di salvezza che pone una fine alla storia del male e del peccato che viene definitivamente smascherato e debellato (Gv 12, 31). La «pasqua-parusia» realizza già la consumazione della regalità con cui Dio nel mondo, in Cristo, porta a termine la prima parola creativa in un intervento gioioso e trionfatore. È quanto proclama il NT quando parla del giudizio cristologico di fronte al quale il credente è confortato riella speranza in quanto « abbiamo fiducia nel giorno del giudizio » (1 Gv 4, 17). Esso è infatti opera di amore che scaccia il timore (ivi 4, 18). Questo giudizio come atto di salvezza, da parte di Dio, si è già andato realizzando dalla venuta terrena del Figlio che ha apportato la parola definitiva di salvezza come appello ad una risposta di amore. Da parte di Dio, dunque, il giudizio non comporta l'idea di esercizio forensico di una giustizia distributiva e vendicativa. Esso è atto di rivelazione della « verità-amore » con cui tende a liberare l'uomo. Nella pasqua, particolarmente, questa Parola suprema di Verità-Amore risplende in maniera suprema. Ma se l'intervento escatologico della salvezza è atto di giustizia divina liberatrice, esso provoca, nel contempo, un processo discriminatorio (krinein) che divide il male dal bene. Tale processo dipende indirettamente da Dio, in quanto, in un mondo soggetto al peccato, egli afferma unilateralmente la verità-salvezza. È cosl che in Gv 3, 17-19 si afferma che la venuta del Figlio non è per la discriminazione (krisis), ma per la salvezza del mondo. Chi accoglie la parola non cade nella krisis, ma chi rifiuta la parola cade nella discriminazione (' è stato giudicato '). È dalla risposta libera dell'uomo all'opera di Dio che direttamente dipende il giudizio come

    370 Rimandiamo a quanto detto già sul tema della « giustizia di Dio » vedi voce analitica in fine. Vedi anche R. PAUTRllL, Jugement dans l'AT, DBS IV, 1321-1344; V. HEINTRICH-F. BiiCHSEL, xplvw, TWNT, III, 921; D. MoLLAT, Jugement dans le NT, DBS IV, 1346-1347; A. GEDRGE, Le jugement de Dieu. Essai d'interprétation d'un thème eschatologique, Cane. n. 41, 1969, 13-23.

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    587

    ' Krisis '. Esso sta in questo: che gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce. Lo stesso si afferma in Gv 5, 24. L'attitudine libera dell'uomo (autokrisis), dunque, determina il fatto per cui egli si estranea dall'opera di Dio che per sè tende solo a salvare. La presenza dell'evento pasquale nella storia trasforma questa storia in una continua parusia in cui opera il giudizio di salvezza di Cristo e l'autogiudizio discriminatorio dell'uomo. Non si deve pensare, quindi, ad un giudizio decisionale come sentenza con cui Cristo pone l'uomo in stato di innocenza o di colpevolezza: la parola della Croce e Resurrezione ' constata ' l'atteggiamento dell'uomo dopo che per la potenza del suo appello, nella virtù dello Spirito, ha condotto la sua libertà al suo momento decisivo di ' responsabilità ' e di ' resa dei conti ' già adesso: « il giudizio consiste nel permanente confronto con la presenza interpellante del Kyrios, così che il fondamento radicale della responsabilità umana si situa nella trascendenza: senza un testimone divino, senza un Dio che si rivolga a noi non esiste responsabilità alcuna ».371 L'evento di pasqua ci appare perciò avvenimento parusiaco giudiziale in quanto porta a consumazione una storia di salvezza come dialogo tra la libera iniziativa di amore di Dio e la risposta libera dell'uomo. b. Importante per il carattere parusiaco anticipato dalla pasqua è l'aspetto corporeo della salvezza che essa già adesso realizza. L'esigenza di una umanizzazione dell'uomo in senso di integralità, di pienezza, di socialità e di cosmicità passa per il corpo, come già abbiamo veduto.372 Perciò la via della liberazione passa per il corpo, perché nel corpo si riflette tutto il mistero dell'uomo, il quale in questa sua dimensione essenziale per il suo essere uomo, che interamente lo coinvolge nella sua stessa intimità, esprime la sua «presenza all'altro uomo» ed «al mondo ». 373 La corporeità è un dato reale che esprime insieme il fatto della mondanizzazione dell'io personale-spirituale dell'uomo, che esiste fin dal primo momento nella sua incarnazione, ma anche esprime la sua tensione verso una « pienezza » di comunione e di vita che trascende la corporeità biologica come tale ed ha la sua radice nel « germe di eternità che (l'uomo) porta in sè ». Se è vero che lo spirito umano (l'io intelligente e libero) non esiste e non vive se non nella sua essenziale condizione di incarnazione, che lo determina nella sua identità individuale (il corpo che sono), è anche vero che la corporeità umana non esiste se non personalizzata ed, in quanto tale, traduce valori 371 372 373

    E. ScHILLEBEECKX, El munda y la Jglesia, Vedi sopra c. VI, pp. 467-470. Ivi.

    Salamanca

    1969, 417.

    588

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    spirituali e partecipa ideali ed attese che trascendono l'ordine della pura corporeità. f: proprio in questo ordine di idee che la corporeità terrestre dell'uomo evidenzia i suoi caratteri di inadempimento. Essi, in parte, sono dovuti alla stessa struttura del corpo in sè che ha la sua curva biologica, le sue fasi di crescita, di maturazione, di invecchiamento, la sua passività e resistenza ad una penetrazione dello spirito e può persino rendere opaca tale penetrabilità o impedirla del tutto. Ma ci sono aspetti della condizione corporea dell'uomo che lo legano alla sua vita etica, alla sua storia di peccato individuale e sociale. Allora il corpo assume quel senso peggiorativo di ' corpo di carne' che equivale, in Paolo, a 'corpo di peccato' (Rm 6, 6), per cui esso diviene strumento di separazione e di divisione, luogo in cui si incarnano ed esprimono egoismi individuali e collettivi. Nel corpo e per il corpo si esercitano allora, violenze e delitti efferati contro gli altri. Il ' corpo terrestre ' esprime, pertanto, la condizione inadempiuta dell'uomo, come essere che vive nella comunicazione e per la comunicazione e perciò attende la ' redenzione del corpo' (Rm 8, 25). La corporeità giuoca un ruolo essenziale nell'economia di redenzione, è luogo di comunicazione e d'incontro non solo tra l'uomo, l'altro uomo ed il mondo, ma anche tra Dio e l'uomo. L'incarnazione, che studieremo nella terza sezione, come momento definitivo della venuta di Dio nella storia umana e del suo essere tra noi, per il suo farsi uomo come noi, pone in evidenza il valore della corporeità. In essa e per essa emerge la rivelazione e comunicazione di. un nuovo modello di umanità (l'uomo nuovo) che si esprime nell'essere filiale come esistenza nell'amore dal Padre e per il Padre, amore che si autotrascende e comunica, nello Spirito, agli uomini. Il ' corpo terrestre ' di Gesù di Nazaret, esprime nel contesto della sua persona e della sua vita, questo atto di comunicazione di amore per il Padre e per gli uomini. Ma è soprattutto di fronte alla morte che emerge questo senso di dono che definisce la corporeità di Gesù come «corpo dato» per noi (Le 22, 19; 1 Cor 11, 24) e che rivela la pienezza della sua proesistenza. Di fronte alla morte e nella morte di croce giunge, infatti, a consumazione la rivelazione dell'Amore trinitario: il ·corpo trafitto di Gesù ne è il segno ed il sacramento comunicativo. Per le ferite della croce, è distrutta e vinta, ormai ogni resistenza ed opacità del ' corpo di carne ' e cosl Cristo ci ha « riconciliati nel corpo della sua carne, mediante la morte» (Col 1, 22; Ef 2, 16). La resurrezione porta al suo ultimo compimento questa economia di salvezza dell'uomo attraverso il suo corpo (caro cardo salu-

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL .. NELLA TEOLOGIA ATTUALE))

    589

    tis). Giustamente W. Kasper afferma che non si può escludere il problema del carattere fisico della resurrezione: « in effetti, quando si prende sul serio la storicità, bisogna affermare la corporeità della resurrezione, perché Gesù di Nazaret, l'uomo storico e ·concreto, non può essere pensato privo di un corpo. Se non si vuol cadere dunque nel docetismo bisogna tener conto anche del carattere corporeo della resurrezione ». 374 Bisogna però a questo punto dare il giusto significato a questa dimensione corporea della resurrezione di Cristo. Essa anzitutto non è il puro e semplice « riprendere il corpo terrestre dopo la morte». Il dato delle apparizioni di Cristo Risorto nel suo corpo terrestre segnato dalle piaghe della passione, il suo familiarizzare con i suoi nei gesti di amicizia intorno alla mensa, non intendono trasmettere una conoscenza empirica sulla particolare natura della condizione corporea del Risuscitato, ma unicamente stabilire la convinzione dei testimoni sulla identità del Risorto con il Gesù terreno, tra l'evento della resurrezione con la tragedia del Calvario, tra l'esperienza di comunità prima di pasqua e l'esperienza dopo pasqua. C'è profonda continuità dunque ed identità, ma c'è anche novità: anche questo dato è testimoniato dalle apparizioni nella incapacità iniziale dei testimoni di riconoscere il Risorto, nel suo modo nuovo di rendersi presente. È una novità che sboccia però dalla realtà terrestre per cui dice Paolo: « si semina corruttibile, risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole, risorge forte; si semina corpo animale, risorge corpo spirituale » (1 Cor 15, 35-44). Possiamo approfondire questo dato di continuità e discontinuità attraverso considerazioni, insieme, antropologiche, cristologiche ed ecclesiologiche che ci consentono di cogliere il senso profondo di questa dimensione corporea dell'evento pasquale come anticipazione della parusia. Dal punto di vista antropologico possiamo dire che la resurrezione di Cristo, come avvenimento escatologico è un avvenimento che riguarda l'umanità dell'uomo in quanto non solo ristabilisce la sua integrità sostanziale corporea compromessa dalla morte, ma realizza il compimento del significato e della istanza umana di corporeità. Così è tutto l'uomo che è coinvolto nella resurrezione (è l'uomo che risorge e non solo il suo corpo). Se l'uomo come corpo è presentemente dominato dalle limitazioni di di vita biologica (il ' corpo mortale ') e morale (il ' corpo di peccato') per cui nella sua corporeità egli vive oggi una forma umana terrestre di esistenza precaria, esposto a molte forme di alienazione, il corpo della resurrezione realizza una forma di vita escatologica in 374 KAsPER.,

    Jesus,

    176.

    590

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    cui la corporeità esprimerà il compimento di una presenza di comunione con il mondo e con gli altri uomini. Il corpo escatologico esprime cosl la realizzazione piena di quella identità di « immagine di Dio» (Gn 1, 26) che compete all'uomo proprio in quanto presenza trasformatrice e vivificatrice della terra per cui egli porta a termine l'opera creativa di Dio. Sotto questo profilo la corporeità escatologica del Risorto costituisce un trascendimento della corporeità come realtà puramente fisica biologica, trascendimento dovuto alla « umanità » del corpo dell'uomo, il quale proprio in quanto essenzialmente congiunto alla sua spiritualità, porta con sè una identità nuova ed una finalità superiore rispetto al semplice corpo animale. È proprio in quanto adempimento di questa istanza umana di comunicazione e di presenza dell'io umano incarnato che il corpo di resurrezione possiede spiccate qualità pneumatiche che Paolo enumera in 1 Cor 15, 35-44 e che gli scolastici hanno descritto ed elaborato con categorie ancora troppo legate al quadro terrestre 375 della attuale presenza al mondo. La resurrezione di Cristo porta a consumazione, insomma, l'umanità del corpo nello stesso tempo che la corporeità dell'uomo. Ma la dimensione antropologica della resurrezione non può essere del tutto valutata indipendentemente dalla sua caratteristica cristologica: in realtà nella economia presente non c'è resurrezione dell'uomo se non innestata nella resurrezione di Cristo. Questa porta a compimento e rivela quel significato nuovo della corporeità già fondato nella venuta storica di Gesù, in quella sua ' proesi375 Il «De Novissimis » una volta si dilungava sulle qualità del corpo glorioso, descritte antropologicamente come ' impassibilità ', ' immortalità ', ' sottilità ' e ' agilità ' credendo di poter fondare il discorso su I Cor 15 e sulle descrizioni corporee delle apparizioni. Per quanto riguarda le «apparizioni del Risorto», il quadro descrittivo terrestre (mangiare insieme, familiarità propria dci gesti terrestri) rientra nel tema specifico del « riconoscimento del Risorto » a cui punta il racconto, che rievoca quella esperienza d'incontro dei discepoli con Cristo Risuscitato, per cui essi si sono certificati che era proprio Lui, il Gesù terreno, Crocifisso. Per quanto riguarda I Cor 15 c'è da chiedersi se Paolo non intenda sottolineare semplicemente la profonda discontinuità tra corpo terrestre e corpo di resurrezione (KASPER, Jesus, 179). Certe descrizioni che vorrebbero delineare una ' fisica dei corpi gloriosi ' sono troppo legate ai quadri rappresentativi terrestri, per essere valide. Se il Dogma afferma la identità del corpo glorioso con il corpo terrestre, essa non va intesa come « identica forma terrestre », nella sua realtà «biologico-fisica », identità molecolare: cose del tutto fantascientifiche: la identità è piuttosto quella dell'uomo-corpo, della persona umana incarnata, terrestre, con la stessa persona incarnata gloriosa. L'uomo risorto, come il Cristo stesso, sarà lo stesso uomo terrestre, ma in condizioni del tutto nuove. Nella discontinuità si realizzerà però quella continuità, sia ontologica che esistenzialevitale, per cui nella resurrezione giungerà a compimento, antropologicamente, quanto l'uomo ha maturato nella sua vita presente nella costruzione dei suoi rapporti con Dio, con gli altri, con il mondo. Rurz, L'altra dimensione, 219-220; MoLTMANN, Teologia della speranza, 218; KASPER, La speranza, 45. Vedi nota 397.

    « SOTERIOL, PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    591

    stenza ' per gli uomini e per il mondo in cui egli rivela la « preesistenza del Dio Trino »: il « corpo dato per voi e per molti » è il segno espressivo ed efficace di tale presenza ed offerta dell'intera vita del Figlio nella carne umana. Se nel piano creativo di Dio il corpo dell'uomo ha un futuro tra-

    scendente la morte per la sua appartenenza essenziale all'io spirituale della sua persona (il corpo che sono), per cui porta un valore di presenza spirituale in sè (è corpo umano), sul piano della incarnazione tale presenza ed elevazione spirituale della carne è ancor più profonda. In quanto manifestazione del suo « amore filiale » la carne terrestre di Cristo, pur essendo fisicamente e biologicamente soggetta alla fragilità ed alla morte, possiede però in sé lo Spirito di amore che dà la vita (ivi v. 63 a) e perciò è una corporeità vitale che tende alla vita e che è principio di vita (ivi). Nella resurrezione, questo Spirito di vita libera definitivamente tale corporeità dai limiti della passibilità e della morte, a cui essa si è assoggettata, per amore, nella croce, e la rende carne « vivificata» e «vivificante» (corpo spirituale: l Cor 15, 44), una carne che è segno perfetto dell'amore e della comunione che si effonde nella umanità e nel mondo. Così, pur rispondendo alla istanza di compimento del corpo nella sua identità antropologica, la resurrezione di Cristo si compie secondo questa « novità » che le deriva dalla sua Persona filiale: la sua identità cristologica. La resurrezione è pertanto il compimento del processo di incarnazione e di trasformazione della carne umana. In questo senso è « resurrezione glo-

    riosa ». Nei dati del NT ci sono alcune affermazioni fondamentali che prendono luce in questo discorso: anzitutto il Cristo Risorto nel suo corpo glorioso è segno e presenza escatologica della realtà trinitaria di Dio nell'umanità e nel mondo. In Gv 1, 14 si vede l'incarnazione come il compimento della shekina, ovvero della inabitazione di Dio nel suo popolo durante la storia dell'esodo: « abitò in mezzo a noi». Ora, tale inabitazione che trovava la sua forma concreta nella tenda e poi nel tempio di Gerusalemme, viene ormai con la venuta di Gesù ad identificarsi con la sua carne: ma è specialmente il suo corpo glorioso (Gv 2, 21) che sarà ormai il tempio escatologico, luogo nuovo e perfetto della presenza di Dio nel popolo dell'alleanza nuova, fondata nell'offerta di questa sua stessa corporeità. Tale tempio, non fatto da mani di uomo (Mc 14, 58), è ormai il centro del nuovo culto in «spirito e verità» (Gv 4, 21 s), la fonte da cui zampilla l'acqua viva {Gv 7, 37-39; 19, 34), il grande ~ del corpo del Cristo Risorto è lo svelamento della presenza

    592

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    III

    di Dio, come «presenza operante» nell'umanità, per cui si effonde in essa, per mezzo dello Spirito, animatore di questa carne glorificata, la vita stessa di amore reciproco del Padre e del Figlio. :b la « vita eterna » e non soltanto la vita umana che riluce in questa ikone del Risorto, ovvero, la « vita eterna » fattasi visibile, fattasi umana. Questa stessa idea che unisce la gloria del Risorto con il corpo di resurrezione è bene espressa con l'idea paolina di « immagine »: Egli è infatti «immagine (eik6n) del Dio invisibile» (Col 1, 15). Sappiamo come tale « immagine » che va interpretata non alla maniera puramente neoplatonica, ma nel senso ebraico (selem-demuth) implica l'aspetto corporeo. Cristo Risorto è l'immagine perfetta in cui si rispecchia pienamente il senso di Dio, il Padre invisibile, che nel Cristo-Immagine si comunica al mondo, ed il senso dell'uomo 'creato ad immagine' (Gn 1, 26-27), il senso supremo dell'opera prima creativa e della nuova creazione (Col 1, 16-17. 18-19). Proprio perché luogo della comunione tra Dio, l'uomo ed il mondo, luogo in cui ormai si realizza perfettamente la presenza dell'uomo e del suo mondo a Dio e di Dio alla sua creazione, il corpo glorioso di Cristo si colloca come vertice e centro della creazione intera la quale operatasi già « in lui », trova in lui il punto omega della sua storia. Crediamo che questa idea corrisponda al messaggio che Paolo, attraverso la letteratura sapienziale, ci trasmette parlando del Cristo Risorto come colui in cui risiede corporalmente il « pleroma » (la pienezza). Tale asserto comporta sia la concentrazione, in Lui, «della potenza santificatrice della divinità» (L. Cerfaux) che « inabita nella pienezza, in Lui, corporalmente (somatik6s) » (Col 2, 9), per cui sotto questo aspetto Cristo Risorto è l'ikone del mistero di Dia" operante nella potenza (dynamis) dello Spirito nella storia di salvezza, sia la concentrazione, in Lui, del mondo intero. Nel corpo glorioso di Cristo, il «pleroma», che ricorre in Col 1, 19; Ef 1, 23; 3, 19; 4, 13 esprime, riallacciandosi alla letteratura biblica (Is 6, 3; Ger 23, 24; Sai 24, 1; 50, 12; 72, 19; Sap 1, 7; Sir 43, 27), l'idea che Dio, il Padre, « ha fatto abitare in Cristo Risorto l'universo ». Ciò va inteso nel senso che il Cristo per la sua morte e resurrezione ha introdotto ormai nel mondo in modo irreversibile, il suo principio di vita e di rinnovazione che è il suo Spirito. Così la resurrezione di Cristo inaugura il grande atto escatologico della palingenesi: « alla resurrezione nasce un mondo nuovo di cui il Cristo è il principio vitale. Dio fa abitare in lui il pleroma, cioè l'universo, per ricondurlo alla unità e riordinarlo al Creatore. Dio lo fa abitare in Cristo come nell'essere nuovo, la nuova creatura, in cui tutto,

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    593

    Dio e il mondo, si trova ricostituito in ordine ». 376 Luogo di comunione perfetta tra Dio e il mondo, il corpo glorioso di Cristo è segno universale di vivificazione: per esso Cristo non evade dal mondo e dalla storia ma si rende presente nel cuore del mondo e della storia come cellula rinnovatrice della prima creazione che essa con-· duce a compimento verso la piena e totale trasfigurazione nei nuovi cieli e nuova terra. · Questa funzione per cui Cristo, l'immagine perfetta di Dio, adempie nella gloria la corporeità dell'universo (funzione cosmica) si assolve particolarmente nella comunità umana (funzione ecclesiologica). Anzi, nella visione del NT questo è il primo ed immediato orizzonte: quello ecclesiologico, che si apre poi nel quadro cosmico. Il Cristo Risorto, nella sua corporeità gloriosa è soprattutto il sacramento fondamentale di quella pienezza (pleroma) di comunione che si realizza corporalmente tra gli uomini nella Chiesa, Corpo di Cristo. Questo aspetto ecclesiologico risalta nell'idea paolina della Chiesa di ' Corpo di Cristo ' già da noi richiamata.377 La concezione della Chiesa 'Corpo di Cristo' è geneticamente evoluta, come ha mostrato L. Cerfaux, oltre che dall'idea corporativa della salvezza, dal legame al corpo eucaristico di Cristo (suo corpo vero) che è la presenza sacramentale del suo corpo glorificato. È così che comunicando allo stesso pane (che è comunione dello stesso corpo di Cristo), noi formiamo un corpo solo (1 Cor 10, 17-18). Attra· verso la corporeità dell'eucarestia, il Corpo del Cristo « dato » per noi (nella passione) e « risuscitato » per noi si, fa principio di una nuova comunione tra gli uomini. L'amore trinitario incarnato nel corpo della Croce e della Resurrezione genera quella koinonia per cui l'uomo già oggi, nella fede e nei sacramenti della Chiesa, tende a superare e vincere i limiti della sua condizione carnale, inadempiuta e va ricostituendo con la sua personalità, nella comunità ecclesiale, la nuova corporeità, segno perfetto di comunione con Dio, gli altri e con il mondo che si realizzerà pienamente nella resur· rezione finale. Per l'eucarestia il corpo glorioso di Cristo pone così nella nostra stessa carne mortale il germe della resurrezione corpo· rea: ci rende con-corporei con il Cristo Risuscitato, ci fa partecipare già adesso, in anticipo, alle dimensioni escatologiche della nuova creazione e della nuova umanità in lui. 4. Se la resurrezione di Cristo è anticipazione della parusia è anche vero che essa non può considerarsi identica alla parusia finale. 376 B. REY, Créés dans le Christ Jésus. La creation nouvelle selon Saint Paul, Paris 1966, 216. m Vedi sopra c. II, pp. 161-164.

    594

    GESÙ

    or

    NAZARET, SIGNORE E CRfSTO -

    III

    La resurrezione di Cristo ha un valore di promessa che rimanda al di là: verso un evento che sia il suo compimento. Già J. Moltmann, nell'ambito della teologia protestante, ha richiamato recentemente a questo valore della resurrezione di Cristo come rinvio ad un ulteriore compimento della promessa, nella sua stessa posizione critica con W. Pannenberg: 378 l'attesa cristiana non è rivolta tanto al Cristo che è venuto, quanto a qualcosa di nuovo non ancora giunto nel presente. Essa attende il compimento, in tutte le cose, della Giustizia di Dio promessa, il compimento della resurrezione dei morti, promessa nella resurrezione e nel compimento della signoria del Crocifisso su tutte le cose. Cosl si può dire che « la resurrezione di Cristo non è un avvenimento che chiude, che adempie la profezia, ma un avvenimento che apre, perchè rafforza la promessa, confermandola ». 379 È proprio su questa determinazione del carattere ancora di promessa dell'avvenimento reale della resurrezione di Cristo che poggia l'argomento a favore della parusia-evento a conclusione della realtà storica del mondo. Tra gli assertori nell'ambito cattolico di questa posizione va considerato C. Duquoc il quale pone una essenziale e profonda correlazione tra resurrezione e parusia, affermando che proprio il realismo oggettivo della resurrezione di Cristo rimanda ad un ulteriore reale-oggettivo compimento parusiaco. La resurrezione, irifatti, è sì, come noi abbiamo veduto nel volume precedente,380 un avvenimento reale di Gesù: è la sua vittoria sulla morte. Ma un tale fatto reale non è attingibile in se stesso dall'uomo vivente nella storia, perché è una realtà di natura escatologica che pone Cristo in condizione metastorica nell'appartenenza al mondo futuro, alla creazione nuova. Solo alcune persone prescelte hanno potuto incontrare il Risorto, perché ad esse si è rivelato (cristofanie). Ora, proprio da queste persone è scaturita quella « testimonianza » sul Cristo Risuscitato trasmessa dal kerigma per cui l'evento, in sè metastorico, entra ed opera anche storicamente: «la realtà della vita del Risuscitato non diviene evento per noi che nella sua attestazione. La resurrezione non verifica dunque nel quadro dell'empiria la promessa inclusa nel riferimento agli altri e della giustizia alla sua propria vita terrestre » .381 È quanto dire che 37s

    Vedi c. V, 409-410; 68-70.

    37•

    J. MoLTMANN, Teologia, 229-230.

    380

    GSC, II, 520-540.

    C. DuQUOC, Résurrection et Parousie, in « Christologie », II, 307. Nello stesso sensa Rtrez de la PENA, L'altra dimensione, 168-169, che aggiunge l'argomento a-. partire dalla incarnazione. Il realismo della incarnazione esige quello della parusia:. se si riduce. la parusia a puto simbolo di una dimensione sovratemporale, metastoJ81

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    595

    la resurrezione di Cristo che è già un avvenimento reale, ma storicamente in sè non sperimentale, è operante storicamente attraverso la testimonianza del messaggio, ma resta ancora nascosta e non ve-· ri/i.cata nel quadro empirico di questo mondo e nell'antico sistema di riferimento. Per questo essa resta ancora oggetto di fede (Rm 10, 9) avvolto nel mistero della promessa: «l'anticipazione della fine della storia nella resurrezione di Gesù resta nascosta: essa è solo proclamata come promessa 1> (ivi). La storia presente, nonostante la resurrezione di Gesù, resta una storia che non verifica, se non nel piano della fede-testimonianza, il suo trionfo sulla morte e sulla ingiustizia. È perciò che l'annuncio del Risuscitato rimanda ad una verifica ulteriore e ad una realizzazione della promessa che non apparterrà più all'ordine del kerigma-testimonianza, ma a quello della constatazione ed evidenza. Se la resurrezione è un dato oggettivo, anche se non verificabile, la parusia non può non essere essa stessa oggettiva e verificabile: la vittoria sul dolore, sulla morte e sull'ingiustizia, deve apparire ed imporsi nell'ordine storico alla evidenza di tutti, in una sorta di constatazione universale. Questo scarto o distanza tra un evento di resurrezione già compiuto e che per ora resta nascosto e diviene accessibile solo per la testimonianza di coloro che lo annunciano e l'esigenza della sua definitiva e futura manifestazione che mostri ad ogni uomo la trasformazione del mondo intero ad opera del Cristo e del suo Spirito è la ragione della durata escatologica della storia cristiana presente. In essa il Risorto avanza nella predicazione e nella fede della Chiesa, già operando spiritualmente nello Pneuma la resurrezione dei cristiani e la loro esistenziale trasformazione in uomini nuovi. Questo movimento si proietta verso una consumazione mondana e cioè sul piano di una esperienza universale in cui apparirà a tutti che l'ultimo nemico sarà totalmente debellato (1 Cor 15, 26). 382 C. La parusia come avvenimento: compimento ultimo dello evento cristologico e del senso escatologico della speranza cristiana. Il carattere della parusia, come avvenimento non riducibile ad una sola dimensione dell'evento della resurrezione di Cristo né ad rica, della esistenza, non si vede perché non si potrebbe dire lo stesso della incarnazione e della resurrezione di Cristo. 382 «II signiEcato minimo che è necessario riconoscere alla dottrina del NT sulla Parusia, è che si tratta della manifestazione evidente, immediata ed univer. sale, della signoria che compete a Cristo per la sua resurrezione. Il Risorto finirà per imporsi al mondo ed alla morte per quello che è, èome Signore di entrambi. Questo imporsi è la «venuta in potenza» che chiamiamo Parusia »: Ru1z de la PENA, cit., 168.

    596

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    I!l

    una sola struttura della fede di pasqua, non comporta alcuna dissociazione puramente diacronica dell'evento salvifico cristologico in tanti fatti staccati. Il linguaggio delle « due venute» di Cristo, inframezzate dall'esodo della pasqua, rischia di generare questo frammentarismo soteriologico che compromette l'unità dell'eschaton e della speranza cristiana con tutti gli inconvenienti sopra già accennati. Il ricentramento cristologico della escatologia deve portare al recupero della unità. Realmente l'evento cristologico della salvezza, come avvenimento escatologico della storia che conclude l'era della pura promessa ed apre quella definitiva dell'adempimento è un avvenimento unico, indissociabile: la venuta di una Persona e la sua presenza nel mondo degli uomini. Questo evento unico presenta però momenti distinti cronologicamente: è infatti un avvenimento che s'innesta realmente nel processo della storia umana e ne incarna il divenire esprimendosi esso stesso nel modo della temporalità. È cosl che possiamo parlare della storia terrena di Gesù di Nazaret, come « prima venuta » tra noi nella sua umiltà di Servo e nella sua predicazione, che si compie poi nel « momento supremo » della pasqua in cui egli, morendo sulla croce si sottrae alla percezione sperimentale degli uomini (l'esodo pasquale) in quanto si realizza, attraverso la sua resurrezione, in una nuova condizione umana metastorica ed un nuovo modo di presenza nello Spirito. Nella resurrezione, però, in cui già si adempie, in sè, l'evento cristologico, il cammino del Glorificato nella storia prosegue con potenza vivificatrice per l'annunzio del messaggio e per l'opera dello Spirito verso il compimento finale che comporterà con il giudizio ultimo, la resurrezione dei morti e la palingenesi (ultima venuta: parusia). I momenti del modo di presenza del Cristo « in rapporto a noi » sono realmente distinti, ma l'evento che in essi si compie è « personalmente » unico. Esso non conosce diastasi o vuoti di presenza. Il nostro interesse in questo paragrafo è rilevare anzitutto quale sia la consistenza evenenziale della parusia come fatto reale che conclude il processo storico dell'evento cristologico e quindi di esaminare la portata di tre suoi aspetti peculiari: quello di carattere giudiziale, quello della resurrezione dei morti e della palingenesi. 1. L'interpretazione dell'evento. Un gruppo di teologi protestanti che ammette la consistenza di evento della parusia, vede però il contenuto di questo evento solo come svelamento di quella realtà dell'evento cristologico già attualmente compiuto in seno alla storia, ma ancora esistente in « mistero », nascostamente, rispetto al quadro verificabile empirico dell'attuale mondo fenomenico. Cosl per K. Barth il futuro di Cristo se è indicato nel NT con il linguaggio di « apocalisse », « epifania », « manifestazione » è

    « SOTERIOL. PASQUALE ED ESCATOL. NELLA TEOLOGIA ATTUALE»

    597

    per affermare che Cristo « sarà manifesto non soltanto alla comunità, ma a tutti, per quello che veramente è ... nel modo più chiaro e pubblico verrà alla luce il ' tutto è compiuto ' ... Che cosa reca allora il futuro? Non una svolta storica, ma la rivelazione di ciò che è. f: il futuro ... di cui la Chiesa si ricorda: cli ciò che è già accaduto una volta per tutte. L'alfa e l'omega sono la stessa cosa » .lB3 Un tale carattere epifanico universale della parusia, sì impone indubbiamente, dopo quanto abbiamo già affermato circa il valore di adempimento dell'evento pasquale e circa il suo carattere ancora di promessa nei confronti della verificabilità storica universale. La realtà già attuale della Signoria del Cristo deve manifestarsi ed imporsi apertamente in tutta la sua efficacia rinnovatrice: questa esigenza di « manifestazione » sottolinea la continuità del futuro parusiaco con il già compiuto dell'ora pasquale. Come già sopra abbiamo notato, infatti, non si deve parlare tanto di due venute di Cristo, quanto di un'unica venuta « che si dispiega storicamente dalla kenosis del Gesù Servo, alla signoria del Cristo Risorto, fino alla epifania o apocalisse di questa condizione regale nella parusia » .384 Tuttavia non si può ridurre la parusia esclusivamente ad una « manifestazione visibile» di quanto già ontologicamente è compiuto. Il rapporto tra il già-adesso e non-ancora della pasqua e parusia non è sufficientemente illustrato con le categorie « nascostorivelato ». Si rischierebbe ri ridurre la distinzione dei momenti reali dell'unico evento cristologico al piano esclusivamente soggettivo e fenomenologico. Giustamente J. Moltmann prende posizione contro una tale riduzione epifanica, che egli attribuisce al peso delle categorie elleniche sulla escatologia: 385 la rivelazione di Cristo « non può consistere solo nel fatto che ciò che è già accaduto in modo occulto venga svelato alla mente umana, ma deve essere attesa in forma di avvenimenti che adempiono ciò che è stato promesso nell'evento cli Cristo ».386 Si tratta insomma di salvaguardare un valore di novità del momento parusiaco che riguarda la sua realtà propria di avvenimento reale. Moltmann sottolinea talmente questo aspetto da compromettere il carattere di compimento della stessa resurrezione di Cristo attraverso la sottile distinzione tra 383 K. BARTH, Dogmatik im Grundriss, 1947, 158 s. citato in MoLTMANN, Teolo· g1a, 232. La stessa idea in W. KRECK, Die Zukunft des Gekomme11en, 1961, 100; A. OEPKE, TWNT, V, 863 s. 384 Rurz de la PENA, cit., 177. 385 Molte· forme di pensiero « che ancor oggi oscurano il linguaggio proprio deìh escatologia, sono assolutamente le forme dello spirito greco che vede nel logos l'epifa· nia dell'eterno presente dell'essere e vi scopre la verità» J. MOLTMANN, Teologia della speranza, cit., 36 s. 386 Ivi, 233.

    598

    GESÙ DI NAZARE'r, SIGNORE E CRIS'rO -

    Ili

    conferma-convalidazione e adempimento delle promesse.387 II che non ci trova consenzienti in forza del consummatum est dell'ora pasquale (Gv 19, 30 ): senza di cui sfumerebbe la distinzione tra l'eone veterotestamentario e quello aperto proprio dalla croce-esaltazione di Cristo. L'ora pasquale apre l'era escatologica ed annuncia, anche se nel modulo della testimonianza e del kerigma, la pienezza e definitività del tempo della salvezza. C'è però ancora un futuro per la speranza che riguarda insieme il « futuro di Cristo », il « futuro dell'uomo e della storia universale», ovvero il «futuro di Cristo » in quanto si fa futuro dell'uomo e della storia. Proprio petchè il Cristo Croci:fisso e Risorto non è solo la « fine del tempo » della antica concezione apocalittica, ma anche il « centro del tempo » che conduce al suo definitivo compimento senza interromperne lo svolgimento, egli cammina nella storia verso una sua consumazione che in un certo senso riguarda Cri,sto stesso. Per questo si può dire che « il futuro di Cristo » non è mera ripetizione o solamente svelamento della sua storia, bensì qualcosa che fin da adesso non è ancora accaduto per mezzo di Cristo. « L'aspettazione cristiana non si rivolge a nessun altro se non al Cristo che è venuto, ma essa attende da lui qualche cosa dì nuovo, qualche cosa che non è ancora avvenuto ».388 Si tratta, insomma, di superare lo scarto tra quanto è accaduto nella pasqua e quanto deve avvenire ad opera del Risorto nelle stesse dimensioni del mondo intero. La storia cristiana presente, che tende a superare questa distanza, ha proprio il significato di questo avanzamento progressivo, di questo avvicinamento dei due poli dell'unico grande avvenimento di salvezza, per cui si riduce sempre più il distanziamento e si realizza il definitivo piano di Dio (1 Cor 15, 20-28; Rm 8, 19-24; Ef 1 e Col 1 ). Questo progresso escatologico della storia presente che non va reso affatto con il linguaggio di , 87 s.; A. FEU!LLET, Le prologue du quatrième évangile, Paris 1968; R. ScHNACKENBURG, Origine e peculiarità del concetto giovanneo di Logos, in «Il Vangelo di Giovanni», I, Brescia 1973, 357-37.3; G. SEGALLA, Preesistenza, Incarnazione e Divinità di Cristo in Giovanni (Vg e 1 Gv), RivB 22 (1974), 155-181. 49 L'azione creativa di Dio cambia la faccia delle cose (Ger 31, 23; Is 48, 7; 65, 17), è un agire soteriologico non solo quando si parla della creazione degli ultimi tempi (nuova creazione), ma anche quando si parla della prima, come si vede nell'insieme della tradizione sacerdotale con il collegamento del tema della benedizione a quello della creazione (Gen 1, 22.28; 2, 3).

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    644

    III

    La parola comporta dunque anche un elemento intelligibile che rende l'uomo partecipe del mistero della storia salvifica, convertendo l'uomo al punto di vista di Dio. È questa Parola che alla fine dei tempi verrà da Sion per istruire le nazioni che cammineranno alla sua luce (Is 2, 3-5). Concepita come realtà dinamica, forza efficace, luce rivelatrice, la « Parola di Dio » tende, nelle concezioni letterarie dell'AT, a personmcarsi come un essere vivente, distinto da Dio che la pronunzia, ma in intimo rapporto con lui (Is 9, 7; Sal 119, 89; 147, 18; Sap 18, 14-16). Cosl in Isaia 55, 10-11 la Parola personificata parte da Dio e ritorna a lui dopo aver compiuto la sua missione tra gli uomini: essa assume un ruolo di mediatore salvifico escatologico.50 La tradizione profetica può considerarsi come la fonte principale della teologia veterotestamentaria della « Parola »: tuttavia, bisogna considerare anche l'importanza della « tradizione sapienziale », quale antecedente letterario dell'idea giovannea di « Logos ». In verità, in primo· tempo le due tradizioni erano distinte, ma nell'epoca post-esilica si congiunsero ·profondamente. Cosl nell'Ecclesiastico e nella Sapienza di Salomone vengono sottolineati gli elementi della tradizione profetica, quali il ruolo della Parola nella storia di salvezza ed i suoi rapporti con la Legge mosaica. Ma la Parola tende sempre di più alla personificazione ed alla identificazione con la Sapienza come in Sap 9, 1-2, in Prov 8; Sir 24. 51 È questa ultima fase di sviluppo della teologia della Parola l'antecedente più vicino che influisce sulla struttura letteraria del Prologo.52 Il contesto più immediato, però, dello sviluppo della teologia giovannea del Logos è quello della esperienza cristiana. Il logos, prima di essere veduto come titolo cristologico, esprime nella tradizione evangelica la «predicazione di Gesù» {Mc 2, 2; 4, 33; Mt 13, 19. 20 . 23; Le 5, 2; 9, 28; At 10, 36) e la predicazione apostolica relativa alla persona ed all'opera di Gesù (Mc 16, 20; At 4. 29-31; 6, 2. 4. 7; 8, 14. 25; 10, 36. 44 ... ). In particolare in Marco 8, 32 la «parola» che Cristo predica è l'annuncio della morte e della resurrezione del Figlio dell'Uomo (8, 31 ). La nuova

    so

    Prologue, 234. Cosl in Is 55, 11 la «Parola esce dalla bocca di Dio»; in Sir 24, 3 è la Sapienza stessa che esce dalla bocca dell'Altissimo; la Parola è inviata da Dio sulla terra (ls 55, ivi) ed in Sap 9, 10 l'autore chiede a Dio di inviare la Sapienza che scenda dal trono della maestà (Sap 9, lOb) come la Parola scenda dal «trono regale» (Sap 18, 15). 52 C. SPICQ, La structure littéraire du prologue de Saint Jean, in « Mém. Lagrange >~, Paris 1940, 183-195; ScHNACKENBURG, La teologia della 'Parola di Dio' nella Bibbia, in «Origine e peculiarità>>, 359-362. · 51

    FEUILLET,

    «LA PREESISTENZA DI CRISTO NELLA FEDE NEOTESTAMENTARIA»

    645

    alleanza ha come centro quel logos che è l'evangelo di Cristo, « l'evangelo del Regno » che converge nella Persona ed opera di Gesù. Questa idea che emerge già abbastanza chiaramente nel Vangelo e negli Atti è altrettanto rilevata dal pensiero paolino per il quale il, come momento culminante di tutto un processo di risalita verso le origini di Gesù [dalla storia delle sue origini umane (vangeli d'infanzia), alla preistoria delle sue origini divine]. È così che « l'eternità » era più o meno un « passato » immutabile, fossilizzato, eterno: « all'inizio era Dio ». Certo si sapeva bene che l'eternità superava ed avvolgeva il presente, il passato ed il futuro dell'uomo, e che Dio non è solo « realtà prima», ma anche «ultima», oltre che il presente che nell'oggi trascende il nostro oggi ... tuttavia in una cultura sempre rivolta al passato, operava una notevole forza di attrazione reciproca la: « trascendenza» ed eternità da un lato ed il «passato» reso eterno dall'altro }>.'lfJa È quanto dire, che la personalizzazione del Cristo come « Logos preesistente » sarebbe una proiezione, al passato, della sua trascendenza divina eterna e quindi, la categoria, non esprimerebbe niente di più se non l'identità divina del Cristo stesso. Ma, allora, in un contesto in cui la cultura si è decisamente rivolta al futuro, anche il concetto cristiano di « trascendenza » è meglio espresso attraverso il modulo del futuro, come quello di « colui che viene», come il !Dio del futuro, il «completamente nuovo»: si dovrà allora optare per una proiezione escatologica della identità divina del Cristo? · Il difetto che rivela questa problematica applicata alla dimensione trinitaria dell'evento cristologico è sempre quello dell'unico suo collocamento nel solo orizzonte economico per cui non si ammette una « preesistenza personale }> del Figlio e Logos eterno. La categoria della « preesistenza » non rifletterebbe una realtà dell'in sé del Figlio in rapporto al Padre ed allo Spirito: essa sarebbe una cifra archeologica, indicativa del divino in termini di passato del tutto intercambiabile con una «cifra prospettica», «escatologica», in termini di solo futuro. Oltre al difetto della fede nella Trinità immaferiamo interdire ogni affermazione e negazione circa una preesistenza personale e reale del Verbo di Dio nella Divinità» (ivi, 83). "» E. SCHILLEBEECKX, Dio, il futuro dell'uomo, Roma 1970, 196 s.

    714

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    nente, qui si pone anche in discussione l'importanza dei duf" orizzonti ddla cristologia: quello escatologico e quello protologico, come orizzonti distinti e necessari. La fede neotestamentaria, come abbiamo visto, non è risalita alla preesistenza per un difetto di coerenza con la sua proiezione escatologica dominante nei suoi inizi. Al contrario, essa è risalita alla preesistenza proprio per la sua coerenza con l'orizzonte escatologico. È partendo infatti, da questo orizzonte escatologico pasquale che essa ha compreso meglio « chi era » Gesù, da sempre ed attraverso tale comprensione, ha dato maggiore vigore e sostegno a quanto era accaduto in Lui, per noi, e quanto ancora avrebbe dovuto compiersi nella parusia. Cosl l'orizzonte protologico è un necessario complemento di quello escatologico, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo. Nessuna delle due prospettive è sopprimibile. Per quanto riguarda l'insieme di questi sviluppi funzionalistici delle cristologie contemporanee, dobbiamo dire che essi ricadono in una forma di modalismo trinitario. Ma proprio questo difetto, di una fondazione trinitaria immanente della vita trinitaria economica di Dio, nel suo rapporto a noi, finirebbe con lo svuotare il significato e la novità della soteriologia cristiana. In che cosa la condizione della vita cristiana nello Spirito si differenzierebbe allora dalla condizione di vita dell'antica economia? In che cosa l'esperienza della Parola e dello Spirito, nel mistero di Cristo, rappresenterebbero un compimento della loro manifestazione veterotestamentaria se la loro personificazione fosse ·solo una forma letteraria (ben conosciuta dai libri sapienziali) e culturale? Non dimentichiamo che il pensiero pàtristico e dogmatico è risalito alla affermazione (di fede) della preesistenza trinitaria di Cristo proprio a partire dalla esperienza della pienezza di salvezza proveniente per il Cristo, dal Padre, nella potenza dello Spirito. Bisognerà, allora, salvaguardare da un lato l'unità che innegabilmente congiunge con il mistero eterno ogni conoscenza economica della Trinità divina, in quanto, nella storia salvifica, è la stessa Trinità sempiterna che opera e che il credente incontra, e, dall'altro, la distinzione tra la vita immanente della Trinità divina e la sua libera, gratuita ed indeducibile manifestazione nell'ordine della temporalità umana, per cui possiamo dire con W. Kasper: « nell'autocomuniCazione storico-salvifica, l'autocomunicazione intratrinitaria è presente nel mondo in modo nuovo » .21

    21 KAsPER, Il Dio di Gesù Cristo, 368. Per il rapporto tra processione e missione temporale, rimandiamo al nostro lavoro: Il Tempo, valore filosofico e mistero teologico, Roma 1965, 107-157.

    «LA PREESISTENZA DI CRISTO NELLA TEOLOGIA CONTEMPORANEA»

    715

    C. Ma proprio questa ultima osservazione impone una ulteriore precisazione per ciò che ri[!.uarda l'affermazione della dimensione trinitaria della preesistenza di Cristo come Logos e Figlio di Dio. L'autocomunicazione del Dio Trino si opera, nell'ambito dell'economia salvifica, secondo uno statuto di umiliazione, di condiscendenza kenotica, in cui è lui stesso, il medesimo, che si rivela, ma la sua manifestazione è avvolta di oscurità: il Figlio eterno di Dio, splendore della sua gloria, si manifesta nella croce. È vero che questa manifestazione nella umiltà della kenosi introduce nella più autentica conoscenza di chi veramente è il Figlio amato dal Padre, ma bisogna anche ammettere che la conoscenza del Figlio e del Padre che noi attingiamo brancolando nel buio della derelizione della croce è una conoscenza ancora imperfetta che raggiungerà il suo compimento nella conoscenza escatologica finale di Dio. Questa distinzione di momenti epistemologici del cammino della fede, affonda le radici in una distinzione ontologica tra l'essere ' in sé ' della vita trinitaria quale mysterium stricte dictum, la sua manifestazione temporale presente e la sua manifestazione finale escatologica. La teologia orientale è particolarmente sensibile alla considerazione apofatica della « essenza inconoscibile di Dio » ed alla affermazione di ciò che è comunicabile (le « energie», quali la «gloria », la «potenza » di Dio). Anche se tale affermazione sembra andare oltre alla distinzione paolina tra il vedere ora « come in uno specchio }> ed il vedere futuro « a faccia a faccia » ( 1 Cor 13, 12) ,22 essa insiste però, in accordo con la teologia latina, sulla aHermazione che pur nella sua manifestazione economica, il mistero trinitario di Dio resta mistero in sé trascendente inattingibile in tutta la sua immensità. La cristologia, quindi, nel suo riflettere sulla « preesistenza )> del Cristo-Logos e Figlio, affinché apporti un contributo autentico ad una «fondazione dall'alto» della sua opera mediatrice universale, deve mantenere costantemente uniti i due aspetti compresenti nella tradizione di fede « dell'essere trinitario in sé}> di questa preesistenza eterna e del suo «essere trinitario per noi », pur salvaguardando la loro distinzione, evitando gli eccessi di ogni teogonismo e di ogni funzionalismo economico.

    Il.

    lL SIGNIFICATO DINAMICO PERSONALE DELLA PREESISTENZA DI CRISTO.

    Il punto più difficile della affermazione cristologica del « Preesistente » nella sua condizione trinitaria immanente è proprio il suo Z2 Y. CoNGAR, Note sur la théologie palamite, in « Je crois », III, 94 s.

    716

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    Ili

    « essere personale». Ben più comprensibile sul piano dell'ec\Jnomia, ove il rapporto tra Gesù ed il Padre, nel quadro della missione temporale della incarnazione, si pone come rapporto inter-personale, resta particolarmente misterioso nel quadro della sua origine eterna. La tentazione è forte, come abbiamo visto nella ; del iDio (Padre) « invisibile >; (Col 1, 15), «vero Adamo>; e perciò chiamato ad un rapporto immediato di comunione inter-personale con il Padre attraverso la conformazione all'immagine del suo Figlio che diviene così Primogenito tra molti fratelli (Rm 8, 29). 3. Dobbiamo ora valutare antropologicamente questi dati biblici cristologico-protologici. Abbiamo mostrato nel paragrafo precedente come la prima creazione fonda l'uomo come essere logikos, come « persona » chiamata ad un possibile dialogo con Dio, suo Tu assoluto, ma nella situazione presente, in coincidenza dell'intervento creativo di Dio, si apre anche la storia dell'economia divina di grazia, il suo primo intervento rivelativo. Per esso « l'uomo-persona >;, «immagine di Dio >;, non è più solo un essere posto fondamentalmente in stato problematico di attesa passiva di una possibile· ed indefinibile offerta di grazia; bensl entra ormai in un libero « progetto storico >; di Dio. Senza un tale « progetto economico » divino che apre l'esistenza umana ad un futuro escatologico, l'uomo resterebbe come irretito nella monotona prigionia di un presente precario. Le antropologie religiose che ignorano l'intervento rivelativo di Dio, fanno del confronto tra l'uomo e Dio un motivo di radicale messa in questione dell'uomo, nella sua insopprimibile finitezza, nella sua caducità costituitiva, nel fallimento mortale della sua esistenza, per cui l'inquietitudine religiosa dell'uomo, più che senso e gusto dell'in-

    69 IRENEO,

    AH, V, 16, 2;

    RoLDANUS,

    Cbrist et l'Homme, 41.

    740

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRJSTO •

    III

    finito, diviene esperienza della crisi. 70 Nella visione biblico-cristiana, la parola di Dio >, Brescia

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    769·

    che Giovanni, pur utilizzando un termine in voga nella cultura stoica del tempo, non è partito dall'idea di 'intelletto-ragione ' per parlare del Logos presso Dio, bensi dalla concezione dç:lla tradizione biblica della Parola di rivelazione per risalire alla Parola eterna. L'accostamento della espressione pregnante o Logos della cultura stoica all'ambiente giudaico· era stato veramente preparato da Filone d'Alessandria nell'area giudeoellenistica ed aveva esercitato un influsso anche nei primi scritti rabbinici; 9 determinando l'identificazione del Logos con la Sapienza divina del tardo giudaismo, egli aveva aperto la cultura ebraica all'ellenismo. Questo· però non vuol dire dipendenza filoniana da parte del prologo giovanneo restando le profonde differenze che caratterizzano il Logos di Filone come la sua inferiorità rispetto a Dio e le sue funzioni salvifiche sostanzialmente diverse da quelle del Logos giovanneo. 10 Anche l'idea di un possibile rapporto tra la speculazione sapienziale giudaica e poi la concezione cristiana del Logos preesistente ed incarnato con l'antico mito pagano gnostico è chiaramente da scartare non avendo niente in comune con il punto di vista giudaico-cristiano.11

    B. Non resta che ricercare le origini della riflessione cristologica giovannea sul Logos nella concezione biblica di un Dio personale che comunica con il mondo e con l'uomo attraverso la sua Parola (dabar). Questa concezione biblica trova un suo momento· particolare espressivo nelle speculazioni sapienziali. Anzitutto è notevole l'importanza che nella Scrittura veterotestamentaria si assegna alla Parola divina, creatrice e rivelatrice. Il suo straordinario dinamismo si colloca, nella cultura biblica, nel contesto generale della cultura dell'antico oriente (letteratura babilonese ed egiziana). 12 In 1968, 23-26) ed è parola di promessa, di giudizio, che cost1tu1sce la verità di un evento. La concezione della filosofia ellenica, invece, nel « legein » vede, prima del parlare, uno «spiegare»'. il Logos greco è un principio di spiegazione della realtà. Nella parola, « ciò che è detto » conta molto di più di colui che parla e di colui al quale si parla. Forse questa puntualizzazione di Bultrnann potrà apparire troppo rigida inquanto non sembra concedere anche una importanza ai contenuti (mysterion) della Parola di Dio,. essa però ci sembra utile per una comprensione delle differenti concezioni culturali. 9 E. BRÉHIER, Les idées philosophiques et religieuses de Philon d'Alexandrie, Paris 1950 (3), 83-111; J. }ERVELL, Imago Dei, Gottingen 1960, 53-60; R. ScHNACKENBURG, Il Logos di Filone, in «Il Vangelo di Giovanni», I, Brescia 1973, 363-365; H. A. WoLFSON, Philo, I, Cambridge 19482. 10 WOLFSON, 261-289; SCHNACKENBURG, 364-365. Il L'affinità era stata sostenuta da R. BuLTMANN, (Evangelium des ]oh., 12), secondo cui l'inno al Logos descriverebbe la figura di Gesù e la sua opera con i concetti della mitologia gnostica. Una motivazione critica contraria si ha in R. SCHNACKENBURG, Il mito gnostico del Redentore e la cristologia giovannea, in «II Vangelo», I, 596-615 con relativa bibliografia. 12 R. TouRNAY, Logos, DBS V, c. 424-434; A. BARUCQ, Logos, ivi, c. 434-442; K. PRUMM, Religionsgeschichtliches Handbuch fiir den Raum der altcbristlichen W elt, Roma 1954.

    770

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    comune con tali concezioni dell'antichità, l'idea biblica della Parola possiede la caratteristica di essere non un soffio di voce, suono vuoto, ma l'inizio di un agire, una forza tendente a realizzare ciò che esprime. È cosl che il dabiir esprime sia parola che cosa, fatto, avvenimento. In Israele, però, questa forza della Parola non appartiene che a Yahvè e si esplica a suo servizio. Cosl per la Parola, Dio crea i cieli e l'universo intero (Sal 33,6; 148, 5), regge gli astri (Is 40, 26) e le acque dell'abisso (Is 44, 27). Per la sua Parola, Dio opera e dirige la storia della salvezza, guidandola verso una realizzazione nnale. 13 È soprattutto l'esperienza profetica degli uomini servitori della Parola la fonte principale dei dati dell'A.T. su questo terna: la Parola di Dio dotata di dinamismo e di forza straordinaria si manifesta nella vocazione e nella missione coraggiosa dei profeti (Ger 1, 4-19). Essa appare nella loro missione un sermo operatorius (1 R 17, 1; 17, 24; 2 R 2, 19-22; 4, 33-37). 14 Attraverso la missione profetica, la Parola di Dio agisce coinvolgendo l'uomo nella storia di salvezza, rendendolo partecipe dei segreti e della logica interna di questa storia mostrando il disegno unitario di Dio, 15 diventando cosl luce dell'uomo (Is 2, 3-5; Sal 19, 9; 119, 13; Ba 4, 2; Sap 7, 26; 18, 4). Per la sua dinamicità e la sua efficacia, nella tradizione biblica, la Parola tende a divenire un essere personificato. Cosl in molti testi vetero-testamentari (Is 9, 7; Sal 119,89; 147, 18; Sap 18, 14-16). Per taluni esegeti 1 ~ è in Isaia 5 5, 10-11 il migliore antecedente letterario del prologo del IV evangelo. In esso, la parola che esce dalla bocca di Dio ritorna a lui dopo aver compiuto ciò per cui era stata inviata. L'idea della Parola è qui intimamente connessa alla sua dinamicità di venuta e di efficacia. La letteratura sapienziale con la sua peculiare attenzione all'uomo, 1:onforme alla tendenza umanistica della saggezza dell'oriente, 17 tenB. REY, Créés danr le Chrirt ]érus, Paris 1966, 3940. W. ErCHRODT, Theologie des Altes Testament, I, Berlin 1950, 171; G. von RAo, Théologie de l'AT, I, Théologie des traclitions historiques d'Israel, Genève 1957' 25.3-258. 15 E. }ACOB, Théologie de l'AT, Neuchatel-Paris 1955, 104. 16 P. BorSMARD, in RB 1962, 423. 17 La saggezza dell'antico oriente (Egitto, Babilonia), non era priva di spmto religioso (H. GESE, Lehre und Wirklichkeit in den alten Weisheit, Tiibingen 1958; H. H. SCHMID, Wesen u11d Geschichte der Weirheit, Berlin 1966). Lo yahvismo ha trasformato l'umanesimo dei saggi accentuando tale componente religiosa, ma non eliminando le tendenze antropologiche, per cui è alla « persona umana » in generale che è rivolto l'interesse dei libri dei Saggi. Il differente punto cli vista della letteratura sapienziale rispetto a quella profetica, non deve condurre alla reciproca opposizione. Già in diversi scritti dei profeti (Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele) ci :sono tratti che denotano un inizio di sintesi con la dottrina dei Saggi. Il

    14

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CR!STIANO »

    77 L

    de sempre più dall'epoca post-ellenica a compenetrarsi con le tradizioni profetiche determinando un vero parallelismo tra la Parola di Dio, veduta come un essere vivente e la Sapienza divina pcrsonificata.13 Particolarmente, tale parallelismo emerge nel tema dell'essere divino che discende dal cielo sulla terra per compiervi una missione e poi tornare al suo luogo di origine. Ciò riguarda non solo la parola profetica, come abbiamo visto in Is 55, 10-11, ma anche in alcuni fondamentali passi sapienziali che richiamano da vicino il prologo giovanneo come Pr 8; Sir 24; Sap 6, 9 nei quali si accentua maggiormente la personificazione della .Sapienza rispetto a quella della Parola ed anticipano la prospettiva insieme cosmica e soteriologica della partecipazione del Logos all'attività creatrice e salvifica propria del detto passo giovanneo. Importante è la considerazione della fusione dell'orizzonte profetico e sapienziale per ciò che riguarda il ruolo mediatore della Parola-Sapienza: la Parola di Dio, infatti, nella Scrittura, evoca l'idea di una rivelazione riservata piuttosto ad Israele, mentre la Sapienza è una rivelazione diretta a tutti gli uomini. Ora, nel Prologo del IV evangelo, è la Parola stessa di Dio che, identica alla Sapienza, illumina universalmente ogni uomo. 19 L'idea originale neotestamentaria della « incarnazione della Parola » possiamo dire che è preparata da questo contesto profetico-sapienziale. Esso sottolinea non solo la tendenza personificante, anche se unicamente sotto veste letteraria, ma ancora il dinamismo della Parola-Sapienza che parte dal suo essere presso Dio, interviene nella creazione, giunge al rapporto preferenziale con l'uomo, scegliendo nel popolo di Israele la sua dimora (Sir 24, 13-17; Es 19, 5; Dt 7, 6) che il Siracide indica con l'idea dell'abitazione di Dio sotto la tenda (24,8 (due volte).10).in Non si può, infine, non tener conto delle concezioni del giudaismo rabbinico circa la Thr3rà, idealizzata e personificata, mediante la sua identificazione alla Sapienza (vedi già Sir 24 e Bar 3,9 - 4,4). 13 Vedi i paralleli: Is 55, 11 (la parola esce dalla bocca di Dio) con Sir 24, 3; Is 55, 11 con Sap 9, lOa-b. In Sap 18, 15, la Parola discende dal «trono regale» ed in 9, 1-2, Saggezza e Parola sono praticamente identificate. 19 F. M. BRAUN, La lumière du monde, RT 64 (1964), 341-363; R. SrrCQ, Lz structure littéraire du prologue de Saint Jean, in « mem. Lagrange », Paris 1940, 183-195: importante è l'accostamento cli Spicq sul parallelo Logos giovanneo e Sapienza nel Siracide specie nei passi: Sir 1, l=Gv 1, 1.2; Sir 24, 3-6=Gv 1, 3; Sir 24, 13-17=Gv 1, 11-14. 20 C'è da chiedersi perché il prologo del IV Evangelo parla cli Cristo come Logos e non come Sophia: la ragione potrebbe trovarsi nel fatto che la Sophia personificata netl'AT ha soprattutto un ruolo cosmico nella creazione; il termine 'Parola ' evoca meglio l'idea cli rivelazione. Paolo, invece mette al primo posto l'idea cl[ nuova creazione come manifestazione più eclatante dell'azione creatrice di Dio, accostando di più Cristo alla Sophia creatrice. B. REY, Créés, 39.

    772

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Ill

    Nel prologo del IV evangelo ci sono degli accostamenti tra il Logos, luce e vita degli uomini e la Thora delle concezioni rabbiniche con ·espliciti riferimenti {Gv 1,17 a).21 Così pure la concezione del Memra ( = Parola) che giuoca un importante ruolo nei Targumim, insieme con l'idea di Shekina (=Dimora) e Jekara (=Gloria) che ritornano nel IV evangelo. 22 Pur non potendo negare un certo influsso remoto dell'idea della venuta del Logos nelle concezioni della teologia vetero-testamentaria della Parola-Sapienza, è nella esperienza cristiana, testimoniata dalla Tradizione del NT e che affonda le radici nella figura storica e nell'insegnamento di Gesù, che bisogna ricercare l'ambiente prossimo in cui si sviluppa la riflessione giovannea. Specialmente domina nei Sinottici, negli Atti, l'importanza decisiva della « Parola » di Gesù ·che si impone per l'autorità stessa della sua Persona.23 Questo porta, in una cristologia esplicita, all'affermazione che Gesù stesso ed il ·suo destino ·(Mc 8, 32) è la Parola personificata. L'atteggiamento assunto dinanzi alla sua « Parola » è quindi l'atteggiamento stesso assunto dinanzi alla sua «Persona». La «personificazione» della Parola che si afferma nella teologia del NT non è che uno sviluppo esplicito della implicazione cristologica del messaggio stesso di Gesù. Non si tratta più, ormai, di un procedimento letterario e poetico: 1a personificazione della parola si compie nella sua identificazione alla Persona concreta di Gesù. Questo sviluppo di personilicazione si compie, attraverso l'utilizzazione della stessa letteratura sapienziale, da parte di Paolo e di Giovanni come noi abbiamo già veduto nella se.conda sezione del presente saggio. C. Tra i precedenti del linguaggio cristiano di « incarnazione » bisogna annoverare brevemente anche alcuni dati antropologici sulla ·concezione biblica dell'uomo. La cultura ebraica ha una nota parti·colare di concretezza che rifugge dalle astrazioni e dalla ricerca ·dell'essenza delle cose. Così ciò che essa dice dell'uomo lo esprime in maniera molto descrittiva e fenomenologica. Emerge il fatto che .l'esistenza dell'uomo, veduta profondamente legata alla terra, si presenta con caratteristiche paradossali che ne manifestano 'da un lato con i suoi valori, la fragilità esistenziale e dall'altro la sua dignità che lo eleva sopra il mondo terrestre, imparentandolo col divino. È così ·che il primo aspetto, abbastanza dominante, nell'antropologia vetePer i testi rabbinici: STRACK-BILLERBECK, II, 353-358; G. FooT MòoRE, in the First Centuries of the christian Era, Cambridge 1944, 264-269. 22M. McNAMARRA, Logos of the Fourth Gospel and Memra of the. Palestinian Targum (Ex XII, 42), ExpT 79 (1968), 115-117. 23 A. FEUILLET, Le prologue, 248-258. 21

    Judaism

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO.»

    773

    rotestamentaria è quello dell'uomo-ba.far la cui traduzione più adatta è «carne ».24 L'essere carne non riguarda, n~lla concezione biblica, una componente fisica dell'essenza dell'uomo (il corpo), quanto la sua condizione di esistenza terrestre che, nel contesto della cultura dominata dalla concretezza della realtà, designa tutto l'uomo: l'uomo non tanto ha una carne, quanto è una carne. Ora, quando nella Bibbia si parla dell'uomo-carne, contrariamente ad altre culture che pongono in rilievo anzitutto i lati negativi, si pongono in evidenza un insieme di dati che descrivono la sua condizione terrestre: l'uomo è tratto dalla terra (Gen 2, 7), anche se animato dal soffio di Dio (ivi) che lo rende , vada inteso non nel senso semplicemente slrumentale, ma secondo il principio della cooperazione.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    783

    getto salvifico del Padre (o Theos) » non intende vanificare la verità del processo storico enunciato dal pensiero progressivo dell'inno cristologico in questione 43 • 2. La venuta del Logos è proclamata ancora al v. 14a come un avvenimento (eghéneto), irrepetibile ed unico. Esso non vuol dire che il Logos si è trasformato in carne, in quanto è sempre lo stesso Logos il soggetto dell'evento (principio del realismo di identità tra Incarnato e Preesistente); ma non vuol dire neppure che il Logos si è rivestito di carne come di un vestito esterno, apparendo realmente simile all'uomo. L'affermazione dell'eghéneto esprime il realismo di una nuova condizione di esistenza del Verbo che dalla condizione di gloria presso il Padre (Gv 17, 5 . 24) entra veramente nella sfera della condizione storica dell'uomo. Qui si afferma un secondo aspetto del realismo dell'incarnazione, non meno importante del primo: esso differenzia profondamente la fede cristiana da ogni spiritualismo disincarnato e mitico. La fede cristologica non è riducibile ad una mera ed esistenziale esperienza interiore della Parola che interpella l'uomo, come un kerigma vago e disincarnato dall'oggettività storica. Contro i rischi del docetismo del tempo che già minacciava le radici della verità cristiana, la letteratura giovannea ribadisce la « realtà oggettiva » di un fatto accaduto: « Gesù Cristo venuto nella carne » (1 Gv 4, 2; 2 Gv 7). Ma non si può parlare del realismo di questo avvenimento senza comprendere il senso della espressione « nella carne». La domanda che ci si pone è perché mai il quarto evangelo che parla spesso di Gesù «uomo» (anthropos), dia preferenza al termine «carne» (sarx), sia nel prologo che nelle lettere (1 Gv 4, 2; 2 Gv 7). In realtà la « carne» non esprime solo il corpo dell'uomo, ma l'uomo intero, punto di vista unitario costante dell'antropologia giudaica, sottintesa dal prologo giovanneo. Ma appunto, l'idea dell'uomo-carne, espressa dal bafar ebraico non indica l'uomo come sostanza o essenza inalterabile, (punto di vista greco), quanto l'uomo nella sua condizione creaturale, debole e fragile (Gv 6, 63 ), legato alla terra, distante dal modo d'essere divino-celeste e spirituale, quindi immortale. Il prologo sembra riecheggiare qui l'antitesi tra la carne, come l'erba che secca, il fìore che appassisce, mentre la Parola di Dio dura per sempre (Is 40, 6-8). Il «divenire carne» del Logos esprime allora l'avvenimento di questo farsi uomo nella condizione esistenziale di debolezza e di mortalità proprio di ogni uomo terrestre. Il punto di vista di Giovanni, però, affermando che il Verbo è «divenuto 43 F'EUILLET, Le prologue, 96; SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, I, 336: nota il valore prosecutivo del kai del v. 14.

    784

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    carne », è diverso da quello di Paolo il quale sottolinea il senso peggiorativo della condizione di carne, come condizione peccatrice per cui Dio ha inviato il suo Figlio « in una carne simile a quella di peccato » {Rm 8, 3) e vede piuttosto il Cristo nella carne, come rappresentante dell'umanità adamitica. Per Giovanni, piuttosto, il Verbo di Dio che viene nella carne debole e terrestre, guida l'uomo verso quel mondo celeste di vita e di gloria (Gv 6, 62 s; 14, 6; 17, 24) a cui la carne da sola non è in grado di accedere. È possibile, in questa luce della fragilità della carne, pensare che l'evangelista veda già l'incarnazione prolungarsi nell'offerta della « carne per la vita del mondo» (6, 51 c). L'abbassamento dell'incarnazione richiamerebbe così apertamente anche la croce suo momento culminante non ponendo alcuna tensione e dualismo con l'evento pasquale. 3. Il versetto 14 b prosegue affermando che, per l'incarnazione, il Verbo ha dimorato (eskénosen) tra noi. Bisogna anzitutto notare qui la scelta significativa del verbo che evoca, almeno foneticamente, il verbo proprio con il quale l'AT esprimeva l!l presenza di Dio in mezzo al suo popolo (shakiin). È lecito pensare che l'evangelista abbia di proposito utilizzato tale verbo per evocarne la ricca significazione che esso aveva: la parola ricorda la presenza di Dio in mezzo al suo popolo durante il pellegrinaggio dell'esodo, quando Israele viveva ancora, alla maniera dei nomadi, sotto una tenda (Es 33, 7 s; 34, 5-10). Dio stesso, allora, era presente nel Tabernacolo, avvolto dalla nube luminosa, dalla gloria di Jahvè che ricolmava la tenda (Es 40, 34).44 A partire dalla esperienza dell'esodo della inabitazione di Dio in Israele, questa per i tempi messianici (Gl 4, 17. 21; Zac 2, 14) è annunciata con l'immagine, appunto, della tenda (kataskenon: Gl; kataskenoso: Zac). Particolarmente la speculazione sapienziale del Siracide parla della Sapienza, uscita dalla bocca di Dio (24, 3) che riceve dal creatore l'ordine di «posare la tenda» (ten skenén) e di « abitare (kataskénoson: drizzare la tenda) in Giacobbe» (24, 8}. Solo che nei libri sapienziali si parla di una presenza {sotto la tenda) della Sapienza « tra gli uomini», ma non si parla del Logos che dimora in mezzo a noi come vero uomo. 45 44 A partire dalla presenza di Dio sotto la tenda, in mezzo all'accampamento del suo popolo, si è evoluto poi, propdo dal termine tenda, il verbo skn che i LXX traducono con kataskenoun per evocare l'idea dell'abitazione divina in Israele (Nm 12, 5; 2 Sam 7, 6; Sal 78, 60). Il vocabolo S'kina,. del tardo giudaismo, che compare solo dopo la distruzione del tempio, sembra un sostitutivo del nome stesso di Dio esprimente la sua «presenza benigna in mezzo ai credenti» riuniti in preghiera o per lo studio della Legge (BrLLERBECK, II, 314 s.; secondo ScHNll.CKENllURG, Il Vangelo, I, 340-341 questa idea della schekina non avrebbe influito su Gv 1, 14). •S Da notare anche la differenza con Enoch Etiopico 42, 1 s., ove alla Sapienza viene assegnata una dimora nel cielo, dopo averne cercata una invano sulla

    « L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO »

    785

    Il prologo del IV evangelo, con le parole « ha dimorato tra noi >;, colloca l'evento dell'incarnazione nel quadro di una grande storia della venuta di Dio nel suo popolo e di una sua dimora tra gli uomini. In questo contesto, il divenire carne della Parola sottolinea il carattere escatologico, definitivo, di questa venuta e di questa presenza. Sta a provarlo l'uso del verbo skenozm, molto raro nel NT, ove si ritrova solo negli scritti giovannei (Gv 1, 14; Ap 7, 15; 12, 12; 13, 6; 21, 3) e sempre per indicare non una presenza provvisoria, ma definitiva, stabile, che adempie perfettamente l'alleanza. Cosl l'affermazione: «ha dimorato (eskénosen) tra noi», accanto a quella del« Verbo divenuto carne» porta alla conseguenza: l'umanità fragile e mortale che il Verbo ha fatto sua, è divenuta la skènè, cioè la tenda, il luogo stabile ed escatologico della presenza divina. Il grande tema biblico della presenza di Dio in mezzo al suo popolo (Es 25, 8; 33, 7~11; Lv 26, 12) trova qui il suo ultimo compimento, un compimentò che riguarda non solo il modo personale della presenza di Dio, che supera ogni altra presenza passata, ma anche il carattere universale di tale presenza, per tutta l'umanità. È il senso probabile del : essa è il mistero dell'essere divino e del suo piano di salvezza in quanto si rivela nella Persona e nella vita del Verbo Incarnato. 55 Così l'espressione « grazia e verità » designa nel prologo quella pienezza dell'amore gratuito ed espansivo del Padre che non conosce ostacoli e che si rivela nel Figlio Unigenito (il prediletto) in quanto storicamente incarnato. Anzi, potremmo dire,. teologicamente, l'incarnazione, epifania della grazia, è in se stessa,. nella carne (vivifìcante) del Verbo, l'offerta suprema all'uomo dell'Amore del Padre. Questa rivelazione-dono costituisce la gloria e lo splendore (doxa) di questo avvenimento. CONCLUSIONE

    Possiamo a questo punto fare un bilancio sull'idea di incarnazione evolutasi nella cristologia del NT, specialmente ad opera 53 MATEOS-BARRETO,

    Prologo:

    il disegno creatore 1, 1-18, in «Il Vangelo»,

    41 (note filologiche). 54 Il termine charis frequente negli Atti (17 volte) è usato da Gv solo tre volte nel prologo (vv. 16.17) ed assente nel resto del Vangelo e della prima lettera. Il linguaggio giovanneo di ' amore ' è legato ad ' agapan ', 'philein '. A. FE.U!LLET, Le mystère de L'amour, 13. SS J. BLANK, Das Johanneische Wahrheits-Begri/J, BZ 1963, 163-173; I. de la PoTTERIE, L'arrière fond du thème iohanniques de vérité, StEv I, 277-294; In., La verità ;,, Giova1111i, RvB 2 (1963). 3·24.

    790

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !Il

    di Giovanni. L'incarnazione proclama un avvenimento che unisce insieme il realismo dell'identità tra l'incarnato ed il preesistente nello stesso tempo che il realismo del suo divenire uomo in tutta la portata antropologica di tale essere.55a Ma proprio in questo suo «divenire » l'incarnazione biblica non annuncia una sola simbiosi metafisica dell'umano col divino, ma un avvenimento storico di proporzioni universali. La sua storicità risalta anzitutto nel suo collocamento nel cuore di una grande economia della venuta della Parola, nella creazione e nella storia salvifica, fino al suo attendamento, nella carne, tra noi. Cosi l'incarnazione porta a compimento escatologico la storia di tale venuta di Dio: l'incarnato è il « Dio-con noi ». Ma la storicità dell'evento riguarda ancora tutto l'arco della esistenza terrena di Gesù fino all'evento di pasqua ed al suo ritorno al Padre. Nell'ora del passaggio, l'incarnazione si completa e si adempie. La pasqua perciò non costituisce un polo di tensione nei confronti dell'incarnazione, veduta solo come il primo momento del farsi carne del Verbo, distinto da quello della croce e della resurrezione. Il mistero dell'ora pasquale, per Giovanni, è la consumazione della discesa del Verbo 56 e del suo passaggio o risalita nella gloria, al Padre. Tutta la vita di Gesù è, insieme, un discendere ed un risalire del Figlio dell'Uomo (Gv 3, 13 . 31; 6, 62), una venuta al mondo per il ritorno al Padre ( 13, 1; 16, 28). L'uno aspetto è inscindibile dall'altro: tale è l'intuizione profonda di U. von Balthasar che scrive: « è l'uscita stessa che è il ritorno ». L'uscita del Figlio dal Padre, nella obbedienza al Padre, è già in realtà, slancio verso il Padre e ritorno al Padre nella obbedienza stessa. Per il Cristo, uscire dal Padre, non è che porsi al punto di partenza della distanza infinita che separa la carne dallo spirito o l'uomo da Dio, per infrangere questa stessa distanza nello slancio che si compie per il « passaggio al Padre ». In altri termini, è darsi una esistenza ed uno spazio creato per realizzare nella esistenza umana il movimento eterno del

    SSa Contro la posizione di E. KiiSEMANN, Jesus Letzter Wille, per cui l'incarnazione nel IV evangelo svanisce talmente nella epifania della gloria, per cui il Rivelatore, Gesù, non sarebbe divenuto cosi terrestre come lo siamo noi, bisogna rilevare la importanza « dell'uomo Gesù che è al punto di partenza della cristologia giovannea » (J. BEHM, Die iohanneische Christologie als Abschluss der Christologie des NT, NKZ 41 (1930), 579) e che occupa in essa un posto di rilievo come tema cristologico (E. E. SIDEBOTTOM, The Christ of the Fourth Gospel in the Light o/ the First-Century Thought, London 1961, 96. Per questo tema giovanneo e la sua rilevanza nella cristologia del quarto evangelo, vedi GSC, II, 355-362. 56 «L'evento del Calvario è il punto culminante che non sarà mai sorpassato; nella linea della incarnazione, esso si situa al punto più basso della katabasis, fin .dove il Figlio Unico doveva scendere per far passare la famiglia umana nella sfera divina della luce e della vita» F. M. BRAUN, Jean le théologien, III, 219.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    791

    Figlio verso il Padre.57 L'unità tra l'incarnazione intesa come « passaggio del Verbo nella esistenza umana » ed il « passaggio del Cristo dal mondo al Padre » si concentra proprio nell'ora che per il quarto evangelo non è solo un fatto cronologicamente ultimo della vita di Gesù, ma una forza dinamica che polarizza tutta la sua esistenza rendendola già dall'inizio {Gv 2, 4), «esistenza pasquale». L'Ora, quando sopraggiunge cronologicamente non farà che attualizzare e manifestare al massimo ciò che l'esistenza dell'incarnato è stata fin dal principio, cioè sguardo diretto al Padre (Gv 5, 19), cammino verso il Padre, unione del Figlio al Padre (Gv 10, 30). Non è esatta perciò l'idea di H. van den Bussche sulla struttura di Giovanni 1-12 58 per il quale « Giovanni non pretende affatto che l'incarnazione come passaggio del Verbo divino nella esistenza umana sia l'evento capitale della storia. È piuttosto il passaggio dal mondo al Padre che è il fatto centrale. Giovanni contempla meno la Persona divina che si incarna, che l'Incarnato manifestare la sua divinità ... Riteniamo perciò la fine della vita terrestre del Cristo come l'evento decisivo della teologia giovannea ... » (ivi). Da quanto abbiamo già >, Wi.irzburg 1954, 51-80. 18 9 GRILLMECER, La /uni.ione dei concetti di carattere {ilorofico, in «Gesù il Cristo», II, 973.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    845

    tazione ». 190 Cosl Calcedonia costituisce un passo avanzato verso una maggiore esplicitazione dei contenuti di fede del mistero cristologico. Tale chiarificazione non va presa però come il risultato di un procedimento analitico che trae deduttivamente conclusioni da premesse per via di combinazione o scombinazione, alla maniera di un movimento di pensiero filosofico. Il progresso dogmatico va pensato come un nuovo atto interpretativo compiuto alla luce dello Spirito che conduce la Chiesa alla «verità tutta intera». Il linguaggio dogmatico di Calcedonia, infatti, non soggiace alle strutture linguistiche del tempo, ma rompe gli schemi del sistema linguistico chiuso del tempo e determina una sua evoluzione. Così l'identità della fede va oltre il fissismo della lettera, e mostra la coerenza permanente nella vitalità della Tradizione animata dallo Spirito. Questo ci consente di poter dire che se in rapporto al passato

    delle eresie, la formula di Calcedonia ha un valore normativo fìsso, irreformabile, per cui essa è « una fine », in rapporto al futuro cammino della Tradizione essa è « un inizio », un indice aperto al futuro.

    Essa apre la via a nuovi compiti per il pensiero cristiano spingendo a cercare nuove determinazioni concettuali e linguistiche che esprimano sempre meglio ciò che deve essere proclamato. In modo particolare ciò avviene attraverso l'indicazione che l'idea di « persona-ipostasi » va distinta dalla « natura-sostanza »: in un'epoca in cui non era ancora stata elaborata una metafisica della persona, il dogma cristologico è come un invito al pensiero dì fede allo sviluppo, fondamentale per la stessa cultura, del concetto di persona che, come vedremo, ha giuocato un ruolo decisivo sia in cristologia che in antropologia. La comprensione più chiara dell'umanità di Gesù, in fatti, richiede il superamento dell'idea predominante nei sistemi apollinaristico e monofisita di una unità come « simbiosi di nature », per orientarsi verso una reale « unità personale » (ipostatica) in cui la più intima e profonda unità tra Dio e l'uomo non infrange, ma esalta l'autonomia umana. Perciò «quanto più chiaramente la idea della unione ipostatica può essere distinta da quella di una sintesi delle nature, quanto più l'appropriazione ipostatica della umanità da parte del Logos ha per scopo proprio questa «umanità» (e non una divinizzazione naturale) tanto più la cristologia calcedonese lascia spazio al ' Gesù dei sinottici ' ovvero, ad una ' cristologia dal basso '. La natura umana o la partecipazione all'umanità da parte di Gesù

    190 W. C. H. DRIESSEN, L'interpretazione del dogma nella Chiesa antica, in "AA.VV. L'interpretazione del dogma», Brescia 1971, 179-80; Io., De Wezemge. liike van ons menren, in « God met ons », Hilversum 1958; P. SMULDERS, De ontwikkeling tJan het christologisch dogma, in Bijdr. 22 (1961), 357-424.

    846

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !II

    può essere presa veramente sul serio. Il Figlio di Dio non vuole essere che uomo con noi... la cristologia sinottica ' dal basso ' è in tensione con la cristologia giovannea ' dall'alto '. Una cristologia calcedonese portata alle sue estreme conseguenze rende possibile la sintesi del ' Gesù della storia ' del ' Cristo della fede ' » .191 10. DA CALCEDONIA AL II CONCILIO COSTANTINOPOLITANO: LA CRISTOLOGIA DEL SESTO SECOLO. Il Concilio di Calcedonia non aveva realizzato l'unità in oriente. Le opposizioni da parte dei nestoriani e dei monofisiti permanevano lasciando in minoranza i calcedoniani. L'imperatore teologo Giustiniano tendeva perciò a recuperare i molti monofisiti cercando di porre in evidenza l'accordo di Calcedonia con il linguaggio e la dottrina di Cirillo. Questa tendenza denominata « neo-calcedonianesimo » 192 disponendo ormai di una migliore semantica sul concetto di ipostasi e di natura, cercava di rifarsi ad Efeso senza abbandonare Calcedonia. Essa ha trovato il suo apice nel Concilio Costantinopolitano II del 553 riconosciuto come autorevole interpretazione di Calcedonia dai Papi (Virgilio, Pelagio ed altri) e come quinto concilio ecumenico dalla maggioranza delle chiese d'Oriente e d'Occidente. In realtà lo scopo principale di questo concilio fu di dichiarare come bisognava comprendere la definizione cristologica di Calcedonia, particolarmente per ciò che riguarda le « due nature » espressione contrastata dai monofisiti severiani, che temevano che essa favorisse la cristologia nestoriana. È cosl che da un lato il Costantinopolitano II ribadisce la condanna dell'interpretazione nestoriana (canoni 5, 6, 7), mentre il canone 8 rifiuta quella eutichiana. Ma in questo suo intento, grazie ad una chiarificazione concettuale, che porta con sé la riflessione maturata nel passare degli anni, il Concilio Costantinopolitano II fa emergere meglio la struttura ed il movimento della stessa definizione di Calcedonia. Così la dualità, nel Cristo, è un momento concettuale della considerazione del Cristo che parte dalla sua unità e vi ritorna. Se si enumerano le nature, è solo allo scopo di significare la loro differenza mantenuta nell'unione, per cui il Verbo non è cambiato in carne e viceversa; e non con l'intenzione di porle ciascuna come sussistente a parte: « si tratta di cogliere la loro differenza per la sola considerazione concettuale (tè theoria monè) ». Si enumerano pertanto per indicare solo la loro alterità, ma astraendo dalla loro esistenza concreta nel quale ordine (concreto, di sussistenza) esse non sono che Ermeneutica moderna, 99-100. Le chalcédonisme et le néo-chalcédonisme en Orient de 451 à la fin du VI siècle, in « Das Konzil », I, 637-720; J. MEYENDORFF, Calcedonesi e monofisiti, in «In., Cristologia ortodossa», Roma 1974, 41-61. 191 GRILLMEIER, 192 C. M6LLER,

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    847

    Wla sola ipostasi. Questo vuol dire anche che l'enumerazione non comporta l'addizione di due realtà equivalenti, ma solo indica una differenza-alterità che permane nell'incarnazione: così, l'umanità di Gesù, in quanto esiste concretamente non va numerata accanto alla divinità, altrimenti si giungerebbe a dividere il Cristo. La numerazione esprime solo la non-riducibilità tra l'umano ed il divino nell'unico Cristo e tale differenza numerica è solo un atto del nostro spirito (can. 7), che però trova il suo fondamento nella distinzione reale delle nature nell'unico reale soggetto esistente.193 L'importanza dell'apporto ermeneutico del Costantinopolitano II rispetto a Calcedonia sta ancora nel mostrarci la corrispondenza e quindi la verifica della sua formula dogmatica, con la Scrittura, richiamando in maniera realistica i suoi dati concreti. Ciò viene effettuato dal Concilio del 553: (a) affermando la verità della duplice generazione del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, l'altra negli ultimi giorni ... dalla santa gloriosa Madre di Dio e sempre Vergine Maria (can. 2); (b) affermando che 'unico ed identico' (éna kai tòn aut6n) è il Signore Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, che ha compiuto miracoli e che ha patito volontariamente le sofferenze nella carne (can. 3); (c) affermando con precisione l'appropriazione della passione di «uno della Trinità», per cui « il Signore Nostro Gesù Cristo che fu crocifisso nella carne, è vero Dio e Signore della gloria ed uno della Santa Trinità» (can. 10). Con questo procedimento il Concilio mostra che la « comunicazione degli idiomi (proprietà: idiotés) » non è un corollario della definizione cakedonese, ma costituisce il fondamento delle sue affermazioni dogmatiche. Esso indica come il movimento del pensiero di fede va proprio dal dato concernente la verità delle affermazioni concrete scritturistiche sulla origine del Cristo e sul realismo della passione del Logos all'affermazione della formula dogmatica che garantisce a livello, diremmo tematico, tale realismo. Il Concilio Costantinopolitano II offre inoltre un contributo esplicativo rispetto a Calcedonia attraverso il contributo di riflessione ad opera di Leonzio di Bisanzio e di Leonzio di Gerusalemme 194 193 Nel can. 8 (Mansi, IX, 375D) il Concilio Costantinopolitano II si propone di conciliare il linguaggio di Cirillo con quello di Calcedonia, con l'intento di recuperare nell'ortodossia i monofisiti severiani. Di qui il ritorno alla formula «una sola natura incarnata del Dio Verbo», ma intesa ormai secondo una semantica diversa da quella del tempo di Cirillo. Il concilio la interpreta, infatti, secondo gli sviluppi posteriori, facendo dire a Cirillo quanto dice Cakedonia. SESBOUÉ, Les sens de Constantinople II (553). La verité de l'homme dans la vérité de Dieu, in « Jésus Christ », 155-159. 194 D. STIERNON, Léonce de Byzance et Léonce de Jérusalem, in « Catholicisme », t. 7, Letouzey et Ané 1975, 383-389.

    848

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    III

    attraverso l'idea della condizione anhypostatica dell'umanità di Gesù nella persona del Verbo. Il che vuol dire che l'umanità del Cristo esiste in maniera personale (ipostatica) nell'unica persona del Verbo. Questo comporta correlativamente che il Verbo fa sussistere in lui, appropriandola a sé, l'umanità di Gesù, diventando cosl la sua propria ipostasi. Il Verbo comunica alla umanità la sua sussistenza (ipostasi-persona): ma ciò comporta ancora che la persona del Verbo, semplice, se si prescinde dalla incarnazione, diviene composta e diversa secondo ciò che è in lui. Il Concilio esprime questa idea parlando, nel canone 4, di unione del Verbo alla umanità (una carne animata di anima razionale e pensante) « secondo composizione » (katà synthesin) o « secondo sussistenza » (katà hyp6stasin): 195 in termini moderni si potrebbe dire, osserva Sesboiié, che la persona del Verbo si è autenticamente umanizzata nel suo atto di essere persona e che quindi il « soggetto ultimo » di tutte le azioni e passioni del Cristo è ormai, non più il Verbo, considerato da solo, ma il Verbo umanizzato. 196 Tale asserzione è fondamentale dal punto di vista della struttura dinamica dell'incarnazione, come vedremo. Ma la chiarificazione del Costantinopolitano II, dà anche una preziosa risposta alle obiezioni contemporanee contro la « depersonalizzazione dell'umanità di Gesù » 197 secondo il dogma. In realtà, senza dubbio si deve dire, secondo il dogma cristologico, che Gesù non è una persona umana che sia altra dalla persona del Verbo, perché in lui non ci sono due soggetti sussistenti. Ma si può dire che, in Gesù, il Verbo è divenuto, in ragione dell'incarnazione, una persona (divina) umanizzata, cioè ha vissuto in maniera autenticamente umana la sua esistenza individuale e sociale; ha vissuto il suo « essere-persona » nel modo umano del divenire, del crescere. Gesù non è stato « una sola persona divina » che si è rivestita esternamente di una livrea umana, come nascondendosi « dietro » l'umanità. L'idea di « persona composta » del Costantinopolitano II ci consente di poter affermare che è il Verbo-Incarnato il soggetto ultimo degli eventi storici della vita di Gesù; e cioè questo uomo qui: Gesù di Nazaret, un uomo (anthropos) che è Figlio di Dio veramente, ed un Dio-Figlio umanizzato che 195 Mansi, IX 375D. Vedi come il testo latino rende l'idea traducendo subito dopo: « unam eius subsistentiam compositam ». l96 SEsBoiiÉ, Jésus Christ, 163. Con le dovute distinzioni analogiche, questa idea, potrebbe essere illustrata, come Leonzio di Bisanzio e Giovanni Damasceno suggeriscono, con quella del composto umano che a suo modo è una «persona composta» in cui i principii sostanziali diversi (anima e corpo), conservando le loro distinzioni, costituiscono una sussistenza (soggetto unico). La differenza, però, sta nel fatto che la « Persona » del Logos, nell'incarnazione, preesiste. 197 P. ScHOONEl'.!llERG, Un Dio di uomini. Questioni di cristologia, Brescia 1971, 66-69.

    « L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO »

    849

    è veramente nato da Maria Vergine ed ha veramente sofferto la passione. 11. VERSO IL CONCILIO COSTANTINOPOLITANO III (680-681): GEsù CRISTO, UoMO-LIBER0. 197• Malgrado le chiarificazioni apportate dal Concilio Costantinopolitano II, molte fazioni monofisite restavano recalcitranti. 197b L'intento di recuperare tali frangie eterodosse porta nel secolo VII ad un tentativo di compromesso: pur di ottenere che esse confessassero due nature distinte in Cristo, si concedeva di concepire la natura umana assunta in una condizione di passività, mettendo l'accento sul « soggetto unico » operante e volente, «unico principio » di azione. 197c Il monofisismo minacciava di spostarsi dal piano delle nature a quello delle operazioni. Il problema si presentava anzitutto da un punto di vista piuttosto metafisico attraverso l'opera di Severo di Antiochia che credeva di poter affermare conseguenzialmente che siccome in Cristo c'è una sola persona divina, non può non esserci che un solo principio divino di attività. 197d La profonda unità 1!17a L.. DuCHESNE, L'Église au VI• siècle, Paris 1925; J. TIXERONT, Histoire des dogmes dans l'antiquité chrétiene, III, Paris 1928; F. X. MuRPHY-P. SHERWOOD, Costantinople II et III, Paris 1974; G. FERRARO, La piena umanità del Cristo nel Concilio Costantinopolitano III, in CvC 133 (1982), q. 3158, 123-135. 197b Si delineavano nell'epoca due tipi di reazioni al duofisismo di Calcedonia: una che si potrebbe considerare come ' monotelismo reale ' erede del vero monofisismo eutichiano e della corrente apollinarista, l'altra, erede del pensiero cirilliano, si muoveva con l'intento di una difesa strenua della unità ipostatica di Cristo. Le due correnti entrarono in lotta tra loro nel secolo VI mostrando la loro profonda diversità: la prima era realmente eterodossa, mentre la seconda era riconducibile nell'area della ortodossia. F. PERICOLI-RIDOLFINI, Oriente cristiano, Roma 1977, 12-19. 1!17c J. LEnoN, Le monophysisme sévérien. Étude historique, littéraire et théo· logique sµr la résistance monophysite au Concile de Chalcédoine, V, Louvain 1909, 443-466; J. JuGIE, lvfonophysisme sevérien, DTC X/2, c. 225-228; W. H. C. FREUD, The Rise of the Monophysite Movement. Chapters in the History of the Church in the Fifth and Sixth Centuries, Cambridge 1972. 1!17d Severo d'Antiochia pur ammettendo due categorie di ' opere ' nel Salvatore, sosteneva che 'unica' è nel Verbo Incarnato l'operazione, perché unico è il principio operante; unica è la volontà perché 'unico' è il volente. Ciò perché, nella linea di Cirillo, egli spingeva la sua analisi metafisica del] 'incarnazione sul 'principium quod' (secondo il successivo linguaggio scolastico) dell'operare di Cristo. GruLLMEIER, Gesù il Cristo, II, 945. L'accento sulla Persona divina come unico principio di operazione portava però inevitabilmente ad una concezione di totale passività della natura umana (principium quo). Vedi P. PARENTE, Uso e significalo del termine 0eox(v>jToç nella controversia monotelita, REB 11 (1953), 241-251. Il duofisismo era ben rilevato, invece, dal Papa Leone. Il punto morto della questione potrebbe essere superato asserendo con il Costantinopolitano II che la « persona composta» è il « principium quod operationis ». Una via di indagine storica di rivalutazione del pensiero severiano nell'area della ortodossia cirilliana è ancora aperta. Una via in questo senso viene intrapresa per Sergio di Cast. ed Onorio, dal iavoro di F. CARCIONE, Sergio di Costantinopoli ed Onorio I nella controversia monotelita del VII secolo. Alcuni chiarimenti sulla loro dottrina e sul loro ruolo nella. vicenda, Roma 1985.

    850

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Il!

    personale di Cristo, quindi, non consentiva di parlare di operazioni e

    di volontà distinte, essendo unico l'agente ed il volente: Severo si interessava più che altro all'unica attività di Cristo (monoenergetismo) ed utilizzava volentieri a questo :fine la formula proveniente dallo Pseudo-Dionigi Areopagita (V secolo): «azione teandrica». La formula, che in Dionigi non viene definita chiaramente, presentava una· certa ambiguità, che solo in seguito fu precisata. Se infatti con essa si affermava che in Cristo c'è un solo agire concreto in cui partecipano entrambe le nature (divina ed umana), allora il senso era conforme a Calcedonia. Ma non in tal senso veniva adoperata dai monofisiti: essa si utilizzava solo per dire che in Cristo c'è un solo principio divino di attività.m • Così l'umanità era svuotata dinamicamente ed assorbita dal divino. Severo concedeva solo che si può parlare di dualità o pluc ralità di operati o voleri voluti (thelémata), ma di un solo volere vo· lente (thélesis). Al seguito di Severo, Teodoro di Faran affermava que· sta unità perfetta di operazione come « attività ipostatica » (enérgheia hypostatiké). L'intento di recupero dei monofisiti attraverso formule di compromesso si manifestò nel secolo VII con l'opera dell'imperatore Eraclio che sfruttò abilmente ai fini politici gli intenti religiosi unionistici cli Sergio, vescovo di Costantinopoli e di Ciro patriarca di Alessandria (631). La que· stione si spostò allora nell'ambito più psicologico-morale a riguardo delle volontà in Cristo e qui giuocavano non poche difficoltà derivanti dalla im· perfetta analisi dell'atto libero, come l'assenza di distinzione tra «volontà volente» (boulèsis), principio di azione, che appartiene alla natura nella sua specificità e che si distingue quindi, in Cristo, secondo le nature, e la « vo· lontà voluta» (thelèma), ovvero l'oggetto del volere che certamente in Cristo non poteva essere che unico. Una tale distinzione avrebbe consentito di parlare di due volontà volenti in Cristo, non separate perché apparte· nenti ad un unico soggetto e di una unica opera voluta attraverso i due voleri: la salvezza dell'uomo. Cosl pure mancava la distinzione tra alterità e contrarietà: se si ammetteva un volere altro si pensava facilmente ad un volere contrario. In queste ambiguità si muoveva il pensiero di Sergio di Costantinopoli che in una lettera a Ciro di Alessandria (Psèphos), affermava l'esigenza di « tacere», per evitare polemiche, le espressioni 197 e Per uscire dalla ambi~ità era necessario sostenere che in Cristo c'è un solo principio (principium quod) « umano-divino » ( persona composta il Verbo inquanto incarnato) di operazione. In tal caso, infatti, ·se la natura umana non è principio adeguato di operazione, essa però partecipa, nella sua unione personale al Verbo, al suo agire, come «principio umano attivo» proprio delle operazioni umane. Parlare invece di un solo principio divino di azione si tende inevitabilmente a considerare la natura umana solo come oggetto passivo che subisce l'agire divino della Persona del Logos. In tale caso appare molto difficile far luce su dati evangelici come quello dell'agonia del Getsemani. Si deve ricorrere inevitabilmente qui ad una spiegazione che parla di contrasto solo apparente per . finalità pedagogiche.

    =

    =

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    851

    « una. sola operazione » o « due operazioni » in Cristo. Particolarmente, per lui era necessario tacere (silenzio economico) l'esistenza in Cristo di due volontà che avrebbero potuto entrare in discordia, soprattutto nel dramma della passione. Del resto appare costante, egli diceva, il fatto che la volontà dell'uomo si oppone a quella di Dio. Attraverso la negazione o il silenzio sul volere umano del Cristo, Sergio, senza volerlo si ricollegava ad un principio apollinarista che non ammetteva un potere umano di decisione in Gesù che altrimenti sarebbe opposto a quello del Verbo. Cosl veniva enunciata da Sergio la tesi fondamentale del «monotelismo» (una sola volontà divina). L'esegesi del dramma del Getsemani e della resistenza al volere divino da parte di Gesù, sarebbe per Sergio non l'espressione di una volontà umana distinta, quanto di un «movimento naturale della carne», di una sua spontanea ripugnanza. 198 Sergio mise al corrente il Papa Onorio del contenuto della sua lettera (Psèphos) a Ciro e ricevette da Onorio (634) due lettere di felicitazione con cui si approvava il silenzio economico sulla dualità della volontà di Cristo (D. 251-252: PL 471 Bs - 475 A). Onorio non si poneva da un punto di vista ontologico, ma morale: si può affermare, egli diceva, un'unica volontà in Cristo nel senso che il suo volere fa uno con quello divino. L'idea di due volontà, temeva Onorio, avrebbe potuto condurre ad un dissidio. 199 Dopo la morte di Onorio, Sergio spinse l'im-

    1!18 F. M. LÉTHEL, Le monothelisme byzantin, in« Théologie de !'Agonie du Christ. La liberté humaine du Fils de Dieu et son importance sotériologique mises en lumière par Saint Maxirne le Confesseur, Paris 1979, 24-54 (si esamina tutto il dossier monotelita). Per una ricostruzione del pensiero di Sergio: MANSI, X, c. 971-976; XI, c. 525-538. Sergio, nel suo intento di ricondurre alla unità cattolica le chiese dissidenti dell'oriente cristiano, pensava di superare l'opposizione alessandrina a Calcedonia affermando che «l'unità di operazione» in Cristo non comportava il riconoscimento di una unità di natura, ma era solo la conseguenza della unità di persona. Tale sua idea prima del 630 era tollerata e considerata come interna alla ortodossia. Fu, sembra, la posteriore lettura giacobita del pensiero di Sergio a determinare, prima una diffidenza, quindi aperta opposizione al suo pensiero. Accortosi che la sua posizione rischiava di causare uno scisma inquanto alcuni (i calcedoniani integralisti) vi vedevano .un rinnegamento del « duofisismo » egli concordò con Sofronio suo oppositore il « silenzio » sulla posizione controversa, affermando che non si doveva parlare più né di monoenergetismo né di duoenergetismo, ma, con Leone, che nell'unico Cristo ogni natura opera in comunione con l'altra ciò che le è proprio. Vedi CARCIONE, cit., 48-51. 199 « Noi non abbiamo conosciuto, scrive Onorio, attraverso le Sacre Scritture che il Nostro Signore Cristo ed il suo santo spirito (sono) una sola operazione (mia enérgheia) o due, ma abbiamo conosciuto che egli opera multiformemente» in G. KREuzER, Die Honoriusfrage in Mittelalter und in der Neuzeit, Stuttgart 1975, 42. Conseguentemente· Onorio afferma che « con fede ortodossa e con unità cattolica proclamate insieme a noi (che è) uno il Nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio vivente ... che opera in due nature le cose (che sono proprie) della divinità e dell'umanità » (KIUmZER, ivi 46). Il punto più critico, però, per lo meno per la sua ambiguità, è indubbiamente l'asserto: « confessiamo una sola volontà (en thélema) del Signore Gesù Cristo. « (KlwuzER, ivi 36-37). Essa valse ad Onorio una condanna postuma nel Cane. Costantinopolitano III. Il dossier di questo Papa giunse fino al Conc. Vaticano I.

    852

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    peratore Eraclio a pubblicare nel 638 l'editto « Ecthesis » (esposizione della fede) in cui l'imperatore interdiceva la disrnssione sul tema delle due volontà in Cristo accusando di nestorianesimo quanti le affermavano. L'Echtesis insegnava la teoria dell'unica volontà di Cristo seguendo la dottrina di Sergio e di Severo che la sosteneva sulla base della unione ipostatica (unica persona unica operazione = unica volontà). Cosi si tentava di codificare il monotelismo che affermava che il volere va attribuito a Cristo sotto l'aspetto personale. La volontà umana è perciò come assorbita da quella divina: una volontà umana non si ammette in quanto «offenderebbe la dignità del Verbo, principio egemonico, motore e arbitro dell'umanità assunta. Questa umanità non ha autonomia, ma è un organo passivo del Verbo, il quale assolve nell'Uomo-Dio il compito che l'anima assolve nel corpo di ciascun uomo ».200 Le reazioni a questa imposizione imperiale, più tardi (648) confermata dall'imperatore Costanzo II con l'editto Typus, vennero soprattutto dall'Africa e da Roma. In Africa il monaco di origine greca, Massimo Confessore, residente a Cartagine, combattè contro le affermazioni di Severo, di Sergio, contribuendo alla stesura delle formule del Concilio del Laterano del 649 convocato da Papa Martino I, che condannò solennemente l'Echtesis ed il Typus e tutta la dottrina dei monoteliti preparando l'intervento del Concilio Costantinopolitano III (680-681). Il pensiero di Massimo il Confessore parte, come il pensiero dogmatico della Chiesa antica, dai dati concreti (dal basso) della tradizìone evangelica circa una duplice attività e volontà in Cristo (Gv 1, 43; 7, 1; 17, 24; Mt 27, 34; Mc 9, 27; 7, 24; Le 22, 8; Ebr 10, 6) ove la volontà umana di Cristo si evidenzia con chiarezza ed altri in cui in modo altrettanto aperto si manifesta l'operare divino del Redentore (Gv 5, 17.19; 10, 38 ... ). Abbiamo già veduto, nella prima sezione patristica,201 come Massimo più chiaramente, rispetto agli altri Padri, sostiene la dualità dei voleri ed attività, in Cristo, in quanto connesse alla duplice natura. Cosl egli afferma che il volere è « volontà naturale » (thélesis physiké) e non « volontà personale» (thélesis hypostatiké). Questa dualità si manifesta proprio n~ll'agonia del Getsemani, in cui però appare come tale dualità non conipotta discordia o insubordinazione. Al contrario, la piena sottomissione del volere umano al Verbo esalta la sua piena libertà che si esprime nel fiat della passione. Massimo ha avuto il merito di rilevare come il volere umano del Cristo nell'agonia del Getsemani non si esprime nella sua contrapposizione al volere divino del Padre (alterità come contrarietà), ma si esprime soprattutto nella perfetta comunione, nel «supremo consenso», nell'accordo (symphuia) perfetto con il volere divino che è, anche ed insieme, di Cristo e del Padre. 202

    =

    200 P. PARENTE, Il monotelismo ed il III Concilio di Costantinopoli (680-81), in «L'io di Cristo», Brescia 1951, 79; ID., Uso e significato, 241 s; M. JuGIE, Monothélisme, DTC X/2, c. 2307-2323. 201 Per MASSIMO CONFESSORE vedi quanto abbiamo già detto nella prima sezione patristica, c. V, pp. 312-314. 202 MASSIMO CONFESSORE, Op. 6: LÉTHEL, Théologie de /'Agonie, 86-99.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    85.3

    a. La dottrina dogmatica del Costantinopolitano III. - Questa dottrina cristologica trova la sua prima ufficiale espressione nel Sinodo romano del 649 sotto il Papa Martino I che riprese il simbolo cristologico di Cakedonia aggiungendo una glossa sulle volontà del Cristo: « e come noi confessiamo le sue due nature unite senza confusione né divisione, così conformemente alle sue nature noi affermiac mo due volontà, la divina e la umana, lo stesso due operazioni naturali, la divina e la umana, per confermare perfettamente e senza omissione che lo stesso ed unico Gesù Cristo, Nostro Signore e Dio è veramente per natura Dio perfetto ed uomo perfetto - ad eccezione del solo peccato - e che così egli vuole ed opera nello stesso tempo divinamente ed umanamente la nostra salvezza ».203 Il canone 10 sottolinea « in senso proprio e vero, due volontà del medesimo ed unico Cristo Dio, unite in un pieno accordo (symphuos) ». Con tali affermazioni il concilio del Laterano del 649, in una prospettiva fondamentalmente soteriologica si preoccupa di definire il dogma della libertà umana di Cristo e cioè che « Cristo voleva umanamente la nostra salvezza; il rapporto dinamico tra il soggetto volente e l'oggetto voluto, secondo la libera volontà umana, determina nettamente l'asse maggiore delle formulazioni del 649 come asse storico. Lo studio del dibattito teologico sull'agonia non permette di dubitarne; i grandi problemi sono stati posti dal punto di vista della storia di Gesù ».204 Questa difesa· della volontà umana di Gesù costò cara a Martino I ed a Massimo Confessore che patirono la loro agonia dietro le persecuzioni imperiali. Ma la dottrina del Concilio Lateranense del 649 fu solennemente confermata nel 681 dal Concilio Costantinopolitano III che applicò alle volontà ed operazioni di Cristo i quattro avverbi di Calcedonia per ribadire la loro unità e distinzione: annunciamo in lui due naturali volontà (physikàs tbelémata), due naturali operazioni (physikàs enérgheias), senza divisione, senza mutazione, senza separazione, senza confusione ... e due naturali volontà non contrarie ... ma essendo la sua volontà umana, seguente, non resistente o· riluttante, bensì soggetta alla sua divina ed onnipotente volontà» (Mansi XI, 635 C). Il Concilio osserva che nello stesso modo in cui per l'unione personale (ipostatica) la natura umana è stata non soppressa ma conservata nel suo proprio stato, cosi la volontà umana, deificata, non è stata soppressa, ma salvaguardata. Pur affermando, quindi l'autonomia umana del volere di Cristo, il Concilio non afferma alcun parallelismo di tale agire ll1l

    Testo e can. 10 in

    LÉTHEL,

    Le dogme de la liberté humaine du Christ, in

    « Théologie », 107-108. 2tl4 LÉTHEL,

    Théologie de /'Agonie,

    109.

    854

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRJSTO -

    Il!

    umano rispetto al volere divino, bensì in soggetta ed in perfetta comunione con questo volere: « era necessario infatti che la volontà umana fosse mossa (kinetbénai) ed assoggettata alla volontà divina » (ivi). Il senso esatto di una tale affermazione çi è fornito dallo stesso testo conciliare poco avanti, nella citazione delle parole del tomo leonino: «ciascuna delle due forme agisce, con la comunione dell'altra, cioò che è proprio, operando cioè il Verbo ciò che è proprio del Verbo, ed eseguendo la carne, ciò che è proprio della carne» (ivi: D. 252). Nella salvaguardia delle alterità dei due voleri, affermata nella loro stessa « attività», respingendo la passività del volere umano (conforme alle idee monotelite), si pone però anche in · luce il principio di unità che riguarda, fondamentalmente, anzitutto l'unica persona operante (il « Verbo Incarnato »: Costantinopolitano II) e, quindi, conseguentemente l'unità dinamica affermata nella comunione delle due operazioni distinte. Il Concilio non specifica il modo con cui si opera tale comunione dinamica; 2Ds esso non adopera neppure l'espressione « azione teandrica » 205 a che per il cattivo uso che ne facevano i monoteliti era stata riprovata da Martino I (Concilio Lateranense [ 649], Can. 15). La sua preoccupazione è quella, come per gli altri concili, di salvaguardare il dato realistico della tradizione di fede apostolica testimoniata dagli evangeli. b. L'ermeneutica conciliare - È alla luce di questo dato concreto della narrazione evangelica che è possibile allora più adeguata-

    205 Se non si può ritenere conforme alla mente del Concilio ogni parallelismo delle due operazioni o volontà, non ci sembra neppure che si possa dedurre rigorosamente dalla formula che il volere umano sìa «mosso dal Verbo» secondo una sua propria egemonia operativa. Il punto di vista del Concilio suddetto resta illa affermazione, come ora diremo, della alterità dei due voleri attivi e comunicanti reciprocamente (unità dinamica) sulla base dell'unica persona del Verbo Incarnato. 2asa Riguardo al concetto di « azione teandrica » mutuato dallo Pseudo-Dionigi {V sec.) e poi ripreso e correttamente evoluto da GIOVANNI DAMASCENO, De Fide Orthodoxa (3, 19: PG 94, 1080-1081) al seguito di MASSIMO CONFESSORE, si deve considerare che esso tende a qualificare l'unione (dal punto di vista personale) delle due operazioni distinte. Azione teandrica vuol dire che le azioni umane, nel Cristo, sì compiono in comunione con il divino che è in Lui. Tale comunione procede dalla «unione ineffabile», in effetti «non è separatamente che le nature e le azìonì operano; è l'una e l'altra congiuntamente ed in comunione con l'altra che ciascuna opera ciò che le è specifico. La natura umana non effetrua umanamente ciò che le è proprio come se Cristo fosse un puro uomo. Cosl la natura divina non opera divinamente ciò che le è specifico comè se Cristo fosse unicamente Dio ... dire che il Cristo agisce secondo l'una e l'altra natura è equivalente a dire: una natura agisce in Cristo ìn comunione con l'altra. l'azione teandrica non ha altro significato che questo: essendosi Dio incarnato, l'azione umana di questo Dio è divina o deificata; essa non è estranea all'attività divina. Inversamente, l'azione divina, non è estranea all'attività umana». (GIOVANNI DAMASCENO, De Fide Orth., cit.; il sottolineato è nostro). Per sviluppare questa idea il Damasceno propone il concetto ·di azione strumentale, ma non elabora questo teologumeno.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    855

    mente interpretare il senso del dogma, che preso a se stante potrebbe condurre ad una problematica che falsa la sua vera significazione. Talora, infatti, è avvenuto che il problema delle due volontà è stato affrontato solo a livello di tensione tra divinità ed umanità « nel Cristo » e quindi di predominio del rapporto tra il volere divino ed il volere umano «nel» Cristo. La problematica del tempo portava con sé tale rischio: l'esegesi stessa della agonia del Getsemani lo poneva in luce, là ove si tendeva a vedere il dissidio della tentazione tra il volere umano ed il volere divino in Cristo. Ora, in realtà, nel dato della Scrittura, la distinzione tra le due volontà (umana e divina) non si pone immediatamente all'interno del Cristo, considerato, per cosl dire, individualmente. Nell'episodio del Vangelo predomina l'orizzonte del rapporto tra Gesù ed il Padre. Il « volere divino », appare, infatti, anzitutto, come volere del Padre èhe ha inviato il Figlio e che questi intende compiere in un atto di obbedienza e di amo1·e. Dinanzi al volere divino del Padre, risplende l'obbedienza del « volere umano » del Figlio. Così il rapporto tra le due volontà si pone, concretamente, nell'ambito del rapporto inter-personale tra Padre e Figlio-Incarnato. Senza dubbio nel dato evangelico risplende anche il volere divino del Figlio, volere identico a quello del Padre, vissuto però in relazione filiale in rapporto a lui. Ora, nell'economia di incarnazione, in cui la Persona divina del Cristo è umanizzata (Costantinopolitano II), si può dire che anche la libertà divina del Figlio è umanizzata e quindi si esprime, nella sua qualità filiale, nel modulo concreto e storico della umana obbedienza nei confronti del volere divino del Padre. La vita storica di Gesù di Nazaret ci pone dinanzi all'esercizio di questo suo volere umano che si esprime nel divenire concreto della sua vita fino al momento cruciale della croce e che appare concretamente come il volere umano del Figlio Unico del Padre. Gesù vive la relazione originaria al Padre, che lo costituisce persona filiale, nella sua storia umana, in cui la sua piena libertà umana esprime ed attualizza in tutta la sua storica esistenza e specificità umana la sua stessa libertà divina filiale. Cosl, diremmo, il V angelo ci pone dinanzi al mistero della indissociabile comunione ed unità dell'agire umano-divino dell'Unico Figlio, incarnato. È quanto il dogma intende dire. Esso però ribadisce la distinzione delle due operazioni e delle due volontà nell'unico soggetto operante. Questa distinzione indispensabile, emerge nel dato storico evangelico, non in modo diretto, ma indirettamente 206

    206 W. PANNEBERG, Esquisse d'une cbristologie, Paris 1971, 428-433. Il volere umano del Cristo non appare, infatti, nel dato evangelico, come volontà volente soggetta al volere divino del Figlio, ma a quello del Padre.

    856

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    II!

    soprattutto nella relazione interpersonale tra Gesù ed il Padre, relazione che mostra da un lato la più profonda unità di intenti (volontà voluta) e di volontà volenti. È così che nel vangelo il Figlio vuole esattamente ciò che il Padre vuole e non desidera se non di fare la sua volontà: il Figlio « non può far nulla da se stesso » (Gv 5, 30 a), non cerca la sua volontà (ivi), ma la volontà di colui che l'ha mandato (ivi: cfr. 6, 38). Sotto questo aspetto appare la divinità del suo volere che ha in comunione col Padre. E pur tuttavia il Figlio ha una volontà personalmente distinta che si manifesta, pienamente, proprio sul piano umano dell'obbedienza: in questo, la volontà divina del Figlio che è lo stesso volere divino del Padre, che egli riceve come suo, dal Padre,w è vissuta dallo stesso Figlio, sul piano dell'incarnazione, come volontà umana soggetta in tutto al Padre, anche se talora l'accento prettamente umano di tale volontà emerge cçme tensione, resistenza, nel dramma della passione: come nell'agonia del Getsemani. Questo mistero della unità e della distinzione delle due volontà, nell'unico soggetto volente che è il Cristo, per essere rettamente compreso secondo l'affermazione del dogma Costantinopolitano III, deve essere distinto dalla considerazione del punto di vista moderno della libertà. La volontà volente, secondo il dogma del detto Concilio, appartiene all'ordine della natura (physiké thélesis) e perciò, in tale ordine umano, va distinta dal volere divino. Ma il punto di vista moderno-contemporaneo della libertà si pone da parte della persona. Spostando la questione sul piano della libertà si deve dire allora che Gesù non ha una libertà umana distinta da quella della libertà divina, ma che ha una libertà autenticamente e perfettamente umana in quanto essa è umanizzazione della sua libertà filiale: « per la sua incarnazione il Figlio ha posto la sua unica libertà personale in una natura umana. La sua libertà divina si è dunque posta come libertà umana «in condizione di servitore» (Fil 2, 7). Essa si è sot· tomessa al modo di esercizio proprio alla libertà umana che è il libero arbitrio, facoltà di determinarsi per· una serie di scelte temporali e di porre attraverso queste il suo essere-libero. Ciò facendo, il Verbo assume la condizione umana di dover realizzarsi in un divenire storico e di dover giuocare il suo destino in un avvenire in· cognito. Egli si mette in situazione di dipendenza dinanzi al Padre. zrn Acutamente TOMMASO D'AQUINO: « forse non è identica la volontà de' Padre e del Figlio? Ma si deve dire che certamente è identica la volontà di entrambi Il Padre, però, non ha da altri il volere, il Figlio inveçe lo ha da un altro, cioè i Padre. Cosl dunque, il Figlio adempie la sua volontà come altrui cioè ricevendola di un altro; il Padre invece come sua, cioè non ricevendola da un altro ... » in Supei Ev. Jo. 5, 30; I. 5 n. 798; M. BoRDONI, Il Tempo, 126-127.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    857

    agli altri, al mondo ed accetta di esercitare la sua azione di liberazione universale assoggettandosi alla servitù di una umanità particolare e limitata ». 208 Insomma, il Figlio accetta di dover divenire, nella sùa umanità storica, ciò che egli è da tutta l'eternità. B. ·La maternità di Maria nell'evento cristologico della incarnazione.

    Il pensiero di fede, nel suo movimento di comprensione dello evento del Cristo, coinvolge la fìgura di Maria. Le tappe di sviluppo di questo cammino di comprensione, come abbiamo visto, si snodano a partire dall'evento pasquale, centro della salvezza per proiettarsi da un lato verso l'annuncio parusiaco, dall'altro verso la preesistenza (l'origine eterna) e l'incarnazione (l'origine temporale) del mistero di Cristo. Il discorso di fede su Maria segue questo stesso cammino: anch'esso parte dalla prospettiva soteriologica. La teologia giovannea la colloca, come la Donna Madre, nel cuore del mistero della croce. 209 A partire dalla esperienza del ruolo di Maria nell'evento pasquale, come Colei che impersona la Chiesa, che nasce dalla croce, nella sua funzione materna (Gv 19, 25-27), il pensiero cristiano ha compreso anche il ruolo di Maria già nello stesso evento della incarnazione (Mt 1, 18-20; Le 1, 28-38). 210 Il ruolo di Maria nei confronti di Cristo si delinea, nella tradizione biblica, in un orizzonte ecclesiologico, per cui essa è come « vertice personale » dell'antico popolo dell'alleanza nella sua funzione di partorire il messia sia :fisicamente che spiritualmente nella fede. Ora, il cammino della tradizione post-biblica segue, possiamo dire, la traccia del NT: è vero, come noi abbiamo potuto constatare, che il pensiero patristico non ha effettuato la sintesi tra la maternità della Chiesa, nata dalla croce (sangue ed acqua) ed il ruolo di Maria Madre dei credenti (Gv 19, 25-27). Esso però, effettua, fin dal principio della sua riflessione teologica l'accostamento del mistero della maternità di Maria e della Chiesa a Cristo attraverso la figura tipologica della prima Eva, alla quale l'una e l'altra si richiamano. Da questo punto di vista nel II secolo sia Giustino che Ireneo aprono il discorso teologico sulla maternità di Maria incominciandolo dal suo agire personale di «fede» alla Parola di Dio, per cui, tale atto di fede, acquista un valore universale: non solo genera il Verbo (nel cuore, prima che nel corpo), ma diviene causa di salvezza per l'intero genere umano. A questo punto di vista strutturale si aggiun-

    2Al9

    SEsBoiiÉ, Jésus Christ, 177-178. Vedi GSC, II; 501-508 sulla esegesi di Gv 19, 25-27.

    210

    GSC, II, 37-53: le origini della esistenza storica di Gesù.

    208

    858

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Il!

    ge, sempre dal principio della riflessione patristica un altro punto di vista strutturale che riguarda il carattere di tipologia ecclesiologica della maternità personale di Maria. Il discorso mariologico, cioè, è strutturalmente ecclesiologico: la Chiesa è veduta alla luce di Maria e viceversa, specialmente per ciò che riguarda la sua « maternità »: il grembo di Maria è cosl il grembo della Chiesa che rigenera gli uomini a Dio (Ireneo). In questo primo periodo patristico che trova il suo culmine in Agostino si parla della maternità di Maria per esprimere qualcosa di quella della Chiesa e quindi più che ad un culto mariano, la riflessione di fede sboccia negli inni alla Chiesa. 211 In un secondo momento, il pensiero teologico patristico, si potrebbe dire, compie «una svolta individuale»: la Vergine Maria da tipo teologico della Chiesa viene considerata nella sua santa individualità e ciò soprattutto nella sua fondamentale relazione alla « persona » di Cristo-Dio (discorso mariologico « cristotipico ») attraverso la sua qualifica di « Madre di Dio » (T heot6kos). È da notare che il riferimento alla funzione materna di Maria rispetto a Cristo non era assente già dal secondo secolo, ma l'accento del discorso non era portato, come è avvenuto specie nel IV /V secolo sulla qualità di « Genitrice di Dio ». Il primo accenno in una tale direzione si noterebbe già verso la metà del terzo secolo con Origene, secondo la testimonianza di Socrate (Hist. Eccl. VII, 32: PG 68, 812), nel suo commento alla lettera ai Romani. Però nella traduzione latina di tale opera non si trova traccia di un tale uso che invece si affaccia sul piano devozionale nell'antica preghiera « sub tuum praesidium », la più antica preghiera alla «Madre di Dio » (II-III secolo) .212. È dal IV secolo che l'attribuzione del titolo si fa sempre più frequente e comune e risuona nelle opere dei grandi nomi della patristica come Atanasio (Contra Ar. 3, 29, 33: PG 26, 349, 385, 393), Ilario (in Ps 131, 8: PL 9, 733), Cirillo di Gerusalemme (Cath. 19: PG 33, 685). Esso trova una sua aperta affermazione nel simbolo del sinodo di Antiochia (324/25) in cui si confessa che « questo Figlio, il Dio Logos, nacque anche nella carne dalla Madre 211 A. MiiLLER, Ecclesia Maria, 201-203 per le testimonianze patristiche. Io., La posizione e la cooperazione di Maria nell'evento Cristo, in MySa VI, 495-634; ID., Discorso di fede sulla Madre di Gesù. Un tentativo di mariologia in prospettiva contemporanea, Brescia 1983, 67-70; per l'aspetto dogmatico A. Poos, La « Theot6kos » ad Efeso, Ca/cedonia e nel Vaticano II, Roma 1981. S. MEo, Madre di Dio (Dogma, storia e teologia), in NDM (1985), 812-825. 212 È la preghiera contenuta in un papiro egiziano che risale alla Chiesa d'Egitto del 3 secolo: «La più antica preghiera alla Madre di Dio», in Mar 3 (1941), 97-101; I. CECCHETTI, Sub lu11m praesidium, EnCt XI, Città del Vaticano 1953, c. 1468-72; G. GIAMBERARDINI, Il sub tuum praesidium e il titolo Theotokos nella tradizione egi;:iana, Mar. 31 (1969), 324-362; J. LERIT, Marie dans la liturgie de Byzance, Paris 1976, 138-166 (La divine maternité).

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    859

    di Dio Maria e assuse un corpo e soffrl e morì e risuscitò dai morti e venne assunto in cielo ».213 Ma soprattutto nell'area della patristica orientale del quinto secolo il titolo diviene un punto ~evralgico del dibattito crìstologico. Insieme all'affermazione del «Dio sofferente» (Deus passus), quello di «Maria, Madre di Dio» (Theot6kos) erano elementi· del kerigma, confessato comunemente dalla Chiesa conformemente alla tradizione apostolica. La fede nell'incarnazione era congiunta alla parola chiave Theotokos, che Nestorio, come abbiamo visto, negava a motivo . del cattivo uso che gli ariani e gli apollinaristi facevano del titolo in questione, cercando i primi, di attaccare, in questo modo, la divinità stessa di Cristo. 214 Di qui la sua accezione del termine «Madre dell'uomo» (anthropot6kos) o di «Madre di Cristo» (christot6kos). L'affermazione dogmatica del titolo mariano di « Madre di Dio » si congiunge fondamentalmente, nel pensiero cristologico di questo secolo al principio dogmatico della « comunicazione degli idiomi » difeso strenuamente da Cirillo Alessandrino e che trovava, come enunciato, il suo fondamento già nella tradizione primitiva di Nicea secondo cui «unico» (éna) è il Signore Gesù Cristo, nato dal Padre e che per la nostra salvezza si è incarnato e fatto uomo. Calcedonia ribadendo il principio di unità personale mette a confronto più apertamente le due nascite secondo la duplice natura: « prima dei secoli, generato dal Padre secondo la divinità (v. 12), negli ultimi giorni, per noi e per la nostra salvezza generato da Maria Vergine, Genitrice di Dio (Theot6kos) secondo l'umanità (vv. 13-15) ». La formula di Calcedonia che noi abbiamo già analizzato e che nella sua prima parte (vv. 1-16) riprende la formula unionis in base alla lettera Laetentur di Cirillo a Giovanni di Antiochia, ci offre le dimensioni essenziali del concetto dogmatico della « maternità divina» di Maria secondo quelle accentuazioni che sono proprie del pensiero di fede della Chiesa antica nel IV-V secolo e che viene ribadito ancora nelle affermazioni dogmatiche del VI secolo (Costantinopolitano II: can. 2.6; Mansi, IX, 375 Ds) e del VII (Costantinopolitano III, Mansi, XI, 635 Cs). Tali dimensioni definiscono il ruolo materno di Maria nell'ambito strettamente cristologico ponendo la sua persona in riferimento di reale maternità, secondo la carne, alla persona del Cristo. Il punto di vista di tale relazione tocca un terreno, diremmo, ontologico; esso ha la sua prospettiva cen-

    Testo in GRJLLMEIER, Gesù il Cristo, I, 516. Vedi sopra n. 135: negando un'anima umana a Cristo, gli ariani davano un significato particolare al titolo di theotokos come coinvolgimento del Logos nella realtà della carne. 213 214

    860

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    III

    trata, infatti, nell'unità reale, personale del Cristo, « uno ed identico Figlio di Dio ». Il realismo e la verità della «maternità di Maria» è veduta infatti fondata immediatamente su questa convinzione di fede che ella è Madre dell'unico ed identico Figlio del Padre. Si tratta, quindi, di un rapporto singolare di persona-Madre alla personaCristo, visto che la maternità, proprio dogmaticamente non è veduta solo un fatto biologico-fisico, altrimenti a Maria spetterebbe il titolo di Madre dell'uomo (anthropot6kos) o della sola realtà umana. Il realismo però, di questo rapporto inter-personale materno è fondato ontologicamente, secondo la formula dogmatica, sul « secondo l'umanità», per cui potremmo dire sviluppando il linguaggio del Costantinopolitano II che Maria è la Madre del Logos divino in quanto « in lei si umanizza ». È in questo generare nella carne il Verbo che la fa entrare in relazione interpersonale con lui. È importante qui notare, come l'affermazione mariologica accompagni il movimento cristologico dei concili della Chiesa antica. Questa, come abbiamo già mostrato, a Nicea aveva seguito, per cosl dire, un movimento cristologico dal basso verso l'alto in modo ascensionale, rispondendo alla domanda: come il Gesù di Nazaret, degli evangeli, fosse il Figlio di Dio, consostanziale al Padre, dall'eternità. In questo movimento ascensionale la figura di Maria, Madre di Gesù (Gv 2, 1.3) che la prima riflessione patristica aveva visto soprattutto come Nuova-Eva, principio di salvezza per .la sua obbedienza nell'annunciazione (Le 1, 38), si arricchisce sempre più nella coscienza di fede della cristianità, di questa dimensione divina della sua maternità in relazione alla unica persona trascendente del Figlio, generato eternamente dal Padre. È proprio partendo dal terreno di questa convinzione derivante dal culto a Maria, Madre di Dio e dalle affermazioni della patristica del IV-V secolo, che la cristologia stessa dogmatica completa, per così dire, il proprio movimento con un processo discendente come ad Efeso, Calcedonia e Costantinopoli II con cui si risponde al come il Figlio eterno di Dio è divenuto Gesù, nascendo da dolUla (Gal 4, 4) nella pienezza dei tempi. L'affermazione dogmatica di Maria Madre di Dio si trova, quindi, come al centro di questo movimento dal basso e dall'alto della cristologia stessa. Situato in questo contesto dinamico del pensiero di fede il dogma mariologico, integrato nella cristologia, si colloca anche in un orizzonte, insieme, soteriologico ed escatologico. L'evento della incarnazione, veduto come nascita da Maria Vergine, Madre di Dio, è collocato nell'orizzonte della salvezza (per noi e per la nostra salvezza) e come l'accadimento decisivo degli ultimi giorni. L'asserto mariologico diviene così correlativo a quello cristologico: la maternità

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSlERO CRISTJANO »

    861

    divina di Maria partecipa ontologicamente alla realizzazione definitiva del piano di salvezza di Dio, perché « se il Verbo non si è incarnato, l'uomo non è salvato ». Questo asserto del noto principio dello scambio si muove in una visione dell'incarnazione-evento che soprattutto nella patristica dei primi secoli comporta il « divenire carne » attraverso il passaggio in tutto l'arco dell'esistenza umana che va dalla nascita alla morte e resurrezione. La pasqua è così il punto decisivo in cui la portata soteriologica dell'incarnazione si adempie ed in essa l'opera di salvezza nei tempi escatologici. Una volta che si mantiene questo orizzonte di fondo, la maternità divina di Maria, oltre ad essere asserto ontologico, può evidenziare meglio il carattere permanente di funzione soteriologica, in comunione all'evento Cristo in riferimento alla Chiesa ed al Calvario. Il dogma della Chiesa antica, non dimentica tale prospettiva soteriologicoescatologica, come abbiamo detto, però essa non occupa il primo piano. Nelle esigenze del momento ciò che preoccupava la Chiesa del IV-V secolo era l'affermazione della unità del Cristo e del realismo dell'incarna~ione che salvaguardavano il valore soteriologico dello evento. Il ruolo della maternità di Maria resta perciò ristretto più propriamente a questo ambito. Per esso si deve fare la stessa considerazione già fatta per il dogma cristologico; gli asserti di EfesoCakedonia-Costantinopoli II da un lato respingevano in modo categorico le negazioni eretiche che dividevano il Cristo e declassavano a realtà solo umana la sua generazione secondo la carne da Maria Vergine, dall'altro non avendo una pretesa dottrinale esaustiva, lasciavano aperto al cammino del pensiero di fede l'integrazione dell'idea della fecondità nel contesto ecclesiologico come è avvenuto soprattutto, vedremo, nel periodo più recente, culminante nella dottrina mariologica del Vaticano II. Prima di giungere a questa meta in cui il suo valore cristologico e soteriologico s'innestano nell'orizzonte ecclesiologico, come nella prima patristica, la maternità divina di Maria è divenuta nei secoli posteriori a Calcedonia, sempre di più al fondamento della crescita della mariologia in una prospettiva individuale per cui in Maria si celebrano, sempre di più, privilegi di grazia del tutto singolari e la stessa figura di Maria tende, come abbiamo veduto, a raggiungere le altezze della sua condizione gloriosa in cui essa è venerata ed invocata come Madre di tutti i credenti.215 Questo processo di elevazione che a partire « dal basso », dalla figura evangelica della Madre di Gesù, vista come Nuova-Eva, nel mistero dell'annunciazione, si definisce, individualmente considerata, in rapporto al Cristo-Logos eterno, come Madre di Dio, 215 Per lo sviluppo delle idee mariologiche nel Medioevo vedi sopra c. V, pp . .380-.382.

    862

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    tende sempre più « verso l'alto », porta a trasfigurare la figura di Maria che nell'Alto Medioevo evidenzia più apertamente l'aspetto spirituale della sua maternità proclamata ai piedi della croce ed esercitata come mediatrice, corredentrice, interceditrice. C.

    L'evento della incarnazione e la sua funzione salvifica universale nell'intera umanità.

    Abbiamo veduto introduttivamente a questo paragrafo sugli sviluppi post-biblici della concezione cristiana dell'incarnazione nel pensiero patristico, come uno dei problemi ermeneutici dibattuti è la portata universale dell'incarnazione, per cui la venuta del Verbo nella carne determinerebbe, immediatamente, una ripercussione nella totalità dell'umanità, in forza del vincolo di solidarietà, anteriormente alla stessa costituzione del Corpo Mistico. In questo caso, esso verrebbe a costituire, da un punto di vista più ontologicostatico, come un secondo polo accanto alla soteriologia pasquale. Ora, noi abbiamo già mostrato ampiamente, nella prima sezione del presente saggio, quanto sia centrale nella cristologia patristica l'evento soteriologico della pasqua ed in questa terza sezione, come l'incarnazione sia veduta come « evento salvifico » conglobante tutta l'esistenza storica di Gesù di Nazaret, per cui la· pasqua è il momento culminante dell'economia di incarnazione, intesa come katabasir, discesa del V erba fino alla derelizione suprema della croce e come anastasis, elevamento fino alla gloria della resurrezione. Nonostante le accentuazioni strutturali dei secoli posteriori tendenti a definire meglio certe dimensioni necessarie che salvaguardano proprio il valore soteriologico dell'evento stesso, l'orizzonte pasquale, possiamo dire, non si offusca mai nella prospettiva del pensiero patristico in cui l'incarnazione è redentrice non come solo fatto ontologico di assunzione della umanità di Gesù, ma nel senso inclusivo, per cui tale assunzione comprende tale umanità concreta, . storicamente vivente ed obbediente fino alla morte ed alla resurrezione. In questo processo però il pensiero dei Padri vede l'avvenimento anche su di uno sfondo universale storico, per cui la venuta del Verbo nella carne apre un'era dì salvezza che porta a compimento il piano divino della venuta del Logos nella umanità. L'incarnazione determina, cosl, il passaggio ai « giorni ultimi » e questa svolta storica ha inevitabilmente una ripercussione sull'intero genere umano. Ireneo è testimone di questa grande visione ricapitolativa in cui l'influsso del Verbo nella storia incomincia con la storia stessa, « restando sempre accanto alla sua creatura» (AH, IV, 6, 2) ed eser-

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    863

    citando la sua opera non solo in quelli che hanno creduto in lui a partire da Tiberio Cesare, « ma assolutamente per tutti gli uomini che fin dall'inizio, secondo la loro capacità e nella loro epoca, hanno temuto ed amato Dio ... hanno desiderato vedere Cristo» (AH, IV, 22, 2).116 L'evento dell'incarnazione, però, introduce «ogni novità portando se stesso» (IV, 34, 1). Con ciò il Verbo compie un'opera ricapitolativa secondo il pensiero di Paolo (Ef 1, 9-10). Ireneo sviluppa tale idea paolina mostrando come con la sua venuta, il Verbo incarnato riprende in sé tutta « la carne presa dalla terra » (III, 22, 2), tutto l'universo, «tutta la lunga storia degli uomini» (III, 18, 1). Cosl «la carne giusta ha riconciliato la carne schiava del peccato e l'ha ricondotta ali' amicizia di Dio » (V, 14, 2) . Questo evento ricapitolativo universale dell'incarnazione non si compie però come un fatto automatico: esso comporta da un lato un processo di penetrazione nella condizione storica di ogni uomo, passando « attraverso ogni età », « santificando » cosl ogni età (III, 18, 7; II, 22, 4). Il che mostra come Ireneo concepisca l'incarnazione come evento intrinsecamente storico. Ma soprattutto dall'altro lato egli vede il Cristo come Colui che per la sua obbedienza, nella carne, opera la ricapitolazione redentrice: è « grazie alla sua obbedienza sul legno che egli ha fatto la ricapitolazione della disobbedienza che era stata compiuta per mezzo del legno» (V, 19, I; Epid. 34). Da questo ed altri passi in cui Ireneo unisce insieme incarnazione ed obbedienza della croce 217 appare come la sua visione universale dell'evento dell'incarnazione non lascia in secondo piano il valore redentivo, ma questo valore è parte integrante del!' avvenimento stesso il quale ricapitola la storia universale dell'umanità proprio nella obbedienza culminante nel Calvario. Questa prospettiva soteriologica universale dell'incarnazione si congiunge nel pensiero di Ireneo, nel quadro generale dell'economia unitaria della salvezza con il tema del Cristo, come Figlio e Logos preesistente che insieme allo Spirito costituisce « le mani » del Dio creatore (AH, IV, 7, 4; IV; pref. 4). L'incarnazione s'innesta così anche nel quadro creativo, mentre si esalta anche il ruolo dello Spirito che ha avuto un importante compito profetico, fin dall'inizio, raggiungendo tutti gli uomini (ivi, IV, 33, 7; 33, 1) e si è manifestato particolarmente nell'unzione

    2!& A. Houss1AU, Présence humaine et préJence continue du Verbe, in « La Christologie de Saint lrénée », 104-128; G. PETERS, L'economia realizzata della ricapitolazione, in «I Padri della Chiesa. I: dalle origini al Concilio di Nicea (325) », Roma 1984, 320 s. 217 G. AULÉN, Le triompbe du Cbrist, cit., tutto il secondo capitolo dedicato ad Ireneo, pp. 34-49. PETERS, ivi 328·330.

    864

    GESÙ DI NAZAR.ET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    del Cristo, 218 in cui si potrebbe dire che si concentrano i carismi dell'umanità. L'evento della incarnazione, cosi, compendia in sé la storia universale dell'umanità e la risolve, ma anche congiunge questa storia con quella della Chiesa, comunità dei tempi escatologici in cui si compendia l'umanità salvata dall'opera del Verbo Incarnato per il suo Spirito. Altro importante testimone del tema universalistico della incarnazione è Atanasio. Il suo pensiero cristologico-antropologico è stato oggetto di molta attenzione su questo tema. È noto come Atanasio metta l'accento sulla unità di Adamo con la sua discendenza, per cui il genere umano, creato secondo l'immagine, è nato come unità (2 Contr. Ar. 48: PG 26, 249 C). Ora, l'incarnazione del Logos che influsso ha avuto su questa unità? Ci sono degli uomini, nella storia umana che restano esteriori al Verbo, che non sono toccati dalla sua venuta nella carne, né sfiorati dalla sua opera di ricreazione? Atanasio afferma di frequente che l'opera di Cristo si è realizzata per tutti e che tutti sono rinnovati da lui quando il Verbo è divenuto uomo, tutto è giunto con lui alla perfezione (2 Contr. Ar.: PG 289 B). L'incarnazione è una liberazione di tutta l'umanità per il Verbo (2 Contr. Ar. 14: PG 176 C), il potere vittorioso di Cristo si estende a tutti gli uomini (1 Contr. Ar. 51: PG 117 C-120 A). Queste affermazioni, anzitutto, non devono essere intese nel senso che per l'incarnazione la salvezza si operi « meccanicamente » in ogni uomo. Atanasio non insegna una salvezza, di fatto, generale: il fatto che egli ritenga che nei diversi momenti della vita di Cristo (battesimo, morte, ascensione) 219 tutti erano rappresentati ed incorporati in lui, non significa che essi partecipavano ai frutti di tale opera. E pur, tuttavia, la situazione dell'umanità, anche dei non-credenti, dopo la venuta di Cristo, è divenuta diversa da quella anteriore all'incarnazione. La questione va, allora, più attentamente posta, chiedendosi se Atanasio abbia considerato l'incarnazione del Verbo come un avvenimento collettivo e come il Cristo, uomo individuale, abbia potuto rappresentare tutti gli uomini, sì che tutti eravamo, nella sua vita; presenti in lui. Secondo Gross, la visione di Atanasio sulla natura umana concreta, sarebbe analoga all'idea « dell'uomo specifico » (ghenik6s anthropos) di Filone. Nell'uomo-specie sarebbero prese~ti tutti gli uomini individuali, compreso Cristo. Ora, il Verbo, assumendo la natura umana come grandezza collettiva, che comprende 21s Per il tema della cristologia e pneumatologia nei Padri vedi sopra c. V, 314-328. 219 Documentazione dei passi atanasiani: RoLDANUS, Le Christ et l'Homme dans la théologie d'Athanase d'Alexandrie, cit. 154, n. 3-4; 148, n. l; 173-174; 188.

    « L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO »

    865

    tutto il genere umano avrebbe, in qualche modo, assunto tutto l'umanità.220 Diversa è la posizione di Bouyer: anch'egli conviene con l'idea dell'incarnazione come avvenimento collettivo secondo Atanasio: « poiché è la nostra umanità, veramente la nostra, noi stessi, e non solo una umanità simile alla nostra ... che il Verbo ha preso in Gesù ».221 Però secondo Bouyer non si tratta di tutta l'umanità specifica, ma « della Chiesa», della umanità nuova che Cristo costituisce come suo Corpo. Insomma, sono i cristiani, che costituiscono l'umanità precontenuta in Cristo. Non si tratta, tuttavia, anche per Bouyer, di una salvezza meccanica. Cosl come nel primo Adamo tutti erano contenuti e come partecipi della prima colpa, ma di fatto divengono peccatori per la loro nascita carnale, nella vecchia umanità, così tutti (i credenti) sono salvi in Cristo (nel battesimo). · L'accento messo troppo sulla dimensione collettiva della natura umana non sembra però rispettare molto alcuni dati del pensiero atanasiano come rileva Galtier e Roldanus. Tali dati riguardano l'affermazione della singolarità dell'incarnazione per cui Cristo non è uno, ma il rappresentante; non solamente il fratello, ma il Capo degli uomini: >, Roma 1965, 3-91; ID., Teologia dell'incarnazione, ivi, 93-121; Io., La

    cristologia nel quadro di una concezione evolutiva del mondo, ivi, 123-197; per W. e ]. MoLTMANN, rimandiamo al nostro GSC, I, 120-125; E. SCHILLE·

    PANNENBERG

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    91i

    carnazione nel quadro di una «concezione evolutiva del mondo », 45 determinando così non solo una più profonda connessione tra riffossione teologica e precomprensione moderna della realtà, ma recuperando altresì il valore profondamente storico universale dell'incarnazione come evento, propria della stessa tradizione di fede. Su questi dati di riflessione torneremo nel prossimo capitolo sistematico. Per ora è importante notare come l'influsso della comprensione del mondo propria dell'epoca moderna ha non solo influito in un ripensamento dell'evento della incarnazione nel quadro della struttura storica dell'universo, ma anche nella sua intrinseca storicità evolutiva attraverso una concezione più dinamica della sua stessa realtà ontologico-personale e della sua stessa realtà psicologica. Un tentativo di mediare le esigenze storico-universali della incarnazione con l'intrinseca storicità dell'evento, lo si ritrova nella riflessione teologica di K. RAHNER 46 il quale ha cercato di superare il rischio di una permanenza della riflessione teologica contemporanea sul mistero della incarnazione nell'ambito della soggettività trascendentale dell'uomo. In una concezione della storia come storia di salvezza in cui si opera un movimento di crescita della realtà ad opera dell'uomo ed in cui si esprime il senso della sua umanità nella prospettiva del futuro, l'incarnazione appare come il momento culminante, il caso supremo della realizzazione dell'uomo, « realizzazione che consiste nel fatto che l'uomo è, donando completamente se stesso ».47 È in questo dono che l'uomo raggiunge la sua più perfetta autonomia in Cristo proprio per la sua massima apertura al mistero di Dio.43 L'apertura illimitata dell'uomo verso l'essere è per Rahner la ragione stessa per cui non solo nella storia si registra il movimento dell'uomo verso il mistero di Dio, ma anche quello, libero, del Dio-Verba (Dio inquanto si autorivela e si autocomunica) verso l'uomo. Così l'incarnazione esprime anche, nella

    L'idée anthropologique d' « incarnation >>: un sens plus vi/ de la condition bumaine, in Io., « Approches théologiques, I, révélation et théologie », Paris 1965, 359-373; A. HuLSBOSCH, Storia della creazione e storia della salvezza. Creazione, peccato e redenzione in una prospettiva evoluzionistica del mondo, Firenze 1967, 37 s; P. SCHOONENBERG, Il mondo di Dio in evoluzione, Brescia 1968, 140-149; ID., Un Dio di uomini,· questioni di Cristologia, Brescia 1971, 118-136; J. B. METZ, Mondanhzazione del mondo come 'ripresentazione ' storico-concreta del mistero della incarnazione, in « Sulla teologia del mondo», Brescia 1968, 29-36. 45 RAHNER, Cristologia nel quadro, 123-130. 46 Per queste riflessioni di K. Rahner rimandiamo al nostro GSC, I, 125-126; 198-201. 47 RAHNER, Teologia dell'incarnazione, 101-102.

    DEECKX,

    48

    Ivi, 116.

    912

    · GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    storia, il dinamismo del divenire di Dio. « Il Logos assume senza variazioni ciò che come realtà creata ha un divenire pur essendo assunto; ogni divenire ed ogni storia e la sua pena sono al di qua dell'abisso che divide il Dio immutabile e necessario ed il mondo mutevole e contingente ».49 L'incarnazione nella sua realtà di evento dinamico ha la sua possibilità, quindi, nella apertura illimitata dell'uomo e nella possibilità di Dio di divenire mutabile nell'altro, ovvero, di potersi liberamente estraniare e donare ponendo l'altro nella sua realtà propria.50 In questa duplice possibilità sta la radice ultima, antica, della incarnazione di Dio come evento. storico evolutivo in cui Dio permanendo nella sua identità si coinvolge nel divenire temporale. Questa identità nel processo evolutivo si manifesta all'interno del mistero stesso della incarnazione nel rapporto che Rahner pone, in Cristo, tra ontologia-coscienza e progresso nel sapere. Rahner connette l'aspetto soggettivo della coscienza umana in Cristo con la sfera ontologica della persona incarnata di Cristo: partendo dall'assioma, egli dice, della epistemologia tomista in cui essere e coscienza (essere presenti a se stessi) si richiamano come momenti intrinseci di un'unica realtà, allora, l'unione ipostatica, come assunzione della umana natura al più alto grado dell'essere divino (in cui essere e coscienza si identilicano), non va considerata solo come un fatto ontico, ma anche coscienziale: «una unio hypostatica meramente entitativa è in altre parole un concetto metafisicamente irrealizzabile. La visio immediata è un momento intrinseco della unione ipostatica stessa ». 51 Così essa è nello stesso tempo un fatto coscienziale. Potremmo dire che la coscienza umana di Cristo, della sua identità divina, costituisce, secondo il punto di vista della soggettività moderna, il corrispondente della affermazione oggettiva del pensiero classico sull'essere personale di Cristo. Attraverso questa immediatezza di presenza della persona divina a se stessa nel piano della incarnazione, si realizzerebbe quella visio immediata della identità divina del Cristo che secondo il linguaggio della tradizione verrebbe indicata con « visione beatifica ». Così Rahner pensa di essere in linea con la tradizione teologica e con le affermazioni del magistero.

    4~

    Ivi, 107. Ivi, 108-110; In., Che significa «incarnazione di Dio»?, in «Corso fonda· mentale sulla fede», Alba 1977, 278-296. SI In., Considerazioni dogmatiche sulla scienza e coscienza di Cristo, in «Saggi», 220. Vedi l'ampia bibliografia in materia che l'A. presenta sull'argomento, p. 199, n. 2. 50

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    913.

    Questa coscienza-visione-immediata, di carattere non-oggettivo (a-tematico), non comporta per Rahner alcuna trasformazione dello statuto di esistenza terrestre di Cristo in esistenza beatifica. Non ogni esperienza del divino, egli dice, comporta una glorificazione dell'uomo.52 Per il suo carattere non glorioso ed atematico, questa coscienza-visione lascerebbe; allora, la via aperta ad una possibile crescita psicologica e di sapere (oggettivo) (Le 2, 52) attraverso l'età, l'educazione, la conoscenza della Bibbia e delle tradizioni spirituali di Israele. In questo modo, rispettando il dato fondamentale del sapere di Cristo circa la sua identità (anche se atematicamente), diverrebbe possibile attribuire a lui un vero sviluppo che arricchirebbe (oggettivamente), la sfera del suo conoscere. L'unione ipostatica,

    nel suo correlativo psicologico dello sviluppo della scienza umana del Cristo, mostrerebbe il carattere dinamico. della incarnazione, mentre, nella delucidazione che ne dà il Rahner, verrebbe superato il rischio di attribuire al Cristo una « evoluzione di coscienza » alla maniera modernista, come passaggio da un non-sapere totale di essere Figlio di Dio, al suo saperlo solo per via di acquisizione.53 Parlare di una autentica crescita umana. del sapere (scienza umana) del Cristo, comporta nello stesso tempo, parlare di una limitazione di questo sapere. Con ciò viene a modificarsi, come già in H. Schell, un principio classico della cristologia antica, riguardante la « perfezione » umana di Gesù. Rahner previene le obiezioni notando la necessità di superare criticamente l'ideale greco di perfezione del-

    1'uomo che troppo spesso ha pesato nell'ambito della cristologia, secondo cui, la scienza è la misura assoluta della perfezione ed il non-sapere è tassativamente da superare. La cultura moderna apre la via ad una filosofia della persona e della decisione libera che comporta «necessariamente nell'essenza perfettiva della persona finita, protesa alla decisione storica che impegna la sua libertà, l'affrontare il rischio ... il fare i conti con l'oscurità ... esiste una ignoranza che, inguanto agevolazione della libera attività della persona finita nel dramma della sua vicenda storica, è qualcosa di più perfetto della conoscenza; più perfetto di un sapere che finirebbe col distruggere la libertà d'azione ». 54 Così K. Rahner cerca di mediare la dottrina della cristologia classica con i presupposti dinamici del pensiero moderno facendo spazio ad· una comprensione storica dell'evento della incarnazione lasciando però degli interrogativi aperti riguardo alla identificazione si Ivi, 210. 53

    54

    I vi, 214-215. lvi, 212-213.

    914

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    tra essere e coscienza, come pure riguardo al carattere puramente atematico dell'autocoscienza che non può esercitarsi a se stante senza un qualche contenuto oggettivo.55 5. Verso ulteriori sviluppi della rifiessione teologica sugli aspetti ontologici e psicologici della incarnazione. La riflessione teologica sul mistero della incarnazione considerato nel quadro evolutivo storico e nella consistenza ontologico-psicologica del divenire carne del Logos ha continuato il suo cammino in diverse direzioni. Da un lato tale riflessione tende a sviluppare il rapporto dell'incarnazione con il cammino totale della storia umana verso quel punto finale (punto omega) di umanizzazione dell'uomo che consiste nella sua più perfetta apertura a Dio ed agli altri. Ora questo punto culminante dell'evoluzione è il Cristo: l'uomo perfettamente umano, perché uomo perfettamente aperto, l'uomo del futuro, l'uomo definitivo. Ma se Cristo realizza questa perfetta apertura verso il mondo, gli uomini e Dio, realizzando la pienezza della umanità, ciò dipende dalla sua identità divina di Verbo e Figlio, dalla singolarità della sua Persona che è totale apertura. Potremmo dire allora che Cristo è l'uomo più umano, perché Verbo e Figlio ominizzato. Diversi teologi cattolici contemporanei condividono questo tipo di riflessione in cui la storia della umanizzazione dell'uomo viene a confluire nella storia della ominizzazione di Dio,56 soprattutto perché si vede l'essere dell'uomo come contenuto, nel suo ideale più puro, nella Parola eterna di Dio, nel Figlio eterno. Cosl « per la proiezione nel tempo dell'immagine eterna di Dio, che è il suo Figlio, l'µomo viene alla esistenza ».57 Cristo è allora l'uomo escatologico, perché, secondo L. Bouyer, è «l'uomo perfetto, epifania nella pienezza dei tempi dell'uomo eterno ».58 La riflessione tende, a questo punto, ad accostare storia, incarnazione e divenire di Dio. Il carattere dinamico della incarnazione non viene spiegato soltanto come crescita dell'uomo inquanto essere soggetto allo stesso processo genetico del mondo, ma viene spiegato come perfezione antica dovuta all'essere stesso del Verbo di Dio che si fa presente nella carne e nella storia umana. Vedi i rilievi critici di A. GRILLMEIER, L'image, 128-130. Oltre al già citato pensiero di K. RAHNER, vedi J. RATZINGER, Gesù il Cristo, in «Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico», Brescia 1969, 165 s.; L. BoUYER, Il Figlio eterno, Alba 1977, 483. 57 BoUYER, Figlio eterno, 482-484; per !'A. l'uomo è come la proiezione temporale di quell'uomo eterno che è costituito dal Verbo. Il Figlio, cosl, sarebbe l'Uomo eterno, l'Uomo che viene dai cieli (Figlio dell'Uomo), essere già umano nella sua preesistenza celeste. 58 lvi, 485. 55

    56

    « L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO »

    915

    Proprio considerando questo ultimo asserto si tende allora a vedere il dinamismo stesso della esistenza terrena di Cristo, la sua vita, la sua missione, le sue funzioni soteriologiche, insomma tutta la dimensione del tempo intrinseco dell'incarnazione come avvenimento storico, come espressione della stessa realtà ontologica della «Persona>> del Figlio di Dio inquanto tale. Così ]. RATZINGER, illustrando il senso della designazione personale di « figlio » nella teologia giovannea, come quella che porta alla sua piena significazione l'autodesignazione originaria di Gesù abbozzata nei sinottici, afferma che .tale designazione ci porta ad una concezione della totale relazione della esistenza, ad una ontologia della persona che si rivela come « identità tra essenza ed opera, tra attività e persona, nel totale perdersi della persona nella sua opera e nel totale coincidere dell'agire con la persona stessa, la quale non si riserva nu1Ia per sé, ma si trasfonde interamente nella sua opera ». 59 È così che Cristo « è tutto insieme Figlio, Verbo, missione; il suo agire penetra sino alla estrema radice del suo essere, formando un tutto unico con esso ».(fJ Nel dinamismo della incarnazione, la missione di « servizio » non è più, allora, un'azione dietro la quale sussiste per conto suo la persona di Gesù: essa è piuttosto una realtà che investe l'intera esistenza di Gesù perché il suo stesso essere è servizio; ed in questo suo essere come servitore si rivela l'identità del suo essere « Figlio ». Non è in giuoco una ontologia dell'essere « come esistere arroccato in se stesso, bensì di un atto perenne, che si estrinseca nel suo essere inviato, nel suo essere Figlio,· nel suo servire. Ma reciprocamente, questo agire non è solo un mero operare, bensì un autentico essere; è una realtà che si spinge sin nelle più intime profondità dell'essere, finendo per coincidere con esso ... ». 61 In questa teologia dell'incarnazione, come si vede, il dinamismo della esistenza storica di Gesù, fondato sulla ontologia stessa della sua persona, è per così dire, affermato dal basso e cioè a partire dalla fisionomia terrestre del suo essere Figlio, nel servizio, specialmente nella oblazione della croce. In una tale linea di riflessione si colloca anche, tra i contemporanei, il saggio cristologico di W. KASPER,62 per il quale una autentica conoscenza della verità dell'uomo e di Dio è possibile solo a partire dalla storia di Gesù, che ci rivela il dinamismo della vita di un uomo totalmente aperto a Dio ed agli altri. Questa esperienza di vita personale consente

    59 R.ATZINGER, al

    61 62

    Legittimità del dogma cristologico, in «Introduzione», 178.

    Ivi, 178. Ivi, 182.

    W.

    KAsPER,

    Jesus der Cbristus, Mainz 1975.

    916

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Il!

    di risalire ad una ontologia della persona come punto di incrocio tra l'universale ed il particolare, il determinato e l'indeterminato, il finito e l'infinito. La persona è allora essenzialmente un essere nella relazione con se stessi, con il mondo e con gli altri, con Dio. 63 Prima delle posizioni personalistiche dei nostri giorni (M. Buber, F. Ebner, Rosenzweig ... ) HEGEL aveva già definito la legge della persona abbandonando la concezione di soggetto isolato ed affermandone lo statuto come esistenza nella amicizia, nell'amore in cui si recupera se stessi immergendosi nell'altro. 64 La persona, allora, è essenzialmente mediazione, punto di inserzione tra la direttrice orizzontale e verticale: è l'essenza del centro. Il dinamismo della persona· porta l'uomo al di là di se stesso in un movimento che non raggiunge mai la quiete, orientato verso il mistero infinito di Dio e tuttavia rinchiuso nella sua finitezza. Restando però solamente ad una prospettiva ' dal basso ', su di un piano esclusivamente antropologico, la persona dell'uomo si pone solo come interrogativo che egli non è capace di risolvere da se stesso. L'uomo, da solo, non può colmare le possibilità umane della persona, egli resta come in uno stadio di mediazione passiva, come un vuoto, un mysterium stricte dictum. Ora, mentre sul piano della antropologia la personalità dell;uomo resta come una mediazione indeter~ minata, in. Gesù Cristo, questa indeterminazione assume pienezza e compimento: Egli infatti è « in Persona » la salvezza dell'uomo. Questo procedimento dal basso, attraverso il quale l'esistenza storica di Gesù appare come l'attuazione concreta e piena di quel centro di mediazione che è ontologicamente la persona umana, deve essere completato da una prospettiva dall'alto. «A partire dal ' basso ', noi possiamo infatti riflettere solo sulla unità tra Dio uomo ... alla luce della rivelazione storica e concreta di Dio in Gesù Cristo ».65 Ma nella persona di Gesù Cristo, non è semplicemente Dio, bensl la persona del Figlio-Logos che si manifesta. Troppo spesso, osserva Galot, che molto sottolinea il procedimento dal1'.alto, è avvenuto che «la cristologia non si è sviluppata in piena armonia. con la teologia trinitaria ».66 Questo ha portato a definire ed assorbire ogni prospettiva della incarnazione esclusivamente nel-

    e

    63 64

    Ivi, 290. Ivi, 291; vedi ivi n. 49 per la citazione di Hegel.

    Ivi, 293. GALOT, La personne du Christ. Recherche ontologique, Gembloux 1969, 31; questa stessa critica è evoluta da G. BLANDXNO, Eine Hypothese zur Menschwerdung Gottes, in TG 66 (1976), 287-299 (ricomparsa in ID., «Questioni dibattute», Roma 1977, 135-152). Egli prospetta una nuova ipotesi teologica che tende a dare ragione più adeguatamente del profondo realismo dell'incarnazione del Verbo senza rirorrere ali 'ideologia hegeliana. 65

    66

    J.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    917

    l'angolazione del rapporto tra l'uomo e Dio, tra antl'opologia e cristologia, mettendo in luce il dato della fede della « unità » tra l'uomo e Dio in Cristo, una unità che si realizza nell'unica persona del Verbo. Le riflessioni sulla incarnazione che tendono a collocare l'evento nel quadro della storia umana ed in rapporto ad una concezione genetica dell'uomo, sottolineano soprattutto questo punto di vista di rapporti. Ma nella Scrittura ogni rappo1·to tra Dio e l'uomo è personale o interpersonale, come il rapporto di alleanza tra Dio ed il suo popolo. La unità tra Dio e l'uomo non è mai quindi una identificazione, bensì una comunione. Nella incarnazione, invece, si verifica una vera e propria reale unità nell'ordine ontologico personale per cui l'uomo Gesù è Dio e non un uomo in comunione inter-personale con Dio. Noi abbiamo visto nella sezione dedicata alla cristologia fondamentale che la persona di Gesù appare nella testimonianza evangelica dotata di quella straordinaria autorità (exousia) che mostrava la sua identificazione con Dio, suscitando lo scandalo dei giudei che lo accusavano denunciando, in lui uomo, la pretesa di essere Dio (Gv 10, 33).67 Ma non è questo l'unico punto di vista della storia evangelica di Gesù di Nazaret sul rapporto tra Gesù e Dio.68 La persona di Gesù si manifesta anche in un rapporto interpersonale con il Padre e lo Spirito. In questo rapporto, insieme, di comunione e di distinzione, la sua persona appare essenzialmente relazionata. È questo il punto di vista trinitario della persona di Gesù di Nazaret che si rivela sempre a partire dalla sua storia terrestre. Gesù è l'uomo che si pone dinanzi al Padre, esprimendo una relazione esistenziale di vita e di comunicazione nella· preghiera, del tutto singolare ed unica. Troppo spesso la teologia dell'incarnazione ha riflettuto sul mistero a partire da una concezione individualistica della persona e da una concezione unipersonale di Dio. La conseguenza di questa riflessione si è notata nella concentrazione di tutti gli sforzi a definire l'incarnazione nel rapporto individuale della natura umana assunta con la persona individua del Logos. L'incarnazione si è collocata solo nel versante del rapporto uomo-Dio, utnanità-Logos ed in un quadro piuttosto individualista. Lo sviluppo della riflessione che tiene conto della prospettiva trinitaria tende a completare questo punto di ·vista individuale con quello più relazionale e comunitario della persona che proviene dalla prospettiva trinitaria. Qui 67

    Vedi sul tema: M.

    68

    Per il rapporto tra Gesù e Dio: GSC, I, 96 s.

    BORDONI,

    L'autorità dì Gesù, in GSC, II, 155 s.; ivi, 355-

    362.

    918

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    III

    il mistero di Dio si rivela come realtà tripersonale la cui unità, nella identità assoluta della sostanza, si realizza, sul piano personale, nella relazione (sussistente) alla persona del Padre, principio e termine della vita trinitaria. Nell'ambito della cristologia il termine di persona è stato anzitutto utilizzato, nel momento dogmatico, come abbiamo veduto, per esprimere la reale « unità ontologica » del Logos e della umanità; per indicare, quindi, la unità di soggetto (divino) del Cristo, come quella dell'unico ed identico Figlio eterno di Dio. Ora: il dogma trinitario esige il completamento di questa prospettiva ontologico-cristologica, attraverso la dimensione della relazionalità della persona. È per questo aspetto che la riflessione teologica può dare rilievo al costante e fondamentale rapporto di Gesù con il Padre. Attraverso questi due aspetti della reale unità e della relazionalità della persona è possibile riflettere più adeguatamente sul mistero della incarnazione. Questa riflessione, che ha anche il suo risvolto psicologico,69 deve tener conto che pure l'aspetto della relazionalità della persona del Figlio coinvolge la sua umanità stessa sul piano della incarnazione. Il vangelo ci mostra un unico soggetto concreto che vive in relazione unica al Padre ed agli uomini: la relazionalità al Padre non è vissuta indipendentemente da quella alla umanità ed al mondo. Questa attenzione all'aspetto della umanizzazione della persona eterna, meno evidenziato da alcuni teologi contemporanei per la loro preoccupazione di salvaguardare l'asserto dogmatico della sua identità divina, 10 trova risuonanza invece in altri teologi come A. HULS· J30SCH, E. ScmLLEBEECKX, P. ScHOONENBERG. 71 Per questi, tutta 69 GALOT mostra la fecondità degli apporti del dialogismo nel definire la coscienza psicologica dell'io che prende coscienza di se stesso solo nell'incontro con il tu e con gli altri. L'esperienza dell'opposizione ili relazioni fa scoprire !'irriducibile originalità dell'io, ma in orientamento fondamentale .verso il tu: «in virtù dell'incontro con un ' tu ', il soggetto conoscente si rivela a se stesso come ' io '. Per scoprirmi come ' io ' ho bisogno di essere confrontato con un'altra persona » (Io·., Chi sei tu, o Cristo? Firenze 1980, 275 s.). 10 Vedi per esempio GALOT, cit., 284 ritiene che Gesù è perfettamente uomo senza «persona umana» per l'assenza in lui dell'essere «relazionale umano». L'espressione è per Io meno ambigua. 71 Per la bibliografia su questi autori vedi oltre quella già presentata nella sezione II, c. 2, n. 17, la seguente: P. ScHOONENBERG, Het avontuur der christologie, in TijTh 3 (1972), 307-332; Io., Spirit christology and Logos christology, in Bijdr. 29 (1977), 350-377; A. HULSBOSCH, Je:r.us Christus, gekend als mens, beleden als Zoon Gods, TijTh 6 (1966), 250-273; ID., Christus, de scheppende wiisheid van God, TijTh 11 (1971). 66-67 ove corregge alcune prospettive precedenti: E. SCHILLEBEECKX, Persoonliike openbaringsgestalte van de Vader, TijTh 6 (1966), 274-288; Io., De toegang tot Jesus van Nazaret, TijTh 12 (1972), 28-60; In., Gesù la storia di un vivente, Brescia 1976, 667 s.

    «L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    919

    la riflessione cristologica della incarnazione deve svolgersi interamente dal basso, togliendo di mezzo l'idea arcaica di preesistenza eterna della persona del Logos che avrebbe pesato troppo sulle controversie della Chiesa antica, accadute nel dibattito tra Antiochia ed Alessandria. Tutta dovrebbe convergere invece verso l'unica ·realtà concreta della persona umana e storica di Gesù. Alla teoria classica secondo cui la natura umana di Gesù viene ad essere personalizzata nella persona divina del Logos, Schoonenberg pensa di sostituire piuttosto quella secondo cui è la natura divina ad essere personalizzata (anipostasia) nella persona umana di Gesù.72 Cosl anipostatica non è la natura umana, bensl quella divina che verrebbe ad esistere anipostaticamente nella persona umana di Gesù. Questo approccio radicale « dal basso » pone dei gravi problemi sia in materia trinitaria che cristologica: non solo, infatti, l'identità personale immanente ed eterna del .Figlio viene messa in discussione, ma anche, conseguentemente, l'identità di Gesù. La domanda: chi è Gesù? resta senza risposta soddisfacente per la fede. È egli il Figlio del Padre che diviene carne oppure diviene Figlio e Logos solo sul piano della incarnazione? Ci sembra che il modello di riflessione di questi ultimi autori 73 difficilmente possa sfuggire a questa seconda alternativa, anche se essi affermano che in Gesù di Nazaret, nella sua « persona umana », si compie definitivamente la rivelazione personale di Dio. In realtà, non solo essi non salvaguardano l'enunciato cristologico della fede sulla identità di soggetto circa il Figlio di Dio ed uomo Gesù Cristo, ma neppure sono in grado di far luce sull'aspetto trinitario della incarnazione per ciò che essa esprime come personale relazione, nel Verbo, tra Gesù uomo ed il Padre, relazione che supera, come abbiamo detto, il rapporto tra umanità e Dio. W. KASPER cerca di superare lo scoglio. in cui sono incappati i tentativi recenti di riflessione cristologica dal basso, dovuto al fatto che essi si muovono ancora, egli dice, nell'alveo della mentalità scolastica.74 Egli ritiene che non si debba partire per illuminare un senso della incarnazione, che voglia incanalare la problematica moderna nella riflessione teologica, da un concetto astratto

    72 SCHOONENBERG, Het avontuur, 312. 73 Vedi contro tali orientamenti raclicali «dal basso» l'intervento della DOTTRINA DELLA FEDE del 21.2.1972 con il titolo: «Dichiarazione per

    S. C. per la la salvaguardia della fede nei misteri dell'Incarnazione e della Trinità da alcuni errori recenti» (OR 10.3.72), n. 3. Sul tema: T. CITRINI, Gesù Cristo rivelazione di Dio, Venegono inf. 1969, 267-291; 372-375; 387-388; J. GALOT, Alla ricerca di una nuova crìstològia, Assisi 1971, 33 s. · 74 KAsPER, Jesus der Christus, 290.

    '920

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !I!

    di natura umana o di essenza divina. Noi conosciamo in realtà, egli dice, sia Dio che l'uomo soltanto nella storia ed a partire dalla :storia, cosl come questa è stata caratterizzata dalla vita e dal de:stino di Gesù.75 Ora, in questa storia, è possibile ritrovare gli asserti dogmatici della fede sulla unità tra l'uomo ed il divino e sulla loro distinzione, nella prospettiva concreta della persona di Cristo: da un lato infatti, la sua obbedienza al Padre, mostra la sua difierenziazione da lui. Ma questa obbedienza è dall'altro, la risposta all'amore che manifesta la più radicale unità tra Gesù ed il Padre, quel Gesù che appare come il volto umanizzato dell'amore di Dio.76 Kasper tenta, a questo punto, di fondare la soggettività personale umana di Gesù partendo dalla stessa autocomunicazione dell'amore di Dio in lui, comunicazione che fonda la sua stessa autonomia umana (in ipsa assumptione creatur: Agostino). In questo modo, egli dice, si può esprimere l'asserto circa l'assunzione personale della umanità di Gesù come la sua personalizzazione umana nella stessa persona del Logos, personalizzazione che vuol dire •espressione umana massima di libertà e di coscienza: «proprio perché Gesù altri non è che il Logos, egli è nel Logos e per mezzo di lui anche una persona umana. Vale anche l'affermazione inversa: la persona del Logos è la persona umana ».71 Kasper, crediamo voglia con ciò affermare semplicemente quanto Tommaso dice: . « Verbum caro factum est, id est homo; quasi Verbum personaliter sit homo ».78 E cioè: nella persona del Verbo, l'umanità di Gesù è persona umana. Anzi, egli dice, in Gesù la personalità umana, in virtù della unità personale con il Logos, giunge alla attuazione assolutamente singolare ed indeducibile. Con questa idea di unione ipostatica Kasper fonda ogni altro asserto sulla coscienza umana e sulla libertà di Gesù: proprio per.ché Gesù si esperiva totalmente unito al Padre, egli possedeva una coscienza interamente umana, crescendo in età e sapienza; proprio perché egli era personalmente unito con il Logos, egli era totalmente libero nella sua umanità. Il pregio di questa riflessione cristologica sta nell'unire insieme i lati ontologici e dinamici della incarnazione sfociando poi, come dice Kasper, in una cristologia evoluta pneumatologicamente, superando l'impostazione unilateralmente metafisica della teologia tradizionale sulla incarnazione. Restano

    75 76 77

    I vi. Ivi, 294. Ivi.

    7 ~ TOMMASO D'AQUINO,

    da K2sper, ivi, 294, n. 56.

    Quaest. Disp. V, De ttnione

    ve,.bi

    Incarnati, a. 1 citato

    « L'EVENTO DELL'INCARNAZIONE NEL PENSIERO CRISTIANO»

    921

    però aperti diversi interrogativi, come quello che rigitarda la pretesa di conoscere la realtà dell'uomo e di Dio « solo » a partire dalla storia di Gesù. Non è questo un ignorare l'importanza di una precomprensione antropologico-culturale e di una precomprensione religiosa derivante dalla storia religiosa della umanità con cui la cristologia deve fare i conti? 79 Cosi pure resta aperto il problema di una certa identificazione tra persona e personalizzazione, che Kasper sembra dare per scontata, mentre invece richiederebbe una più attenta valutazione, onde non lasciare aperto l'adito a rischiose ambiguità che finirebbero con il compromettere aspetti molto validi della sua riflessione. 80 Si deve apprezzare, nonostante questi problemi, la preoccupazione di Kasper di evolvere una riflessione teologica sulla incarnazione che traduca in « termini moderni » la stessa dottrina della unione ipostatica sul principio della unità nella trascendenza, per cui « l'assunzione della umanità di Gesù, quindi l'atto della unificazione massima, costituisce questa natura nella sua autonomia crea turale ». È quanto dire che l'umanità di Gesù è ipostaticamente unita al Logos in maniera umana, cwe in una maniera che include la libertà umana e la coscienza umana. E questo consente di superare il rischio di diminuire il valore di concretezza storico-umana dell'evento Persona dell'Incarnato. CONCLUSIONE: il nostro lungo cammino attraverso i diversi momenti di sviluppo del mistero della incarnazione, a partire dalla sua originaria espressione biblica, attraverso la tradizione patristico-dogmatica, la riflessione medioevale e moderno-contemporanea ci ha mostrato tutta la ricchezza di questo evento centrale della fede. Nella prospettiva del pensiero cristiano, l'incarnazione non è solamente un dato ontologico che sta a fondamento della soteriologia 79 Vedi quanto abbiamo già presentato nel nostro: GSC, I, La cristologia ed il problema di Dio, 96-137. so La personalizzazione è propriamente l'attualizzazione esistenziale e fenomenologica della persona, il suo concreto modo di esistere che mette in evidenza soprattutto le sue essenziali relazioni (J. B. LoTZ, Ontologia, Herder-Barcelona 1962, 315 s). Ora, noi riteniamo che non è possibile sostenere in modo conforme al pensiero di fede una soggettività ontologica umana del Cristo, come la recente dichiarazione della S. Congregazione per la Dottrina della fede ribadisce (vedi sopra n. 73, al n. 3). È ben possibile, invi:ce, come Tommaso testimonia, parlare di una umana persona-

    lizzazione, per cui il Verbo esiste, nell'incarnazione, in modo 'personalmente ' umano. Questo linguaggio di « personalizzazione » può ben rendere in termini moderni, esistenziali e dinamici, quanto il linguaggio classico della cristologia esprimeva in termini di «natura >>. La personalizzazione esprime infatti propriamente tutta l'attua-

    lizzazione, sul piano fenomenologico-esisteil2iale della realtà umana (sfera della coscieil2a, libertà, ecc.) della fisionomia propria ontologica della persona divina del Logos. Ma trasferire interamente la personaliz;zazione sul piano puramente ontico della persona è, per lo meno, molto ambiguo.

    922

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !Il

    pasquale. Essa è piuttosto, cosl come si afferma alla fine dello sviluppo della teologia neotestamentaria, una prospettiva conglobante che definisce, nell'insieme, la totalità dell'evento Cristo. Inscindibile dalla idea della preesistenza che l'illumina, per cui si aggancia alla stessa prima creazione, l'incarnazione appare egualmente inscindibile dall'ora pasquale e dalla parusia, per cui essa, nella sua realtà di evento, deve essere inserita in questo contesto storico-salvifico per conservare tutto il rilievo che ha nelle fonti cristiane. Ogni riflessione puramente strutturale sulla composizione metafisica-essenziale dell'evento, avulsa dall'orizzonte universale storico-salvifico, ne impoverirebbe la ricchezza. È necessaria, allora, una riflessione che senza sminuire la portata anche ontologica della realtà del divenire uomo del Logos, ne evidenzi tutto il valore storico-salvifico che ponga in luce come nell'evento per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo, l'uomo ha raggiunto la pienezza della sua umanità, nella sua più perfetta unione e comunione con il mistero divino.

    CAPITOLO

    II

    IL MISTERO DELL'INCARNAZIONE NELL'AMBITO DELLA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA

    SINTESI SISTEMATICA

    La riflessione teologica sul mistero della incarnazione ha oggi

    il non facile compito di salvaguardare l'eredità preziosa ed indimenticabile che il pensiero di fede ci trasmette con le istanze storico-dinamiche, antropologiche ed universali che provengono dalla sensibilità dell'ambiente culturale del nostro tempo. Tali esigenze sono tutt'altro che in contrasto con il profondo significato che la incarnazione possiede nella autentica tradizione cristiana. Esse possono, al contrario, far risaltare con maggiore luce proprio i punti nodali e le prospettive essenziali di questo mistero centrale della nostra fede. Bisogna però avere presente che la mentalità culturale del nostro tempo è meno portata ad evidenziare certi aspetti ontologico-strutturali che pure appartengono alla verità dell'evento e che non possono essere omessi senza correre il rischio di compromettere proprio il suo valore soteriologico-storico. Cosl se è un errore ridurre · il mistero cristologico al solo evento che attualmente irrompe escatologicamente nella potenza dello Spirito nel presente della fede, dimenticando il suo valore oggettivo (extra nos) che si radica nella Persona del Cristo, nel suo essere, da cui scaturisce ogni soteriologia, « è pur vero che l'articolazione ' essere ' del Cristo, cristologia-soteriologia, essere-agire, può e deve essere superata ».1 Ciò può avvenire attraverso un movimento di pensiero che parte anzitutto dall'orizzonte storico-soteriologico universale, nel quale il mistero cristologico si presenta nelle stesse fonti della rivelazione, per raggiungere, per via epistemologica, la radice dell'essere stesso della Persona del Cristo, la sua singolarità e relazionalità. Si deve avere presente però che questo essere della persona di Cristo in nessun momento della riflessione va considerato astratto dall'evento in cui si rivela e che esso fonda.

    1

    A. GRILLMEIER, L'image du Christ, 99-100.

    924

    GESÙ DI .NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    È infatti proprio partendo e restando costantemente nella considerazione dell'evento pasquale che è possibile conoscere il sens"o dell'essere della Persona di Cristo: è nella croce e nella resurrezione, infatti, che Egli rivela la sua identità, una identità che non è staticità, ma essenziale dinamicità. Nella vicenda pasquale, in realtà il Figlio rivela l'interiore vicenda trinitaria della sua vita, la pienezza del suo essere dal Padre e per il Padre, nella unità ed estasi dello Spirito. La soteriologia della croce e della resurrezione ci rivela così l'essere stesso pasquale del Figlio eterno di Dio. In questo capitolo ci proponiamo di evolvere, come sintesi sistematica, una riflessione sulla incarnazione che raccolga in maniera unitaria le diverse prospettive che abbiamo considerato lungo il percorso di questo terzo volume del nostro saggio.

    l.

    L'INCARNAZIONE COME EVENTO CENTRALE E DEFINITIVO DELLA STORIA UNIVERSALE DI SALVEZZA: DELLA PAROLA DI

    Dro

    LA VENUTA NELLA CARNE

    TRA PROTOLOGIA ED ESCATOLOGIA.

    Abbiamo visto come il pensiero neotestamentario e patristico congiunge costantemente l'evento salvi1ico della venuta del Verbo nella carne con la sua preesistenza presso il Padre e la sua presenza al momento creativo. Questo rapporto è di essenziale importanza per una riflessione di fede sul mistero della incarnazione che faccia luce insieme sulla sua portata trinitaria e storico-universale. Nel contesto delta protologia, quando questa non sia compresa come una struttura del pensiero arcaico, ma come « progetto divino » che si proietta nel tempo futuro dando un contenuto di realizzazione alla storia, l'incarnazione perde, per così dire, il suo carattere di episodio accidentale, condizionato dal peccato dell'uomo. Essa diviene « l'idea primigenia » che guida l'intera stessa azione creativa, e le dona il suo significato ultimo. Le difficoltà che il pensiero scolastico ha incontrato nel suo dibattito sul fine della incarnazione dipendevano essenzialmente da categorie eccessivamente statiche e troppo rinchiuse in compartimenti stagni per cui l'idea di preesistenza trinitaria, di creazione, di redenzione, facevano capo a tanti trattati spesso disgiunti tra loro. Per una riflessione sulla incarnazione, come evento, alla luce della protologia e della escatologia è necessario allora richiamare e completare alcuni dati essenziali già elaborati nelle sezioni precedenti. E cioè: A. Anzitutto la « protologia » a cui il pensiero di fede risale a partire dalla soteriologia pasquale, comprende, insieme, la affer-

    «LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA»

    925

    mazione della « trascendenza eterna» dell'essere del Cristo come Figlio rivolto verso il seno del Padre (Gv 1, 18), prima che il mondo fosse (Gv 17, 5) e quindi, la visione di questo Figlio come Logos, primo principio nell'ordine del libero e gratuito progetto divino creativo, per il quale e nel quale tutto viene creato (Gv 1, 3). Questa idea di preesistenza viene dalla riflessione teologica, anzitutto approfondita con il superamento di quella concezione di immutabilità divina che non appaia conforme a quella biblica.z Questa, va infatti compresa nell'ambito della vita dell'amore trinitario che realizza la più perfetta e profonda coerenza, identità e fedeltà a ·se stesso, nella sua più totale distinzione e donazione all'Altro (Figlio), e realizza la più perfetta comunione con l'Altro (nello Spirito), nella sua più totale offerta ed estasi, nello stesso Spirito.3

    :f:. a partire dalla visione di Dio come Amore eterno che vive come unità nella distinzione, come comunione nella comunicazione 2 Per una riflessione cnuca aggiornata sul problema attuale del rapporto tra l'incarnazione e l'immutabilità divina con relativa bibliografia rimandiamo a M. GERVAIS, Incarnation et immutabilité divine, in AA.VV. «Le Christ hier, aujourd'hui et demain », Québec 1976, 205-230. Ripresa e discussione del tema con presentazione di una propria interessante ipotesi in G. BLANDINO, Una ipotesi sull'unione ipostatica, in «Questioni dibattute», Roma 1977, 147-149. Per approfondimenti biblici: J. G1BLET, La dvélation de Dieu dans le Nouveau Testament. Position du problème, in AA.VV. «La notion biblique de Dieu. Le Dieu de la Bible et le Dieu des philosophes » (par J. CoPPENS), 231-244; A. GEscHE', Le Dieu de la Bible et la théologie spéculative, ivi, 401,-430; K. LEHMANN, Dogmatica ecclesiastica ed immagine di Dio, in AA.VV., «Saggi sul problema di Dio» (a cura cli J. RATZINGER), Brescia 1975, 135-166. Per il punto di vista sistematico sul senso dell'immutabilità. di Dio: M. L6HRER, Riff,essioni dogmatiche sugli attributi e sui modi di agire di Dio, in MySa III, Brescia 1969, 395. È ormai, si può dire, acquisito, che l'immutabilità. divina che Tommaso deduce dalla essenza stessa di Dio, nella sua semplicità ed infinità (I, q. 9, a. 1) va interpretata positivamente, inquanto esprime, cioè non una pura concezione di «immutabilità metafisica», categoria estranea propriamente alla conf cezione biblica, quanto la « fedeltà di Dio a se stesso», come Amore assoluto per cui Egli si esprime e si autopossiede, come tale, nella generazione del Figlio. Nell'Amore assoluto trinitario, infatti, Dio esprime eternamente questa sua immutabilità come fedeltà nel processo vitale in cui il Padre ama fedelmente se stesso nel Figlio (in un Altro da sè), il quale, nella sua alterità è risposta perenne di fedelt11 di Amore al Padre. Nella reciproca comunione di amore interpersonale, sia il Padre che il Figlio si amano nell'Altro dello Spirito, che personifica all'interno della vita trini· taria, la tensione dell'estasi di Amore di amicizia del Padre e del Figlio che si consuma in un identico atto di amore (in unitate Spiritus Sancti). Cosi la immutabilitàfedeltà di Dio, che negativamente esprime il suo non essere coartato da alcunchè di esteriore a· lui stesso, è positivamente un mistero di donazione assoluta nell'Altro,. mistero che costituisce il fondamento della sua possibilità di donarsi ed essere, in assoluta libertà, in un altro inferiore a sé, nell'ordine creativo. Cosl, Dio, pur re-· stando sempre identico a se stesso, si può dire che diviene 'in allo' (l..ohrer, cit. 395). :e. questa fedeltà immutabilità di Dio, non coartata da alcunchè di esteriore a lui stesso, nel suo essere ed agire, che costituisce il presupposto fondamentale alla possibilità stessa della incarnazione. 3 GSC, III, pp. 511-521.

    926

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    III

    ed espansione extatica di sé, visione a cui il pensiero di fede risale a partire dalla esperienza dell'evento storico della croce e della resurrezione di Cristo, che è possibile far luce sulla idea biblica di preesistenza non come struttura di un pensiero archeologico che segni il predominio di una passata cultura sopra il linguaggio della rivelazione, bensl come « idea-progetto » che esprime la condizione essenzialmente dinamica di esistenza del Logos nella vita trinitaria. In tale condizione, esso è, insieme, rivolto verso il seno del Padre Gv 1, 18) a partire dalla sua origine da Lui; è in relazione allo Spirito nel quale si compie il suo stesso rapporto di amore al Padre. Ora, questa condizione trinitaria di preesistenza è il fondamento della libera economia temporale in cui il Verbo è al centro del progetto gratuito divino che anzitutto (non cronologicamente) si attualizza nella prima creazione, per cui costituisce, per amore, un partner creato capace di accogliere e rispondere a tale progetto. Per quanto, come noi abbiamo già mostrato,4 per sé, la funzione creativa del Logos, sia distinta da quella rivelativa, nella prospettiva biblicopatristica che si muove nell'orizzonte storico presente, esse sono congiunte (nella distinzione). L'azione della Parola, per la quale e nella quale tutto è creato imprimendo il suo segno (i semi del Verbo) in tutte le cose, specialmente nell'uomo, è veduta, insieme, un primo atto comunicativo, rivelatore della Parola stessa che si fa vita e luce dell'uomo (Gv 1, 4-5). Il punto di vista protologico nelle fonti della rivelazione non si limita, infatti, alla prospettiva puramente creativa: esso vede, in uno, nel Logos, anche il principio di quell'ulteriore progetto del Padre circa il suo invio personale nel mondo. In questo senso, abbiamo già visto come l'idea di Logos si avvicina a quella di « mysterion » ed espri~e l'imperscrutabile volere del Padre, ora rivelato in Cristo, di ricapitolare in Lui tutte le cose (Ef 1, 10). La preesistenza ci appare cosl come una idea dinamica che oltre al dinamismo interiore della vita trinitaria esprime quello del gratuito progetto divino che fonda e conduce una economia storica, dando ad essa un senso: quello di costruire un mondo e l'uomo al suo centro, orientati verso l'evento, insieme, originario ed ultimo che è la incarnazione del Logos. La realtà della incarnazione che già appare operante nell'azione creatrice e rivelatrice del Verbo agli inizi della storia umana,5 trova, dunque il suo momento definitivo,

    Vedi sopra pp. 731-739. cosl che nel testo cristologico di Col 1, 1.5-20, la prima sezione (vv. 1.5-17: il ruolo del Cristo nella prima creazione), deve essere letta a partire dalla seconda (vv. 18-20: il ruolo del Cristo Redentore). Vedi: P. LAMARCHE, Etude de Colossiens 4

    5 È

    «LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA»

    927

    escatològico, nella venuta personale di questa parola nella carne per cui si apre l'ora culminante del disegno creativo-rivelativo divino. Anziché archeologica, la preesistenza si protende dinamicamente in un orizzonte escatologico: quello del compimento integrale del disegno di Dio (mysterion). L'incarnazione personale della Parola divina, centro del progetto del Padre, evento già in sé definitivo, nell'orizzonte escatologico si proietta a sua volta verso l'ulteriore compimento del piano storico di salvezza che comprende l'opera di ricapitolazione dell'uomo e del mondo in Cristo (Ef 1, 20-23). Questa dimensione cosmica del mistero della incarnazione dà una risposta al problema della fine della storia: la Parusia adempirà secondo l'iniziale progetto {protologia) storico, la realizzazione ultima dello avvenimento dell'incarnazione, il quale attraversa tutto lo spessore della storia di salvezza esprimendo il progressivo avvento di Dio in questa storia, avvento per cui il suo attendersi « tra noi » ne adempie le più profonde aspirazioni. B. La idea della incarnazione-evento non va delineata però solamente a partire dall'alto, dal progetto originario divino che annuncia e che si protende nella sua realizzazione verso l'eschaton: essa deve anche essere compresa a partire 'dal basso ' e cioè dalla idea stessa dell'uomo concepito, nel pensiero di fede, nella sua realtà ontologico-vocazionale, come « persona » protesa verso la immagine del Cristo e verso il mondo delle persone e della creazione, intesa come realtà in compimento (cosmogenesi). Già abbiamo considerato come l'uomo, per l'intervento stesso creativo del Logos, è costituito singolarmente nell'ambito della creazione, ontologicamente, come «essere verbifìcato » (logik6s). Per questo egli è creato «ad immagine di Dio», ovvero, «secondo l'immagine di Dio». Questo suo carattere di essere essenzialmente relazionato al Verbo, emerge nella sua personalità, per cui l'uomo esiste come essere chiamato e si realizza nella risposta (responsio). È proprio per questa sua relazione ontologica alla Parola che l'uomo è un esistente « aperto » al mistero della totalità dell'essere, in particolare, al mondo delle persone, nella sua fondamentale apertura al Tu divino che lo costituisce suo interlocutore, rivelandosi già a lui nello stesso primo

    I, 15-20, in « Christ vivant. Essai sur la christologie du Nouveau Testament », Paris 1966, 55-72; E. LARSSON, Christus als Vorbild in den paulinischen Eikontexten, in « Christus als Vorbild », 188-221( zu Kol. 1, 15); B. REY, Le Christ-image dans la première et la nouvelle création (Col 1, 15-20), in « Créés dans le Christ Jésus », 202-230; A. FEUILLET, L'hymne christologique de l'Ép1tre aux Colossiens (I, 15-20), in «Le Cbrist Sagesse de Dieu », 163-274.

    '928

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !Il

    momento creativo (Gen 1, 26-31). Vista alla luce di questa con.cezione dell'uomo, la storia ci appare come il cammino di quel processo di umanizzazione le cui tappe sono appunto l'adempimento .della sua identità personale, e cioè, la comunione con il mondo del.le persone e delle cose, nella più perfetta comunione con Dio. Questo sviluppo di personalizzazione riguarda sia il singolo uomo che la comunità degli uomini. E non si deve concepire semplicemente ·come un processo continuo di crescita. Bisogna, infatti, fare i conti con la libertà dell'uomo e con la sua possibilità di deflettere dal suo cammino di personalizzazione, determinando regressi storici. ·Così la storia umana, considerata dal basso, appare anche soggetta a molteplici ondeggiamenti determinati proprio dal

    Ivi, 197.

    GA(OT,

    Conscience, 184.

    « LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA »

    955

    proprio, lo portasse ad uno scoprire in modo sempre più chiaro il disegno concreto e particolareggiato dell'itinerario della sua vita e le modalità storiche del suo destino. Il progetto della sua vita come Servo gli si andava più chiaramente rivelando negli avvenimenti stessi della sua esistenza terrena, nelle esigenze della sua missione, oltre che nella sua singolare esperienza religiosa mistica sulla quale vogliamo ora apportare delle delucidazioni. 4. Se la coscienza umana del Cristo circa la sua identità :filiale ha il suo primo fondamento nella unità ontologica ipostatica per cui, in essa, è la Persona del Verbo, inquanto incarnato, che prende umanamente coscienza di sé, con tutto ciò che questo comporta, dobbiamo anche interrogarci sul significato e valore del dato tradizionale della ' visione beatifiça '. Gli orientamenti neo-scotisti e neotomisti contemporanei, che noi abbiamo considerato nel capitolo precedente, conservano tale dato con intenti abbastanza diversi. Entrambi però lo utilizzano senza porsi alcun problema sulla sua consistenza ermeneutica.67 Ora, si deve anzitutto aver presente che propriamente né la Scrittura, né i Padri avallano apertamente una tale dottrina.68 Essa sembra sia andata affermandosi nel periodo postpatristico come già abbiamo visto, per un ' principio di perfezione ' e per un principio di ' funzione soteriologica ' (rivelativa). Ma se è vero che i dati della tradizione di fede riconoscono a Cristo, oltre alla conoscenza divina, un singolare ed elevato grado di sapere umano, naturale e soprannaturale,69 ciò non com67 Solo J. Galot ci sembra che abbia affrontato apertamente la questione erme· neutica: ID., la comcience, 132 s. 68 Non sono certamente probativi i testi come Gv 1, 17-18; 6, 46; 8, 38; 3, 11 s. 32 i quali riguardano piuttosto la conoscenza di Dio da parte di Cristo, come 'Figlio ', persona divina. Cosl li intendeva già lo stesso Tommaso d'Aquino che accostava tali testi a Mt 11, 27 (vedi Com. in ] o. VI, lect. 5). Ad ogni modo essi non sono certo riferibili al solo tempo della incarnazione: essi richiamano espressamente la preesistenza· e le condizione gloriosa del Cristo stesso. Per quanto riguarda le prove patristiche, esaminate a suo tempo da P. GALTIER, L'enseignement des Pères JUr la vision béatifique dans le Cbrisl, RSR 15 (1925), 54-68; Io., De Incarnatione, 256, n. 3, non sembra che ci siano testi espliciti nei Padri orientali, mentre la stessa posizione di Agostino, di cui spesso è addotto l'asserto patristico più formale e decisivo (De Div. Quaest. 83, 65: PL 40, 60) è messa in questione da VAN BhVEL, Rechercbes sur la christologie de Saint Augustin, Freib. 1954, 166. Anzi, egli sostiene che alcuni passi di Agostino sono decisivi per sostenere il contrario: vedi Contra Max. 2, 9, 1: PL 42, 763 (BAVEL, 166). Agostino dice in tali passi che Gesù è il solo uomo che ha visto il Padre; ma tale asserto, va inserito nel contesto della « conoscenxa divina » di tale uomo. Per altri testi patristici: FULGENZIO, Ep. 14: PL 65, 415 s. Vedi GALOT, cit., 139. 69 Vedi per una documentazione dei dati emergenti dalla tradizione evangelica: Gv 1, 48; 4, 17-18. 50; 11, 11-12; Mc 2, 6-8; 14, 13-15; Mt 9, 3-4; Le 2, 47; 5, 21-22; 9, 47. Per un approccio teologico a questi testi vedi: GALOT, Les connaissances d'origine supérieure, in «La conscience », 211-249.

    956

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    porta necessariamente l'esistenza in Lui di un duplicato della stessa scienza divina. Si tratta cioè sempre di una ' perfezione ' che riguarda propriamente l'ordine del conoscere umano, anche se dotato di una singolare ed unica illuminazione di grazia. Considerando la reale condizione terrestre della umanità di Gesù, una tale perfezione conoscitiva non sembra confondibile sotto ogni aspetto con quella perfezione di conoscenza che riguarda propriamente lo stato glorificato escatologico dell'umanità 70 • Il che ci porta ad affermare che se per visione beatifica si intende il modo di conoscere proprio della condizione escatologica di gloria, essa non sembra potersi inquadrare nella condizione di esistenza terrena di Gesù caratterizzata dalla kenosi e dal segreto messianico. Tale condizione appare, infatti, necessariamente legata ai dati evangelici della sofferenza e della derelizione della croce che altrimenti sarebbero svuotati della loro verità. Né si· può relegare la kenosi stessa alla sola sfera della corporeità, per cui Gesù terreno avrebbe vissuto solo perifericamente l'angoscia dell'agonia, mentre _la sua anima sarebbe sempre stata ricolma degli splendori della gloria beatifica. Se è vero però che nel suo modello di glorificazione, pro~ prio dello stato escatologico finale, il linguaggio della visione beatifica sembra contraddire alle prospettive realistiche ' dal basso ' della cristologia, è necessario chiedersi quali elementi inderogabili veicola con sé una tale tradizione teologica veneranda, che dall'epoca medioevale ha avuto un certo suffragio nello stesso magistero. 71 Si tratta qui di applicare quelle norme ermeneutiche fondamentali che impongono la distinzione, in ogni linguaggio, tra ciò che esso dice e ciò che intende dire; ovvero, si tratta di cogliere le più intime preoccupazioni di una tradizione teologica, al di là delle forme letterali del linguaggio che essa adopera. In questo caso, la preoccupazione del magistero, attraverso la dottrina scolastica della visione beatifica, era quella di salvaguardare, contro la dottrina modernistica, il sapere di Gesù sulla sua identità divina, come pure la sua singolare ed unica capacità di assolvere adeguatamente alle sue funzioni soteriologiche. Ora, in un'epoca più recente è apparso chiaramente

    70 H. BouESSE', Le Sauver du monde, Il, Le mystère de l'incarnation, Paris 1953, 377. L'A. ritiene che partendo dalla unione ipostatica non è deducibile l'esistenza della visione beatifica. 71 Per quanto riguarda gli interventi magisteriali vedi il capitolo precedente, V /B. 1., n. 20. Per quanto riguarda, invece, il magistero di Pio XI (Miserentissimus Redemptor, AAS 20 (1928), 173) e Pio XII (Mystici Corporis, AAS 35 (1943), 230), si deve aver presente che nei passi citati esso non intende pronunciarsi sulla normatività della dottrina in questione. Esso si esprime semplicemente servendosi dell'insegnamento corrente nelle scuole cattoliche dopo le eresie modernistiche.

    « LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA »

    957

    che queste esigenze sono altrett'anto bene rispettate attraverso l'esperienza immediata della 'coscienza umana' di Gesù ed attraverso quella conoscenza che gli derivava dalla luce dello Spirito, presente in pienezza in Lui (unzione). Cosl al dato nuovo, per l'antica tradizione, ma fondamentale, della coscienza umana di Cristo, si deve aggiungere come dato imprescindibile trasmesso dalla dottrina antica della visione beatifica (al di là del linguaggio rappresentativo), la necessità di un principio soprannaturale di conoscenza nella vita umana psicologica di Gesù. Questo ci porta ad affermare che per rispondere a tutte le esigenze derivanti dalla tradizione di fede e della teologia sul sapere umano di Gesù, non è sufficiente restare solo a quella intuizione della coscienza, derivante in lui, dalla stessa realtà ontologica della unione ipostatica. È necessario infatti ammettere anche la presenza in pienezza, nell'ambito della sua vita psicologica, di quella luce soprannaturale derivante dalla virtù santificante dello Spirito. Una buona via esplicativa analogica di questa forma soprannaturale di esperienza immediata del divino presente nella psicologia dell'uomo santificato dalla grazia è quella della « conoscenza mistica », derivante appunto dai doni dello Spirito e che consentirebbe alla umanità di Gesù quella singolare esperienza del suo rapporto al Padre, come pure la sua straordinaria conoscenza del cuore degli uomini (Gv 2, 24-25), come pure dei fatti riguardanti la sua missione soteriologica. «L'esperienza mistica», legata essenzialmente ad un principio soprannaturale di conoscenza, appare una valida via esplicativa di tale singolare ' coscienza ' e ' scienza ' umana di Gesù, per i suoi stessi caratteri di compatibilità con la sua condizione viale terrestl'e. Questa esperienza comporta, come fenomeno generale religioso, l'intuizione immediata di una presenza del divino, raggiunta per via piuttosto affettiva e di attrazione nella sua sfera_.72 Essa non coincide semplicemente con la connaturale apertura dell'uomo al mistero del trascendente divino, che resta, come tale all'orizzonte ultimo delle sue attese,73 anche se si innesta sempre sulla base di questa fondamentale apertura psicologica connaturale dell'uomo elevandone

    72 Tale esperienza non coincide con la comune esperienza religiosa dell'uomo. Per un approfondimento attuale del tema: C. A. BERNARD, Théologie affective, Paris 1984, 19-83 (L'instance affective); 84-129; 345-411. 73 Sulla esperienza religiosa vedi: VAN DER LEEUW, Fenomenologia della religione, Torino 1960; J. GRAND'MA.1soN, Le monde et le sacré, I: Le sacré, Paris 1966; G. MILANEsr:M. ALETTI, Psicologia della religione, Torino 1973; J. RIES, Il sacro nella storia religiosa dell'umanità, Milano 1981, 37-47. Vedi anche sezione precedente, c. III, n. 67.

    958

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E. CRISTO -

    Il!

    la virtualità,74 ma può essere definita come una singolare emergenza del divino che dall'orizzonte indefinito della esperienza religiosa dell'uomo, si affaccia nell'ambito della sua vita e si impone con la sua presenza e vicinanza. Essa è allora fondata su cli una « soprannaturale presenza » di Dio nell'uomo che suscita la sua connaturalizzazione a Lui, per cui egli è attratto al suo mistero di vita ed esperisce questa attrazione per via affettiva. Se è vero che l'uomo santificato dalla grazia non vede Dio (visione beatifica), lo avverte però presente, come oggetto di intima esperienza. Si tratta ·di una via conoscitiva che oltrepassa la sfera oscura della fede e la notte del. l'abbandono, giungendo attraverso la carità, alla realtà stessa della personalità divina. Questo fenomeno mistico di esperienza del Sacro, attribuito, nell'ambito della riflessione teologica ai carismi soprannaturali della grazia dello Spirito 75 appare, come abbiamo già accennato, coerente con lo stato viale terrestre della vita dell'uomo. E_sso è compatibile con l'esperienza del dolore e dèll'angoscia, come pure della derelizione come silenzio di Dio; esso però, esprime anche, pur nella condizione di esistenza peregrinale, il più alto grado di immediato contatto con il mistero personale di Dio. Cosl Paolo parla della sua singolare esperienza mistica di rapimento estatico (2 Cor 12, 2-4) in cui egli ha incontrato per rivelazione il Signore, pur restando in una vita avvolta di debolezze (ivi, 7-9). Nella via della esperienza mistica è possibile, allora, recuperare quel principio soprannaturale di conoscenza del Gesù storico, che per un lungo periodo la tradizione teologica ha affermato attraverso la dottrina della visione beatifìca. Bisogna tener conto però anche, come ora vedremo nel prossimo paragrafo, delle singolari caratteristiche della esperienza mistica di Gesù, considerando il carattere proprio di tale esperienza nel quadro della sua coscienza filiale. 5. L'esperienza mistica ci sembra dunque, la via più adatta per spiegare quanto la dottrina teologica della visione beatifica, nella umanità terrestre di Gesù, aveva la preoccupazione di trasmettere indicando la necessità di un principio soprannaturale di conoscenza che nell'ordine stesso del sapere umano di Gesù, perfezionasse la sua connaturale apertura al mistero del divino. Questa via della esperienza mistica, proprio per il suo carattere di sapere esperienziale, è in grado cli unifìcare i dati diversi riguardanti la coscienza

    74 J. MARECHAL, Etudes sur la psychologie des mystiques, I, Paris (2) 1938, 165; In., Intuition de Dieu dans la mystique chrétienne, in « ~tudes », Il, 362. L. BEIRNAERT, Expérience chrétienne et psychologie, Paris 1964. 75 P. DuRoux, La genèse de la foi, in «La psychologie de la foi chez Saint Thomas d'Aquin », Tournai 1963, 98-108.

    «LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA»

    959

    e la scienza umana di Gesù, tenendo conto che epistemologicamente essi non sono in realtà separabili: l'uomo non può conoscere 'oggettivamente ' qualcosa se non avendo, insieme, 'soggettivamente' coscienza di sè; così come non può avere coscienza di sè senza conoscere oggettivamente qualcosa.16 Questa struttura intenzionale della conoscenza umana, deve però essere pensata, anche tomisticamente, in una « comprensione antropocentrica dell'essere », per cui ogni incontro con una realtà oggettiva distinta dal soggetto pensante, è sempre anche un incontro dell'uomo con sé: «l'essere (forma) del mondo (materia) è inizialmente pensato come il modo reale d'essere fuori di sé dell'uomo (super aliud delatum esse), che solo gli permette d'essere ' con sé ', cioè un esistente ».77 Ancora, bisogna avere presente, nell'ambito della riflessione attuale delle scienze epistemologiche e psicologiche, che la struttura della coscienza umana è essenzialmente personalistica, per cui, sia il rapporto del soggetto a se stesso, sia quello alla realtà del mondo, si evolve in una relazione interpersonale. L'uomo prende coscienza di sé come ' io ' soggetto, entrando in rapporto ad un ' tu ',78 il quale viene quasi ad assumere, una specie di primato,79 specialmente considerando che l'immediatezza del tu umano si fonda e si apre sul Tu divino assoluto. Questi richiami ci consentono alcune importanti precisazioni nella riflessione teologica sulla coscienza e scienza di Cristo: anzitutto essa ci appare essenzialmente relazionale. I dati evangelici ci testimoniano l'importanza eccezionale che ha nella vita psicologica di Gesù il Tu paterno: il Padre è il centro della sua vita di preghiera e del suo messaggio (teocentrismo trinitario). Possiamo dire, allora, che da un lato, Gesù di Nazaret prende coscienza della propria filialità in rapporto alla straordinaria conoscenza-esperienza mistica del Padre che a Lui si mostra in maniera del tutto unica e singolare, sl che egli può dire: « nessuno conosce il Padre se non il Figlio » (Mt 11, 27) e che dall'altro, questa singolare ed unica esperienza di Dio come Padre, che suscita una chiara coscienza-conoscenza di sé, del Cristo come Figlio, è resa possibile dal rapporto ontologico-esi-

    76 Vedi TOMMASO d'AQUINO, De Verit., q. 10, a. 8; I, q. 87, a. 1-3. A. GARDEIL, La structure de l'Ome et l'expérience mystique, II, Paris 1927, 94 s. 77 J. B. METZ, Christliche, 68-69; B. WELTE, Der philosophische Glaube bei Karl Jaspers und die Moglichkeit seiner Deutung durch die thomistiche Philosopbie, Freib-Mi.inchen 1949, 72-81. 78 M. THEUNISSEN, Der Andere, Berlin 1965, .3.38 s.; E. Co11ETH, Antropologia filosofica, Brescia 1978, 158-59. 79 THEUNISSEN, cit., 357; per M. Buber, F. Gogarten, E. Rosenstock, F. Ebner, la coscienza dell' « Io sono Io » è una risposta data da una persona a cui in precedenza fu indirizzata una parola da un Tu.

    960

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    III

    stenziale di Gesù al Padre, in forza della unità ipostatica. Proprio l'identità filiale ontologica di Gesù, che si riflette, come abbiamo visto, sul piano immediato della esperienza di sé, comporta questa essenziale relazione inter-personale al Padre che dà un carattere di intensità e novità unica alla sua conoscenza ed al linguaggio che l'esprime (abba). Cosl, se la identità personale di Gesù come Figlio apriva umanamente la via ad una conoscenza nuova del Padre, è anche vero che la conoscenza del Padre che attraverso la luce soprannaturale inondava misticame~te, nella sua attrazione e vicinanza, la vita umana di Gesù, consentiva a lui la possibilità di esprimere interiormente ed esteriormente a se stesso, ed agli altri la sua identità stessa filiale. In realtà, Gesù chiama se stesso Figlio solo dinanzi al tu paterno. La esperienza mistica di Gesù era, quindi essenzialmente filiale. Essa comportava, come abbiamo visto parlando del rapporto tra Gesù ed il Padre 80 un senso straordinario di reciprocità nella parità della conoscenza intima (Gv 10, 15) e nella appartenenza (Gv 10, 38; 14, 11; 17, 21) e nella più profonda unità (Gv 10, 30; 17, 21). Di qui il senso della mutua eguaglianza che si esprimeva negli accenti di ' autorità ' eccelsa che facevano sorgere la domanda ' chi è costui? ' come pure il senso di quella reciprocità per cui la relazione filiale, come origine dal Padre si esprimeva umanamente nel modulo della obbedienza. Questo rapporto di esperienza mistica caratterizzato da questa intimità, nella reciprocità, vissuto umanamente nel modulo esistenziale dell'obbedienza e· del servizio, poteva esprimersi anche nella derelizione suprema della croce, come in una ' notte spirituale ', in cui però la prova della oscurità non interrompeva il contatto con Dio, lo slancio cioè verso il Padre, l'abbandono :fiducioso filiale in Lui.

    VJ.

    L'INCARNAZIONE E L'EVENTO DELLA MATERNITÀ DIVINA DI MARIA.

    Fin dall'inizio di questa sezione abbiamo mostrato come nel linguaggio neotestamentario di ' incarnazione ' si riassume tutto il contenuto del mistero cristologico. Come appropriazione solidale della nostra esistenza temporale, l'incarnazione ' evento ' esprime que ' divenire carne ' del Figlio di Dio che comporta il suo farsi nella storia. L'ignorare questa dimensione ha portato ad una cristo-

    · 80

    GSC, II, 271-275.

    «LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA»

    961

    logia essenzialistica, minata da un occulto docetismo che ha fatto della incarnazione stessa più un connubio filosofico tra il divino e l'umano che non quell'evento salvifico che congloba in sé tutto il processo della esistenza storica di Gesù culminante nella croce e nella resurrezione. La glorificazione di Cristo attraverso la sua morte non costituisce, quindi, un polo soteriologico concorrenziale alla incarnazione, quanto la sua pienezza. Nella misura in cui l'allontanamento dalle originarie categorie cristiane ha determinato un impoverimento della teologia dell'evento cristologico del farsi carne della Parola divina, l'idea stessa correlativa della maternità di Maria veniva ristretta quasi unicamente al suo ruolo nella concezione verginale di Gesù e nella sua nascita a Betlemme, mettendo l'accento solo sugli aspetti « ontologico-fisici » di questa maternità straordinaria per l'intervento portentoso dell'opera di Dio. La :figura di «Maria Madre di Dio » veniva sempre più ad assumere un collocamento autonomo nel quadro della salvezza, in cui si esaltava la sua individualità (svolta individuale della mariologia) ed i suoi ' privilegi ' quali prerogative esclusivamente proprie. Nel quadro di quanto noi abbiamo rilevato sulla idea della incarnazione, in questo capitolo conclusivo, l'evento stesso della maternità divina di Maria assume la sua vera significazione e valore. Illuminata dall'evento cristologico, essa a sua volta ne evidenzia aspetti che non possono essere sottaciuti per la loro rilevanza soteriologica ed ecclesiologica.

    A. Per una comprensione di fede dell'importanza del ruolo della maternità di Maria, che superi la prospettiva angusta del solo aspetto fisico-biologico, è necessario anzitutto richiamare quanto abbiamo illustrato nel nostro saggio metodologico, circa il carattere dialogico della rivelazione. 81 Questa comporta, con l'iniziativa primaria della gratuita donazione della Parola di Dio, la risposta accogliente di questa parola, nella fede, di una comunità credente, per cui la rivelazione stessa si compie. La risposta credente partecipa, pertanto, al divenire stesso dell'evento rivelativo. Tutta la storia di salvezza è la realizzazione di questo dialogo tra l'iniziativa interlocutrice di Dio e la risposta di Israele costituito come Sposa dell'alleanza, come Colei che si va preparando nel cammino dell'esodo alla venuta escatologica dello Sposo che si compirà nei tempi messianici, quando · egli le aprirà il grembo materno e la Donna-Sion darà alla luce il Messia (Is 66, 7; Ap 12, 5) ed un popolo messianico. 81 GSC, I, 235 (importanza della comunità di fede per il compimento dell'evento cristologico).

    962

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !II

    La storia della rivelazione di Dio non si compie quindi indipendentemente dall'azione e reazione di quel popolo che Dio suscita come suo partner del dialogo di salvezza. La sua elezione di Israele come « Sposa della alleanza » comporta però non solo la grazia del dono della rivelazione stessa, attraverso la sua Parola, ma anche la grazia della accoglienza di tale dono per mezzo dello Spirito, per cui Israele è costituito nella sua qualità di popolo interlocutore di Dio. L'incarnazione è il momento escatologico della rivelazione di Dio che si compie personalmente nel suo Verbo, è l'atto supremo di amore di Dio per gli uomini, la manifestazione più ·grande della grazia (Gv 1, 14 d) in maniera assolutamente unica ed irrepetibile. È l'autodonazione personale e personalizzante del Figlio di Dio che fa sua la nostra natura.82 Ma proprio la singolarità ed unicità di questo evento escatologico della rivelazione di Dio, porta con sé la singolarità ed unicità della grazia della accoglienza, nello Spirito, e della risposta fedele alla Parola, senza cui questa non potrebbe veramente incarnarsi nella storia e suscitare un autentico dialogo di salvezza. È in questo contesto soteriologico di preparazione e di adempimento dei piani di Dio che acquista importanza e significato l'evento della divina maternità di Maria. Essa personalizza in sé ed adempie la maternità messianica di Israele, costituendo la Sposa della nuova alleanza, inaugurando il nuovo incontro tra Dio e l'umanità in Cristo. Essa è, in questo senso, un momento interno all'evento stesso del farsi carne della Parola, senza di cui esso non potrebbe realizzarsi nella sua qualità essenziale di dialogo rivelativo. Ma bisogna anche considerare che questo ruolo materno di Maria è, a sua volta, costituito, suscitato come grazia, da parte dello stesso Verbo. L'atto della incarnazione, infatti, è esclusivamente proprio del Figlio di Dio e « nella incarnazione stessa e nel suo significato intrinsecamente salvifico, non interviene nessuna persona umana, neppure Maria. Al contrario, Maria riceve, dall'incarnazione del Verbo, la sua stessa maternità verginale: nell'atto stesso di assumere creativamente la sua propria umanità da Maria, il Verbo fa di Lei la sua Madre e Madre Vergine;· ma non è Maria che fa di Cristo suo Figlio, bensì Cristo che fa di Maria sua Madre ». 83 Così a motivo dell'evento cristòlogico, la maternità di Maria segna l'adempimento ed il passaggio dalla « funzione materna » dell'antico Israele alla Sian dei nuovi tempi: in Maria inizia la nuova relazione della umanità a Dio attraverso un salto qualitativo. La ' grazia ' della incarnazione suscita 82

    J.

    83

    Io., Ivi, 32.

    ALFARO,

    Maria. Colei che è beata perché ha creduto; Roma 1983, 31.

    «LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA»

    963

    il soggetto capace di accogliere, nella ' grazia ', l'ingresso personale della Parola nel tempo. La maternità divina di Maria è quindi non solo il risultato di un intervento onnipotente di Dio Creatore, che opera il più grande prodigio fisico della storia: quello di trarre ed assumere (in ipsa assumptione creatur: Agostino, PL 44, 688) una umanità dal seno di una donna, facendone la propria umanità, ma è anche, ed indivisibilmente, l'accoglienza interiore dell'evento, nella grazia della fede per cui avviene nello stesso tempo, l'inizio della maternità della Chiesa. Ora possiamo meglio definire gli aspetti fondamentali dell'evento della divina maternità di Maria come evento sia fisico che personale, nell'orizzonte salvifico, in rapporto sia alla incarnazione che alla mistica maternità della Chiesa .

    .

    B. Anzitutto la maternità divina di Maria va veduta in rapporto all'evento Cristo, nel senso che, suscitata da questo evento, come abbiamo ora visto, si definisce interamente in rapporto ad esso. Ora, considerando che l'incarnazione comprende il tutto del mistero storico della vita del Salvatore che culmina nella croce e resurrezione, la maternità di Maria si allarga ad un riferimento globale, a tutto l'arco di questa esistenza. Maria, in altri termini, non è solo la Madre del fanciullo che essa genera a Betlemme, ma anche la Madre che esercita un ruolo a Cana di Galilea e presso la Croce. Questa funzione di maternità, esprime quel consenso all'evento della venuta della Parola che Maria vive personalmente dalla annunciazione fino al Calvario. È la prospettiva salvifica della divina maternità di Maria rilevata soprattutto dalla LG VIII, 61-62 del Concilio Vaticano II: essa non si dilunga sul discorso ontologico, dato come acquisito, nel titolo Theotokos dei concilii della Chiesa antica, quanto pone in stretto rapporto la funzione materna di Maria, con la missione, per cui ella partecipa all'opera salvifica di Cristo.84 Maria è Madre del Verbo inquanto Salvatore e perciò il tema della divina maternit~ non viene evoluto solamente in rapporto alla sua Persona Divina, ma anche in rapporto alla sua opera.85 Di qui la rela84 Il Concilio Vaticano II ha inserito in LG VIII, 55-56 il titolo di Theotokos, ma la sua preoccupazione è stata .quella di sottolineare la divina maternità come evento salvifico: G. BARAUNA, La SS.ma Vergine al servizio della economia della salvez:z:a, in AA.VV., «La Chiesa del Vaticano II», I, Brescia 1965, 1137-1155; S. ME.o, Maria nel c. VIII della «Lumen Gentium »: elementi per una analisi dottrinale, Roma 1975; ID., La « Marialis Cultus » ed il Vaticano II. Analisi e confronto sulla dottrina mariana, in Mar. 39 (1977), 115-129; Io., Il tema MariaChiesa nel recente Magistero ecclesiastico: contenuti e terminologia, in AA.VV., . «Maria e la Chiesa oggi», Bologna 1985, 39-90. 85 ALFARO, 35. «La grazia personale di Maria e la grazia del suo contributo alla salvezza della umanità si identificano: sono la grazia assolutamente singolare che Maria ha ricevuto da Cristo ».

    964

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    II!

    zione tra Madre e Figlio supera i soli avvenimenti della concezione e del parto e si estende a tutti i momenti della sua vita culminando in quella piena conformazione di Maria al Figlio che è l'Assunzione in cielo. La sua maternità è veduta come un cammino progressivo (LG VIII, 57.59) in cui ciò che umanamente Maria dà al Figlio incarnato (generazione secondo la carne, educazione) si unisce intimamente a ciò che ella riceve, arricchita dalla presenza di Lui, dalla sua dottrina, dal suo amore, per realizzare,_ con Lui, _come prima discepola, una comunione di perfezione (LG 56.58). «Se la Madre, nella generazione dà un volto al Figlio, al termine, nella assunzione, è il Figlio a riversare sulla Madre la gloria del suo volto; Il la maternità si trasforma pienamente nel cammino che Maria . e Cristo fanno insieme ... Perciò l'assunzione indica solo la conclusione in terra della missione materna di Maria. Ed allora, Maria non deve essere considerata Madre solamente perché ha generato Cristo a Betlemme, ma anche oggi continua ad essere Madre del Verbo di Dio in quella gloria in cui ambedue si trovano » .M C. Se l'evento della maternità divina di Maria va definito in modo del tutto relativo all'evento Cristo, esso non può ignorare il suo essenziale aspetto antropologico che lo qualifica come evento 'personale'. La maternità divina coinvolge Maria come essere personale: essa nella sua umanità non è solo uno strumento di cui Dio si è servito per operare la incarnazione di suo Figlio. Maria appare colei che partecipa a tale evento in tutta la sua libertà decisionale, in tutta la sua responsabilità dinanzi alla chiamata di Dio. Già nell'ambito puramente naturale la maternità è un atto che congiunge persona a persona: essa raggiunge la sua vera espressione umana quando coinvolge non solo l'organismo materno, ma tutto l'essere cosciente e volente della donna, il suo desideriù del figlio. Il carattere del tutto singolare della maternità di Maria sta nel fatto che essa è un atto cosciente e libero della sua persona, ma in quanto essa opera rispondendo ad una iniziativa gratuita di Dio come primo principio operatore di questa maternità ..., Come abbiamo già detto, è Maria, infatti, che nella incarnazione, riceve la sua maternità ver-

    86 A. Poos, La «Theotokos» ad Efeso, Ca/cedonia e nel Vaticano II, Roma 1981, 64. '01 Bisogna infatti considerare la differenza della maternità nella generazione semplicemente umana e la maternità di Maria. Nella generazione puramente umana l'azione creativa di Dio interviene dipendentemente dalla iniziativa dei coniugi che desiderano ed agiscono nella concezione del figlio. Nella maternità divina di Maria è Dio che ha l'iniziativa e Maria consente, personalmente, all'opera di Dio in Lei.

    «LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA»

    965

    ginale, perché non è lei a fare di Cristo suo Figlio, quanto è Cristo che fa di lei la sua Madre. Tuttavia, questo suo divenire Madre, per grazia, non avviene senza il suo consenso personale. Essa è amata (kecbaritomene: Le 1, 28) e scelta dal Figlio di Dio perché lo ami come Madre e Serva del Signore, corrispondendo così al suo amore. La Maternità di Maria, come 'grazia ', abbraccia l'opera imprescindibile della sua persona che, nella grazia, accoglie il Verbo nel cuore e nel corpo (LG VIII, 64; Agostino, Serm. 215, 4: PL 3 8, 107 4). Si può dire che in lei l'atto di fede si è espresso corporalmente nella concezione del Verbo fatto carne. Questo aspetto antropologico della maternità di Maria inquanto sua ' personale ' partecipazione attiva all'opera di grazia da parte di Dio per cui essa diviene Madre del Verbo Incarnato, non è separabile dall'azione dello Spirito in Lei. Tale rapporto come già abbiamo altrove mostrato 88 emerge chiaramente nella tradizione evangelica e nella tradizione dogmatica (LG 61) e tende a mostrarci come proprio nell'opera dello Spirito sta la singolarità ed unicità di questo atto personale di maternità, inquanto maternità divina. L'opera di Maria è un generare non solo secondo la carne, ma un generare ' secondo lo Spirito'. È dallo Spirito che nasce ciò che è di Dio (Gv 3, 5) ed è inquanto intimamente associata allo Spirito che Maria può divenire non solo fisicamente genitrice del Figlio del Padre, ma anche Madre appartenente all'ordine del divino, Madre nell'ordine della grazia (Mater divinae gratiae: LG 61). La sua qualità materna congiunta naturalmente alla sua femminilità, per lo Spirito, diviene qualità materna nell'ordine soprannaturale: Maria è il grembo che l'amore divino ha suscitato perché sia in grado di accoglierlo e di diffonderlo nel mondo umano. Da questo incontro dinamico tra la persona libera di Maria e l'opera dello Spirito in Lei, che la rende capace di essere Madre del Verbo Incarnato, attraverso una generazione, insieme, fisica e pneumatica, .scaturisce la relazione ontologica che fonda la sua dignità e missione perenne: « questo rapporto reale sembra implicare una misteriosa impronta analoga al carattere. Come il carattere battesimale struttura irreversibilmente la grazia del battezzato, la qualità di Madre di Dio struttura irreversibilmente la grazia di Maria ... si tratta di una grazia funzionale, ma che ha una portata personale secondo l'unica relazione della Vergine Maria a suo Figlio ed alla Trinità tutta intera ». 89 Ora, questa sua relazione, ontologico-funzionale, che qualifica il suo essere

    88

    89

    GSC, I, 237; GSC, II, 3945; 50-52. R. LAURENTIN, Maria nella storia della salvezza, Torino 1972, 94-95.

    966

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    !II

    personale, come Madre di Dio, è costituita appunto dallo Spirito, dalla sua intima unzione. \

    D. Proprio questa singolare presenza in Maria dello Spirito che è lo stesso Spirito di Gesù, il Cristo, custodisce il profondo legame tra la sua maternità nei confronti del Verbo Incarnato e quella nei confronti dei credenti in Lui {maternità spirituale). Cosl i due aspetti della maternità di Maria si compenetrano ed essa impersona la maternità della Chiesa. Se è vero, come noi abbiamo visto, che il ruolo materno di Maria si esplica nei confronti dei credenti e della Chiesa stessa per la sua singolare partecipazione all'evento della croce, è anche vero che esso trova il suo fondamento ontologico già nella generazione di Cristo. « Solo Maria, infatti, contribuì al compiersi dell'evento salvifico di Cristo: la funzione della Chiesa suppone questo evento già compiuto e lo rende attuale e presente nella storia ». 90 Maria anticipa così (non cronologicamente, ma qualitativamente) la funzione propria della Chiesa nella storia di salvezza, e la sua grazia personale (proveniente da Cristo) per la sua caratteristica di cooperazione nel mistero redentore, è grazia per tutta la Chiesa. Di conseguenza, Maria è « il prototipo della comunità ecclesiale, la persona che rappresenta la pienezza della esistenza della Chiesa, e che esercita una funzione universale in favore di tutta la Chiesa » .91 Questa funzione prototipica, che noi abbiamo delineato già nello stuello della prima sezione, attraverso l'idea della ' causalità materna' la quale esprime bene, al seguito della LG, quella di mediazione mariana, non consiste nel suo interporsi tra Cristo e la Chiesa nella produzione della grazia: Cristo dona ai credenti la sua grazia direttamente, attraverso la missione del suo Spirito (LG 60). Però, Maria esercita il suo ruolo prototipico materno, nella Chiesa, promuovendo la personale attitudine di accoglienza del dono della salvezza proveniente da Cristo. L'opera che lo Spirito ha compiuto in Lei aprendola alla grazia della maternità nei confronti di Cristo, prosegue nella maternità della Chiesa nella quale lo stesso Spirito produce quel costante e fedele consenso alla Parola di Dio Incarnata, che concretamente si è realizzato nella vita storica personale di Maria. La Chiesa, nello Spirito, vive dunque del ' sì ' cli Maria, alimentando, educando, promuovendo maternamente la crescita della fede. Correlativamente Maria opera, nella Chiesa, con la sua mater-

    911 ALFARO,

    91

    lvi, 49.

    Maria, 48.

    « LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA »

    967

    mta nello Spirito, promuovendo la piena docilità e fedeltà alla Parola di Dio.

    VII,

    L'INCARNAZIONE E LA MISSIONE DELLA CHIESA.

    Se l'incarnazion·e non è soltanto un progetto che subentra nel piano storico-salvifico dipendentemente dalla vicenda umana del peccato, ma costituisce l'attuazione di un ' mistero ' di predilezione eterna e cli chiamata dell'uomo ad essere figlio nel Figlio, allora la fede cristiana, come libera risposta e cooperazione dell'uomo alla realizzazione delle intenzioni ultime del progetto divino, possiede essa stessa una dimensione di incarnazione. Di fatto, lo stato ' disincarnato ' in cui in certi periodi è decaduta la fede cristiana è stato una tra le non minori cause della scristianizzazione degli ambienti tradizionali di fede e dell'insuccesso della missione ecclesiale nel mondo. L'incarnazione della fede e della missione si impone, allora, onde testimoniare nell'amore del credente per l'uomo e per il mondo, l'amore stesso salvatore e trasfiguratore di Dio. « Il cristianesimo non opererà la salvezza che a condizione di incarnarsi secondo la propria formula, cioè di porsi risolutamente al centro ed al vertice di questo movimento spirituale, sodale e tangibile, che noi abbiamo chiamato ' il fronte umano ' » .92 Questo linguaggio che sottolinea l'importanza della incarnazione per la fede e la missione della Chiesa nel mondo ha avuto molto rilievo nei piani di rinnovamento pastorale,93 sotto la spinta di una riflessione teologica sui rapporti tra creazione e redenzione tendente a superare ogni loro divaricazione a vantaggio di una più profonda unificazione. 94 Bisogna dire però che l'insistenza posta sulla

    92 TF.ILHARD DE C!iARDIN, La crise présente, in Ét. 33 (1937), 65-93. 93 Per una presentazione e discussione della incarnazione della fede e truss10ne negli anni 1935-1955 negli ambienti europei, vedi B. BESRET, Incarnation ou Esch11tologie? Contribution à l'histoire du vocabulaire religieux contemporain, Paris 1964; F. X. ARNoLD, Pastorale et principe d'incarnation, Paris 1964; J. ARNAUD, Incarnation de la foi, Paris 1967. Per una ripresa del tema negli ambienti dell'America Latina, Africa ed Asia: R. AGENEAU-D. PRYEN, Una nuova età della missione, Bologna 1975. Per uno sviluppo più recente della teologia della missione: S. DrANICH, La missione della Chiesa nella teologia recente, in AA.VV., « Coscienza e missione della Chiesa», Assisi 1977; In., Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Torino 1985; D. BoNIFAZI, La missione della Chiesa come evangelizzazione, promozione umana, liberazione: competenze specifiche e limiti, ivi 209-242; A. ACERBI, La Chiesa nel tempo. Sguardi sui progetti di relazioni tra Chiesa e società civile negli ultimi cento anni, Milano 1979. 94 Per un delineamento di tali idee: AcEirnr, La missione della Chiesa nel mondo secondo la teologia post-conciliare, in «La Chiesa nel tempo», 244-266.

    968

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Ili

    esigenza di una ' incarnazìone ' della fede nella storia, come sua qualità distintiva, derivante dalla stessa realtà personale della rivelazione biblica di Dio, ha creato spesso una certa ambiguità. Ci si è chiesti, infatti, fìno a che punto questa esigenza, per la fede cristiana, di «prendere corpo», veniva fatta derivare dal mistero stesso cristiano originario dell'incarnazione o non esprimesse piuttosto una esigenza proveniente culturalmente dalla rivalutazione del mondo storico, dai valori della corporeità e delle realtà terrestri. In questo secondo caso, l'importanza della incarnazione esprimerebbe piuttosto una esigenza di integralità umana: è in virtù del suo stesso essere umano che l'uomo è incarnato e cosl la spinta verso l'incarnazione della fede e della missione ecclesiale risponderebbe alla urgenza di colmare una carenza umana. Se è vero che questa esigenza di integralità umana si impone perché tutto l'uomo sia salvato da Cristo (l'Uomo perfetto=integro: Calcedonia) che si è fatto 'ciò che noi siamo ' per farci divenire ' ciò che Lui è ', è anche vero che l'incarnazione nell'umano si è realizzata in lui con delle particolarità del tutto proprie ed originali che noi abbiamo visto emergere nel corso della riflessione del pensiero di fede. L'assenza di una adeguata considerazione del signifìcato nuovo del linguaggio cristiano di incarnazione ha portato spesso ad una missione pastorale all'insegna di 'incorporare', ' assumere', 'consacrare' l'umano in un clima di incontro con il mondo, che poi si è rivelato ben presto fallace per la missione ecclesiale. Le ragioni dell'insuccesso pastorale dell'incarnazione, stanno nella precaria concezione stessa della incarnazione che ne guida il processo. Questa viene. pensata troppo in maniera esclusivamente ontologica ed antropologica che la isola dal contesto generale storico-salvifico, dall'evento soteriologico pasquale, come pure dall'attesa parusiaca. La incarnazione tende allora a divenire un polo salvifico a se stante che opera per la forza stessa della unione o della assunzione, senza rispettare le leggi intrinseche di questo evento cristologico. Allora, si giunge ad una strategia della missione in forme trionfalistiche che presumono il raggiungimento quasi meccanico del successo, attraverso un incontro troppo pacifìco tra mondo e. vangelo. 95 Per questo, appare del tutto necessario che l'incarnazione della fede e della missione ecclesiale nel mondo sia conforme alle sue qua-

    95 Vedi per esempio come nella prima metà del secolo A. DE SoRAs definisce la legge della incarnazione: « questa esigenza di prendere corpo, propria di ogni spiritualità e di ogni mistica che vuole divenire contagiosa, io la chiamo ' legge di incarnazione temporale dell'azione spirituale'» (Action r;atholique et action temporelle, Paris 1938, 23 ).

    « LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA »

    969

    lità originariamente cristiane e non si confonda con le esigenze di un immanentismo terrestre e mondano. Il che vuol dire rispettare i punti nodali della riflessione da noi presentata all'inizio del presente capitolo:

    A. Anzitutto si deve collocare la mtrnone di incarnazione nel contesto di una visione della storia di salvezza, in cui la prima e nuova creazione si corrispondono. Nella prima creazione, infatti, già è all'opera la Parola di Dio, già essa viene non solo come esemplare creativo, ma in vista del dialogo dell'alleanza. Cosl nell'incarnazione, Dio porta a termine il suo progetto originario ·(mysterium) di ricapitolare in Cristo tutte le cose (Ef 1, 10). L'incarnazione ratifica e porta a compimento, quindi, la stessa prima opera creativa di Dio. È in questo senso che la missione, di incarnazione nel mondo testimonia questo fondamentale ottimismo cristiano che ' consente ' all'uomo ed al mondo, cosciente della unità del piano storico di Dio, per cui nell'uomo c'è già, per ragioni creative, come abbiamo visto nella seconda sezione del nostro studio, una fondamentale attesa del Cristo. L'amore alla terra ed all'uomo, si esprime appunto nella incarnazione della fede che tende ad abbracciare l'integralità dell'uomo come individuo e comunità, come essere presente nel mondo, non però per motivi esclusivamente umanistici, o per ragioni puramente mondane, ma soprattutto per una lettura di fede della storia umana. Sotto questo profilo, la missione cristiana tende a prolungare la stessa opera creativa di Dio, offrendo un apporto essenziale per la costruzione di una terra dal volto più umano. B. In questo compito, però, l'incarnazione della fede e della missione, non può prescindere dal suo rapporto essenziale all'evento pasquale come dimensione propria ed originaria di questa realtà cristiana. Essa, nella legge della pasqua, richiama quel realismo della venuta storica della Parola di Dio, come ingresso in un mondo soggetto alle tenebre ed alla schiavitù del peccato dovuto al giuoco della libertà umana. È cosi che l'incarnazione è concretamente redentrice e la missione cristiana non può fare economia della « croce e della resurrezione». Solo nel passaggio pasquale, infatti, è ormai possibile ricongiungere la prima e la nuova creazione nell'unico progetto divino. La missione ecclesiale deve rispecchiare, allora, la caratteristica di quel 'divenire carne' che è un condiscendere all'ingresso nella povertà e miseria dell'uomo, al sottostare ai suoi limiti fino alla estrema derelizione della morte di croce (Fil 2, 7-8), nella sequela di Cristo, per condurre, attraverso la croce, la carne umana verso

    970

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    la sua trasfigurazione. Incarnarsi è, in questa norma pasquale, collocarsi «nell'asse di miseria del mondo; un andare verso la povertà dell'uomo, un sentire sulle spalle il peso di questa terra dolorosa. Sentire il peso. della sofferenza umana, soffrire in se stessi della sofferenza degli altri è una prima condizione fondamentale per la fecondità di questa vita personale ». 96 Alla concezione troppo antologizzata della incarnazione in cui la salvezza dell'uomo viene vista realizzata nel semplice assumere l'integralità umana, divinizzando la carne per la stessa assunzione, viene a mancare il senso cristiano della kenosi, della theologia crucis, come momento fondamentale che, insieme alla resurrezione conducono alla elevazione della carne, ad una nuova condizione di esistenza ' secondo lo Spirito '. Il passaggio pasquale alla trasfigurazione, mediante la croce, infatti, non è solo il correggere l'esagerato ottimismo terrestre che pretende consacrare ed assumere le realtà umane e mondane scavalcando la loro necessaria redenzione. Non si tratta soltanto, come dice L. Bouyer, di voler gustare troppo delle esaltazioni mistiche senza ascesi.97 Qui è in giuoco qualcosa di ben più grande: alla luce della croce e della resurrezione il processo incarnatorio realizza il compimento della. rivelazione trinitaria di Dio nell'amore redentore che riconcilia l'uomo introducendolo alla comunione del Padre per mezzo del Figlio, nella unità dello Spirito. La missione di incarnazione, allora, nella norma pasquale, tende a riscattare il mondo della prima creazione .dalle ipoteche della storia ·del peccato adempiendo il piano divino per cui la vita dell'uomo e della sua terra viene rinnovata nella potenza vivificatrice dell'Amore trinitario di Dio. 98 Questo processo segue una logica completamente diversa da qUella dell'efficientismo mondano: mentre il successo terreno avviene nella apoteosi trion-

    R. JouvERNOUX, Témoignages sur la spiritualité moderne, Paris 1946, 35. «Noi abbiamo troppo gustato le mistiche senza ascesi. Noi abbiamo opposto nei nostri cuori, l'incarnazione alla croce. Ma l'incarnazione non ha senso senza la croce. L'incarnazione non consacra dunque la carne? Si, certo, ma è per il sacrificio che la consacra» L. BoUYER, Christianisme et eschatologie, in « Vie Intellec. », 1948, 35. . 98 In reazione all'incarnazionismo inteso come semplice assunzione dell'umano, o come annuncio di salvezza ad un mondo già di per sè ordinato a Dio, per « grazia nascosta anonimamente » ed alla concezione della Chiesa come « sacramentum mundi » {vedi .K. RAHNER, Geist in Welt, Miinchen 1957; E. SCHILLEBEECKX, La mission de J'Eglise, Bruxelles 1969; L. BoFF, Die Kirche als Sakrament in Horiwnt der Welterfahrung, Paderborn 1972, 513-517) si pone anche H. U. von BALTHASAR, Cordula ovvero sia il caso serio, Brescia 1971 il quale afferma che tale incarnazionismo si risolve in cristomonismo a-trinitario, nel quale la salvezza, pur passando attraverso Cristo, centro della creazione e punto omega dell'universo, non passa però attraverso il suo mistero più profondo, quello del suo abbandono sulla croce. Vedi anche J. RATZINGER, Il n11ovo popolo di Dio, Brescia 1971, 305-325. 96

    97

    « LA RIFLESSIONE TEOLOGICA CONTEMPORANEA »

    971

    fale di un potere che travolge ogni resistenza sotto il rullo compressore della legge della evoluzione che necessariamente dissemina la storia di relitti umani, la missione della Chiesa la porta ad avanzare nella sua presenza al mondo proprio attraverso quel suo· insuccesso che ella accoglie nel segno del martirio della croce in comunione con Cristo Risorto, Signore della storia.99

    C. Il cammino della fede, la missione di annuncio del messaggio, devono percorrere perciò le tappe essenziali di questa incarnazione redentrice che implica la « croce e la resurrezione ». Se il mìsconoscere il verbum crucis conduce la legge della incarnazione ad un prometeismo superficialmente cristianizzato, ad una pagana apoteosi dell'umano, è anche vero che l'incarnazione non può essere separata dalla dimensione escatologica della resurrezione. Il mistero della gloria illumina, infatti, la stessa morte redenfrice, onde la venuta stessa nella carne è veduta in Giovanni sotto il segno della doxa. Il che è molto importante per la spiritualità e la missione della incarnazione: l'aspetto escatologico, dà il giusto valore alla discesa verso l'umano ed all'impegno temporale del cristiano, in quanto, in forza di questa riserva escatologica, egli è protetto dalle tentazioni integralistiche, dalla assolutizzazione dei modelli temporali, dalla ottusa attitudine conservatrice che rinnova nella storia il peccato anacronistico del giudaismo consistente nel suo rifiuto di crescere. La missione di incarnazione per essere veramente nel mondo il segno costante· della venuta del Logos divino, deve possedere i caratteri pasquali di questa venuta, che sono la memoria crucis e la spes resurrectionis.

    99

    E.

    ScttrLLEBEECKX,

    Gesù ed il fallimento umano, Cane. 3 (1976), 486-499.

    GONCLUSIONE GENERALE

    I. - Oggi non meno che in altre epoche storiche si fa sentire urgente la domanda di salvezza che prorompe dalla storia di passione dell'umanità, come il banco di prova delle ideologie, degli umanesimi, dei tentativi di razionalizzazione radicale della storia universale. L'emergere del dramma della sofferenza derivante sia dai limiti ontologici che dal fallimento delle libertà umane nei loro scopi, mette in scacco le grandi utopie intrastoriche del progresso umano, logorando i sistemi razionalistici che passano sopra all'uomo reale con le sue connaturali debolezze e fragilità etiche, le sue sopraffazioni sociali. Il dramma della sofferenza è così una sfida agli umanesimi imbevuti della cultura emancipatoria che esalta l'ideale dell'uomo bello, forte, razionale (il mito dell'uomo greco, del Super-uomo moderno, il mito della razza pura). Essi in realtà non offrono una risposta ad un progetto di umanizzazione che sappia integrare nella esperienza vissuta dell'umano il non-bello, il deforme, il povero e sofferente, l'uomo che vive in condizioni di miseria in modo da dare un senso, nella speranza, a tali stati e situazioni reali della nostra umanità. 1. La storia di passione della umanità è anche una provocazione per l'annuncio cristiano nel mondo. Questo . si concentra anzitutto nel messaggio salvifico del « Cristo Crocifisso-Risorto »: nella croce e resurrezione di Cristo viene infatti proposta all'uomo, non solo una redenzione dalla sua condizione di sofferenza, ma anche e soprattutto una proposta di vita umana nella quale egli può dare senso alla sua stessa sofferenza, facendone leva per un progetto integrale di autentica liberazione che gli consenta di accedere al suo ideale di umanità che Dio gli propone in Gesù Cristo, l'Uomo Nuovo. L'annuncio del Cristo Crocifisso e risorto costituisce, infatti, anzitutto, nel suo aspetto di « martirio profetico », la « crisi giudiziale » del mondo e dell'uomo, inquanto assolve una essenziale funzione rilevatrice del male sia nelle sue forme sociali che nelle sue radici personali che affondano nell'intimo dell'uomo. Sotto tale aspetto esso è « smascheramento e denuncia del male » ed impedisce ogni sua morale giustificazione. Così, l'anamnesi della croce diviene « memoria pericolosa» che condanna le forze oppressive dell'uomo e

    974

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    ne costituisce la perenne sconfessione. Questa « funzione giudiziale » viene assolta, però, dall'annuncio della croce, «positivamente», attraverso la rivelazione del messaggio dell'Amore trinitario di Dio che si manifesta in modo supremo nel martirio del Crocifisso e pone l'uomo, dinanzi a questa offerta di amore, nella permanente coscienza delle sue infedeltà e delle sue miserie, rendendo scottante la coscienza della sua oppressione. La croce esprime il pieno e libero coinvolgersi di Cristo nel dolore dell'uomo proprio per testimoniargli, nel cuore della sua sofferenza, quell'Amore misericordioso che vuole liberarlo dalla sua miseria. In questa solidarizzazione del Cristò con 1'uomo fino alla estrema nudità e derelizione della morte si manifesta cosl l'abisso di quella carità divina che va alla ricerca dell'uomo perduto e che costituisce la fonte e la potenza del suo riscatto. L'Amore, infatti, fa dell'uomo non-amato un essere amato ed introduce la riconciliazione proprio là, nell'intimo del cuore ove il dolore e la colpa disgregano l'uomo dissociandolo da se stesso. L'Amore del Crocifisso, testimoniato dal suo martirio, offre quindi un grande valore alla stessa sofferenza, facendone una « via di redenzione >~, attraverso la quale l'uomo recupera la sua identità in mezzo alle umane alienazioni. La dinamico animatore ed unificatore nella persona del Verbo. Per questo, la storia di salvezza comporta come sua dimensione essenziale il libero estrinsecarsi dell'essere trinitario di Dio, onde egli è exstaticamente come dono, in quell'altro da sè che è l'uomo vivente nel tempo. Questo ci porta ad affermare che la preesistenza trinitaria di Cristo comporta, oltre alla sua esistenza pre-temporale come Figlio procedente, eternamente dal Padre, il dinamismo per cui egli sì proietta verso l'opera creativa e redentiva fino alla sua consumazione parusiaca. La preesistenza del Cristo a cui si eleva il pensiero di fede è, allora, non solamente una sua condizione di esistenza divina, né solamente una sua condizione estranea da ogni progetto storico creativo e redentivo, ma è insieme la sua affermazione personale trinitaria inquanto principio e fondamento del « mysterion », principio unificatore e propulsore della libera economia temporale. La protologia non comporta, pertanto, alcun decadimento del senso dinamico della storia, essa piuttosto dischiude allo sguardo di fede gli orizzonti originari che guidano e garantiscono il valore eterno e definitivo del processo maturato nella storia e che raggiungerà la sua definitiva realizzazione nell'evento finale parusiaco. L'accesso del pensiero di fede al mistero della preesistenza di

    978

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    Cristo rivela quindi la sua importanza non solo teologica inquanto introduce nel cuore della sua identità trinitaria (il Verbo a-sarkos ), ma anche antropologica, inquanto introduce in quella co!1cezione del Cristo (il Verbo en-sarkos) quale prototipo nel quale è stato èreato l'uomo per essere condotto alla perfezione di figlio nel Figlio. È cosl che l'uomo è costituito nella prima fondazione del suo essere, dal primo atto creativo, già manifestazione della libera predilezione divina, per un ulteriore intento di amore, in una condizione di esistenza soprannaturale orientata verso il Cristo (nuova creazione). Il discorso sull'essere stesso dell'uomo, si colloca, alla luce della preesistenza del Verbo in una prospettiva « logocentrica » per cui egli è essere « logik6s » inquanto creato da Dio a sua immagine. L'origine creaturale dell'uomo è innestata nell'eterno dire se stesso del Padre, nel suo Verbo, e nell'eterno amore del Padre per il suo Verbo, nello Spirito. Cosl l'uomo è un essere « verbifìcato » dalla sua origine creata come «persona spirituale». Il pensiero cristiano scopre, come abbiamo potuto vedere, il primo significato personale dell'essere proprio nel quadro della teologia trinitaria e poi cristologica per applicarlo poi all'antropologia. L'uomo, inquanto creato nel Figlio, è un « essere personale » donato a se stesso, perché a sua volta, consentendo al dono dell'essere si realizzi attivamente come dono (essere per Iddio e per gli altri). Così, inquanto Dio è il Tu dell'uomo che lo evoca alla esistenza e lo pone come essere personale, la questione religiosa è il problema fondamentale dell'uomo persona e lo definisce ontologicamente come domanda e ricerca di Dio suscitata dallo stesso appello creativo della sua Parola. Ma il fatto che nell'ordine storico presente,. l'uomo sia creato per la Parola di Dio inquanto liberamente protesa verso la sua personale incarnazione, la prima creazione e fondazione dell'uomo nel suo essere lo collota' già in quell'orizzonte storico orientato escatologicamente in cui si attua (1per una ulteriore manifestazione gratuita divina) la sua proiezione verso il Cristo. La protologia, allora, dà ragione del perché ogni uomo aspiri a Cristo e del perché Cristo è il Mediatore atteso da ogni uomo, è l'ultimo Adamo nel quale egli incontra, con la rivelazione del mistero assoluto del!' Amore di Dio, la risposta decisiva ed ultima alle domande della sua vita. L'uomo 'persona' ci appare cosl come un essere' essenzialmente vocazionale il quale realizza il senso della sua personalità in un ' progetto di vita ' nel quale la sua personalizzazione sarà il frutto di una libertà in dialogo con il progetto di Dio. Egli non potrà più essere se stesso restando al piano di una possibilità puramente naturale di esistenza: il suo destino è posto da Dio oltre le sue llJ,tenti possibilità puramente umane. Il rifiuto della

    CONCLUSIONE GENERALE

    979

    sua chiamata di Dio sarebbe per lui il fallimento non solo della vocazione soprannaturale, ma anche della sua vocazione ad essere uomo. Solo in Cristo l'uomo può trovare la sua piena ' verità ', il suo integrale umanesimo. III. - Alla luce della soteriologia pasquale proiettata escatologicamente ed alla luce della preesistenza, il pensiero di fede ha penetrato. il significato dell'incarnazione come avvenimento conglobante tutto l'evento cristologico, quale venuta della Parola eterna a cominciare già dalla prima creazione, fino al suo personale ' divenire carne' (Gv 1, 14) nella pienezza dei tempi. Anche la concezione dell'incarnazione non è affatto un linguaggio che denuncia una ontologizzazione della originaria cristologia soteriologica; non è il risultato del retrocedere del pensiero di fede dall'affermazione kerigmatica centrale del Crocifisso-Risorto all'ontologia della incarnazione sotto la spinta della metafisica greca. In realtà, come abbiamo visto, sia nella Scrittura che nella patristica, l'incarnazione è un'affermazione cristologica conglobante in sè l'economia pasquale. L'ora della pasqua è un momento supremo di quella incarnazione che è una discesa nell'abisso della kenosi, in cui si opera il passaggio tra.sfigurante della carne umana. L'idea cristiana dello scambio (si è fatto uomo per farci divenire divini) non è adeguatamente compresa

    senza la dinamica pasquale: non c'è passaggio ontologico alla salvezza dell'uomo, senza il « passaggio soteriologico pasquale » e senza la prospettiva escatologica della sua consumazione parusiaca. 1. Nell'evento della incarnazione redentrice si adempie il progetto definitivo di Dio per la salvezza dell'uomo e si adempie concretizzandosi in Cristo «l'Uomo Nuovo». L'uomo, infatti, non può raggiungere la sua vera identità se non nella sua realtà di « immagine di Dio » secondo cui egli è stato creato. Questo « essere secondo l'immagine», come abbiamo detto sopra, comporta già nell'ordine storico presente un riferimento non solo al Cristo inquanto Verbo a-sarkos, ma inquanto Verbo destinato alla venuta nella carne. Avendo presente questo asserto, l'uomo ha attualmente il suo ideale prefissato in una condizione di immagine che supera le capacità della propria natura: egli non può raggiungere perciò il suo ideale senza il dono che Dio gli fa di se stesso nella sua storia rivelatrice. L'ideale più alto della umanizzazione dell'uomo si trova perciò nella ominizzazione di Dio; l'incarnazione costituisce il momen-

    to escatologico di questa ominizzazione di Dio per cui: l'uomo più umano è il Dio fatto uomo.

    980

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    2. L'incarnazione del Figlio eterno di Dio costituisce la risposta cristiana alle provocazioni della cultura antropologica contempc:irànea. Il liriguaggio di fede proclama nella dottrina dello scambio {admirabile commercium) che 1Dio si fa uomo, perché l'uomo divenga divino. Tale linguaggio sembra oggi meno attraente come ideale dell'uomo: «c'è ancor oggi un uomo ragionevole che voglia diventare Dio? Il nostro problema oggi non è tanto la divinizzazione quanto la umanizzazione dell'uomo ... cosl l'incarnazione di Dio può avere un senso per l'uomo d'oggi se ha qualcosa da dire sulla umanizzazione dell'uomo» (H. Kiing, Cbrist Sein, 433 ). All'ideale dell'Uomo Divino si contrappone oggi quello dell'Uomo Umano: la ricerca della promozione dell'uomo è l'obiettivo dell'odierno impegno e delle lotte che si affrontano nella storia dell'umanità.

    3. L'annuncio del mistero della incarnazione è 'appunto la risposta cristiana al problema degli umanesimi odierni; essa avviene in quella proposta del divenire umano dell'uomo che trova il suo prototipo nel divenire uomo del Figlio di Dio. Dio non offre all'uomo un ideale di evasione dalla sua realtà umana, che comporterebbe inevitabilmente una alienazione da se stesso, ma lo invita a realizzare quel modello di santità !filiale (divinizzazione: secondo il linguaggio della tradizione) che si concretizza nel Cristo-Uomo, come quell'Uomo perfettamente umano che incarna fi.lialmente la stessa Vita eterna che era presso il Padre e si è resa in Lui visibile ed umanamente tangibile. L'uomo che accoglie nella fede e nella sequela tale ideale di vita in comunione col Figlio, realizza la comunione col Padre, nello Spirito Santo. Ma· questa comunione con Dio comporta, nello stesso tempo, la realizzazione più perfetta della sua umanità. · Che cosa comporta, però, questa proposta umanizzatrice dell'Uomo Nuovo? Cristo, nella sua incarnazione redentrice offre all'uomo anzitutto di poter vivere integralmente la sua vita umana, anche se in modo nuovo e diverso. Gli umanesimi moderni non sono riusciti a proporre all'uomo un ideale concreto di umanità: essi hanno operato una scissione e mìtologizzazione dell'ideale umano, compreso nel predominio del bello, razionale, forte {mito dell'ideale greco e del Super-uomo moderno), dalla realtà del limite che comporta la sofferenza, lo scacco, la delusione, l'irrazionalità, la debolezza, la morte. Anche questa è realtà dell'uomo e non si può ignorare. L'uomo fa continuamente esperienza di un negativo, di un limite che costituisce la costante smentita delle sue pretese idolatriche; egli non può essere veramente se stesso senza consentire a ·questa sua radicàle finitezza contro cui urta inevitabilmente. Gli umanesmi moderni sono passati accanto al dramma della sofferenza dell'uomo, ai negativi della

    CONCLUSIONE GENERALE

    981

    storia e li hanno per lo più ignorati o respinti. In Cristo, invece appare l'uomo umano che si curva sul sofferente e gli va incontro come « Messia Crocifisso » offrendogli di poter vivere la sua stessa esperienza di dolore e di morte dando un senso ed elaborando in modo umano questa sua stessa realtà, realizzando, cosi, un progetto veramente integrale di vita. In questo senso si può dire che l'umanesimo cristiano è veramente un « umanesimo radicale » e che seguendo i1 Crocifisso-Risorto l'uomo può veramente non solo vivere nella gioia i suoi progressi e le sue conquiste, ma anche vivere il suo dolore e la sua morte. 4. Il progetto cristiano di umanizzazione dell'uomo non si ferma a questa realizzazione di integralità di vita. L'umanesimo cristiano trascende i progetti degli altri umanesimi, non solo orizzontalmente, perché essi sono parziali e non integrali. La proposta « dell'uomo nuovo » che proviene da Cristo supera nella sua novità ogni modello culturale di umanizzazione perché esso, mediante l'opera di Dio, in Cristo, porta l'uomo, attraverso il passaggio nella accettazione della sua stessa esperienza del suo limite connaturale al superamento radicale della sua condizione precaria di esistenza. Cristo non solo conduce l'uomo a vivere in modo nuovo la sua stessa esperienza di limite, ma a superare la sofferenza e la morte in una condizione di pienezza di vita nella comunione perfetta con Dio e con gli uomini. ·È proprio questa luce di speranza che rende tale esperienza vivibile. Il Cristo, inquanto Figlio dell'Uomo Crocifisso e Risorto dai morti offre all'uomo di essere oltre ogni residuo di colpa, oltre il dolore e la morte. L'uomo non può da solo superare i suoi limiti connaturali, non può risorgere, né autogiustifìcarsi, non può raggiungere una vera libertà. Dio gli offre in Cristo la possibilità di vivere una esistenza filiale nella libertà nuova dell'amore, nella comunione con il mondo e con gli altri, comunione che scaturisce dalla vita stessa trinitaria di Dio che abita in Lui. L'immortalità a cui egli aspira non è una sola indistruttibilità, ma l'adempimento di ogni aspirazione del vivere. L'uomo, in Cristo, si realizza nella sua vera identità inquanto è ·portato dall'opera di amore del Padre, a raggiungere, oltre le sue umane possibilità,· quella idea di umanità, da cui era già stato plasmato nel suo primo istante creativo.

    INDICE ONOMASTICO

    I numeri romani si riferiscono ai tre volumi dell'opera; i numeri arabi si riferiscono alle pagine; tutti i numeri arabici che seguono senza altra indicazione un numero romano si intendono riferiti allo stesso volume. I numeri congiunti tra loro da trattino indicano che la citazione dell'autore in questione abbraccia tutte le pagine comprese tra i numeri estremi; i numeri seguiti da asterisco indicano i luoghi ·in cui l'A. è trattato in modo particolare. ABELARDO, III, 366, 876 ACERBI A., III, 551, 967 ACQUAVIVA S., III, 467 ADAM K., III, 346 AooRNO Th. W., III, 412, 456 AEBY P. G., III, 317 AERTS Th., II, 322, 323 AFFEMAN R., III, 457-58; 461 AGENEAU R., III, 967 AGOSTINO, II, 105, 177, 249, 508; III,

    289-90-91-92*, 299, 300, 305-11*, 316, 324, 325, 326*, 327-28", 331-32", 336, 338-40, 342, 344-46*, 350, 355, 35758*, 388, 430, 452, 499, 531, 560, 678-79*, 682-83*, 685, 686, 688, 694, 721, 722-23-24*, 733, 742, 744, 755, 820, 869 AIELLO A., III, 1, 2, 6 ALBERIGO G., III, 551 ALBERT C., II, 564 ALBERTO M., III, 376, 377 ALBERTSON J. S., III, 372 ALESSANDRO DI HALES, III,. 368,. 690, 691c92* ALETTI M., II, 191; III, 957 ALFARO J.. III, 300, 470, 472, 544, 582, 584, 734, 741, 745; 753, 962-63, 966 ALGISI L.,. III, 116 ALLMEN (von) D., III, 638 ALLO E. B., III, 46, 136, 204, 210 ALLPORT G. w.. III, 736 ALONSO DIAZ J., II, 87, 139, 263; III, 580, 582 ALONSO SCHOKEL L., II, 220; III, B ALPERS H., III, 277 ALSZEGHY Z., I, l; III, 10, 111, 134,

    273-74, 276-77, 365, 367, 373-74; 389, 392, 396, 414, 425, 427-28, 441, 449, 439,90*' 496, 501, 549-50, 621, 623, 693, 741

    ALT A., I, 138, 139, II, 10 ALTANER B., III, 609 ALTHAUS P., I, 106, II, 341; III, 53,

    396 ALTIZER T., I, 15 AMATO A., I, 80, 234 AMIOT F., III, 115 AMBROGIO, III, 285, 305*, 310, 326. 331,

    336, 339-40, 344, 350, 355, 381, 678, 819 AMBROSIASTER, III, 306 ANAVATI G. c., III, 465 ANCILLI E., III, 426 ANDERSEN S. C., III, 279, 799 ANFILOCO DI lcONIO, III, 675 ANONIMO MONASTICO XII s., III, 364 ANSELMI M., III, 425-26 ANSELMO, III, 276, 291, 365-66*, 381, 384, 386, 427, 499, 686-687, 874 ANTISERI D., I, 97 APOLLINARE DI L., III, 812-814'' APOLOGISTI, III, 301 ARio, III, 667-668*, 669, 671 ARISTIDE, III, '350 ARNAUD J., III, 967 ARNOLD F. X., III, 555, 967 ARON R., I, 39; III, 412 ARl!.ONIZ J., III, 296 AsBNDORF U., III, 387, 391 AssMANN H., III, 477 ATANASIO AL., II, 600; III, 287*-88-89, 294-96*, 302-303*, 310, 319-21*, 322, 330, 416, 672, 673, 674*, 680-81*, 695*, 706, 709, 733, 794, 810-812", 864-866* ATENAGORA, III, 3,4, 6'9-660, 701 AUBINEAU A., III, 296 AUDET J. P., III, 31,, 656, 796 AUER A:, III, 461, 604, 728 AULEN G., III, 276-77, 284-85, 863

    984

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    AUSlJ]IEL D. AuvRAY P., BACHT H., BACKES L, BAER von

    P., III, 543 III, 106

    I, 167; III, 8, 831, 937 III, 877 H. II, 289, 290, 293, 294,

    598, 599, 604

    H. U., I, 98, 107, 113, 177, 181, 194-197*, 237; II, 362, 454, 617; III, 71, 357-58, 394, 414, 512, 514-15*. 518, 524-25*. 527' 530-533*, 535, 541, 553, 561, 566, 718, 741, 753, 791, 870, 892, 932, 935, 951, 970 BALZ H. R., III, 21 BANDAS R. G., Ili, 110 BANEz, III, 890 BANKS R., II, 165 BARAUNA G., I, 240; III, 963 BARBAGLIO G., II, 144 BARBEL ]., III, 796 BARBOUR R. S., II, 458 BARDY G., III, 663, 674 BARNABA, III, 659 BARNABA Ps., III, 301, 315, 347 BARNARD C. w., III, 351, 355, 799 BARNES T. D., III, 663 BARR J.. III, 934 BARRET C. K., II, 284, 287, 291, 416, 502, 508, 587; III, 118, 182, 185, 193, 227 BARRETO J.. III, 92, 156-57' 187' 781, 786-87, 789 BARSOTTI D., III, 309 BARTI-1 K., I, 54, 97-99*, 103, II, 81, 484, 523-524; III, 53, 57, 394-396*, 399, 406, 414, 440, 478, 503, 525, 565, 579, 596-97*, 607, 708, 716-719* BARTHES R., II, 201 BARTINA S., III, 203 BARTMANN B., III, 717 BARTSCH H. W., II, 194, 490; III, 63 BARUCO A., II, 25 BARUCQ A., III, 769 BARUZZI J., III, 424 BASILIO M., II, 105; Ili, 310, 321-3i2*, 326, 328, 351, 416, 673, 675* 676-77, 681, 694. 815 BAUER c .. III, 42 BAUEJI W., III, 351, 563 BAUEJI J. B., III, 103 BAUM G., III, 81 BAUMBACH G.; II, 187, 190, 191, 427 BAUMGARTl!N J., III, 171 BAUR J., III, 458, 463 BAUS K., III, 796 BAVEL van I. J., III, 820, 955 BALTHASAR von

    154,

    III

    BEASLEY·MURRAY G. R., II, 291, 294 BECKER II, 29, 61, 96, 217, 230, 237 BEDJAN P., III, 825 BEDNARSKl A. F., I, 220, 221 BEHM ]., III, 790 BEIRNAERT L., III, 958 BELLARMINO R., III, 427-28 BELLINI E., III, 812 BELO F., II, 168, 182, 186, 199, 200,

    J..

    201, 218 BENEDETTO VIII, III, 685 BENGSCH A., III, 286 BENOIT A., Ili, 279, 286, 662 BENOIT P., I, 144, 155, 157; Il,

    42, 45, 50, 180, 181, 373, 401, 406-407, 411, 412, 413, 415, 417, 436, 437, 440, 455, 458, 460, 464, 465, 467, 469, 470, 473, 476, 477, 483, 484, 488, 490, 493, 494, 497, 499, 508, 512, 551-552, 554, 578, 580, 587, 593; III, 69, 82, 86, 171-72, 177-78", 181-82*, 224-26*, 249, 528, 622, 624, 636-637, 640-41*, 649-51*, 653, 655, 711, 782

    c.

    BENT N., III, 477 BENVENISTE E., II, 485 BERDJAEFP N., III, 417, 422, 512 BERGSON, III, 36 BERKHOP H., III, 808 BERNARD R., III, 293-94, 733 BERNARD A., III, 957 BERNARDO, Ili, 362-63, 364, 381-82, BERNEY R. F., II, 80 BERTEN I., I, 28, 121; II, 529-30;

    c.

    388

    III,

    402-403 BERTHOLET F., III, 466, 934 BERTHOUSOZ R., III, 658, 798 BERTRAND F., III, 363 BERTSCH L., III, 801 BESRET B., III, 967 BETHGE E., III, 406 BRTZ H., Il,•322 BRTZ III, 58, 73, 88, 214, 609 BETZI III, 940 BEUMER III, 10, 340 BIEDER III, 288 BIERBAUM W., III, 281 Bil!NECK J.. II, 405; III, 249 BIFFI G., III, 504, 607 BIGO P., II, 130 BILLERBl!.CK P., II, 26, 29, 88, 238,

    o.. J.,

    J.,

    w..

    285,

    533; III, 784 BlLLOT L., III, 436, 879, 899 BILUART, III, 747 BINI L., 133 BLACK M., II, 23, 397 BLAf'fllINO G., III. 916, 925 BLANK Il, 37, 479, 480, 482,

    J.,

    587; III,

    985

    INDICE ·oNOMASTICO

    5, 66, 93, 135, 182-83', 195, 251, 254-55, 286, 781, 789 BLASER P., II, 170 BLATTER T., 224 BLENKINSOPP J., III, 607 BLIGH J .. II, 536 BLINZER J., II, 38, 56, 194, 211, 465, 467 BLOCH E., III, 409, 471, 572 BLONDEL M., I, 195 BoDARD III, 362 BoDE E., II, 547 BOEZIO, III, 876 BoFF L., I, 112, 223-224-225*, 244, 246, II, 199, 203, 206, 478; III, 461, 47778*' 480, 482-83*' 484, 486-87*' 496, 516, 526, 551, 607, 608, 748, 752, 970 B6HME, III, 512 Bo1sMARD M. E., Il, 473, 542; III, 182, 186, 189-91, 226-27, 260, 528, 642, 711, 770, 781, 787 Bowrnv, III, 666 BoMAN T., II, 82, 458, 459, 493, 494; III, 934 BoNAVENTURA, IÌI, 362, 366, 367, 378, 383, 690, 691-92", 693, 717, 733, 873 BoNDOLFI A., III, 456, 460 BoNHOEFFBR D., I, 5, 140, 173; III, 406409* BoNIFAZI D., III, 967 BoNNARD P., II, 39, 335; III, 629, 632633 BoNNEFOY F., III, 727, 908 BoNNER C., III, 286 BoNSIRVEN J.. II, 184, 374; III, 118, 196, 632 BoNWETSCH G. N., III, 279, 662 BORDONI M., I, 23, 65, 69, 90, 145, 175, 178, 179, 189, 213,· 217, 218, 241; Il, 45, 224, 246, 248, 309, 582, 583; III, 1, 7, 15, 17, 19, 34, 40, 49-50, 67, 78, 80-81, 93, 101, 109, 113, 134, 137, 153, 155, 187, 202-03, 211, 455-59, 463, 475, 479, 486, 520, 533, 541, 546, 547, 561, 613, 624, 628-29, 652-54, 681, 709, 724, 743-44, 746, 748, 765, 856, 882, 934, 940, 942 BoRGEN P., III, 232 BoJU P. C., I, 219; III, 554 Boaos L., III, 533-34*, 535, 539.qo, 607-08 BoRNKAMM G., I, 44, 47, 48, 50-51-52, 54; Il, 81, 98, 118, 141, 156, 159, 160, 167, 168, 174, 176, 184, 223, 327, 341, 378, 393, 396; III, 101, 786

    c..

    BoRRAT H., III, 456 BORSCH F. H., II, 386 Bosco N., III, 417 Bossuu B., III, 524 BOTTE D., III, 631-32 BOUESSE' III, 727, 880, 889, 908 Bou1LLARD H., III, 394, 741 BouTTIER M., III, 154 BOURASSA F., III, 505 BoURDALOUE L., III, 524 BoURGEOIS H., I, 222, 223, 263 BoussET W., I, 156; II, 73, 316,

    J.

    405; III, 238, 241, 247-48, 250, 288, 333 BoUYER L., I, 96, 238; III, 561, 562, 567, 633, 792, 865, 914, 970 BovER J. M., III, 336, 342 BovoN F., III, 197 BoWEN C. R., II, 272 BoYER C., III, 733 BRANDON S. G., II, 190, 191, 199, 465, 468 BRAUN F. M., II, 27, 95, 380-81, 388, 505, 508, 509; III, 116, 155, 188, 771, 781, 790 BRAUN H., I, 55, 106, II, 190, 305; BRÉHIER E., III, 36, 769 BRETON s., III, 424 BREUN!NG w .. III, 71 ERODER I., II, 547 BROGLIE de G., III, 505-506 BROX N., II, 378, 388, 389, 391, 393; III, 234, 781, 797 BROWN R. E., II, 40. 87, 256, 459, 502, 552; III, 135, 785 BROWNLEE H. W., Il, 23 BRUNNER E., I, 102, 107; III, 578, 607 BRUNNER G., III. 348 BuirnR M., I, 156, II, 10, 168; III, 39, 720, 753 BunE' G., III, 838 BiicHSEL F., III, 586 BucKLEY T. W., III, 631 BULGAKOV S., III, 325, 327, 417-422'', 512, 664, 666, 679, 687, 944 BULTMANN R., I, 38, 41-42-43-44-45*, 46, 48, 62, 65, 68, 99, 100, 101-102103-104-105*, 171, 172; II, 81, 83, 235, 361, 388, 396, 405, 437, 523-524, 548; rn.".»"·"·~.~.~. ~5. 238, 247-48, 397-399*, 401-03, 409, 477, 709-10, 768-69, 837 BURDEAU G., II, 31 BURGHARDT w. J., III, 298 BURI F., II, 83 BURNEY X., 631, 640 BusscHE H. (van den), vedi VAN DEN B.

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    986

    CABASILAS N., III, 416 CABIE' R., II, 600 CADBURY H. J., III, 248 CAILLOIS R., II, 265 CAIRD D., III, 159 CALVEZ Y., II, 32 CALVIN J., II, 484, 589;

    III, 393-94,

    524, 532 CAMBE M., CAMBIER

    Il, ·43

    J., III,

    104, 125, 196, 204,

    207-208, 210

    T., III, 655, 825-26, 82829, 830-31, 833 CAMPENHAUSEN H., III, 466 CANTALAMESSA R., III, 286, 293, 315-16, 319, 322, 663, 794, 800, 802-03, 822, 843, 940-41 CAPELLE B., III, 281, 633 CAPREOLO, III, 879, 890 CAPRILÉ C., III, 12 CARCIONE F., III, 849, 851 CARMICHEL ]., II, 199 CARREZ M., Il, 232, 544, 569, 593 CARRIERE J. M., III, 833 CASEY R. P., III, 23 CASPAR R., III, 465 CASPER B., III, 720 CATAO B., III, 367-68, 369-70, 372-73 CAMELOT

    CATCHPOLE D. R., II, 471 CATERINA da SIENA, · III, 363 CAZELLES H., I, 138, 139, 184,

    185, II, 10, 15, 17, 18, 19, 25, 166, 299, 303, 419; III, 34, 104-105, · 507. CAZENEUVE J., III, 464 CECCHETTI I., III, 858 CERFAUX L., I, 59 ,61, 63, II, 56, 57, 58, 59, 60, 99, 112, 114, 145, 221, 230, 262, 270, 312, 327' 339, 348, 354, 392, 393, 455, 457, 464, 485, 604; III, 89, 114, 161, 172-73, 178, 196, 201, 204, 207-08, 210, 322, 236-37-38, 556, 592, 636. 778, 780, 946

    CESARIO, III, 288 CHAINE J .. III, 529 CHARDON L., III, 524 . CHARLIER P., I, 34

    J.

    CHENU M. D., III, 728, 741, 908 CHEVALLIER M. A., II, 63, 284. 287, 288, 289, 290, 291, 293, 294, 599, 600, 678 CIOLA N., III, 550, 734, 741 CIPRIANI s., I, 83, II, 422; III, 21, 183, 526, 940 CIPRIANO, II, 501; Ili, 304*, 329, 331, 343, 349 CIRILLO AL., III, 288-89, 295, 297-98*, 303-4*, 310, 323-24*, 331, 338-3.39,

    IJI

    342, 344, 350, 682*, 684, 694; 794'95, 805, 821-823*, 828, 869-70*, 941 CIRILLO GER., III, 288, 327, 329, 355, 357 CITRINI T., III, 919 CLARK M. T., 678 CLEMENTE AL., II, 105, III, 281-82*, 294, 316, 330, 338, 343, 348''' 664; 805806* CLEMENTE ROM., III, 278, 301, 309, 315, 348-49*, 350, 352, 353, 659, 797, 805806* CLEMENTE RoM., III, 278, 301, 309, 315, 348-49*, 350, 352, 353, 659, 797' 805-806 CLEVENOT M., II, 485 COATHALEM M., III, 336, 339, 380 CODA P., III, 417, 512, 518, 538, 541 CODINA, III, .361 COLLINGWOOD R. G., III, 871'72 . CoLLINS J., III, 196 COLOMBO D., III, 632 CoLOMBO G., III, 734, 741 COLONNESE L. M .. III, 473 COLZANI, III, 449, 741 CoMBLIN J., II, 205; III, 196-97, 209, 229, 230, 234 CoNE I., III, 494 CoNGAR Y., I, 2, 5, 175, 218, 240, II, 68, 291, 294; III, 71, 337-341 *, 345, 387, 432, 546, 551-53*, 555-56*; 689, 691-92, 694, 708, 115, 736, 747, 75051-52*, 837, 882, 891, 944 . COLPE c., U, 385, 389, 390 CoNRADT-MARTIUS H., III, 534 CoNZELLMANN H., I, 54, so.· 81, 455; III, 59, 85, 89, 213, 215 COPE L., II, 367 CoPPENS J., I, 138; II, 10, 12, 13, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 24, 27, 47, 67, 77, 173, 232, 380, 380-81, 382, 384, 386, 388-391, 404, 408, 412,-13, 419', 422, 533, 563, 572-73; III, 49, 50, 232, 234 CoRELL. A., III, 182, 186 CORETH E., III, 959 CoRNELIS H. M., III, 355, 464 CoRNEus E., III, 658 CoRSANI B., III, 196 CoRSINI E., III, 159, 196, 204, 207 CoTHENET E., II, 62 Cox R, III, 42, 462 CRADDOCK F. B., III, 622, 631,. 636, 649 CRAGHAN J. F., I, 142 CRESPY G., ·II, 203, 476, 478; III, 470 CRIBBS

    F. ].. II, 45

    987

    INDICE ONOMASTICO

    G., II, 554; III, 331, 338, 350, 357, 430, 819* CROUZEL H., III, 281, 293-94, 355, 664, 733, 806-07 CUENOT C., I, 118; III, 729, 909 CULLMANN 0., I, 9, 10, 19, 21, 23, 33, 34, 131, 133*, 134*, 136, 155, 156, 166, 168; II, 41, 190-91, 199-200*, 317, 343, 364-65*, 378, 382-383*, 388, 396, 410-411*, 467, 478, 539, 555; III, 43, 60-63*, 65-66*, 90, 99, 185, 225-26*, 232, 235, 238, 240-41, 245-46*, 258, 261, 263, 607, 622, 642, 645, 648, 650, 710-11 CRISOSTOMO

    DACQUINO P., III, 107 DAECKE M., I, 120 DAHL M. A., I, 44 DAHRENDORF R., I, 190; III, 437 DALMAN G., II, 443, 444; III, 238, DALY c. B., III, 304 DANIÈLOU J., I, 21, II, 37, 61,

    s.

    240

    511, 524-25, 527; III ,169-70", 184, 281, 293, 314, 656, 664, 752, 796, 802-03", 806, 840, 867, 933 DARLAP A., I, 117, 131, 136, 168 DAUBE D., II, 351 DAVER A., II, 502 DAVIES w. D., II, 169; III, 82, 640 DAVIES J. G., II, 603 DE BASLY D., I, 73; III, 900, 907 DE BRUYNE, III, 350 DE FrNANCE J., III, 538, 542 DE FroREs S., III, 561, 563, 568 DE FRAINE. J., II, 11, 23 DE GHELLINK J., III, 360 DE GoEDT M., II, 123, 503 DE HAEs, II, 521 DEISS L., II, 126 DEISSLER A., I, 138, II, 564 DEISSMANN A., III, 146 DEJAIFVE G., I, 249 DELAHAYE K., III, 333-34, 339, 343, 553, 555, 556 DE LA TAILLE M .. III, 304, 899 DELHAYE P., III, 445 DELLING G., I, 177; II, 236; III, 399 DELOBEL J.• II, 217 DELORME J., I, 69; II, 29, 62, 159, 315, 535, 537, 549, 551, 553, 556, 559561, 567, 572 DE LUBAC H., I, 114; III, 333, 340, 342343, 360, 363, 553, 734, 741 DE MARGERIE B., II, 270-71 DEMBOWSKY DEMMER

    H., I,

    171

    K., III, 463

    DEMPF A., III, 872 DENIS H., I, 93, 242, 243 DENIS A. M., II, 242 DENZINGER H., III, 435 DEQUEKER L., II, 386 DE RIEDMATTEN H., III, 808, 812, 814 DERVILLE A., III, 426 DE SAINTE MARIE J., III, 561 DESCAMPS. A. L., I, 29, 65, 76, 82;

    II, 110, 139, 214, 382-383'', 391, 404405*, 408; III, 34, 79-80*, 231, 232, 250, 252, 254, 551 DE SoRAS A., III, 968 DESROCHE H., II, 34 DE ToLLENAERE M., III, 468 DETTLOFF W., III, 427 DE VALOUS G., III, 362 DE VAREBEKE A. J., II, 501 DE VAUX R., I, 139; II, 13, 166, 187 DE VILLE R., Il, 11 DEVREESSE R., III, 818 DE VRIES, III, 825 DEWART L., III, 701 DHANIS E., II, 250, 526,

    528, 530, 542,

    548-549, 567 DHAVAMONY M., III, 466 DHOQUOIS G .. II, 182 DIANICH S., I. 246; III, 967 DIBEL!US M., II, 73, 316,

    405, 459, 548; III, 97, 146 DIDIER M., II, 126 DIEPEN H., III, 825, 831-32, 899, DILLENSCHNEIDER C., I, 242 DILLOR R. J., II, 144 DINKLER E., III, 84 DIONIGI AL., III, 808 Drnscoao ANT., III, 830 DIVARKAR R., III, 12 DoBMAYER M., III, 431 Dono C. H., II, 80, 82, 116-118*, 128*, 364, 439; III, 55-57*, 92, 193, 227, 578-79*, 580 DocKu S., II, 37, 56, 57, 440-41 DOIGNON J.. III, 819 DoLLE D. R., III, 292 DOMMERSHAUSEN W., II, 187 DONDEYNE A., I, 107; III, 36, 546, 689-90 DoNDEYNE A., I, 107; III, 36, 546, 689-90 DossETTI G. L., III, 673 DOWNING F. Y., I, 61 DRAY H., I, 39 DREVES G. M., III, 364 ·DREY von J. R., III, 432, 435 DREYFUS F., Il, 34, 35 DRIES van den I., III, 822

    456, 906

    126184,

    687, 687,

    988

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    DRIESSEN W. C. K., III, 845 DUBARLE A. M., III, 611 Dmims B., II, 232 Du BmT F. M., Il, 126 DUMEIGE G., Ili, 691 DuscHESNE L., III, 849 DUESBERG H., III, 106 DuFOUR X. L., vedi Léon-Dufour . DUPLACY J., II, 139 DUPONT Il, 17, 32-34, 69-70, 72-75,

    J.

    J.,

    88, 94, 99-103*, 108-110, 113-114*, 116-121 *, 124-126*' 128, 131, 133, 135-137, 139, 143-144, 196-197, 206209, 212, 214-217, 221, 223, 311, 349, 368, 370, 377, 400401, 492493, 516, 536, 554, 563, 571, 573, 584-585, 589, 602; III, 27, 76, 79, 91, 94, 143-44*, 169, 172, 177, 187-88*, 216, 234, 236, 238, 240, 244, 246, 253, 278, 640, 642-43*, 648 711, 781 DUPONT A., II, 238-39 DuQuoc C., I, 154, 173; II, 5, 61, 343, 378, 386, 484, 516; III, 75, 399, 401, 477-78*, 482, 487-89*, 494, 496, 502, 506, 512-514*, 519, 522-23*, 526-27*, 534, 578-79*, 594, 601-602*, 666, 669, 723, 888, 948 DuNAS N., III, 744 DuNN J. D. G., I, 245 DuRoux P., III, 744, 958 DuRRWELL F. X., III, 35, 114, 133-134, 141

    G., I, 50-54, 171; II, 523; III, 13, 22, 28, 403, 405, 891 EBERSHOLD G., III, 460 EBNER F., III, 720 . ErCHRODT w., I, 142; Il, 87, 183, 227, 271; III, 39, 104, 507, 631, 770 EINSTEIN A., III, 457 ELIADE M., II, 265, 574 ELLIS E. E., III, 89 ENDRES J., III, 720 EPIFANIO, III; 310, 338, 350, 354, 68182*, 694 EPIFANIO Ps., III, 288, 810, 814 ERBETTA M., III, 797 ERDMANN K. D., III, 36 ERMA, III, 288, 314-15, 329, 350, 352, 656, 659 ERMONI V., III, 281 ERNST J., II, 326 ETCHEGARAY M., I, 246 EunoK1Mov P., I, 182, 237; III, 3-27, 328, 334, 416-417, 422-23, 512, 518; EBELJNG

    944

    lll

    EUSEBIO CEs., III, 672, EUSTAZIO ANT., III, 354, EVAGRIO, III, 677 EVANS E., III, 126 EVANS G. R., III, 365 EVELY, III, 563

    808 810, 817

    FASCHER E., II, 561 FECKES C., III, 336, 345 FEIL E., I, 173 FEINER I, 133 FENEBERG R., Il, 37, 56 FELICI S., III, 347 FENEBERG W., Il, 37, 56 FERRARO G., III, 306, 849 FESTORAZZI F., II, 562, 563;

    J.,

    III, 293,

    622 FEUERBACH L. A., I, 108, 173; III, 699 FEUILLET A., I, 33, 237, 23'8, 241; II, 26,

    27, 37-38, 40-45, 51, 65, 68, 69, 71, 72, 94, 99-100, 101, 130, 148, 149, 162-164*, 177, 222, 243, 271, 273, 275, 331, 374, 388, 393, 401, 416, 419, 435,, 437, 458-459*, 462, 473, 501, 505*, 509, 594, 597, 598; III, 82, 92, 98, 109, 117-121*, 125, 158-59*, 126-27, 131-32*, 136, 146-147' 148, 150-'52, 155, 158-160*, 163, 172, 177, 196-97*, 204, 207, 225, 26, 629, 634-35*, 63638, 640-44*, 767-68, 772, 779, 781-83*' 785' 787-89* FICHTE, 720 FIEDLER P., II, 217 FILARETE di MOSCA, III, 422 FILOGRASSI I., III, 443, 505 FILONE, III, 659, 769 FIORENZA E., III, 203 FIORES de, vedi DE FIORES FINEGAN J., II, 37, 56 FISCHER J. A., III, 349 FrsCHER K. P., I, 111 FISICHELLA R., III, 1 FrTZMER J., II, 40 FITZMEYER J., II, 353, 491; III, 314 FLANAGAN D., III, 609 FLAVIO G., II, 191, 213 FLENDER H., Il, 77; III, 61, 63 FuCK M., I, 1; III, 10, 111, 134, 27374*, 276-77*, 365, 367, 373-74*, 389, 392, 396, 414, 425, 427' 441, 489-90*' 496, 621 FLORES s. F., III. 340, 344 FLOROWSKY G., III, 347, 354, 357 FOERSTER W., III. 238 FoLGATO FLoREz S., III, 333, 335 FONDEVILA J., III, 818

    INDICE ONOMASTICO FooT MooRE G., III, 772, 927 FORTE B., I, 83; III, 21, 512, 893 FORTIN E. L., III, 832 Fozro, 685" FRAIKIN D., II, 535 FiiANèESCO di SALES, III, 427 FRANCO E., III, 225 FRANSEN P., III, 449 FRANZELIN ]. B., III, 436, 876 FREIRE P., III, 473 FREUD H. C., III, 849 FREY J. B., III, 46 FREYNE II, 322 FRIEDRICH G., II, 88 FRIES H., I, 6; III, 283, 466 FRrsQuE IiI, 110 FROIDEVAUX L. M., III, 280 FaoMM E., II, 280; III, 700*, 701 FROST S. B., III, 43 FUCHS E., I, 48-49, 53-54; II, 153,

    w. s.,

    J.,

    340,

    427 FiiHRER G.,

    III, 43

    FuHRER G., III, 43 FuLBERTo di Chartre, III, FuLLER R. H., III, 23, 26 FuNK R. W. II, 144 FuRGER F., III, 232 FURLANI G., III, 622 GAGG R. P., II, 353 GAITH M., III, 867 GALIZZI M., II, 458 GALOT]., I, 175; II, 395,

    381

    398-399*, 408;

    III, 488, 503, 512, 527, 529-31*, 535, 563, 765, 838, 880, 890, 903-906*' 916, 918, 929, 930, 936, 939, 949, 954. 955 GALT!ER

    P., I, 73; III, 339 .. 369, 439,

    502, 818-19*, 865, 876, 902, 907, 955 GARAUDY R., I, 189, 190 GARçON ]., III, 336 GARDEIL A., III, 959 GARDET L., III, 465 GARRAGHAN G., I, 61 GARRIGUES J. M., III, 298, 311-12, GASTALDO-CERESA A., III, 313 GEERLINGS W., III, 820 GEEST J. E. L., III, 281 GEFFRE' I, 27, 106, 145, 146,

    .325

    c., 186, 235; II, 521-522, 559; III, 839 GEISELMANN J., III, 432-435 GEIST H., III, 81 GELIN A., II. 24, 106, 299, 380 GEISELMANN J. R., I, 39; III, 432, 433, 434, 435, 895 GENEVAIS M. A., III, 336 GEORGE A., II, 41, 59, 67, 77-78, 88,

    989

    99-101*, 116, 130, 132, 224, 230-233*, 290, 295, 407, 427, 435-437*, 440, 460, 463-464, 492-493, 502, 542; III, 3387*, 89, 95, 96, 97, 116, 211-12*, 216, 227, 586 GERHARDssoN B., .r, 57, 458 GERVAIS M., III, 925, 9.30 GEsCHE' A., I, 142, II, 559; III, 925 GESE H., II, 493; III, 770 GESS F., III, 512 GEVAERT J., I, 128, 191, 210-211; IU, 468, 543 GEWIESS ]., III, 641 GEYER H. G., III, 399, 414 GHERARD!NI B., III, 388, 392 GHIBERTI G., II, 547, 554; III, 115 GIAMBERARDINI G., III, 819 GIBBS J. M., II, 382 GIBELLINI R., III, 412, 477 GIBLET ]., I, 145-146, II, 272, 296, 322, 333; III, 71, 91, 188, 2Gl, 257; 711, 925 GILG A., III, 297 GILL ]., III, 693, 694 GILLON L. B., III, 502, 877 GILs F., II, 52, 553; III, 97 GILSON E., III, 872-73, 876 GIOACCHINO da FIORE, III, 360, 361, 686*, 872 GIORDANO O., III, 351 GIOVANNI della Croce, 424-426 GIOVANNI d'Antiochia, III, 828 GIOVANNI DAMASCENO, III, 316, 372, 415, 684*, 709, 854*, 947 GIOVANNI di Fécamp, III, 361 GIOVANNI PAOLO II, III, 13, 14 GIRARDET G., II, 202, 205, 218 GIRARDI G., III, 542 GIROLAMO, III. 306, 336, 350, 354-55 GIUSTINO, III, 279, 286, 288, 301", 317*, 319, 329, 335*, 349, 350-52*, 353, 355, 562, 659, 660-661*, 732, . 796, 805-806* GLASSON T. F., II, 82, 473; III, 26, 172 GNILICA }., Il, 62, 493 GoEMANs M., III, 831 GOETHE,. III, 516 GOGARTEN F., I, 97, 100 G6GLER R., III, 281, 302, 664, 806 GoGUEL M., II. 340, 512; III, 261 GoLDKUHLE, III, 360, 431, 433, 438 GoLLWITZER H., I, 106; III, 516 GoNMAZ L., III, 393 GoNZALES MEDINA S., III, 367 GoNZALES Rurz, J. M., III, 611, 640 GoPPELT L., III, 796 GORE c., III, 512

    990

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    G6RRES A., III, 467 GORTZ III, 466 GOZZELINO G., III, 449 GNJLKA J., III, 21, 235, 240 GRAEF H. C., III, 294 GRAND' MAISON J., Jl, 237, 737, 957 GRAND' MAISON L. de, IlI, 432 GRANT P. C., Il, 364; III, 55 GRANT R. M., I, 21 GRASSER E., I, 434; III, 27, 172 GRECH P., I, 29, 57, 245; III, 21, 28 GREGORIO XVI, III, 432 GREGORIO NAZJANZENO, III, 316, 322-23"-

    J.,

    24*, 326, 328, 330, 339, 344, 350*, 357, 416, 675, 677, 681, 816 GREGORIO DI NISSA, III, 224, 285, 289, 297*, 303*, 310, 323*, 326, 331, 339, 344*, 350, 355, 676, 681-82*, 702, 794, 816-817*, 867-68* GREI.OT P., II, 11, 18, 20, 25, 27-28, 238-240, 369, 439, 532, 562-563, 567; III, 44, 111, 131, 143, 216, 526, 56364, 610, 928 GRESHAKE G., III, 43, 280, 283-284, 365, 460, 579, 580-82 GRESSMANN H., III, 43 GRETSER G., III, 427 GRILLMEIER A., I, 69, 73, 167, 175; III, 10, 299, 315, 362, 441, 527, 656-657, 664, 666-67, 669-69, 670, 672-73, 676, 700-702, 796-798, 800-804*, 806-808, 810, 812-814, 817-819*, 822-826*, 829833*, 836, 838-840, 842, 844, 846, 849, 859, 900, 904, 914, 923, 937, 949 GREESSMANN H., I, 140 GROSS H., II, 13, 15 Gaoss J., III, 293, 865 GROUPE D'ENTREVERNES, II, 116 GRUNDMANN W., II, 209, 212, 232, 238, 593; III, 87, 121, 872 GUARDINI R., III, 366 Gumo di ORcHELLES, III, 376, 378 GUIGNEBERT C., II, 187 GUILLAUME J. M., II, 542, 552, 557, 578, 579 GurtLET J., I, 184, 185; II, 5, 65, 7071, 158, 288, 299, 345, 394, 430, 475 GUGLIELMO D'AUXERRE, III, 376, 378 GUNDRY R. H., II, 46 GUNTEN F. von, III, 692 GtmTHER A., III, 432, 444, 453, 699 GUTIERREZ G., II, 206; III, 456, 461, 473, 477, 614 GUTWENGER E., III, 719, 896

    III

    l-IABERMAS J., III, 456, HACAULT A., III, 445 HAnoT P., III, 678 HAENCHEN E., III, 84 HAHN F., II, 327, 378,

    699, 700

    381-382*, 405, 414, 445, 569, 570; III, 23-24, 25, 26, 223, 234, 238-239*, 241, 248-49*, 251-52* HALBFAS H., I. 4, 167 HALLEUX A. de, III, 694, 832-833* HAMERTON R. G., III, 629, 635 HAMER J., III, 178 . HAMMER F., III, 365 HANCK F., III, 148 HANSON A. T., III, 103, 365, 651 HARK!NS P. w., III, 819 HARt M., III, 281, 664, 806 HARLE' P. A. III, 229, 230 HARNACK van A., III, 701, 838 HARVEY A., III, 477 HASE K., II, 269 HASPECKER J., Il, 226 HAUBST R., III, 365, 384, 662, 900 HAUCK F., II, 131 HAULOTTE E., I, 185 HAURET C., I, 142 HAusHERR I., III, 313 HAY C., III, 819 HEGEL F., III, 696-97*, 698, 699, 720, 916 HErnEGGER M., I, 102, 197 HEISLBESETZ J., III, 748, 752 HEILER F., III, 464 HEINTRICH V., III, 586 HEINZMANN R., III, 360, 375-378 HErsE J., III, 148 HELIANDRUS, III, 362 HENGEL M., II, 188, 190, 191, 199 HE1tIBAN J., III, 225 HERMANN I., II, 597 HERMANN w., II, 224 HE1tMES G., III, 431-32, 453 HERTZ A., III, 42; HERTZ M., III, 307 HEscHEL A., I, 17, 142-143, 180; III, 513-14 HEUSER A., III, 432 HlGGINS A. J. B., II, 396 HIRSCHER J. B.. III, 433 HOCEDEZ E .• III, 431 HoFFMANN P .. II, 217; III, 143, 144 HOFMAN F., III. 346 HotLANDAY C. R., III, 768 HOtLERAN J. w., II, 458 HDLSTEIN H .• I, 15; III, 8 HOLTE R., III, 799

    991

    INDICE ONOMASTICO HOLTZ T., III, 196, 197-198 Hotrz F., III, 373 HoLZMANN II, 73 HOLWERDA D. E., II, 587

    J.,

    M. D., I, 62-63; II, 411, 418; III, 225, 248

    HOOKER

    HOPKINS M., III, 197 HORKHEIMER M., III, 412, 456 HosKYNS F., II, 364, 508; III, 55, HoussIAu A., III, 279-80, 286, 317,

    193 351,

    662, 863 HOWTON J., III, 799 HRUBY K., II, 173, 226, 250, 358 HUBAUT M., II, 165 HuBY III, 637, 639 HuGH J. Mc., III, 155, 156, 159-60 HULSBOSCH A., I, 202-203; III. 712*,

    J.,

    716, 911, 918 A. J., II. 180 HUNTER A. M., II, 146-147 HULTGREN

    !ERSEL B. M. F., III, 249 IGNAZIO ANT. III, 278-79*,

    295, 301, 309, 315, 329, 348-49, 350, 353, 658659,* 797, 798*, 801 ILARIO, III, 305*, 350, 678, 819, 868 lLARINO DA MILANO, III, 363 lMSCHOOT P. v., III, 293, 630-632 !NGELAERE I. c., II' 367 IPARRAGUIRRE I., III, 426 IPPOLITO Ps., III, 315 IPPOLITO di Roma, III, 281, 338, 341, 663*, 664-665, 801 . IRENEo, I, 21; II, 488; III, 2n, 279-80*, 284, 286-87*, 288, 289, 292, 294, 29596", 301, 309, 315-17", 318-19*, 321, 326, 328, 329-30*, 331, 336-339*, 341343, 349, 350-354*, 357, 416, 559, 562, 657, 660, 661-662*, 663, 680, 739, 795, 801, 862-864* IsAcco della STELLA, III, 362 IsERLOH E., 386-87, 443. 505 !WAND H. ]., I, 171; III, 385 E., I. 141, 184; II, 91, 258, 301302, 532; III, 105-106, 770, 786 }ACQUEMONT P., III, 527 JAGER W., III, 283, 459 JASPERS K., I, 210; III, 872 }AUBERT A.. II, 270 JENIN H., III, 386 ]EREMIAS J., I, 61, 65; II, 16, 28, 93, 9697*, 110, 114, 116-117, 121-122*, 127. 140-141, 153, 157, 160-161. 167, 169, 174-175, 181, 187, 189, 192, 197-198, 206, 212, 213-214, 235, 238, 240, 258, 260, 261-264, 267' 69-270, 285-286, }ACOB

    309, 325-326, 329, 331, 334, 341, 366,. 368, 380-381, 385, 388-390, 392-393,. 397-398, 405-406, 411, 413, 416-417, 436, 438-441, 444-445, 448, 538, 549, 552; III, 86, 132, 227, 229, 248, 249. 531 }ERWELL J., III, 636, 769 }OEST W., III, 891 }OHNSON G., II, 296 }OLY R., III, 126-27, 315, 656 }OSSA . G., II,. 187 JossuA P., III, 273, 289, 292 }OUASSARD G., III, 821 }OURNET C., III. 747, 786 }OUVERNDUX R., III, 970 }UGIE J., III, 849, 852 }ULICHER A., II, 117 JiiNGEL E., III, 512, 780 JiiNGEL J., III, 892 KAESTLJ J. D., III, 61, 85, 87 KAHLER M., I, 40, 41; II, 344 KAHLES III, 360, 376 KAISER II, 20 KALLAS J., III, 196 KAMLAH E., I, 155 KANNENGIESSER III, 672, 674, KANT E., I, 172, 195; III, 538, 702 KAnRER O., II, 248 KAscH W., II, 131 KASEMANN E., I, 24, 29, 45-46",

    w., o.,

    c.,

    679

    4849*, 52-53*, 61-62, 65; II, 154, 160161, 183, 341; III, 22-23, 59, 64, 77, 85, 91, 138, 146, 195, 541, 544, 786, 790 . KAsPER W., I, 4, 7, 66, 69, 71, 74, 7879*, 106, 109, 111, 113, 117, 127129*, 133, 154-155*, 167, 170, 172, 176, 182-183,' 201, 205, 230; II, 34,. 61, 156, 161, 235, 243, 277' 453, 454, 558; III, 1, 6, 71, 413-415, 512, 519, 540-41*, 582, 589,90*, 607, 653, 655, 692, 697, 707-08*, 714, 718-19", 724,. 893-94*, 915-16*, 919-921*, 928, 93334, 936-38*, 944-45, 950 KAUP J., III, 693 KEtBER w. H., II, 458, 799 KELLY J. N., III, 300, 329, 347, 527, 629, 635, 655, 659-60, 665, 669, 672, 674, 680, 717, 796, 809-10, 816; 82526 KERN w.. III, 19 KERTELGE K., I, 170; II, 91, 217 KEaTrnNs F., nr, 42 KESSLER H., III, 499 KINGSBURY J. D., II, 126 KIRKHMEYER J., III, 293

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    '992

    K., III, 512, 516, 521 B., II, 529 J., Il, 247 III, 433 KLEIN G., II, 77; III, 505 KLEUTGEN J. K. w., III, 436, 444 KNIAZEFF A., III, 417 KNOCH .o., II, 363, 365 KNOX w. L., II, 599, 602 KocH K., II, 25, 26; III, 43, 44, 46-47 KocH R., II, 301; III, 103-104, 106, 111, 293 KocH H., III, 336; KonELL I., III, 83 KoLOwsra P., III, 667 KOLPING A., II, 557 KOHLEN L., III, 104 KONIG F., III, 466 KNOCH O., III, 348 KcsTER, III, 345 KRAFT E., II. 46, 505 KRAFT H., III, 351, 391 KRAMER W., III, 27, 234, 237-38, 24344, 247 KRAPIEC A., III, 689 KRATZ W., I, 3

    KROLL S., III, 288 KRi.iGER A. F., III, 306 Ki.iBEL W., III, 377

    Ki.iHN J. E., I, 205; III, 435, 699, 701, 895 KiiHN H. W., III, 95 Ki.iMMEL w. G., I, 44, 147; II, 37, 167, 363; III, 89, 212, 780 Ki.iNG H., I, 2, 75, 90, 225-228*, 230231 *, 233-234*;. Il, 23'.5-236; III, 394, 414, 440, 477, 499, 512, 522, 551, 563, 670, 701, 750*, 752, 837, 893, 929-930*, 980 Ki.iNNET W., I, 44 Kuss O., Il, 375, 595-596; III, 21, 29, 102, 143 LACAN M. F., III, 753-54 LADARJA L. F., III, 10 LAFONT G., III, 1 LAGO G., III, 548 LAGRANGE G. R., II, 38, LAGRANGE M. II, 23,

    459, 462 133, 135, 149, 473, 554-555; III, 118, 135, 768, 926

    J..

    F., I, 57, 59-60, 62-63, 76, II, 153-154 LAMARCHE P., II, 230-31, 405, 471-73, 475, 486, 496-97; III, 75, 79, 131, 255, 6)8, 643, 647, 711, 767, 781 LAMBRECHT L., II, 168 LAMBRECHT J., III, 196 LAMPE G. W., II, 289, 598; III, 83, 293, 673 LANCELLOTTI A., III, 622 LANGENMEYER B., III, 720, 735 LANGEVIN P. E., II, 405; III, 27, 238, 248 LARCHER c., I, 185; III, 632 LARSSON E., III, 293, 631, 634, 635, 638-640, 927 LASH C., II, 554, 589 LATOURELLE. R., I, 60-61, II, 250; III, 6 LAURAS A., III, 291 LAURET B., III, 16, 477 LAURENTIN R., I, 237, 246, 248; II, 38, 41, 43-44, 47, 49, 51; III, 382 561, 563, 624, 965 LEBON J., III, 849 LEBRETON J., III, 639, 655, 658, 768, 898 LECUYER J.. III, 306, 372 LE DEAT R., Il, 397 LEDIT J., III, 633 LE Du J., II, 268 LEE E. K., III, 768 LEEW (van der), III, 957 LÉGASSE S., Il, 49, 105, 212, 221, 223, 229; III, 23, 232, 235, 238, 309, 384 LEGAUT M., II, 268 LEGRAND H. M., Il, 604 LEGRAND L., III, 624 LE GUILLOU M. J., II, 263 LEHMANN K., II, 563; III, 101, 925 LEIDL A., III, 693 LEIVESTAD R., Il, 24 LAMBIASI

    KITAMORJ KLAPPERT KLAUSER KLEE H.,

    KRAus H. J., II, 13 KREcK w., nI, 597 KREMER J., II, 535, 542; III, 101, 605 KRETSCHMAR G., III, 604, 655, 805 KREUZER G., III, 851 KnCiGER M., III, 386-87

    II!

    .

    LE MoYNE J., LENGELIN E., LENHARDT P., LENTZEN·DExs

    II, 188 III, 801 III, 82 F., I, 59, 63; II, 66, 68-

    69, 224, 413

    X., I, 58-59*, 61, 64, 170; II, 39, 47, 49, 56, 59, 81, 88, 104, 123, 142-43*, 173, 212, 225, 227' 229-231 *' 234-236, 239, 242-244' 253, 256, 291, 313-315, 319, 331, 340, 379, 404, 409, 412-416*, 426, 434, 440-41, 443-444, 446-450*, 455, 459461 *, 463-465*, 484, 490, 493, 495, 526, 531, 535-538*, 540, 542-545, 547548, 550-554, 559, 561-563, 566, 569,

    LÉON-DuFOUR

    993-

    INDICE ONOMASTICO

    571, 575, 578; III, 76, 80, 101, 143, 162, 526 LEONE M., 291 *' 292*' 430, 440, 830-

    832* LEONE XIII, III, 6, 436, 685 LEPIN M., III, 898 LERIT III, 858 LESSING G. E., I, 36 LETHEL F. M., III, 299, 851-52-53 LEUllA J. L., III, 838 LEVESQUE G., II, 554, 589 LEWIS S., II, 249 LEYS R., III, 867 LIEBAERT ]., III, 656, 668, 796-97'

    J.,

    c.

    806, 808-09, 815, 817-18, 821, 824, 826, 829 LrEGE' A., III, 751 · LrEGER L., III, 105, 110, 111, LlENHARD M., III, 387, 696, 891 LrGHTFOOT J. B., III, 637, 640 ÙLLA S. R. c., III, 805 LrNDARS B., II, 343; III, 99 Lll'INSKI E., II, 10-11, 13 LrPPr A., III, 511 LrTTLE A. S., III, 660 LOCKE ]., III. 892 LOHFINK M., II, 172 LOHFINK G., II, 578; III, 581 LHOMEYER E., I, 44, 73 LOHRER M., III, 10-11, 449, 925 LoHSE B., III, 286; III, 357 LOHSE E., II, 180, .187, 189, 190, 343, 383, 455, 459, 484; III, 87, 99 Lor V., III, 802 LONERGAN B., III, 10, 618, 670, 699, 702, 716-17 LONGENEKER R. N., III, 24 LOOFS F., III, 315, 658, 823 LOOSEN ]., III, 356 LooSKJl V., III, 417, 687 LoRENZ S., III, 622 · LORETZ O., III, 622 LOT-BORODlNE M., III, 295, 299 LDTZ J. B., III, 542, 921 LOVESTAM E., II, 291, 404-405 LOWENICH W., III, 363, 386, 388-89, 390-92 LéiWITH K., I, 106; III, 873 LUTERO M., I, 171; III, 385-391*; 39293, 397, 406, 414, 452, 532, 696, 837, 891 LYONNET s., II, 44, 177, 179, 594, 596; III, 103-104, 106, 110, 114, 180, 255, 273-74, 537, 611 LYNN W. D., III, 367, 372 LYS D., II, 299, 303; III, 773

    MAAG V., I, 139; II, 14 MAIER J. L., III, 722 MAIER W., I, 145 MACQUARRlE III, 649

    J.,

    w.,

    MACROE G. II, 358 MADDOX R., II, 395 MACHOVEC M., I, 107 MAGRASSl M., III, 360 MALATESTA MALET A.,

    E., III, 120 . II, 309; III, 397, 563, 687-

    88, 689, 691, 692 L., I, 112, 198; III, 710-lF, 712, 753, 867 MALLLEY s., II, 401 MALMBERG F., I, 182; III, 942, 944 MANCINI I., III, 406, 407, 409, 475 MANNHElM K., III, 473 MANSl III, 440, 442, 679, 694, MANSON T. w., II, 74, 210-211 MANTEAU-BONAMY H. M., I, 237 MARCELLO d'Ancira, III, 818* MAR.CHEL w., II, 263, 271 MAR.ÉCHAL ]., I, 195; III, 958 MARGERlE B. de, III, 655, 683, 702-03, 717, 719 MARIA MADDALENA de' PAZZI, III, 426 MAR.lTAIN ]., II, 31; III, 747, 751 MALEVEZ

    B.-D., III, 555 F. X., III, 83 MARRANZINI A., III, 12 MAR.ROU H. I., I, 39; III, 36 MARSCH W. D., III, 470-71 MA.R.SCHALL I. H., III, 86 MAR.TELET G., III, 604, 722, 877, 908 MARTIN R. P., III, 131, 315 MARTINEZ E. R., Il, 335 MARTIN! C., I, 63; II, 55, .528, 542, 559 MARTY M. E., III, 406 MARX H., III, 693 MAR.XEN w., I, 48; II, 523, 531-32,. 535, 560; III, 399-402*, 404, 405 MASCALL E. L., II, 364; III. 57

    MAR.LIANGEAS MARQUAR.DT

    CoNFESSORE, III, 298-99*,. 311-12-13-13*, 316, 325*, 328, 383, 416, 684, 694, 852·854*' 870* MASSON ]., III, 466 MASURE E., III, 505 MATEOS ]., II, 220; III, 92, 156-57 ,. 187, 781 MATTHEWS A. D., III, 81 MAURER C., II, 67, 318, 405; III, 249 MAzARD P., II, 246 MAYER A., III, 294

    MASSIMO

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    '994

    McARTHUR H. K., I, 60-61, 63; II, 473, 563; III, 27 McCoOL F. J., III, 184 McELENEY N. ]., I, 61, 63; II 521 McINTYRE J., III, 365 McKENZIE J. L., Il, 23 McNAMARA M., III, 772 McNEILE A. H., II, 295 MEDEBIELLE A., III, 111 MEDINA, III, 428-29 MEEGEREN (van) D., III, 880 .MEGER A., II, 572 MEHLMANN J., III; 103 MEIER P., II, 169 MELANTONE, III, 385, 392, 441 MELITONE di Sardi, III, 286*, 315, 799800*, 801 MENAKER E. W., III, 543 MÉNARD J. E., II, 62 MEO

    s.,

    III,

    963

    .MERI< ]., II, 472 MERLEAU-PoNTY, II, 280 MERSCH E., III, 503, 504, 794 .MESTERS C., Il, 204 METODIO, III, 334, 343, 354, 556 .METZ J. B., I, 9, 97, 107, 117,

    128, 191, 211, 219; II, 202, 251; III, 460-63*, 467-470*, 483-84*, 538, 554, 612, 763, 889, 911, 928, 935, 959 METZEGER W., III, 880 MEYENDORF J., III, 708, 846, 870, 871 .MEYER A., II, 73 MEYER H., III, 728, 908 MICHEL A., III, 727 MICHEL D., II, 583 MICHEL J., III, 351 MICHEL O., III, 133 MICHIELS R., I, 202; III, 626, 712*, 838 MIEGGE G., II, 110 MIGUENS M., Il, 172 MILANESI G., I, 191; III, 957 MILANO A., II, 287; III, 664-65,

    674,

    676, 678, 804, 813, 890 MILDENBERG F., III, 492 MINEAR P. S., III, 201 314-316, 318-19, 384, 407 MIRCEA E., III, 464 MoHLER J. A., III, 432-33, 434-435, 942 MOINGT ]., II, 526; III, 663 MoFFMANN P., Il, 313 Mmou G., I, 24 MouNARI P., III, 584 MoLLAT D., II, 230, 356, 358-359, 372, 380-81, 502, 509, 554, 555, 589, 591;

    MINETTE DE TtLLESSE G., II,

    III

    91, 135, 183, 232-33, 256, 426, 586, 781, 791

    III,

    MoLLAUN R. A., III, lll MOLLER III, 846 MoLoNEY J., III, 232 MOLTMANN J., I, 2, 4-5*,

    c.,

    7-8, 12, 31, 37, 56, 78, 122-125*, 135, 169; 207' 210*, 230; II, 81, 202, 434; III, 34, 38, 44, 68, 72, 409-415*, 457, 470-71, 473, 477, 481, 484-86, 493-94, 512-13, 516, 525-526*, 527, 541, 545, 568, 579, 590, 594, 597-98, 667, 718, 740, 892, 910, 929 MoNDEN L., II, 224, 229, 246 MoNDIN J. B., III, 293, 388, 449, 477 MONG!LLO D., III, 465 MDNNICH c. w., III, 668, 809

    MONTAGNINI F., II, 17 MONTANO, III, 673 MoNTSCHEUIL Y. de, III, 503-504 MOORE A. L., III, 172, 579 MooRE G. F., II, 90 MDRALDI L., III, 103, 105 MoRAN G., III, 2, 7 MoREL G., III, 424-25 MORETTI R. III, 424 MoRGF.N-THALER R., I, 147, II, 78 MoRIN J.-A., II, 191 MORK III, 773 MORRIS L., III, 111 MosTER W., III, 877 . MouRoux J., III, 751 MouRLON BEERNAERT P., II, 455 MOUTSOULAS E., III, 297 MOWBRAY R., III, 273-74 NoWINCKEL S., II, 10, 13, 26, 32 MiiHLEN H., I, 155, 179, 182; II,

    w.,

    309, 582-583; III, 490, 512, 538, 540, 548, 672, 674, 719-20-21*, 722, 724, 734, 885, 893, 929, 934-35*, 943-44-45* MiiHLENBERG E., III, 702, 812 MiiLLER A., III, 333, 335-36, 339, 340342, 344, 345, 559-60, 561, 563, 569, 858 MiiLLER H. P., II, 414; III, 43, 345 Mi.iLLER G.,. I, 36; III, 356, 431 MULLER P.-GOLDKUHLE, III, 347, 360, 376, 431, 433, 438 MURA G., III, 512 MURFHY F. X., III, 849 MURRAY R., II, .582 Mus1L R., III, 457 MusSNER F., I, 33, 35, 59, 155; II, 94, 116, 125, 160, 168, 189-190, 224, 237, 242, 245, 297, 313, 422, 510, 539, 562; III, 82, 90, 96, 186-187, 537, 605, 768

    995

    INDICE ONOMASTICO NAUCK W., II, 550 NAUTIN P., III, 286, 315, 663, 665, NEDONCELLE M., III, 676, 719, 733 NESTORIO, III, 676, 823-825* NEUENZEIT P., III, 162 NEUFELD K. M., III, 1, 10, 19, 65.5 NEWMANN H., III, 437 NrcoLA di CusA, III, 384 NICOLAS M. ]., III, 291, 689, 830,

    801

    J.

    899,

    906 NrnDERWIMMER K., I, 216; III, 537 NIERERSTRASSER N., III, 459 NIGRO I, 247; III, 512, 547 NISSIOTIS N. A., I, 240 NoETo, III, 663* NoETSCHER F., III, 104, 507 NoRRis R. A., III, 663, 818 NORTH R., II, 23, 221 NosSENT G., III, 604 NossoL A., III, 71, 940 NoTH M., III, 47 NYGREN A., III, 126

    c.,

    c.

    NYs M., 747, 750 0BERMAN

    H. A., III, 441, 696, 891

    0EPKE A., II, 561; III, 39, 172, .597 0GLETREE T. W., III, 477 OHLER A., III, 622 0LPHE M. GALLIARD, III, 426 O'MALLEY T. P., III, 803 O'NEILL L., II, 199 OPTATO di Milevo, III, 331 ORBE P. A., III, 317, 318, 319, 657-58,

    671, 676, 797, 800, 807 H. M., III, 248 281-82*, 284-85, 287*, 294-95*, 301-302*, 309, 317, 322, 327, 330, 33839, 343, 347, 3.54, 355-56-57*, 364, 532, 662-63, 664-65:66*, 671-72, 723, 733, 805-808* 0RMISDA, III, 332 ORNA M. V., III, 197 0RRIEUX c., II, 258 ORTENSIO da SPINETOLI, II, 221; III, 563 0RTIZ DE URBINA I., III, 669, 671, 677, 810, 825-26, 832-33 0RTKEMPER F. J., III, 102, 110 OTT H., III, 365 OTTO H., I, 197 OTTO R., II, 86 ÙTTO S., III, .803 OVERHAGE P., I, 125 ÙRLINSKI 0RIGENE,

    PACHO E., III, 424 PADE P. B., III, 805

    W., I, 26, 56, 69, 74, 76, 78, 120-122, 137, 144, 169, 171, 173-

    PANNENBERG

    74; II, 522, 524, 529, 549, 557; III, 68, 402-405*, 409, 410, 477, 479, 492, 580, 594, 718, 729, 837, 855, 893, 910 PANIKKAR R., III, 466 PAOLO VI, III, 10, 12, 15, 570, 694. 719 PAOLO DELLA CROCE, III, 424-426 PAOLO di Samosata, III, 663, 817 PARENTE P., III, 849, 852, 903-04, 949 PARKER P., II, 37 PASCAL B., I, 208 PASCASIO R., III, 381 PASSAGL!A c., III, 436 PATFOORT P., III, 879 PATSCH H., II, 418, 441-442 PAUL A., Il, 46, 223 PAUTREL R., III, 586 PAX E., III, 781 PELAGIO, III, 306 PELFRENE J. M., II, 173 PELICAN J., III, 350 PELLEGRINO M., III, 281, 805 PELLETT!ER A., II, 537 PELSTER P., III, 879 PENCO G., III, 359, 361 PENIDO M., III, 689 PENNA A., III, 126-27 PENNA R., II, 305, 593, 595; III, 138, 149, 255, 731 PERCY E., II, 73, 319; 638 PEREGO A., III, 355, 907 PERICOLI-RIDOLFINI F., III, 849 FERINO R., III, 687 PERRIN N., I, 60-61, 63; II, 77, 116, 214, 325, 368, 467; III, 78 FERRONE G., III, 436 PERROT C., II, 56, 59; III, 172, 528 PESCH c., III, 502 PESCH R., Il, 183, 223, 440; III, 74 PESCH w., II, 335 PETAVIO, III, 316, 430*, 432, 453, 875 PETERS G., III, 863 PETERSON E., I, 161; III, 667, 700-701*, 706 PFAMMATER J., III, 232 PHILIPON H. M., III, 703 PHILIPS G., I, 240 PIANA G., III, 460-61, 463, 467 PrAULT B., III, 664 PICASSO G., III, 362 PrcHT G., III, 36, 459 PIEPER J., III, 42 PIER DAMIANI, III, 364 PIETRO di CAPUA, PIETRO di CLUNY, PIETRO LOMBARDO,

    378, 874

    III, 377, 378 III, 364 I, 73; III, 375-76,

    996

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Pro IX, III, 432, 699 Pro XII, 327 ProLANTI A., III, 903, PIRET p ., III, 299 PIROT L., II, 209 PISANELLI U., II, 316 PLAGNIEUX J., III, 289, PLASTARAS J., I, 138 PLOEG III, 39 PLOTINO, III, 666, 683

    QUISPEL G., III, 657, RACK M., III, 798

    905, 949

    365

    J..

    PLUME

    J. c., III, 338, 339

    PouHLENZ M., III, 459 PoLICARPO, III, 350 POMPILIO L.. Ili, 425 Poos A., Ili, 858, 964 PoPKES W., I, 170, II, 432,

    s.

    440, 451;

    III, 97, 112, 254 POPPI A., III, 367 PORFIRIO, III, 683 F., II, 67, 296-97, 508-509, 585, 588-90; III, 93, 135, 186, 194 PORTALIE' E., III, 350 PoTrN J., II, 601 FOTTER R. D., II, 356; III, 800 PoTTERIE (de la) I., I, 57-61*, 65, 236; II, 67, 95, 145-47*, 290, 296, 298, 358, 360, 412, 479-80*, 482-84*, 489, 501-504", 506-507, 509-10, 585, 58789*, 590-592''; III, 83, 116, 129, 152, 183, 194, 227-28, 507, 646, 789, 791 PouLAT E., III, 898 POULLET G., III, 872 Pozo C., III, 172, 741 Pozzo G., III, 1 PRASSEA, III, 663 PaAT F., II, 209 PRATS G. H., II, 289, 291, 295, 303, 598599, 603 PREISS T., II, 479 PREMM M., III, 347, 350 PRENTICE P., III, 69:3 PaESTIGE G. L., III, 670, 672, 675, 717, 815, 822 PRETE B., II, 157, 563 PRIVITEl\A s.' III' 460-61 PRIGENT P., III, 204 PRINCIPE w. H., III, 493 PROCKSCH O., II, 23 PRUCHE B., III, 321, 322 PRUMM K., III, 769 . PRYEN D., III, 967 PaZVWARA E., III, 357-358 PYCKE N., III, 279

    PoRscH

    QUARELLO QuASTEN

    812

    II!

    E., III, 503-504, 506

    J., III, 659, 663, 664, 682,

    797

    RAo von G., I, 138, II, 194, 419; III, 42-43, 44, 109, 494, RADBERTO, III, 381 RADERMAKERS J.. II, 252; III, 79, 82, 83 RAGU!N P. Y., III, 690 RAHNER H., III, 555 RAHNER K., I, 1, 6, 26-27, 72, 78, 96, 109-113*, 117, 125, 127, 148, 175, 192, 198-201*, 205-206*, 225; Il, 90, 521; III, 8, 36, 42, 45, 71, 90, 170, 304, 333, 414 ,426, 467, 501, 512, 521, 533-34*, 535, 539, 549, 552, 582, 621, 649, 658, 707-08*, 717-19*, 733, 736, 741, 746-747-48*, 749, 838, 841, 892, 908, 910-914*, 929, 937, 952-53 *, 970 RAMBLAY R., III, 678 RAMSEY A. M., II, 265 RASCO E., Il, 38, 116, 132-133, 135136, 139, 142, 603 RAPONI s.. III, 293 RATZINGER J., I, 3, 71, 75, 90, 134, 138, 170, 176, 187, 247, 248; III, 2, 8, 15, 466, 563, 604, 607, 610, 721, 872-73*, 893, 914-15*, 925, 933, 93738*, 970-71 RECKENZ H., III, 622 REGNON T. (de), III, 687, 689 REIMARUS H. s.. I, 36, II. 199 REINHARDT K., I, 72, 96, 153; REINHARDT R., III, 432-33 REHM M., 493 REMY J .. II. 279 RENGSTORF K. H., II, 158, 322 RENIE' J. E., III, 776 RESE M., III, 86, 98, 99 REY B., III, 593, 637, 641, 650, 770" 71, 927 RHOADS D. M., II. 191 RICCA P., Il, 587; III, 66-67, 182-184, 186, 193, 194, 195 RICCARDO da S. VITTORE, III, 382, 690, 691-692*, 693 RICKEN I., III, 666-67-68, 670-71 RICHARD L., III, 503-504 RICHARD M., III, 808, 810..11, 813, 815, 822, 830 RICOEUR P., I, 127-128, II, 268, 271, 278, 280; III, 414 RIDDERBOS H., I, 33; III, 786 RIEDLINGER H., III, 896 RIEDMATTEN H., III, 663 RrEs J., III, 737, 957 RIESENFELD H., I, 57, 388, 422

    INDICE ONOMASTICO

    B., I, 61; II, 96, 291, 333, 351, 377; III, 26, 172, 252 RIGGI c., III, 655 RINALDI B., III, 110 RIPALDA J. M., III, 428 RISSI M., III, 197, 203 RITSCHL A., III, 103, 397, 701, 709 RITTER A. M., III, 666 RIVIÈRE J., III, 289, 427, 439'', 501502*, 503' 898 RIZZI A., I, 212, 548 ROBERT A., II, 100, 419 ROBILLARD J. A., III, 689 RoBINSON J. A. T., I, 173; II, 82, 401; III, 24, 26, 607, 773 ROCCHETTA C., II, 375; III, 1 RocHERBLAVE-SPEULE A. M., III, 490 RoHRMOSP.R G., I, 97 RoLoANUs J., III, 294-95, 320-21, 733, 739, 810, 864-66 RoLOFF J., I,· 170, 177; II, 194, 417, 432, 434, 438, 440, 449-450 RoLT C. E., III, 512 RoMANrUK K., II, 80; III, 129, 225 RoNDET H., III, 375, 377, 698 RoPER A., III, 746 RoQUES R., II, 31 ROSENZWP.IG F., III, 720 ROSSANO P., III, 464 RossE' G., III, 512, 516, 523, 526 RouLIN P., II, 291 ROMANI A., III, 553, 561, 566 RousTANG F., II, 214-215 RowLEY H., II, 23, 25; III, 45 RoY L., 216 Rov O., III, 683 RUCKSTUHL E., II, 547, 578-79; III, 232 H.IGAUX

    RuooER RuGGERI

    de

    J. P., IU, 11

    P., I, 138, 145; III, 667, 700,

    701, 706

    c..

    RUINI Rurz de

    III, 734

    la PENA, III, 38, 143, 472, 474, 533, 582, 584, 590, 594-95, 597-598,

    601, 604, 608 Rurz S., III, 424 RUPERTO DI DEUTZ,

    III, 360, 376, 38182*, 872, 873 Ruscom G. E., I, 2, 230 RussEL D. S., III, 44 SABBI'. M., II, 65, 415, SABELLIO, III, 663, 673 SABOURIN L., II, 99-100,

    414

    169, 224, 378, 380, 410, 582; III, 103, 105-06, 122, 225, 237-38, 247, 273, 643, 779

    997

    SAGI-BUNIC T., III, 832, 834 SALA G. B., III, 9, 10 SALMANTICENSES, III, 428, 747 SAMAI E., II, 157 SANCHEZ ]., III, 424 SANDMEL II, 179 SANLEY M. D., III, 781 SANNA I., I, 201; III, 449 SARAIVA M., III, 12 SATAKE A., III, 201

    s.,

    Swo A., III, 773 G., I, 183, Il, 363; III, 39, 43,

    SAUTER

    72, 470-71 SAUVAGE M., III, 2, 8 SCHADE H. H., III, 171 ScHii.FFER R., I, 96 SCHARBERT J., II, 13, 19, 22-23; SCHARBERT A., III, 107 SCHARL E., III, 662, 800 SCHECHTER S., II, 172, 352 SCHEEBEN M. ]., III, 342, 345,

    436*, 438*, 449*, 488*, 717, 876, 942 SCHEFFGZYK L., I, 114; III, 10, 293, 696697 SCHEIDWEILER F., III, 818 SCHELL H., III, 435-36, 896-897*, 913 ScHELLING, II, 512, 6%-697*, 698, 893895* SCHELKLE K. H., I, 156-57; II, 173, 368; III, 121, 177 SCHENKE H. M., III, 657 SCHENKE L., II, 455, 459. SCHERER J., III' 807 SCHERWOD P., III, 849 SCHIERSP. F. J., I, 147, 156; III, 24, 42 ScHILLE G., III, 24, 655, 736 ScHILLEBEEcKX·E., I, 66, 90-91, 113-115*, 117, 127, 137, 167, 191, 201-205*, 231-234*, 244; II, 61, 235-236; III, 42, 470, 477, 479, 481, 489, 496, 563, 587, 654, 713*, 741-42, 747-48*, 765, 910, 918, 970 SCHILSON A., I, 154 ScHILTz E., III, 820 ScHLATTER A., II, 141, 148 ScHLETTE H. R., III, 748, 752 ScHLEIERMACHER F., I, 171, 195; III, 397, 709 ScHLIER H., I, 34, 155, 170; II, 161, 230, 479-80, 531, 536, 539, 541, 576, 587; III, 21-22, 112, 135, 163, 178, 201, 255, 641, 655, 781 ScHMAus M., I, 182; II, 309; III, 8, 10, 693 ScHMrn J., II, 83 ScHMID H., III, 770

    998 ScHMIDT SCHMIDT

    293

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO • C., III, 288 K. L., II, 162, 305, 331; III,

    F. s., III, 365 J., II, 62, 5%, 549; III, 19697, 232-33 ScHMrTz O., III, 537 ScHNACKENBURG R., I, 82-83, 85-86, 147, 216, 219; II, 10-11, 13, 15, 19, 2529, 69, 77-79, 81, 83, 94, 96, 158, 253-256, 345, 368, 375, 385, 389, 395-396, 398, 400-402, 473, 562, 571, 577, 584; III, 21, 26, 28, 30, 78, 84, 88, 90, 92, 114, 135, 153, 161-62, 164, 182, 187, 195, 253, 256, 537, 544, 622, 629, 631, 635, 643-644, 769, 781, 783-84, 786-87' 940 ScHNEIDER G., II, 228, 353; III, 21, 237, 635 SCHNIEWIND J., II, 316 SCHNUTENHAUS F., III, 172 ScHOEMANN J. B., III, 294, 297, 867 ScHOEPS H. J., II, 20, 549; III, 314 SCHOKEL A., III, 103 SCHONMETZER A., III, 831 SCHOONENBERG P., I, 202; III, 11, 712*, 729, 838, 848, 908, 911, 918-19 SCHRADER C., III, 436 ScHRAGE W., III, 102 SCHRENK G., II, 260 SCHROTT J., III, 431 SCHUBERT K., II, 29, 187, 189, 330 ScHiiRMANN H., I, 62-63, 148-49, 153, 170, 176-77, 179; II, 81, 83, 84, 86-87, 154, 263, 275, 278-79, 325, 327, 416, 418, 426, 428, 430, 434, 442-444, 446-449, 453; III, 98, 517, 542, 776 SCHULBOHM J., III, 460 SCHULIEN P. M., III, 463 ScHiiLLER B., III, 463 SCHULZ s., III, 239 ScHi.iTz C., III, 34, 37, 39-40, 45, 72, 74, 347, 375 ScHilTz F., III, 95, 99 SCHWANZ P., III, 293 SCHWARZ R., III, 696 SCHWEIZER E., II, 164, 597, 604; III, 247, 578, 636 SCHWEITZER A., I, 38-39, 43, 147; II, 83, 363 SCIACCA M., III, 733 SCIARRETTA M., III, 881 SCIPIONI L. L, III, 676, 824 Scoro D., III, 427-429, 693, 726-727*, 873, 875, 876 SCHMITT SCHMITT

    III

    SCOTT E. F., II, 291; III, 185, 193 ScOTT R. B. Y., III, 631 ScRoGGs R., II, 293 SECKLER M., III, 741, 742, 873 SEEBERG A., II, 430 SEBBERG R., III, 838 SEESEMAN H., II, 491 SEGALLA G., III, 21, 643 SEIDENSTICKER P., II, 570; III, 26, 101 SEILLER L., I, 73; III, 901, 907 SELLERS R. V., III, 8Jl-32 SELLING E., II, 10 SEMMELROTH, III, 345 SENIOR D., II, 455 SERGIO di Costantinopoli, III, 850-852'' SERRA A. M., III, 154, 156, 188, 624 SERVIER III, 473 SESBUÉ B., I, 69, 74-75, 77-78; ,III,

    J.,

    669-670, 825, 837, 841-42, 847-48, 857 SEVERO d'Antiochia, III, 824, 849-50* SIDEBOTTOM E. E., III, 790 SIEBEN H. J.. III, 673, 825 SILVA-TARoucA C., III, 830 SIMON M., II, 549 SIMONE nuovo teologo, III, 328, 378 SIMONELL N., III, 362 SIMONETTI M., III, 315-16; .665, 668, 671-72-73-74, 679, 683, 801 SIMONIS A. J., II, 147 SIMPSON J. G., III, 185, 193 SINT J.. II, 29 S]OBERG E., II, 316, 386 SJOBERG S., II, 26, 30 SKALICKY C., III, 737 SLENCZKA R., I, 38, 40, 74, 229 SMULDERS P., III, 551-52, 845 SOBRINO J., III, 477 SOHNGEN G., III, 892 SoLIGNAc A., III, 293 SOLLE D., I, 5; III, 395, 486, 749 SOLOVIEV V., III, 417, 512 SORGE B., I, 212; III, 545 SORRENTINO s., III, 408 Soro, III, 428, 430 Sozz1N1 F., III, 696 SPADA D., III, 367 SPANNEUT M., III, 279, 802, 818 SPECK J., III, 721 SPERBERG A., II, 564 SPICQ C., Il, 177, 271, 372, 377, 459, 584; III, 125-127, 129, 261, 293, 636, 644, 646, 771 SPIDLIK T., III, 310 SPINSANTI s., III, 426, 467-68, 485 SPLETTE J., I, 117 .

    999

    INDICE ONOMASTICO

    J.,

    J.,

    SPORL III, 871 .STAERK W., III, 335, 662 .STAHL!N G., Il, 157 STAMM J., III, 103 STANILOAE D., III, 417' 512 STANLEY, III, 115 STARCK J., III' 279 STARCKY J., II, 27-28; III, 768 STAUDENMAIER E A., III, 433 STAUFFER E., I, 162-63, 168 STEIN B., III, 786 STEINBACH E., I, 44 STEINBECK, III, 462 STERN B., II, 352 .STEINMANN J., II, 23-24 STIASSNY M. J., Il, 88 STIERNON D., III, 847 STOCK K., Il, 413 STOCKEIMER P., III, 838 STOCKMEIER M., III, 278, 283 STOGER A., III, 97 STOHR J., III, 555 STRACK B., III, 367 STRACK H. L.-B., II, 88, 238, 285,

    THEODOR II, 564 THEUNISSEN M., III, 959 THILS G., III, 746 THOMPSON B., III, 797 THUNBERG L., III, 870 THURIAN M., II, 503, 505; THtiSING W., I, 1, 26, 69,

    J.

    III, 158 72, 78, 84, 96, 145-46, 148, 157-59, 291-92; II, 434, 502, 509, 570; III, 26, 71, 91, 93, 117-118, 120-21, 129, 135, 170, 649

    THYEN H., III, 105 TILLETTE X., I, 75; III, TILLICH P., I, 108, 109,

    J.

    485, 709, 837 TIMMERMANN

    354

    533;

    315

    s.,

    J.,

    TADDEI N., I, TARAJEV, 512 TAULERO, III, TAYLOR V.,

    2

    363, 388, 478, 523 II, 71, 234, 238, 313, 316, 378, 380-81, 388-89, 391, 393; III, 642 TAYMANS F., II, 250 TAZIANO, III, 348, 659-660 TEILHARD DE CHARDIN P., I, 118-120*; III, 534, 729-30*, 909, 967 TEODORETO, III, 829 TEODORO di Mopsuestia, III, 818-819* TEODOTO, III, 663 TEOFILO ANT., III, 348, 659-60-61 TERESA D'AVILA, III, 426 TERNUS J.• 167; III, 895-96 TERTULLIANO, III, 281, 304-305*' 317' 327, 336, 338*, 349-350*, 662-66.3664*, 665, 701, 795, 803-805* THEISSEN G., II, 236, 238, 242

    J.

    J., III, 347-48, 351-52,

    J.,

    TIXERONT III, 849 TODT H. E., II, 292, 388 TOLETO F., II, 596 TOMASSINO, III, 316, 430, 453, TOMMASO D'AQUINO, I, 23, 27,

    III, 99, 772 STRAUSS D. F., I, 37 STRECKER G., II, 318, 436; III, STROBEL A., II, 490 STUDER B., III, 274, 664, 678 $TUHLMUELLER C., II, 19 STUIBER A., III, 350 STYS III, 335 SUAREZ F., III, 428-29, 890 SUGGS M. III, 79 SULLIVAN F, A., III, 818-19

    467 171; III, 413,

    876 79, 110, 188, 191; II, 40, 178-79, 229, 521, 596; III, 13, 276, 327, 367*-68-69-7071-72-73-74-75*, 376- 377*, 380, 38384, 427, 436, 487, 497, 505, 531-32, 546-547*, 647, 686, 687-688*, 689-90691, 693, 716-717, 722, 723-724*, 725, 726*, 727, 732, 733-734*, 741 *, 742743, 744*, 751, 779, 856, 873, 87778-79-80-81 *' 882-83-84-85-86-87-88-89*' 920, 935, 944, 947, 948, 959 ToRRANCE T. F., III, 810 TORRIANI F., II, 186 TouRNAY R., III, 769 TRAETS c., II, 270, 509-511, 555; III, 257 TRAPE' A., 300, 678, 683 TREMEL Y. B., II, 458 .TRESMONTANT c., II, 246 TRILLING w., II, 37, 48, 165, 223, 335, 344, 465, 490, 547 TROCME' E., II, 316 TROELTSCH E., I, 36, 66; III, 431 TROMP S., III, 327 TscmPKE T., III, 372, 880 TURNER H. E. W., III, 273-74, 277, 284, 293 UGo da S. Vittore, III, DLRICH F., III, 604 UMoER D., III, 8·00

    c.,

    VAGAGGINI I, 1; VAGANY L., II, 52, VALERIANI A., III,

    375, 378

    III, 11 335 468

    1000

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    VALLI F., III, 363 VAN BAUEL, I, 202 VANBERGEN M. A. P., II, 161 VAN BuREN, I, 173, 180 VAN ÙNGH J. M., II, 243 VAN DEN BoscH A., III, 362 VANDENBRONCKJ! F., III, 359, 362, 363 VAN DEN BussCHE H., Il, 194, 256, 362; III, 116, 648, 781, 788, 791* VAN DER EIJDE.N B., I, 111 VAN DER Loos H., II, 224, 235 VAN DE WIELE J., I, 214 VANHOYE A., II, 345, 400, 455, 458,

    464-65, 468, 471-72, 484, 486-87, 490, 584; III, 122, 129, U3, 136, 261, 628 VANIER P., III, 687 VAN IERSEL B. M. F., II, 67, 73, 214, 382-383, 404, 405-406 VAN IMSCHOOT P., I, 185; Il, 63, 301 VAN MEEGEREN D., III, 372 VANNI U., III, 196, 197, 199, 201, 204, 207 VAN RIET G., I, 27 VAN Roo W. A,, III, 372, 634, .732 VASQUEZ G., III, 428-29 VAUTHIER E., III, 885 VAUX R. dc, III, 105, 107, 108 VEIER R., I, 171 VEKEMANS R., III, 477 VERBEKE G., III, 802 VERGARA J., III, 682 VERGOTE A., II, 280-282; III, 129 VERMEIL E., III, 4.32 VERMES G., I, 397; 235, 238, 239 VIDART J.-M., II, 499 V1ELHAUER P., Il, 396, 570; III, 26, 54, 55, 58, 85, 239, 656 VrrroRINO M., III, 305, 678*, 682, 683 VIVIANO B. T., II, 168 VoooPIVEc J., III, 885 Vi:iGTLE A., II, 39, 46-47, 55, 79-80, 82, 252, 433-34; III, 79, 611, 6.38 VoGEL C. J.. III, 676 252, 433-34; III, 79, 611, 638 V6LKL R., III, 188 VoLZ P., II, 24, 25, 29; III, 143 VoNA C., III, 798 VORGRIMLER, III, 621 Voss G., III, 83, 97, 99, 100 VR!EZEN T. c., I, 139; III, 43, 934 WACHTEL A., III, 357 WAINARIGHT A. I, 156 WALGRAVE H., III, 464 WALKER I, 61 WARFIELD B. B., III, 126

    w..

    w. o.,

    !Il

    WARNACK V., II, 271; III, 126 WEBER H. III, 377, 378, 392 WEBER A., III, 808 WEIER R., III, 392 WEINGART R. E., III, 366 WEISER A., III, 39 WEISS J., I, 147; II, 83, 316, 363; III,

    J.•

    578 WE!SSMAHR B., II, 250 WELBON H., III, 466 WELHAUSEN II, 333 WELTE B., I, 95; III, 844, 937, 959 WENDLAND H. D., II, 597 WENGST K., III, 347 WENNEMER K., II, 595 WERNER M., II, 83; III, 50 WESTERMANN C., II, 495; III, 72 WESTON F., III, 512 WETTER G. P., III, 250 WHITE K. D., II, 123 WJEDERKEHR D., I, 79; III, 34, 38,

    J.,

    42, 50, 477 WICKI N., III, 375 WIDMERT G. P., III, 719 WrKENHAUSER A., III, 141 WILDER A. N., I, 147 WILCKENS U., III, 60-61, 63, 84-85, 399 WILLEMS B. A., I, 98, 171; III, 392, 427, 429-30, 444,45, 462, 488-89 WILLMART A., III, 381 WILSON R. Mc., III, 293 WINANDY J., II, 367 WINDISCH H., III, 780 WINGREN G., III, 800 WINK w., II, 61 WlNKLHOFFER A., III, 178 WOLFF H., II, 62; III, 38, 40, 293, 773 WoLFSON H. A., III, 279; 659, 769, 799 . WoLFZORN E. E., II, 364 WouNSKI J., I, 239; III, 547, 677, 680, 68.3, 689-90*-91, 695 WoLKL R., III, 641 WREDE w., II, 315-16, .396 WREGE H. T., II, 99-100, 103 WRIGHT J. H., III, 728, 908 WUELLNER w. H., II, 327 WYTZES J., III, 281 M., III, 554 M. B., III, 90.3-04, 949

    XHAUFFLAIRE XIBERTA

    ZAEHNER R., ZAGO M., I, ZAHRNT H.,

    III, 466 249 I, 47, 52, 54, 99, 106

    1001

    INDICE ONOMASTICO

    A., III, 281, 663 P., II, 223 ZEDDA S., I, 23; II, 342, 356-66, 368, 372-73, 377, 391, 512, 514-42; III, 43, 44, 46, 187, 203-204, 210 ZENONE di Verona, III, 336 ZERWICK M., Ili, 162, 245, 641 . ZIENER G., III, 629 ZANI

    ZIMMERLI

    w.,

    I, 138; Il, 23, 419; III,

    38, 109

    ZARRELLA

    H., I, 22; II, 140, 163-64, 322, 435, 537-38, 456; III, 122 ZIZIOULAS J., III, 676, 677, 734 ZORELL, Ili, 112 ZWERGEL A., III, 74 ZwINGLIO, III, 392 ZIMMERMANN

    .

    INDICE ANALITICO

    I numeri romani si riferiscono al volume, i numeri arabi alle pagine.

    ABBANDONO

    vedi « kenosi ». Solitudine ed angoscia di Gesù al Getsemani: II, 460-464. Abbandono di Gesù in croce: II, 493-496; la kenosi di Dio sulla croce in Massimo Confessore: III, 312-314; abbandono e kenosi: III, 521-537. Sofferenza ed amore trinitario nella croce: III, 511-521. Mistica dell'abbandono in Taulero: III, 363, 523-524. Abbandono e mistica della croce in Giovanni e Paolo della Croce: III, 424-426. AGAPE

    vedi: «amore». Agape cristiano ed Eros umano: III, 146; 565 (n. 333 ). AGNELLO

    Titolo cristologico nella comunità apostolica: III, 224-231. Vedi «Servitore» e « titoli cristologici ». Il Cristo Agnello immolato e salvezza nella pasqua come espiazione sacrificale nella soteriologia patristica: III, 300-309. AGONIA

    di Gesù nel Getsemani: vedi «Getsemani», «angoscia», «abbandono». ALLEANZA

    Alleanza e regalità: II, 11 s.; nuova allenza: II, 19; nuova alleanza nella cena pasquale di addio: II, 448-450. Alleanza e redenzione, giustizia di Dio: III, 504508. Alleanza e incarnazione: III, 929-930. AMORE

    A. Pathos di Dio nella rivelazione profetica: I, 142-144; immagine apatica di Dio ed immagine patetica nella teologia dei profeti: III, 513-514. Amore nella rivelazione del nuovo volto di Dio: I, 149 s. Linguaggio dell'amore nel NT: III, 126-139. Trinità come Agape: I, 179 s. Rivelazione trinitaria dell'Agape nella croce e resurrezione nel NT: III, 126-139; nella soteriologia patristica: III, 309314; nella riflessione della soteriologia attuale: III, 483-490; 495-498; 511-521. Gloria dell'Agape: I, 196 s. Amore e grazia di accoglienza in Maria e nella chiesa: I, 237-244. B. Amore nella vita prepasquale di Gesù - Amore nel messaggio di Gesù: II, 79 s.; 85 s.; 91 s. Amore misericordioso del Padre nel messaggio delle parabole: II, 133140. Amore nella antica e nuova legge: II, 171-179. Amore del possi.mo nella nuova Legge: II, 171-180. Amore come via di liberazione nella prassi di Gesù: II, 204-206. I miracoli come segni dell'Agape: II, 248-252. Amore nella prassi di vita e di preghiera di Gesù nel suo rapporto al Padre: II, 266-270; 276-278 (reciprocità di amore tra Gesù ed il Padre). Amore del Padre come archè e telos della vita filiale: II, 276-278. Amore come estasi dello Spirito: II, 307-309 (vedi anche cristologia e pneumatologia). Amore di Gesù come pro-esistenza: I, 215-216; 218-220; la proesistenza nella vita e nella morte di Gesù II, 451-454.

    1004

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Ili

    C. Amore nella soteriologia pasquale - Amore e ira di Dio nell'AT: III, 103 (n. 112). Amore nella croce e nella resurrezione nel NT: III, 126-139. Efficacia salvifica dell'amore nella redenzione dell'uomo: III, 139-152. Il motivo dell'Amore nella redenzione secondo i Padri: III, 309-314. L'amore nella redenzione nella scolastica medioevale: III, 365-375. L'amore passionale di Dio nella teologia protestante ed ortodossa contemporanea: III, 414-415; 415-423. Amore nella mistica della croce: III, 424-426. Rivelazione dell'amore nella croce nel Cane. Tridentino e nel Vaticano II: III, 440-451. Il martirio della croce come rivelazione di amore nella teologia contemporanea: III, 483-490. La efficacia della rivelazione dell'Amore nella resurrezione del Crocifisso martire: III, 495-498. Amore nella reinterpretazione del linguaggio espiatorio sacrificale: III, 500-511. Rivelazione trinitaria del1'Amore nella redenzione sacrificale secondo la riflessione teologica attuale: III, 511-521. Amore e kenosi nella riflessione teologica attuale: IU, 521-537. Amore ed interpetsonalismo nella riflessione teologica trinitaria: III, 719-724; amore come fondamento della concezione dell'essere personale nella teologia trinitaria: III, 721-724. Amore come forma strutturale dell'evento di incarnazione: III, 931932. Incarnazione come «evento persona» nell'Amore: III, 934-935. Amore e libertà umana liberata dalla croce: III, 537-545; amore nella concezione antro,pologica dell'essere personale dell'uomo: III, 735-757. Amore e pienezza di grazia in Cristo: III, 947-948. Amore come «verginità e sponsalità » nella maternità della Chiesa e cli Maria: III, 560-570; %7. ANGOSCIA

    di Gesù nel Getsemani: III, 459-460. Vedi voce: «abbandono», «sofferenza», « kenosi ». .ANJnrPOSTASlS

    condizione anhypostatica del Verbo nella incarnazione nel Concilio Costantinopolitano II, III, 847-849. Ripresa del linguaggio nella riflessione cristologica contemporanea: III, 918-919. ANTROPOLOGIA

    A. Antropologia nel rinnovamento del metodo della cristologia dogmatica odierna: III, 11-15 (luogo antropologico e culturale). Antropologia nel metodo della cristologia: I, 186-229. Antropologia e rivelazione di Dio: I; 187 s. Antropologia e cristologia in K. Rahner: I, 110-112; 125-126; 198-202. Antropologia media la cristologia: I, 188-192; problemi antropologico-culturali e cristologia, I, 219-229. Antropologia è mediata dalla cristologia: I, 192 s. Gesù Cristo risposta alla domanda antropologica fondamentale: I, 194-219; risposta trascendente: I, 194199; cristologia e trascendenza umana nel pensiero cristologico attuale: I, 202 s.; Gesù Cristo risposta critica: I, 207. Proposta dell'Uomo Nuovo nel messaggio cristiano: I, 213-219. Antropologia e storia: I, 117-126; 204-206. Antropologia trascendentale nel quadro dell'orizzonte storico: I, 109-117; 118-126. Istanze antropologico-culturali nella storfa di passione del mondo dinanzi all'annuncio cristiano: III, 455-75; sviluppo della concezione antropologica di persona nella linea dcl «personalismo dialogico», III, 720-721: sua applicazione nella cristologia trinitaria. B. Antropologia come contenuto del messaggio cristologico pasquale (antropologia e soteriologia): Liberazione e riconciliazione dell'uomo nella croce-resurrezione: III, 537-545; l'uomo libero nell'amore: I, 216-219; III, 541-45; libertà nuova nella comunione del noi ecclesiale: III, 549-556. C. Antropologia e protologia: motivi «antropologico-fondamentali» di un discorso sull'essere metafisico dell'uomo persona in prospettiva logocentrica: III, 733-34; l'uomo « persona-immagine » di Dio e la questione religiosa della sua esistenza: III, 735-36; la costituzione creaturale dell'uomo nella esistenza storica presente come orientamento verso il Cristo: III, 738-39; creazione dell'uomo e sua vocazione cristiana: III, 740-754. D. Antropologia e incarnazione: incarnazione e umanità autentica del

    1005

    INDICE ANALITICO

    Cristo nel Costantinop. II, 848; Gesù Uomo-libero nel dibattito del VII secolo: 849-857; Cristo «uomo universale» nella patristica: III, 862-871; nella dottrina tomista: 882-888; nuova concezione dell'uomo nella cultura moderna: III, 892898; incarnazione momento culminante della realizzazione dell'uomo nella teologia contemporanea: III, 911-921; dimensioni antropologiche dell'evento dell'incarnazione nel pensiero attuale: III, 936-939. E. Antropologia ed escatologia: comprensione dell'uomo dinanzi al futuro: III, 35; (nella cultura odierna) III, 470-475. L'annuncio del Crocifisso-Risorto nell'orizzonte delle attese del futuro dell'uomo: III, 571-576; cambiamento di significato della morte umana nella morte di Cristo: III, 142-145. Istanza corporea escatologica della salvezza: resurrezione dell'uomo nella sua corporeità alla parusia, nel pensiero dei Padri: III, 353-359; resurrezione di .Cristo e resurrezione dell'uomo nel pensiero medioevale: III, 376-379. Resurrezione corporea dell'uomo nella riflessione teologica contemporanea: III, 587-593; 603-604; resurrezione escatologica dell'uomo e cristologia: III, 604-607; dimensione cosmica della resurrezione escatologica dell'uomo: III, 610-613 (parusia e palingenesi). APOCALITTICA

    Significato del linguaggio e sua importanza nella comprensione del significato teologico della storia: I, 43-47. Speranza del Regno nella letteratura apocalittica: II, 25-27; significato apocalittico della morte di Gesù nella narrazione sinottica: II, 490-500; Apocalisse di Giovanni e futuro avvento del Cristo: III, 195-198; 203210. Vedi voci «Escatologia» e «Parusia». APOKATASTASIS

    Nella escatologia origeniana: III 355-356. APPARIZIONI

    pasquali del Risorto: II, 542-547. Vedi «Resurrezione». ASCENSIONE

    cli Gesù cli Nazaret: avvenimento storico o linguaggio di fede? II, 578-80. ASCESI

    della croce nell'evo moderno: III, 424-426; nella riflessione teologica contemporanea: 524-526. ASSUNZIONE

    glorificazione di Maria nella mariologia attuale: «Maria•.

    III, 608-610:

    vedi voce:

    ATEISMO

    e cristologia: I, 107-109; ateismo ed emancipazione: III, 459-463 ATTESE

    di Israele e venuta di Cristo: II, 10-29; attese di Israele e storia umana: II, 30-37. Attese dell'uomo contemporaneo in rapporto all'annuncio soteriologico del Crocifisso-Risorto: III, 455-4 75. AVVENIRE

    nella concezione odierna del futuro: III, 37-38; 473-475. Vedi: «futuro». AzIONE TEANDRICA ·

    concetto e sviluppo nella teologia patristico-dogmatica: III, 853-854 (n. 205)-857. Nella cristologia tomista: III, 880-881.

    1006

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Il!

    BATTESIMO di Gesù nella testimonianza sinottica: II, 66-69; battesimo e teofania: II, 67; battesimo e pentecoste nella redazione lucana: II, 67, n. 24. BEATITUDINI Nel messaggio del Regno: II, 99-110: fondo comune e redazione base: II, 102; struttura letteraria nella redazione di Matteo: II, 105-108; nella redazione lucana: II, 108-110; senso del messaggio cristologico delle beatitudini: II, 103-110; beatitudini e povertà: II, 102-103: 104-106. (ALCEDONIA Vedi voce « Concilii ». CAPO Il Cristo «Capo» nella cristologia paolina: III, 637-639; 640-642; il Cristo C. nella soteriologia agostiniana: III, 308-309; 869-870; nella teologia tomista: 883888; nella teologia contemporanea dell'incarnazione: 936-939. CATTOUCITÀ come universalità della fede: I, 3s.; 17 s.; cattolicità e cristologia in prospettiva universale: I, 165-169. Vedi voce: «universalità». CENA {ultima) di Gesù dalla prassi cultuale eucaristica della prima Chiesa alla prassi della cena di Gesù: II, 440-443. La forma cultuale e testamentaria della tradizione evangelica: II, 441-442. Il significato dei gesti e delle parole: II, 443-448; la prospettiva soteriologica della celebrazione e del messaggio della cena: II, 448454. CHIESA A. La Chiesa nella metodologia della cristologia: il problema della identità della Chiesa: I, 7 s.; il ruolo del luogo ecclesiale nel rinnovamento del metodo dogmatico: III, 4-11; la mediazione di fede della Chiesa nella elaborazione del discorso cristologico: II, 229-231; mediazione ecclesiiile e movimento di sequela nell'approccio cristologico: I, 233-234. Chiesa e compimento dell'evento cristologico: I, 235-237; il ruolo cristologico della fede della Chiesa impersonato in Maria: I, 236-240; 241-244. Vedi: «Maria» (Chiesa e Maria); Chiesa sotto la norma di Cristo: I, 240-244; Chiesa e mediazioni culturali: I, 245-249; III, 10.12-15. Vedi voce: «cristologia» (prospettive metodologiche). B. La Chiesa nel contenuto della cristologia: la Chiesa nella narrazione matteana e lucana della storia delle origini di Gesù: II, 46-53; la Chiesa comunità messianica nella vita prepasquale di Gesù: II, 95-98; 329-336; la regola della comunità di Gesù nel discorso ecclesiologico di Matteo 18: II, 335-336. La Chiesa nell'evento storico della crocifissione cli Gesù: II, 501-512 e come compimento della soteriologia pasquale nel NT: III, 152-161 (nella cristologia giovannea: la nascita mistica della Chiesa impersonata nella Madre cli Gesù nel IV ev.). Chiesa e Cristo nell'Apocalisse: III, 198-202; III, 161-165 (l'unità della Chiesa frutto della croce in Paolo). La generazione della Chiesa dalla pasqua di Cristo nella tradizione patristica: III, 328-346 (comunità corpo di Cristo: 329-332); (la «Chiesa Madre »-Nuova Eva-Maria»: 332-246). Valore ecclesiologico della incarnazione nel pensiero· di Tommaso d'Aquino: III, 882-888; la salvezza del Crocifisso-Risorto come dono di comunione ecclesiale (Chiesa-Maria) nella riflessione teologica contemporanea: III, 549-571 {la Chiesa sacramento: 550-553; la Chiesa soggetto-persona e koinonia ecclesiale: 553-555; maternità della Chiesa: 555-556; maternità di Maria: 556-570). La Chiesa, Corpo di Cristo e Corpo di risurrezione di Cristo: III, 593-595.604-610. La Chiesa pleroma di Cristo: III,

    INDICE ANALITICO

    1007

    639-642. La Chiesa nella incarnazione nella teologia patristica: III, 862-871; nella riflessione teologica contemporanea: III, 927-930; 938-39; 939-948; vedi voce: «Maria».

    CoMUNICAZIONE IDIOMI nella cristologia del IV secolo: III, 816-20; nel dibattito del V secolo: III, 821-825; nel concilio di Efeso: 825-829; in Calcedonia: 830-836. COMUNITÀ cristiana Ruolo metodologico della comunità ecclesiale nella cristologia e nei suoi contenuti: vedi voce « Ollesa ». La comunità di Gesù: vedi «Chiesa» B. CONCEZIONE Cristologia sinottica delle origini di Gesù: II, 38-46; 46-53; concezione di Gesù e genesi: II, 39-40. Concezione verginale secondo lo Spirito: Il, 40-45. Concezione secondo lo Spirito e pentecoste: II, 44-45. Vedi «Maria» (verginità di M.). CONCILI! A. della cristologia: per gli aspetti soteriologico-pasquali: III, 440-444 (CoNc. TRENTO e mistero della croce); III, 444-451 (Conc. Vaticano II e mistero pasquale). Per gli aspetti prcitologici della cristologia: III, 669-673 (Conc. NICEA e preesistenza del Logos). Per la cristologia dell'incarnazione: III, 825-829 (EFESO); III, 831-846 (CALCEDONIA); 846-849 (CoSTANTlNOPOLITANO Il); 849857 (COSTANTINOPOLITANO III); 583-585 (dottrina escatologica del Vaticano II). B. Sul tema trinitario: TOLEDO (III, 703); LATERANENSE IV (III, 686); FIRENZE (III, 693-94). CONVERSIONE Nel movimento penitenziale dcl Battista: II, 29; 56-57; 61-64; 90; nel messaggio di Gesù: II, 80-90; 90-95. Conversione e risposta al messaggio di Gesù: 95-96. CORPO Istanza corporea della salvev.a: III, 467-470. Il «corpo» della croce come «corpo dato» per tutti: Il, 441-455. Il significato corporeo delle apparizioni del Risorto: II, 543-547; l'assenza del corpo nel sepolcro di Cristo: II, 556-557. Il Corpo escatologico di Cristo fondamento della speranza cristiana di resurrezione in Paolo: III, 177 s.; vedi voce: «resurrezione». Il corpo di resurrezione dell'uomo alla parusia nel pensiero dei Padri: III, 354-359; il corpo di resurrezione nella escatologia del pensiero medioevale: III, 375-380. Aspetto corporeo della salvezza escatologica nella riflessione attuale: III, 587-593; 603-604. Vedi voci «resurrezione», «assunzione» di Maria. Il Corpo (mistico) di Cristo: vedi «Chiesa». COSCIENZA A. Coscienza messianica di Gesù - nella storia di Gesù: II, 155 s. (la sua auto· rità); II, 26l-264 {la sua coscienza religiosa in rapporto al Padre); il suo rapporto allo Spirito: Il, 291-296. La coscienza messianica di Gesù dinanzi al suo destino: sviluppo o evoluzione? II, 340-346. La coscienza soteriologica di Gesù nelle profezie della passione, nella cena e nel Getsemani: II, 435-464. La coscienza messianica di Gesù nei titoli cristologici: II, 378-380; 382-402 (Figlio dell'Uomo); 404-408 (Figlio e Servo). La coscienza di Gesù dinanzi alla Parusia: II, 363-376. La coscienza di Gesù nella parola della croce: II, 494. Vedi anche: III, 526, n. 212.

    1008

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    Il!

    B. Il problema moderno della coscienza di Cristo: III, 897-898 (in H. Schell e nel modernismo; 900-908 (sviluppi contemporanei). L'incarnazione come evento personale di libertà e coscienza nella riflessione sistematica attuale: III, 949960. CosMOGENESI

    concezione dinamica moderno-contemporanea del mondo e visione cristiana della creazione. Vedi: « creazione ». CREAZIONE

    Creazione e protologiiz nel quadro delle istanze universali della cristologia: I, 8488; concezione statica e dinamica della creazione: I, 118-126; III, 726-732. Ruolo del Cristo nella prima e seconda creazione in Paolo (III, 633-642) e Giovanni (Ili, 642-648). Rapporto tra preesistenza e prima creazione nella tradizione patristica: III, 660-666; 666-673; ruolo del Cristo preesistente nella prima e seconda creazione nel dibattito medioevale sul fine della incarnazione: III, 726-729 suoi problemi critici nel contesto della concezione moderno contemporanea della creazione come cosmogenesi: III, 729-732; III, 908-911; vedi voce: «incarna· · zione ». Prima e seconda creazione in rapporto al ruolo del Cristo preesistente nella riflessione teologica contemporanea: III, 725; 729-31 (pensiero di Teilhard de Chardin: vedi anche I, 118-120); 731-754 (riflessioni attuali).

    CRISTIANI (anonimi; non-cristiani) Non-cristiani e cristiani anonimi nella metodologia della Cristologia in prospettiva universale: I, 222-225; cristianesimo anonimo nel dibattito cristologico odierno: III, 746-754. Significato e valore delle religioni non-cristiane: III, 463-467. CRISTOLOGIA

    A. prospettive metodologiche: suoi compiti attuali: I, 1-18; 23-24; suoi problemi critici: I, 19-93 {Gesù di Nazaret agli inizi della crist.). Cristologia e istanza storica della fede: I, 23-36; cristologia e criteriologia storica: I, 56-64. Cristologia ed istame fondamentali nella metodologia attuale: I, 23-26. Cristologia nei modelli «dall'alto e dal basso»: I, 69-77. Storia prepasquale ed evento pasquale nella cristologia sistematica: I, 77-93. Cristologia e problema di Dio: precomprensione di Dio e cristologia: I, 96-106; interrogazione di Dio e problema dell'uomo: I, 107-117; problema dell'uomo e mistero di Dio in un orizzonte storico: I, 117-126.127-137. Cristologia e rivelazione del nuovo volto di Dio: I, 138-155. Mistero di Dio nella esistenza storica di Gesù: I, 146-155; il mistero di Dio e la fede cristologica nel NT: I, 155-.159; la portata soteriologica della rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Cristologia in una prospettiva universale: l'universalità intrinseca dell'evento cristologico (cristologia e soteriologia): I, 170-179; fondamento trinitario del valore soteriologico universale della cristologia (cristologia e pneumatologia): 179-186; cristologia ed antropologia: I, 186-228. Importanza del luogo antropologico nella metodologia attuale della teologia dogmatica: III, 11-15. Vedi voce «antropologia». Cristologia nel quadro della domanda del futuro dell'uomo: III, 33.47 (Cristologia ed escatologia). Vedi: «Escatologia». Cristologia ed ecclesiologia: I, 229-235; comunità di fede nell'evento cristologico: I, 235-240; comunità di fede sotto la norma di Cristo: I, 240-244; comunità di fede e mediazioni culturali: I, 245-249.III, 11-15. Cristologia nel rinnovamento del metodo teologico dogmatico: III, 1-15. Il luogo originario: l'evento della rivelazione: III, 2-5; il luogo ecclesiologico della Tradizione apostolica nella codificazione del NT: III, 5-7 (il primato della Scritura: III, 6). Importanza della Tradizione post-biblica: Scrittura e Tradizione: III, 7-11. B. Contenuti della cristologia: 1. cristologia dell'AT: il Messia Re: III, 13-19; il Messia Profeta: II, 20-27; il Messia Sacerdote: II, 25-27; 2. La cristologia di Gesù:

    INDICE ANALITICO

    1009

    dimensione cristologica del messaggio del Regno: II, 82-90.111-115 (nel discorso della montagna); 132-152 (nel messaggio delle parabole). Cristologia nel comportamento personale di Gesù: Il, 155, 165 (la sua autorità); 165-187 (il suo confronto con la Legge); II, 197-224 (il suo comportamento nella società del suo tempo); II, 251-256 (significato cristologico dei miracoli); Il, 257-310 (nella prassi religiosa di Gesù: Gesù ed il Padre; Gesù e lo Spirito). La questione di Gesù e segreto messianico: II, 310-320. Vedi segreto messianico. La «cristologia di Gesù» nei dibattiti gerosolimitani col giudaismo ufficiale nei sinottici: II, 348-354; II, 355362 (nel quarto evangelo). Cristologia di Gesù ed escatologia: II, 362-377 (Gesù e la Parusia). La cristologia di Gesù nei titoli messianici: II, 378-424. Cristologia di Gesù e soteriologia: II, coscienza messianica di Gesù e suo orientamento verso la croce: II, 426-435; sua prospettiva profetica: Il, 435-440; significato della soteriologia di Gesù: II, 451-454 (vedi pro-esistenza). Gli avvenimenti della . passione e morte: II, 454-517. La resurrezione di Gesù come avvenimento storico: Il, 519-558: vedi resurrezione. 3. La cristologia della Chiesa: a. la cristologia ecclesiale della resurrezione nei linguaggi pasquali neotestamentari: II, 558-580 (resurrezione ed escatologia: 561-657; resurrezione e vita: 567-569; esaltazione e glorificazione: 569-574; complementarità dei linguaggi: 574); la resurrezione come compimento della croce: Il, 581-585; resurrezione e dono dello Spirito: 58)-606. Vedi resurrezione di Cristo. La resurrezione «centro e fondamento della cristologia del NT »: III, 21-30. Ln cristologia ecclesiale nel messaggio pasquale del Cristo Crocifisso-Risorto e nell'annunzio parusiaco: III, 4969 (il Cristo Crocifisso-Risorto anticipazione personale dell'eschaton); III, 76-93 (rilettura escatologica ecclesiale della storia terrena di Gesù negli evangeli); III, 93-167 (il Crocifisso-Risorto nella cristologia-soteriologica del NT: per i diversi aspetti della riflessione soteriologico-pasquale del NT vedi: Croce, Resurrezione e soteriologia pasquale); III, 169-219 (Il Crocifisso-Risorto nel suo avvento parusiaco nella teologia del NT; per i vari temi vedi: Parusia). La cristologia ecclesiale del NT nei grandi titoli cristologici: III, 221-272. Vedi Titoli cristologici. b. La cristologia pasquale e parusiaca nel pensiero della tradizione ecclesiale postbiblica: III, 273-359 (soteriologia ed escatologia pasquale patristica: per i temi singoli vedi soteriologia pasquale); III, 359-382 (evento pasquale e parusia nella spiritualità e nella teologia medioevale: per i temi singoli vedi «soteriologia pasquale »); III, 383-432 (soteriologia della croce-resurrezione nella cristologia protestante: III, 383-415) e ortodossa (III, 415-423 ): vedi soteriologia pasquale VI); III, 423-444 (soteriologia pasquale nell'evo moderno: temi in soteriologia pasquale VII); III, 440-451 (i dati dogmatici della soteriologia pasquale ed escatologia). III, 455-617 (il Crocifisso-Risorto ed il suo avvento parusiaco nella . riflessione teologica contemporanea: prospettive sistematiche: dettaglio dei temi in «soteriologia pasquale IX»). c: La cristologia ecclesiale nei suoi sviluppi protologici: III, 619-757. Importanza e situazione di crisi della preesistenza (III, 619626); il cammino della fede cristologica neotestamentaria verso la «preesistenza»: III, 627-652 (vedi voci: preesistenza e protologia); la cristologia della preesistenza negli sviluppi della cristologia post-biblica: III, 653-704; III, 655-685: (il dibattito sul preesistente nella cristologia patristica); III, 669-673 (il preesistente nel dogma di Nicea); ·III, 674-680 (il dogma del Costantinopolitano I e II); III, 685-695 (la cristologia della preesistenza nella teologia medioevale); III, 695-704 (la cristologia della preesistenza nel periodo moderno contemporaneo); III, 705-757 (il mistero del Cristo preesistente nella riflessione teologica contemporanea: vedi voce «preesistenza»). d. La cristologia ecclesiale dell'incarnazione della Parola: III, 767-972; i precedenti del linguaggio cristiano (767-775); i contenuti del liguaggio cristiano neotestamentario della incar. della Parola (775-792); gli sviluppi post-biblici nel pensiero patristico-dogmatico (792-871); incarn. nella cristologia medioevale (871-888); l'incarnazione nella riflessione moderno-contemporanea (889-992). La teologia dell'incarnazione nella sistematica attuale (923973). Vedi «incarnazione».

    1010

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Ili

    CRISTO

    L'appellativo Cristo nell'antico messianismo regale di Israele: II, 13-20; il titolo « Cristo=Messia » nel quadro della vita storica prepasquale di Gesù: II, 380-384. II titolo «Cristo» nella cristologia della Chiesa post-pasquale; III, 234238. Vedi «titoli cristologici», «Signore», «Gesù-Cristo». CROCE

    A. La croce nella struttura del discorso cristologico - Croce e identità cristiana: I, 7-9; la croce, momento di crescita della fede apostolica: I, 35-38; la croce come risposta. critica del messaggio cristiano alle domande antropologiche: I, 207212. Funzione critica del messaggio della croce come denuncia profetica del male e sua crisi escatologica: III, 481-483; la croce come testimonianza rivelatrice di amore: III, 483-490; essenziale riferimento del ruolo critico-rivelativo della croce alla resurrezione: III, 490-498. La « croce » come struttura del discorso teologico nella concezione di Lutero: III, 385-391. B. La croce nella storia di Gesù: la pericolosità della sua esistenza terrena: II, 426-428; l'atteggiamento di Gesù dinanzi alla croce: II, 428-435; la previsione profetica della croce: II, 435-440; Croce-soteriologia-proesistenza: Il, 440-454; la cena pasquale di addio: II, 440-451; gli avvenimenti della passione, croci.fissione e loro significato cristologico: II, 454-517; agonia del Getsemani: 458-464; processo di Gesù: 465-484; morte di Gesù sulla croce e rivelazione cristologica della sua identità: II, 490-500 {sinottici); II, 500-512 (IV evangelo). C. La croce nella cristologia ecclesiale 1. La croce nella cristologia soteriologica del NT: la croce in rapporto alla resurrezione: II, 581-584; la croce e la resurrezione nella unità personale del Crocifisso-Risorto: III, 74-76; vedi: «resurrezione ». Il problema della theologia crucis in Luca: III, 83-87; l'evento della croce come «martirio del Giusto» (soteriologia lucana); III, 94-100; la soteriologia della croce come « saqificio espiatorio »: la croce come espiazione, nel kerigma primitivo: III, 100-102; redenzione ed espiazione nell'AT: III, 103109; dalla autointerpretazione soteriologico-sacrificale della morte e resurrezione di Gesù a quella della Chiesa: III, 109-110; la croce-espiazione nella teologia paolina: III, 110-116; nella soteriologia giovannea: III, 116-122; nella ·lettera agli Ebrei: III, 122-126. La croce e resurrezione «ora escatologica» della rivelazione di Dio Amore trinitario nel NT: III, 126-139. L'efficacia salvifica dell'evento escatologico della Croce (e resurrezione) nella teologia del NT: III, 139-152. La salvezza dalla croce nella sua dimensione comunitaria nel NT: 152-165. 2. La croce nella soteriologia patristica: la croce come sapienza illuminatrice, III, 278284; la salvezza della croce come conquista, III, 284-292; la salvezza nella croceresurrezione come divinizzazione: III, 292-300; la croce immolazione dell'Agnello pasquale: III, 300-309; l'amore nella croce come manifestazione della filantropia divina: III, 309-314. Croce e dono dello Spirito nella soteriologia patristica: III, 314-328. Croce e nascita della Chiesa-Maria nella soteriologia patristica: III, 328-346. 3. La salvezza nella croce nella teologia post-patristica; la Croce ed il motivo dell'amore nella «teologia medioevale»: III, 365-375; l'importanza della salvezza nella croce nella «teologia luterana», III, 385-391 e negli sviluppi della teologia protestante contemporanea: III, 391-415; il tema della salvezza nella croce nella scuola «ortodossa russa» contemporanea: III, 415-423; la salvezza nella croce nella riflessione cattolica dell'evo moderno-contemporaneo: III, 423439: la mistica della croce (III, 424-426); la riflessione controversistica e scolastica (III, 426-430); il nuovo punto di partenza: gli influssi dell'illuminismo e romanticismo sulla soteriologia cattolica (III, 430-439). 4. I dati dogmatici sulla soteriologia della croce: Ill, 440-451. 5. La riflessione teologica contemporanea sull'evento della croce: la croce come «martirio e profezia» (III, 475-598: la croce giudizio rilevatore del male (481-483); la croce del martirio come «testimonianza rivelatrice» di amore (483-490); vincolo tra croce e resurrezione: 490498). La croce come evento di «redenzione sacrificale» (III, 498-.570: ermeneutica del linguaggio soteriologico cristiano. (III, 500-.511); · rivelazione trinitaria del-

    INDICE ANALITICO

    1011

    l'amore nella croce-sacrificio (III, 511-521); croce e discesa agli inferi (III, 521537); croce come fonte di liberazione e riconciliazione dell'uomo (III, 537-549); la croce ed il dono della comunione ecclesiale; marianità della grazia ecclesiale (III, 549-570).

    D. Croce ed ecclesiologia - la croce e l'identità della Chiesa: I, 7-9; 229-249; sofferenza e messianismo antico: II, 18c26; le anticipazioni del vangelo della croce nel racconto di infanzia di Gesù in Matteo: II, 46-49; formazione della chiesa prepasquale e segreto messianico. II, 317-336. Nascita della Chiesa dalla croce nella storia di Gesù: II, 498-500 (nei sinottici); II, 500-512 (IV evangelo); nella riflessione teologica del NT: III, 152-161 (nella teologia giovannea); III, 161-165 (nella teologia paolina). La Chiesa dalla croce nella riflessione teologica patristica: II, 328-332 (la comunità corpo); 332-346 {la Chiesa Madre-Nuova EvaMaria). Agire soteriologico di Cristo e fondazione della Chiesa Corpo nella teologia di Tommaso d'Aquino: III, 371-375; 882-888; Croce e Chiesa nel Vaticano II, vedi: « cristologia» III, 444-451. La croce ed il dono della comunione ecclesiale nella riflessione teologica contemporanea: III, 549-570. E. Croce rivelazione di Amore: II, 267-284 (il mistero dell'Amore trinitario nella vita e nel sacrificio di Gesù); II, 299-309 (aspetti pneumatologici); II, 431-435 (la proesistenza di Gesù ed il suo cammino verso la croce); Il, 448-451; 451-454. La croce « ora escatologica di rivelazione trinitaria cieli'Agape » nella soteriologia pasquale del NT: III, 126-139; efficacia pneumatologica dell'amore della croce: III, 149-152. La filantropia dell'Amore trinitario nella croce, secondo la riflessione dei Padri: III, 309-314. L'Amore nella croce secondo la scolastica medioevale: III, 365-375; l'amore trinitario nella croce nella riflessione sofianica dell'ortodossia russa contemporanea: III, 415-423; l'amore nella croce nelle affermazioni dogmatiche di Trento e Vaticano II: III, 441-451. Rivelazione trinitaria dell'Amore nella croce-martirio: III, 483-490 e nella croce-redenzione sacrificale: III, 511-521. Vedi «amore». F. Croce e dono dello Spirito: vedi voce «Spirito Santo». G. Croce ed escatologia: significato escatologico dell'evento del Calvario nella narrazione sinottica: II, 490-500. Escatologia del presente ed evento pasquale nella teologia del NT: III ,58-67; 81-90; 91-93. Escatologia dell'Agape nella croce: III, 126-139. La croce momento escatologico di salvezza nel Vaticano II: III, 449-451. La croce come giudizio escatologico nella storia del mondo nella teologia contemporanea: III, 481-490. CULTURA

    Problema della ineulturazione della fede nell'adattamento del· kerigma: I, 3 s.; mediazioni culturali e cristologia: I, 222-225; mediazioni culturali e comunità ecclesiale: I, 245; istanze culturali nel luogo antropologico come luogo teologico nella rinnovata metodologia dogmatica attuale: III, 11-15.

    Dro A. Problema di Dio nella metodologia della cristologia attuale: I, 95-163; precomprensione di Dio e cristologia: I, 96-106; interrogazione di Dio e problema. dell'uomo: I, 107-117; mistero di Dio in un orizzonte storico: I, 117-126. Appello della umanità alla istanza religiosa nel mondo delle religioni non cristiane: III, 463-467. Precomprensione biblica del mistero di Dio: I, 138-141 (monoteismo biblico); presenza storica di Dio in Israele: I, 142-144; volto pathetico di Dio: I, 143 s. Il tema della sofferenza di Dio nella riflessione teologica contemporanea: III, 512-521; Cristologia e nuovo volto di Dio: I, 144-163. Mistero trinitario di Dio e fede cristologica del NT: I, 155-163. B. Il mistero di Dio nella esperienza rivelatrice di Gesù di Naxaret: Gesù ed il Padre, sua identità filiale: II, 258-284; vedi: Trinità e Padre. Gesù e lo Spirito: 284-299. Significato del rapporto tra Gesù e lo Spirito: II, 299-309. C. Il mistero di Dio nella soteriologia pasquale del NT: III, 126-139 (rivelazione trinitaria del mistero di Dio come Amore); il mistero di Dio nella rifles-

    1012

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    III

    sione soteriologica patristica: III, 309-314 (filantropia divina); 511-521 (nella riflessione teologica contemporanea); vedi Trinità nell'evento pasquale. D. Il mistero. di Dio nella rivelazione della sua vita trinitaria immanente: III, 627-652 (Trinità-creazione-nuova creazione); sviluppi del pensiero patristico-dogmatico: III, 653-685; teologia trinitaria medioevale: III, 685-695; il mistero di Dio nella riflessione moderno-contemporanea: 695-704. Riflessioni sistematiche odierne: III, 705-757. Vedi «Trinità». DEMITIZZAZIONE

    Programma bultmanniano della demitizzazione: I, 99-105 DISCEPOLATD

    Nella esistenza storica di Gesù: II, 96-98. Gesù ed i discepoli: significato nuovo del discepolato nella sequela di Gesù: II, 321-329; discepolato e convocazione in comunità: II, 329-336. Vedi «sequela». DISCESA AGLI INFERI

    Il tema della discesa agli inferi nelle allusioni neotestamentarie: III, 527 (n. 216)533; nelle affermazioni patristiche: III, 288-292 {tema del Christus Vietar); nelle afiermazioni dogmatiche: III, 527; nella interpretazione teologico-Classica: III, 528-530; nelle riflessioni cristologiche contemporanee; III, 521-537. Vedi « kenosi » · e « abbandono». DoLORE:

    vedi « sofferenza »

    DONNA

    La donna nella prassi divor:zìstìca della tradizione orale del giudaismo al tempo di Gesù: II, 184 (vedi n. 70 e 71)-186 e la posizione di Gesù dinanzi alla halaka: Il, 183-187. La condizione della donna nella società giudaica del tempo ed il comportamento di Gesù verso le donne: II, 213 s. Ruolo delle donne nelle apparizioni del Risorto: II, 552-553 (n. 81). La teologia della «Donna» come titolo soteriologico attribuito izd Eva, al Popolo di Dio, a Maria: la «DonnaChiesa-Maria » a Cana di Galilea e presso la Croce: II, 503-507; III, 154-157 (il mistero della Donna, a Cana di Galilea); III, 157-158 (presso la croce). La «Donna» nell'Apocalisse: III, 158-161. La soteriologia della Donna nel quadro nuziale nella teologia paolina: III, 161-165. La Donna «Chiesa-Maria» nella riflessione teologica patristica: III, 332-346; nella riflessione medioevale: III, 380382; nella prospettiva teologica contemporanea: III, 556-570. Vedi: «Maria»; maternità della Chiesa-Maria. ECCLESIOLOGIA

    vedi « Chiesa » EDUCAZIONE

    Ideale greco della « paideia » e suo rapporto con la soteriologia pasquale come «illuminazione» ed «educazione»: III, 278-284. Vedi « paideia ». EMANCIPAZIONE

    istanze emancipatorie nella cultura greca e nella cultura moderno-contemporanea: III, 459-463; emancipazione e redenzione: 461-63; 464-467; 538-549; 568-570. ERMENEUTICA

    ermeneutica delle origini della cristologia: I, 10; 30-31; II, 2; ermeneutica della rilevanza I, 12.31-32. Ermeneutica ed inculturazione nel metodo attuale dogma· cico: III, 13-15. Esigenze ermeneutiche circa il linguaggio soteriologico cristiano

    INDICE ANALITICO

    101}

    di espiazione, redenzione, soddisfazione: III, 500-511. Ermeneutica dei linguaggi escatologici (profetico ed apocalittico): III, 41-47. Ermeneutica dei linguaggi escatologici cristiani di resurrezione-esaltazione-glorificaziorie: II, 558-580. Ermeneutica dell'orizzonte protologico della cristologia: III, 621-626. Ermeneutica conciliare: Nicea: III, 669-673; 674-676 (problemi ulteriori); Costantinopolitano I: III, 677. Concilio di Calcedonia: III 833-846; Costantinopolitano II: III, 846849; Costantinopolitano III: III, 849-857. ESCATOLOGIA

    A. Escatologia nel metodo cristologica: Escatologia e futuro: I, 122-124. Jstanze antropologicbe sul futuro dell'uomo: III, 35-38; 470-475; escatologia in rapporto al sacro: II, 86-87; rivelazione divina fondamento della escatologia biblica: III, 39; il futuro nella comprensione della fede: III, 33-35; 38-47 (i linguaggi escatologici biblici e loro ermeneutica}. Cristologia fondamento della escatologia: I, 147; II, 86-87. Escatologia e penumatologia: I, 180-186. B. Escatologia nella cristologia fondamentale: escatologia nelle attese messianiche di Israele: I, 19-20; Il, 14-30; attualità escatologica del Regno nella predicazione di Gesù: II, 78-82; escatologia del Regno nelle parabole di Gesù: II, 122-132; l'annuncio del mondo nuovo nei miracoli di Gesù: II, 246-252. Il Padre come figura escatologica nella esperienza religiosa di Gesù: II, 275-284. L'escatologia dimensione essenziale della cristologia cli Gesù: II, 362-377. La coscienza messianica escatologica di Gesù: Il, 362-377. La coscienza messianica escatologica di Gesù espressa nei titoli cristologici di Messia e Figlio dell'Uomo: II, 380-403. Dimensioni escatologiche del pasto di addio: II, 444-448; significato escatologico apocalittico della narrazione sinottica della morte di Gesù: II, 490-500. Significato escatologico dell'evento della resurrezione: II, 527-528; linguaggio di resurrezione ed escatologia: II, 561-567. Dimensioni escatologiche del dono pentecostale dello Spirito: II, 590-589 s. C. Escatologia nella cristologia della fede della Chiesa; 1. L' csçatologia nella cristologia del NT. Problematica escatologica della cristologia del NT: III, 49-69. (dalla escatologia paolina e giovannea alla escatologia lucana). Significato escatologico presente dell'evento della croce e della resurrezione: III, 71-76; 93-167. Significato escatologico della rilettura della storia terrena di Gesù: III, 76·93; il Crocifisso-Risorto nel suo avvento parusiaco nella cristologia del NT: III, 169219. (Vedi « Parusia» per il dettaglio dei temi}. Escatologia nei titoli cristologici del NT: III, 231-234 (il Figlio dell'Uomo); III, 234-237 (il Cristo e Signore); III, 247-260 (il Figlio di Dio); III, 260-263 (il So=o Sacerdote). 2. Escatologia nella cristologia post-biblica: la «parusia del Cristo» nel pensiero patristico: III, 347-359; la resurrezione di Cristo e la speranza escatologica nel pensiero medioevale: III, 375-380; escatologia nel pensiero di Lutero: III, 390-391 e nella teologia protestante contemporanea: III, 391-415; escatologia nella cristologia soteriologica cattolica contemporanea: escatologia nel Vaticano Il: III, 449-451; 583-585; l'ora pasquale come evento parusiaco: III, 576-595; 595-613 (parusia compimento ultimo .dell'evento cristologico}. Vedi «Parusia», «Resurrezione», «Assunzione». Escatologia e Protologia: III, 623-626; 728-732. Escatologia e Incarnazione: III, 924-930; 930-933. ESALTAZIONE

    Linguaggio neotestamentario complementare di resurrezione: II, 569-574. Vedi « Resurrezione ». ESPIAZIONE

    Vedi «Redenzione». Espiazione nel/'AT: II, 19-24 (nelle attese messianiche}; III, 103-109. Nel linguaggio paolino: III, 110-116; la spiritualizzazione del linguaggio espiatorio nella soteriologia giovannea; III, 116-122; l'espiazione sacrificale nella Lettera agli Ebrei: III, 122-126. Vedi « Sacerdoi:io » di Cristo. Espiazione nella soteriologia patristica: III, 300-309; nella soteriologia medioevale: III,

    1014

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    !II

    365-375. Problematica moderna: III, 383-385; 426-430 {espiazione e soddisfazione nella teologia controversistica). Espiazione e soddisfazione nella soteriologia tridentina: III, 440-444: Problemi ermeneutici nel linguaggio espiatorio-soddisfattorio-sacrificale: III, 500-511. EUCARESTIA

    Vedi « Cena di addio » EVA-CHIESA-MARIA

    ·vedi ,; Chiesa» e «Maria» FARISEI

    Farisei e fariseismo (tipologia): II, 188-189; Gesù ed

    farisei: II, 196-198

    FEDE

    Aspetti critici della attuale situazione di fede: I, 1-5; fede cristologica e comunità ecclesiale: I, 6-7; 231-233; Fede e storia: genesi storica della fede apostolica: I, 19 s.; 31-32 s.; fede cristiana ed esperienza storica: I, 33-35; fede e positivismo storico: I, 36-45; fede e soggettivismo: I, 41-45. Fede e storia terrestre di Gesù: I, 45-69. Fede, storia prepasquale ed evento pasquale nel disegno della cristologia sistematica: I, 126-138; Fede cristologica e teologia: I, 95-106; 138-l44; 144155. Il mistero di Dio e Ja fede cristologica del NT: I, 155-163. Fede cristologica ed antropologia: I, 186-228. Fede di Maria nel discorso strutturale ecclesiologico in riferimento alla cristologia: I, 237-244; III, 556-560; 560-570. Vedi «Maria». Dro A. Coscienza messianica filiale di Gesù di Nai:aret: II, '88-90; nel suo rapporto vissuto al Padre: II, 257-284; nel suo rapporto allo Spirito: II, 284-309. Identità filiale di Gesù al centro della sua cristologia: II, 348-354; 354-362. Il ~>. FILANTROPIA DIVINA

    come manifestazione dell'Amore trinitario di Dio nella croce e resurrezione secondo la soteriologia dei Padri: III, 309-314. FINE DELLA INCARNAZIONE

    vedi « Incarnazione » FUTURO

    Orizzonte esse.oziale per la comprensione del presente dell'uomo: III, 35-38; attuale interrogativo sul futuro: III, 470475. Il futuro, orizzonte per la comprensione del presente della fede: III, 38-41. Futuro di Cristo, futuro dell'uomo e della storia universale: III, 598-599. Vedi voce «escatologia». GALILEA

    Ministero galilaico e tradizione galilaica: II, 57-59. Ministero galllaico e messaggio del Regno: II, 77-154. GERUSALEMME

    Tradizione gerosolimitana: II, 59-61: Gerusalemme in Luca: II, 50; tradizione gerosolimitana e cristologia di Gesù: Il, 348-362. Gerusalemme nel IV evangelo: II, 354 s. GESÙ CRISTO

    A. Nei problemi di metodo: Il fatto «Gesù» compimento del tempo: I, 19 s.; la storia di Gesù dimensione integrante della fede cristologica: I, 25 s; «.storia di Gesù» e credibilità della fede: I, 26-27; Gesù storico e Cristo della fede: I. 36-56. Gesù storico e Gesù terreno: I, 66-67. B. Nella cristologia fondamentale: Gesù nelle sue origini storiche (genesi di Gesù, sua genealogia): II, 37-39. Gesù Nuovo Mosè (Il, 46-48) e Nuovo Adamo (II, 48). Gesù di Nazaret nella sua prassi: II, 153-165; come profeta e rabbi: II, 156-163; Gesù e la Legge: vedi « Legge-Thorii »; Gesù e povertà: II, 220-224. Vedi «povertà», Gesù ed i peccatori: II, 213-217; Gesù ed il Padre: II, 258284. Gesù e lo Spirito: II, 284-309. Il problema di Gesù: il segreto messianico: II, 310-320. La cristologia di Gesù: II, 347-362. Gesù nella sua pro-esistenza: ·II, 451454; Gesù dinanzi alla morte: II, 425-489; Gesù nella sua morte: Il, 389-512. Gesù nella sua resurrezione: II, 534-558. C. «Gesù-Cristo» come titolo nella cristologia ecclesiale del NT: III, 235-237. GETSEMANI

    Preghiera ed agonia del Getsemani: II, 458-464.

    1016

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    Il!

    GIUDIZIO

    A. Il giudizio nella storia di Gesù: Il giudizio escatologico nella predicazione del Battista: II, 61-66; 84. Il giudizio nella predicazione di Gesù: II, 94-95; giudizio ed escatologia di Gesù: II, 364-377. Potestà giudiziale di Gesù come Figlio dell'Uomo: II, 366-371; 394-403. Il giudizio della croce nel racconto sinottico: Il, 490-500. B. Giudizio nella tradizione biblica: III 41 (il giudizio escatologico nel tempo); vedi «escatologia profetica ed apocalittica». Il giudizio nella escatologia paolina: III, 172-173; il giudizio nella escatologia giovannea: III, 183-184; 191-195 (il giudizio dello Spirito); III, 199-202 (il giudizio della Parola nell'Apocalisse); il giudizio presente e futuro nell'Apocalisse: III, 207-210. Il giudizio nella esca, tologia lucana: III, 211-213. C. Giudizio nella tradizione post-biblica - il giudizio nella escatologia patristica: Ili, 347-353. Giudizio nella escatologia tomista: III, 379. D. Il «giudizio» ·nella riflessione teologica attuale - Il giudizio della croce come crisi rilevatrice e trionfatrice del male (III, 481-483) e come giudizio dell'amore redentore (III, 483-490). Giudizio trionfante di Dio nella resurrezione di Cristo: III, 490-495; 495-498. Giudizio nell'evento pasquale: III, 586-687; giudizio di Dio nella storia e nella sua conclusione parusiaca: III, 600-602; Vedi voce: « escatologia » e « parusia». GIUSTIZIA

    A. Giustizia e regalità di Dio nelle attese di Israele: II, 15-18; peculiarità della visione biblica di giustizia di Dio: III, 33-36; giustizia e regalità di Dio nel quadro della storia umana: II, 31-36; B. Giustizia del Regno nel discorso della montagna: II, 110-116. Giustizia e misericordia di Dio nel dialogo tra Gesù ed il Battista: II, 65-69; giustizia e libertà nel comportamento di Gesù in rapporto alle classi dominanti del suo tempo: II, 192-206; giustizia di Gesù verso i piccoli: II, 206-224; giustizia di Dio (in Mt 25): II, 601. Vedi «povertà» . (scelta preferenziale per i poveri). C. Giustizia di Dio nella soteriologia paolina: III, 110-114. Giustizia trionfante di Dio nella soteriologia dei Padri: III, 285-292. Giustizia e sacrificio espiatorio nella soteriologia dei Padri: III, 300-309. «Giustizia di Dio» nel linguaggio di Agostino e Leone Magno: III ,289-292; nel linguaggio di Anselmo: III, 365366; in Tommaso: III, 370-375. Giustizia e misericordia di Dio nel tardo medioevo (tendenza giuridica e cosi.ficante): III, 384-385. Giustizia punitiva e grazia in Lutero: III, 386-390; sviluppi posteriori nella soteriologia del protestantesimo. III, 392-399. La problematica della giustizia e redenzione nella riflessione controversistica della seconda scolastica: III, 426-430. Sviluppi posteriori moderni: III, 430-439, Giustizia di Dio nel Concilio di Trento: III, 441-444, D. Giustizia di Dio nella riflessione cristologica contemporanea: ermeneutica del linguaggio cristiano di giustizia di Dio: III, 500-508; giustizia e giudizio della croce come manifestazione di amore: III, 485-490; la «giustizia trionfante » del Padre nella resurrezione di Cristo: III, 490-492. Carattere giudiziale dell'evento pasquale: III, 586-587. Trionfo della giustizia del Regno nella Parusia: !Il, 599602. GLORIA

    Tema biblico dell'AT: III, 786; «gloria» attributo dell'incarnazione nel NT: III, 378-787; nuovo significato cristologico-escatologico della gloria dell'Incarnato: III, 787-789; incarnazione «epifania della gloria>>: III, 790-792. «Gloria» epifania dell'Amore in H. U. van Balthasar: I, 196-198; «gloria» come epifania trinitaria: III, 916-921; 931-933-936; la incarnazione «epifania dell'uomo eterno»: III, 914-916.

    INDICE ANALITICO

    1017

    GRAZIA

    A. Come manifestazione di misericordia di Dio nella missione di Gesù: II, 66-69; 79; 85-90; 91-98. La grazia come amore del Padre nel messaggio delle parabole: II, 133-144; nella prassi di Gesù: II, 198-206. Manifestazione dell'amore nella vita di Gesù come Figlio: vedi voce « Amore». B. La « g,.azia » nel mistero della incarnazione: nella cristologia giovannea del Lògos, III, 788-789. La grazia creata e grazia di unione nella cristologia tomista: III, 883-886; 947. Grazia creata o grazia cli « Cristo Capo » come unzione dello Spirito nella riflessione cristologica attuale: III, 942-948. C. Grazia come dono e deificazione comunicata all'uomo dal Croci/isso-Risorto nella teologia patristica: III, 292-300; 314-328. La grazia come dono pasquale della comunione ecclesiale nella teologia del NT: III, 153-154; 161-165. Nella teologia patristica: III, 328-332. La grazia della croce e resurrezione come potenza redentrice dell'uomo nella riflessione teologica contemporanea: III, 537-549. La grazia come comunione ecclesiale nella riflessione teologica contemporanea: III, 549-556. . IDENTITÀ CRISTIANA

    Identità cristiana nella attuale situazione della fede: I, 1-9. Identità cristiana e sue proprietà: I, 9-10. Essere cristiani ed essere uomini: III, 936-939; 978-981. Vedi cristolcigia e antropologia. I compiti della cristologia riguardo alla identità cristiana: I, 9-18. ILLUMINAZIONE

    Il Cristo illuminatore nella soteriologia dei Padri: III, 278-284. Illuminazione e coscienza di Cristo in H. Schell: III, 896-897. ILLUMINISMO

    sua ripercussione nella cristologia del XIX secolo: I, 36 s. Cultura illuministica ed emancipazione: III, 460-461. Influssi dell'illuminismo sulla soteriologia: III, 430-431. IMMAGINE

    Il Cristo « I=agine del Padre» nella cristologia paolina: III, 635-642. Il «Cristo I=agine » nella soteriologia dei Padri: III, 294-300 (immagine ed immortalità). Il Cristo Risorto «Immagine di Dio» nella teologia contemporanea: III, 591-593. L'uomo «immagine di Dio» e sua portata cristologica: III, 394 s. L'uomo come «persona-immagine» di Dio nella teologia contemporanea: III, 734-736; 737-741; immagine e vocazione cristiana: III, 742-754. «L'uomo immagine» alla luce della teologia della incarnazione: III, 936-938. IMMORTALITÀ

    Immortalità e divinizzazione dell'uomo nella soteriologia cristologica dei Padri: III, 292-300. Immortalità e resurrezione nella soteriologia contemporanea: III, 577-78; 589-593. IMMUTABILITÀ

    Immutabilità divina e pathos di 160-163. I=utabilità divina e III, 925-927; nella soteriologia di Dio nella teologia ortodossa

    Dio nella nuova immagine di Dio: I, 151-154; pathos di Dio nell'evento della incarnazione: pasquale: III, 513-521. Immutabilità e pathos contemporanea: III, 417-422. Vedi «pathos».

    INCULTURAZIONE

    Sua importanza nel metodo attuale della teologia dogmatica: III, 11-15.

    1018

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    II!

    INFANZIA

    Storia della infanzia di Gesù ed antico testamento: II, 38-46. Storia dell'infanzia ed anticipazioni del vangelo: II, 46-53. Il comportamento di Gesù verso i piccoli: II, 208-212. INCARNAZIONE

    A. Suo collocamento nel quadro generale sistematico della cristologia: I, 87-93; III, 20-21. B. Incarnazione nel quadro della storia religiosa della umanità: III, 761-765. I precedenti del linguaggio cristiano della incarnazione: III, 767-775. Il contenuto dell'evento cristiano di incarnazione nel NT: negli evangeli (III, 775778); nella cristologia paolina dell'essere carne del Cristo (III, 778-781); nel linguaggio giovanneo della incarnazione: III, 781-792. C. Sviluppi post-biblici della teologia della incarna:cione: III, 792-871: l'incarnazione come avvenimento salvifico e struttura ontologica nel pensiero dei Padri e nel dogma: III, 795-857; nella riflessione cristologica medioevale: III, 871-87.3; 874-881. La «maternità divina» di Maria nell'evento della incarnazione nel pensiero della antichità cristiana: III, 857-862; l'evento della incarnazione come «evento universale» nella intera umanità nella teologia patristica: III, 862-871; nella riflessione medioevale: III, 882-888. Il problema del fine della incarna:cione: III, 726-729. D. L'incarnazione nel quadro della riflessione teologica moderno-contemporanea: transizione alla nuova cultura: III, 889-891. Influsso della dottrina di Hegel e Schelling III, 892-895. Primi impatti tra scolastica e pensiero moderno: III, 895898. Orientamenti nella linea psicologica: III, 900-908. Nuove riflessioni ontologiche: III, 898-901; sviluppi della concezione interpersonalistica della persona: III, 917-918; il tema dell'incarnazione nel quadro evolutivo del mondo: III, 729-732; 908-914. E. Incarna:cione nella riflessione sistematica attuale. L'incarnazione tra protologia ed escatològia: III, 924; incarnazione ed immutabilità divina: III, 925-929; incarnazione ed antropologia: III, 927-930; 936-938; incarnazione, mistero pasquale e parusia: III, 930-933; incarna:cione come « evento persona»: III, 933-939. Il valore pneumatologico della incarnazione: III, 939-948; l'incarnazione come evento personale di libertà e coscienza: III, 949-960. Incarnazione ed evento della maternità di Maria: III, 960-967. Incarnazione e missione della Chiesa: III, 967-971. KENOSI

    Vedi «angoscia», «abbandono». Kenosi nella autointerpretar.ione della missione di Gesù come Servo: II, 409-420. Kenosi nella cristologia ecclesiale del Servitore: III, 224-228. Kenosi nella teologia paolina (Fil. 2, 6-11): III, 113; Ul-132 (kenosi ed amore); III, 225 (teologia del Servo). Il dramma della sofferenza ed agonia di Cristo nella sua vita terrena ,nella soteriologia sacerdotale della lettera agli Ebrei: III, 123-124. La kenosi come descenrus nella soteriologia patristica: III, 284-292. La kenosi nella cristologia medioevale dell'incarnazione: III, 886-888. La kenosi e la mistica della croce nel periodo moderno: III, 424-426. La kenosi come sofferenza e morte di Dio in D. Bonhoeffer: III, 407-409. La kenosi come «dramma intradivino »·in Moltmann: III, 414415; la kenosi eterna in Bulgakov: 417-422. Dispute kenotiche XVI-XIX secolo: III, 512. Kenosi e teologia trinitaria nella cristologia contemporanea: III, 513-521. La kenosi come discesa agli inferi nella cristologia contemporanea: 521-537. Kenosi e incarnazione: III, 929-930. KERYGMA

    Il kerygma nella struttura della fede cristologica (storia e kerygma): I, 22-23; il programma antikerygmatico della cristologia illuministica: I, .39. Emergenza della teologia kerygmatica: I, 4044. Dalla storia al kerygma e dal kerygma alla storia nella metodologia della cristologia contemporanea: I, 77-93. Il kerygma della croce e della resurrezione nella cristologia del NT: III, 93-167. Il kerygma dell'evento cristologico parusiaco nel dato del NT: III, 169-219.

    INDICE ANALITICO

    1019

    KYRIOS

    Titolo cristologico: vedi · « Signore » LEGGE-THORA

    Significato della «Legge» come Tbéìrii nell'AT: II, 165-167; la tradizione orale (halaka) . come legge: II, 166-167. Diverse interpretazioni dell'atteggiamento di Gesù dinanzi alla Legge: II, 167-168. L'atteggiamento di Gesù dinanzi alla Legge come compimento e conflitto: II, 169-187. Il compimento della Legge nel precetto dell'amol'e: II, 170-179 (amore di Dio: 171-172; amore del prossimo: 173-179), Vedi «amore», «prossimo». Il conflitto di Gesù sul sabato (II, 180-181); il conflitto sul puro ed impuro (Il, 181-183); il conflitto sul divorzio (Il, 183-186). LIBERTÀ

    A. La libertà di Gesù: l'amore come fondamento della libertà nella prassi di Gesù: II, 176-179; 201-206. Amore, libertà, obbedienza al Padre nella prassi religiosa di Gesù: II, 271-279. Libertà di Gesù dinanzi alla sua morte: II, 428-431; 432-435. Libertà e proesistenza: II, 452-454. B. Libertà nell'amore come dono pasquale del Cristo Crocifisso-Risorto nel NT: III, 144-152; libertà come dono dello Spirito nel NT: III, 149-152; libertà come dono dello Spirito nella pneumatologia dei Padri: III, 325-326. «Amore e libertà» nella riflessione teologica di Massimo Confessore: III, 311-314. Gesù Cristo uomo libero nel dogma del Concilio Costantinopolitano III, 849-857. C. Libertà e amore nella riff,essione teologica contemporanea: la libertà dell'uomo nuovo in Cristo: I, 216-217. La libertà nell'amore come dono del Crocifisso-Risorto nella riflessione teologica contemporanea: III, 537-549; dimensioni comunitarie della libertà nuova donata da Cristo: III, 549-554. Aspetti pneumatologici della libertà pasquale· donata dal Crocifisso-Risorto: III, 546-549. L'incarnazione come evento personale della libertà umana in Cristo: III, 949-952. Ruolo dello Spirito nella libertà umana di Cristo: III, 950-951. LIBERAZIONE

    A. La prassi liberatrice di Gesù nel contesto della società del suo tempo: II, 188-200. Liberazione come rifiuto della violenza come metodo di lotta e come frutto della forza trasformatrice dell'amore: II, 201-206. Liberazione e lotta di classe di fronte alla prassi di Gesù: II, 218-220. La liberazione dei piccoli e significato della scelta preferenziale di Gesù per i poveri: II, 206-224. L'atteggiamento di Gesù dinanzi alla violenza della croce: II, 428-435. Liberazione e libertà nella proesistenza di Gesù: Il, 451-454. B. Liberazione nelle riflessioni teologiche: liberazione dalla passione di sé nella teologia di Massimo Confessore: III, 313-314; liberazione e riconciliazione dell'uomo nella potenza salvifica del Cristo Crocifisso-Risorto: III, 537-549. Liberazione nella comunione ecclesiale: III, 549-556. Marianità della fede, liberazione e generazione nella libertà dell'uomo nuovo: III, 564-570. LOGOS

    Titolo cristologico del Cristo preesistente. Il « Logos » nel pensiero greco: III, 768-769. A. Dalla teologia della Parola di Dio nell'AT al Logos della teologia giovannea: III, 642-648; 769-772. Il Logos e sua incarnazione: III, 781-792. Vedi «Parola», «incarnazione». La logos-cristologia degli apologisti: III, 659662. B. La preesistenza del Logos nella riflessione della teologia post-biblica dal terzo secolo alla fine dell'era patristica: III, 662-685. Dimensioni trinitarie della «persona preesistente del Logos » negli sviluppi della teologia postnicena: III, 673-685. I sistemi Logos-sarx e Logos-anthropos nella dottrina della incarnazione. del IV-V secolo: III, 809-825. Incarnazione del Logos in prospettiva universale: III, 862-871 (nella cristologia patristiC:a). Il Logos nella teologia

    1020

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    II!

    medioevale: III, 685-695. La teologia del Logos nel pensiero moderno: III, 695703. C. Riflessioni teologiche attuali sulla identità del Logos preesistente: prospettiva trinitaria immanente ed economica del Logos preesistente III, 707-715. La preesistenza del Logos come realtà personale: III, 719-725. Funzione creativa e salvifica del Logos nella prima e seconda creazione: III, 725-734. Struttura logocentrica della persona umana: III, 734-737;937-938. Il logocentrismo della persona umana ed il suo concreto orientamento storico « per grazia » verso il Cristo (interior vocatio ad credendum): III, 740-754.

    MARIA

    A. Maria nel discorso strutturale di fede della cristologia: I, 237-239: maternità della fede ecclesiale nell'archetipo mariano: I, 237-240; III, 563-570. Verginità e Sponsalità della fede ecclesiale nell'archetipo dcl « fiat » di Maria: I, 240-243; III, 567-568. La funzione tipologica di Eva nel discorso strutturale ecclesiotipico «Chiesa-Maria»: III, 556-570. B. Maria nella storia di Gesù-Maria nella concezione di Gesù: II, 39-46; III, 154-155. Maria negli avvenimenti dell'infanzia: II, 50-52. Maria a Cana di Galilea: II, 503-504; III, 156-158. Maria e Giovanni presso la croce: II, 502-507;· III, 155-156; 157-158. Maria nel mistero della «Donna», nella prospettiva escatologico-apocalittica: III, 158-161. C. Il mistero di Maria nella riflessione teologica della fede ecclesiale: 1. Maria in rapporto a Cristo (discorso mariologico cristotipico) - maternità di Maria: maternità verginale fisica e maternità verginale nella fede personale, nei dati mariologici del NT: II, 40-44 (maternità di Maria come segno cristologico dell'Agape di Dio: II, 44). Maternità di Maria nell'offerta di Gesù al tempio come preludio dell'offerta sacrificale del Calvario: II, 50-51. Maternità di Maria nella cristologia giovannea: III, 155. La maternità di Maria nel suo atteggiamento sponsale dinanzi all'ora del Cristo: III, 157; nella prospettiva cristologica dell'Apocalisse: III, 160. La maternità di Maria nella riflessione cristologica patristica e nel dogma della incarnazione: III, 857-862. L'incarnazione e l'evento della maternità divina di Maria nella riflessione teologica contemporanea: III, 960-967. 2. Maria in rapporto alla Chiesa (discorso mariologico ecclesiotipico) - a. Maria e la Chiesa nelle prospettive ecclesiologiche strutturali: fede di Maria e fede della Chiesa (I, 235-240); principio strutturale della maternità spirituale della Chiesa-Maria in ordine alla fede: III, 555-558; 563-568; la maternità spirituale di Maria come personificazione della maternità mistica della Chiesa: III, 559,561; l'esperienza archetipa della marianità della Chiesa: III, 561-562; maternità di Maria come accoglienza della grazia: III, 569-570. b. Maria-Chiesa nella teologia neotestamentaria e patristica: II, 42-52 (teologia di Matteo e Luca); III, 155-158 (Maria-Chiesa a Cana di Galilea); Maria-Chiesa ai piedi della croce: II, 502-506; Chiesa-Maria nell'Apocalisse: III, 158-161. La Chiesa Madre-Nuova Eva-Maria nel pensiero patristico: III, 332-346 (il tema Eva-Maria all'annunciazione: III, 335-337; il tema Eva-Chiesa dal fianco del Nuovo Adamo sulla croce: III, 337-338). c. Il tema «Maria-Chiesa» nella riflessione teologica contemporanea: III, 556-570; 964-967. 3. Maria in rapporto allo Spirito: a. il rapporto tra Maria e lo Spirito nel discorso strutturale di fede della cristologia: I, 237-239: 241-242. Maternità spirituale di Maria come icone rivelatrice della fecondità dello Spirito: III, 561-562. b. la funzione dello Spirico nella maternità di Gesù: II, 39-45; 51-52. Lo Spirito e Maria nell'ora pasquale: II, 508-509. Maternità di Cristo «dallo Spirito» e « maternità dei cristiani dallo Spirito» nelle riflessioni teologiche attuali: III, 558-570. Maternità divina di Maria e Spirito Santo nelle riflessioni teologiche sulla incarnazione: III, 965-967. 4. Maria e generazione dell'uomo nuovo: maternità di Maria e nascita dell'uomo nuovo in un discorso antropologico-strutturale: I, 235244; l'uomo libero nella prospettiva protòtipica mariana: III, 562; marianità come struttura esemplare di umanità nuova: III, 567-68; marianità ed istanze

    INDICE ANALITICO

    1021

    emancipatorie dell'uomo contemporaneo: III, 568-570. Umanità escatologica ed assunzione di Maria: III, 608-610. D. Il mistero di Maria nelle sue proprietà singolari • « concezione immacolata» di Maria nell'ambito del mysterion economico divino: III, 158-161; 339-341; verginità di Maria: nella sua realtà storica: II, 40-50; come valore reale ogget· tivo nelle questioni teologiche attuali: lII, 563 (n. 333)-564; come qualità della fede ecclesiale: I, 237-242; III, 563-568; sponsalità di Maria come qualità pro. totipica della sua fede: I, 241; . III, 566-568. Maternità divina di Maria: nella sua realtà storica: II, 40-50; nella sua affermazione dogmatica: III, 857·862; nella riflessione teologica: III, 960-967; maternità spirituale di Maria - nella incarnazione: II, 40-50; presso la croce: II, 502-506; nella riflessione medioevale: III, 380-382; nella riflessione teologica attuale: III, 560-562; maternità spitituale e mediazione di grazia: III, 568-569; maternità nei confronti di Cristo e maternità nei confronti dei cristiani: III, 964-966. Assunzione di Maria: III, 608-610. MARIOLOGIA

    Vedi sopra « Maria » MEDIAZIONE-MEDIATORE

    A. Identità cristiana e ruolo universale della mediar.ione di Cristo: I, 9-12; 165250; mediazione universale in prospettiva pneumatologica: I, 179-186. B. Ruolo della mediazione nel messianismo antico: II, 12-15; mediazione del Servo: II, 20-25; mediazione nella teologia espiatoria sacrificale-sacerdotale dell' AT: III, 103-109; C. Cristo Mediatore escatologico nella cristologia del NT: III, 73-76; mediazione sacerdotale nella cristologia paolina: III, 110-116; 641-642. Mediazione sacerdotale nella cristologia giovannea: III, 116-122; nella cristologia sacerdotale della Lettera agli Ebrei: III, 122-126. Mediazione del Cristo Servo di Dio: II, 410-420 (nella storia di Gesù); III, 224-2.30 (nella cristologia ecclesiale del NT). Mediazione del Cristo Sommo Sacerdote: III, 260-263. D. Media:done sacrificale di Cristo nella soteriologia patristica: -III, 300-306; nella cristologia agostiniana: Ili, 306-309. Mediazione universale di Cristo nella cristologia tomista: III, 371:375; 884-&86; nella cristologia protestante: III, 402403; nella cristologia moderna: III, 433-439. Mediazione, alleanza, incarnazione nella cristologia contemporanea: III, 938-939. MESSIANISMO-MESSIA

    Messianismo antico: regale: II, 13; 16-18; profetico: II, 17-20; sacerdotale: II, 20-24. Nel tardo giudaismo: II, 27-29. Gesù Messia: II, 310-320 (segreto messianico); II, 382-384 (titolo cristologico nella storia prepasquale di Gesù); Gesù Messia (Cristo) nella cristologia del NT: III, 235-238. Signilicato messianico trascendente del titolo Figlio dell'Uomo nella storia prepasquale di Gesù: II, 385-394; nella cristologia del NT: III, 231-234; significato messianico del titolo di Servo: II, 410-420; III, 224-231 (nella cristologia del NT). METANOIA

    vedi « conversione » MIRACOLI

    i miracoli di Gesù segni della potenza salvifica: II, 224-228. II problema storico dei miracoli del vangelo: II, 228-245. Il significato teologico e cristologico dei miracoli: II, 245-256. MISERICORDIA

    l'ora della misericordia divina nella m1ss10ne terrena di Gesù: 65-69. La «grazia della misericordia» nel messaggio di Gesù: II, 85-90; 91-95. Misericordia nel

    1022

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    II!

    messaggio delle parabole: II, 133-144; 145-151. I segni della misericordia nella prassi di Gesù verso i poveri, i piccoli, i peccatori: II, 206-224. La misericordia nell'evento della croce: II, 492-'.iOO; 500-512. L'amore misericordioso della croce nella teologia del NT: vedi « amore » e « croce ». MISTERI-MYSTERIDN

    I misteri della vita storica di Gesù nella tradizione evangelica: misteri dell'in· fanzia (II, 38-53); misteri della vita pubblica: II, 56-75 (battesimo-deserto-tentazioni). I misteri della passione: II, 440-514 {cena di addio-Getsemani-arrestoprocesso-crocifissione e morte). Il mistero della resurrezione: II, 533-557. I «misteria carnis » nella devotio medioevalis: III, 361-364;880-881. Il mysterion nella cristologia paolina: III, 634-648. Mistero pasquale: nella storia di Gesù: II, 458-585; nel kerigma della Chiesa: III, 71-167; nella soteriologia patristica: III, 273-346; nella spiritualità e teologia medioevale: III, 359-380; nella cristologia protestante ed ortodossa: III, 385-423; nella riflessione teologica dell'evo moderno: III, 423-439; nei dati dogmatici: III, 440-451; nella riflessione teologica contemporanea: III, 455-614. Vedi «Sacramento». MONDO

    La dimensione cosmica della creazione nella letteratura sapienziale: III, 632-33; 771 s; il mondo nella sua creazione in Cristo nella teologia paolina: III, 636641; nella teologia giovannea: III, 642-648. Creazione del mondo in Cristo nella teologia contemporanea: III, 725-734. Prospettiva statica ed evoluzionistica del mondo: III, 727-731; 927-930. MORTE

    Gesù di fronte alla sua morte: II, 425-435; 440-454 (nella· cena di addio); II, 455-464( nel Getsemani). Gesù nel momento della sua morte: II, 489-512. Vedi « croce ». Efficacia soteriologica della morte di Gesù nella soteriologia del NT: III, 140-152. Morte di Cristo e cambiamento della morte dell'uomo: III, 142144. Morte di Cristo come passaggio pasquale nella riflessione teologica contemporanea: III, 527-531. Vedi «escatologia», «discesa agli inferi». Rifl,essione antropologica sulla morte di Cristo e dell'uomo: III, 533-537. La situazione escatologica dell'individuo umano nella morte e nel post-mortem: III, 577 (n. 350). NASCITA

    di Gesù: II, 37-53. Vedi «concezione». NATURA

    Sviluppo del linguaggio di « natura » (physis) nella teologia dell'antichità cristiana: III, 809-825; nel dogma cristologico: III, 825-829 (Efeso); 829-846 (Calcedonia). OBBEDIENZA

    Obbedienza di Gesù come Figlio e Servo: II, 406-408; 410-420. Obbedienza di Gesù nella sua esistenza filiale: II, 275-276. Obbedienza di Gesù dinanzi al calice della passione: II, 458-464. Obbedienza di Maria nella linea della obbedienza del Servo: I, 237-38; 241-242; II, 44-45. ÙUSIA

    vedi « sostanza » PADRE.

    A. Importanza del Padre nei problemi metodologici della cristologia del NT: rivelazione del P. e nuovo volto di Dio nella cristologia: I, 144-155; il P. al

    INDICE

    ANALITICO

    1023

    vertice della struttura trinitaria della fede cristologica del NT: I, 155-159. Il P. e la proposta dell'uomo nuovo nella antropologia cristiana: I, 213-219. B. Il Padre nella vita storica di Gesù: Dio-Padre nella fede religiosa di Israele: II, 259-60 {da Yahvè al Padre). Il P. nel messaggio di Gesù: I, 148-155 (visione di sintesi); il P. centro teologico del messaggio di Gesù: II, 82-90; l'immagine del P. nelle parabole di Gesù: II, 132-144. Il P .. nella prassi di preghiera di Gesù: II, 261-267. Il P. «origine» {arché) della esistenza di Gesù: II, 265270. Il Padre e la rivelazione di Dio come Amore: Il, 271-275. Il P. «termine» (telos) della esistenza di Gesù: II, 275-279. La rivelazione di Dio come Padre in una cultura del rifiuto del padre: II, 279-284. Rivelazione del P. e nuova fraternità: II, 278-279. C. Ii Padre nella cristologia del NT: il P. e l'offerta sacrificale della croce nella cristologia paolina: III, 113-114. La rivelazione del «nome del Padre» nell'ora pasquale in Gv 17: III, 118-122; il P. nella rivelazione pasquale dell'amore trinitario: III, 126-130. Il P. nel titolo cristologicodogmatico cli Figlio cli Dio nella cristologia del NT: III, 248-260. Il Cristo «Immagine» del P. in Paolo: III, 636. Il P. principio e termine dell'opera mediatrice di Cristo: III, 637-638. Il P. e la preesistenza eterna della Parola: III, 646-648. D. Il Padre nella cristologia patristica: il P. Tu eterno della preesistenza del Logos nella patristica del II sec.: III, 658-662; nel pensiero patristico del III sec.: III, 662-666; negli sviluppi del pensiero teologico dal quarto sec. alla fine dell'era patristica: III, 666-685. Nel dogma di Nicea: III, 669-677. Il Padre nel pensiero trinitario medioevale 686-695. E. Il Padre nella teologia trinitaria moderno-contemporanea: III, 696-699 {filosofia hegeliana); la critica della figura oppressiva del P.: III, 700-702. Il P. nella trinità economica ed immanente: III, 709-715. Il P. nel «noi» trinitario: III, 719-724. Il P. nella teologia della incarnazione: III, 934-936-939. Il P. nella rivelazione trinitaria dell'Amore redentore: III, 515-521. Vedi voce «Trinità». PAIDEIA Come ideale educativo dell'uomo nella cultura greca e come funzione soteriologica del Cristo (Paideia Christi) nel pensiero dei Padri: III, 283-284; paideia greca ed emancipazione moderna: III, 459-463. PARABOLE di Gesù Parabole e Regno di Dio: II, 116-117. Significato del metodo parabolico della predicazione di Gesù: II, 117-121. Valore storico delle p.: II, 121-122. Parabole ed escatologia del Regno: II, 122-132. Parabole e teologia dei misteri del Regno: II, 132. PAROLA Vedi « Logos ». Dalla teologia biblica della «Parola» al Logos giovanneo: III, 769-772; 781-789; 642-648. PARUSIA A. L'avvento finale del Regno nelle attese giudaiche: II, 24-29. Apocalittica e compimento del tempo nelle concezioni veterotestamentarie: III, 43-47 (vedi voce «apocalittica»). B. Parusia nella escatologia di Gesù: II, 362-377. C. Avvento parusiaco del Cristo nella cristologia del NT: significato etimologico di «parusia»: III, 172 (n. 8); parusia ed epifania nel pensiero paolino: III, 171-179; anticipazione della parusia nella resurrezione di Cristo: III, 179-182. Avvento di Cristo nella teologia giovannea: III, 182-192; escatologia e pneumatologia in Giovanni: III, 192-195. L'avvento finale del Cristo nella Apocalisse: III, 195-210; la Parusia di Cristo nella teologia lucana: III, 210-217. Invocazione della parusia nel culto cristiano: III, 240-243. D. La parusia del Cristo nel pensiero patristico: III, 347-3.59. Il tema delle due parusie in Giustino ed Ireneo: III, 3.50-353; parusia e resurrezione corporea: III, 353-355.

    1024

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    Parusia e apokatastasis, in Origene: III, 355-357. Parusia nel pensiero di Agostino: III, 357-359. E. Parusia nel pensiero medioevale: III, 375-380. F. Parusia nel Concilio Vaticano II: III, 449-451. G. Parusia nella teologia contemporanea: III, 570-608. Futuro e parusia: III, 571-576. Resurrezione di Cristo come evento parusiaco: III, 576-595. La parusia come svelamento {epifania): III, 596-598. Parusia e trionfo della giustizia del Regno: III, 599-602; pàrusia e resurrezione dei morti: III, 603-607. Parusia ed assunzione di Maria: III, 608. Parusia ed incarnazione: III, 930-933. Vedi «escatologia». PASQUA

    A. La pasqua nel metodo della cristologia: il ruolo dell'evento di pasqua nella questione del rapporto tra Gesù terreno predicante e Cristo predicato dalla Chiesa: I, 46-56; storia prepasquale ed evento pasquale nel disegno attuale della cristologia sistematica: I, 77-93. Evento di pasqua nella cristologia della Chiesa: III, 26-21; la pasqua centro e fondamento della cristologia del NT: III, 2129 (unità e sviluppo della cristologia del NT). Evento di pasqua ed universalità salvifica: I, 173-179. B. Evento pasquale nella storia di Gesù: annuncio della passione e realtà della morte: II, 426-518; l'evento della resurrezione ed i suoi linguaggi di annuncio: II, 519-578; evento pasquale e dono dello Spirito: II, 585-600. C. Evento pasquale nella problematica soteriologico-escatologica della cristologia del NT: III, 49-69; la pasqua come evento escatologico presente di salvezza: III, 71-167; l'evento di pasqua nel compimento escatol6gico della salvezza (pasqua e parusia nel NT): III, 169-219. D. Evento pasquale nella riff.essione soteriologica post-biblica: nel pensiero dei Padri: III, 273-359; nella spiritualità e teologia medioevale: II, 359-383; nella teologia protestante: III, 385-415; nella teologia ortodossa russa: III, 415-423; nella riflessione cattolica dell'evo moderno-contemporaneo: III, 423·439; nei dati dogmatici: III, 440-451. E. Evento pasquale nella riflesrione teologica contemporanea: III, 455-617. Evento pasquale, incarnazione, parusia: III, 930-933. Vedi voci «croce» e « resurrezione». PASSIONE

    Significato della storia della passione: II, 343-346; 454-458. Passione di Gesù e Regno di Dio: Il, 345; profezie della passione: II, 435-440; gli eventi della passione: II, 440-517. Vedi «croce». PATHOS DI

    Dm

    teologia pathetica dei profeti: I, 142-144; il pathos nella immagine trinitaria di Dio: I, 151-155; III, 511-521. PECCATO

    A. Senso del p. ed espiazione nella soteriologia veterotestamentaria: III, 103109; mancanza della coscienza del p. nelle classi dominanti della società religiosa del tempo di Gesù: II, 192-200. B. La liberazione dal peccato nella soteriologia di Gesù: messia che solidarizza con i peccatori: II, 65-68·; il perdono del p, nel messaggio di Gesù: II, 90-%. Il perdono del peccato nelle parabole: II, 134-140. 145-147; comportamento di Gesù verso i peccatori: II, 214-217. Il significato della soteriologia di Gesù: II, 451-454. III, 109-110. Vedi «Servo» e « conversione». C. Liberazione dal peccato nel linguaggio soteriologico del NT: III, 109-126. Vedi «croce» e «amore». L'espiazione del peccato nella soteriologia sacerdotale del NT: III, 118-126; 228-231 (Gesù Servitore e Agnello); 260-263. D. La salvezza dal peccato nella soteriologia dei Padri: III, 300309. Amore e redenzione dal peccato: III, 309-314; nella soteriologia medioevale: III, 365-375; nella soteriologia luterana: III, 385-415; nella soteriologia dell'era moderno-contemporanea: III, 426-439; nei dati dogmatici (Trento e Vaticano

    INDICE ANALITICO

    1025

    II): III, 440-451. E. Salvezza dal peccato nella riflessione soteriologica contemporanea: coscienza del peccato ed emancipazione: III, 463-467; ermeneutica del linguaggio soteriologico cristiano di espiazione, redenzione e sacrificio: III, 500-511. Peccato e kenosi redentrice di Cristo: III, 521-5.37. PENITENZA

    vedi « conversione ». PENTECOSTE

    Evento di p. nella pneumatologia lucana: II, 598-605. La resurrezione di Cristo ed il dono dello Spirito: II, 581-584; 585-598. Vedi «pneumatologia» e «Spirito». PERSONA

    A. La Persona di Cristo nella ma storia terrena: la P. di Cristo e la sua affermazione nel messaggio del Regno: II, 85-90; la P. di Cristo e la sua affermazione di autorità (exousia): II, 155-165; la P. di Gesù e la Legge (Th6rà): II, 165-187; la P. di Gesù nei segni della misericordia e della potenza salvifica: II, 187-256. La P. del Cristo nel mistero della sua identità filiale: II, 257-309. Il mistero della P. di Gesù ed il segreto messianico: II, 310-320. La P. di Gesù e la sua emergenza nella cristologia esplicita del periodo postgalilaico: II, 59-61. La rivelazione escatologica e cristologica della P. di Gesù nella tradizione gerosolimitana: II, 348-378; nei titoli cristologici della storia di Gesù: Il, 378-424. La rivelazione della P. cli Gesù nella croce: II, 490-512. B. La Persona di Cristo nella cristologia neotestamentaria - La P. di Cristo al centro dell'evento escatologico: III, 49-52; la P. di Cristo al centro dell'evento soteriologico pasquale: III, 71-76. La rivelazione della P. di Cristo nell'evento pasquale nella cristologia del NT: III, 130-132; 192-195. La P. del Cristo nei grandi titoli cristologici del NT: III, 221-265. La P. di Cristo nella sua preesistenza nella sua identità di Logos: III, 627-648; la P. di Cristo nell'evento della incarnazione: III, 769-789. C. La P. di Cristo nella riflessione della tradizione patristico-dogmatica: III, 653-685 (nella sua realtà preesistente); 792857 (nell'evento della incarnazione). D. La P. di Cristo negli sviluppi della rif/.essione teologica medioevale: III, 685-695 (nella prospettiva dell'incarnazione). E. La P. di Cristo nella riflessione cristologica moderno-contemporanea: persona e «causalità personale» nella rivelazione dell'Amore salvifico: III, 488-490; 495-498; 545-549. La P. di Cristo nella sua rivelazione trinitaria nell'amore pasquale: III, 515-521; dalla persona come «essere in sè » alla persona come «essere nel dono di sè » (metafisica della carità): III, 541-542. La P. trinitaria di Cristo e problemi di reinterpretazione del linguaggio dogmatico della Chiesa: III, 715-719; la P. di Cristo nella prospettiva dell'esistenzialismo dialogico: III, 720-724. La ·riflessione sulla persona di Cristo nella incarnazione dinanzi alle istanze moderne della soggettività: III, 892-895; 896-921. L'incarnazione come «evento persona» del Figlio: III, 93.3-939; 949-960. F. Rilevanza antropologica della riflessione cristologica sulla «persona»: il «mistero della persona umana» alla luce dell'amore della croce: III, 541-545; il senso metafisico della persona umana alla luce della sua creazione nel Logos (dimensione · logocentrica della p.): III, 734-737. Il processo di personificazione dell'uomo alla luce della creazione «in Cristo>>: III, 7.39-74.3; 936-939 (alla luce della incarnazione). La «vocazione cristiana» della persona nel quadro della storia di salvezza universale: III, 745-754. PLEROMA

    nella teologia paolina: II, 641 (n. 45).

    ·PNEUMATOLOGIA

    A. pneumatologia e cristologia nel metodo della cristologia: I, 179-186; II, 304-.309. B. Evento pasquale e pneumatologia: II, 581-584; resurrezione e dono

    1026

    GESÙ DI

    NAZARET,

    SIGNORE E CRISTO -

    III

    dello Spirito: Il, 585-600. III, 149-152. Ditnensione pneumatologica dell'amore pasquale: III, 132-139. Pneumatologia e cristologia nei Padri: III, 3114-328. Dimensione pneumatologica dell'amore redentore nella riflessione teologica contemporanea: III, 518-521. C. Pneumatologia ed escatologia: I, 181-182; pneumatologia ed escatologia nel quarto evangelo: III, 192-195. Pneumatologia ed escatologia nella riflessione della teologia contemporanea: III, 598-600. D. Pneumatologia ed incarnazione nei Padri: III, 869-871. Pneumatologia ed evento della incarnazione: III, 939-948. Vedi voce «Spirito». POVERTÀ Povertà e Regno di Dio nell'AT: II, 32-36. Povertà nel messaggio delle beatitudini: II, 102-110. Vedi voce «beatitudine». Povertà e giustizia del Regno: II, 113-116; povertà nelle parabole: II, 129-132. Scelta preferenziale di Gesù per i poveri e piccoli: II, 206-220. Povertà di Gesù: II, 220-224. PRASSI Prassi (movimento) di Gesù nel metodo della cristologia: I, 231-234; III, 3-4. Prassi di Gesù come «stile vitale», comportamento personale: II, 153-155. Stile di autorità (exousia): II, 155-165; 155-187 (Gesù e la Legge). Prassi in rapporto alla socìetà del suo tempo: II, 192-195 (verso i sadducei ed il tempio: vedi « tempio»); II, 196,-206 (verso gli scribi, farisei, zeloti). Prassi di Gesù e rifiuto delle suggestioni della violenza: II, 200-203. Prassi dell'amore come via di liberazione dell'uomo: II, 204-206. Significato della prassi di Gesù verso i poveri e piccoli (scelta preferenziale): II, 206-224. Prassi religiosa di Gesù nel suo rapporto al Padre: II, 257-284; nel suo rapporto allo Spirito: II, 284-309. Prassi cli Gesù di fronte alla morte: II, 340-346. PREESISTENZA: vedi « protologìa )). PROCESSO di Gesù: H, 465-484 PROESISTENZA

    Proesistem:a di Gesù e volontà di servizio: II, 432-435. Preesistenza di Gesù nella cena pasquale: II, 444-451. Preesistenza e significato della soteriologia di Gesù: II, 451-454. Vedi «amore». Preesistenza come dimensione metafisica della persona: III, 541-542. PROSSIMO Significato del prossimo: II, 140-142 (nelle parabole); nel com.pimento della Legge antica: II, 173-179; nella prassi di Gesù: II, 204-206. PROTO LOGIA A. Importanza della protologia nel metodo della cristologia: I, 81>-89. III, 1719. Situazione di «crisi» dell'orizzonte protologico: III, 621-624; importanza dell'orizzonte protologico: III, 624-626. B. Protologia nella fede cristologica neotestamentaria: III, 627-652; protologia nella cristologia post-biblica patri. stico-dogmatica: III, 653-695. Le 11roblematiche moderne sulla interpretazione della preesistenza di Cristo: III, 695-704. C. Riflessioni attuali sullo dimensione protologica della cristologia: ruolo della protologia nel quadro della prima e seconda creazione: III, 725-754. Protologia ed istanze universali della cristologia: III, 738-754_

    QUMRAN Il messianismo in Qumr3n: II, 27; rapporto tra Qumran ed il movimento penitenziale del Battista: II, 62-63.

    INDICE ANALITICO

    1027

    RAPPRESENTANZA

    R. come legge della storia della salvezza: I, 132-136. R. come funzione soteriologica del «Servo» in Isaia: II, 21-24. R. nel titolo di Servo nella cristologia di Gesù: II, 409-420; nel titolo di Servo nella cristologia del NT: III, 224-2.31. R. nella cristologia dei Padri: III, 308 s; 864-871. Rappresentanza come funzione pneumatologica della cristologia: I, 180-186; R. e. universalità come atto dello Spirito nell'evento pasquale: III, 132-139; 149-152; nell'evento della in· carnazione: III, 9 39-949. REDENZIONE

    R. dal peccato ed esp1az1one nella soteriologia dell'AT: II, 21-26; III, 10.3109; R. nella soteriologia del NT: III, 109-126. Significato della redenzione nel sangue: III, 105 (AT); 110-114 (Paolo); 117 s (Giovanni); 122-126 (Let. Ebr.). Amore motivo formale della redem.ione: nel NT, III, 126-139; nella soteriologia patristica: III, 309-314; nella soteriologia medioevale: III, .365-375; nella soteriologia ortodossa contemporanea: III, 415-423; nella soteriologia contemporanea: III, 483-490; 495-498; 500-511 (ermeneutica del linguaggio soteriologico cristiano); 511-521 (dimensioni trinitarie dell'amore redentore); redenzione ed emancipazione: III, 460-467. Vedi «peccato». REGALITÀ DI DIO

    A. Regalità di Dio e cristologia: I, 146-148. Annuncio del Regno e rivelazione di Dio: I, 148-149. B. Regno di Dio nelle attese storiche di Israele (II, 10-30): speranza del R. ed esperienza dell'esodo: II, 10-12; R. di Dio e comunità: II, 12; R. e messianismo regale: II, 13-14-16; R. di Dio e speranza profetica: II, 15-16; R. di Dio e giustizia regale: II, 16-18; Jl-J6; iR. e messianismo profetico e sacerdotale: II, 18-24; speranza del R. nelle prospettive apocalittiche cosmiche e metastoriche: II, 25-26. Speranza del R. nel periodo tardo-giudaico: II, 27-30. Speranza del R. e speranze umane: II, 30-36. C. Regno di Dio nella predicazione galilaica di Gesù: attualità escatologica del R.: II, 78-82; escatologia, etica e teologia nel mistero del R.: II, 83-84; R. e rivelazione del P. nel messaggio di Gesù: II, 84-87; R. di Dio e Persona di Gesù (aspetto cristologico del R.): II, 88-90. R. di Dio e perdono del peccato: II, 90-93; R. e dono dello Spirito: II, 93-94; Regno di Dio e salvezza universale: II, 96-97. D. Regno di Dio nelle beatitudini e parabole: vedi voci: «beatitudini» e «parabole» (II, 99-152). Regno di Dio e giustizia nel discorso della montagna: II, 110-116. E. Regno di Dio e Persona di Gesù: l'autorità (exousia) regale di Gesù nel suo stile di predicazione: Il, 153-165. R. di Dio nella prassi personale di Gesù: II, 193-206. Regno di Dio, povertà e scelta preferenziale per i poveri: II, 102110; 206-219; la povertà di Gesù: II, 220-224. Vedi «povertà». R. di Dio riconciliazione e lotta di classe: 218-220. F. Regno di Dio e croce: II, 342-346. R. di Dio ed esaltazione nella resurrezione: II, 569-574; R. di Dio e titolo post-pasquale di «Cristo» e « Signore »: III, 234-247. RELIGIONI NON CRISTIANE

    Redenzione nelle religioni non-cristiane: III, 463-467; vocazione universale alla salvezza e cristianesimo anonimo: III, 745-754. Le religioni non-cristiane come via salutis: III, 745-746; 751-752. RESUllREZIONE

    A. Resurrezione nelle speranze di Israele: R. e speranza del Regno: II, 26-27; R. dei morti nell'orizzonte metastorico: II, 562-564; resurrezione al « terzo giorno»: II, 563-564. B. Resurrezione nel ministero di Gesù: miracoli di R., II, 236-237; 254. C. Resurrezione di Gesù di Nazaret nel metodo della cristologia: I, 66-69; 77-93; III, 16-21. .R. di Cristo centro e fondamento della cristologia del NT: III, 21-29. D. L'avvenimento della R. di Gesù di Nazaret

    1028

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO •

    !Il

    come evento storicamente conoscibile: problematica attuale, II, 519-532; R. di Cristo e testimonianza della predicazione apostolica: II, 534-537; caratteri della esperienza pasquale della R.: II, 537-540; la R. come evento storico nei racconti pasquali: II, 541-547 {apparizioni); 547-558 (sepolcro vuoto). Il significato della R. di Cristo nei linguaggi neotestamentari e loro interpretazione: II, 558-578. R. ed escatologia: II, 561-567; R. e vita: II, 567-569; R. ed esaltazione: II, 569-574; R. e dono dello Spirito: II, 581-605. E. Resurre:done e Croce nel messaggio del NT: evento di pasqua ed escatologia nel NT: III, 63-67 (nella problematica generale); evento di pasqua come compimento della storia di Gesù: III, 76-93; Resurrezione come evento escatologico e soteriologico: nel modello soteriologico del martirio del Giusto (III, 94-100); nel modello del sacrificio espiatorio: III, 101-126: R. ed efficacia salvifica della pasqua: III, 139-152; R. ed attesa .della Parusia: III, 169-219. R. e titoli cristologici del NT: III, 221-224; 224-265. F. Resurrezione, Croce e Parusia nel pensiero ecclesiale post-biblico: III, 273-359 (pensiero patristico); III, 359380 {pensiero medioevale); III, 385-391 (pensiero luterano); III, 391-415 (pensiero protestante contemporaneo); III, 415-423 {pensiero ortodosso russo); III, 423-439 (pensiero scolastico dell'evo moderno-contemporaneo); 444-451 (Vaticano II). G. Resurrezione di Cristo nella riff,essione teologica contemporanea: III, 490-498 {nella soteriologia del martirio); III, 518-521 (nella soteriologia del sacrificio espiatorio); III, 534-537 {nella soteriologia della kenosi); la R. come evento parusiaco: III, 576-595; continuità e· distinzione tra evento pasquale e parusiaco: III, 59-5-613. H. Resurrezione dell'uomo e resurrezione di Cristo: R. dei morti e R. di Cristo nella escatologia paolina: III, 175-179; 179-182; nella escatologia giovannea: III, 183-195; R. dell'uomo e R. di Cristo nel pensiero escatologico dei Padri: III, 353-359; nel pensiero medioevale: III, 375-380; nel pensiero protestante contemporaneo: III, 409-415; nella riflessione teologica contemporanea: III, 587-593; 602-613. Vedi «Croce», «Pasqua», «antropologia», «escatologia», «parusia ». RIVELAZIONE DI

    Dio

    La R. di Dio come evento originario al fondamento della tradizione di fede: III, 2-4; R. di Dio in Gesù Cristo e Tradizione apostolica: III, 4-5. Rivelazione e Tradizione scritta ed orale: III, 7-10. La R. di Dio nell'AT: I, 1}8-143. R. del volto nuovo di Dio: I, 144-168; R. trinitaria di Dio in Gesù Cristo: vedi «Padre», «Figlio», «Spirito», «Trinità». SACEllDOZIO DI CRISTO

    A. Il Sacerdozio nella vita storica di Gesù: attese messianiche sacerdotali nell'AT: II, 20-24; 27; III, 104-109. Loro primo adempimento nella storia dell'infanzia di Gesù: II, 48-51. Gesù e la classe sacerdotale del suo tempo: II, 188; 193-196. Aspetti sacerdotali della coscienza di Gesù nella sua auto. designazione di «Servo»: II, 408-420. L'atteggiamento sacerdotale di Gesù dinanzi alla propria morte: II, 431-435. B. Il Sacerdozio di Cristo nella soteriologia del NT: III, 110-116 (Paolo); 116-122 (Giov.); 122-126 (Ebr.); Gesù come «servo»: III, 224-231; «Sommo Sacerdote» (III, 260-263). Sacerdozio di Cristo nella soteriologia patristica: III, 300-309; nella riflessione teologica contemporanea: III, 500-511; 521-537. SACRAMENTO

    Vedi « mysterion ». Sacramenti della fede in Paolo: III, 178; mysterion in Paolo: III, 181-182; Cristo « Logos » e « mysterion » in Giov. e Paolo: III, 643-648; la pasqua « dominicae passionis sacramentum » in Leone Magno: III, 291-92; sacramentum et exemplum in Lutero: III, 386; mysterion nella ChiesaMaria: III, 337-346; La Chiesa «sacramento» in Cristo nella dottrina del Vaticano II: III, 550-556; sacramenti e unità mistica nella dottrina dell'incarnazione dei Padri: III, 867-869.

    1029

    INDICE ANALITICO SACRIFICIO

    Vedi « saceréloz.io ». Significato del «sacrificio» di Cristo come « martmo profetico » nella soteriologia lucana: ·III., 94-100; sacrificio come « atto espiatorio » nella soteriologia paolina {III, 110-116), giovannea (III, 116-122; 224-231), nella Let. Ebr. (III, 122-126). S. espiatorio nella soteriologia patristica: III, 300309; nella soteriologia medioevale: III, 367-375; concezione del S. eterno in S. Bulgakov: III, 415-423; nella scolastica moderna: III, 424-439. S. della croce nel pensiero del Conc. Tridentino: III, 442-443. S. come martirio nella riflessione soteriologica contemporanea: III, 475-498.; S. espiatorio come evento pasquale: III, 498-549. SADDUCEI

    Tipologia della casta sacerdotale: II, 188; Gesù ed

    sadducei: II, 193-195.

    SCRITTURA

    Suo primato nello studio della teologia dogmatica: III, 6 s. SEGRETO MESSIANICO

    Nella storia di Gesù e nella teologia degli evangeli: II, 310-320; III, 78-80 . . SEQUELA-DISCEPOLATO

    Movimento di sequela di Gesù e genesi della cristologia: I, 231-233. Nella storia di Gesù: II, 96-98; Gesù ed i discepoli: II, 321-328. Vedi: « discepolato ». SERVO DI DIO

    S. di Dio nel mess1a01smo profetico antico: II, 19-24; il S. di Dio come « autodesignazione » di Gesù: II, 410-420; cristologia neotestamentaria del Servitore: III, 224-231. (Kyrios) Il titolo cristologico di S. nella esistenza storica di Gesù: III, 240 (n. 56 ); nella cristologia del NT: nel contesto pasquale della esaltazione· (III, 239-240). Il titolo di S. ed il culto cristiano: III, 240-41; il ruolo dell'orizzonte escatologico nello sviluppo del titolo di S.: III, 241-243. Sovranità del S. sul cosmo e sulla Chiesa: III, 24 3-247.

    SIGNORE

    (ousia) Nella cristologia patristico-dogmatica trlilltaria: III, 662-685; nella riflessione medioevale: III, 685-695. Nella cristologia patristico-dogmatica della incarnazione: III, 808-849.

    SOSTANZA

    SOTERIOLOGIA

    A. Importanza della S. nel metodo della cristologia - portata soteriologica dell'evento della rivelazione di Dio in Cristo: I, 159-163; soteriologia e cristologia: I, 13-14; 169-179. B. Soteriologia nella storia di Gesù: dimensione soteriologica del messaggio del Regno (II, 90-99); soteriologia di Gesù (II, 425-517). Soteriologia e Persona di Gesù: II, 425; 451-454; soteriologia e proesistenza di Gesù: II, 451-454. C. Soteriologia dell'AT: III, 103-109; soteriologia nella teologia del NT: III, 94-100 (soteriologia lucana); III, 100-102; 110-116 (soteriologia paolina); III, 116-122 (sot. giovannea); III, 122-126 (sot. Lct. Ebr.); soteriologia nell'Agape: III, 126-139; efficacia della soteriologia pasquale: III, 139-152; dimensioni pneumatologiche della soteriologia del NT: III, 132-139; 149-152. Dimensioni ecclesiologiche della soteriologia del NT: III, 152-165. Dimensioni escatologiche della soteriologia del NT: III, 49-52; 71-76; 169-220. D. Soteriologia patristica: III, 273·278 (problemi generali);

    10.30

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    III

    III, 278-284 (soteriologia illuminatrice); 284-292 (sot. conquistatrice); 292-300 (sot. divinizzatrice); 300-309 {sot. sacrificale); 309,314 (sot. come filantropia divina); dimensioni pneumatologiche della sot. patristica: III, 314-328; dimensioni ecclesiologiche della sot. patr.: 328-346; dimensioni escat. della soteriologia patr.: III, 3347-359. E. soteriologia medioevale: III, 359-382. F. soteriologia ecumenica: III, 385-415 (protest.); 415-423 (ortod.). G. soteriologia scolastica moderna: III, 423-439. H. soteriologia dogmatica: III, 440-451. I. soteriologia nella rifl,essione sistematica attuale - istanze soteriologiche della cultura: III, 455-475. Ermeneutica del linguaggio soteriologico cristiano: III, 500-511; Soteriologia pasquale: III, 475-537. Dimensioni trinitarie della soteriologia: III, 511-521; soteriologia ·come liberazione e riconciliazione: III, 537-549. Soteriologia e kenosi: III, 521-537; dimensiorù ecclesiologico-mariologiche della soteriologia: III, 549-570; dimensioni parusiache della soteriologia: III, 570-613. Vedi «croce», «resurrezione», «escatologia», «redenzione>>, «pasqua», «libertà», «liberazione». SPIRITO

    Vedi «pneumatologia». A. Lo S. nel metodo della cristologia: I, 179-186. Esperienza dello S. nella antica economia di salvezza: II, 300-303; Spirito ed universalità: I, 181-82. Spirito· e rivelazione extatica di Dio: I, 152,53. Spirito e Parola: I, 184-85; 236. S. e grazia di recettibilità della Parola: I, 236-238. S. e Maria-Chiesa: I, Z.38-249. B. Lo Spirito nella vita terrena di Gesù - nella concezione verginale di Maria: II, 39-40; 43-45; 288; 303-304; Spirito nel vangelo lucano d'infanzia: II, 51-52. S. nella unzione battesimale di Gesù: II, 66-69; 287; il segreto pneumatologico: II, 286; 304. I logia di Gesù sullo Spirito: II, 291-297; lo S. nella esistenza di Gesù secondo il IV evangelo: II, 297-298. Il dono dello Spirito nella morte di croce di Gesù: II, 506-511; e nella sua resurrezione: II, 585-606. Sigrùfìcato teologico del rapporto tra Gesù e lo Spirito: II, 299-309. C. Lo Spirito nella cristologia del NT: III, 132-139 (nella soteriologia pasquale: S. ed amore trinitario, III, 132-139); 149-152 (lo S. nella efficacia soteriologica della pasqua); Io S. nella vita del cristiano risorto in Paolo: III, 179-181; lo S. e futuro nella escatologia giovannea: III, 192-195. D. Lo Spirito nella riflessione pfltristico-dogmatica: III, 314-328 (nella soteriologia); 677-685 (nella cristologia del preesistente); 863-864 (nella teologia della incarnazione); 863-864 (nella teologia della incarnazione); lo S. nella riflessione teologica medioevale: III, 685-695. E. lo Spirito Santo nella cristologia sistematica attuale: amore e rivelazione dello Spirito: II, 305309: III, 516-521. Il ruolo dello Spirito nell'evento pasquale {III, 497-498; 519-521); 545-549 (Spirito e libertà cristiana); 556 (S. e noi dei credenti); lo S. nella maternità spirituale di Maria (III, 561-562); nella teologia della incarnazione: III, 939-948. STORIA-STORICITÀ

    A. Storia e scienze della natura e dello spirito: I, 37 s; storia nella cultura illuministica: I, 36 s; storia ed emancipazione: III, 459-463; storia e futuro: III, 470-475. Storia e comprensione: I, 27-28; il problema del significato della storia universale: nella visione hegeliana: III, 893-895; nella problematica teologica attuale: I, 127-130_ Significato e limiti della S., I, 129-130. Storia e trascendentale: I, 111-117. B_ La Storia nel metodo della cristologia: problema storico della cristologia: I, 12; istanza storica della fede cristologica: I, 19-23; la cristologia nel quadro della « storia di salvezza»: storia di sal· vezza ed evento cristologico: I, 21 s; 126-137; storia di salvezza universale e particolare: I, 131-137; conoscenza storica di Gesù: ·I, 26-29; ricerca storica della vita di Gesù (I, 37-39) e messa a punto del pensiero cattolico: I, 66-67; storia prepasquale ed evento di pasqua nella metodologia cristologica: I, 77-93.

    INDICE ANALITICO

    1031

    TEMPIO

    Presentazione di Gesù al T. e suo ritrovamento: II, 50-51; Gesù ed il tempio II, 194-195. Morte di Gesù ed il tempio {la rotrura del velo del tempio: II, 496-497. TEMPO

    Cristo nel quadro della temporalità umana: I, 20 s; vedi «storia storicità». Cristo Crocifisso-Risorto «fine» e «centro» de/ tempo: III, 49-69. Cristo e futuro nella Apocalisse di Giovanni: III, 195-210 (il Cristo del futuro: 203210). Gesù, il Signore della fine dei tempi: III, 239-247. Cristologia e parusia vedi « parusia ». TENTAZIONI DI GESÙ

    T. di Gesù tra esodo e passione: II, 69-75; racconto delle T. ed azione dello Spirito: II, 288-89. TEOLOGIA

    Metodo rinnovato della T. dogmatica: III, 1-15; T. e Tradizione ecclesiale; III, 10-11. Il problema teologico della cristologia: I, 15-16; cristologia e problema di Dio: I, 96·16B. Portata teologica del messaggio di Gesù: I, 144·155; II, 82-90. Vedi «Trinità». TITOLI CRISTOLOGICI

    Titoli messianici e cristologia di Gesù: II, 378-280; T. cristologici ed escatologia del Regno: II, 380-403; T. cristologici e mistero teologico del Regno: II, 403-408; T. soteriologici nella cristologia di Gesù: II, 408-420. Titoli cristologici nella «cristologia della Chiesa apostolica»: III, 221-265. Vedi: «CristoMessia», «Signore», «Servo», «Agnello», «Figlio dell'Uomo», «Figlio di Dio», «Sommo Sacerdote». TRADIZIONE

    Concetto generale di T. nel pensiero cattolico: I, 57. Evento di Rivelazione e Tradizione apostolica: III, 2-5; Tradizione scritta Neotestamentaria e Tradizione post-biblica: III, 5-11: I, 89-93. I tempi della storia della Tradizione evangelica: I, 58-60. Tradizione e teologia: III, 10-11. Tradizionalismo e identità della fede: I, 8-9. TRASCENDENZA-TRASCENDENTALITÀ

    Trascendentalità e storia: I, 109-113; 125-126. Struttura trascendentale della esistenza umana: I, 113-117. Trascendenza ed immanenza del Dio della Bibbia: I, 139-144. TRASFIGURAZIONE

    Avvenimento della storia di Gesù: II, 413-416. Trasfigurazione e incarnazione dell'umano: III, 967-971. TRINITÀ

    A. Immagine trinitaria di Dio nella rivelazione di Gesù storico: I, 151-154. Dimensione trinitaria del messaggio di Gesù: II, 82-90; il mistero trinitario del Regno nelle parabole: II, 132-144; 145-1.52. Il mistero trinitario nel comportamento religioso di Gesù verso il Padre: II, 259-284; nei confronti dello Spirito: II, 284-309. Struttura trinitaria del kerigma cristologico della Chiesa: I, 155-159. B. Rilevanza del kerigma trinitario: I, 159-163. Dimensione trinitaria dell'evento pasqua/e nella soteriologia del NT: III, 126-139; nella soteriologia patristica: III, 309-314; 314-328. Dimensioni trinitarie dell'Amore

    1032

    GESÙ DI NAZARET, SIGNORE E CRISTO -

    Il!

    redentore nella riflessione teologica contemporanea: III, 511-521. C. Dimensioni trinitarie .della preesisten:t.a del Cristo: III, 633-648 (nella cristologia del NT); III, 655-685 (nella riflessione patristico-dogmatica); 685-695 (nella riflessione teologica medioevale); 695-703 (nella teologia moderno-contemporanea); III, 705-754 (nella riflessione teologica sistematica attuale). Dimensione trinitaria della incarnazione nella riflessione cristologica attuale: III, 924-930; 9.33939; 939-948. Vedi: «Padre», «Figlio», «Spirito». · UMANESIMO

    Cristologia ed umanesimo: vedi «antropologia», «uomo». Umanesimo cristiano e verità dell'uomo: III, 7.32-740. 741-754. Incarnazione ed umanizzazione: III, 927-930; 936-939; 973-981. Cristologia e «uomo nuovo» (I, 213-229). UNIONE IPOSTATICA

    Sviluppo del linguaggio nella patnst1ca: III, 808-825; sua affermazione dogmatica ad Efeso: III, 825-829. Ulteriori sviluppi nel Conc. di Calcedonia: III, 846. L'utùone ip. nella cristologia del medioevo: III, 874-881. Il dibattito nella scolastica contemporanea: III, 898-901; nuovi sviluppi della riflessione cristologica attuale: III, 914-921; 933-939. UNIVERSALITÀ

    U. e identità msuana: I, 9; problema 17-18; 165-250; universalità dell'evento I, 170-179. Fondamento pneumatologico damento antropologico della universalità: della protologia: III, 621-626; 732-754.

    della universalità della cristologia: I, cristologico come fatto soteriologico: della universalità: I, 179-185. Fon· I, 186-227. Universalità nel quadro

    UNITÀ e pluralità della cristologia del NT: III, 22-29 UNZIONE

    Unzione di Gesù nello Spirito nell'evento battesimale: II, 61-68; vedi «Spirito», «pneumatologia». Unzione di Gesù nello Spirito nella teologia patristica: III, .314-.328; unzione ed incarnazione: III, 939 s. UOMO

    Ruolo dell'uomo nel discorso cristologico attuale: vedi « antropologia ». Istanze _antropologiche della salvezza nella cultura contemporanea: III, 455-475; pluralità dei progetti umani nella cultura attuale: I, 189-192. Autocomprensione dell'uomo dinanzi al futuro: III, .35-38; 470-475. Problema dell'uomo ed interrogazione di Dio: 1, 107-117; problema dell'uomo e mistero di Dio in un orizzonte storico: I, 117-126. L'uomo come «immagine di Dio» (essere logikòs) nel pensiero teologico: III, 292-300; 732-737. L'uomo come essere «creato in Cristo»: III, 732-754; significato umano dell'esistenza di Gesù di Nazaret: III, 936-939. Il « progetto dell'Uomo Nuovo» nella proposta· concreta dell'uomo · Gesù: I, 213-219. VERGINITÀ

    di Maria: vedi « Maria ». VITA (eterna) Vita eterna e Regno di Dio nel messaggio di Gesù: Il, 94 s; il dono della vita eterna nell'ora pasquale: III, ·118-122. Vita eterna e rivelazione di Amore nello evento pasquale: III, 128-139; 144-149. Vita eterna ed immortalità come dono del Cristo Crocifisso-Risorto nella soteriologia dei Padri: III, 292-300. Vita eter-

    INDICE ANALITICO

    103}

    na e Parusia nella escatologia attuale: III, 571-613. Vedi «escatologia», « parusia», « resurrezione».

    (terrena) di Gesù La ricerca storica sulla vita terrena di Gesù (Leben-Jesu-Forschung) del periodo illuministico: I, 36-39. I nuovi orientamenti dopo la crisi bultmaniana: I, 4.569. Quadro generale della vita pubblica di Gesù: II, 35-61.

    VITA

    ZELOTI

    La tipologia del movimento zelota al tempo di Gesù: II, 191; Gesù e gli zeloti: II, 199-206.