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Italian Pages 988 [986] Year 1996
Carlo Galli
Genealogia della politica Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno
il Mulino
Attraversando la storia della moderna filosofia politica, come pure la storia del diritto pubblico e la storia politico-istituzionale tedesca, Carl Schmitt ha apportato alla cultura europea del nostro secolo un blocco di pensiero tra i più potenti e controversi. Questo volume ne offre una interpretazione complessiva. L`autore analizza i testi schmittiani soffermandosi sui concetti chiave di sovranità, decisione, eccezione, rappresentazione e - senza tralasciare il rimando alla tradizione del pensiero politico e giuridico moderno e contemporaneo da Hobbes a Hegel, da Clausewitz a Nietzsche a Heidegger, da Kelsen a Heller - definisce con chiarezza la posizione di Carl Schmitt all'interno del dibattito novecentesco su liberalismo e democrazia, politica e tecnica, politica e guerra, secolarizzazione.
Confrontandosi con l'ormai vastissimo lavoro critico che ne cir-
conda l'opera, e con le discussioni che ha suscitato in particolare l`adesione del pensatore tedesco al regime nazista, Galli individua nelle molteplici fasi del pensiero di Carl Schmitt un tratto unificante costituito dalla riflessione sull'origine complessa e contraddittoria della politica moderna, nel momento della sua crisi più profonda - una riflessione provocatoria dove coesistono grandezza e miseria, forza conoscitiva e tentazione autoritaria. Indice del volume: Introduzione. - Parte prima: ll problema della mediazione. - I. La mediazione razionalistica e la mediazione dialettica. - ll. La crisi della mediazione. - Ill. La dissoluzione della mediazione. - Parte seconda: Schmitt e il «pensiero della crisi». - IV. La critica della «critica del tempo». - V. Romanticismo politico. - Vl. La forma «gloriosa››. - Parte terza: Epoca e forma. - VII. La mediazione giuridica. - Vlll. Gli scritti giuridici giovanili. - IX. Teologia politica: sovranità e secolarizzazione. - Parte quarta: La crisi della politica tedesca e la ricerca della forma politica. - X. ll contesto storico, politico e costituzionale. - XI. Crisi e critica del liberalismo, del parlamentarismo e dello Stato di diritto: l'irruzione della democrazia. - Xll. Democrazia e forma politica: il potere costituente e la costituzione. - Xlll. Nella crisi di Weimar. - Parte quinta: Sintesi e trasformazioni. - XIV. Il «politico››. - XV. Dal nazismo al «nomos» della Terra. Carlo Galli insegna Storia del pensiero politico contemporaneo nella Facolta di Scienze politiche dell`Università di Bologna. Con il Mulino ha pubblicato tra l'aitro «Modernità. Categorie e profili critici» (1988). E vicedirettore della rivista «Filosofia politica».
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CARLO GALLI
Genealogia della politica Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno
IL MULINO
ISBN 88-15-04761-1
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1996 b
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Società editrice il Mulino, Bolo na.
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vietata
la ri roduzione, anche arziale, con ualslasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. p
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Indice
Introduzione Abbreviazioni
Nota bibliografica
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V
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PARTE PRIMA: IL PROBLEMA DELLA MEDIAZIONE
I.
La mediazione razionalistica e la mediazione dialettica
3
1. La mediazione razionalistica. - 2. Hegel. - 3. Marx e i marxismi. - Note al capitolo primo.
II. La crisi della mediazione
77
1. Kierkegaard. - 2. Lo storicismo e il neokantismo. - 3. Weber. - 4. Simmel e Scheler. - Note al capitolo secondo.
III. La dissoluzione della mediazione 1. Il nichilismo e Nietzsche. - 2. Dal liberalismo all' 'irrazionalismo' politico: la questione della tec-
nica e la “rivoluzione conservatrice'. - 3. La posizione di Schmitt. - Note al capitolo terzo.
123
Indice PARTE SECONDA: SCHMITT E IL PENSIERO DELLA CRISI
IV. La critica della 'critica del tempo'
p_ 179
1. I 'dualismi'. - 2. Rathenau. - 3. La critica giovanile della tecnica. - Note al capitolo quarto.
V.
Romanticismo politico
195
1. Causa e occasione. - 2. Romanticismo e politi-
ca. - 3. Schmitt romantico? - Note al capitolo quinto.
VI. La forma 'gloriosa'
229
1. Däubler: la trasfigurazione. - 2. La visibilità della Chiesa. - 3. Cattolicesimo romano e forma politica: la rappresentazione `dall'alto'. - Note al capitolo sesto. PARTE TERZA: EPOCA E FORMA
VII. La mediazione giuridica
233
1. Il positivismo giuridico e la sua crisi. - 2. Oltre la crisi del positivismo giuridico. - 3. Kelsen. Note al capitolo settimo.
VIII. Gli scritti giuridici giovanili
313
1. I primi scritti. - 2. Der Wert des Staates. - 3. La 'Rechtsverwirklichung` e la dittatura. - Note al capitolo ottavo.
IX. Teologia politica: sovranità e secolarizzazione 1. L'origine, la sovranità e la struttura della forma: eccezione, decisione, interpretazione, rappre-
33 1
Indice
sentazione. - 2. L'origine dell'epoca moderna e della sua storia: la secolarizzazione fra continuità e discontinuità. - 3. Le dinamiche dell'epoca moderna: le neutralizzazioni e i due volti della modernità; lo Stato, la tecnica, la legittimità. - 4. Altre immagini del Moderno. - 5. I dibattiti sulla teologia politica e 'Teologia politica II'. - Note al capitolo nono. PARTE QUARTA: LA CRISI DELLA POLITICA TEDESCA E LA RICERCA DELLA FORMA POLITICA
X. Il contesto storico, politico e costituzionale
p. 463
1. Il principio monarchico e il II Reich. - 2. La questione del parlamentarismo e Weber. - 3. Weimar: un compromesso. - Note al capitolo decimo.
XI. Crisi e critica del liberalismo, del parlamentarismo e dello Stato di diritto: l”irruzione della democrazia
513
1. Parlamentarismo e Stato di diritto: una critica categoriale. - 2. Stato di diritto, positivismo giuri-
dico e parlamentarismo in Germania: una critica storica. - 3. La democrazia: il giacobinismo, il marxismo e il mito. - 4. Il dibattito sulle critiche
schmittiane al parlamentarismo. - Note al capitolo undicesimo.
XII. Democrazia e forma politica: il potere costituente e la costituzione 1. Dittatura commissaria, dittatura sovrana e rivo-
luzione. - 2. Il potere costituente: identità e rappresentazione. - 3. La costituzione. - Note al capi-
tolo dodicesimo.
575
Indice
XIII. Nella crisi di Weimar
p. 635
1. La legittimità della costituzione di Weimar, lo Stato totale, il pluralismo. - 2. Il Custode della costituzione, l'autonomia della politica, la 'politica dell'origine', la questione del totalitarismo. - 3. Il dibattito weimariano sulla costituzione. - Note al capitolo tredicesimo.
PARTE QUINTA: SINTESI E TRASFORMAZIONI
XIV. Il (politico,
733
1. Il *politico' come origine della politica. - 2. Guerra e politica. - 3. Hobbes. - Note al capitolo quattordicesimo.
XV. Dal nazismo al «nomos›› della Terra 1.
L`esperienza
nazista.
-
2.
Gli
339 scritti
internazionalistici. - 3. Il «nomos» della Terra. -
Note al capitolo quindicesimo.
Indice dei nomi
915
Introduzíone
1. La rigorosa chiarezza concettuale che si è soliti attribuire a Schmitt deve evidentemente presentare qualche problema, se è vero che pochi autori più di lui sono stati, e sono, oggetto di furiose polemiche, di interpretazioni discordanti e all'apparenza incompatibili. Ora demonizzato come il Mefistofele font et origo malorum germanzicorum o come SS. dello Spirito, ora riabilitato come ultimo erede del pensiero politico della modernità; definito sia l`uomo più cattivo del mondo sia l'unico tedesco con cui valesse la pena discutere; accomunato all'irrazionalismo reazionario ma anche inserito nell'ambito severo del cattolicesimo politico, come ultimo erede dei Grandi Inquisitori; conseguente nel proprio antiliberalismo e critico implacabile della modernità in nome della necessaria apertura della politica sulla trascendenza, ma ascritto, già da Strauss e Voegelin, all'orizzonte della piena immanenza moderna; tanto moderno da essere definito l'Hobbes del XX secolo e tanto antimoderno da essere interpretato come il teorico che vede nella politica l'insuperabile maledizione del peccato originale; portatore di un apparato argomentativo della massima coerenza e univocità e tuttavia esposto ad un occasionalismo che dimostra intrinsecamente plurivoci i suoi concetti fondamentali; scettico e dogmatico; scienziato rigoroso e saggista asistematico; antiromantico ma in realtà intimamente romantico; teorico dell'immediatezza e dell'eccezione concreta, ma anche della mediazione rappresentativa, della “sostanza', ma anche della forma; pensatore della legittimità, ma incapace di esibire un fondamento legittimo della politica; critico da un punto di vista metafisico del nichilismo moderno, eppure esposto egli stesso alla potenza del Nulla;
V
Introduzione
pensatore che si colloca oltre lo Stato e che è tuttavia affetto da un'inguaribile nostalgia per la forma-Stato; grande
eversore che introduce la negazione e il disordine all'interno della politica, e grande restauratore neoclassicista che fa della politica la dimensione della ricerca dell'ordine; decisionista e istituzionalista; significativo esponente della “fallacia costruttivistica' e grande decostruttore della politica; cattolico e ateo; antiapocalittico perché convinto della
struttura apocalittica del tempo storico della modernità; antihegeliano che pone in essere una strategia hegeliana; erede spirituale (legittimo o naturale che sia) di Weber e del più disincantato pensiero negativo, e, di questo, critico implacabile; ultimo rappresentante, insieme al grande avversario Kelsen, della tradizione giuridica tedesca, ma anche negatore e distruttore dell'autonomia del diritto; tanto estremisticamente 'leale' verso la repubblica di Weimar da risultarne in pratica un nemico; autore che ha collaborato apertamente col nazismo e che si è reso responsabile di terrificanti cadute antisemitiche (circostanze, queste, che lo hanno portato ad essere inquisito a Norimberga, dove fu assolto in istruttoria, così da poter essere definito tanto un innocente capro espiatorio quanto più colpevole di tutti i condannati) e che pure è stato utilizzato - nella sua opera maggiore, Dottrina della costituzione - dal ministro della Giustizia israeliano per risolvere alcune questioni nate a proposito del progetto di costituzione dello Stato di Israele; giurista celeberrimo (è il più citato, in Germania, nella letteratura giuspubblicistica del secondo dopoguerra), al quale tuttavia è stata negata l'iscrizione all'associazione dei giuristi tedeschi; pensatore con il quale la sinistra non dovrebbe avere alcuna parentela, mentre le sue analisi tuttavia incrociano o anticipano quelle di Benjamin e di alcuni dei maestri della Scuola di Francoforte e la sua fortuna, in Italia, è stata grande soprattutto a sinistra; ora giurista, ora politologo, ora filosofo, ora ideologo, ora sofista; reputato ora superato e inservibile, ora di bruciante attualità. Insomma, colui la cui opera è stata definita «una costante lotta intellettuale contro l'ambiguità›› parrebbe ospitare nel proprio pensiero una non piccola serie di ambiguità VI
Introduzione
irrisolte. Tutte queste contraddizioni - con diversi intendimenti, sottolineare, più o meno unilateralmente, dalla critica - parrebbero mettere in dubbio la coerenza, il rigore, la stessa consistenza epistemologica di una prestazione scientifica che si è svolta lungo buona parte del nostro secolo, e che ha dato e dà ancora origine a mode, a riabilitazioni, a nuove condanne, a riscoperte e a nuovi rifiuti (a volte per sopraggiunta sazietà), ad utilizzazioni frettolose e a ripulse sommarie, a devozioni quasi maniacali, a silenzi imbarazzati e a campagne di criminalizzazione, oltre che a feconde analisi nelle molte aree politiche e intellettuali all`interno delle quali è stato letto e interpretato, con una fortuna altalenante ma ormai vastissima, estesa com'è dalla Germania (che comincia, dalla fine degli anni Ottanta, a pagare il debito verso Schmitt che aveva contratto con una lunga e peraltro spiegabilissima censura - solo ufficiale, tuttavia -) e dall`Italia (dove più precoce è stata, ormai da più di vent”anni, la sua presenza scientifica) alla Francia, alla Spagna, al mondo anglosassone, fino all”estremo OrienIIC.
Figura intellettuale e umana che è stata segno di contraddizione, esempio in prima persona di cornplexio oppositorum, Schmitt ha contraddetto e si è contraddetto, definendosi tanto «un avventuriero intellettuale» quanto, al contempo, l'ultimo esponente del pensiero classico dell”ordine giuridico moderno. Se a questo carattere del suo pensiero e della sua stessa persona morale - un carattere tanto contraddittorio da risultare indeterminato e sfuggente (appunto, com'è stato detto, da Proteo o da Camaleonte), o indecifrabile (fino da prima della seconda guerra mondiale era già stato definito una Sfinge) - si aggiungono sia la sua adesione al nazismo sia l'indubbia partizione della sua prestazione in “fasi” all'apparenza non omogenee, sia Passenza, anche nei lavori maggiori, di uniesplicita movenza sistematica, sia il praticare, come oggetti privilegiati d'analisi, temi “stravaganti” rispetto ai canoni delle discipline giuridiche e politiche, e il frequentare ambiti all'apparenza eterogenei, come la letteratura e la teologia, potrebbe sembrare un'impresa disperata e fuorviante cercare di ricdstruire VII
Introduzione
- a partire da un pensiero che oscilla fra una competenza professionale spinta fino al virtuosismo e una brillantezza rapsodica e a tratti dilettantesca - il 'sistema' concettuale e argomentativo di Schmitt. Eppure, che, anche se implicita, esista una sistematicità nel pensiero di Schmitt, che proprio a partire dalle sue contraddizioni- e, per così dire, prendendole sul serio - sia
possibile ricostruire, in modo non estrinseco, buona parte della macchina argomentativa e concettuale di Schmitt nelle diverse fasi del suo pensiero, così da costringere il Camaleonte in una forma, la Sfinge a rivelare il proprio volto e il proprio enigma, è quanto si cerca di mostrare in questo lavoro. La cui tesi di fondo è che negli aspetti apparentemente contraddittori del proprio pensiero Schmitt manifesta all'opera un problema, che questo problema si rivela consustanziale ad uno spazio intellettuale e politico che è definibile in senso lato come °epoca moderna', e che quel problema - condiviso, anche se in altre forme, dalle esperienze scientifiche dei principali pensatori giuridici e politici della prima metà del nostro secolo - consente una rilettura della prestazione schmittiana rispettosa della sua grandezza, oltre che dei suoi limiti e delle sue miserie. 2. Quel problema che conferisce significato e sistematicità alle contraddizioni del pensiero schmittiano, la chiave che spiega i principali concetti politici schmittiani, la loro genesi e il loro scopo, è la crisi del razionalismo politico moderno. Il nucleo propulsivo della prestazione schmittiana sta nel suo essere “situata'; proprio dal collocarsi in uno specifico contesto storico di crisi - la crisi terminale della modernità, e storicamente la crisi della politica tedesca tra il 1914 e il 1945, reinterpretata come crisi europea e mondiale -, Schmitt trae occasione per risalire all”origine di crisi, alla crisi originaria, della stessa epoca moderna in generale, per ricostruirla e decostruirla criticamente tanto nelle sue categorie fondative (il razionalismo e il pensiero dialettico, pur da lui diversamente valutati) quanto nelle sue istituzioni (lo Stato liberale e democratico). VIII
Introduzione
Schmitt pensa insomma davanti alla fine della mediazione politica moderna (tanto 'costruttiva' quanto “discorsiva)), davanti al crollo delle ideologie della modernità, all'obsolescenza del nesso razionale fra teoria e prassi: e questa fine -
tanto storica (la catastrofe della prima guerra mondiale, ma anche gli sviluppi della tecnica) quanto logica (le difficoltà crescenti che le scienze giuridiche e politiche incontrano nella loro opera di razionalizzazione dell'esperienza) quan-
to politica (Finsufficienza, che sempre più chiaramente si palesa, del parlamento e dello Stato di diritto, a fronteggiare la democrazia di massa) - non produce nella macchina argomentativa schmittiana, che proprio per questo si differenzia dal coevo 'pensiero della crisi”, un”opposizione sistematica al Moderno. Al venir meno delle idee e delle istituzioni chiare e distinte dellletà liberale (la giuridificazione moderna della politica - culminante nel giuspositivismo -, la distinzione fra Stato e società, fra pubblico e privato, fra diritto e politica, fra ordine e disordine) egli non reagisce attraverso procedimenti `antitetici,, che alla crisi contrappongono una qualche “vivente` irrazionalità (giustamente valutata da Schmitt come semplice rovescio del razionalismo, e a quello subalterna); né, nonostante il suo indubbio cattolicesimo personale - e in qualche misura anche scientifico , con fondazioni metafisiche tradizionali. La specificità di Schmitt sta anzi nel forzare la crisi, nell”accettarla per radicalizzarla, e, di lì, nel risalire - o nel ridiscendere all'origine della politica (come Entstebung e come arc/Jé), e nel cogliervi il possibile momento genetico di un nuovo ordine, di un estremo e aporetico agire politico produttivo. L'origine della politica a cui Schmitt accede è dunque una crisi originaria, ma meglio ancora è una contraddizione originaria; e questa non è una contraddizione semplice, ma, anzi, esibisce due lati, ovvero due estremi. Da una parte la sconnessione di principio, non superabile né mediabile dalla ragione, fra esperienza e ordine (e questa radicale assenza di ordine, questo conflitto originario, è, nel lessico schmittiano, l”eccezz'one concreta, la sfida). Dall'altra, l`Idea che eccede il conflitto, l'origine come trascendenza e come eccesso; ora, l'Idea, che per il giurista Schmitt è prima di IX
Introduzione
tutto l'Idea di Diritto, è originaria perché, pur essendo qualcosa di “superiore, rispetto all°immanenza, al conflitto,
in questo è nondimeno co-implicata in negativo: infatti, nell'abissalità dellieccezione, dell'Idea, benché fattualmente
“assente”, vi è in ogni caso esigenza perché ci sia una forma politica concreta, un ordine politico unitario. Ciò significa che il Diritto è realizzabile solo attraverso un atto politico che assuma come propria origine l'assenza di Diritto; che
solo dalla violenza che immediatamente lo nega il Diritto è affermato e realizzato. Quindi la trascendenza dell'Idea di Diritto (e di ogni altra Idea politica) non è ontologicamente “piena”, ma è solo una coazione ordinativa, tanto originaria quanto, dialtro lato, lo è l`eccezione, il disordine; e anzi la potenza coattiva e ordinativa della trascendenza assente è appunto quella metafisica che Schmitt afferma essere ineludibile da ogni autentico pensiero politico. Insomma, l'origine della politica non è, in nessuno dei suoi due lati, un fondamento oggettivo della politica, quanto piuttosto uno sfondamento. 2.1. La struttura dell*origine della politica è infatti realmente contraddittoria. Da una parte l'eccezione concreta è un conflitto che nega ogni ordine e ogni forma chiusa in sé; dall'altra, la concretezza dell'eccezione può essere pensata solo in vista della forma, cioè come un `concreto' sottoposto alla “logica', alla potenza dell'Idea assente (è appunto questa la logica del concreto). E questa contraddizione originaria della politica - il suo essere sospesa fra contingenza e Idea - è insuperabile e inconciliabile, non è mai rimuovibile, e permane alfinterno di ogni ordine. E questa permanente contraddizione originaria a fornire l'energia politica che rende effettuale un ordine, il quale è reso possibile solo dall”intensità politica che scaturisce dalla “differenza di potenziale' tra eccezione e Idea; un ordine storico è concreto, non tautologico né formalistico, solo in quanto al suo interno agisce questa origine complessa, solo in quanto, cioè, la crisi storica concreta da cui esso ha avuto origine continua a fornirgli energia, tanto come X
Introduzione
trattenuta violenza e vibrante polemicità quanto,
contraddittoriamente, come consapevolezza della doverosità della forma. E tuttavia, l'origine comporta, al tempo stesso, la fatale destrutturazione dell'ordine, che può avvenire in due guise. Se l”origine della politica non è riconosciuta e
controllata, si afferma ugualmente, ma in modalità distruttive: il suo lato eccezionale diventa ostilità assoluta, e il suo lato ordinativo diventa formalismo inerte e informe. Ma anche se l'origine è pienamente riconosciuta, una prassi politica che consapevolmente si apra sulla crisi politica come sulla propria origine è essa stessa necessariamente percorsa dalla contraddizione; è, cioè, effettuale ma instabile, perennemente esposta alla mobilitazione, a un'intensità politica che, almeno in potenza e in prospettiva (e anche contro gli intenti di Schmitt), destruttura ogni forma che pretenda di essere in sé trasparente e conclusa. L'origine determina e insieme indetermina ogni ordine; lo rende concreto e incompleto, tanto possibile e anzi indispensabile quanto contingente e minacciato. La contraddizione origi-
naria agisce tanto come intensità quanto come opacità all'interno dell'ordine, e quindi prevale su ogni sforzo di comprensione e di formazione attiva; gli ordini storici concreti hanno nella crisi la loro origine, la loro energia politica, ma anche la loro fine potenziale. 2.2. La contraddittorietà di Schmitt deriva non tanto dal succedersi diacronico delle diverse fasi del suo pensiero (che tuttavia va certamente riconosciuto e spiegato), quanto piuttosto dalla contraddittorietà dell'origine della politica, che egli pensa. Il cuore del pensiero di Schmitt sta nella convinzione che la politica non è “facile”, che l'ordine non si forma attraverso mediazioni discorsive (il logos) né attraverso automatismi (la tecnica), ma solo attraverso il pieno e integrale riconoscimento dell”origine, e attraverso l'apertura al rischio non razionale che le pertiene, attraverso l'accesso all”Estremo - all'eccezione e all'Idea assente -; un accesso formativo, e quindi attivo, consapevole che l'agire politico deve essere capace tanto di creare forma, aprendosi sull`origine e sulla sua XI
Introduzione
energia, quanto di “frenare' (da qui la tematica del kat'ec}Jon) ciò che, nel.l'origine, vi è di entropico e di distruttivo. Ma poiché il kat'eclJon agisce attingendo energia dalla crisi origina-
ria che vorrebbe frenare e formare, di essa partecipa, da essa viene travolto. E ciò significa che la genealogia della politica di Schmitt implica sia il dovere della politica sia la sua
impossibilità, che la sua è davvero la politica come destino tragico. E il permanere dell'origine a generare le contraddi-
zioni di Schmitt, a rendere tragico anche il suo pensiero, proprio in quanto egli, nella sua ricerca di ordine, è estremisticamente classico; a renderlo decostruttivo quanto ricostruttivo, tanto orientato all'eccezione quanto alla forma. E infine evidente che la genealogia di Schmitt è un risalire, o un ridiscendere, all”origine della politica moderna. E infatti nei concetti e nelle istituzioni politiche specificamente moderne che Schmitt vede alllopera, come momenti originari, tanto la percezione del disordine radicale quanto la coazione alla produzione di ordine artificiale; tanto la contingenza quanto l”esigenza di forma. E soprat-
tutto nella modernità che i concetti e gli ordini originano da una crisi, che incorporano per superarla. Certo, si tratta di una modernità interpretata attraverso una peculiare teoria della secolarizzazione: di una storia moderna letta dal punto di vista della sua catastrofe, originaria e terminale; e di una modernità a due volti, tanto accettata da Schmitt come orizzonte di crisi generalizzata e di intervento decisionistico quanto rifiutata nella sua autocomprensione e nelle tragiche derive alle quali la espone la copertura ideologica attraverso le diverse teorie della ragione, del progresso, dell'Universale, il cui smascheramento riesce a Schmitt così bene - della propria contraddizione originaria. Sta in questo oblio dell'origine, in questa “cattiva” metafisica che pensa la forma come automatismo e neutralità, e non come esito di un'azione politica radicale, la spiegazione del costante antiliberalismo di Schmitt, che nel liberalismo vede in generale la deriva passiva del Moderno, una teoria e una prassi politica non radicali, inefficaci, e quindi impari alle esigenze di un tempo - il tempo di Schmitt - in cui la crisi riesplode in forme di drammatica intensità. XII
Introduzione
2.3. Con diversi nomi e con diverse figure l`origine a due lati della politica si manifesta il proprium del pensiero schmittiano. Le categorie di decisione e di rappresentazione
- apparentemente contrapposte in quanto l'una ha a che fare con l`immediatezza dell'eccezione, con l'indeducibilità
dell'ordine dall'universale razionale e dal Diritto, l'altra col renderne presente l'Idea assente - sono, in realtà, le funzioni, concrete, effettuali, e reciprocamente implicantisi, dell'agire politico, efficace appunto in quanto si apre sull'origine a due lati della politica, in quanto è “decisione per la rappresentazione'. Ma l'origine della politica ricorre, in Schmitt, anche in altre forme: ora come potere costituente, ora come “politico”, ora (con qualche variante) come nomos. Del resto, anche concretezza e legittimità, termini chiave neHa produzione schnntúana, rnnandano quasi sinonimicamente all”origine. Il sovrano, poi, è l'attore “pmxmddndsmwodfamafloflmammnaxßmmmmne da intendersi come un soggetto, e soprattutto non pienamente istituzionalizzabile - dell'azione politica originaria; sovrano è chi, traendo energia politica da una crisi radicale, crea - con la decisione per la rappresentazione - l`ordine politico; è quindi chi, conoscendone operativamente l'origine, dell`ordine ha in pugno tanto il mantenimento “normale' (l'aspetto giuridico dell'ordinamento, che risulta quindi subordinato alla decisione politica) quanto la possibilità di sospenderlo totalmente (la dittatura sovrana, la decisione sul caso d'eccezione). I concetti di forma politica, di costituzione, di Stato totale “per forza', di ordine concreto sono l'esito di quell”agire, sono il nome schmittiano di “ordine'. Inoltre, la nozione di “origine a due lati della politica' consente di cogliere in Teologia politica non la fondazione teologica della politica ma la “teoria genetica dell'esserci politico moderno', in Dottrina della costituzione la “teoria generale della moderna forma politica”, e in Der Begriff des Politisc/ven la “teoria sintetica dell'origine'. IJno Schnntß dunque,che pensa H conflino e anche, contemporamente, l'esigenza di ordine, e quindi sottratto al destino di essere schiacciato sulla politica come guerra, sufla noüone di“pohúco'conm:rapporu›annco/nenúco, XIII
Introduzione
interpretata come il semplice rovesciamento della 'formula'
clausewitziana. Uno Schmitt che nel fare della politica un destino non segue un soggettivo impulso iperpolitico ma riconosce le strutture profonde e originarie della modernità. Uno Schmitt non solo “realista politico”, perché la “realtà” -la politica - che egli pensa ha un'origine tanto concreta quanto ideale. Uno Schmitt la cui “scienza' politica si rivela lo sforzo di pensare l'origine non razionale dell”ordine politico senza razionalizzarla, di concettualizzare oggettivamente l'assenza di oggettività, la polemicità, dei concetti politici. Uno Schmitt, infine, la cui potentissima analisi decostruttiva dei concetti e della storia politica moderna lo avvicina alle grandi avventure intellettuali del XX secolo, che si sono costituite come pensiero dell'originario, anzi, dell'originario coappartenersi di violenza e di forma. 3. Il pensiero specificamente politico di Schmitt è innervato da questa complessa struttura teoretica e categoriale che lo spiega ben oltre i connotati “di destra' - nazionalistica e irrazionalistica, ma più ancora cattolica - che in qualche misura gli sono certamente propri, pur senza esaurirlo. L'ordine politico non può più essere pensato da Schmitt come forma neutrale, razionale, universale (cioè come Stato), ma sempre e solo come una forma che ha origine (e ne è costantemente attraversata) da una parzialità concreta, da un'eccezione polemica, da una crisi politica radicale; e tale origine si fa “ordine” solo attraverso una provvisoria neutralizzazione attiva, cioè grazie allo sforzo sovrano di continua creazione - decisionistica e rappresentativa - di ordine. E poiché la forma politica è continuamente minacciata dall'oblio dell'origine e quindi dal ritorno incontrollato e distruttivo di questa, è necessario che all'interno dell'ordine permanga una funzione di concreto accesso all'origine, ovvero la decisione sovrana sul potenziale nemico interno, il cui effetto concreto è l'esclusione. Le garanzie giuridiche liberali, le moderne fedi nella ragione, i 'valori' che fondano la 'normalità' di un ordine politico, sono così negati da queste logiche radicali: un ordine è concreto non XIV
Introduzione
quando difende se stesso con la forma-legge universale e astratta, ma quando si apre al Negativo originario, alla crisi, all'eccezione e alla decisione politica su di essa; quando è ordine giuridico parziale, orientato, polemico. In questa
adesione al Negativo - priva di ogni fiducia progressista e dialettica -, a cui si accompagna il dovere della forma, consiste la pratica schmittiana del disincanto; un disincanto specificamente cattolico, estraneo alla moderna divinizzazione dello Stato e della razionalità moderna, di cui scopre l”origine non razionale. Tuttavia, questa voce 'cattolica' levata contro la moderna autogiustificazione razionale del finito non conosce alcun riferimento positivo alla trascendenza, ed è più decostruttiva che fondativa, lontana com”è, nonostante le suggestioni che ne trae, dai fondazionismi antimoderni del pensiero controrivoluzionario. Il contesto storico-politico, costituzionale, giuridico, in cui Schmitt opera è segnato dalla sfida della democrazia e in generale dalle dinamiche che, nel XX secolo, portano lo Stato a intervenire in via amministrativa nel sociale, fino a confondervisi, a perdere la propria forma giuridica autonoma e ad esporre la propria 'stabilità' a una conflittualità incontrollata. In quest”ambito, la genealogia della politica di Schmitt significa di fatto che egli rifiuta la separazione “pura” fra politica e diritto e persegue invece la “realizzazione del diritto” per via politica; che critica liberalismo e parlamentarismo e accetta la democrazia; che la interpreta come l”irrompere, sulla scena politica, del popolo e del suo potere costituente: è al “popolo” e alla sua energia mobilitante e polemica che si deve retrocedere, per Schmitt, non come a un fondamento - cioè non come ai “diritti” dei singoli - ma come ad un 'tempo zero' originario, carico d'intensità, per riprodurre, di lì, un ordine nuovo. Lo Stato, infatti, per Schmitt è già morto, è già andato oltre se stesso tentando vanamente di inseguire - con i propri strumenti obsoleti (la legge e il principio di legalità) o inadeguati perché del tutto subalterni e reattivi rispetto ai conflitti che vogliono governare (i decreti) - le dinamiche economiche e sociali. Quell”ordine nuovo è la costituzione concreta (Verƒassung) dello Stato totale “per forza”; in un intreccio XV
Introduzione
non privo di originalità ma anche di forti contraddizioni -
fra il plebiscitarismo e il decisionismo del presidente-custode, fra democrazia e autoritarismo, Schmitt- nel momento più importante della sua produttività, e cioè negli anni Venti e nei primissimi anni Trenta - indica di fatto, accet-
tando la costituzione di Weimar e al contempo reinterpretandola profondamente, una prassi politica che rinuncia alle tradizionali fondazioni e legittimazioni razionalistiche e giuridiche, e che si presenta, oltre le istituzioni liberali, come diretto comando politico sui 'pluralismi” partitici e sugli specialismi tecnici; una prassi politica che sostituisce, 'dall'alto”, l”articolazione democratica dell”ordine e che risponde alle ricorrenti crisi di legittimità della tarda modernità con l”unica legittimità disponibile, cioè con il rinnovare la consapevolezza della decisione come origine, e della forma come dovere; insomma, la consapevolezza della politicità - ovvero dell”originaria non neutralità - del diritto e delle sue forme. E, quello di Schmitt, un tentativo - nelle intenzioni non restaurativo - di nuova oggettività politica nel momento della crisi dell”oggettività e della soggettività moderne, della crisi dello Stato e del cittadino; una crisi che in Germania si manifesta attraverso l”esplodere di contraddizioni oggettive del sociale non più risolvibili dalla prassi di soggetti storici determinati come la borghesia e il proletariato, né dalle istituzioni politiche moderne. Il tentativo schmittiano - non estraneo, pur senza coincidervi, alle insofferenze anti-vveimariane di una parte non esigua della cultura tedesca - si risolve, quindi, nell”assumere quelle contraddizioni, “depurate' dalle loro connotazioni soggettive e oggettive, come manifestazione del 'politico', come origine di una politica oltre lo Stato e oltre i partiti, superiore ai conflitti sociali ma non esente dal loro peso e dall”obbligo di governarli; una politica che non è la proiezione immediata né di interessi particolari né, al contrario, di generiche mitologie di palingenesi, e che quindi risulta essere una peculiare figura della crisi dei fondamenti e della 'nuova razionalità” che vi si instaura, connotata da una sovranità personale ma senza soggetto, da una decisione senza giudizio, da una XVI
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contraddizione senza oggetto (il 'politico'), da un comando senza legge universale, da un autoritarismo privo di vera autorità, da un 'totalitarismo' privo di autentica totalità, da un “popolo” onnipotente eppure bisognoso di essere messo in forma da una decisione rappresentativa, da una 'concretezza” che si oppone al formalismo giuridico e politico e che nondimeno non è mai l'etico/passionale, il vitale, ma è solo l'apertura al rischio originario del 'politico'. Una politica
senza qualità, dunque; un'intensità efficace ma priva di fondamenti. Col portare al centro della politica ciò che lo Stato moderno aveva voluto collocare all'esterno - cioè il conflitto e la sua energia -, Schmitt compie un gesto di radicale decostruzione intellettuale ma si colloca anche, paradossalmente, nell'ultima posizione del costruttivismo moderno; capace di andare oltre lo Stato, almeno nella sua forma liberale, non va però oltre le logiche ordinative della modernità, che forza, che rende 'concrete', che esaspera e trasfigura secondo una tipica sensibilità novecentesca di crisi e di disagio, se non di disperazione, ma che non può superare. Il pensiero di Schmitt è così strutturalmente esposto al rischio che l'uso critico dell'origine - al livello teorico - si rovesci, nella pratica, in una volontà di ordine che diviene, di fatto, un uso politicamente normativo dell'origine; cioè che l'originaria coazione ordinativa agisca come un riflesso di difesa dell'ordine minacciato, e che davanti al conflitto sociale il pensiero schmittiano non abbia altra opzione che il semplificarlo e l'estremizzarlo, interpretandolo come 'caso d'eccezione”. In pratica, davanti alla crisi di Weimar Schmitt ricorre al plusvalore legittimante dell'origine, e teorizza una decisione plebiscitaria che “ricordi” l'originaria decisione rappresentativa che ha creato la costituzione, il potere costituente del popolo; ma questa mossa ha implicazioni tanto radicali da negare la stessa struttura formale della costituzione che pure vuole difendere. Insomma, il pensiero dell'origine della politica diviene una politica dell'origine, la genealogia ideologia, il disincanto organicismo; l'assenza di fondamenti è coperta da un'affannosa ricerca di un fondamento qualsiasi, e lo scopritore della potenza dell'oriXVII
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gine della politica ne resta, di fatto, prigioniero. È questa la ragione dello iato tra il vertiginoso ardite della teoria di Schmitt e la modestia, o la miseria, o l'inaccettabilità, delle sue indicazioni pratiche; la sua politica autoritaria, anche se originale, la sua simpatia per il fascismo italiano, la sua successiva adesione al nazismo, sono certo sforzi di superare la crisi dello Stato, ma testimoniano anche la cecità politica di Schmitt e soprattutto che questo andare 'oltre' ha
avuto, nella pratica, esiti troppo facilmente 'reattivi' e ideologici; chela tensione all' 'al di là' dello Stato può comportare un pesante ricaderne al di qua. Interpretate attraverso la chiave dell'origine della politica le contraddizioni di Schmitt vengono spiegate, non risolte, né giustificate; e appaiono quindi come aporie, vere nella loro non-verità, cioè in quanto ripropongono, estremizzandole, le aporie di un'epoca. 4. Identificare nella genealogia della politica l'oggetto proprio del pensiero di Schmitt è il risultato di un'analisi genealogica di quel pensiero. Per comprendere Schmitt, le interpretazioni che ne sono state date e i problemi che egli solleva, è necessario affrontare quel lungo periplo del Moderno al quale egli stesso si è, sia pure rapsodicamente, assoggettato. Lo stesso Schmitt era ben consapevole del proprio ruolo di pensatore all'altezza di tematiche che coinvolgono la questione dell'origine, del ruolo e della destinazione della ragione politica moderna. Ma è necessario anche affrontare il periplo del contesto prossimo di Schmitt. Che il pensiero di Schmitt non sia solo una “dottrina politica' o un'ideologia, che le sue 'posizioni' siano esposte a contraddizioni epocali, è infatti una soluzione di alcuni gravi problemi interpretativi; ma pone anche alcune questioni non semplici. Schmitt non è professionalmente un filosofo; alle strutture logiche del suo pensiero si può arrivare soltanto interrogandolo per quello che è, cioè primariamente un pensiero giuridico specialistico, situato, coinvolto, polemico. E soltanto attraverso l'analisi rigorosa di molti testi e di molti contesti che Schmitt emerge nella sua originalità; soltanto attraverso la filologia e la storiografia XVIII
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si attinge la 'filosofia' che è presente nella prestazione di Schmitt. Soltanto se si misura Schmitt sui molti ambiti culturali specifici a cui appartiene se ne può marcare l'originalità, la caratura teoretica e il significato più generale. Il metodo di questa lettura è dunque la ricostruzione storico-critica dei modi, degli apparati concettuali, delle categorie, delle difficoltà, dei risultati della macchina argomentativa schmittiana - analizzata rispettandone sostanzialmente lo svolgimento diacronico, nelle sue manifestazioni principali, nelle sue fasi e varianti -, contestualizzata sia negli ambiti intellettuali che le sono prossimi, sia nei problemi storici concreti che l'hanno determinata, sia in un panorama di lungo periodo, appunto epocale. Sono molte le vie da cui si genera il 'sistema' schmittiano - giuridiche (le tematiche del 'caso concreto', della 'realizzazione del diritto', della sovranità, del potere costituente), storico-politico-costituzionali (la questione del parlamento e della democrazia, del capo dello Stato e del plebiscitarismo), sociologiche (il problema della tecnica) -; e le specifiche modalità con cui questi temi sono affrontati da Schmitt permettono di riconoscere, nel suo pensiero, diverse eredità teoriche, in diversa misura operanti, ma tutte reinterpretate. Schmitt trae infatti la propria energia scientifica non solo dalla partecipazione esistenziale alle vicende politiche del suo tempo, ma anche dall'incrociare, e dal confrontarvisi, le principali esperienze intellettuali contemporanee (da Sorel a Simmel, da Weber alünger, da Kelsen a Heller, da Strauss a Voegelin) e classico-moderne (da Hobbes a Maistre, da Hegel a Marx, dal romanticismo a Donoso Cortes); Schmitt attraversa territori che vanno dal cattolicesimo alla 'rivoluzione conservatrice', dall'esistenzialismo all'antropologia filosofica, dalla teologia alla politologia, dal 'pensiero della crisi' al “pensiero negativo'; Schmitt è comprensibile solo a partire da un complesso e articolato milieu culturale novecentesco che va dai dibattiti sulla tecnica a quelli sulla secolarizzazione, dalla questione del parlamentarismo a quella della reciproca compatibilità fra liberalismo e democrazia, dagli scontri tra formalismo e antiformalismo giuridico alle riflessioni sulla crisi dello Stato e sul ruolo dei partiti, XIX
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dalle interrogazioni radicali sul rapporto fra diritto e politica ai problemi inerenti la relazione tra ordine e conflitto
e il nesso, interno e internazionale, tra politica e guerra. Per la ricostruzione interna delle logiche dell'argomen-
tazione schmittiana e per la loro contestualizzazione esterna, si deve seguire questo intreccio di temi e di vie. Si è quindi reso necessario Fattraversamento di domini discipli-
nari plurimi, proprio allo scopo di afferrare l'unità e la specificità del pensiero schmittiano, per cogliere quella radicalità che fa sì che Schmitt, praticando il suo specialismo professionale di studioso di diritto pubblico - al quale ha voluto rimanere fedele per tutta la vita - sia stato anche dottrinario, politologo e 'filosofo'; non, ovviamente, nel senso che egli abbia elaborato una teoria dell'ottimo Stato, ma in quanto ha consapevolmente e originalmente attinto alcune delle questioni cruciali del pensiero politico moderno e contemporaneo. Questo metodo deve essere preciso e minuzioso, e deve tuttavia prescindere da quegli eccessi di biografismo e di particolarismo che sono come gli alberi che non lasciano vedere la foresta. La molteplicità del pensiero di Schmitt, la sua rapsodicità, è spiegata certo anche dalle contingenze storiche e biografiche, ma è la medesima contraddizione originaria della modernità ad essere sempre presente, sia pure con esiti di volta in volta differenti, nell'opera schmittiana. E il modo diverso (ora più radicale, ora più ideologico) di pensare la medesima origine della politica che determina le fasi del pensiero schmittiano; ma è il medesimo metodo di pensarla, sempre agli estremi del Moderno, con uno sguardo esterno e al contempo coinvolto nelle sue aporie, che unifica quel pensiero. Il che implica che non si accettino aprioristicamente le autointerpretazioni, le glosse e i commenti di cui Schmitt ha abbondantemente fatto uso nel corso della propria lunghissima attività scientifica, per guidare il lettore nelle proprie opere e nei propri concetti. Né, d'altra parte, che sia ammissibile l'utilizzazione di forme di argomentazione generica e indifferenziata, o di dimostrazione incrociata: non si può spiegare lo Schmitt prenazista XX
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con lo Schmitt nazista, né quello degli anni Venti con quello degli anni Cinquanta, né quello specialista con quello
estemporaneo e 'stravagante'. Proprio un uso filologicamente corretto delle fonti - ovvero della loro cronologia e della loro gerarchia (una lettera non vale un trattato, anche se può illuminarne alcuni passaggi; né il pur vasto e interessante Nac/ølass può avere la meglio sull”immensa mole di lavori che Schmitt ha pubblicato nella sua lunga vita, sotto quattro diversi regimi politici) - può anzi dimostrare l'assunto di fondo di questo lavoro. Quella che qui si propone è dunque una lettura non apologetica, esclusivamente interna al circolo, pur vasto, degli 'schmittiani'; come non si vuole demonizzare Schmitt, così non si intende neppure urbanizzare e pacificare la provincia schmittiana, bensì darne la mappa storica e politica, e orientarne la lettura con una precisa chiave intellettuale. Non è, poi, una lettura 'di sinistra', sia che con questa formula si intendano le interpretazioni che danno un peso preponderante o esclusivo all'esperienza nazista di Schmitt, sia che ci si riferisca alle posizioni di chi, appunto da sinistra, ha interrogato Schmitt per impadronirsi del suo presunto 'segreto' - la cosiddetta 'autonomia del politico' per renderne partecipe il proletariato e la sua prassi. Ma non è neppure una lettura 'liberale', nel senso che non si concentra principalmente sulla critica del decisionismo e dell”antiliberalismo di Schmitt, ma che, d'altra parte, non è nemmeno indirizzata a leggere, in positivo, in Schmitt una critica - condivisa appunto anche da alcune correnti di liberismo conservatore - delle pretese totalizzanti e utopiche delle ideologie progressiste e immanentistiche della modernità. E non è neppure una lettura 'di destra', che assecondi, compiacendosene ideologicamente, le critiche di Schmitt al liberalismo e all'Occidente, o che - comunque sia - enfatizzi soprattutto la componente 'culturale' di destra della prestazione di Schmitt, pur innegabile e degna di essere sottolineata. Infine, non è una lettura 'scientifica°, cioè centrata sulle presunte 'regolarità' politologiche perenni che Schmitt avrebbe scoperto, in continuità con la grande tradizione del pensiero politico 'realistico', e neppure una lettura 'cattolica', XXI
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che interpreti cioè l”indubbio cattolicesimo di Schmitt come il fondamento dogmatico del suo pensiero, il quale verreb-
be così a essere la ritrascrizione politica della dottrina del peccato originale.
Ciascuna di queste letture è - ovviamente - possibile e, se attuata con serietà e metodo scientifico, dà frutti più o meno succosi, tanto denso e fitto è l”affollarsi di piste e di sollecitazioni nel labirinto del pensiero schmittiano. Non-
dimeno, qui si presenta una lettura diversa. Una lettura sintomatica, che fa giocare produttivamente le tensioni e le contraddizioni di Schmitt su un arco di problemi sia determinati sia epocali, che ne indica per questa via unità e differenze interne, ambiti di validità e intime aporie. Una lettura genealogica, che interroga Schmitt per scoprire che il suo pensiero è un'ermeneutica tragica del Moderno, ovvero che è a sua volta un interrogazione, intellettualmente radicale e praticamente operativa, della ragione politica moderna. Una lettura che non consente né con le utilizzazioni generiche di Schmitt - il quale temeva i lettori frettolosi - né con i difensori di una presunta 'ortodossia' schmittiana; una lettura che vuole confrontarsi sia con la lettera, rigorosamente accertata, di Schmitt sia con le conseguenze ultime del suo argomentare - quelle conseguenze da cui egli pregava che Dio lo guardasse -. Una lettura, infine, che vede la verità della prestazione di Schmitt non in un suo preteso livello 'segreto', 'esoterico', ma nelle logiche e nelle aporie delle categorie che vi sono coinvolte. 5. Questo lavoro - una voce nell'ormai vastissima bibliografia schmittiana - non si propone immediatamente di dire l'uso attuale che si debba fare del pensiero di Schmitt, posto che se ne debba fare uno; piuttosto, si ripromette di collocare Schmitt nella storia del pensiero politico (che è anche una storia politica del pensiero), prima che nell'attualita, e di dare un”interpretazione unitaria e articolata dell'opera di colui che è stato definito «un giurista aperto alle gioie dello Spirito››, nella convinzione che la sua sia stata forse l'ultima grande voce di un'epoca che continua a XXII
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presentarci problemi ma non soluzioni. E in effetti, la questione della utilizzabilità pratica di Schmitt implica la questione - indecidibile - della fine, o della trasformazione,
della modernità. Il suo gusto del paradosso, la sua arroganza intellettuale, il suo senso di superiorità verso tutti i bigottismi culturali, hanno portato Schmitt a formulare un pensiero critico potentissimo che lo inserisce a pieno titolo nella galleria del pensiero politico del Novecento, non come un mostro né come una bizzarria, ma come pensatore terminale (non necessariamente epigonale). Ma nel suo portare a compimento la crisi di un'epoca di pensiero e di istituzioni politiche, Schmitt non riesce a liberarsi dalla tradizione europea, a congedarsi dal suo congedo dallojus publicum europaeum, risultando così tanto nemico di questo secolo quanto uno deghnneqneürnùradkahdeflesueungkheconüaddúùy ni. Interno e reattivo rispetto alla crisi dello Stato, e da questa determinato esistenzialmente e scientificamente, Schmitt ha affiancato a diagnosi acutissime terapie politiche che sono dei veri rami secchi: tali sono, nel contesto europeo, gli autoritarismi e i totalitarismi che all”epoca di Schmitt - e a lui stesso - sembravano la soluzione del problen1a,e che invece ne facevano parte.Insonnna,la storia politica d'Europa, nel secondo dopoguerra, ha smentnoSchnuUahnenosudiunpunKnpmhficmneúlnamonu› della civiltà liberale è forse avvenuto quanto all'effettualità delle sue istituzioni - che persistono, ma profondamente moüficmendlon)fimzmnmnmnorede-nnanonndsum standard, che continuano ad avere una qualche mediata efficacia politica se non altro come orizzonte di legittimità della politica, pur variamente sfidati e criticati. Non stanno quindi solo nelle sue cadute totalitarie i lnnnidelpenäeroschnutúano,chevannoindndduaúinvece proprio là dove c'è anche la sua grandezza: nell'ossessione con cui ha pensato le aporie del Moderno, la cui intensità verticale (o abissale) gli ha tolto la capacità di cogliere il peso che, al di là delle ideologie, ha l'estensi0ne 'orizzontale' dell'agire soggettivo e collettivo. Per Schmitt, l'azione XXIII
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politica - appunto la produzione e la mobilitazione dell'ordine - è solo del sovrano, il punto nel quale il logos moderno, il pensiero strategico dell'ordine razionale, si concentra tanto intensamente da negarsi: dal singolo e dalle sue strategie non c'è da aspettarsi che disordine o, comunque sia, ineffettualità, mentre l'energia delle masse esige comunque di essere messa in forma. Insomma, questo pensiero 'forte' è organizzato in modo da poter cogliere solo le catastrofi, i
bruschi cambiamenti di legittimità oppure le sue disperate difese, insomma, le strutture profonde e le dinamiche eccezionali della politica, lo 'scheletro' scarnificato della prassi; è, quella di Schmitt, un'anatomia che non esaurisce i corpi viventi, pur descrivendone ossatura e destino. Schmitt non fu abbastanza liberale (né abbastanza materialista) per interessarsi anche dei soggetti e del soggetto, se non quando fu egli stesso nelle fauci del Leviatano, e anche allora con toni più di lamento che di ripensamento; il suo coraggio intellettuale - di Schmitt non si può dire, come fu detto dei francofortesi, che alloggiasse in una camera con vista presso l'Hotel 'Abisso' - lo rese capace di cogliere la tragedia ma non fu sufficiente a portarlo oltre di essa. L'amaro ripiegamento del secondo dopoguerra (la rinuncia, iniziata già durante il nazismo, a trarre energia politica dalla crisi della modernità) dimostra che Schmitt al contrario di quanto sostenne davanti ai russi che nel 1945 lo arrestarono per poi subito rilasciarlo - era stato 'contaminato' dalle proprie scoperte, almeno nel senso che oltre di esse non seppe vedere. Insomma, l”indubbia collocazione di Schmitt nell'ambito del Moderno non può far dimenticare che la sua è una modernità autentica ma dimezzata. Ma difficoltà nascono anche in relazione all”oggi; è infatti possibile un effetto di 'spaesamento' se il pensiero schmittiano viene fatto interagire con influenti sezioni del pensiero politico contemporaneo, rispetto alle quali sembra che Schmitt parli d'altro, di problemi tanto estremi che risultano estranei alla sensibilità contemporanea. Attraverso Schmitt non è facile cogliere le nuove teorie dei diritti, della democrazia, del federalismo, del multiculturalismo, dell'ordine internazionale; non è facile confrontarsi con i XXIV
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problemi di un tempo in cui i diritti sono predicati come fondamentali e prepolitici, e al tempo stesso sfidati dalla
potenza post-politica di una tecnica che non è più industriale sì elettronica, di un tempo in cui le rivoluzioni di popolo e le guerre nazionali paiono superate (almeno in
Occidente), e il potere autentico è ampiamente deterritorializzato e dis-ordinato; in cui il 'politico' sembra non essere più l'origine della politica. Non si può decidere se questa è una rimozione su scala globale - posta in essere da un tempo che si vuole postideologico e che per questo crede, in un”ultima copertura ideologica, di essere anche al di là delle questioni del conflitto e dell'ordine - o se invece siamo di fronte a un'autentica trasformazione epocale, se davvero la politica, nella sua formulazione moderna, e nelle coazioni che ne derivano, ha ormai conosciuto il proprio destino di compimento e di dissoluzione.
D'altra parte, accanto alle ragioni che fanno pensare all”obsolescenza del 'vecchio Schmitt' si constatano - oltre che un nuovo interesse scientifico - anche nuovi tentativi di valorizzare praticamente alcuni brani del suo pensiero, anche se si tratta di lacerti isolati, sottratti alla sistematicità, alla 'metafisica', dell'originale: ne sono un esempio la recente proposta di immaginare una nuova efficacia di tematiche schmittiane sul versante pluralistico e comunitario del pensiero politico statunitense, oppure le riflessioni di chi vede nella dottrina di Schmitt, opportunamente 'indebolita', un vettore utile per dare stabilità all”esecutivo nell”ambito di costituzioni ancora formalmente liberaldemocratiche di alcuni Paesi occidentali (il che a volte ha alle spalle, nel caso italiano, troppo facili e in fondo errate equiparazioni tra la nostra situazione politica e la repubblica di Weimar). Da certi punti di vista, inoltre, anche ben al di là di queste saltuarie indicazioni, potrebbe sembrare che la miccia che Schmitt ha acceso bruci ancora, non perché egli abbia attinto verità eterne ma perché, pur con parzialità, ha toccato alcune strutture profonde di una modernità la cui crisi terminale ancora non ci siamo lasciati alle spalle. NoXXV
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nostante i suoi limiti, non è facile congedarsi dal pensiero di Schmitt, al quale le nuove forme dell'intensa dialettica tra uniformità mondiale e identità politica di popoli non occidentali, e l'attuale riemergere del conflitto - anche in Euro-
pa - come momento dissolvitore di vecchi ordini e, almeno potenzialmente, creatore di nuovi, sembrano invece ridare nuova attualità; da questo punto di vista, si potrebbe anzi dire che in buona parte delle minacciose verità e delle tragiche provocazioni di Schmitt ancora res nostra agitur. E allora, anche se quello schmittiano è un pensiero da maneggiare con cautela, da non trasformare meccanicamente in ideologia del caso d'eccezione né in mitologia dell'ostilità originaria, la sua efficacia potrebbe stare nel ricordare, soprattutto a chi lo vuole programmaticamente ignorare, il lato oscuro della politica, ovvero quanto in questa c'è di costitutivamente serio e grave, di ineliminabilmente tragico, e al contempo di intrinsecamente doveroso; che la politica non è fatta solo di diritti e contratti, di tecniche democratiche e costituzionali, ma anche, costitutivamente, di catastrofi. L'enigma di Schmitt, così, parrebbe duplicarsi: è problematico non solo quale sia il significato del suo pensiero per noi, ma anche quale significato abbia la nostra situazione 'storico-spirituale”, di fronte alle sue categorie, alle sue posizioni e ai suoi concetti. E proprio per questo vicendevole interrogarci che ci lega anche quando ci allontana, a più di cento anni dalla sua nascita, e a più di dieci dalla sua morte, possiamo davvero guardare a Schmitt come a un 'classico”: dei classici ha infatti tanto la definitività quanto la problematicità, tanto l'inattualità quanto, nonostante tutto, la carica coinvolgente e perturbante.
Questa Introduzione deriva, per alcune sue pagine, da C. Galli, Il pensiero di Carl Schmitt, in «Bollettino di Filosofia Politica››, 1991, n. 5,
pp. 42-49.
XXVI
Abbreviazioni
Si danno di seguito le abbreviazioni dei titoli di alcune delle opere più frequentemente citate; si aggiunge l'indicazione dell'ed. or. effettivamente utilizzata. Georg Wilhelm Friedrich Hegel FD = Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello Stato in compendio, Roma-Bari, Laterza, 1987 (ed. or.: Grundlinien der Pbilosopbie des Recbts oder Naturrecbt und Staatswissensc/øaft im Grundrisse [1820-1821], Frankfurt a./M., Suhrkamp, 1970 [Werke in zwanzig Bändenl) ESF = Enciclopedia delle scienze filosofie/oe in compendio (18303), Bari, Laterza, 19716 FS] = Filosofia dello Spirito jenese (1805-1806), in Id., Filosofia dello spirito jenese, Bari, Laterza, 1971, pp. 103216
LFS = Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze, La Nuova Italia, 1941-1963, 4 voll. (seguito dal numero dei tomi) Karl Marx MEW = Marx-Engels Werke, Berlin, Dietz Verlag, 1956 sgg. MEO = Marx-Engels Opere, Roma, Editori Riuniti, 1972 sgg. IT = K. Marx - F. Engels, L'ideologia tedesca (1845-1846), Roma, Editori Riuniti, 19722 XXVII
Abbreviazioni
MEF = Manoscritti economico-filosofici (1844), Roma,
Nevvton Compton, 1976 (seguìto dal numero del Manoscritto) QE = La questione ebraica (1844), in K. Marx, La questione ebraica e altri scritti giovanili, Roma, Editori Riuniti,
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PCFDH = Per la critica della filosofia del diritto di Hegel (Introduzione) (1844), ivi, pp. 87-104 CFbD = Critica della filosofia begeliana del diritto pubblico
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Max Weber ES = Economia eSocietà, Milano, Comunità, 19813 (seguìto
dal numero del volume) PG = Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania (1918), in Id., Parlamento e governo e altri saggi, Torino, Einaudi, 1982, pp. 64-225 PP = La politica come professione (1919), in Id., Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 19807,
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CCC = Cbi dev”essere il custode della costituzione? (19301931), in Id., La giustizia costituzionale, Milano, Giuffrè,
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XXVIII
Abbreviazioni
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XXIX
Abbreviazioni
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1995 (ed. or.: Tbeodor Dàublers ”Nordlicbt". Drei'Studien iiber die Elemente, den Geist, und die Aktualitàt des Werkes, Berlin, Duncker 81 Humblot, 19912; prima ed.: München, Georg Müller, 1916) ADP = Appropriazione/divisione/produzione. Un tentativo difissare correttamente i fondamenti di ogni ordinamento economico-sociale, a partire dal «nomos›› (1953, 19582), in CdP pp. 295-312 AoE = Amleto o Ecuba. L'irrompere del tempo nel gioco del dramma, Bologna, Il Mulino, 1983 (ed. or.: Hamlet oder Hekuba. Der Einbrucb der Zeit in das Spiel, DüsseldorfKöln, Eugen Diederichs Verlag, 1956) B = Die Buribunken. Ein gescbicbtspbilosopbiscber Versucb,
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