Fragile eternity. Immortale tentazione 8864113517, 9788864113517 [PDF]


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Table of contents :
Presentazione......Page 2
 Prologo......Page 6
 Capitolo 1......Page 9
 Capitolo 2......Page 14
 Capitolo 3......Page 18
 Capitolo 4......Page 25
 Capitolo 5......Page 29
 Capitolo 6......Page 36
 Capitolo 7......Page 43
 Capitolo 8......Page 50
 Capitolo 9......Page 56
 Capitolo 10......Page 62
 Capitolo 11......Page 67
 Capitolo 12......Page 72
 Capitolo 13......Page 76
 Capitolo 14......Page 86
 Capitolo 15......Page 93
 Capitolo 16......Page 99
 Capitolo 17......Page 103
 Capitolo 18......Page 108
 Capitolo 19......Page 115
 Capitolo 20......Page 119
 Capitolo 21......Page 123
 Capitolo 22......Page 129
 Capitolo 23......Page 139
 Capitolo 24......Page 143
 Capitolo 25......Page 145
 Capitolo 26......Page 151
 Capitolo 27......Page 156
 Capitolo 28......Page 159
 Capitolo 29......Page 166
 Capitolo 30......Page 174
 Capitolo 31......Page 178
 Capitolo 32......Page 181
 Capitolo 33......Page 186
 Capitolo 34......Page 191
 Epilogo......Page 194
 Ringraziamenti......Page 196
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Fragile eternity. Immortale tentazione  
 8864113517, 9788864113517 [PDF]

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Presentazione

Seth non avrebbe mai immaginato di desiderare una relazione stabile, prima che nella sua vita arrivasse Aislinn: lei è tutto quanto ha sempre sognato e ora la vuole accanto a sé, per sempre. Ma per sempre assume un nuovo significato quando la tua ragazza è diventata l’immortale Regina dell’Estate. Aislinn, d’altro canto, non avrebbe mai immaginato di trasformarsi in una delle creature fatate che la terrorizzano: ma anche questo accadeva prima dell’arrivo di Keenan, il ragazzo che per averla al fianco l’ha privata della sua mortalità. Ora questa giovane fata, ancora legata alla vita terrena, si trova di fronte a sfide e a seduzioni che vanno oltre ogni più incredibile supposizione e che porranno duramente alla prova la sua integrità e il suo amore. Nell’ipnotico terzo capitolo della saga di Melissa Marr, Seth e Aislinn lottano per restare fedeli l’uno all’altra in un universo in cui i ruoli si confondono, i patti si fanno instabili, gli amici diventano nemici e un solo passo falso può far sprofondare l’universo nel caos.

Nata nel 1972, Melissa Marr è l’autrice dei primi due capitoli della saga di cui Fragile Eternity fa parte, Wicked Lovely (Fazi Editore, 2008) e Ink Exchange (Fazi Editore, 2008). Entrambi i libri si sono rivelati dei bestseller e l’hanno consacrata come una delle più apprezzate scrittrici di urban fantasy. Al momento Melissa Marr è al lavoro al suo quarto libro. Vive con il marito e i due figli nei pressi di Whashington D.C.

© 2009 Melissa Marr Published by arrangement with HarperCollins Children’s Books, a division of HarperCollins Publishers © 2009 Fazi Editore srl Via Isonzo 42, Roma Tutti i diritti riservati Titolo originale: Fragile Eternity Traduzione dall’inglese di Lucia Olivieri ISBN 978-88-6411-351-7

www.fazieditore.it

Prima edizione digitale 2011 Realizzato da Jouve Quest´pera è protetta dalla Legge sul diritto d´utore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

A Loch, mio forever and always…

Prologo

Seth comprese che Aislinn era arrivata. Gli sarebbe bastato percepire il lieve aumento di temperatura, anche senza scorgere quel baluginio di sole nel buio notturno. Più di una lanterna. Sorrise al pensiero di come avrebbe reagito all’idea di essere paragonata a una lanterna, ma il sorriso gli svanì dalle labbra non appena la vide apparire sulla soglia. Era già senza scarpe, con i capelli sciolti, liberi dall’acconciatura che li aveva tenuti raccolti durante i Girotondi dell’Estate da cui veniva. Insieme a Keenan. Il pensiero di lei tra le braccia del suo re lo mise immediatamente in tensione. Quelle notti di danze si ripetevano ogni mese ma, per quanto si sforzasse, Seth continuava a essere geloso. Ma adesso non è con lui. È qui. Aislinn si slacciò il corpetto di un abito d’altri tempi con gli occhi fissi su di lui. «Ciao». Non era sicuro di averle risposto. Non importava. Poco importava in quei momenti: solo lei, solo loro due, solo quello che significavano l’uno per l’altra. L’abito scivolò a terra e lei fu tra le sue braccia. Lui non disse più nulla, di quello ne era certo, con il sole che gli carezzava la pelle come caldo miele. Il ballo della Corte dell’Estate era terminato e lei era lì. Non è con lui. È con me. Quelle serate non erano per i mortali. Aislinn, ebbra di sole e di danze, troppo animata e ardente per riuscire a dormire o per passare la notte alla Corte dell’Estate, correva tra le sue braccia, palpitante di energia e di passione. Lo baciò e lui cercò di ignorare il calore tropicale che li avvolgeva. Orchidee, un alberello di ylang ylang e fronde cariche di fiori dorati invasero la stanza. Fragranti profumi appesantivano l’aria afosa, ma era pur sempre meglio della cascata di qualche mese prima. Gli bastava averla lì, tra le sue braccia, il resto non contava. I mortali non sono fatti per amare le creature fatate, era costretto a rammentare Seth ogni mese quando, di ritorno dai Girotondi, Aislinn dimenticava quanto lui fosse fragile. Se solo avesse potuto, vi avrebbe preso parte; invece accettava il fatto che un mortale non è al sicuro tra uno stuolo di esseri fatati gozzoviglianti. E sperava che Aislinn, al suo arrivo, non sarebbe stata troppo ardente. Così l’attendeva, nell’oscurità, augurandosi che lei non decidesse di rimanere con Keenan.

Più tardi, quando gli ritornò la parola, sfilandole alcuni petali di orchidea dai capelli, sussurrò: «Ti amo». «Anch’io te». Poi, arrossendo, chinò la testa e gli chiese: «Tutto bene?». «Quando sei qui, sempre». Lasciando cadere i petali a terra, aggiunse: «Se potessi, ti terrei

con me tutte le notti». «Piacerebbe anche a me». Gli si accoccolò vicino e chiuse gli occhi. La sua pelle non scintillava più, era calma e rilassata ormai, con sollievo di Seth. Mancavano un paio d’ore all’alba e a quel punto lei avrebbe visto le scottature che gli aveva lasciato sui fianchi e sulla schiena, dove le sue mani si erano soffermate troppo a lungo, dimenticando ogni cautela. A occhi bassi avrebbe ripetuto quelle frasi che Seth detestava sentire. La Regina dell’Inverno, Donia, gli aveva dato la ricetta di un unguento contro le ustioni solari. Non era efficace sui mortali quanto sulle creature fatate ma, se lo usava per tempo, i segni scomparivano in ventiquattr’ore. Seth lanciò un’occhiata all’orologio sulla parete. «Quasi ora di colazione». «No», mormorò Aislinn, «ora di dormire». «Okay». La baciò e la strinse più a lungo che poté. Con gli occhi sull’orologio, ascoltò il respiro di Aislinn acquietarsi mentre si addormentava. Poi, quando non poté più aspettare, scivolò giù dal letto. Lei aprì gli occhi. «Rimani». «Vado in bagno. Torno subito». Le rivolse un sorriso conciliante nella speranza che non gli facesse domande. Dal momento che lei non poteva mentire, anche lui faceva del suo meglio per essere sincero, ma non era la prima volta che si trovavano in quella situazione. Gli guardò le braccia e Seth comprese che neanche lei voleva affrontare ancora una volta la solita discussione: Aislinn avrebbe detto che non doveva più raggiungerlo dopo i Girotondi dell’Estate e lui, per timore che lei passasse la notte accanto al Re dell’Estate, la dissuadeva ogni volta. Aislinn si accigliò. «Mi dispiace, non credevo…». Poteva rispondere, oppure distrarla. Non gli fu difficile scegliere. Quando Aislinn si svegliò, osservò per qualche istante Seth addormentato accanto a lei. Non sapeva cos’avrebbe fatto se l’avesse perso. A volte aveva la sensazione che fosse l’unico a darle un minimo di stabilità. Un po’ come i tralci che si avvolgevano intorno ai corpi delle Ragazze dell’Estate, Seth era ciò che le permetteva di non sgretolarsi. Mentre io lo faccio soffrire. Ancora. Vedeva le ombre dei lividi e le chiazze rosse delle scottature là dove l’aveva toccato. Non se ne lamentava mai, ma lei si preoccupava: era così fragile in confronto anche alla più debole creatura fatata. Gli sfiorò una spalla con la punta delle dita e lui le si fece più vicino. Le era sempre stato accanto in quei mesi così strani, da quando era diventata Regina dell’Estate. Senza mai chiederle di fare delle scelte, le aveva permesso di essere semplicemente se stessa. Non avrebbe mai potuto ricompensarlo per tutto quello che le aveva dato. Le aveva donato se stesso. Seth, che aveva già contato moltissimo nella sua vita dei giorni da mortale, era divenuto ancora più importante da quando si era trovata a regnare sul mondo delle creature fatate e a lottare per trovare un equilibrio. Seth aprì gli occhi e la guardò. «Mi sembri così lontana». «Pensavo». «A cosa?», le chiese inarcando il sopracciglio sottolineato da un piercing. E quel semplice gesto le fece battere il cuore esattamente come al tempo in cui aveva cercato di essergli soltanto amica. «Le solite cose…». «Andrà tutto bene». La fece rotolare sotto di sé. «Troveremo una soluzione».

Lo abbracciò, attorcigliando una ciocca dei suoi capelli tra le dita. Si ripeté che doveva fare attenzione, trattarlo con delicatezza, per non costringerlo a ricordare che non aveva tra le braccia una mortale. Non sono più come lui. «Lo spero tanto», sussurrò cercando di scacciare dalla mente il pensiero della mortalità di Seth, con tutti i vincoli della sua finitezza e i limiti che il tempo gli poneva, mentre lei avrebbe vissuto per l’eternità. «Promettimelo». Seth posò le labbra sulle sue e le parlò senza bisogno di parole. Poi, scostandosi, mormorò: «Momenti così belli devono per forza durare un’eternità». Con la mano percorse dolcemente la spina dorsale, domandandosi se lui trovasse strano quel desiderio di far fremere di sole la punta delle dita mentre lo accarezzava. «Vorrei che fosse sempre così. Solo io e te e basta». C’era qualcosa nell’espressione di Seth che non fu in grado di decifrare, ma lo strinse a sé mettendo da parte pensieri e parole.

Capitolo 1

La Regina dell’Alta Corte s’incamminò verso l’ingresso con un senso di trepidazione. Esigeva di solito che i visitatori venissero condotti al suo cospetto, ma si trattava di fare un’eccezione: permettere a Bananach di scorrazzare indisturbata era troppo pericoloso. Da qualche mese Lasair aveva trasferito la sua corte ai margini del mondo mortale prendendo possesso di un isolato cittadino e trasformandolo. Entrarvi significava abbandonare il mondo mortale per addentrarsi nel regno fatato. Le leggi del mondo degli uomini, la loro percezione del tempo e dello spazio, dei principi della natura, non avevano alcun valore nel regno fatato né in quella terra di mezzo in cui si era da poco insediata l’Alta Corte. Da secoli Lasair non si avvicinava tanto al mondo degli uomini ma, con i rivoluzionamenti in atto nelle altre corti, l’antico isolamento non era più consigliabile. Un lungo soggiorno nel mondo dei mortali era da escludere, ma vivere ai confini del loro universo non avrebbe creato complicazioni e costituiva anzi la soluzione più ragionevole. Il giovane sovrano della Corte dell’Estate era salito al trono al fianco della sua regina dopo secoli di ricerche. La sua amata era diventata la nuova sovrana dell’inverno. E Niall, dal cui fascino un tempo Lasair era stata tentata, ormai comandava la Corte del Buio. Niente di inatteso, eppure tutto era accaduto in un attimo. Mentre faceva scivolare le dita sul legno levigato, accarezzò il corrimano con un sorriso al ricordo di tempi più semplici. Ma scacciò subito l’inganno della nostalgia. Era alla guida dell’Alta Corte da tempo immemorabile. Suo il cuore immutabile del regno fatato, sua la voce di quel mondo remoto. Lei ne era la Regina Suprema e Immutabile. L’alternativa – l’antitesi, Bananach, sua sorella gemella – la stava aspettando. Quando la vide ondeggiò verso di lei e Lasair vide che nei suoi occhi ardeva un’espressione vagamente delirante. Ogni idea di caos e discordia trovava dimora nello spirito di Bananach: finché quest’ultima fosse esistita avrebbe risparmiato alla Regina dell’Alta Corte il fardello di pulsioni e sentimenti tanto spiacevoli. Uno scomodo legame. «Ne è passato, di tempo», esclamò Bananach. I suoi movimenti erano incerti, le mani scivolavano sulle cose quasi volesse familiarizzare con il mondo che la circondava e l’esperienza tattile la ancorasse alla realtà. «Da quando abbiamo parlato l’ultima volta. Ne è passato». Lasair non era sicura se fosse una domanda o un’affermazione. La lucidità della sorella era alquanto inaffidabile anche nei giorni migliori. «Mai abbastanza per i miei gusti», commentò facendole cenno di sedersi. Bananach si accomodò su un divano fiorato. Scosse il capo agitando le lunghe piume che le ricadevano sulla schiena come una folta capigliatura. «Lo stesso vale per me. Mi disturbi». Tanta franchezza lasciò Lasair un istante interdetta, ma la Guerra non ha tempo per la delicatezza e Bananach era l’essenza della guerra e della violenza, della putrefazione e del caos, del sangue e della ferocia. Per quanto la Corte del Buio fosse l’antagonista diretta dell’Alta Corte, la vera rivale di Lasair era Bananach. La donna corvo, da parte sua, non era fedele al re delle ombre né

del tutto ribelle: troppo selvaggia per accettare i limiti imposti dalla Corte Oscura, amava troppo gli intrighi e le cospirazioni per vivere isolata. La fissità del suo sguardo era inquietante e i suoi occhi neri come l’abisso scintillavano minacciosi. «M’infastidisce la tua vicinanza». «Allora perché sei venuta?». Bananach prese a tamburellare con gli artigli sul tavolino, dando vita a uno strano ritmo discordante privo di qualsiasi armonia o musicalità. «Per te. Sono venuta per te. E verrò sempre. Ovunque tu sia». «Perché?». Lasair si ritrovò ancora a ripetere la stessa conversazione che scambiavano ormai da secoli. «Oggi?». Bananach piegò il capo bruscamente, di scatto come un uccello, vigile, all’erta, attenta a ogni movimento. «Ho delle cose da dirti. Cose che tu desideri ascoltare». Lasair non replicò. Non reagire era sempre più sicuro, con Bananach. «E perché mai dovrei decidere di ascoltarti?». «Perché no?». «Perché non sei qui per aiutarmi». Lasair era stanca di quell’eterna ostilità. A volte si chiedeva cosa sarebbe successo se si fosse sbarazzata di Bananach. Sarebbe la fine anche per la mia corte? E per me stessa? Se avesse conosciuto la risposta, se fosse stata certa di poter uccidere sua sorella senza condannare le sue creature, l’avrebbe già fatto secoli prima. «Gli esseri fatati non mentono, sorella mia dolce. Per quale ragione non dovresti ascoltarmi?», replicò Bananach in tono cantilenante. «Tu sei la Ragione. Io ti offro la Verità… È forse logico non ascoltarmi?». Lasair sospirò. «Dunque, se agirò secondo quanto mi dirai, darò origine a un’esplosione di caos, immagino». Bananach cominciò a ondeggiare come se udisse una musica che nessun altro era in grado di udire, né lo avrebbe voluto. «È auspicabile». «Oppure, se rifiuterò di farlo… e tu sei qui a incitarmi a fare l’inverso di quanto desideri», aggiunse Lasair seguendo il filo dei suoi pensieri. «Ti stancherai mai di tutte queste macchinazioni?». Bananach piegò il capo uno scatto dopo l’altro e serrò le mandibole come se avesse avuto un becco al posto delle labbra: era la sua risata, un suono che Lasair aveva sempre trovato irritante. La donna corvo fissò su di lei uno sguardo penetrante: «Perché dovrei?». «Già, perché?». Lasair era seduta in una delle tante poltrone scolpite nell’acqua disseminate per la sala. Tempestata di pietre grezze, non era particolarmente comoda a dispetto della sua eleganza. «Posso dunque parlare, sorella mia dolce?». Bananach si protese verso di lei. Nei suoi occhi scuri brillava una volta stellata: capitava vi si scorgessero intere costellazioni, a imitazione dei cieli della terra. In quel momento Lasair scorse Scorpione, responsabile della morte di Orione, al centro del suo sguardo. «Parla», disse. «Parla e vattene». Bananach assunse l’atteggiamento e il tono di un antico cantastorie. Si rilassò, sprofondando nel divano e giungendo le mani davanti a sé. Un tempo, molti secoli prima, quelle sgradevoli conversazioni, durante le quali amava metterla al corrente delle sue malignità e dei suoi complotti, avvenivano davanti al fuoco, nell’oscurità. E anche lì, nell’elusiva opulenza di quell’edificio costruito da mani umane, la donna corvo prese a parlare come allora, dando alle proprie parole le

cadenze di un racconto notturno. «Ci sono tre corti che non obbediscono ai tuoi ordini: la corte che dovrebbe essere la mia, la corte del sole e la corte del gelo». «So bene…». Bananach la zittì rivolgendole un’occhiata in tralice e proseguì. «Tra queste corti si è stabilita una nuova armonia. Un mortale vi si aggira indisturbato. Bisbiglia parole all’orecchio di colui che siede sul mio trono e questi lo ascolta, insieme alla nuova Regina dell’Inverno, lamentare la crudeltà del reuccio». «Dunque?», la incitò Lasair. Era difficile prevedere quanto sarebbero durati quei racconti. Ma per una volta si trattava di una storia breve. Bananach si levò in piedi come se avesse visto uno spettro che le faceva cenno di avvicinarsi. «Il reuccio sa essere feroce. Potrebbe quasi piacermi, la Corte dell’Estate». Allungò una mano per toccare qualcosa che nessun altro poteva scorgere, poi si arrestò, adombrandosi. «Ma lui non desidera la mia presenza». «Keenan fa solo quanto ritiene giusto per le sue creature», mormorò distrattamente Lasair, cercando di indovinare l’intenzione di Bananach: non certo parlarle della propensione alla crudeltà del Re dell’Estate, bensì del ruolo di quel mortale. Gli esseri umani non hanno diritto di intromettersi nelle faccende del popolo fatato. Anzi, a dire il vero, se il suo divieto di concedere la seconda vista non fosse stato di quando in quando infranto, sarebbero raramente consapevoli della loro presenza. Creano già abbastanza scompiglio i mortali dotati della seconda vista. Ma le mire di Bananach puntavano proprio a quello. Piccole agitazioni conducono a grandi sconvolgimenti. Su questo, almeno, le due sorelle si trovavano d’accordo. Con la differenza che, mentre l’una faceva di tutto per incoraggiare il caos, l’altra cercava con ogni mezzo di evitarlo. In una successione di istanti apparentemente irrilevanti, Bananach si avvicinava al suo scopo. Era stata lei, secoli prima, a incitare Beira, la vecchia Regina dell’Inverno, a uccidere Miach, il Re dell’Estate al tempo suo amante. Era lei a sussurrare alle creature fatate sogni che di solito avevano la saggezza di non mettere in atto. Lasair non voleva che un piccolo problema fosse causa di disordini che potevano sfociare in una guerra. «I mortali non devono interferire nell’esistenza delle creature fatate», disse. «Non dovrebbero avere accesso al nostro mondo». Bananach riprese a tamburellare con aria apparentemente soddisfatta. «Già. Questo mortale in particolare ha conquistato la fiducia di tutte e tre le corti non tue. Lo ascoltano, influenzate dalle sue opinioni nelle loro scelte… e lo proteggono». Lasair le fece cenno di proseguire. «Divide il letto con la Regina dell’Estate quasi fosse il suo legittimo consorte. La Regina dell’Inverno gli ha concesso la seconda vista. Il nuovo Re del Buio lo chiama “fratello”». Tornò a sedersi e assunse un’aria assorta che non mancava mai di inquietare Lasair. E non senza ragione: quando Bananach era concentrata, diveniva più pericolosa. «E tu, sorella mia dolce, non puoi esercitare nessuna influenza su di lui. Non puoi condurlo qui. Non puoi sottrarlo al mondo mortale come fai con gli altri esseri umani o i mezzosangue dotati della seconda vista». «Capisco». Lasair evitò di reagire. Sapeva che Bananach aspettava di vederla consumare le ultime riserve di calma. La donna corvo riprese: «Anche Irial si era trovato un giocattolo, una piccola mortale che aveva legato a sé, e la vezzeggiava impunemente al cospetto della sua corte». Lasair levò gli occhi al cielo, esasperata. I mortali sono troppo fragili per resistere agli

eccessi degli spiriti delle tenebre e Irial lo sapeva meglio di chiunque altro. «È morta? O impazzita?». «Né l’uno né l’altro: lui ha rinunciato al trono per lei, tanto era stato corrotto dalla sua mortalità… Disgustoso, il modo in cui teneva a lei. È per questo che il nuovo re siede ora sul trono che dovrebbe essere mio». Bananach non aveva ancora abbandonato il tono da cantastorie, ma il suo umore s’incupiva sempre più. La sua voce cantilenante sempre più spesso sottolineava parole a caso. La brama di impossessarsi del trono delle tenebre la rendeva inquieta, insistervi a quel modo non aiutava certo il suo stato mentale. «Dov’è?», domandò Lasair. «È ininfluente ormai…». Bananach agitò una mano davanti a sé come se volesse spazzare via delle ragnatele. «E allora perché parlarmene?». L’espressione della donna corvo era indecifrabile, ma nei suoi occhi prese forma la costellazione dei Gemelli. «So che noi due abbiamo sempre condiviso… molto. Credevo avresti dovuto esserne a conoscenza». «Non ho bisogno di essere al corrente dei divertimenti di Irial. Per quanto sia un’abitudine che trovo deplorevole», Lasair si strinse nelle spalle come se non importasse più di tanto, «non posso nulla contro la depravazione della sua corte». «Io forse sì…». Un bramoso sospiro accompagnò le sue parole. «No, affatto. Distruggeresti quel minimo di autocontrollo che ancora possiedono». «Forse», acconsentì con un altro sospiro, «ma le battaglie che potremmo… Potrei giungere alla tua porta, ammantata di sangue, e…». «Minacciarmi non è il modo giusto di ottenere il mio aiuto», le rammentò Lasair, malgrado servisse a ben poco. Bananach non poteva evitare di bramare la guerra né più né meno di quanto la signora dell’Alta Corte potesse resistere al proprio desiderio di ordine. «Non è una minaccia, sorella, solo un sogno che mi è caro». Con un movimento troppo rapido persino per gli occhi di Lasair, si andò ad accovacciare ai suoi piedi, riversando in avanti le sue piume sino a sfiorarle il viso. «Un sogno che mi riscalda la notte quando devo rinunciare al mio bagno di sangue». Gli artigli con cui sino a quel momento aveva tamburellato ritmi stridenti assunsero una cadenza regolare serrandosi e disserrandosi alle braccia della sorella, incidendole nella pelle minuscole mezzelune di sangue. Lasair rimase impassibile, sebbene sul punto di perdere il controllo. «È giunto il momento che tu te ne vada». «Già. La tua presenza mi confonde». Le stampò un bacio in fronte. «Il mortale si chiama Seth Morgan. Ci vede nel nostro vero aspetto malgrado l’incantesimo che cela le nostre sembianze fatate. Sa molte cose delle nostre corti… persino della tua. Possiede una strana… dirittura morale». Sentendo il proprio volto lambito dalle piume della donna corvo, Lasair fu assalita da lievi ventate d’ira: soltanto la presenza delle più potenti creature delle tenebre riusciva a turbare la calma razionalità propria della sua natura. I sudditi delle corti dell’Estate o dell’Inverno non ne erano capaci. Nessuno spirito solitario aveva il potere di increspare la placida serenità del suo spirito. Ma la Corte delle Ombre la istigava alla collera. È logico. È nella natura della nostra rivalità. È normale. Bananach strofinò una guancia contro la sua.

Avrebbe voluto schiaffeggiarla, colpire quella creatura foriera di guerra, sebbene la logica le dicesse che Bananach, incarnazione della violenza, l’avrebbe sopraffatta facilmente. Poche, pochissime creature fatate sarebbero state in grado di tenerle testa e la Regina Suprema non era tra quelle. Eppure in quel momento la tentazione era forte. Uno schiaffo. Uno solo. Le cominciavano a bruciare le ferite sulle braccia. La donna corvo piegò la testa a piccoli scatti bruschi, rapidissimi. «La tua vista mi stanca». «Lo stesso vale per me», replicò Lasair senza far nulla per arrestare i rivoli di sangue che le rigavano la pelle. Un movimento qualsiasi avrebbe provocato Bananach intensificando la sua ira. «Avremo una guerra», dichiarò la donna corvo mentre una cortina di fumo e foschia si addensava intorno a loro. Una torma di creature fatate e mortali prive di vita mostrava mani insanguinate. Il cielo si popolò di voli di corvo le cui ali, sbattendo, crepitavano come cartocci secchi. Bananach sorrise. Le comparvero sulle spalle ali di cui si scorgeva solo un vago profilo: con quelle aveva sorvolato innumeri campi di battaglia nei secoli passati. Un presagio funesto. Bananach distese le ali dicendo: «Io seguo le regole. Ti ho avvertito. Pestilenze, sangue e cenere si abbatteranno sul loro mondo, sul tuo». Lasair rimase impassibile, eppure vedeva i futuri possibili. Le predizioni di sua sorella erano spesso accurate. «Non ti permetterò di far scoppiare questa guerra. Né ora né mai». «Sicura?». L’ombra di Bananach si allargò sul pavimento come un’ampia macchia scura. «Be’, allora… hai fatto la tua scelta, sorella mia dolce».

Capitolo 2

Seth osservava Aislinn, che discuteva con i consiglieri di corte più accalorata di quanto non fosse mai in compagnia dei mortali. Sul tavolo, davanti a loro, i fogli con la sua proposta, corredata di schemi e grafici. Nel loft di Keenan, tra quelle grandi piante e le tante creature fatate che le si affollavano intorno, era semplice dimenticare che lei non era sempre stata un essere fatato. Le piante si protendevano verso di lei, i fiori sbocciavano, gli uccelli che avevano fatto il nido tra le alte colonne accoglievano il suo arrivo cinguettando. Gli spiriti dell’estate rivaleggiavano per un suo sguardo, per qualche momento accanto a lei. Dopo secoli di debolezza la Corte dell’Estate stava riacquistando forza grazie ad Aislinn. Dapprima tanta attenzione l’aveva infastidita, ma pian piano vi si era abituata e ormai Seth si domandava quanto tempo sarebbe passato prima che abbandonasse del tutto il mondo mortale, lui compreso. «Se assegniamo regioni diverse…», stava dicendo, indicando ancora una volta il suo diagramma, quando Quinn chiese scusa e si allontanò lasciando Tavish a spiegarle di nuovo perché riteneva quel progetto inopportuno. Quinn, il nuovo consigliere del Re dell’Estate dopo che Niall se n’era andato, si sedette sul divano accanto a Seth. Era quanto mai diverso dal suo predecessore per presenza e temperamento. Laddove Niall aveva sempre cercato di avere un aspetto ordinario, Quinn faceva di tutto per apparire elegante e raffinato: i capelli erano illuminati da brillanti colpi di sole, la pelle abbronzata, gli abiti quelli di chi vuole esibire una certa agiatezza. Ma più di ogni altra cosa, se Niall aveva saputo dissipare la malinconia e le ire di Keenan, Quinn sembrava invece fomentarne la suscettibilità. Seth aveva imparato a guardarlo con sospetto. Quinn esclamò accigliato: «Aislinn si sta comportando in modo irragionevole. Il nostro re non può pretendere…». Seth lo fissò senza proferire parola. «Cosa?». «Credi che Keenan le dirà di no? Credi davvero che dirà mai di no se lei gli chiede qualcosa?», esclamò scoppiando quasi a ridere al pensiero. Quinn lo guardò con aria offesa. «Ma certo». «Ti sbagli». Volse di nuovo lo sguardo alla sovrana dell’estate che scintillava come se fosse illuminata da una miriade di piccoli soli radiosi a fior di pelle. «Hai ancora molto da imparare. Se Aislinn non cambierà idea, Keenan accetterà di fare un tentativo». «Ma la corte è sempre stata governata in questo modo», stava ripetendo Tavish, il più antico consigliere dei signori dell’estate. «La corte ha sempre obbedito agli ordini del suo sovrano, dico bene? Be’, questo vale ancora. Non è necessario che voi siate d’accordo, chiedo solo che mi aiutiate a mettere in atto la mia

decisione». Aislinn gettò i capelli all’indietro. Pur neri come quelli di Seth, da quando era diventata una creatura fatata brillavano di striature dorate. Tavish alzò la voce, un fatto mai accaduto prima dell’arrivo di Aislinn. «Mia regina, sono certo…». «Tavish, non cominciare a chiamarmi “mia regina”», esclamò lei posandogli una mano su una spalla. E il suo gesto fu accompagnato da un ventaglio di scintille. «Non intendevo offendervi, ma l’idea di nominare dei responsabili locali mi sembra una follia», insistette il consigliere malgrado il sorriso conciliatorio. Aislinn irradiò piccoli arcobaleni di collera per tutta la stanza. «Una follia? È forse una follia organizzare la nostra corte in modo da proteggere al meglio le nostre creature così che possano ottenere aiuto in caso di bisogno? Abbiamo la responsabilità di prendercene cura, ma come farlo se non siamo in grado di comunicare con loro?». Tavish non aveva intenzione di arrendersi. «Un cambiamento di tale portata…». Seth smise di seguire la discussione. Aislinn gli avrebbe raccontato tutto più tardi cercando di chiarirsi le idee. Non c’è bisogno che senta ogni cosa due volte. Prese il telecomando dello stereo in cerca di qualcosa da ascoltare: trovò la canzone dei Living Zombies di cui aveva parlato qualche giorno prima. Qualcuno aveva ascoltato il suo suggerimento. La selezionò e alzò il volume al massimo. Tavish si voltò verso di loro con aria supplichevole. Seth lo ignorò, ma Quinn, desideroso di dimostrare la propria abilità diplomatica, seppur brontolando, ritornò al tavolo. A quel punto giunse Keenan, accompagnato da alcune Ragazze dell’Estate. Erano ogni giorno più belle. Con l’approssimarsi della stagione e il nuovo vigore che la coppia regale trasmetteva alla corte, tutte le loro creature prosperavano. Tavish esclamò: «Keenan, mio signore, forse potete spiegare a Sua Grazia…», ma gli morirono le parole sulle labbra non appena scorse l’espressione cupa del suo volto. Anche la reazione di Aislinn fu immediata: la sua pelle, che pur già brillava, prese a irradiare un tale fulgore che Seth non fu più in grado di guardarla. Senza neanche accorgersene, stava emanando un’aureola di raggi di sole per chiamarlo a sé. Da qualche mese il suo legame con il Re dell’Estate era sempre più intenso. Ed è una cosa che io non sopporto. Keenan non doveva fare altro che volgere lo sguardo verso di lei e sarebbe stata al suo fianco, dimentica delle sue carte, della sua proposta, di qualsiasi altra cosa. Il mondo intero tratteneva il fiato alla minima irritazione del Re dell’Estate. È il suo ruolo. Le questioni di corte hanno la precedenza. Seth cercò di non indispettirsi. Si era impegnato a lungo per diventare quello che era, uno che non perdeva la calma tanto facilmente e, malgrado la sardonica ironia che gli veniva spontanea, di rado si lasciava andare a commenti crudeli. Incanalava le emozioni più stridenti nei quadri e nelle sculture. La sua attività artistica e la meditazione gli permettevano di essere sereno, ma Keenan stava diventando una seria minaccia a tanto faticose conquiste. Seth comprendeva bene l’importanza di rafforzare la Corte dell’Estate dopo secoli di inverni sempre più rigidi, eppure a volte era difficile credere che il re non si servisse di preoccupazioni irrilevanti per attirare l’attenzione di Aislinn. Per secoli era stato abituato a credere che i suoi pensieri e i desideri meritassero priorità assoluta. Ora che l’arroganza veniva fortificata dal potere, era assurdo sperare che diventasse meno egocentrico.

Tavish raccolse intorno a sé le Ragazze dell’Estate e le condusse in cucina. Ora che non c’era più Niall, e Keenan era impegnato a rafforzare la sua corte o a stipulare accordi con gli altri sovrani, Tavish si era assunto la responsabilità di aiutare le Ragazze dell’Estate a conquistare una certa indipendenza. A Seth sembrava ridicolo che quelle ore trascorse a rallegrare uno stuolo di belle ragazze fossero considerate un duro lavoro, ma era l’unico a trovare divertente l’idea. Ciò che accadeva nella Corte dell’Estate non sempre appariva logico agli occhi di un mortale, si ritrovava spesso a pensare. Mentre Keenan riferiva l’ultimo motivo di crisi, Seth, raccolte le sue cose, si alzò. Aspettò che Aislinn gli rivolgesse lo sguardo e disse: «Ash, io vado». Lei lo raggiunse e gli si accostò, senza tuttavia abbracciarlo. Stavano insieme da qualche mese soltanto e spesso esitava ancora. Anche se non era facile resistere alla tentazione di dimostrare a tutti che Aislinn era sua, Seth non si mosse, restando in attesa, senza esercitare alcun tipo di pressione o insistenza. Con lei era l’unico modo. L’aveva capito da più di un anno ormai. Aspettò. La tensione crebbe, poi lei si appoggiò al suo petto, stringendosi a lui con un sospiro. «Mi dispiace, è che devo…», lanciò un’occhiata preoccupata a Keenan. «Questioni di corte, capisci, vero?». «Certo». Seth aveva passato ore e ore ad ascoltarla elencare le sue nuove responsabilità, assolutamente incapace di aiutarla. C’era una lunga lista di cose che richiedevano l’attenzione di Aislinn mentre a lui non restava altro da fare che aspettare. «Però andiamo al Crow’s Nest domani, siamo d’accordo, no?», gli domandò, preoccupata. «Ci si vede lì». Si sentì in colpa per quel suo atteggiamento egoistico, che non le procurava altro che una preoccupazione in più. Passò le dita tra i suoi capelli, tirandola delicatamente a sé, finché lei non reclinò il capo per baciarlo. Seth sentì bruciare le labbra, la lingua. Accadeva sempre quando era nervosa o inquieta, non tanto da essere doloroso, ma abbastanza per rammentargli che non era più la ragazza di un tempo. Quando lei si scostò, del bruciore non rimeneva traccia. Ed era di nuovo serena. «Non so cosa farei senza di te. Lo sai, vero?», bisbigliò Aislinn. Seth non rispose, la tenne stretta a sé: era la risposta migliore da darle. Tuttavia, prima o poi, non avrebbe più potuto esserle accanto: era un essere umano e, di conseguenza, mortale. Ma si trattava di una conversazione che Aislinn si rifiutava di affrontare. Seth aveva cercato di parlarne, ma lei ogni volta gliel’aveva impedito, con lacrime o baci. O con entrambi. Se non trovavano il modo di trasformarlo in una creatura fatata, prima o poi l’avrebbe abbandonata e lei sarebbe rimasta sola con Keenan. Seth si era ritrovato a passare dal timore di impegnarsi per più di una notte a dimenticare ogni cautela nella speranza di convincerla a fidarsi di lui, prima, e ora addirittura a cercare una strada per poterla avere per sempre. Era sconcertato: non aveva mai creduto che un giorno avrebbe desiderato “mettere la testa a posto”, ma da quando lei era entrata nella sua vita, da quando l’aveva avuta tra le sue braccia, non riusciva ad accettare l’idea di perderla. Il Re dell’Estate si era avvicinato al tavolo su cui erano i diagrammi, gli appunti e gli schemi di Aislinn, per esaminarli. Malgrado fosse una situazione difficile per tutti, Keenan aveva sempre ostentato di non voler interferire nella loro privacy. Era evidente, comunque, che allontanarsi da lei gli costava non poca fatica. E anche ad Aislinn. Quinn si schiarì la gola. «Ti accompagno se vuoi andare». In realtà Seth non voleva andarsene, ma non aveva senso rimanere lì a guardarla bisbigliare all’orecchio di Keenan.

Aislinn aveva delle responsabilità, dovevano ricordarselo entrambi, anche si trattava di trascorrere la serata danzando tra le braccia del Re dell’Estate. Pure quello era uno dei tanti compiti della Regina dell’Estate. E il compito di Seth era… fare di tutto per starle vicino. Per comprendere lei, il suo mondo, le sue necessità. Lui si muoveva ai confini dell’universo in cui lei ormai viveva, senza nessun ruolo, né potere né, malgrado tutto, desiderio di allontanarsi. Non poteva essere soddisfatto di quella situazione, ma non sapeva cosa fare per modificarla. E lei non vuole parlarne. «Ci vediamo domani». Le diede un ultimo bacio e dietro a Quinn si diresse verso la porta.

Capitolo 3

Donia era a casa – in quella che era stata di Beira – quando Keenan e Aislinn arrivarono. Non era la sua dimora preferita, ma aveva preso l’abitudine di adempiere lì ai propri doveri di Regina dell’Inverno e riservare il cottage per la sua vita privata, uno spazio in cui concedeva l’accesso solo a Evan e a poche guardie selezionate. E a Keenan. Com’è sempre stato. Quando il Re dell’Estate aprì l’assurdo portone intagliato della residenza della Corte dell’Inverno e le comparve davanti con i suoi splendenti capelli ramati, lei provò il desiderio di andargli incontro, abbracciarlo, credere per un istante che quello che avevano condiviso per decenni le desse il diritto di trattarlo con confidenza e familiarità. Non era così, soprattutto se Aislinn gli era accanto. L’attenzione di Keenan per ogni pensiero e gesto della sua regina rasentava l’ossessione. Cosa direbbe Ash se lo abbracciassi? Probabilmente non avrebbe detto nulla: era stata Aislinn a permettere che lei e Keenan trascorressero insieme la notte del solstizio d’inverno. E ancora, le aveva detto che Keenan era innamorato di lei, anche se Donia non aveva mai sentito quelle parole dalle sue labbra. Eppure, in presenza di Aislinn, il Re dell’Estate non lasciava trasparire il minimo segno di emozione o legame nei suoi confronti. Così rimasero tutti e tre immobili, impacciati, circondati da uno stuolo di spiriti dei biancospini che osservavano in silenzio la scena, seduti sui banchi lungo le pareti dell’ingresso, un tempo arredo di una vecchia chiesa. Il lupo invece lanciò un’occhiata ai sovrani dell’estate e chiuse gli occhi, riprendendo a dormire. Evan non era altrettanto tranquillo. Le si accostò domandandole: «Desiderate che resti al vostro fianco?». Lei annuì. Da qualche tempo, anzi da anni, Evan era l’amico più caro che aveva, sebbene a lungo non si fosse accorta che la protezione che le offriva con la sua costante presenza non era dovuta a semplice senso del dovere. Aveva immaginato che le fosse sempre accanto perché le altre guardie di Keenan la temevano, ma, quando era divenuta Regina dell’Inverno, lo spirito del sorbo selvatico aveva preferito abbandonare la corte di Keenan per rimanerle accanto. Donia allungò una mano e gliela strinse per comunicargli la propria gratitudine. «E gli altri?», mormorò lui. «Rimangono dentro. Noi usciamo». Dopodiché, a voce più alta, disse: «Se volete seguirmi…». Keenan la affiancò senza toccarla né sfiorarla con una casuale, inavvertita carezza. Le aprì la porta. Conosceva bene quella casa: era stata la residenza di sua madre, Beira, sovrana dell’inverno. Dopo che lei e Aislinn ebbero varcato la soglia, anche lui le seguì in giardino. Ai suoi passi neve e gelo si scioglievano. Meglio qui che in casa, dove ci sono le mie creature. Donia desiderava proteggere la sua corte e, a differenza di Aislinn che riusciva di solito a contenere le proprie

emozioni, Keenan era capace di infiammarsi per un nonnulla. Se l’avesse guardato, Donia sapeva che avrebbe visto scuri temporali rincorrersi nei suoi occhi. Quando, tanti anni prima, erano stati insieme, quei lampi improvvisi l’avevano ammaliata. Ora le sembravano troppo repentini e abbaglianti. Troppo. «Prego», disse, invitandoli con un gesto a sedersi su una delle panchine di legno sparse per il giardino, che un falegname aveva costruito in maniera perfetta a incastro, senza una sola vite o chiodo. Keenan non si mosse. Immobile davanti a lei, inavvicinabile come lo era stato per decenni, la faceva sentire in qualche modo inadeguata. «Hai ricevuto visite?». «E che importanza può avere?», gli rispose. Non sono ai suoi ordini, non più. Sotto la panchina era acquattata una volpe artica, di cui si scorgevano appena il naso e gli occhi scuri. Il resto del corpo era mimetizzato nel candore della neve, ma non appena Aislinn e Keenan si fecero più vicini fuggì via rapidissima, verso gli alti mucchi innevati ai confini della tenuta. Malgrado l’avversione che Donia aveva provato per la vecchia Regina dell’Inverno, le era grata di avere creato quel giardino che, protetto da un possente muro di cinta e alti spioventi, permetteva all’inverno di regnarvi tutto l’anno e offrire un confortevole rifugio a lei e alle sue creature in ogni stagione. Era una delle poche cose in cui Beira aveva mostrato una certa saggezza. Donia si accomodò. «State cercando qualcuno forse?». Keenan, rimasto in piedi, le scoccò uno sguardo esasperato. «Bananach è stata vista aggirarsi qui intorno». Aislinn gli posò una mano su un braccio per rammentargli di non perdere la calma. «È evidente che sei ben protetta», intervenne la Regina dell’Estate rivolgendo un abbagliante sorriso alla volta di Evan, appostato alle spalle di Donia, «ma Keenan voleva controllare di persona. Vero, Keenan?». Questi si volse verso Aislinn, cercando nei suoi occhi incoraggiamento, chiarezza… difficile dire cosa con precisione. «Non voglio che tu abbia nessun contatto con quella creatura». Il terreno ai piedi di Donia si ammantò di neve mentre lei sentiva affiorare una tempesta di collera. «A quale preciso motivo devo la vostra visita?». Piccoli temporali scrosciarono negli occhi del Re dell’Estate. «Ero preoccupato». «Per quale ragione?». «Per te». Le si fece più vicino, troppo, invadendo il suo spazio in maniera impudente. Neanche ora, che erano entrambi sovrani, le mostrava sufficiente rispetto. Lo vide passarsi una mano tra i capelli ramati e lei, come al tempo in cui era ancora una semplice mortale, lo fissò incantata. «Preoccupato per me, o desideroso di venire a impartirmi ordini?». Donia era immobile come l’inverno prima di una bufera, malgrado i ghiacci che le rombavano dentro. «Preoccupato di sapere che la guerra è alle porte. Niall è ancora infuriato con me e… non voglio che tu incontri nessuna creatura delle tenebre». «Non è a te che sta decidere. Questa è la mia corte e decido io se ascoltare o meno cosa Bananach ha da dirmi…». «È quanto intendi fare?». «Se Bananach o Niall verranno qui, li accoglierò come farei con Lasair o qualsiasi creatura solitaria che mi volesse vedere… o voi», rispose senza alzare il tono della voce.

Chiamò a sé con un cenno le creature dei biancospini che erano comparse sulla soglia. E loro la circondarono, in silenzio come sempre, in attesa dei suoi ordini. Erano la famiglia che Donia non si sarebbe mai aspettata di trovare nella fredda Corte dell’Inverno. Le accolse con un sorriso e poi, senza più preoccuparsi di nascondere la propria irritazione, esclamò: «Matrice vi accompagnerà al cancello, se non c’è altro». I lampi che si scatenarono di nuovo negli occhi di Keenan gli illuminarono il volto di strani bagliori. «No, suppongo sia tutto». Quel tono fece adombrare Matrice, sempre protettiva nei confronti della sua regina. «Bene, allora, se abbiamo concluso…». Donia si sforzò di non serrare i pugni, perché il Re dell’Estate non vedesse quanto fosse in collera. «Matrice?». In quell’istante il volto di Keenan si addolcì. «Don?». E lei non resistette e gli posò una mano su un braccio, malgrado detestasse di essere ancora una volta lei a dover fare quel gesto di avvicinamento. «Se vuoi vedere me, e non la Regina dell’Inverno, sarai il benvenuto al mio cottage. Più tardi mi troverai lì». Lui annuì ma non disse nulla, non promise nulla. Non sarebbe andato nel caso in cui la sua regina avesse avuto bisogno delle sue attenzioni. Per un attimo Donia la odiò. Se non ci fosse lei… Ma se Aislinn non fosse diventata la Regina dell’Estate, Keenan in quel momento sarebbe stato occupato a corteggiare un’altra mortale, in cerca della ragazza che gli avrebbe restituito i suoi poteri. Almeno adesso è mio in parte. Meglio di niente. Se l’era ripetuto spesso, ma, quando Keenan si girò e prese la mano che Aislinn gli porgeva, fu costretta a chiedersi se ne fosse proprio sicura. Quella sera Donia s’incamminò verso il suo cottage cercando di illudersi di essere sola. Senza dubbio Evan la stava seguendo silenzioso. E se si fosse concentrata avrebbe scorto nell’ombra lo sfarfallio delle ali delle creature dei biancospini e udito il tintinnio degli spiriti dei lupi. Un anno prima quei dettagli l’avrebbero colmata di terrore. Evan all’epoca era ancora una guardia di Keenan e gli esseri dell’inverno selvaggi emissari di Beira, portavoce dei suoi tempestosi avvertimenti, delle sue minacce. Erano cambiate così tante cose da allora. Eppure non era mutato il suo desiderio di ricevere le attenzioni di Keenan, la sua approvazione, le sue carezze. Lacrime gelate caddero ai suoi piedi al pensiero delle conseguenze di tanto amore per Keenan. Aveva rinunciato alla propria mortalità nella speranza di essere la regina che cercava. Speranza vana. L’aveva visto corteggiare uno stuolo di mortali fingendo che per lei non fosse doloroso. Lo era stato ogni volta. Aveva accettato di morire per mano di Beira, sua madre, affinché lui potesse trovare la sua regina. Ma sono sopravvissuta. E si era ritrovata alla guida di quella corte che per secoli aveva schiacciato e oppresso Keenan, e desiderava continuare a farlo. Una rapida metamorfosi del clima avrebbe costituito un pericolo per l’inverno e le sue creature avevano già cercato di convincerla un paio di volte a esibirsi in una dimostrazione di forza che rammentasse al Re dell’Estate chi fosse il più forte. Ma nell’oscurità, quando erano solo loro due, Keenan le aveva sussurrato dolci promesse di pace ed equilibrio. Così, per causa sua, mi ritrovo ancora una volta tra due fuochi. E lui non esiterebbe un istante a girarmi le spalle se Ash dicesse soltanto una parola. In collera con se stessa perché si era persa ancora una volta in pensieri che non avrebbe mai più dovuto sfiorare, Donia asciugò le lacrime che continuavano a rigarle le guance. Keenan non era suo, per quanto accettare quell’innegabile verità le pesasse.

Era arrivata. E lui era lì, sotto il portico, che l’aspettava, il suo bel volto adombrato dall’apprensione, le braccia protese verso di lei. «Don?». Quella voce racchiudeva in sé tutto quanto lei avesse mai desiderato. La risolutezza di qualche istante prima si dissolse vedendolo spalancare le braccia. Gli andò incontro, lo baciò, senza preoccuparsi di ferirlo con le sue folate di ghiaccio. Sarà lui a fermarsi. Invece di scostarsi, lui la strinse e quei suoi terribili raggi di sole che divampavano cominciarono a risplendere ancora più radiosi facendo evaporare la neve che aveva preso a scendere intorno a loro. Donia aveva le spalle alla porta, che si spalancò dietro di lei. Le bastò uno sguardo per capire che il calore che Keenan irradiava aveva liquefatto la serratura. Non è ancora il solstizio. Non dovremmo. Non possiamo… Le braccia di Donia, là dove Keenan aveva posato le dita, erano coperte di piaghe, le labbra solcate di vesciche. Infilò le dita tra i suoi capelli e lo trasse a sé. Sentì il ghiaccio che penetrava in lui, il suo collo gelato. Smetterà. Oppure smetterò io. Tra un attimo. Erano sul divano e lei vide piccole fiamme ardere sui cuscini sopra la propria testa. Sprigionò una folata d’inverno e nella stanza prese a infuriare una tempesta di neve. Le fiamme si spensero sfrigolando. Sono io più forte. Devo essere io a smettere. Ma lui la stava accarezzando. Keenan era lì, con lei, a coprirla di carezze. Come poteva smettere? Forse avrebbe funzionato, forse sarebbe andato tutto bene. Donia riaprì gli occhi per guardarlo e il suo fulgore l’accecò. «Sei mia», mormorò Keenan tra i baci. I loro abiti continuavano a prendere fuoco e spegnersi man mano che la neve cadeva sulle fiamme, per poi incendiarsi un attimo dopo. Alle ustioni di Donia corrispondeva una ragnatela di chiazze bluastre sul torace e sul collo di Keenan. Lei lanciò un grido e a quel punto lui si scostò. «Don…». La guardò profondamente addolorato. «Non intendevo…». Sollevandosi su un braccio, osservò i segni che le aveva lasciato sulle braccia. «Non volevo farti male». «Lo so». Donia scivolò giù, lasciandolo solo sul divano fumante. «Ero venuto per parlare», disse preoccupato. Lei si concentrò sugli abissi di ghiaccio che affondavano dentro di lei per dimenticare quanto le fosse vicino. «Di noi o di questioni di corte?». «Entrambe le cose». Cercò di sorridere mentre si sistemava la camicia, ridotta a brandelli. Lei lo guardò in silenzio mentre cercava invano di riabbottonarla e non disse una parola mentre tentava di rivestirsi. Poi gli domandò: «Mi ami? Un poco almeno?». Keenan si arrestò con le braccia sospese. «Come?». «Mi ami?». Fissandola, replicò: «Come puoi chiedermi una cosa simile? ».

«Allora?». Doveva sentirglielo dire. Doveva sentirgli dire qualcosa. Qualsiasi cosa. Lui non rispose. «Perché sei venuto?». «Per vederti. Per stare con te». «Perché? Non me ne faccio nulla del tuo desiderio fisico». Non pianse mentre pronunciava quelle parole. Non voleva che lui sapesse che le stava spezzando il cuore. «Dimmi che tra noi c’è qualcosa di più. Qualcosa che non ci distruggerà». Brillava, bello come il sole, come sempre, ma le sue parole non furono dolci. «Don. Lo sai che c’è molto di più. Sai benissimo cosa c’è tra noi». «Dici?». Keenan allungò una mano verso di lei: stava già guarendo, ma era ancora livida di freddo. È questo il risultato. Donia si alzò e uscì per non vedere più la casa devastata. Ancora una volta. Lui la seguì fuori. Lei appoggiò la schiena al muro. Quante volte sono venuta qua fuori per cercare di prendere le distanze da lui o dalla Regina dell’Inverno? Non voleva che si ripetesse quello che era accaduto l’ultima volta che le corti dell’Estate e dell’Inverno avevano tentato un’unione. «Non voglio che ci distruggiamo a vicenda come hanno fatto loro», sussurrò. «Noi non siamo come loro. Tu non sei Beira». Non la sfiorò. Si sedette sotto il portico. «Non rinuncerò a te se possiamo evitarlo». «Tutto questo», disse Donia accennando a quello che si erano lasciati alle spalle, «non va bene». «È stato un momento di distrazione». «Non è il primo». «Sì, ma… possiamo trovare una soluzione. Non avrei dovuto spalancare le braccia, ma tu stavi piangendo e…». Le prese una mano. «È stata colpa mia. Dimentico tutto quando ti vedo». «Anch’io», disse Donia voltandosi verso di lui. «Nessun altro mi manda in collera o mi rende felice come sai fare tu. È tutta la vita che ti amo, ma non mi piace come stanno andando le cose». «Quali cose?», domandò lui, impietrito. Lei scoppiò in una breve risata. «Può anche darsi che funzioni con lei, Keenan, ma io ti conosco. Ho visto che tu e Aislinn siete ogni giorno più vicini». «È la mia regina». «E la vostra unione rafforza la tua corte». Donia scosse il capo. «Lo so. L’ho sempre saputo. Non sei mai stato mio». «Lei ha Seth». Osservò gli spiriti dei biancospini volteggiare tra gli alberi. Le loro ali scintillavano nell’oscurità. Soppesò con cura le parole. «Morirà. Come tutti i mortali. E a quel punto cosa succederà?». «Non voglio perderti».

«E verrai da me quando lei non c’è, quando nessuno ci vede. Una manciata di notti all’anno…». Donia pensò alle ore che avrebbero potuto davvero trascorrere insieme, pochi istanti rubati. Il desiderio di ciò che non poteva avere avrebbe reso ancora più arduo superare i mesi in cui persino un bacio sarebbe stato pericoloso. Scacciò le lacrime, gelide, dagli occhi. «Non è abbastanza. Credevo che lo fosse, ma mi sbagliavo». «Don…». «Ascoltami. Ti prego». Gli si sedette accanto. «Sono innamorata di te. Ti ho amato tanto da essere pronta a morire per te… ma ti vedo che fai gli occhi dolci a lei e poi torni a bussare alla mia porta. Il tuo fascino non è sufficiente perché tu possa avere entrambe ai tuoi piedi. Non siamo le Ragazze dell’Estate». Donia cercò di mantenere un tono di voce gentile. «Ho affrontato la morte perché tu potessi avere la tua regina, anche se significava perderti, anche dopo anni di conflitto». «Non ti merito». La stava guardando come se non esistesse null’altro al mondo per lui. In quello sguardo, lo stesso che l’aveva fatta capitolare così tante volte, c’erano tutte le parole che Donia avrebbe voluto sentirsi dire. In quei rari momenti, che lei custodiva come tesori, Keenan era tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare. Ma un pugno di istanti non era sufficiente. «Non ti ho mai meritata». «A volte lo penso anch’io… ma non ti amerei se fosse del tutto vero. Ho visto cosa potresti essere. Sei migliore di quanto tu pensi», disse sfiorandogli una guancia, «migliore di quanto a volte non creda io stessa». «Vorrei essere la persona che potrei diventare con te al mio fianco…», cominciò a dire lui. «Ma…?». «Devo anteporre le necessità della mia corte a qualsiasi altra cosa. Per nove secoli non ho desiderato altro che arrivare a questo punto. Non posso permettere a ciò che desidero, a chi desidero, di interferire con il bene delle mie creature». E così dicendo si passò ancora una volta una mano tra i capelli e lei vide davanti a sé il ragazzo che aveva conosciuto quando era ancora una semplice mortale. Avrebbe voluto consolarlo, promettergli che si sarebbe risolto tutto, ma non era possibile. Più l’estate si avvicinava, più lui e Aislinn erano attratti l’uno dall’altra. Dall’inizio della primavera era venuto da lei un paio di volte al massimo. E quel giorno si era presentato a darle ordini. Ma l’amore che provava per lui non le avrebbe fatto accettare tanta arroganza. «Ti capisco. Devo fare anch’io la stessa cosa… ma io voglio Keenan, non il Re dell’Estate». Gli appoggiò la testa sul braccio. Se facevano attenzione, se non dimenticavano la cautela, potevano toccarsi. Disgraziatamente la vicinanza rendeva difficile mantenere l’autocontrollo necessario. Donia sospirò e aggiunse: «Voglio mettere da parte le faccende di governo quando siamo insieme ed è necessario che tu comprenda che non puoi permetterti di venire a darmi ordini nella mia corte solo perché ti amo. Non credere che i miei sentimenti mi rendano arrendevole quando vesto il ruolo di Regina dell’Inverno». Guardandola negli occhi, Keenan le chiese: «E se non mi fosse possibile?». Lei gli scoccò un’occhiata in tralice. «Allora devi uscire dalla mia vita. Non continuare a sfruttare il mio amore per ottenere ciò che vuoi. Non puoi pretendere che io non sia gelosa se la porti in casa mia e la guardi come se non ci fosse cosa più bella al mondo. Io voglio qualcosa di grande tra noi… oppure nulla». «Non so cosa fare», confessò lui a quel punto. «Quando le sono vicino, ne sono ammaliato. Lei non mi ama, ma vorrei che le cose fossero diverse. Se mi amasse, la mia corte sarebbe più forte. È come un germoglio che sboccia alla comparsa di un raggio di sole. Non è una scelta, Don. È così, e io non ci posso fare nulla. Lei è la mia metà e la sua decisione di essere solo amici m’indebolisce».

«Lo so». «Lei non… non so se potrò mai accettarlo». «In questo non ti posso aiutare», intrecciò le dita alle sue, «e detesto che dobbiamo parlare di queste cose. Trova il modo di conquistarla, oppure di essere solo mio». «Non vuole ascoltarmi quando le parlo di queste cose e io non voglio litigare», insistette Keenan con uno sguardo incantato. Gli bastava parlare di Aislinn per non vedere altro che lei. Donia osservò l’essere fatato che aveva amato praticamente per tutta la vita. Troppe volte era stata accomodante quando si erano trovati in difficoltà, troppe volte l’aveva aiutato a raggiungere lo scopo che li univa: l’equilibrio tra estate e inverno. Sospirò. «Fa’ del tuo meglio, Keenan, perché questa volta andrà a finire male se le cose non cambiano». Lui le posò un lieve bacio sulle labbra irrigidite in una smorfia di delusione e disse: «Sogno ancora di scoprire che sei tu la ragazza giusta. Nei miei sogni sei sempre tu la mia regina». «E lo sarei, se fosse stato per me. Ma non è così. Devi dimenticarmi o trovare il modo di prendere le distanze da lei». Keenan la abbracciò. «Qualsiasi cosa accada, io non ti dimenticherò. Mai». «Questa è un’altra storia», disse Donia osservando il gelo che si formava sui gradini. «Io non sono fatta per l’estate, Keenan». «È così terribile desiderare una regina innamorata di me?». «No», sussurrò lei. «Ma non è possibile averne due». «Se fossi tu la mia regina…». «Ma non lo sono», disse Donia posandogli la testa sulla spalla. Rimasero così, vicini, con grande prudenza, fino al mattino.

Capitolo 4

Lasair aveva mandato a chiamare Devlin subito dopo colazione. Lui era arrivato nel giro di qualche istante: nell’eternità che avevano trascorso insieme, suo fratello era sempre stato inappuntabile, leale, fidato. Fermo davanti alla soglia, attendeva che lei attraversasse l’ampia sala. I suoi piedi nudi non fecero alcun rumore sulla piattaforma che sosteneva il lucido trono d’argento. Da lì, quella profonda sala cavernosa aveva una certa bellezza. Era la sua simmetria a renderla piacevole. Quello spazio era l’unico luogo che non si piegava al suo volere: nessun incantesimo era tanto potente da alterare la magia della Gran Sala della Verità e della Memoria. Un tempo, quando la Corte del Buio aveva ancora dimora nel regno fatato, lì venivano affrontate e risolte le dispute tra le corti. E lì venivano offerti i sacrifici rituali. Quelle pietre di ardesia grigia custodivano gli infiniti segreti di quell’epoca. Lasair fece scivolare i piedi sulla terra e sulla roccia fresca su cui era posizionato il trono. Quando si vive nell’eternità, a volte la memoria si fa confusa. La terra le permetteva di concentrare i suoi pensieri sul regno fatato e la roccia la legava alla verità della Gran Sala. Devlin non si sarebbe mosso finché lei non si fosse accomodata. Ordine e fedeltà alle regole dell’Alta Corte erano fondamentali per lui, gli ricordavano la strada che aveva scelto. Se per Lasair si trattava di un desiderio istintivo, per suo fratello era invece una scelta che ripeteva ogni istante della sua esistenza. Infine lo udì pronunciare la formula di rito: «Concedete udienza, mia signora?». «Sì». Aggiustò le gonne in modo da avere i piedi nascosti sotto i panneggi. Filamenti argentei le scintillavano sulle mani e sulle guance, come anche in altre parti del corpo che a volte scopriva, avendo sempre cura che i piedi, però, restassero nascosti al fine di non rivelare alla propria corte la natura del suo legame con la Gran Sala. «Posso dunque avvicinarmi?». «Certo, Devlin», esclamò come faceva da tempo immemore. «Non è necessario che tu chieda il permesso, sei sempre il benvenuto». «Ne sono onorato», replicò lui abbassando lo sguardo ai piedi di Lasair sotto le pieghe dell’abito. Era l’unico a conoscerne il segreto. La ragione le diceva che avere riposto in lui tanta fiducia un giorno avrebbe potuto metterla in pericolo. Eppure era chiaro che fosse stato inevitabile: l’unico modo di assicurarsi la lealtà di Devlin. E finora non mi ha mai deluso. La Regina Suprema aveva bisogno di lui: era il suo braccio nell’azione e per l’osservazione del regno mortale, anche quando era necessario ricorrere alla violenza. Ma era pure fratello di Bananach, un fatto che nessuno dei tre avrebbe mai potuto dimenticare. Devlin incontrava spesso la donna corvo, trattandola con sollecitudine, benché avesse come unico scopo il caos. E l’affetto che provava per quella creatura delirante spingeva di quando in quando Lasair a sospettare della sincerità della devozione di suo fratello, malgrado l’abnegazione e l’assiduità al proprio fianco.

Un giorno deciderà di prendere le parti di Bananach? L’ha forse già fatto? «Alcune creature delle tenebre hanno ferito a sangue uno dei vostri mortali… su suolo fatato», disse Devlin. «Desiderate che vengano condotte al vostro giudizio?». «Lo desidero». Con quelle parole di rito acconsentiva a ciò che lei non mancava mai di fare: giudicare. Era il compito della Ragione. Devlin fece per voltarsi e andare a prendere gli accusati e i testimoni, ma Lasair lo trattenne. «Dopo l’udienza sarà necessario che tu ti rechi nel mondo mortale. C’è un essere umano che si muove indisturbato tra tre corti fatate». Con un inchino le rispose: «Sarà fatto». «La Guerra è convinta che svolga un ruolo chiave». «Preferite che lo elimini o volete che lo conduca al vostro cospetto?». «Né l’una né l’altra cosa». Lasair non sapeva ancora quale sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma agire frettolosamente non era certo una soluzione giusta. «Mi porterai notizie. Mi riferirai quanto vedrai». «Sarà fatto», ripeté lui. Lasair tornò con la mente al giudizio. «Che vengano fatti entrare». Qualche istante più tardi quattro ly erg furono scortati nella Gran Sala da alcune guardie agli ordini di Devlin. La brutalità di quegli spiriti dalle mani macchiate di sangue non preoccupava Lasair se era nel regno dei mortali che la sfogavano, come del resto non era affar suo la maggior parte delle azioni depravate e violente che vi accadevano. Ma quelli che aveva davanti non avevano agito nel mondo degli uomini. Uno stuolo di creature dell’Alta Corte entrò al seguito degli accusati. Hira e Nienke, le sue ancelle che l’avevano tanto spesso confortata nel corso dei secoli, si sedettero ai suoi piedi, sui gradini del trono. Indossavano semplici tuniche grigie che s’intonavano all’abito della loro regina, per quanto quello fosse leggermente più decorato, e, come lei, erano scalze. Fece cenno a Devlin di parlare. Lui si girò verso i ly erg e le creature dell’Alta Corte in modo da non voltarle le spalle ma da avere al tempo stesso l’intera sala davanti. «Il vostro re è a conoscenza della vostra presenza qui?», domandò ai ly erg. Uno solo rispose: «No». «E Bananach?». Un altro sogghignò. «La Signora della Guerra sa che noi agiamo sempre secondo i suoi desideri». Lasair storse le labbra. Bananach era troppo accorta per avere autorizzato un’irruzione nel regno fatato, che pure doveva aver incoraggiato. Devlin volse lo sguardo a Lasair. Visto il suo rapido cenno di assenso, tagliò la gola al ly erg che aveva sogghignato. Fu un gesto risoluto, rapido e silenzioso. I ly erg rimasti osservarono il sangue del compagno riversarsi sulla roccia, pian piano assorbito dalla Gran Sala che ne celebrava così la memoria. Le guardie furono costrette a trattenere i tre spiriti delle tenebre per evitare che si gettassero su quel sangue: era la loro fonte di sostentamento, tentazione costante e ragione di ogni loro gesto.

Ne seguì un tafferuglio che fu motivo di piacere e al contempo di disappunto per Devlin. Lasair lo vide sorridere, accigliarsi, mostrare i denti: una rapida successione di espressioni che nessun altro poté scorgere. Le sue creature sapevano che era meglio non osservare il volto di Devlin in tali occasioni. Lasair ascoltò quel che la Gran Sala rivelava a lei sola. Era l’unica a udire i sussurri e i mormorii che avevano preso a vibrare nell’aria: i ly erg non avevano agito in seguito a un ordine. «Bananach non ha ispirato la loro irruzione nel regno fatato». Quelle parole richiamarono su di lei lo sguardo di tutti i suoi sudditi. Il pavimento s’increspò mentre la roccia si apriva e accoglieva il ly erg senza vita nel firmamento della Gran Sala. Il suolo si fece umido sotto i piedi e Lasair percepì i suoi filamenti argentei estendersi e penetrare come radici nella terra per trarre sostentamento da quel sacrificio all’altare della Verità. E di ogni magia. La magia si era sempre nutrita di sangue. E lei, Lasair, ne rappresentava il cuore. Come i suoi fratelli, anche lei aveva bisogno di quell’offerta, di quel sacrificio, sebbene non ne derivasse alcun piacere. Accettarlo era una semplice necessità pratica, nulla più. Una regina debole non sarebbe stata in grado di governare il suo regno, né tanto meno di mantenere in vita la magia che alimentava le creature fatate che si muovevano nel mondo mortale. «La morte di questo vostro fratello è la tragica conseguenza della vostra incursione nel regno fatato senza il mio consenso. Non siete venuti umilmente a me, anzi avete aggredito i miei sudditi. E ferito uno dei miei mortali». Lasair volse lo sguardo alle sue creature radunate nella sala. La stavano osservando con la fede inamovibile che avevano sempre provato nei suoi confronti. Amavano la stabilità e la sicurezza che offriva loro. «Fuori di questo territorio esercitano il proprio potere anche altre corti. Nel regno fatato, tuttavia, io sono sovrana assoluta. Vita e morte, ogni cosa, obbedisce al mio volere». Le sue creature attendevano in silenzio l’inevitabile restaurazione dell’ordine. Comprendevano le ragioni pratiche delle sentenze della loro sovrana e, mentre lei fece scorrere il proprio sguardo su di loro, non batterono ciglio. «I tre spiriti delle tenebre al mio cospetto hanno assalito un mio mortale all’interno dei miei domini. Non posso accettarlo». Lasair si volse a Devlin, che la stava fissando. «Uno vivrà per riferire l’accaduto al Re del Buio». «Sarà fatto, mia regina», proclamò Devlin con voce chiara e tranquilla, in estremo contrasto con lo scintillio che ardeva nel suo sguardo. Le creature dell’Alta Corte abbassarono gli occhi affinché la sentenza potesse essere eseguita. Comprenderne le ragioni non significava godere di quello spettacolo violento. Non era nella natura degli spiriti della corte di Lasair. Salvo qualche eccezione. Con un gesto risoluto Devlin fece scorrere la lama del suo pugnale sulla gola di un altro ly erg. E ancora una volta, con i piedi nudi posati sulla terra e la roccia della Gran Sala, Lasair venne a conoscenza del vero: la lama non era affilata come avrebbe dovuto e suo fratello provava piacere a dare la morte. Ma soprattutto era felice di fornirle il nutrimento necessario affinché l’Alta Corte potesse prosperare: un altro segreto che li legava. «Per la nostra corte, e per volere e responso della nostra regina, ti è stata tolta la vita», proclamò Devlin mentre lasciava cadere il ly erg nella breccia apertasi nella roccia. E poi, ripetendo gli stessi gesti, sacrificò anche il terzo. Quindi allungò verso di lei una mano insanguinata: «Mia regina?». Il contatto con il suolo disse a Lasair che per un istante suo fratello aveva desiderato un suo

rimprovero per avere tratto piacere dall’infliggere la morte. E con la mano grondante di sangue la sfidava ad ammonirlo, a punirlo. Le creature dell’Alta Corte volsero lo sguardo alla loro sovrana. Con un sorriso rassicurante Lasair esclamò: «Fratello mio», e ricambiò lo sguardo dei propri sudditi. I filamenti d’argento si ritrassero vibranti di nuova energia. Lasair prese la mano che Devlin le porgeva e scese sul suolo immacolato della sala mentre l’ultimo ly erg sopravvissuto lanciava occhiate bramose alle dita insanguinate della Regina Immutabile. «Né il tuo re né Bananach possono concederti il permesso di entrare nel regno fatato. Obbedisci alla legge». Lo baciò in fronte. «Per questa volta ti è stata concessa la grazia affinché tu riferisca l’accaduto al tuo sovrano». Lasair si volse a Devlin e, a un suo cenno, senza bisogno di parole lui la condusse attraverso la sala tra due ali di esseri fatati, verso il silenzio del suo giardino. Anche quello era un rito. Dopo avere fatto quanto necessario per la restaurazione dell’ordine, Lasair si ritirava nella serenità della natura mentre il fratello faceva ritorno al mondo mortale. Questa volta, però, aveva una missione da compiere: cercare il mortale che rispondeva al nome di Seth Morgan, la cui presenza nel mondo delle creature fatate era un’aberrazione intollerabile. E, avendo attirato l’attenzione di Bananach, indagare era indispensabile.

Capitolo 5

Quel pomeriggio, volgendo le spalle agli scaffali carichi di libri, Seth trovò Quinn ad attenderlo con un’espressione falsamente cordiale. «Non ho bisogno della scorta», borbottò mentre gli passava accanto con gli ultimi volumi di fiabe e racconti popolari arrivati in biblioteca. Sapeva del resto che le sue obiezioni contavano poco. Vedendolo infilare i libri nella sua cartella, Quinn si diresse verso l’uscita. «Possiamo andare?». Seth avrebbe preferito essere lasciato solo, ma sapeva di non poterlo convincere a disobbedire agli ordini ricevuti. Il mondo era un luogo pericoloso per un fragile mortale, per questo Aislinn lo faceva tallonare costantemente dalle sue guardie. Seth lo sapeva, ma trovava sempre più arduo non rispondere con battute al vetriolo o tentativi di fuga. Tanto stupidi quanto inutili, purtroppo. Passò accanto a Quinn senza aprire bocca e si avviò verso il Crow’s Nest. Arrivato davanti al locale scorse Niall nel vicolo, accanto alla porta di servizio. Il Re del Buio stava fumando una sigaretta appoggiato al muro. Batteva un piede a ritmo della musica che probabilmente giungeva da dentro. A differenza di Keenan e Aislinn, non aveva guardie al seguito, né nascoste nelle vicinanze. Era solo. Seth fu felice di vederlo. Quinn gli scoccò un’occhiata di disprezzo. «Non è più dei nostri». Niall non reagì. Era cambiato da quando era divenuto Re del Buio: la differenza più superficiale stava nel fatto che si era lasciato crescere i capelli, che prima aveva sempre tenuto rasati, ma non era certo la più importante. Al tempo in cui viveva alla corte di Keenan, ogni suo movimento rivelava un’estrema cautela, come se fosse sempre consapevole di qualche pericolo. Ovunque, persino tra le sicure pareti del loft della Corte dell’Estate, Niall era costantemente in guardia. Ora invece si muoveva con grande tranquillità, come se sempre e ovunque fosse perfettamente a suo agio perché sapeva che nessuno ormai avrebbe potuto nuocergli. E non a torto. I sovrani delle corti fatate avevano ragione di temere solo un attacco da parte di un altro reggente o di un numero ristretto di creature solitarie particolarmente potenti. Niall, come Aislinn del resto, era praticamente invulnerabile. Abbassando la voce, Quinn aggiunse: «Non fidarti delle creature del buio. Sono nostre nemiche». Seth scosse il capo e sulle labbra gli comparve l’ombra di un sorriso. L’atteggiamento deliberatamente provocatorio di Niall, la posa difensiva di Quinn, come se si aspettasse di dover rispondere da un momento all’altro a un attacco: solo poche settimane prima la stessa scena avrebbe visto come protagonisti il vecchio sovrano delle tenebre da una parte e Niall dall’altra. È tutto relativo. Niall era cambiato. O forse era sempre stato tanto aggressivo ma Seth non se n’era accorto. Gli domandò fissandolo: «Hai intenzione di farmi del male?».

«No», rispose Niall con un’occhiata torva alla volta di Quinn. «E sono di gran lunga una guardia del corpo migliore dell’ultimo leccapiedi di Keenan». Malgrado l’aria furibonda, Quinn non reagì. «Non potrei essere più al sicuro. Sul serio», dichiarò Seth con voce imperturbabile, senza lasciar trasparire né piacere, né irritazione. «Niall è mio amico». «E se…». «E che diavolo, sparisci e basta», esclamò Niall avvicinandosi con un atteggiamento minaccioso che gli stava a pennello. «Seth è al sicuro con me. Non farei mai del male a un amico. È il tuo sovrano quello che tratta gli amici con tanta noncuranza, semmai». «Non credo che il nostro re approverebbe», insistette Quinn rivolgendosi a Seth, evitando lo sguardo del Re del Buio. Seth inarcò un sopracciglio. «Non sono suddito di nessuno, io. Sono un mortale, te ne sei forse dimenticato?». «Sarò costretto a riferire a Keenan», dichiarò Quinn. Quando comprese che quella minaccia era priva di qualsiasi effetto, si voltò e scomparve. A quel punto l’espressione di Niall perse ogni aria torva. «Che imbecille. Non riesco a credere che Keenan l’abbia nominato suo consigliere. È un essere squallido, privo di qualsiasi spessore morale e…», s’interruppe. «Non sono affari miei. Vieni». Aprì la porta e s’immersero nella penombra che regnava nel locale. Era un’atmosfera piacevolmente cupa, senza uccellini cinguettanti o ridenti Ragazze dell’Estate. Seth si sentiva a suo agio al Crow’s Nest. Vi aveva trascorso innumerevoli pomeriggi in compagnia di suo padre quando i genitori vivevano ancora a Huntsdale. A dire il vero, era praticamente cresciuto lì dentro. E malgrado i cambiamenti, se si guardava attorno Seth riusciva ancora a vedere sua madre al bar che metteva in riga qualche cretino che l’aveva scambiata per un’oca. E non sapeva invece di avere davanti una tigre. Linda era piccolina, ma quel che le mancava in statura, lo compensava con la grinta. A quattordici anni Seth aveva capito che suo padre andava al Crow’s Nest perché non sopportava di starle lontano. Diceva che si annoiava a casa da quando era in pensione, che era stanco di starsene seduto a non far niente e che preferiva fare qualche lavoretto al bar. Ma la noia c’entrava poco, voleva solo stare vicino a Linda. Mi mancano. Seth si lasciò travolgere dai ricordi. Lì poteva permetterselo. Da qualche tempo a quella parte il Crow’s Nest era il posto in cui si sentiva di più a casa. Linda non era fatta per essere madre. Gli voleva bene, non c’era dubbio, ma quando aveva sposato il padre di Seth non era stato con il pensiero di sistemarsi e metter su famiglia. E così, non appena Seth era stato abbastanza grande, aveva subito voluto spostarsi, trovare un altro posto. Suo padre aveva alzato le spalle e l’aveva seguita senza la minima esitazione. O chiedermi se volevo andare anch’io. Seth si disse che era meglio lasciar perdere e seguì Niall verso uno degli angoli più bui. Passarono accanto alle solite facce, tutta gente che a quell’ora si era già fatta diverse birre. Durante il giorno la clientela del Crow’s Nest era composta da uno strano mix di impiegati, teppisti e disoccupati in cerca di lavoro o in attesa di riprendere un’attività stagionale. Trovarono un tavolo dove avere un po’ di privacy e Seth aprì un menù sbrindellato che aveva raccolto su un altro tavolo. «È lo stesso, non è cambiato», disse Niall indicando il menù. «E tu tanto ordini sempre il solito». «È vero, ma mi piace dargli un’occhiata. Proprio perché è sempre lo stesso». Seth fece un

cenno a una cameriera e ordinò. Quando non ebbero più nessuno intorno, Niall lo guardò con un’aria strana. «Anch’io ti sembro sempre lo stesso?». «Hai più ombre», rispose Seth, indicando le sagome fumose che ondeggiavano intorno a lui intrecciandosi l’una all’altra, «e poi ci sono quelle strane cose che ti si vedono negli occhi. Sono più inquietanti di quelle di Ash. Nelle sue pupille di solito compare il mare oppure altri spettacoli piacevoli. Nelle tue, bizzarre creature infernali». Niall non ne parve felice. «Irial ha ancora gli stessi occhi». Seth sapeva che era meglio evitare quell’argomento. Non era il caso di mettersi a discutere dei rapporti di Niall con il vecchio sovrano delle tenebre quando era già di umore malinconico. Così aggiunse: «Hai un’aria più felice». Niall scoppiò in una risata stonata e beffarda. «Non la chiamerei felicità». «Allora più a tuo agio nella tua pelle, se preferisci», disse Seth scrollando le spalle. A quel punto Niall rise sul serio, provocando in tutti i presenti, con la sola eccezione di Seth, un brivido e un profondo sospiro di desiderio. Automaticamente Seth portò la mano alla pietra che portava al collo. Era un amuleto contro ogni sorta di incantesimi fatati. Glielo aveva dato Niall per proteggerlo dal suo incontenibile fascino, il richiamo irresistibile che esercitava sugli istinti più bassi degli esseri umani, ma anche per evitare di cadere nelle altre trappole tese dalle creature fatate. Keenan non mi ha neanche mai detto che esisteva qualcosa del genere, né tanto meno ha pensato di regalarmi una di queste pietre… Seth scosse la testa. Non era un segreto che il Re dell’Estate non avrebbe mai fatto nulla di sua spontanea volontà per semplificargli la vita. Se Aislinn gli chiedeva qualcosa, lo faceva senza la minima esitazione, ma altrimenti se ne guardava bene. Quando Niall era diventato sovrano delle ombre, gli aveva raccontato diverse cose. Niall domandò casualmente: «Hai detto ad Ash dell’amuleto? ». «No. Andrebbe subito da Keenan a chiedergli perché non ci aveva pensato… e non voglio essere la causa di un’altra discussione tra loro». «Sei uno sciocco. È evidente perché Keenan non l’ha fatto. Lo sai anche tu. E se Ash scoprisse che cos’è quella pietra, lo capirebbe anche lei». «Ragione in più per non dirglielo. Non sta attraversando un momento facile con tutti questi cambiamenti e i nuovi equilibri a cui adattarsi». «E Keenan se ne approfitterà non appena si presenterà l’occasione. È…». S’interruppe e Seth gli vide fiammeggiare negli occhi un’espressione truce. Seguendo il suo sguardo scorse una creatura fatata dai capelli scuri, con il viso e le braccia ricoperti di tatuaggi vegetali come quelli degli antichi guerrieri celtici nei dipinti di scene di battaglia. Era circondata da un gruppetto di esseri fatati dalle mani scarlatte. Un profilo di corvo scintillava sul suo volto, lucidi capelli neri le ricadevano in riccioli scomposti sulla schiena sino ai fianchi, simili a una cascata di piume. A differenza di quanto accadeva alla maggior parte degli esseri fatati, la sua maschera mortale e l’aspetto di uccello coesistevano tremolando. «Stanne fuori», disse Niall mentre, vedendola avvicinarsi, scostava la sedia. La donna corvo inclinò la testa di scatto con un movimento decisamente non umano. «Che piacevole sorpresa, Gancan…». «No». L’ira di Niall esplose in volute di tenebre invisibili agli esseri umani nel locale ma non a Seth, che era dotato della seconda vista. «Non Gancanagh. Re. O te ne sei dimenticata?». L’imponente creatura non batté ciglio mentre lo squadrava lentamente dall’alto al basso.

«Hai ragione. Ho la mente un po’ confusa in questi giorni». «Ma non è per questo che hai scelto di chiamarmi in quel modo». Niall non si era ancora alzato, però era pronto a scattare in piedi. «Sin troppo vero», rispose la donna corvo, irrigidendosi all’improvviso. «Gareggeresti con me, mio sovrano? Non ci sono mai abbastanza occasioni di battaglia». Seth percepì la tensione tra i due intensificarsi. Gli esseri che scortavano la donna corvo si erano sparpagliati per il locale, appostandosi in una serie di punti strategici con un’espressione allegra, quasi festosa in volto. «È tutto quanto desideri?», domandò Niall alzandosi. Leccandosi le labbra lei rispose: «Una bella zuffa non mi dispiacerebbe». «Mi stai sfidando?». Niall allungò una mano e la passò tra i capelli di piume di quella bizzarra creatura. «Non esattamente. Non puoi chiamarla una vera e propria sfida, ma spargere un po’ del tuo sangue… mi piacerebbe». Si sporse in avanti e serrò le mandibole con uno scatto sonoro che per un istante fece sospettare Seth della presenza di un becco al posto delle labbra. Niall l’afferrò per i capelli serrando il pugno e le tirò indietro il capo. La donna corvo ondeggiò come se stessero danzando. «Potrei chiederti di Irial. Potrei ricordarti quanto è addolorato che tu continui a rifiutare… i suoi consigli». «Carogna». «Tutto qua?». Lo fissò con uno sguardo irato. «Una parola? Vengo da te per avere il sangue che mi spetta. E non ottengo altro che una misera parola? È così che mi tratti dopo…». Niall fece partire un pugno. La donna corvo cercò di colpirlo al braccio con il bianco pugnale d’osso che le era apparso all’improvviso in mano. I movimenti di entrambi erano troppo rapidi perché Seth fosse in grado di seguirli, ma vedeva che quella strana creatura non si stava limitando a difendersi. In pochi istanti Niall aveva già diverse ferite, per quanto non troppo profonde. Lo vide agguantarla per le gambe in modo da farle perdere l’equilibrio ma, prima ancora di toccare terra, lei si era risollevata per scagliarsi di nuovo contro di lui. Nel vortice indistinto della lotta, a Seth parve di comprendere che il becco e gli artigli di quella creatura non erano meno pericolosi del suo pugnale. I versi orrendi che emetteva sembravano feroci grida di battaglia a chiamare in campo i suoi compagni, ma questi osservavano la scena, in silenzio, seduti a un tavolino o al bancone. Niall l’aveva afferrata alle spalle in una sorta di abbraccio. Per un attimo lei rimase immobile con la schiena contro il suo petto, gli occhi illuminati da uno sguardo imbarazzante, più di piacere che di dolore, e sospirò: «Vale la pena lottare con te». Poi scagliò il capo all’indietro con tale violenza che Niall prese a sanguinare dal naso e dalla bocca. Ma non la lasciò andare. Anzi, liberò la mano destra per bloccarle il capo e con uno scatto repentino la scaraventò a terra. La tenne giù con una mano rovesciando su di lei tutto il proprio peso. Senza più muoversi, attese la mossa successiva della sua avversaria, che rimase immobile finché non girò il volto insanguinato verso di lui per fissarlo. A disagio Seth distolse lo sguardo e vide la cameriera accanto a sé. Stava dicendogli qualcosa.

«Come, scusa?». Lei ripeté: «Niall. Non l’ho visto andarsene. Cosa fa, torna?». Seth ricordò bruscamente che la ragazza non poteva vedere cosa stava succedendo. Lui era l’unico a vedere la lotta tra le due creature fatate, i due corpi imbrattati di sangue e avvinghiati. Annuì. «Sì, tra un attimo». La cameriera gli lanciò una strana occhiata. «Tutto okay?». «Sì, è solo… che mi hai preso alla sprovvista». Sorrise. «Scusa». Lei annuì e si avviò verso un altro tavolo. Alle sue spalle Seth udì Niall esclamare: «Allora, mia cara?». Voltandosi lo vide in piedi, che porgeva una mano alla donna corvo. «Basta così?». «Sospendiamo. Ma non mi basta. Mai, finché non ti vedrò morto». Prese la mano che gli offriva e, con la morbida grazia tipica delle creature fatate, si levò in piedi. Con lo sguardo appannato allungò una mano per sfiorargli una guancia. «È stato bello, sire». Il sovrano della Corte Oscura annuì, senza abbandonarla con lo sguardo un solo istante. «Ci rivedremo stanotte», gli sussurrò in tono minaccioso e languido. Poi girò il capo intorno a sé bruscamente, a piccoli scatti repentini, localizzando senza esitazione i sei esseri fatati dalle mani scarlatte che, come un sol uomo, si mossero per raggiungerla. Senza una parola di più il gruppetto svanì con la stessa fulminea lestezza con cui era arrivato. Niall si volse verso Seth. «Torno subito». E anche lui si dileguò lasciando Seth solo, disorientato da quell’improvviso scoppio di violenza, incapace di dare un senso a ciò che aveva visto. Si rese conto che c’era anche qualcun altro ad avere assistito alla zuffa: un essere fatato, invisibile a occhi mortali, che lo fissava dall’estremità opposta della sala. I capelli, bianchi e crespi, erano raccolti in una crocchia sul capo. Aveva lineamenti netti, angolosi, quasi fosse stato scolpito nella roccia. Benché fosse molto diverso dalle sculture che lui prediligeva, Seth sentì le mani formicolare dal desiderio di un blocco di pietra scura su cui dar vita a un profilo da contrapporre a quella pallida figura che lo stava fissando: era talmente immobile che per un attimo Seth si domandò se non fosse davvero inanimata. L’illusione era assoluta. Qualche minuto dopo Niall ricomparve, ripulito. Un incantesimo nascondeva lo stato in cui erano ridotti i suoi abiti e le varie ferite riportate, e nessun mortale si sarebbe accorto che c’era qualcosa di diverso nel suo aspetto da quando erano entrati. Appena si fu seduto, Seth gli chiese: «Lo conosci?». Niall seguì il suo sguardo verso l’angolo in cui si ergeva, immobile, quell’essere fatato statuario. «Malauguratamente». Tirò fuori di tasca un astuccio e ne trasse una sigaretta. «Devlin è lo “strumento di pace” di Lasair, vale a dire il suo scagnozzo, insomma, a seconda dei punti di vista». Devlin sorrise placidamente. «Non sono dell’umore giusto per affrontare anche lui», commentò Niall ignorandolo. «Poche creature fatate sono abbastanza forti da mettermi in difficoltà di questi tempi, ma tra loro c’è la donna corvo. E purtroppo anche Devlin». Non capendo bene perché tutt’a un tratto la giornata si fosse fatta così carica di tensione, Seth lanciò un’altra occhiata a quell’essere fatato che si stava avvicinando, ancora invisibile a occhi mortali. Si fermò davanti a Niall e disse: «Guai in vista, amico mio. E Lasair non sarà l’unica a

esserne vittima». «E quando mai lo è stata?». Niall fece scattare l’accendino. Senza essere stato invitato, Devlin prese una sedia e si sedette. «Un tempo Lasair provava affetto per te. Anche un individuo della tua fatta non dovrebbe dimenticare una simile dimostrazione di benevolenza. La Regina Suprema desidera…». «Non m’interessa, Devlin. Vedi bene cosa sono divenuto…». «Padrone della tua esistenza». Il re scoppiò a ridere. «No, quello no. Mai». Seth non sapeva come comportarsi, ma quando fece per alzarsi Niall lo afferrò per un braccio. «Rimani». Devlin osservò la scena con aria impassibile. «È un tuo suddito?». «Un mio amico», lo corresse Niall. «Mi vede. E ha visto anche lei». Malgrado non avesse pronunciato tali parole in tono sdegnato, a Seth quella frase fece un effetto stranamente intimidatorio. «I mortali non dovrebbero vedere le creature fatate». «A lui è concesso. E se provi a rapirlo», aggiunse Niall scoprendo i denti con un ringhio ferino, «i sentimenti che ho provato un tempo per la tua sovrana o il legame d’amicizia che mi legava a te non mitigheranno la mia ira». Volgendosi verso Seth, disse: «Non seguirlo. In nessun caso». Seth inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. Devlin si alzò. «Se Lasair mi avesse chiesto di portarglielo, il mortale non sarebbe più qui adesso. Ma non sono questi i suoi ordini. Sono venuto per avvertirti di stare in guardia». «E per riferirle le mie parole». «Naturalmente». A quel punto Devlin scoccò a Niall uno sguardo derisorio. «Riferisco ogni cosa alla mia regina. Sono un umile servitore dell’Alta Corte. Tieni a mente le parole delle mie sorelle». E così dicendo, si allontanò. Niall spense, senza fumarla, la sigaretta che aveva appena acceso e ne tirò fuori un’altra. «Mi potresti spiegare cosa sta succedendo?», domandò Seth con un gesto che si riferiva alle due scene che si era appena svolte sotto i suoi occhi. «Non credo». Niall accese e tirò una lunga boccata. Poi, con la sigaretta ancora a mezz’aria, aggiunse con un’espressione divertita. «No, sul serio, non sono sicuro di potertelo spiegare». «Sei in pericolo?». Niall soffiò fuori il fumo sogghignando. «Si spera». «E io?». «Non credo. Devlin non avrebbe certo esitato, se fosse venuto per rapirti», gli rispose con un’ultima occhiata alla porta da cui era uscito. «Si occupa lui delle faccende dell’Alta Corte nel mondo degli uomini perché Lasair raramente calca il suolo mortale». «E la creatura che ti ha assalito?». Niall scrollò le spalle. «Si diverte così. Ama la violenza, la sofferenza, la discordia. Tenerla a freno è uno dei tanti ardui compiti che mi ha affidato Irial. Lui mi dà una mano, è vero, ma… non riesco a fidarmi».

Seth non sapeva cosa dire. Rimasero in silenzio, a disagio, mentre Niall fumava una sigaretta dopo l’altra. La cameriera si fermò ancora una volta a pulire un tavolo accanto a loro. Fissava Niall con evidente interesse. Come accadeva alla maggior parte delle creature fatate e dei mortali. Niall era un Gancanagh, un pericoloso seduttore: finché non era divenuto re della Corte Oscura, i suoi abbracci erano stati fatali. «Chi era? Quella crea…», Seth s’interruppe vedendo la cameriera avvicinarsi con un posacenere pulito. «Ti chiamiamo, se ci serve qualcosa». «Non mi dispiace passare, Seth», replicò lei, imbronciata. «Niall… desideri qualcosa?». «No, grazie». Le accarezzò un braccio scoperto. «Sei sempre così carina. Non è vero, Seth?». Quando si fu allontanata sospirando e lanciandosi un’ultima occhiata alle spalle, Seth esclamò esasperato: «Sarebbe il caso di far girare questo amuleto tra un po’ di gente, si direbbe». L’espressione cupa di Niall fu illuminata da un sorriso. «Guastafeste». «No, fa’ pure: goditi il tuo fascino e le tue conquiste, ma riserva le tue attenzioni per le creature fatate», lo ammonì Seth. «Lo so. Basta che…». Una smorfia gli comparve sul viso come se quel pensiero lo ferisse. «Basta che me lo rammenti ogni tanto. Non voglio fare come Keenan, o Irial, a suo tempo». «Vale a dire?», replicò Seth. «Comportarmi da bastardo egoista». «Sei il sovrano di una corte fatata, amico. Non credo che tu abbia molta scelta. E con quello che è appena successo con quella donna corvo…». «Lascia perdere. Preferirei evitare a te e a me stesso di dover raccontare le sgradevolezze che accadono nella mia vita, se permetti». Seth annuì conciliante, ma non troppo convinto. «Come vuoi. In ogni caso lo sai che mi guardo bene dal giudicarti». «Ma io non sono altrettanto indulgente con me stesso», mormorò Niall. Dopo un attimo di silenzio, raddrizzò la schiena e prese a muovere le spalle come se volesse sgranchirsi. «Immagino che si tratti di decidere in quale direzione convogliare la mia bastardaggine». «Oppure mettercela tutta e provare a resistere». «Già, proprio così». E aggiunse con soavità: «È il compito del Re del Buio resistere alle tentazioni».

Capitolo 6

Aislinn stava dando da mangiare agli uccellini che vivevano tra le piante del loft quando Keenan entrò, scuro in volto, sbattendo la porta. Un piccolo cacatua le si aggrappò alla camicia, sulla schiena, infilandole il becco tra i capelli per seguire con lo sguardo il Re dell’Estate. Quelle creature lo rasserenavano, di solito. Oppresso dalla malinconia o dall’irritazione, sedersi a guardarle volare era per lui uno dei modi più sicuri per ritrovare la calma. E loro sembravano sapere quanto fossero importanti. Quel giorno, però, Keenan non li degnò di un’occhiata. «Aislinn». Senza una parola di più le passò accanto dirigendosi nel suo studio. Lei attese qualche istante. Il pappagallino prese il volo e i suoi compagni, senza avvicinarsi, si misero a osservarla incuriositi, con la cresta sollevata oppure fissando nella direzione presa da Keenan. Qualcuno lanciò un breve grido o un timido cinguettio. «D’accordo. Vado a vedere cos’ha». Si avviò verso lo studio, dominio incontrastato del Re dell’Estate, non meno della sua camera da letto. In quella Aislinn non era mai entrata, ma a volte Keenan la conduceva con sé nello studio quando desideravano rimanere soli. Le faceva una strana impressione entrarci in sua assenza. Capitava a volte che le Ragazze dell’Estate si accoccolassero sul divano a leggere un libro, ma per loro non era tanto importante mantenere le distanze da Keenan quanto lo era per lei. Più l’estate si approssimava, più si sentiva attratta da lui, e la cosa non le piaceva affatto. Si fermò sulla soglia, cercando di non sentirsi a disagio per avere invaso un suo spazio. Lui continuava a ripeterle che ormai doveva considerare il loft casa sua, che tutto, proprio tutto, era suo ormai. Aveva fatto aggiungere il suo nome sui conti aperti nei negozi, sulle carte di credito, in banca. La regina non aveva mai usato nulla e Keenan aveva cominciato a compiere gesti davvero delicati per farla sentire più a suo agio nella dimora dell’estate. Piccoli gesti per legarmi a sé. Aislinn non notò subito che aveva cambiato ancora una volta l’arredamento ma, quando si guardò intorno, si accorse delle modifiche nella sobria atmosfera dello studio. Pur non vivendo nel loft, vi trascorreva abbastanza tempo perché la considerasse come una seconda, o meglio una terza, casa. Passava la notte con la nonna, oppure da Seth, più di rado nel loft, e teneva un po’ di vestiti e una trousse nel bagno di tutte e tre le dimore. La sua vera casa, l’appartamento in cui viveva insieme alla nonna, era l’unico posto in cui veniva trattata come se non fosse cambiato nulla. Lì non era la sovrana di una corte fatata, bensì una ragazza normalissima che aveva qualche problema in matematica. Aislinn rimase sulla soglia a guardare Keenan seduto in un angolo dello scuro divano di pelle. Qualcuno aveva portato una caraffa di acqua ghiacciata e alcune gocce di condensa stavano scivolando lungo i fianchi raccogliendosi sulla lastra di agata che fungeva da tavolino. Keenan scagliò lontano un grosso cuscino verde scuro, nuovo, senza eccessive guarnizioni. «Donia si rifiuta di vedermi». Aislinn si chiuse la porta alle spalle. «Per quale motivo questa volta?».

«Forse perché siamo andati a chiederle di Bananach. Forse a causa di Niall. Oppure per qualche altra ragione… chissà…». S’interruppe bruscamente, accigliandosi. «Non te l’ha detto?», domandò la sua regina posandogli la mano sul braccio per un attimo prima di andare a sedersi al capo opposto del divano. Teneva le distanze per abitudine, facendo eccezione soltanto quando richiesto dalle esigenze di corte o per un gesto di amicizia, ma di giorno in giorno le costava sempre più fatica. «No, anche oggi non mi hanno permesso di vederla, non mi hanno fatto entrare. “A meno che non si tratti di una visita ufficiale”, ha detto Evan. Sono tre giorni che si nega e adesso lui se ne esce con questa novità». «Evan sta solo facendo il suo lavoro». «E ci sguazza, ne sono certo». Keenan trovava difficile accettare un rifiuto: Aislinn l’aveva capito già da mortale. Cambiò argomento. «Mi sembra strano che debba essere irritata a causa di Niall, o che l’abbiano disturbata le nostre domande a proposito di Bananach». «Già. Quando Niall si calmerà, il fatto che ci sia lui sul trono della Corte Oscura può solo essere un vantaggio per entrambe le nostre corti. Donia è…». «No, intendevo dire che mi era parsa tranquilla quando ce ne siamo andati l’altro giorno. Non certo felice, ma nemmeno in collera». Aislinn abbracciò un cuscino come se fosse un grosso pupazzo di pezza. Entrare nel labirinto dei rapporti tra le corti fatate e degli antichi rancori tra creature con un passato secolare alle spalle la faceva sentire una bambina. Per quanto molti esseri fatati avessero l’aspetto, e si comportassero, come i suoi compagni di scuola, la loro longevità rendeva tutto molto più complicato. Brevi relazioni duravano decenni, lunghe amicizie attraversavano i secoli, tradimenti di ieri o di anni, o addirittura secoli prima, lasciavano ferite profonde. Non era semplice orientarsi. «C’è qualcosa che non mi stai dicendo?», domandò. Keenan le rivolse un’occhiata pensosa. «Sai, anche Niall era così. Mi aiutava a concentrarmi, ad arrivare al punto…». Gli morirono le parole sulle labbra mentre piccole nubi oscuravano i suoi occhi in una promessa di pioggia. «Ti manca». «Sì. Sono certo che sarà un buon sovrano… Mi spiace solo che sia una corte tanto spregevole. So di non essermi comportato nel migliore dei modi con lui». «Abbiamo commesso entrambi degli errori. Io non ho reagito con sufficiente prontezza e tu…», Aislinn s’interruppe. Andare a rivangare gli inganni di Keenan e le sue conseguenze per Leslie e per Niall non sarebbe servito a nulla. «Abbiamo sbagliato tutti e due». Se Leslie era finita tra le spire della Corte Oscura era anche colpa di Aislinn. Non era stata capace di proteggere una delle sue più care amiche, né Niall. Condivideva la responsabilità delle azioni della Corte dell’Estate. Ed era per tale motivo che si sforzava di creare un rapporto più stretto con Keenan: se doveva sentirsi in colpa a causa di certe sue iniziative poco gradevoli, preferiva almeno venirne a conoscenza per tempo. E cercare di evitarle nel caso fossero davvero atroci. «E loro hanno fatto scelte sbagliate: di quelle non ne abbiamo colpa noi». Keenan non avrebbe potuto dire quella frase se si fosse trattato di una menzogna, ma era un’opinione e di conseguenza il confine tra verità e bugia si faceva più labile e incerto. «Ma non siamo neppure esclusi da ogni responsabilità. Tu mi hai nascosto delle cose… e loro ne hanno pagato le conseguenze». Non l’aveva ancora perdonato di avere usato Leslie e Niall

ma, a differenza di Donia, Aislinn non aveva avuto altra scelta se non quella di rimanere al fianco del Re dell’Estate. Erano legati per l’eternità, a meno che uno dei due morisse, fintanto che avessero conservato il trono. E i sovrani del popolo fatato tendevano a rimanere al potere per secoli. Praticamente un’eternità. L’eternità al fianco di Keenan. Il pensiero la terrorizzava ancora. Lui non sembrava particolarmente incline a condividere il governo e Aislinn non aveva ancora sufficiente esperienza del mondo fatato. Prima di diventare Regina dell’Estate aveva sempre cercato di evitare ogni contatto con le creature che adesso si trovava a guidare. Per nove secoli Keenan era stato Re dell’Estate, ma senza pieni poteri. Era difficile dire se la sua consorte avesse diritto di prendere parte alle decisioni di corte, ma del resto dover portare il peso della responsabilità senza avere voce in capitolo non le sembrava accettabile. E da quando era sovrana dell’estate, le sue creature, il loro benessere, la loro felicità, la loro sicurezza, avevano assunto immensa importanza per lei. Provava un istintivo desiderio di prendersene cura, così come sentiva il bisogno di aiutare l’estate ad acquistare una forza sempre maggiore. Però questo non significava che le sembrasse giusto sacrificare tutti e tutto a tale scopo. Keenan non sempre era dello stesso parere. Aislinn scosse il capo. «Non credo che sia un argomento su cui ci sarà facile trovare un accordo, Keenan». «Forse», rispose lui guardandola con tale affetto che Aislinn percepì raggi di sole tendersi radiosi verso di lui, «ma almeno tu non ti metti in testa di non parlarmi più». Stringendosi in un angolino del divano, e sarebbe bastato quel movimento a fargli capire i suoi sentimenti, Aislinn replicò: «Non ho altra scelta. Donia sì». «Non è vero che non hai altra scelta. Sei solo…». «Cosa?». «Più ragionevole», concluse senza nascondere il sorriso che gli affiorò sulle labbra non appena ebbe pronunciato quelle parole. La tensione che era andata crescendo in lei si dissipò alla vista della naturalezza di quel sorriso. Scoppiando a ridere, esclamò: «Non sono mai stata tanto irragionevole quanto negli ultimi mesi. Sono così cambiata… se ne sono accorti tutti i miei insegnanti. I miei amici, la nonna, persino Seth… Sono diventata così volubile!». «Rispetto a me sei imperturbabile». Gli luccicavano gli occhi, si era accorto anche lui quanto fosse divenuta suscettibile: era stato l’oggetto dei suoi scatti d’ira più di ogni altro. «Non credo che tu possa essere un metro di giudizio affidabile». La tensione si era sciolta. In quei mesi così strani e difficili Keenan aveva sempre trovato il modo di farla sorridere. Aveva contribuito in modo essenziale a renderle sopportabile il ruolo di Regina dell’Estate. La sua amicizia e l’amore di Seth erano le due cose che le davano la forza di andare avanti. Malgrado il sorriso sulle labbra, il suo sguardo era supplichevole mentre le chiedeva: «Non è che per caso potresti parlarci tu con Don? Dirle che mi manca e che mi rattrista non poterla vedere. Che ho bisogno di lei». «Non dovresti dirgliele tu queste cose?». «E come? Se non mi lascia neanche entrare?». Tornò ad accigliarsi. «Non può sparire dalla mia vita. Senza di lei… se tu non… Non sono tanto forte, ce la metto tutta, ma ho bisogno della sua fiducia. Se non ho lei e non posso neanche avere…». «Basta, Keenan». Aislinn non voleva che i suoi pensieri prendessero quella direzione. La pace tra le due corti era troppo recente per essere già consolidata. Poter contare sul fatto che i rapporti tra Donia e Keenan erano buoni avrebbe reso ogni cosa più semplice, ma andare a parlare

con la Regina dell’Inverno la metteva in ansia. Erano diventate amiche, però non tanto quanto Aislinn aveva sperato in un primo tempo. Avevano trascorso qualche pomeriggio insieme all’inizio, ma da quando era arrivata la primavera era tutto finito. Da quando sono cambiate le cose tra me e Keenan. Potevano anche fare finta di nulla, ma richiedeva uno sforzo costante non toccarsi. «Ci proverò, ma se è in collera, potrebbe non accettare di parlare neanche con me. È da un po’ che all’ultimo momento, quando organizziamo qualcosa insieme, non si fa vedere». Versando due bicchieri d’acqua, Keenan disse: «È perché l’estate sta riacquistando forza e l’inverno si indebolisce. Ogni anno, in primavera, Beira s’inacidiva, e io avevo ben poco potere allora». Keenan le porse il bicchiere… e Aislinn s’irrigidì, preoccupata. È solo acqua. Anche se fosse stato vino dell’estate, non avrebbe avuto più l’effetto della prima volta. Cercò di scacciare quei pensieri. «Ash?». Trasalì, sorpresa: Keenan non la chiamava quasi mai così. Fece uno sforzo per distogliere lo sguardo dal bicchiere e alzò gli occhi. «Sì?». Accarezzando il bordo del bicchiere con un dito, Keenan lo sollevò in modo tale da mostrarle il contenuto trasparente e cristallino. «Non devi preoccuparti. Sono ben lungi dal desiderare di nuocerti in alcun modo. Non lo farei mai. Nemmeno prima, non ho mai voluto farti del male». Lei arrossì e accettò l’acqua. «Scusa. Lo so. Sul serio». Lui scrollò le spalle, ma quei suoi momenti di panico lo ferivano profondamente. Aislinn tuttavia aveva la sensazione che anche lui ne avesse a volte, come se condividere la responsabilità della Corte dell’Estate creasse tra loro un legame rispetto al quale nessuno dei due era preparato. Nessun altro essere fatato era in grado di vedere al di là della facciata dietro cui lei si nascondeva. Amici. Siamo amici. Non nemici. Né altro. «Andrò a parlare con Don. Non ti prometto niente, ma ci proverò. Potrebbe essere utile anche a noi due… È così irritabile con me da un po’ di tempo a questa parte. Se il problema è la primavera, forse parlarne può servire». Lui le prese una mano e gliela strinse dolcemente. «Sei buona ad accettare certe situazioni. So che questa vita non è facile per te». Invece di lasciarla andare, Aislinn gli strinse la mano con energia, la forza che aveva conquistato dicendo addio alla sua mortalità e accogliendo la sua nuova natura. «Non ho intenzione di sopportare qualsiasi cosa. Non sarebbe saggio, Keenan, tenermi all’oscuro, come hai fatto con Leslie», e lasciò che il sole che viveva in lei irradiasse tutto il suo fulgore, non perché fosse infuriata, ma solo per dimostrare che aveva imparato a controllare quel fuoco che ardeva in entrambi. «È stata Donia a permettere a Leslie di affrancarsi. Sono rimasta molto delusa da come ti sei comportato. Non voglio che succeda mai più». Per un intero minuto Keenan non rispose, limitandosi a stringerle la mano. Quando lei fece per scostarsi, sorrise. «Non sono sicuro che questa minaccia abbia l’effetto che desideri. Sei ancora più incantevole quando sei in collera». Aislinn si sentì avvampare alla consapevolezza di non poter pronunciare le parole che avrebbe voluto dire, ma non abbassò lo sguardo. «Non sto scherzando, Keenan». Il sorriso svanì e lui le lasciò la mano. Con un cenno d’assenso, disse seriamente: «Niente segreti. È questo che mi stai chiedendo?». «Sì. Non voglio dover pensare che mi sei nemico, né essere costretta a giocare con le

parole». Le creature fatate avevano l’abitudine di usare i termini in modo tale da poter piegare quanto veniva detto a proprio vantaggio. Lui rispose con un filo di voce: «Anch’io non voglio che tu mi sia nemica». «E niente giochi di parole», ripeté Aislinn. Il sorriso pericoloso riapparve. «A dire il vero, a me quelli piacciono». «Dico sul serio, Keenan. Se dobbiamo collaborare, è necessario che tu sia franco con me». Lui replicò in tono di sfida: «Davvero? È questo che vuoi?». «Sì, non possiamo lavorare insieme se devo essere costretta a chiedermi ogni minuto cosa stai veramente pensando». «Se sei proprio sicura che è questo che vuoi…», ripeté lui con uno sguardo che oscillava tra il provocatorio e la massima serietà. «È così, Aislinn? È proprio questo che vuoi da me? Sincerità assoluta?». Sentiva che lui le stava tendendo una trappola, ma se voleva essere trattata alla pari non poteva arretrare. Lo guardò negli occhi: «Sì». Lui si abbandonò sul divano e sorseggiò il bicchiere d’acqua senza abbassare lo sguardo. «Allora, perché tu non debba chiedertelo, ti dirò che, proprio in questo momento, stavo pensando che a volte ci lasciamo trascinare dalle faccende di corte, da Donia, dalla tua scuola… Vedi, è facile dimenticare che tutto quello che ho, ce l’ho grazie a te, ma non è altrettanto facile dimenticare che vorrei di più». Aislinn arrossì. «Non era questo che intendevo». «Allora sei tu che ti metti a fare giochi di parole, adesso? », esclamò con aperto tono di sfida. «Sei tu che decidi quando accettare la mia sincerità?». «No, ma…». «Hai detto che volevi sapere cosa penso, e non hai posto condizioni. Niente giochi di parole, Aislinn. Sei stata tu a chiederlo». Posò il bicchiere sul tavolino e aspettò qualche istante prima di domandare: «Hai cambiato idea così facilmente? Preferisci che continuiamo ad avere segreti?». Aislinn avvertì che stava per essere travolta da un’ondata di panico, non perché si sentisse in pericolo, ma perché aveva la sensazione che la loro amicizia stesse per sbriciolarsi. Quando lei non rispose, Keenan riprese: «Stavo pensando che hai superato come nessun altro le difficoltà che ti sei trovata a dover affrontare. Nessuna Ragazza dell’Estate si è adattata alla sua nuova natura fatata con tanta rapidità. Tu invece non hai fatto le bizze, non ti sei persa in lacrime, non hai cercato di avvinghiarti a me…». «Il popolo fatato non era una novità per me. Per loro sì», disse Aislinn detestando come non mai l’incapacità delle creature fatate di mentire. Le sarebbe piaciuto dire a Keenan che la sua metamorfosi era stata ardua. Le sarebbe piaciuto dire che adattarsi all’esistenza di creatura fatata le era costata e costava ancora grande fatica. Almeno la smetterebbe con questi discorsi. Lui le aveva concesso spazio e tempo. Le era stato vicino senza superare i confini che lei gli aveva posto, da vero amico. Scappa, Aislinn. Scappa. Non si mosse. Keenan le si fece più vicino. Troppo. «Sai bene che non è questo il punto. Io ora so che valeva la pena di cercare la mia regina tanto a lungo. Aspettare te meritava qualsiasi sforzo, per

quanto insormontabile mi potesse allora sembrare». Le passò una mano tra i capelli e Aislinn sentì i raggi di sole penetrarle nella pelle. «Se tu fossi la mia regina, se lo fossi davvero, sino in fondo, la nostra corte sarebbe ancora più forte. Se tu fossi mia, solo mia, senza distrazioni nel mondo mortale, non saremmo in pericolo. Uniti, saremmo più potenti. L’estate è la stagione dell’ardore, del piacere. Quando sei presente, vorrei dimenticare ogni altra cosa. Amo Donia. L’amerò sempre, ma quando ti ho vicino…». S’interruppe. Aislinn sapeva cosa Keenan aveva preferito non dire. Sentiva che le stava dicendo la verità, ma non poteva concedere quella parte di sé per rafforzare la sua corte. Lo sapeva, lui, che si sarebbero sentiti così? Sapeva che la sua decisione, di diventare regina a condizione che il suo impegno restasse nei limiti di un “lavoro” e non includesse una relazione amorosa, avrebbe limitato la crescita della loro corte? Preferiva non conoscere la risposta. «La Corte dell’Estate è più forte di quanto non lo sia stata da secoli», mormorò. «È vero e ti sono grato per averlo reso possibile. Per il resto, aspetterò. È a questo che stavo pensando. Immagino che avrei dovuto pensare a tutte le cose che dobbiamo fare, ma», si sporse verso di lei, guardandola negli occhi, «in questo momento nella mia mente c’è solo il pensiero che sei accanto a me, come è giusto che sia. Amo Donia, ma amo anche la mia corte. E potrei amare te, poiché siamo fatti per questo, Aislinn, io e te. Se tu me lo permettessi, potrei essere tanto innamorato da dimenticare, e farti dimenticare, ogni altra cosa». «Keenan…». «Mi hai chiesto di essere sincero». Non stava mentendo, non avrebbe potuto. Ma lei non poteva, non voleva ascoltarlo. Il sole che dimorava al centro del suo essere stava divampando sino a bruciarle la pelle. Il suo corpo stava rispondendo alla vicinanza di Keenan con un’intensità che aveva provato solo per Seth. E lei non voleva. Sicura?, le sussurrò una vocetta traditrice. È il tuo re, il tuo compagno… Gli posò una mano sul petto con l’intenzione di allontanarlo, ma quel contatto fece fremere nel suo corpo palpitanti ondate di calore. Il sole prese a scorrere tra loro come un fiotto di energia che si faceva più potente non appena, affiorando, si irradiava dalla loro pelle. Keenan spalancò gli occhi e trasse un paio di respiri profondi. Si chinò verso di lei e Aislinn sentì che anche lei gli si stava accostando: aveva piegato il gomito, senza scostare la mano dal suo petto, e ora erano uno contro l’altro, con il braccio di Aislinn schiacciato tra loro. E per la prima volta da che lei era una creatura fatata, lui la baciò. In precedenza era accaduto solo due volte, un mattino in cui Aislinn era ebbra di vino dell’estate, dopo una notte di danze tra le sue braccia, e quando, dopo un ultimo, categorico rifiuto, Keenan aveva azzardato un estremo tentativo di seduzione. E il suo bacio fu tanto delicato che lei si sentì appena sfiorare le labbra. Era una domanda, un gesto d’affetto, e questo rendeva tutto ancora più difficile. Si scostò. «No», riuscì a dire con un filo di voce. Lui si fermò. «Sicura?». Non poteva rispondere. Niente menzogne. Aveva sentito sulle labbra il sapore dell’estate, di tutto quello di cui avrebbe potuto godere se gli avesse permesso di avvicinarsi. «Meglio che ti allontani». Aislinn cercò di concentrarsi sul significato di quelle parole, sulla sensazione di essere seduta su un divano, sui dorsi dei libri rilegati in pelle che vedeva alle spalle di Keenan: qualsiasi cosa, pur di levarsi dalla mente il pensiero di lui.

Abbassò la mano scostandola dal suo petto. Piano. Pensa alle cose veramente importanti. La tua vita. Le tue scelte. Seth. Keenan si scostò, senza distogliere lo sguardo. «La nostra corte starebbe morendo se non fosse per te». «Lo so». Non riusciva a muoversi perché le mancava lo spazio: aveva già il bracciolo del divano nelle costole. «Io non avrei nessun potere senza di te». Aislinn strinse un cuscino in grembo a mò di scudo. «Hai retto la Corte dell’Estate per ben nove secoli senza di me». Il re assentì. «E ne è valsa la pena. È valsa la pena di attraversare ogni tortura e sofferenza per essere giunti al punto in cui siamo, e a quello in cui potremmo essere se mi accetterai. Se avessimo il tempo di stare insieme come dovremmo…». Per un istante senza fine Aislinn rimase immobile, incapace di trovare le parole che avrebbero allentato la tensione che vibrava tra loro. Non era la prima volta che le parlava a quel modo, ma non aveva mai accompagnato le parole con un gesto che non fosse di semplice affetto. Era davvero troppo. «Ho bisogno di spazio…», disse con voce rotta. Lui si allontanò un poco. «Se proprio vuoi». Si sentiva stordita. Keenan si sforzò di sorridere. Aislinn si alzò e si diresse alla porta in preda a un lieve capogiro. Per aprirla, strinse la maniglia con tanta forza da temere di spezzarla. Le richiese uno sforzo spaventoso controllarsi, poi vide che Keenan la stava fissando. «Questo non cambia niente. Niente. Sei mio amico, il mio re… ma non puoi essere nulla di più». Lui annuì, come per dire che aveva sentito però non era d’accordo con le sue parole: «E tu sei la mia regina, la mia salvatrice, la mia compagna… sei tutto per me».

Capitolo 7

Aislinn stava vagando per Huntsdale senza meta. A volte, sempre più spesso da quando le capitava di pensare con tanta insistenza a Keenan, non se la sentiva di rifugiarsi da Seth. Le vorticavano in mente le parole di Keenan e quello che aveva provato quando si era chinato su di lei. Era preoccupata. La separazione da Donia l’avrebbe reso più insistente. A causa dell’arrivo dell’estate, erano già troppo vicini e lei non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto parlarne con Seth, ma era terrorizzata di allontanarlo da sé. Anche se lui continuava a ripeterle che l’amava, Aislinn temeva di commettere degli errori e di perderlo. Se a volte persino a lei sarebbe piaciuto fuggire dai problemi del mondo fatato, come poteva pretendere che Seth non fosse tentato di farlo? Già era costretto a dividerla con la sua corte e il suo re, se lei gli andava pure a raccontare delle pressioni di Keenan e di quanto fosse tentata di cedergli, non sarebbe forse stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso? Seth le concedeva tutto lo spazio di cui aveva bisogno, ma si accorgeva sempre quando era turbata e in quel momento Aislinn non avrebbe saputo cosa rispondergli se gliene avesse chiesto la ragione. Il mio re, la mia metà, non è stato ai patti. E io ho fatto fatica a dirgli di no. Non era una conversazione che poteva affrontare, non ancora. Prima o poi l’avrebbe fatto. Gliene avrebbe parlato. Non subito, però. Prima doveva capire cosa dire. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma l’unica amica che era al corrente della sua nuova natura, Leslie, non viveva più a Huntsdale e si rifiutava di affrontare l’argomento. Discuterne con Seth significava ammettere di essere tentata di cedere. E chi di solito ascoltava i suoi problemi nel mondo fatato era proprio Keenan: il problema. Aislinn doveva ammettere che la sua cerchia di amici era più ristretta di quanto non fosse mai stata in passato. Non che ne avesse mai avuti tanti, ma prima aveva perso la testa per Seth e aveva rivolto tutti i propri sforzi a mantenere il loro rapporto in termini platonici, poi aveva dovuto fare i conti con il suo nuovo ruolo di Regina dell’Estate, così si era allontanata anche dai pochi amici che aveva. Chiacchierava ancora con Carla e Rianne a scuola, ma da mesi ormai non si frequentavano più. Dopo avere dato un’occhiata all’orologio, chiamò Carla. Le rispose praticamente al primo squillo. «Ash? Tutto okay?». «Sì, perché?». In realtà lo sapeva perché: era un sacco di tempo che non la chiamava. «No… niente. Dimmi». «Sei libera?». Per una frazione di secondo Carla non rispose, poi disse: «Dipende. Perché?». «Be’, pensavo che sono stata uno scandalo come amica ultimamente…». «Sì, sono perfettamente d’accordo, quindi?». «Pagherò». Aislinn scoppiò a ridere sollevata dalla disinvoltura di Carla. «Quanto?».

«Dieci dollari a partita? Ci si vede lì?». Aislinn voltò in una traversa per dirigersi da Shooters. «Mi dai un paio di buche di vantaggio?». Carla non cedette. «L’hai detto anche tu: devi pagare, tesoro. È un po’ che sto pensando di prendermi una nuova scheda video e stasera avrò finalmente i soldi per comprarla». «Ohi ohi…». Carla scoppiò a ridere tutta contenta. «Ci vediamo lì tra mezz’oretta». «Occupo un biliardo». Quando chiuse, Aislinn si sentiva già meglio. Sapeva di essere seguita da diverse guardie, ma non aveva voglia di vederle. Una partita a biliardo con un’amica non avrebbe risolto nulla, però le restituiva quella normalità che in certi momenti le mancava più di ogni altra cosa. Percorse i pochi isolati che la separavano da Shooters con la speranza di trascorrere una piacevole serata. Erano settimane che non vi metteva più piede: all’improvviso, sentendosi in colpa, temette di non essere più benaccetta. La sala da biliardo era frequentata da tutta gente che dopo aver lavorato sodo voleva divertirsi. Erano più grandi di lei, alcuni abbastanza vecchi da poter essere ex compagni di scuola della nonna, ma lì dentro non c’erano differenze di età né di classe sociale o di colore della pelle. C’era posto per tutti, purché non si fosse un piantagrane. Prima che l’esistenza di Aislinn cambiasse, l’aveva presa sotto la sua ala Denny, che da quando aveva una ventina d’anni si guadagnava da vivere con la stecca. L’affidava a Grace se aveva voglia di lavorarsi un pollo e sotto la loro guida Aislinn aveva imparato a tenere la stecca in mano discretamente. Non sarebbe mai stata in grado di non sbagliare un tiro come il suo maestro, ma a quei livelli si arriva solo se si gioca ogni giorno. Da Shooters c’era tutta gente simpatica con cui fare una partita o chiacchierare, però era la compagnia di Denny e Grace che le mancava davvero. Entrando lo vide subito. Stavano giocando e Grace, che in quel momento alzava la testa dal biliardo, la vide e le sorrise. «Ehilà, principessa. È un bel po’ che non ci vieni a trovare». Denny tirò prima di staccare gli occhi dal tavolo. «Sola, senza nessun principe azzurro? Né l’uno né l’altro?». Aislinn scrollò le spalle. «Stasera solo amiche. Viene Carla». «Prendi una stecca oppure siediti». Malgrado la sua voce arrochita dal fumo e dal whiskey facesse pensare a una maliarda e flessuosa cantante in uno sgargiante abito rosso fuoco con una scia di cuori infranti alle sue spalle, Grace era tutt’altro tipo. Muscolosa, con una camicia maschile sopra i jeans scoloriti e gli stivali neri, era in grado di fare a pugni come un uomo e più di ogni altra cosa era orgogliosa della sua Harley, una Softail Custom, con più cromature di quella di Denny e una marmitta che ruggiva ancora più fragorosamente. «Facciamo una partita insieme quando arriva Carla?», domandò lui mentre si posizionava per il nuovo tiro. Aveva legato i capelli, ma la coda si stava sciogliendo e qualche ciuffo gli ricadeva sul viso. «Solo se io sto con Carla», disse Grace. «Mi spiace, Ash, ma io e te non avremmo una chance». Aislinn sorrise e disse: «Carla ha già stabilito la posta: dieci dollari a partita». «Venti allora, in coppia?». Denny mandò in buca due palle con un tiro complicatissimo che Carla avrebbe potuto spiegare in termini di geometria e gradi di angolazione, e che lui eseguiva con la precisione dell’esperienza. Ad Aislinn mancavano sia le basi teoriche che quelle pratiche per una cosa del genere.

«O dieci, e si divide», suggerì Grace mentre apriva una bottiglia d’acqua. «Potremmo anche fare pari e patta se tu giochi con Carla», replicò Denny. E mise in buca tutte le palle rimaste. «Oppure no», ribatté Grace con un filo di voce. «Oppure no», ripeté lui con un gran sorriso. Il juke-box attaccò un blues. Aislinn era stata lì abbastanza spesso da riconoscere Buddy Guy, un classico. Tra una battuta e l’altra, e qualche esclamazione di vittoria o di disappunto, lo schiocco sonoro delle palle che cozzavano una contro l’altra costituiva il familiare sottofondo di Shooters. È bello ritrovarsi qui. Aveva trascorso troppo tempo circondata da creature fatate, le ci voleva proprio qualche ora con i suoi amici. In attesa di Carla, Aislinn era quasi riuscita a convincersi di essere tornata ai vecchi tempi. Non poteva certo dire che allora andasse tutto alla perfezione, però aveva la sensazione che la sua vita almeno fosse più chiara. La prospettiva dell’eternità, la preoccupazione di un trono che implicava responsabilità che non sapeva come affrontare e i problemi di un rapporto che rischiava di trascendere confini invalicabili non erano certo pensieri rilassanti. Ma Carla era arrivata, c’erano Denny e Grace, bella musica e risate. Quella serata l’avrebbe dedicata agli amici e a divertirsi. «Partita!», strillò Carla esultante, esibendosi in un balletto di trionfo. Grace fece un sorrisetto, mentre Denny si voltava dall’altra parte. «Mi sa che qui qualcosa bolle in pentola…», gli mormorò Aislinn in un orecchio. Denny si adombrò. «Lascia perdere, Ash». Mentre raccoglieva le biglie, Grace chiacchierava con Carla. Aislinn voltò le spalle al biliardo e disse a bassa voce: «L’età non è importante. Se tu…». «No, non è vero. Forse tra un po’ di tempo, quando avrà fatto le sue esperienze… ma non le ha ancora fatte e io non ho nessuna intenzione di impedirglielo», rispose Denny lanciando un’occhiata a Carla, mentre si sedeva su uno sgabello contro il muro. «Voi due avete l’età giusta per godervi la vostra libertà. Io invece sto pensando a sistemarmi». «Quanti anni in più sono troppi, allora?». Denny sorrise. «Non essere così permalosa. Seth non è troppo grande per te. Un anno o due in più non dicono niente». «Tu…». «Io ne ho quasi dieci più di lei. È diverso». Denny saltò giù dallo sgabello. «Allora giochiamo a biliardo o ci mettiamo a pettinare le bambole?». «Cretino». Denny sorrise. «Ragione in più per non incoraggiarmi». Anche Aislinn sorrise. «Okay, okay». Mentre riprendeva a giocare, Aislinn pensò a Seth… e a Keenan. Non era sicura di essere d’accordo con Denny. Ha davvero ragione, qualche anno in più costituisce sul serio un problema? Forse sì. Quando era con Seth non temeva mai di non essere abbastanza matura, né si sentiva in qualche modo inferiore. Con Keenan aveva la sensazione di inciampare di continuo. Cercò di scacciare quei pensieri e di concentrarsi sulla partita. Carla e Grace erano in gamba, ma Denny era troppo abile. Loro giocavano per divertirsi, lui spesso per denaro. «Ehi, peso morto», esclamò Denny, «tocca a te».

Carla scoppiò a ridere. «Ash sta cercando di darmi una mano, vero?». «Mi sa proprio di sì, visto il tiro di qualche minuto fa…», replicò Denny con un sorriso e facendole cenno di avvicinarsi al biliardo. Quel tiro Aislinn non lo sbagliò, ma dopo non le andò altrettanto bene. Era la serata meno impegnativa che avesse trascorso da una vita, senza problemi da indovinare e senza doversi preoccupare di ogni parola e gesto. Le ci voleva proprio.

Quando arrivò a casa quella sera, non fu sorpresa di trovare la nonna che l’aspettava alzata. Ormai aveva uno stuolo di guardie al suo seguito ogni giorno e l’intera faccenda di non farsi notare dalle creature fatate non aveva più senso, ma la nonna la trattava ancora come prima, come una ragazza normale. Be’, proprio normale non sono mai stata… Con la nonna Aislinn poteva permettersi di sentirsi ancora bambina, piccola e insicura, e veniva ancora rimproverata se si dimenticava di aggiungere il latte alla lista della spesa dopo averlo finito. Lì trovava un rifugio, un luogo sicuro, ma ciò non significava che il resto del mondo rimanesse fuori. Entrò in soggiorno. La nonna era seduta sulla sua poltrona preferita, con una tazza di tè in mano. I suoi lunghi capelli grigi erano pettinati in una treccia che non aveva raccolto in una crocchia come faceva di solito. Aislinn non sopportava di farsi crescere i capelli così tanto. Da bambina si era chiesta se la nonna non fosse Raperonzolo. Se esistevano le creature fatate, perché non Raperonzolo? A quel tempo abitavano in un alto palazzo le cui finestre davano su uno strano mondo e la nonna aveva capelli biondo cenere, ancora più lunghi di ora. E una volta Aislinn le aveva confessato i suoi sospetti. «Ma non potrei essere la strega che ti tiene prigioniera nella torre, allora?». Aislinn ci aveva pensato su. «No, tu sei Raperonzolo. E io e te ci stiamo nascondendo dalla strega». «E cosa succede se ci trova?». «Ci strapperà gli occhi oppure ci ucciderà». «E se scendiamo dalla nostra torre?». La nonna trasformava ogni discorso in un quiz. Le faceva sempre un sacco di domande e una risposta sbagliata significava rimanere chiusa in casa. «Quali sono le regole?». «Non guardare gli esseri fatati. Non parlare con loro. Non fare nulla per attirare la loro attenzione. Mai», aveva ripetuto Aislinn contandole. «Obbedire sempre alle regole». «Brava». A quel punto la nonna l’aveva abbracciata con occhi lucidi di lacrime. «Altrimenti vincerà la strega». «È questo che è successo alla mamma?». Aislinn aveva cercato di intravedere l’espressione della nonna nella speranza di trarne qualche indizio. Ma già allora sapeva che a quelle sue domande lei non amava rispondere. La nonna l’aveva stretta più forte. «Più o meno, bambina mia. Più o meno».

Moira era sempre stata un argomento tabù. Aislinn guardò la nonna, l’unica figura materna che avesse mai conosciuto, detestando l’idea di doverla perdere. L’eternità senza una famiglia era davvero un tempo interminabile. La nonna, Seth, Leslie, Carla, Rianne, Denny, Grace… tutte le persone che aveva conosciuto prima di Keenan sarebbero morte. E io sarò sola. Sola con lui, con

Keenan. La morsa di dolore che le serrava il cuore a quel pensiero le impediva di parlare. «Hanno mandato in onda un programma sulle complicazioni create dall’inatteso mutamento climatico», disse la nonna indicando il televisore. Era interessatissima alle notizie meteorologiche da quando Aislinn era diventata la personificazione dell’estate. «Hanno parlato un po’ dei problemi legati alle inondazioni e poi hanno presentato alcune teorie che potrebbero spiegare la causa degli improvvisi cambiamenti ambientali…». «Stiamo cercando di risolverla, la questione delle inondazioni», le rispose, sfilandosi le scarpe con un calcio. «Lasciali parlare, tanto nessuno ci crede più alle fate». «Hanno detto che gli orsi polari…». «Nonna, possiamo lasciar perdere queste cose per stasera? ». Si lasciò cadere sul divano, affondando tra i cuscini. Non si sentiva mai tanto a suo agio nel loft. Malgrado tutti gli sforzi di Keenan, non era casa sua. O almeno là non si sentiva a casa. Con la nonna sì. Spense il televisore. «Cosa c’è?». «Niente. È solo che… Keenan… abbiamo parlato…». Non sapeva bene come dirglielo. Lei e la nonna parlavano di ragazzi, di sesso, di droga, di alcol, di tutto insomma, ma solo in teoria. Non erano mai discorsi personali, non entravano mai nei dettagli. «Non lo so. Sono stata da Shooters con Carla dopo. Mi è servito, ma… domani, dopodomani, l’anno prossimo… cosa farò quando sarò sola con lui?». «È già così insistente?». La nonna non si perdeva in chiacchiere, non era tipo da giri di parole. «In che senso?». «È un essere fatato, Aislinn», replicò lei con un tono carico di disprezzo. «Anch’io». Non le piaceva doverlo ammettere, non si era ancora abituata all’idea, anzi, forse non ci si sarebbe mai abituata. La nonna accettava quello che era diventata, ma aveva un’intera esistenza alle spalle di ostilità nei confronti delle creature fatate. Sua figlia era morta a causa loro. A causa di Keenan. «Tu non sei come loro», ribatté la nonna accigliandosi. «E di certo non sei come lui». Aislinn sentì gli occhi bruciare di lacrime. Non voleva piangere. Non aveva ancora imparato a controllarsi e a volte le sue emozioni avevano conseguenze indesiderate: in quel momento non sapeva se sarebbe stata in grado di tenerle a freno e controllare anche la reazione del cielo. Tirò un respiro profondo prima di rispondere: «È il mio compagno, la mia metà…». «Ma tu sei buona. Sei sincera, onesta». La nonna le si sedette accanto e la strinse a sé. Aislinn si lasciò cullare nel suo abbraccio. «Cercherà di convincerti a fare ciò che desidera. È sempre stato così, lui». La nonna le accarezzò la testa, passandole le dita tra i capelli neri illuminati d’oro. «Non è abituato a dei no». «Io non…». «Hai rifiutato il suo affetto. È dura da mandar giù. Le creature fatate sono estremamente orgogliose. Lui è un re. Non appena si accorge di loro, gli basta uno sguardo per avere tutte le ragazze ai suoi piedi». Aislinn voleva rispondere che Keenan non era interessato solo perché gli aveva detto di no. Voleva spiegare alla nonna che era interessato a lei come persona, che la loro amicizia stava crescendo, che dovevano solo trovare il modo di consolidarla. Ma non era sicura che le cose stessero davvero così. Anche lei temeva che Keenan non avesse ancora accettato il suo rifiuto e che

non volesse rinunciare all’idea intrattenuta per secoli che la sua regina dovesse necessariamente essere anche la sua consorte. E in parte temeva che col tempo sarebbe stato sempre più difficile restare solo amici. Quel pensiero la terrorizzava. «Io sono innamorata di Seth», mormorò, aggrappandosi a quel sentimento per non dover ammettere a se stessa che amare una persona non significa non avere occhi per nessun altro. «Questo lo so. E lo sa anche Keenan», rispose la nonna senza smettere di cullarla. Sapeva sempre come dimostrarle il proprio affetto senza essere soffocante. Era l’unica. Del resto non c’era mai stato nessun altro: solo loro due, da sempre. «Allora cosa devo fare?». «Cerca di essere te stessa: forte e onesta. E tutto il resto andrà a posto, vedrai. È sempre stato così. E sarà sempre così. Ricordatelo. Qualsiasi cosa accada… nel corso dei secoli a venire, ricordati di essere sincera con te stessa. Se non ce la fai, cerca di perdonarti. Non puoi evitare di commettere degli errori. È tutto così nuovo e loro hanno tanta esperienza più di te». «Vorrei che tu potessi sempre rimanermi accanto. Ho paura», disse Aislinn tirando su col naso. «Non so se la voglio, questa eternità». «Neanche Moira la voleva», mormorò la nonna. Dopo qualche istante di silenzio aggiunse: «Però ha fatto una stupidaggine. Tu… tu sei più forte di lei». «Forse non voglio esserlo». La nonna scoppiò in una breve risata sommessa. «Può anche darsi che tu non voglia, ma lo sarai comunque. Essere forti significa percorrere il cammino che abbiamo davanti. Moira scelse di porre fine alla sua vita. Fece delle cose… pericolose: sesso con degli sconosciuti e Dio solo sa cos’altro… Non mi fraintendere. Dai suoi errori sei nata tu e almeno non ti ha fatto nascere drogata. Ti ha fatto venire al mondo e non ti ha data a loro, ti ha fatto allevare da me. Alla fine ha saputo prendere decisioni difficili». «Ma…?». «Ma non ha saputo crescere come hai fatto tu». «Io non mi sento cresciuta… io…». «Sei alla guida di una corte fatata. Ogni giorno hai a che fare con i loro intrighi. Non sei più una bambina, Aislinn, sei una donna ormai». La nonna diceva sul serio. Usava quel tono quando parlava di femminismo, di libertà, di uguaglianza razziale e di tutte le cose che per lei erano importanti quanto per certa gente la religione. «Non mi sento pronta». «Tesoro, nessuno di noi si sente mai pronto. Io non sono pronta a essere vecchia. E non ero pronta a essere madre, né con te, né con Moira. E non ero certo pronta a perderla». «O a perdere me». «Non ti ho persa. È l’unico dono che mi hanno fatto le creature fatate. Tu sarai ancora qui molto tempo dopo che io non sarò altro che polvere. Non avrai mai problemi di denaro o di salute». Proseguì con ardore: «Ti hanno dato quasi tutto quanto potevo desiderare per te, ma solo perché tu sei stata abbastanza forte da accettarlo. Non riuscirò mai ad amarle, ma sapere che la mia bambina starà bene quando io non ci sarò più… riesce quasi a farmi perdonare tutto il resto». «Non è morta di parto la mamma, vero?». Aislinn non glielo aveva mai chiesto, ma sapeva che la nonna le aveva tenuto nascosto qualcosa. L’aveva sentita parlare con Keenan, l’autunno precedente. «No».

«Perché non me l’hai mai detto?». Per qualche istante la nonna non rispose. Poi disse: «Hai letto un libro quando eri piccolina, una volta, e mi hai detto che sapevi perché la tua mamma ti aveva lasciato. Sapevi che non era colpa sua, era solo che non era abbastanza forte per essere madre. Hai detto che eri come una di quelle ragazzine di cui avevi letto la storia, le cui madri erano morte per consentire loro di vivere». Le apparve sulle labbra un sorriso incerto. «Cosa dovevo fare? In fondo era vero: Moira non era abbastanza forte, anche se forse non nel senso in cui intendevi tu. Non potevo dirti che ci aveva lasciato perché si stava trasformando in una creatura fatata quando tu sei nata. Tu almeno eri convinta che avesse compiuto un gesto nobile ed eroico». «È per questo che sono così? Perché lei non era più umana quando sono nata? Sono mai stata mortale?». A quel punto la nonna tacque tanto a lungo che Aislinn si domandò se non fossero tornati i silenzi che avevano soffocato ogni loro conversazione riguardo a Moira in passato. Per diversi minuti la nonna si limitò ad accarezzarle la testa, poi disse: «Me lo sono chiesta anch’io, e non so se lo sapremo mai. Lei era sul punto di perdere la sua mortalità quando sei nata. Aggiungici il fatto che tutte e tre abbiamo sempre avuto la seconda vista… Non lo so. Forse». «Forse era lei la regina che Keenan stava cercando. Forse potevi esserlo anche tu. Forse per questo abbiamo la seconda vista. Poteva diventarlo chiunque di noi. La maledizione scagliata da Beira sulla mortale destinata a diventare la Regina dell’Estate è ricaduta su tutta la nostra famiglia. Se Moira avesse accettato di sottoporsi alla prova… forse sarebbe stata lei la sua regina. E chissà se a quel punto io sarei diventata una creatura fatata oppure no. Se lei non era più mortale quando sono nata…». La nonna interruppe quel fiotto di parole: «Tutti questi “se” non servono a nulla, Aislinn». «Lo so. Se lei fosse diventata una creatura fatata… io adesso non sarei costretta a rimanere sola». «Se lei avesse accettato quel destino, tu non saresti cresciuta con me. Non ti avrebbe mai lasciata». «Ma mi ha lasciata. Ha preferito morire piuttosto che vivere nel mondo fatato. Il mio mondo». «Mi dispiace». Le lacrime della nonna le bagnarono i capelli. «Era meglio che tu non lo sapessi». Aislinn non fu in grado di rispondere. Rimase lì, con il capo sulle gambe della nonna, come aveva fatto tante volte da piccola. Sua madre aveva scelto di morire piuttosto che accettare la sorte di creatura fatata. Non era difficile immaginare come avrebbe giudicato le scelte di Aislinn.

Capitolo 8

Seth non fu particolarmente sorpreso, tutto sommato, di vedere che Niall lo aspettava al Crow’s Nest il giorno seguente. La loro amicizia era una delle cose a cui il nuovo sovrano delle tenebre sembrava tenere di più e Seth, da parte sua, non aveva nulla da obiettare. Era come scoprire di avere un fratello più grande, cupo e balzano, di cui nessuno gli aveva mai parlato. Seth prese una sedia, la girò e vi si sedette a cavalcioni. «Non ce l’hai un lavoro?». Il Re del Buio sollevò il bicchiere in cenno di saluto. Sul tavolo ce n’era anche un altro. Indicandolo, gli disse: «Non è stato versato né dalla mia mano, né dal mio calice». «Non ti preoccupare, mi fido. E poi sono già nel tuo mondo», disse Seth prendendo il bicchiere e cominciando a bere, «e per il momento non ho nessuna intenzione di uscirne». Niall si accigliò. «Forse non dovresti avere una fiducia così cieca». «Forse». Seth si allungò verso il tavolo accanto e porse a Niall un posacenere pulito. «O forse tu dovresti essere meno diffidente». In un angolo del locale il gruppo stava facendo il sound check. Damali, con cui Seth era uscito qualche volta prima di conoscere Aislinn, agitò la mano per salutarlo. L’ultima volta che l’aveva vista, lunghe trecce rasta color rame le arrivavano a metà schiena. Forse erano cresciute, ma soprattutto adesso erano tinte di un rosso cremisi. Seth ricambiò il saluto e si girò di nuovo verso Niall. «Sei venuto a darmi una lezione?». «Sì». «Loquace e iperprotettivo. Perfetto». Niall gli lanciò un’occhiataccia. «Sono tutti intimiditi dalla mia presenza di questi tempi. Sono il boss dei mostri più terrificanti del regno fatato». Seth inarcò un sopracciglio. «Mmmh». «Vale a dire?». «Quest’aria truce non fa per te. Meglio il cipiglio pensieroso». Seth bevve un altro sorso e si guardò attorno. «Io e te sappiamo benissimo che potresti ordinare una strage se volessi, ma sappiamo anche che non lo farai». «Sì, se fosse necessario». Seth non replicò, non aveva voglia di discutere, e preferì cambiare discorso: «Hai intenzione di conservare quest’aria da funerale tutto il pomeriggio?». «No». Niall lanciò un’occhiata in un angolo: a quell’ora c’era un bersaglio libero. «Vieni». «Uf», esclamò Seth, alzandosi non troppo convinto, ma in fondo sollevato. «Perché i miei segugi non mi obbediscono mai altrettanto prontamente?», commentò Niall nel tentativo di ravvivare l’atmosfera. Aveva un sorriso un po’ stinto, ma era già qualcosa.

Seth andò a recuperare le freccette. Non era tanto appassionato da avere il suo set personale, Niall invece sì. Anche se adesso, da quando era sovrano, ferro e acciaio non erano più un veleno per lui, non si era ancora scrollato di dosso la lunga abitudine di evitare ogni contatto. Aprì un astuccio e ne estrasse alcune con la punta di osso. Osservò perplesso Seth che ne esaminava altre con la punta d’acciaio, cercando di scegliere quelle più dritte. «Non sono più un pericolo per me, ma preferisco comunque usare le mie». «Anche le sigarette non sono pericolose per te, ma non mi sembra che tu abbia particolari remore a fumare». «Hai ragione. Non dovrei preoccuparmi», disse Niall tenendosi tuttavia lontano dalle freccette che aveva in mano Seth. Con una naturalezza che provava di rado con le creature al seguito della Corte dell’Estate, Seth voltò le spalle al re degli incubi e si posizionò davanti al bersaglio. Qui mi sento a casa. Al sicuro. Ed era consapevole che la presenza di Niall aumentava il suo senso di sicurezza. «Vanno bene?». «Sì, come no?». Non aveva senso fare il pignolo. Non sarebbe mai e poi mai stato in grado di battere Niall, e poi non giocava per vincere, ma per passare il tempo e concentrarsi. Fecero tre partite in silenzio quasi assoluto e, sebbene fosse chiaramente distratto da altri pensieri, Niall le vinse tutte con la solita facilità. A quel punto esclamò: «Spero che la tua capacità di perdonare sia migliore della tua mira». «Perché, cos’è successo?», domandò Seth mentre un’ondata di preoccupazione lo assaliva udendo il tono deliberatamente casuale del Re della Corte Oscura. Niall gli lanciò un’occhiata mentre andava a recuperare le sue freccette. «Una questione da risolvere: fidati». «Non voglio guai». «Sono il Re del Buio, Seth, che guai posso portare?», esclamò Niall con un gran sorriso e un’aria finalmente contenta. «Eccoli». Per un istante Seth preferì non girarsi. Sapeva che voltandosi avrebbe visto Aislinn al fianco di Keenan, il suo rivale nella conquista dell’affetto della Regina dell’Estate. Non amava vederli insieme, ma era difficile resistere al desiderio di guardarla, anche se significava ammirarla accanto a Keenan: non ne era mai stato capace, neanche quando lei era ancora una semplice mortale. Stava sorridendo al Re dell’Estate, tenendolo sottobraccio. In pubblico stava sempre più spesso adottando i formalismi delle creature fatate. Niall gli disse sottovoce: «Non commettere mai l’errore di fidarti di lui: conta i giorni nell’attesa che tu sparisca e sa di potersi permettere di aspettare. So che sei innamorato della nostra Regina dell’Estate, ma sei destinato a perdere la tua battaglia, se insisti a non voler combattere. Cerca di schivare i colpi oppure comincia a rispondere per le rime se non vuoi ritrovarti al tappeto». «Non mi arrenderò», rispose Seth guardando Ash. Aveva pensato la stessa cosa anche lui, più di una volta, negli ultimi tempi. «Ma non voglio neanche lo scontro». «Accettare la lotta significa…», accennò Niall. Ma Seth non udì il resto. Aislinn aveva alzato la testa e lo aveva visto: si era subito scostata da Keenan per raggiungerlo. Come se niente fosse, il Re dell’Estate si era voltato verso una delle sue guardie per dirgli qualcosa, fingendo di non essere ferito dal comportamento di Aislinn. Ma Seth sapeva quanto gli pesasse: ne aveva osservato con attenzione le reazioni e aveva visto cambiare entrambi con la fine dell’inverno. Se solo fosse stato possibile, Keenan avrebbe voluto Aislinn al suo fianco ogni

momento. Anch’io. Niall guardò Seth con un’espressione derisoria mentre Aislinn si avvicinava. «Non mi stai neanche ascoltando, vero?». A Seth pareva di non avere più aria nei polmoni. È perché sono innamorato di lei o perché lei è una creatura fatata? Se l’era domandato spesso. Da quando stavano insieme Aislinn non era più una semplice mortale, perciò era difficile capire come stavano le cose. Quell’attrazione che cresceva di giorno in giorno era normale, oppure era dovuta al fatto di essersi innamorato di una ragazza che si era trasformata nella Regina dell’Estate? Aveva letto abbastanza fiabe negli ultimi tempi per sapere che è difficile per un mortale resistere al fascino di una creatura fatata. È questo che mi sta accadendo? Ma in quell’istante Aislinn scivolò tra le sue braccia, e quando posò le labbra sulle sue, non ebbe più nessuna importanza il perché lui si sentisse tanto attratto da lei, né se gli avvertimenti di Niall fossero fondati o quali fossero le intenzioni di Keenan. Importava solo essere insieme. Sentì il calore del sole sulla pelle mentre lei lo abbracciava. La strinse a sé con più forza di quanta non ne avrebbe usata prima, quando lei era mortale. Adesso era una creatura fatata, non le poteva fare male. Sentì le mani di Aislinn sulla schiena e un rivolo di sole scorrere in quella carezza. Tanta audacia in pubblico era nuova. Staccò le labbra dalle sue. «Ash?». Lei si scostò e Seth fu colto da un brivido. Come se mi avessero portato via il sole. «Scusa». Un lieve rossore le tingeva le guance. Seth non era sicuro di essere in grado di parlare. «Ti amo», sussurrò lei sulle sue labbra. «Anch’io te», le rispose. Ti amo. Ti amerò sempre. Gli si accoccolò contro con un sospiro sommesso. Non era una regina, né una creatura fatata: in quel momento era solo la sua Aislinn. «Tutto okay?». «Adesso sì». Un istante dopo la sentì irrigidirsi. Anche senza vederlo arrivare, aveva sentito la presenza di Keenan alle proprie spalle. Il legame tra loro si stava facendo sempre più forte, il che non rendeva certo le cose più semplici. L’espressione perplessa del Re dell’Estate tradiva un certo smarrimento. Non l’avrebbe mai confessato, ma l’umanità di cui Aislinn mostrava ancora le tracce, la sua capacità di trasformarsi da sovrana del popolo fatato in una normalissima ragazza lo confondevano. Seth l’aveva osservato mentre cercava di comprendere il rifiuto della sua regina di prendere le distanze dal mondo mortale. Per Aislinn vedere gli esseri umani trarre beneficio dai suoi sforzi per rinvigorire l’estate era motivo di forza, la ispirava a impegnarsi, ma era anche fonte di debolezza. Il tempo che passava tra i mortali le rammentava le differenze tra i due mondi e la allontanava dalle creature fatate, creando così un’incrinatura, un elemento di vulnerabilità che costituiva ragione di insoddisfazione all’interno della sua corte.

A ciò si aggiungeva la tensione creata dal rifiuto di Aislinn di essere una “vera regina” per Keenan e la relazione del Re dell’Estate con Donia. La Corte dell’Estate aveva indubbiamente acquistato forza, ma non ancora a sufficienza. Seth sapeva che col tempo tutto ciò sarebbe mutato, soprattutto una volta che i mortali che Aislinn amava fossero invecchiati e scomparsi, ma Keenan trovava difficile accettare l’instabilità che ne derivava. Era preoccupato di cosa sarebbe potuto accadere quando le creature dell’estate fossero divenute più forti e di conseguenza più audaci, nel caso fosse perdurato il malcontento. Le sue premure per Aislinn erano tra le poche cose che Seth apprezzava in lui. Sapeva che per Keenan rappresentava un tesoro da custodire con cura: voleva saperla felice e al sicuro. Ma vuole anche averla tutta per sé. «È ora che tu la smetta, Keenan. Lo vedo cosa stai facendo. Ti ho visto impegnato in questi giochetti per secoli». D’un tratto la voce di Niall si era intrisa di fumo e ombre. «Prova a essere meno egocentrico per una volta». «Non credo che quello che faccio sia affar tuo», esclamò il Re dell’Estate scostandosi da Aislinn e voltandosi ad affrontare Niall in modo da avere alle spalle solo la parete. «Se provi a toccare Seth», disse Niall guardando l’amico, «lo diventerà, te l’assicuro». «Non appartiene alla tua corte». Il sovrano delle tenebre rispose beffardo: «Non ha la minima importanza. Ho perduto Leslie, l’amica della tua regina, e sei tu che hai permesso che fosse tormentata…». «…dalla Corte Oscura, la tua corte, Niall», gli rammentò gettando uno sguardo in direzione di Aislinn, di Seth e degli altri mortali nel locale. Erano in un angolo in penombra e ancora non avevano attirato l’attenzione. «Sì, è la mia corte, e dopo quello che ho imparato dai due sovrani che ho amato e a cui ho dedicato la mia esistenza in passato, non chinerà mai il capo davanti alla tua. Non mettermi alla prova, Keenan». Poi fece un passo verso di lui, riducendo minacciosamente la distanza che li separava. «Fa’ del male a Seth e dovrai risponderne a me». Il Re dell’Estate non replicò. «Dimmi che non hai intenzione di nuocergli, Keenan», la voce di Niall si era trasformata in un ringhio sommesso che Seth non gli conosceva, mentre al suo fianco prendevano forma due creature dell’abisso che come tenebrose lingue infuocate iniziavano a intrecciarsi, oscillare, volteggiargli intorno. Seth sapeva che erano capaci di seminare distruzione a un ordine del loro sovrano, ma non era sicuro se auspicarselo o meno. Malgrado cercasse di non mostrarlo, era in collera con Keenan e lo eccitava il pensiero che Niall gli desse una lezione. Non va bene. Erano impulsi che Seth preferiva tenere a freno. C’erano voluti molti sforzi per diventare quello che era: uno che non faceva a pugni, che non cercava storie di una notte, che non si ubriacava stupidamente, né provava certe cose solo perché erano proibite. E manteneva la calma, anche quando non sarebbe stata la sua reazione istintiva. «Niall?». Seth lasciò andare Aislinn e gli si avvicinò, evitando di sfiorare le danzatrici dell’abisso. «Tranquillo». «Non ha ancora risposto, Seth», replicò Niall con i pugni serrati. «Non ce n’è bisogno». Sapeva che Keenan non lo vedeva di buon occhio. Non aveva mai mosso un dito contro di lui, ma Seth non sarebbe rimasto sorpreso se avesse saputo che aveva pensato a eliminarlo, soppesandone i pro e i contro. Mentre Tavish gli esponeva gli eventuali rischi. Ma non importava. Non serviva. «Non m’interessa sentire cosa risponde». «Ma ad Aislinn sì». Niall, immobile, emanava ondate di ombre verso Keenan, nere sbarre che avrebbero potuto solidificarsi in una vera e propria gabbia. «Scostati, Seth. Per favore».

Seth si allontanò: dopo averlo visto lottare contro la donna corvo, si rendeva conto che mettersi in mezzo a due creature fatate in un momento simile non era una buona idea. Un mortale è troppo fragile. Quel pensiero lo disgustava, ma era così. Mi schiaccerebbero sin troppo facilmente. Qualunque essere fatato sarebbe in grado di distruggermi. «Keenan non farebbe mai del male a Seth», mormorò Aislinn avvicinandosi e prendendo Seth per mano. «Io non glielo perdonerei, e lui lo sa». Niall le lanciò un’occhiata sarcastica. «Sicura?». L’irritazione di Aislinn le fece danzare intorno scintillanti raggi di sole. «Sì». Per un attimo un gran trambusto alla porta li interruppe. Le guardie della Corte dell’Estate stavano cercando di impedire l’accesso a un gruppo di creature fatate coperte di tatuaggi. Invano. Gabriel, il braccio destro del Re del Buio, entrò insieme ad altri sei segugi, tra cui Ani, una mezzosangue, sua figlia, e Chela, la sua compagna, tanto feroce quanto, a volte, tenera. L’ondata di terrore che accompagnava ogni apparizione dei segugi si diffuse mentre i passi pesanti di Gabriel echeggiavano per il locale. E ancora una volta Seth fu grato a Niall del talismano di cui gli aveva fatto dono. Era fragile, è vero, ma almeno Gabriel e il suo seguito non gli incutevano paura. Donia gli aveva dato la seconda vista, permettendogli di vedere il vero aspetto di quelle creature, e Niall gli aveva offerto la protezione necessaria perché non giocassero con le sue emozioni. «Gabe», esclamò Seth, non sapendo se in quel frangente l’arrivo dei segugi fosse positivo o meno. La loro presenza non ispirava di certo calma e prudenza. «È un piacere vederti… spero». Gabriel scoppiò a ridere. «Vedremo». Chela gli fece l’occhiolino. «Mortale». Niall non smise per un istante di fissare Keenan. «Prova solo a toccarlo, e non ti perdonerò. Seth è mio amico e ha la protezione della Corte Oscura». «Keenan non ha nessuna intenzione di fare del male a Seth», ripeté Aislinn. «Ed è al sicuro nella nostra corte. Non ha bisogno di voi». Dopo avere lanciato una rapida occhiata a Niall, Keenan domandò a Seth: «Offri la tua fedeltà alla Corte del Buio, Seth Morgan?». «No». «La offri alla Corte dell’Estate?». Seth sentì Aislinn irrigidirsi al suo fianco. «No, ma non rifiuterei un’offerta d’amicizia qualora mi fosse presentata dall’una o dall’altra corte». «Ogni cosa ha un prezzo…». L’espressione franca di Keenan non era del tutto sincera, Seth lo vedeva: gli stava tendendo un tranello. «Un prezzo che la Corte Oscura non tarderà a esigere: dolore, perversione, sangue… Sei disposto a pagare quello che ti chiedono per comprare la loro protezione?». «Seth?». La preoccupazione nella voce di Aislinn era palpabile. Era probabilmente l’unica a credere che davvero Keenan stesse cercando di avvertire Seth del pericolo che correva. Proponendogli l’amicizia della sua corte, Niall gli stava lanciando un’ancora di salvezza, non un’esca. Seth ne era consapevole. Anche se Aislinn non se ne rende conto. L’amicizia della Corte Oscura era qualcosa di più dell’amicizia di Niall. Significava che tutti i suoi sudditi avrebbero dovuto comportarsi come se Seth fosse uno di loro. Significava permettergli di godere dei benefici di appartenere a una corte senza conoscerne gli obblighi e le costrizioni. Considerata la propria vulnerabilità, significava per Seth avere una riserva di forza cui attingere, la protezione di creature temute dalla maggior parte degli spiriti solitari, nonché dagli esseri dell’Alta Corte e della Corte

dell’Estate. Anche se non fosse servita a infastidire Keenan, sarebbe stata comunque una proposta allettante. «Non ti devi preoccupare», disse ad Aislinn. «Niall è mio amico». «Non ti offro l’amicizia del Re del Buio, ma della sua corte, da pagare con un pegno di sangue. È la moneta che scelgo», esclamò Niall con risolutezza, ma Seth si accorse che temeva un suo rifiuto. «Accetto». Seth distese un braccio davanti a sé e rimase immobile in attesa. Non lo porse a nessuno in particolare: non sapeva cosa sarebbe successo a quel punto. Diverse creature intorno a lui erano in grado di farlo sanguinare anche senza usare un’arma, ma non poche ne portavano una con sé, di qualche genere. Probabilmente sarebbe stato Niall a ferirlo, ma, anche se fosse stato qualcun altro, Seth aveva fiducia che Gabriel o Chela, le due creature delle tenebre di rango più alto, sarebbero stati prudenti e non avrebbero messo in pericolo la sua vita. Solo Keenan mi vuole male. «Avete la mia fiducia», disse a Niall e ai segugi. «Ne sono, ne siamo, onorati», rispose Niall e si chinò su di lui per dirgli con un filo di voce, «ma resistere alle tentazioni non è il punto di forza del Re del Buio». E con un sorriso malevolo si voltò e sferrò un pugno a Keenan con tanta violenza da fargli sbattere la testa contro il muro con un tonfo sordo. In una frazione di secondo tutti gli esseri fatati nel locale divennero invisibili. Vedendolo accasciarsi al suolo, Aislinn corse verso Keenan. I segugi si schierarono al fianco di Niall creandogli intorno una barriera minacciosa. Le danzatrici dell’abisso fremevano. E Niall si leccò le nocche insanguinate. «Accordo concluso. Nessuno aveva detto che il sangue dovesse essere tuo, Seth».

Capitolo 9

Aislinn si era posta tra Niall e Keenan prima ancora che il pensiero di difendere il suo re avesse preso forma nella sua mente. «Fermati». «Non ti consiglio di sfidarmi». Niall le voltò le spalle e fece per andarsene. Aislinn lo seguì. Si rendeva conto che la collera la stava spingendo ad agire stupidamente, ma non le importava. Il suo re era stato ferito e lei aveva il dovere di reagire contro chiunque attaccasse la Corte dell’Estate o cercasse di indebolirla. La corte in questo caso non c’entra, però. C’erano in ballo vecchi conflitti irrisolti tra i due sovrani e il timore, da parte di Niall, che Keenan potesse nuocere a Seth. Si tratta di una faccenda personale, non di corte. Non era razionale intervenire. Ma Keenan è privo di sensi. Aislinn afferrò Niall per un braccio. Sentì odore di pelle bruciata: il sole era divampato in lei con più violenza di quanto non si fosse resa conto. Lui non batté ciglio. Accostò il braccio e di conseguenza trasse a sé Aislinn, finché le dita di lei, premute contro il proprio torace, non crearono piccoli fori nel tessuto della sua camicia. Invece di lasciarla andare, la tenne tanto stretta che fu costretta a reclinare il capo all’indietro per guardarlo. «La mia corte gioisce all’idea di un conflitto con quella dell’Estate… e io», aggiunse sorridendo, «mi chiedo se non accontentarli». «Lasciami». Aislinn cercò di liberare la mano e di concentrarsi per evitare di irradiare tanto calore. Lui l’agguantò per il polso. «Il sangue di chiunque sarebbe servito allo scopo, ma io volevo vedere scorrere quello di Keenan. Non ho violato nessuna regola. E poi lo vuoi proprio sapere? Immaginavo che mi sarebbe piaciuto di più». Lanciò un’occhiata alle proprie spalle, là dove il Re dell’Estate era ancora a terra, esanime. «E non mi sbagliavo». La lasciò andare. Aislinn arretrò con cautela. «L’hai ferito». «E tu me. La differenza, Aislinn, è che io lo rifarei ogni giorno se me ne fosse data ragione. E tu?». Niall non parlava più come il consigliere che l’aveva aiutata ad accettare il suo ruolo di Regina dell’Estate, né tanto meno come il ragazzo che aveva corteggiato Leslie. Il vecchio Niall era scomparso e Aislinn aveva davanti una delle creature fatate più feroci, quelle da cui aveva cercato di fuggire per tutta la sua infanzia. Controllando a stento la forza prorompente del suo sole, gli scoccò un’occhiata furibonda. «Non sono stata io a cominciare». «Vuoi che faccia scoppiare una guerra vera? Il conflitto che le mie creature bramano tanto? Nella mia corte si mormora e sento ripetere senza sosta come sarebbe facile soggiogarvi finché siete ancora tanto deboli. Mi è sempre più difficile ignorare le loro suppliche». Le danzatrici delle tenebre gli ondeggiavano intorno, ombre dotate di vita. Gabriel e i suoi segugi erano all’erta, pronti

all’attacco. Rischiamo di avere la peggio. Avevano un piccolo seguito armato. Non avevano previsto guai. Certo, giravano voci di possibili disordini, ma tra le creature fatate non mancavano mai le divergenze. Era funzione dei loro sovrani tenere le controversie sotto controllo. Niall un tempo era stato dalla loro parte. Donia altrettanto. Le due corti che in passato avevano creato problemi adesso erano guidate da due sovrani che erano stati molto, molto vicini a Keenan. Il Re dell’Estate aveva creduto che quel passato in comune avrebbe protetto la sua corte. Sapeva che non erano ancora abbastanza forti, ma non riteneva che la situazione fosse critica. Non funziona così, tra le creature fatate, Aislinn, l’aveva rassicurata. Non siamo tanto bellicosi. E lei gli aveva creduto. Sino a quel momento. «Ti spavento, Ash?». La voce di Niall era un sussurro sommesso, intimo, come se fossero soli. «Ti faccio tornare in mente che in passato ci consideravi dei mostri?». «Sì», gli rispose turbata. «Bene», esclamò lui guardando il muro d’ombre in cui l’aveva rinchiusa. L’unica creatura fatata in grado di aiutarla a infrangere quella gabbia era fuori, a terra, e Aislinn da sola non sapeva cosa fare per liberarsi. Come se si fosse trattato di un dettaglio di poco conto, Niall aggiunse: «Il tuo re non è capace di combattere, non ha mai imparato. Ha sempre lasciato che lo facesse qualcun altro al suo posto». Le ombre si fecero più fitte, serrandoli da ogni lato. Aislinn provò a spingerle e le parve di toccare un viscido muro di piume. Il buio di una notte senza luna. Avidità. Paura. Rabbrividì. Fame. Nere ondate di fame. Zanne. Ritirò la mano cercando di concentrarsi su Niall. «Perché? ». «Perché sto cercando di proteggere il mortale di cui sei innamorata?». Niall scosse il capo. «Non voglio che Keenan distrugga anche lui e tu hai dimostrato di non saper difendere i tuoi amici dalle sue macchinazioni. Provvedi alla tua corte, ma i tuoi mortali…». «È stata la tua corte a ridurre Leslie in quello stato». «E tu avresti potuto salvarla. Se le avessi offerto protezione prima che lui la legasse a sé…», le sue parole finirono in un ringhio cupo. «Non l’hai protetta. E non proteggerai Seth». «Ho fatto degli errori, ma non nuocerei mai a Seth. Lo amo». Aislinn si sentì assalire da una collera feroce. Niall l’aveva intrappolata, aveva aggredito il suo re e adesso stava dicendo che Seth era in pericolo per colpa sua. Prima gli aveva fatto sentire il fuoco del sole involontariamente, per mancanza di autocontrollo, ma ora… desiderava vederlo soffrire, sentirlo gridare di dolore. La collera stava esplodendo e in quel momento la regina non vedeva ragione di domarla. In quella gabbia di ombre l’aria si fece spaventosamente calda. Aislinn sentì sulle labbra il gusto acre dell’aria del deserto. «Colpiscimi, Ash. Forza. Dammi ragione di sguinzagliare le mie creature contro la tua corte. Convincimi a dare loro il permesso di torturare le tue fragili Ragazze dell’Estate. Invitami a dare ordine che venga sparso il sangue dei tuoi spiriti del sorbo», sussurrò in un tono che non evocava violenza, bensì un’alcova al lume di candela. Era quella la natura della Corte del Buio: sesso e sangue, paura e desiderio, rabbia e passione. Con una mano le accarezzò una guancia: «Offrimi il motivo di assecondare le loro brame». Irial era meno pericoloso. Ecco il punto debole di Niall: Irial. Smettila di trattarlo amichevolmente. Non pensare a lui come se fosse un mortale. Aislinn non riusciva a districare il groviglio di pensieri che le si affollavano in mente mentre cercava di capire cosa fare. Quel poco che sapeva del popolo fatato non le era di grande utilità. Da tempo ormai aveva accettato di non

poter più fare ricorso alle regole che le aveva insegnato la nonna. Una, tuttavia, era ancora valida: Se scappi, ti inseguiranno. Avanzò, gli si fece più vicina. «Il sovrano che ti ha preceduto sul trono delle tenebre provò a tentarmi. Qui, in questo stesso luogo…». Niall scoppiò a ridere, una risata gioiosa, quasi, ma fu questione di un istante, poi ogni piacere repentinamente disparve. «Se ci avesse provato sul serio, saresti stata sua. No, Ash… Sei stata la distrazione di un attimo, un breve flirt. Irial è sempre stato così». «Keenan dice che sei anche tu un Gancanagh come lui. Non lo sapevo, prima», disse, pur scontenta dei sotterfugi del suo re e del dolore che avevano provocato, cercando di essere onesta. «Non è cambiato nulla? I tuoi baci sono ancora una droga?». «Perché? Ne vuoi un assaggio?». C’era qualcosa di ferino in lui: Aislinn lo vide sotto la sottile patina di comportamento civile che si sforzava di mantenere. Non era una facciata che sarebbe stato consigliabile, né tanto meno prudente, infrangere, ma preferì non ascoltare quell’avvertimento. «Allora dobbiamo seriamente cominciare a trattarti come lui…». «No». Niall le posò una mano sulle spalle e la schiacciò contro quella barriera di tenebre. «È meglio invece che ricordiate che Irial non ha mai desiderato vedere Keenan in ginocchio. Io invece sì. Io ho solo bisogno di una scusa. Me la dai questa scusa, Ash?». Il muro alle sue spalle insinuava in lei un orrore intollerabile: tentazioni pericolose le frusciavano sulla pelle, immagini che non voleva vedere le affollavano la mente. Keenan tra le mie braccia. Tutto per me. Non solo un assaggio, ma annegare dentro di lui. L’energia del Buio incitava la sua mente a spingersi in recessi proibiti. Tentazioni oscure sostituivano nei suoi pensieri l’essere fatato che concupiva al mortale che amava. Sentì il cuore scalpitare mentre le ombre la trascinavano tra le sabbie mobili della sua voluttà e delle sue paure più nascoste. «Io…», si morse il labbro per impedirsi di pronunciare quelle parole e ammettere che in quel momento c’era solo Keenan nei suoi pensieri. «Lo so cosa vuoi, Ash. Io invece voglio il suo sangue», disse Niall gettandogli un’occhiata attraverso la barriera di ombre. «Un passo falso che mi conceda la possibilità di attaccare». «La possibilità?», ripeté Aislinn cercando di squarciare le ombre che la stavano avvolgendo. «Sì, devo poter giustificare le mie azioni a me stesso, a Donia, a Seth». «Ma…». «La mia corte vuole la guerra. È per questo che mi hanno accettato come sovrano… È per questo che Bananach non mi abbandona un momento: viene da me imbrattata di sangue, avida di succhiare la mia ira». Niall guardò Seth che cercava invano di abbattere il muro che lo separava da Aislinn. «Seth ti ama. Proteggilo da Keenan… Oppure avrò una ragione in più per dare libero sfogo alle perversioni e alla crudeltà della mia corte». Aislinn guardò Seth: stava cercando di dirle qualcosa, ma quel muro fumoso le impediva di sentirlo. Vedeva, però, la sua espressione sconvolta, furibonda. Il suo Seth, sempre così calmo, era una maschera di livore. «Se Seth mi perdonasse, Ash, ti userei per provocare il tuo re e ottenere la scusa che cerco». Le strinse una spalla. «Hai fatto del male a Leslie con la tua stupidità. Hai fatto del male a me». La spinse ancora una volta tra le spire di quelle ombre tanto che lei temette che il cuore le scoppiasse. Sentì che il terrore stava per ghermirla, invadendo ogni angolo di pace in lei e dando vita a tutte le paure e i dubbi che avesse mai nutrito. Sola. Maldestra. Debole. Sciocca. Non sono in grado di proteggere Seth. Danneggio la mia corte. Non rendo felice il mio re.

«Mi dispiace. Non volevo che succedesse nulla a Leslie. E tu lo sai…». Cercò di concentrarsi, di pensare al calore che le ardeva dentro, alla serena dolcezza del sole estivo, alla sua forza. Non era abbastanza, però, non contro un sovrano potente come Niall, con tanta esperienza alle spalle. «So che non sei crudele. So che non sei cattivo». «Ti sbagli». Lo sguardo di Niall corse a Gabriel e ai suoi segugi, vaghi profili al di là della gabbia eretta intorno a loro. Infine allontanò Aislinn da quel muro d’ombre. «Chiedilo alle tue Ragazze dell’Estate se sono tanto buono. Chiedilo a Keenan quando si rialza. Chiedilo a te stessa, se la tua paura di me è fondata oppure no. Sei sola con un mostro, Aislinn… che non desidera altro che cibarsi della tua voluttà, dei tuoi timori, della tua collera». No, non sono sola. Quel pensiero servì a calmarla. C’era una persona al di là di quelle sbarre che l’amava e c’era un essere fatato che le era indissolubilmente legato. Seth le dava coraggio, Keenan era la luce del sole. Attirò il sole, suo e di Keenan, a fior di pelle e con il suo calore scacciò le ombre che erano penetrate in lei. «Devo andare. Liberami». «Oppure?». Senza altro pensiero se non quello di piegare il Re del Buio al potere della Corte dell’Estate, Aislinn scagliò quell’incendio contro di lui. Languore e sazietà, corpi odorosi di sole, caldi folate di scirocco lo travolsero. Giusto scotto per le ombre che le ho fatto assaggiare. Tutto il peso del piacere dell’estate, con una punta di sofferenza. «Siamo diventati più forti. Non provocare Keenan… né me». Le mani di Niall la stavano ancora trattenendo, ma lo vide chiudere gli occhi. Aislinn ritenne che avesse capito. Per un attimo desiderò dirgli che non avrebbe voluto che le cose andassero in quel modo. Che desiderava la pace. Qualche breve istante di speranza e di rimorsi e, prima che potesse decidersi, Niall riaprì gli occhi. E lei vide, spalancate davanti a sé, le fauci dell’abisso. «Pensi ancora come una mortale, Aislinn», le disse leccandosi le labbra. «O forse come Keenan… Non è con queste ridicole dimostrazioni di forza che potete intimidirmi». Aislinn barcollò, cercando di allontanarsi. «Anche se Seth non mi fosse amico, non cercherei mai di sedurti. Preferirei allungare una mano su di te e spezzare queste ossa tanto delicate». La schiacciava con il proprio corpo contro il muro dietro di lei. «Sono il Re del Buio, non un vigliacco che puoi spaventare con un fiotto di collera improvvisa. Ho vissuto al fianco di Irial. Ho imparato a combattere con i segugi di Gabriel». La strinse finché Aislinn si rese conto di quanto, malgrado tutto, fosse vulnerabile contro di lui, contro un sovrano fatato. Seth continuava a lottare con le ombre che la avvolgevano. Aislinn ne scorgeva la mano, avrebbe quasi potuto toccarla se fosse stata in grado di penetrare quella barriera. Una terribile frustrazione gli alterava i lineamenti. Quando si voltò a guardarlo, il terrore stampato in volto, lo vide imprecare e tentare di scuotere Keenan, esanime, a terra. Alcuni segugi, appostati intorno a Keenan, osservavano immobili gli sforzi di Seth di far tornare in sé il Re dell’Estate. Altri, alla porta, sbarravano il passo a qualsiasi creatura fatata. «Puoi essere una buona sovrana per la tua corte e hai buon cuore, Aislinn. Non lasciare che la tua fiducia in Keenan ti porti a danneggiare Seth. Oppure ti costringerò a pagare per tutto il male che hai fatto». La lasciò andare disperdendo il muro che la circondava. Aislinn crollò a terra. Con aria di suprema indifferenza Niall passò accanto al mortale di cui aveva preso le difese, al re che un tempo aveva servito e alle sue creature, allontanandosi.

Ma Seth lo trattenne. «Cosa diavolo ti è saltato in mente? ». Gli pareva di avere perso anche l’ultimo brandello di calma che aveva conquistato con tanta fatica. «Non puoi…». «Seth. No», disse Niall afferrandolo per un braccio. «La Corte dell’Estate aveva bisogno di ricordare che non sono più ai loro ordini». «Non sto parlando della corte. Ma di Ash. Di quello che hai fatto ad Ash». «Ascoltami bene», disse Niall fissandolo e pronunciando ogni parola con la massima chiarezza e precisione. «Non le ho fatto niente. È spaventata forse, ma le servirà. Se le avessi fatto qualcosa, in questo momento saresti accanto a lei, a soccorrerla, e non qui. Lo sai tanto quanto me». Seth non poté replicare. Farlo avrebbe significato mentire e lui cercava di evitarlo quando aveva a che fare con Aislinn o con Niall. Due creature delle ombre erano avvinghiate al corpo del Re del Buio, quasi tangibili come esseri viventi. Un ragazzo, alle sue spalle, il corpo diafano proteso, allungato in modo da abbracciargli le spalle e intrecciare le mani sul suo petto. E una ragazza accanto, con una mano posata sul suo cuore, sopra le mani del suo compagno. Distrattamente Niall prese ad accarezzare quell’intreccio di mani. «Mi ha sfidato», dichiarò. «Io posso essere solo me stesso, Seth. Ho trascorso secoli interi al guinzaglio della Corte dell’Estate e non permetterò che accada mai più. Le ho dato la possibilità di fare dietrofront e mi ha minacciato». «Perché tu avevi steso Keenan con un pugno…». Niall si strinse nelle spalle. «Siamo tutti costretti a fare delle scelte. Lei ha deciso di mettermi alla prova. E io di mostrarle la sua stupidità». «L’avevi provocata». «Non le ho torto un capello», ripeté il re con aria torva ma addolcendo il tono. «Non voglio discordia tra noi, fratello. Ho fatto quanto era necessario». «Qualsiasi cosa accada, in futuro…». Seth sapeva di non poter esigere promesse da Niall. Aislinn avrebbe vissuto l’eternità sul trono di una corte nemica. Non poté dire altro che: «…a lei non deve accadere nulla». «E a Keenan?», domandò Niall con voce priva di emozione. «Mi rimproveri di averlo colpito?». Seth tacque per qualche istante cercando di trovare le parole giuste. Niall attese, immobile, eccezion fatta per il lieve respiro, abbracciato dalle due creature delle ombre. «No. Non voglio che succeda nulla ad Aislinn. Non voglio che succeda nulla a te. Ma lui non può passarla liscia se si prende gioco di uno di voi fino a farvi del male». Niall trasse un sospiro di sollievo e le due figure avvinghiate a lui svanirono, ritirandosi nel nulla da cui provenivano. «Farò del mio meglio. Va’ da lei ora». E Seth si accinse a raggiungere la creatura che amava e non era stato di grado di aiutare e che, in quel momento, stava stringendo un altro tra le braccia. L’aveva vista in pericolo e non aveva potuto fare nulla. E se non fosse stato Niall a minacciarla? Cos’avrei potuto fare se l’avesse aggredita davvero? Era fatalmente debole. Non che Keenan sia stato di grande aiuto, ma la differenza ovviamente stava nel fatto che, se non fosse stato privo di sensi, il Re dell’Estate avrebbe potuto contrastare Niall, e l’avrebbe fatto, se avesse visto Aislinn in pericolo.

Essere mortali a volte è proprio uno schifo.

Capitolo 10

«Sei sicuro di poterti alzare?». Aislinn aveva la testa di Keenan sulle ginocchia. Il Re dell’Estate sembrava più imbarazzato che in collera. Gli era rimasto impresso sulla fronte il segno delle sue labbra e le gote scintillavano nella penombra. La faceva sentire in colpa, quella prova di averlo baciato. Non era stato un gesto amoroso, né era la prima volta. Si erano accorti del potere taumaturgico dei suoi baci quando Aislinn era ancora mortale, prima di affrontare la prova che l’avrebbe trasformata nella Regina dell’Estate. Tuttavia, dopo quello che era accaduto di recente tra loro e alla luce dei pensieri indecorosi tra le grinfie di Niall, Aislinn era a disagio. Keenan si levò a sedere e si scostò. «Non ho bisogno di essere trattato come un bambino». «Ti senti bene? Non ti gira la testa?». Le rimase seduto accanto, ma a una certa distanza. Lanciò un’occhiataccia a Seth. «Sarà contento adesso». Aislinn s’irrigidì. «No, Keenan. Non dare la colpa a Seth se Niall è in collera con te». «È a causa sua che mi ha colpito». Non si era ancora alzato in piedi, probabilmente perché temeva di non esserne in grado. «Ed è a causa tua che io l’ho aggredito». Un sorriso crudele illuminò il volto di Keenan. «Be’, mi sembra il minimo». Aislinn si volse a guardare Seth, immobile in mezzo alla sala. Non si sarebbe avvicinato finché loro due discutevano. Lui la trattava sempre con rispetto. «Se avessi visto cosa… Niall… quando…». A quel punto fu Keenan a irrigidirsi. «Quando Niall cosa? ». «È più forte di me». Aislinn si strinse le braccia al petto. «Se avesse voluto ferirmi, avrebbe potuto farlo. Non sarei stata in grado di contrastarlo». «Ti ha fatto qualcosa?». Le si era avvicinato, le stava accarezzando le braccia, come se volesse stringerla a sé. E io vorrei che lo facesse. Era solo un desiderio istintivo, e non necessario: non le era successo nulla. «No. Solo qualche livido, niente più… E la colpa è tanto mia quanto sua». Arrossì. «Mi sono lasciata trascinare dalla rabbia. Lui stava allontanandosi, tu eri privo di sensi e io… ho perso la testa». Gli raccontò cos’era successo. «Cos’hai provato toccando le ombre?». Keenan non era più offeso né in collera. Il suo tono di sfida era lo stesso della conversazione nel suo studio. «Qual era il tuo desiderio più nascosto?».

Aislinn chinò il capo. «Questo no… non te lo dico. Non era la verità, solo il risultato di una perversione nata da…». Le morirono le parole sulle labbra, incapace di mentire. «Quello che provi per me non è una perversione, Aislinn. È così difficile ammetterlo? Neppure questo mi puoi concedere? », insistette, come se sentirglielo dire potesse cambiare qualcosa, come se una sua ammissione in quel momento fosse non meno importante dell’attacco subito da parte del Re del Buio. A che pro? «Conosci già la risposta, e per di più non cambia nulla. Io amo Seth». E, così dicendo, si alzò per avvicinarsi a lui, cercando di dimenticare quella sgradevole discussione. Neanche Seth era contento, glielo si leggeva in faccia. «Tutto a posto, Keenan?», domandò Seth mentre si sedevano a un traballante tavolino che le guardie avevano liberato per loro. «Il suo orgoglio non tanto, ma per il resto pare di sì». «E tu?». Seth non era mai invadente. Sapeva che se avesse avuto bisogno del suo aiuto glielo avrebbe chiesto: aveva fiducia in lei. «Un po’ scossa». «Niall…». Seth scosse la testa. «Non credo che ti avrebbe fatto del male, però, mentre eri dietro quelle ombre, non ne ero tanto sicuro. Sembravi così terrorizzata quando ti ha spinto contro quella gabbia: cos’era?». «Energia della Corte Oscura, come i miei raggi di sole o il ghiaccio di Donia. Niall è circondato da terrore, rabbia, appetiti sensuali. Emozioni tenebrose. Come quelle che provoca Niall intorno a sé». «Appetiti sensuali?», ripeté Seth. Aislinn arrossì. E Seth pronunciò le parole che lei non aveva il coraggio di dire: «Non per il Re del Buio». Lo vide lanciare un’occhiata in direzione di Keenan con immensa tristezza. Poi si sporse verso di lei e le prese la mano. Nessuna domanda. Neanche adesso. Si fidava di lei. Intanto era cominciata la musica: Damali cantava di libertà e proiettili. La sua voce possedeva un’intensità che avrebbe fatto il successo del loro gruppo, se i testi non fossero stati tanto mediocri. Senza dire una parola, Keenan li raggiunse e si sedette con loro. Come Aislinn, e probabilmente Seth, anche lui aveva una faccia poco entusiasta di quell’incontro a tre. Alla fine della canzone, Seth si voltò verso di lui e chiese: «Tutto okay?». «Sì». Keenan serrò le labbra in una smorfia nel tentativo di sorridere. La musica riprese, evitando a tutti la necessità di fare conversazione. Aislinn, che di solito non lo faceva in pubblico, si andò a sedere sulle gambe di Seth, lui le passò un braccio intorno alla vita e la strinse. Malgrado la musica a tutto volume, le parve tuttavia che tra loro ci fosse una pesante cortina di silenzio. Non c’era collera, ma entrambi conoscevano la precarietà del loro rapporto. Prima di alzarsi, Keenan le rivolse uno sguardo strano che Aislinn non aveva voglia di interpretare. Ferito? Irato? Poco importava: sapeva solo che, ogni volta che lui si allontanava, sentiva uno strappo seguito dall’impulso irresistibile di seguirlo. Di solito, se ignorava quella

sensazione per un po’, si affievoliva o almeno lei smetteva di pensarci con tanta insistenza, ma i primi istanti erano terribili. E di giorno in giorno andava sempre peggio. Era come rifiutarsi di respirare dopo essere riaffiorati da un lungo tuffo sott’acqua, come dire al proprio cuore di smettere di battere così in fretta dopo un bacio interminabile. Seth le sfiorò una guancia. «Andrà tutto bene». «Lo voglio tanto», chinò il capo per seguire la sua carezza. Era meglio essere onesti: lui era la sua ancora di salvezza, l’unico vero punto fermo della sua vita. Posso dirgli qualsiasi cosa. Mi capisce. Si sentì sciocca per avergli nascosto i propri sentimenti. Ancora una volta. Quando si era confidata e gli aveva raccontato del popolo fatato, Seth le aveva creduto. Aveva fiducia in lei. Era lei che ancora non era in grado di ricambiarlo. Seth capiva cosa le succedeva, non perché fossero uniti da qualche strano legame fatato, ma perché la conosceva. Non per questo si era innamorata di lui, ma era importante. La sua calma, la sua sincerità, il suo talento artistico, la sua passionalità, le sue parole… le ragioni di amarlo erano più di quante lei non avrebbe mai immaginato. A volte non riusciva a capire cosa Seth vedesse in lei. «Vuoi parlare?». Si voltò verso di lui. «Sì. Solo… non qui, non adesso». «D’accordo. Aspetterò. Come al solito». Per un attimo riapparve sul suo viso la frustrazione di qualche minuto prima. «Forse dovresti andare a salvarlo dalle grinfie di Glenn». «In che senso?». Aislinn non aveva voglia di andare a salvare nessuno. Voleva rimanere tra le braccia di Seth. Voleva trovare il modo di parlargli del casino che aveva dentro. E voleva cercare di appianare le cose. «C’è Glenn al bar stasera. Lo sai come tratta Keenan se noi non ci siamo e non credo che lui apprezzerebbe particolarmente la mia presenza in questo momento». «È stato Niall ad aggredirlo, non tu. Dovrebbe essere in grado di capirlo». Seth ignorò le parole di Aislinn e disse: «Va’ a salvare il tuo re, Ash. Il suo orgoglio è già stato ampiamente ferito stasera, e lo sai come diventa quando si sente offeso». Keenan tornò per primo. Porse una birra a Seth. «Non c’era bisogno che Aislinn mi seguisse». «Abbiamo pensato che tu non avessi voglia di essere maltrattato da Glenn». Il Re dell’Estate sembrava più immusonito del solito. Non gli piaceva il Crow’s Nest, anche se non l’avrebbe mai detto ad Aislinn. La seguiva ovunque e faceva qualsiasi cosa la rendesse felice. Se anche lui non avesse provato esattamente la stessa cosa, Seth avrebbe potuto trovare quell’atteggiamento irritante. Chi voglio prendere in giro? È irritante da morire. Keenan si sedette concentrandosi sul gruppo che suonava. Non erano male, ma non meritavano certo tanta attenzione; forse Damali, ma gli altri erano appena passabili. Seth non aveva nessuna voglia di fingere che andasse tutto bene. «Non so cosa sia successo tra voi due, ma posso immaginarlo…». Lo sguardo di Keenan confermò i suoi timori. «Ecco. Il fatto è che se decide di concederti qualcosa di più della sua amicizia, io ci starei da cani. Probabilmente come ti senti tu in questo momento».

Keenan lo osservava, immobile come un leone in gabbia che valuta l’avversario. Malgrado tutte le maschere umane di cui si ammantavano, di umano gli esseri fatati avevano ben poco. Anche ad Aislinn era rimasto poco e più tempo passava, più diventava diversa dai mortali. E da me. Era facile dimenticarsene, però Seth stava imparando a tenere in mente che non aveva a che fare con degli esseri umani. Non significava che fossero malvagi, soltanto che agivano in base a regole diverse. Dopo avere trascorso tanto tempo tra gli uomini, a volte Keenan poteva essere scambiato per uno di loro, ma se Aislinn non avesse insistito per non perdere Seth… be’, né lui né il Re dell’Estate si facevano illusioni al riguardo. Ha pensato seriamente di uccidermi. A volte traspariva dalle parole di Keenan un’indifferenza assoluta per la sorte di Seth. Io almeno, la sento. «Me ne accorgo, sai», riprese Seth. «La guardi come se non esistesse altro al mondo per te. E anche lei lo sente. Non so se sia l’arrivo dell’estate, o cosa». «È la mia regina», gli rispose lanciandogli un’occhiata in tralice prima di rivolgere di nuovo lo sguardo verso il palco. Se Seth avesse creduto che Keenan era davvero interessato a Damali, si sarebbe preoccupato per lei. «Già. Me ne rendo conto. Come mi rendo conto che non hai nessuna intenzione di semplificarmi la vita». «Ho fatto tutto quello che Aislinn mi ha chiesto o suggerito». «Grazie tante, era solo da qualche mese del vostro mondo», sbuffò Seth. «Ma è chiaro, neanche a me piace troppo aiutarti, del resto. Lo faccio solo se lei me lo chiede». «Quindi ci intendiamo», commentò Keenan senza distogliere lo sguardo da Damali, che stava ormai dando il meglio di sé: la sua voce era tersa e vibrante. «Lo spero». E a quel punto Seth lasciò che tutta la rabbia che aveva cercato di tenere sotto controllo trasparisse dalle sue parole. «Ma giusto perché tu lo sappia: se ti approfitti di lei o la spingi a fare qualcosa che non vuole, userò con piacere l’influenza che ho». In altre circostanze lo sguardo beffardo di Keenan sarebbe stato divertente, perché assomigliava all’espressione offesa che aveva sempre Tavish. «Credi di essere più in gamba di me?». Seth si strinse nelle spalle. «Non lo so. Niall ti ha preso a cazzotti per proteggermi. Donia non ti vuole vedere ultimamente, ho sentito dire. Chela e Gabe mi sono affezionati: se necessario, chiederò il loro aiuto». Giocherellò con il piercing che aveva sul labbro mentre soppesava le parole. «Se è lei a scegliere, è una cosa, ma se tu usi il vostro legame per i tuoi fini, è diverso». E a quel punto il sorriso di Keenan non ebbe più nulla di umano e Seth vide in lui la creatura senza tempo che sedeva impassibile in quel luogo terreno come un antico dio disceso tra il volgo. «Sai che potrei farti uccidere e prima dell’alba saresti ridotto a un mucchietto di cenere. La tua presenza indebolisce la mia corte: sono secoli che aspetto di essere libero dalle catene che mi avevano privato dei miei poteri, ma a causa tua la mia regina insiste a non scrollarsi di dosso il fardello della mortalità. A causa tua rifiuta di fare quanto consoliderebbe la mia corte. Non vedo ragione per non desiderare di saperti sottoterra prima di quando non ci finirai comunque». Seth si sporse verso di lui perché nessuno lo udisse. «Hai intenzione di ordinare la mia morte, Keenan?». «Uccideresti per lei?». «Sì. Per lei, per proteggerla, sì, soprattutto se si trattasse di uccidere te», rispose Seth con un sorriso, «ma non per attirare la sua attenzione. Sarebbe una debolezza e lei non la merita».

«Prima o poi dovrà piangere la tua scomparsa. Il pensiero della tua breve vita la preoccupa, la rattrista, la distrae. Sarebbe meglio per la mia corte se tu fossi già morto e lei, mia…», disse lasciando quelle parole in sospeso mentre lo fissava con un’espressione imperscrutabile. «Se mi farai uccidere, lei lo scoprirà. Credi sul serio che poi la tua corte ne uscirebbe rafforzata?». Seth distolse lo sguardo per girarsi verso Aislinn che si stava avvicinando. Vedendoli discutere, si accigliò, ma non affrettò il passo né altro. Seth si volse di nuovo a guardare Keenan che, immobile come una belva feroce, osservava la sua regina. Con un filo di voce rispose: «No, la tua morte per mio volere la turberebbe. Tavish me l’ha suggerito, a dispetto di tutto, ma io ritengo che sarebbe un azzardo. Non posso ordinare che tu sia tolto di mezzo, per quanto l’idea mi tenti. La allontanerebbe da me». Seth aveva il cuore in gola. Una cosa era ipotizzare che la propria sorte fosse stata discussa freddamente, un’altra sentire confermati i propri sospetti. «È per questo che non lo fai?». «In parte. Speravo di poter stare con Donia, almeno per un po’. Invece siamo tutti e due tormentati, io e Aislinn, per gli amanti che non possiamo avere. Non è così che dovrebbe sentirsi l’estate: la nostra corte è un luogo di frivolezza, istintività e piacere da capogiro. Non sono innamorato di Aislinn, ma la Corte dell’Estate sarebbe più potente se lei fosse mia. I miei istinti mi spingono verso di lei. E questo crea un divario sempre più grande tra me e Donia. E lo sappiamo tutti che se non ci fossi tu in mezzo, Aislinn sarebbe mia». Seth osservò Keenan seguire la sua regina con lo sguardo. Aveva la bocca secca. «Ma…?». Con uno sforzo Keenan staccò gli occhi da Aislinn. «Ma io non uccido i mortali… neanche quelli che costituiscono un ostacolo sul mio cammino. Per il momento affronterò la situazione senza fare nulla per modificarla. Non sarà per sempre». Aveva un tono mesto, però a Seth non era ben chiaro se fosse dovuto al fatto di averlo tra i piedi o che. «Aspetterò». Più tardi avrebbe riflettuto su quelle parole di Keenan, ma in quel momento Aislinn gli scivolò tra le braccia. E, indicando Damali, disse: «È in gamba». Entrambi mormorarono un debole sì. «Mi ha fatto venire voglia di ballare», disse lei dondolandosi sulle gambe di Seth. «Ti va?». Prima che lui potesse rispondere, Keenan si chinò e le sfiorò una mano. «Mi dispiace, devo andare». «Andare? Adesso? Ma…». «Ci vediamo domani». Si alzò lentamente, muovendosi con l’eleganza non del tutto umana delle creature fatate. «Le guardie ti aspettano fuori per scortarti… dove vorrai andare». «Da Seth», sussurrò lei, arrossendo. Keenan non batté ciglio. «A domani allora». E in un attimo disparve, più rapido di qualsiasi occhio mortale, anche dotato della seconda vista.

Capitolo 11

Seth non fu sorpreso che Aislinn, dopo un paio di canzoni soltanto, preferisse andare via. Era sempre stata così e il mutamento in creatura fatata non l’aveva cambiata: non le piaceva nascondergli niente. Aveva dovuto tenere segrete così tante cose in passato che istintivamente, se temeva un rifiuto, tendeva a farlo ancora. Comprendere quella sua debolezza non significava accettarla. Avevano percorso poco più di un isolato, quando le domandò: «Allora ne parliamo o no di questa cosa che ti preoccupa tanto?». «Dobbiamo proprio?». La fissò inarcando un sopracciglio. «Lo sai che ti amo, vero?», le disse chinandosi a posare la fronte contro la sua. «Sempre e comunque». Lei rimase in silenzio per un attimo, tesa, poi proruppe: «Keenan mi ha baciata». «L’avevo immaginato». Passandole un braccio attorno alla vita, riprese a camminare. «Come?». L’ansia la fece scintillare. «Si comportava in modo troppo strano. Tu pure», le disse scrollando le spalle, senza fermarsi. «Non sono cieco, Aislinn. Lo vedo. Mi sono accorto che il vostro legame sta diventando sempre più potente con l’arrivo dell’estate». «Sì. Cerco di non lasciarmi travolgere, ma non è facile. Ce la farò, però. Sei arrabbiato?». Lui rimase in silenzio un istante soppesando le parole prima di rispondere. «No. Non mi fa piacere, ma da Keenan me l’aspettavo. Non m’interessa quello che può aver fatto. Dimmi cosa desideri tu». «Te». «Per sempre?». «Se solo fosse possibile». Lo stringeva con forza, quasi temesse che sarebbe scomparso se lo lasciava andare. Gli stava facendo male. Lui era un mortale, lei non più. «Ma non è possibile. Non posso condannarti a questa vita». «E se invece fosse proprio quello che desidero?». «Sarebbe un errore. Io non sono felice di essere così, perché mai tu…». Gli si fermò davanti, fissandolo. «Lo sai che ti amo. Amo solo te. Se non avessi te nella mia vita… non so cosa farò quando tu…», scosse la testa. «Ma non dobbiamo pensare a queste cose. Gliel’ho detto a Keenan quando mi ha baciato. Gli ho detto che amo te e che per lui provo solo amicizia. Non ho ceduto alle sue insistenze quando ero mortale e non lo farò ora». «Eppure…». «Eppure a volte sento qualcosa che mi spinge verso di lui. Come se staccarmi da lui fosse un

delitto». Aveva un’aria disperata, avrebbe tanto voluto sentirsi dire le bugie che cercava di raccontare a se stessa. «Col tempo diventerà più facile, sarà inevitabile. È solo che questa vita è così nuova per me. E anche per lui è una novità essere libero e potente. È solo che… quando ci farò l’abitudine, andrà tutto molto più liscio, non lo credi anche tu?». Non poteva dirle di sì. E lo sapevano entrambi, il che rendeva tutto più difficile. Aislinn abbassò la testa e confessò con un filo di voce: «L’ho chiesto a Donia, tempo fa. Se era possibile far diventare anche te… così. Mi ha detto che lei non aveva il potere di scagliare una simile maledizione, né io… o Keenan. Non è stato Keenan a trasformare me o le Ragazze dell’Estate. Né Beira. È stato Irial. Noi non siamo abbastanza potenti». «Il che significa che… Niall…». «Forse. Non lo so». Gli si strinse contro, ma per dirgli qualcosa che Seth non avrebbe voluto udire. «Ma forse è meglio così. Una maledizione non è la soluzione giusta per rimanere insieme. E se un giorno tu finissi per odiarmi? Guarda Don e Keenan. Hanno l’eternità davanti e litigano sempre. Guarda le Ragazze dell’Estate. Senza il loro re sfioriscono. Come posso auspicarmi una cosa del genere per te? Ti amo e… questa vita… Mia madre ha preferito morire piuttosto che diventare una creatura fatata». «Io voglio rimanerti accanto per sempre». «Ma perderai tutti gli altri e…». «Voglio l’eternità per noi». Seth le sollevò il volto per poterla guardare negli occhi. «Tutto il resto si risolverà se posso stare con te». Lei scosse la testa. «Non credo che sia una buona idea, e comunque non posso fare nulla». «Ma se tu potessi?». «Non lo so», ammise Aislinn. «Non desidero avere potere su di te, e non mi fido di Niall, e anche se lui fosse in grado di… e poi…». Quel discorso la turbava, minuscole scintille si levavano in tutte le direzioni. «Mi piacerebbe averti con me, ma non voglio perdere la persona che conosco. E se tu diventassi come le Ragazze dell’Estate? O…». «E se non accadesse nulla del genere? Se invece morissi per aver incontrato una creatura fatata più forte di me?», ribatté Seth. «E se tu avessi bisogno di me e io non potessi aiutarti perché sono un mortale? Vivere nel tuo mondo in questo modo mi rende estremamente vulnerabile». «Lo so. Tavish dice che dovrei lasciarti andare». «Non sono un giocattolo da mettere da parte. Sono innamorato di te e so cosa voglio». La baciò cercando di trasmetterle tutto il proprio ardore. Scintille di sole gli solleticarono la pelle: elettricità, calore e una strana energia cui i mortali non sanno dare nome. Per sempre. Questo. Non desiderava altro. E anche lei lo desiderava. Si scostò, ebbro di sole. «Insieme. Per sempre». A quel punto anche lei sorrise. «Forse esiste un altro modo. Possiamo… Dimmi che troveremo una soluzione». «Sì», promise Seth, «la troveremo». Le posò un braccio sulle spalle mentre riprendevano a camminare. Si sarebbe risolto tutto. Il Re dell’Estate sosteneva che destabilizzava la Corte dell’Estate a causa della sua mortalità, allontanando Aislinn dalle sue creature. Se fosse diventato un essere fatato, non ci sarebbe stato più motivo di obiettare alla sua presenza. In realtà Seth sapeva che non era così semplice. Forse sì. Non aveva mai desiderato nulla con tanta intensità quanto l’eternità accanto ad Aislinn. Doveva solo trovare il modo di conquistarla.

«Andiamo al fiume, ti va?», domandò la Regina dell’Estate vibrando e luccicando di sole dalla testa ai piedi. Seth la strinse a sé: la sua stella, la stella che gli era caduta tra le braccia. «C’è musica stasera». Seth annuì. Non le chiese come faceva a saperlo: Aislinn se lo sentiva, un raduno delle sue creature era come un faro per lei. «Ti va di fare una corsa?». Negli occhi di Aislinn scintillavano sconfinati laghi azzurri. Diceva di non amare la vita della creatura fatata, ma a una parte di lei piaceva immensamente. Se avesse potuto dimenticare le paure legate alla sua nuova natura, sarebbe stata felice. Seth annuì e le strinse la mano. I suoi piedi sfioravano appena il marciapiedi, lambendo il suolo come in volo. Se l’avesse lasciata andare, sarebbe crollato a terra violentemente, ma non l’avrebbe fatto, non aveva intenzione di lasciarla, né ora, né mai. Giunti al fiume, Aislinn rideva di gioia, esultante di quello slancio, di tanta libertà. Sulla sponda alcuni musicisti si accingevano a suonare. La cantante era una sirena. Adagiata nell’acqua, gorgheggiava ordini ai musicisti sulla riva. Aveva una carnagione verde muschio lievemente fosforescente nell’oscurità. Indossava un mantello argenteo e un succinto abito di tralci di alghe. Persino la coda a scaglie di pesce che le compariva dalla vita in giù le conferiva un’aria di arcana eleganza. Alle sue spalle tre suoi fratelli, dall’aspetto ben poco ammaliante e con volti simili a grandi pesci gatto dai lunghi baffi sulle bocche spalancate, sguazzavano in compagnia di altri spiriti dell’acqua, i kelpie. Mentre osservavano la sorella con aria protettiva, la loro espressione spinse Seth a chiedersi se fossero sul serio le creature delle tenebre più temibili tra il popolo fatato. Pochi altri erano minacciosi e raccapriccianti come gli esseri dell’acqua. Ma poi la sirena cominciò a cantare e i fratelli si unirono a lei, in coro, e ogni sentimento di avversione lo abbandonò. Erano divini. Per il momento era solo un accenno di canzone in una lingua che Seth non aveva mai udito, tanto per riscaldare l’atmosfera. Ma al mortale parve che ogni cellula del suo corpo volesse seguire il ritmo di quella musica e il suo respiro accordarsi all’andamento delle note. E non era l’effetto di un incantesimo, perché aveva il talismano al collo, bensì la pura bellezza delle voci. Lui e Aislinn li ascoltarono in silenzio, perduti nell’universo evocato da quella melodia, sulle ali di note che, rubando i più nascosti segreti della loro anima, li attirava tra le stelle e li faceva perdere nelle onde di un mondo in cui non esisteva dolore né paura. Un fiotto di momenti perfetti prese a riversarsi dentro di lui finché non gli parve che traboccassero. Poi la canzone finì. L’incantesimo si spezzò e lo spirito di Seth fu di nuovo gravato dal peso che lo ancorava alla terra. La musica degli esseri fatati era così, ti sollevava in un mondo di impalpabile leggerezza per poi lasciarti precipitare al suolo senza preavviso. Era doloroso, come essere colpito alle spalle. «Sono prodigiosi», sussurrò Aislinn. «Magici». Seth si guardò intorno in cerca di un posto dove sedersi. Dovevano approfittare di quella pausa tra una canzone e l’altra perché, non appena quelle creature avessero ripreso a suonare, si sarebbero messi a danzare o ad ascoltarli, immobili, incantati. Seth sospettava che Aislinn potesse resistere alla seduzione di quelle note, ma lui ne era travolto in maniera irrefrenabile. Aveva fatto solo qualche passo che una skogsrå attirò l’attenzione di Seth. Di tutte le creature del popolo fatato che avesse mai incontrato, le skogsrå erano, per quanto seducenti, le più inquietanti. Il loro unico scopo era indurre in tentazione: vuote dentro, letteralmente e simbolicamente, il loro fascino stava nell’avido vuoto che si apriva dentro di loro e richiamava irresistibilmente a sé creature fatate e mortali, senza distinzione. Se non fosse stato per la pietra di Niall, Seth non sapeva se sarebbe stato capace di non rimanerne ammaliato.

La skogsrå, Britta, gli lanciò un bacio. Aislinn gli strinse forte la mano senza dire nulla. Seth si limitò a risponderle con un cenno del capo senza incoraggiarla in alcun modo. Quelle serate di musica e di danze si tenevano di solito in luoghi considerati neutrali, che le creature di tutte le corti potevano frequentare liberamente, il che rendeva le skogsrå ancora più audaci, per quanto, a dirla tutta, Britta non si sarebbe fatta grandi problemi neanche altrove. Nessuna creatura fatata così potente da vivere senza la protezione di una corte, eppure abbastanza audace da visitarne i domini senza timore, poteva essere liquidata con leggerezza. Britta si avvicinò. Essendo in territorio neutrale, non c’erano distinzioni di alcun genere tra loro. Era una cosa che a Seth non dispiaceva, essere per una volta alla pari, ma la tensione che sentì affiorare in Aislinn gli disse che lei in quel momento non era dello stesso parere. A pochi passi da loro Britta inciampò e, senza riflettere, Seth la sorresse. Così facendo, una mano gli scivolò là dove avrebbe dovuto esserci il dorso di quella creatura e invece, malgrado una sottile camiciola lo nascondesse alla vista, si apriva un baratro di cui Seth sentì subito, violenta, la forza d’attrazione. «Grazie, tesoro», esclamò lei stampandogli un bacio impudente su una guancia. Poi si volse verso Aislinn: «Reginetta». Mentre si allontanava, Aislinn mormorò: «Non riuscirò mai ad abituarmi a certe creature, penso». «No, vedrai. Ci abitueremo entrambi». «Non è che le cose fossero tanto semplici prima, ma almeno sembravano avere un senso», disse lei appoggiandogli la testa su una spalla. «Andrà meglio, vedrai. È solo perché è tutto così nuovo». Aislinn annuì, ma Seth ebbe la sensazione che non potesse rispondere senza sminuire la paura che provava ed essere, dunque, insincera. Anche lui era preoccupato. Se le avesse riferito cosa gli aveva detto Keenan, se avesse confessato quanto era doloroso starle accanto quando lei dimenticava la sua fragilità, invece di avvicinarla a sé, l’avrebbe fatta allontanare. Tuttavia, finché Aislinn non avesse accettato la sua nuova natura e Seth non avesse trovato il modo di non essere più un mortale intrappolato in un mondo di esseri fatati, non sarebbero mai riusciti a essere davvero vicini. Allora la sirena e i suoi fratelli iniziarono a cantare, accompagnati da vari suonatori sparsi sulla sponda del fiume, tra gli alberi, sin dove occhi mortali non potevano scorgerli. Ritmi martellanti, melodie di fiati, suoni che nessuno strumento mortale poteva creare e voci dolci come la carezza dell’acqua su una spiaggia: la musica li avvolse tra le sue spire. Aislinn esclamò, dopo un sospiro estatico: «C’è anche del buono, però, in questo mondo, vero?». «Sì». Quella musica, in tutta la sua purezza, era un piacere quasi tangibile. Il mondo fatato non era perfetto ma, a volte, molto più intenso di quello umano: le loro melodie, per quanto improvvisate, erano più vibranti, più seducenti di qualsiasi suono umano. Non occorreva coreografia per i movimenti delle creature che si erano messe a danzare interpretando le note con i loro corpi, né direttore d’orchestra per fondere i vari strumenti che suonavano nell’oscurità. «Vieni», gli disse Aislinn avviandosi verso un albero ormai secco tra i cui rami erano appollaiati tre corvi. Per un istante Seth ebbe la netta sensazione che lo stessero fissando, ma Aislinn lo prese per mano e lui la seguì, trascinato da lei e dalla musica. Aveva la sensazione che gli stesse per scoppiare il cuore quando lei si staccò. Si erano lasciati alle spalle i suonatori, ma un vortice di note continuava a ondeggiargli intorno. E davanti a sé aveva una visione non meno

incantevole di quella musica. Aislinn allungò una mano verso un rampicante attorto al tronco scheletrito e il tralcio, frusciando, prese a crescere, estendersi, finché dal ramo non penzolò una sorta di verde altalena. Aislinn lo riprese per mano. Per toccarla, vederla, perdersi in lei, riusciva ancora a muoversi. Era schiavo di quell’ammaliante melodia, ma Aislinn rappresentava per lui una magia più grande, quella dell’amore, che dà la forza di abbattere ogni catena e incantesimo. «Ci sediamo insieme, ti va?». «Certo». Seth si sedette sull’altalena e aprì le braccia per accoglierla.

Capitolo 12

Quando Bananach arrivò, Donia era seduta a una finestra al quarto piano e da lì guardava le stelle apparire. Era uno dei suoi momenti preferiti, allorché le striature di colore che hanno screziato il cielo al tramonto si fanno sempre più tenui e non è più giorno, né ancora notte. E si vive un attimo di sospensione. Da tempo le pareva che anche la sua esistenza fosse come sospesa tra le possibilità di farsi più luminosa o più cupa e, anche se lei sperava in un futuro radioso, quella sera c’era la Guerra alla sua porta. Donia osservò Bananach che entrava in giardino e si fermava un istante accanto all’inferriata, per stringere tra le dita un’asta dalla punta acuminata come una freccia. La serrò con forza sin quasi a ferirsi mentre osservava la residenza della Regina dell’Inverno. Perché sei qui? Donia non aveva dedicato molto tempo a studiare il comportamento di potenti creature semisolitarie come la donna corvo, non avendone sino a quel momento avuto il motivo. Negli ultimi mesi tuttavia le aveva osservate spesso e aveva letto la corrispondenza di Beira con i sovrani delle altre corti e con alcuni esseri fatati solitari. La Corte Oscura era quella che Donia comprendeva meglio. La Corte dell’Estate, ancora in fasce malgrado la sua lunga storia, stava forgiando una propria identità solo ora che Keenan aveva trovato la regina che aveva cercato per secoli. L’Alta Corte di Lasair viveva in isolamento, non disposta a interagire realmente con nessuna creatura che vivesse al di fuori del regno fatato. La Corte Oscura aveva una complessa rete di attività criminali. Al tempo di Beira, Irial controllava il commercio degli stupefacenti, spacciando tutti i tipi di droga sul mercato. Le sue creature avevano interessi in associazioni e imprese malavitose grandi e piccole. Il re delle ombre era proprietario di una catena di porno club e fetish bar che provvedevano a ogni genere di capriccio e perversione. Alcune cose erano cambiate da quando Irial aveva lasciato il trono a Niall: pur senza uscire dai confini concessi alla sua corte, il nuovo Re del Buio aveva esteso il proprio raggio d’azione. Bananach, di contro, non conosceva limiti né confini di alcun genere. Era mossa da un unico scopo, un’unica finalità: la guerra, ovvero seminare il caos, dare il via a un inarrestabile spargimento di sangue. Mentre Donia la osservava da dietro il vetro offuscato, lei, immobile, chiuse per un istante gli occhi e sorrise. La Regina dell’Inverno sentì alle sue spalle Evan bussare con delicatezza. «Donia?». Lo spirito del sorbo selvatico entrò portando con sé nella stanza polverosa un profumo di bosco. «Ah, vedo che sei già al corrente di chi è venuto a farci visita». Donia non distolse lo sguardo dalla finestra mentre Evan si avvicinava. «Cosa vuole da noi?». «Qualcosa che la Corte dell’Inverno non è certo disposto a concederle», rispose questi rabbrividendo.

Donia si disse che non era saggio tenere le proprie creature accanto a sé. Neanche Evan, il capo della guardia. La Guerra era in grado di annientare un intero drappello se avesse voluto: meglio non tentarla. Sarebbe stato meglio non permetterle neanche di avvicinarsi, ma date le circostanze era impossibile rifiutarle un colloquio. Disse: «La riceverò da sola». Evan si inchinò e uscì mentre Bananach saliva le scale di corsa. La donna corvo entrò e si sedette sul tappeto, a gambe incrociate, come se fosse in una radura, davanti al fuoco. Indossava un’uniforme militare imbrattata di sangue e puzzava di cenere e di morte. Appoggiò una mano sul tappeto accanto a sé. «Vieni qua». Donia osservò attentamente quella folle, amorale creatura: Bananach poteva anche avere un’aria cordiale, ma la Guerra non si presenta alla porta di qualcuno senza ragione. «Non ho nulla da dirti». «Allora vuoi che sia io a dirti di cosa sono venuta a parlare con te?». Mentre indicava con un cenno la stanza, dal silenzio che regnava nella dimora dell’inverno si levarono roche e lugubri grida di mortali e creature fatate che fecero venire a Donia le lacrime agli occhi. Per un istante volti fumosi e ammiccanti aleggiarono accanto a cadaveri insanguinati calpestati da uno stuolo di creature fatate in marcia. Quando si dissolsero, alle finestre apparvero grottesche membra deformi, poi fu la volta di una carrellata di immagini di campi di battaglia dove l’erba cresceva rossa di sangue, tra case in fiamme e tremule visioni del mondo mortale tormentato da carestie ed epidemie. «Splendide possibilità ci attendono», sospirò Bananach osservando baluginare figure quasi dotate di vita negli angoli della stanza spoglia. «Se tu fossi dalla mia parte, potremmo ottenere tutto questo molto più in fretta». L’erba insanguinata svanì e davanti a loro comparve Keenan e, distesa sopra di lui, l’indistinta figura di Donia, tra le sue braccia, dopo l’amore. Donia sapeva che era un’allucinazione, ma per un attimo le mancò il respiro.

Keenan era quasi assiderato, lei sfigurata dalle ustioni. Donia parlò e disse le parole che aveva tante e tante volte pronunciato, e promesso di non ripetere mai più. «Ti amo». Sospirando, Keenan proferì un nome che non era il suo: «Aislinn…». Donia si alzò. «Non posso andare avanti così, Keenan». Una tempesta di neve li avvolse. Lui la seguì, supplicandola di perdonarlo ancora una volta. «Don… non intendevo… Mi dispiace». Il suo doppio affondò due dita come pugnali nello stomaco di Keenan. E lo guardò crollare ai suoi piedi.

Un’esplosione di sole, per quanto illusoria, la abbagliò. «Sei come Beira», esclamò Bananach con un sorriso. «Altrettanto tempestosa, altrettanto pronta a offrirmi il caos che desidero». Donia era come paralizzata, impietrita, davanti all’immagine di se stessa con le mani intrise di sangue, quello di Keenan.

«Temevo che saresti stata diversa», proseguì la donna corvo con voce cantilenante. «Beira ci mise così tanto a decidersi di colpire il Re dell’Estate. Tu non mi farai aspettare».

Donia, le mani grondanti di sangue, osservava Keenan ferito. Gli occhi del Re dell’Estate scintillavano d’ira. «Non è successo realmente», ribatté facendo appello a tutte le riserve di calma dell’inverno. «Non l’ho pugnalato, lo amo». Bananach gracchiò e quel suo verso orrendo squarciò il silenzio. «E io te ne sono grata, regina delle nevi. Se tu fossi di ghiaccio, non ci sarebbe in te la crudeltà dell’inverno, e noi invece ne abbiamo bisogno». «Perché sei venuta a dirmi questo?». «Dirti cosa?», domandò inclinando rapidamente il capo, a scatti, fino a raggiungere un angolo grottesco. «Se mi mostri cosa scatenerà la tua guerra, perché mai dovrei commettere un tale errore?», spiegò Donia accavallando le gambe e poi sciogliendole, chiudendo gli occhi un istante come se gli orrori che Bananach aveva portato con sé l’avessero sopraffatta. Ma non fu troppo convincente. Tamburi di guerra si levarono intorno a loro con fragore di tuono, tra grida disperate. Poi ogni altro rumore si spense e rimasero solo le malinconiche, terse note delle cornamuse. «Forse non voglio che tu aggredisca il reuccio», replicò la donna corvo con un sorriso. «Forse sarebbe d’ostacolo ai miei piani di distruzione. Ma un tuo gesto può provocare disordini simili a quelli scatenati dalla morte di Miach per mano di Beira». «Quale?». Bananach serrò le mandibole di scatto, con violenza. «Uno qualsiasi. O più d’uno, chissà». Donia rabbrividì quando la scena davanti ai suoi occhi riprese vita e il suo doppio fu assalito dal Re dell’Estate, scintillante di sole e d’ira, finché a un tratto la scena tornò al momento in cui Keenan sospirava il nome di Aislinn e Donia prendeva a colpirlo finché non lo rendeva esanime. «Sono talmente tante le risposte alla tua domanda, Neve. E tutte altrettanto gradevoli», ribadì Bananach con il suo tono cantilenante. «Così tanti modi di scatenare una carneficina». E la scena si ripeté una volta ancora davanti ai suoi occhi.

Donia parlò e disse le parole che aveva tante e tante volte pronunciato, e promesso di non ripetere mai più. «Ti amo». Lui sospirò. «Anch’io ti amo, ma non posso essere tuo».

Donia non riusciva a distogliere lo sguardo. E la scena si ripeté ancora una volta.

Donia parlò e disse le parole che aveva tante e tante volte pronunciato, e promesso di non ripetere mai più. «Ti amo».

Sospirando, Keenan proferì un nome che non era il suo: «Aislinn…». «Non posso andare avanti così, Keenan». Una tempesta di neve li avvolse. Keenan si avventò contro di lei. «Scherzavo…».

E tra loro scoppiò una lotta che riempì la stanza di vapori. E tra i fumi apparvero di nuovo i cadaveri, sempre più realistici man mano che i secondi passavano. E nel bel mezzo di quel massacro, Bananach esultava sbattendo le sue grandi ali nere di corvo. «Perché?». Donia non riuscì a dire altro. «Perché?». «Perché tu costringi la terra nella morsa del gelo?», domandò la Guerra di rimando. Non avendo risposta, proseguì: «Abbiamo tutti uno scopo, Ragazza dell’Inverno. Il tuo e il mio sono la distruzione. L’hai accettato quando hai ereditato la corte di Beira». «Non è quello che voglio». «Il potere? Farlo soffrire perché fa soffrire te?», esclamò Bananach ridendo. «Certo che è quello che vuoi. Io non faccio altro che seguire il filo delle tue azioni: mi porteranno là dove desidero arrivare. Io le vedo», disse indicando le scene che aveva evocato, «ma non scaturiscono da me queste possibilità. Sei tu che dai loro origine».

Capitolo 13

La settimana seguente vide quasi un ritorno alla normalità per Aislinn: le cose con Seth erano di nuovo a posto, Keenan non l’aveva più messa con le spalle al muro e nella corte si era ristabilita la calma. Tuttavia non poteva continuare a ignorare il suo re a quel modo e per di più stava diventando fisicamente doloroso stargli lontano. Fino a quel momento Aislinn aveva preferito far finta di nulla: da qualche giorno ormai evitava di rimanere sola con lui e, a parte qualche occhiata stizzita quando lei chiamava Quinn o Tavish in una conversazione che non richiedeva il loro intervento e, d’accordo, qualche momento di improvviso, inspiegabile desiderio da parte di lei a circondarsi delle Ragazze dell’Estate, Keenan aveva finto di non notare la sua evasività. Se aveva deciso di farsi scudo delle sue creature, lui sembrava disposto a lasciarla fare. Aislinn si divertiva davvero insieme alle Ragazze dell’Estate, in particolare con Eliza, ma non tanto da voler correre tutt’un tratto a danzare in mezzo a loro, come accadeva se Keenan le si avvicinava troppo. Era sin troppo ovvio. Lo vedevano tutti, anche se si guardavano bene dal fargliene parola. Nessuno, in fondo, a parte Keenan e Seth, aveva abbastanza confidenza con lei per poterselo permettere. Aislinn era la loro regina e questo per il momento le concedeva una certa libertà. Però se ne sono accorti tutti che c’è qualcosa che non va. E ne sono turbati. Si era ripromessa di essere una buona regina. Allarmare la sua corte non era esattamente un comportamento adeguato. Con mano leggermente tremante, bussò alla porta dello studio. «Keenan?». Aprì. «Hai da fare?». Aveva i suoi grafici davanti e, a mo’ di sottofondo, uno dei vecchi CD di Aislinn, Haunted di Poe. L’aveva comprato al Music Exchange un pomeriggio con Seth. La guardò e poi sbirciò alle sue spalle, per controllare se fosse davvero sola. «Dov’è la tua cintura di sicurezza?». Aislinn chiuse la porta. «Hanno la giornata libera. Volevo rimanere sola con te… per parlare». «Capisco», replicò lui, tornando ai grafici sparsi sul tavolino. «La tua proposta potrebbe anche essere buona, tutto sommato, ma nel deserto non funzionerà». «Perché?», domandò lei sorvolando sul modo in cui Keenan aveva cambiato argomento. Neanche lei era sicura di voler affrontare quella discussione purtroppo necessaria. «Ci vive Rika. Una ex Ragazza dell’Inverno», rispose lui accigliato. «È dello stesso stampo di Don e vuole farmela pagare». «Lo dici come se la cosa ti sorprendesse», esclamò Aislinn accostandosi al divano forse più di quanto non avrebbe dovuto, ma non aveva neanche intenzione di essere schiava dell’imbarazzo che si era ormai venuto a creare tra loro.

«Proprio così». Keenan si lasciò cadere contro lo schienale, sollevando le gambe e appoggiando i piedi sul tavolino e posando le mani sulle ginocchia. «Si comportano come se le avessi fatte soffrire di proposito. Io non ho mai voluto fare del male a nessuno. A parte Beira e Irial». «E allora cosa pretendi, che ti perdonino e dimentichino ogni cosa?». Era un argomento che Aislinn da mesi cercava di evitare. Quando si ha l’eternità davanti è possibile in fondo temporeggiare. «Abbiamo perduto così tante cose quando abbiamo deciso di…». «Abbiamo?», sottolineò Keenan. «Come?». Aislinn accostò una sedia e si sedette. «Hai detto “Abbiamo perduto così tante cose”, come se fossi anche tu una Ragazza dell’Estate o dell’Inverno». «No, ecco…». Arrossì. «Ho detto proprio così, vero?». Lui annuì. «Be’, in un certo senso sono anch’io una di loro. Abbiamo tutte perduto molto». Chinò il capo, lasciando che i capelli le scivolassero sul viso come un velo dietro cui nascondersi. «Io in cambio ho ottenuto delle cose magnifiche. Questo lo so. Sul serio». L’espressione di Keenan era stranamente indecifrabile. «Ma…?». «Ma è dura. Questa vita. Non mi ci abituerò mai, te lo giuro. La nonna morirà. Seth…». Non riusciva neppure a dirlo. «Perderò tutti. Io continuerò a vivere, ma loro moriranno». Keenan sollevò una mano come se volesse consolarla, poi la abbassò di nuovo. «Lo so». Aislinn fece un paio di respiri profondi. «È difficile non volertene. Scegliendomi, hai deciso che avrei perso le persone che amavo, che amo. Le vedrò invecchiare e morire». «Anch’io perderò la persona che amo. Donia sarà nella mia vita soltanto finché il tuo cuore sarà altrove», ribatté. «Basta, Keenan». Detestava sentirlo parlare a quel modo. «Non è giusto. Per nessuno». «Sì, lo so». Aislinn non l’aveva mai visto tanto immobile. Nei suoi occhi scorse il sole sorgere in un’oasi. «Non sono io che ho desiderato che succedesse tutto questo. Beira e Irial mi avevano privato dei miei poteri, cosa dovevo fare? Lasciare che la terra soffocasse nella morsa del gelo e mortali e creature fatate perissero?». «No». Era abbastanza ragionevole per capirlo. Sapeva che il Re dell’Estate non aveva avuto altra scelta, ma questo non alleviava la sofferenza. La logica non cura il dolore, né la paura, non può. Lei aveva appena trovato Seth e lo stava già perdendo. Morirà, pensò. Non riusciva a dirlo, ma ci pensava, sin troppo spesso. A distanza di anni, di secoli, anzi, lei sarebbe ancora stata come in quel momento e lui, invece, polvere. Come faccio a non essere in collera? Se non fosse diventata una creatura fatata, non avrebbe dovuto affrontare un futuro senza Seth. «E allora cosa avresti fatto al mio posto, Aislinn? Avresti lasciato scomparire la tua corte? Se Irial ti avesse privato dei tuoi poteri, avresti scrollato le spalle e lasciato perdere, permettendo che gli uomini e la tua corte s’indebolissero fino a perdere la vita?». Nei suoi occhi era apparsa una stella sul punto di spegnersi, un globo buio rischiarato da poche, disperate scintille di luce. Aislinn lo fissò ammutolita e intorno a quel sole morente vide minuscole stelle ormai estinte in un vuoto immenso. Non si aspettava di arrivare ad amare tanto la sua corte: se qualche mese prima Keenan le avesse detto che avrebbe provato tali sentimenti, non ci avrebbe creduto, anche se dal momento in cui era diventata loro sovrana aveva provato un feroce senso di protezione nei loro confronti. La Corte dell’Estate doveva diventare più forte. E Aislinn con la sua poca esperienza e qualche breve studio di amministrazione e di politica dalla sua, stava

cercando di fare quello che poteva in modo da appianare lo squilibrio creato dallo strapotere dell’inverno. Le sue creature, la salute della terra, erano troppo importanti. Aislinn credeva in loro. E allora come avrebbe potuto comportarsi diversamente se si fosse trovata al posto di Keenan? Avrebbe lasciato morire Eliza? Avrebbe osservato i giovani leoni morire di freddo senza alzare un dito? «No». «Non credere che mi piacesse condannare le Ragazze dell’Estate e dell’Inverno alla sorte che le attendeva». E a quel punto la sua immobilità ebbe fine perché si sporse verso di lei cercandone lo sguardo. «Mi sono rimproverato di quello che sono stato costretto a fare più spesso di quanto tu non possa immaginare, credimi. Ho sperato…», nei suoi occhi apparve una schiera di stelle scintillanti nello spazio, «che ognuna di loro fossi tu. Sapendo che se non lo fosse stata, l’avrei condannata a una morte lenta se non ti avessi trovata». Aislinn rimase in silenzio. Aveva la mia età quando ha dovuto fare queste scelte, mantenendo viva la speranza. «Sarei felice di restituire loro la mortalità se potessi, anche se so che non sarebbe sufficiente a ricompensarle di ciò che hanno perduto». Keenan raccolse i fogli disseminati sul tavolino. «E pure in tal caso, non oserei mai offrire a te la stessa possibilità, per timore di ricadere nella maledizione di Beira, dovendo comunque fare i conti con la consapevolezza di aver privato della mortalità colei che mi ha salvato. Tu mi hai dato tutto e io non riesco a renderti felice». «Non sono…». «Sì, invece. E questo rende il nostro rapporto alquanto strano, non credi?». «Troveremo una soluzione, abbiamo l’eternità davanti, no?», replicò lei cercando di usare un tono spensierato, per consolarlo. Non era l’argomento che aveva avuto in mente, ma prima o poi doveva venire fuori. «Già». Keenan aveva assunto di nuovo l’immobilità di qualche istante prima. «E io la trascorrerò cercando di fare qualsiasi cosa possa renderti felice». «Non era questo… Ecco… non è che volevo chiederti di rimediare a qualcosa che sei stato costretto di fare. È solo che… sono terrorizzata all’idea di perderli. Non voglio rimanere sola». «Non sarai mai sola. Io e te saremo insieme per sempre». «Tu sei mio amico, Keenan. Quello che è successo l’altro giorno, non deve accadere mai più. Non sarebbe dovuto accadere». Era così tesa, così rigida, da non riuscire a distendere le gambe, piegate sotto di sé. «Ho bisogno di te… ma non ti amo». «Lo desideravi anche tu». Inghiottì la bugia che avrebbe voluto pronunciare e ammise: «Sì. Quando ti sei sporto verso di me, desideravo che mi baciassi». «E allora cosa vuoi che faccia?», domandò lui con calma innaturale. «Non avvicinarti più», gli rispose mordendosi il labbro già screpolato fino a farlo sanguinare. Keenan si passò una mano tra i capelli ramati con un’espressione di frustrazione profonda, ma annuì. «Ci proverò. Non posso prometterti altro». Aislinn rabbrividì. «Andrò da Donia stasera. Sei innamorato di lei». «Sì». Lo sguardo di lui esprimeva la stessa confusione che pervadeva la sua regina in quel momento. «Non cambia, però, quello che provo quando ti vedo o ti penso o ti sono vicino. E tu non puoi dire che non accada lo stesso anche a te».

«Amore e desiderio non sono la stessa cosa». «Stai dicendomi che provo soltanto desiderio per te? Tu non provi altro?». Keenan aveva riacquistato tutta l’arroganza che aveva dimostrato quando l’aveva conosciuto e aveva rifiutato le sue profferte. «Non è una sfida, questa, Keenan. Non sto fuggendo da te». «Se solo acconsentissi a dare una possibilità a noi due…». «Amo Seth. Io… Il mio cuore è suo. Se sapessi come poterlo avere accanto per sempre senza agire egoisticamente, lo farei. Non fingerò dicendoti che non sono attratta da te. Tu sei il mio re e io ho bisogno della tua amicizia, ma non voglio niente di più tra noi. Mi dispiace. Lo sapevi quando sono diventata la tua regina. Non è cambiato nulla da allora. E non cambierà, finché avrò Seth. Voglio…». Aislinn si interruppe. Temeva che pronunciare quelle parole avrebbe reso la sua decisione in qualche modo definitiva, ma alla fine disse: «Voglio trovare il modo di far sì che Seth diventi come noi. Lo voglio al mio fianco per sempre». «No». Non era una risposta. Era un ordine. «Perché?». Aveva il cuore in gola. «Lui vuole rimanere con me… e io…». «Donia desiderava la stessa cosa. E Rika. E Liseli… e Nathalie… e…», fece un gesto come a indicare che erano tutte scomparse, «dove sono adesso?». «È diverso. Seth è diverso». «E vorresti farlo diventare come le Ragazze dell’Estate? Vorresti vederlo morire se decidesse di lasciarti?», insistette lui, irato. «Mi hai appena detto quanto mi detesti per averti trasformato. E non sei la sola. No. Non dirlo mai più». «Ma è lui a volerlo. Possiamo trovare un modo di far sì che funzioni». Aislinn aveva sperato di sentirsi dire che non doveva preoccuparsi, che c’era una soluzione, invece Keenan stava dando voce alle sue stesse paure. «No, Ash. Adesso crede di volerlo, ma se dovesse diventare una creatura fatata, sarebbe un tuo suddito, totalmente asservito a te, cosa che invece non vuole. Né lo vorresti tu. Credevo che le Ragazze dell’Estate sarebbero state felici di vivere al mio fianco per sempre. E, come me, lo credevano anche molte di loro. Le Ragazze dell’Inverno erano talmente colme di speranza da accettare di essere punite per il mio errore. Non insistere. Le creature fatate non offrono mai ai mortali ciò che essi cercano e scagliare una maledizione su una persona amata…». Il Re dell’Estate aveva l’aria di essere molto, molto più vecchio di lei in quel momento. «Non a caso si chiama maledizione, Aislinn. Se ami Seth, fa’ tesoro della sua presenza finché sarà nella tua vita e lascialo libero di andarsene se vuole. Se solo fosse stato possibile…». Lei si alzò. «Tu non aspetti altro, vero? Che Seth esca dalla mia vita. Sapevi cos’avrei provato per te». «I mortali non sono fatti per amare le creature fatate». «Perciò accettare le mie condizioni non era troppo arduo, eh? Seth e io ci saremmo presto lasciati e tu… No». Mentre Keenan la fissava, lei ripensò ai commenti di Denny sull’età e l’esperienza e decise che alla fine non aveva tutti i torti. Se Keenan continuava a incalzarla, come sarebbe finita? Aveva passato nove secoli a corteggiare uno stuolo interminabile di ragazze. E tutte avevano ceduto. E nessuna di loro era la sua regina. Con uno sguardo addolorato, ma un tono non meno severo di qualche istante prima, Keenan aggiunse: «È meglio amare qualcuno e sapere che sarà felice, piuttosto che distruggerlo. Scagliare una maledizione su chi si ama non è una bella cosa, Aislinn. Io l’ho rimpianto ogni volta».

«Seth e io siamo diversi. Solo perché Donia ti sta allontanando, non significa che non dovrebbe funzionare tra noi. E anche tra voi due. Potete trovare una soluzione». «Mi piacerebbe credere che tu abbia ragione, ma forse dovresti essere tu a comprendere che quel che sto dicendo è vero. Perché credi che Donia mi stia allontanando, eh, Ash? Perché credi che Seth voglia diventare una creatura fatata? Perché sanno ciò che ti rifiuti di accettare: quello che c’è tra noi due, tra me e te, è inevitabile». Le rivolse un mesto sorriso. «Ne sono certo e non ti permetterò di commettere un simile errore». Aislinn corse via. E com’era già successo quando era ancora mortale, andò in cerca dell’aiuto della creatura fatata che era innamorata di Keenan. Qualsiasi fosse l’errore che aveva commesso, se Donia l’avesse perdonato, lui si sarebbe forse convinto che l’amore può tutto. E forse a quel punto l’avrebbe aiutata. Oppure, avendo almeno l’amore della Regina dell’Inverno, avrebbe smesso di insistere a quel modo. Donia doveva riaccettarlo. Se lei lo perdona, andrà tutto a posto. Aislinn aveva una tale confusione in testa mentre si dirigeva verso casa di Donia, che solo quando giunse in una strada silenziosa ai confini della città fu in grado di confessare a se stessa i propri timori, non solo riguardo a quanto sarebbe accaduto se Donia avesse persistito nella sua decisione di non voler vedere Keenan, ma pure a cosa l’aspettava non appena avesse varcato la soglia della splendida dimora vittoriana della Regina dell’Inverno. Malgrado fossero in un certo senso legate da un sentimento di amicizia, era terrorizzata all’idea di doversi recare in quel luogo. L’inverno era doloroso e in casa di Donia era sempre inverno. Vide le sue creature muoversi silenziose tra i rovi, mentre alberi coperti di brina e cespugli che non vedevano mai il sole davano al giardino l’aria di appartenere a un’altra terra. Lungo la strada aveva visto cani in panciolle su verdi colline, una ragazza languidamente distesa al sole, beata, e più fiori di quanti non ne avesse mai incontrati in tutta la sua vita. Ma dietro quel cancello il ghiaccio non si scioglieva mai e i mortali che vi passavano davanti volgevano immancabilmente lo sguardo altrove. Nessuno, umano o fatato che fosse, calpestava quel candido prato senza il consenso della Regina dell’Inverno. E a Keenan quel permesso era stato negato. Cosa ci faccio qui? Keenan aveva bisogno di Donia, si amavano, e per Aislinn era importante che non lo dimenticassero. E lui doveva capire che a una creatura fatata nata umana è possibile amare un essere fatato. Mentre attraversava il giardino, lo strato di brina che ricopriva ogni cosa si scioglieva sotto i suoi passi benché alle sue spalle sentisse lo scricchiolio del ghiaccio che si riformava. Lì regnava Donia e lì godeva di tutta la sua forza. Io invece sono estremamente vulnerabile. Per secoli Beira aveva elevato quel luogo a centro del proprio potere e da allora i confini del regno fatato e del mondo mortale vi si confondevano, una cosa che Keenan non era ancora stato in grado di realizzare nella dimora dell’estate. Mentre Aislinn attraversava quel gelido mondo sentì un brivido percorrerle la pelle. Era un’intrusa, e l’inverno non meno imprevedibile dell’estate. Donia poteva non essere d’accordo, ma Aislinn aveva trascorso tutta la sua vita lottando contro i rigori di nevi che sembravano non volersi sciogliere mai. Aveva visto uomini morti assiderati su un marciapiede e non avrebbe mai dimenticato l’espressione scolpita sui loro volti. Aveva conosciuto la ferocia delle lame di ghiaccio che la vecchia Regina dell’Inverno aveva usato contro lei e Keenan. Beira, non Donia. Ripeté a se stessa per tranquillizzarsi. Invano. La rivalità innata tra le corti dell’Estate e dell’Inverno fece desiderare ad Aislinn di poter stringere la mano di Keenan. Ma era sola.

Mentre saliva i gradini del portico, uno spirito dei biancospini le aprì la porta. Aveva ali candide e si muoveva senza fare il minimo rumore. Non disse nulla quando lei entrò e fu colta da un brivido nella stanza gelata, né aprì bocca accingendosi a precederla nella penombra. «Donia può ricevermi?». La voce di Aislinn echeggiò nel silenzio, senza ottenere risposta. Non che si aspettasse di riceverne una: gli spiriti dei biancospini erano muti, e per questo ancor più inquietanti. Non si allontanavano mai dalla loro sovrana e lasciavano la residenza solo per seguirla. Nei loro volti cerei scintillavano occhi di brace. La giovane le fece attraversare un atrio in cui altre creature alate la osservarono in silenzio. In una stanza videro un caminetto acceso e lo scoppiettio del fuoco fu per qualche istante l’unico rumore che accompagnava i passi di Aislinn sul vecchio pavimento di legno. Quella capacità degli spiriti dell’inverno di muoversi senza fare il minimo rumore stava cominciando a turbarla. La sua scorta si arrestò davanti a una porta chiusa. E non parve intenzionata ad aprirla. «Devo bussare?», domandò Aislinn. Ma la muta creatura si voltò e disparve. «Grazie mille lo stesso», esclamò Aislinn e allungò una mano verso la maniglia. Ma in quello stesso momento la porta si aprì. «Prego», disse Evan. «Ehilà, Evan». «La mia regina desidera parlarvi in privato», disse lo spirito del sorbo, facendo seguire quelle parole da un caldo sorriso e un’espressione che alleviò per un attimo la tensione che la stava serrando in una morsa. Come gli spiriti dei biancospini aveva occhi rossi, brillanti come bacche, ma, invece del colorito cereo di un fuoco ormai spento, il suo volto era l’immagine della fecondità: la sua pelle grigio bruna e rugosa come corteccia e i capelli di un frusciante verde scuro parlavano di alberi che crescevano in libertà su ogni angolo della terra: era una creatura dell’estate, della sua corte. Era una consolazione vederlo in quel momento. Ma Evan si allontanò subito lasciandola sola con Donia e il suo lupo, Sasha. «Donia», esordì Aislinn, ma fu subito costretta a interrompersi, non sapendo come proseguire. La Regina dell’Inverno non le rese più semplice il compito, limitandosi a fissarla. «Immagino che ti abbia mandato lui». «Avrebbe preferito essere lui a parlarti». Aislinn ebbe la sensazione di essere tornata bambina, lì in piedi in quella stanza così severa, ma Donia non le aveva offerto una poltrona né era tornata a sedersi lei stessa, quindi non aveva altra scelta. Sul pavimento, un antico tappeto verde malgrado le tinte sbiadite conservava un’aria di opulenza tale che Aislinn l’avrebbe visto facilmente esposto in un museo. «Ho ordinato a Evan di non farlo entrare», disse Donia allontanandosi di qualche passo, come se temesse di non sapersi controllare se si fosse avvicinata troppo. «Posso chiedere perché?». «Sì», le rispose, più scostante del solito. Aislinn scacciò l’irritazione che accompagnava un brivido di panico. «Okaaay, allora perché?». «Non voglio vederlo», rispose lei con un sorriso che la fece tremare. «Ascolta, se vuoi che me ne vada, dimmelo. Sono venuta perché me l’ha chiesto lui e ti sono affezionata», disse Aislinn incrociando le braccia, un po’ perché non sapeva dove mettere le mani,

un po’ per resistere alla tentazione di mandare in mille pezzi le delicate palle di neve in bella mostra su una mensola. Non si sarebbe aspettata di vedere oggetti tanto kitsch in casa della Regina dell’Inverno, ma quello non era certo il momento di parlare di cose del genere. C’era qualcosa di strano nel comportamento di Donia e lei stava cominciando a comprendere la minaccia che vi si celava. «Con l’approssimarsi dell’estate, sei più irascibile ogni giorno che passa», commentò Donia guardandola con lo stesso gelido sorriso di qualche istante prima. «Come Keenan. Cominciate persino ad assomigliarvi, con quel bagliore che vi traspare dalla pelle». «Siamo amici, io e Keenan». Aislinn si mordicchiò un labbro e conficcò le dita nella pelle delle braccia, non perché fosse nervosa, ma per concentrarsi su quelle piccole schegge di dolore. La Regina dell’Inverno le voltò le spalle, fermandosi davanti alla finestra e facendo scorrere un dito sul vetro gelato, su cui subito apparvero minutissimi fiori di brina. Non guardò Aislinn mentre riprendeva il discorso. «Il mio amore per lui è come una ferita aperta. Keenan è in tutti i miei sogni. Quando siamo insieme», il suo sospiro, un soffio d’aria polare, provocò sulle tende piccoli ghiaccioli, «non m’importerebbe di andare a fuoco. Ne sarei quasi felice. Gli direi di sì anche se fosse la mia fine». La collera di Aislinn si dissolse mentre, arrossendo, la ascoltava. Continuando a guardare fuori, Donia proseguì: «Mi chiedo se non sia per questo che Miach e Beira trovassero impossibile la coesistenza. Vedo la storia ripetersi davanti ai miei occhi. Non credere che non ne sia consapevole, Ash». Poi la Regina dell’Inverno si voltò, appoggiando le spalle alla finestra, incorniciata dalla trama di brina che aveva disegnato sul vetro e sulle tende. «Non ti rimprovero nulla. Voglio che tu e Keenan stiate insieme», disse Aislinn. «Anche se fosse un errore?», le domandò con un tono indecifrabile, eppure vagamente provocatorio. «Anche se la storia dovesse ripetersi con conseguenze atroci? Sei disposta a far scoppiare una guerra per proteggere il tuo cuore?». Aislinn non riuscì a rispondere. Non aveva riflettuto troppo sul fatto che Keenan era figlio del Re dell’Estate e della Regina dell’Inverno. «Mi domando se la morte di Miach per mano di Beira sia davvero giunta così improvvisa. I sovrani dell’estate sono talmente incostanti. La calma è prerogativa dell’inverno». Mentre parlava, ai suoi piedi prese forma una poltrona di ghiaccio dagli spigoli scheggiati e acuminati come onde ghiacciate nel momento stesso in cui s’infrangevano. Senza volerlo, Aislinn scoppiò a ridere. «Tu dici? Ho visto la tua ira. E anche l’estate ha riserve di tranquillità. Quello che c’è tra voi due non è solo… non credo che desideriate una passione placida e temperata. Ho visto Keenan, dopo il solstizio. Pur coperto di geloni, era felice». «L’hai visto, gli hai visto quei segni sulla pelle? Be’, certo». Donia le scoccò un’occhiata ben poco amichevole. «Ogni volta che mi sembra di aver preso una decisione, lui torna a essere così dolce, incantevole…». Poi domandò con aria malinconica: «Sai cos’ha fatto?». Aislinn scosse il capo. «Ha fatto rimuovere il biancospino, quell’orribile pianta accanto alla quale si svolgeva la prova davanti al cottage. Non c’è più. L’ha fatta trapiantare altrove, dove io non la possa più vedere». Piccole gocce gelate tintinnarono ai suoi piedi. «È stato un pensiero affettuoso…». «Sì». Il volto di Donia rispecchiava i sentimenti che anche Aislinn provava, sempre più spesso, per Keenan, un’agrodolce mescolanza di affetto ed esasperazione. Non le fece affatto

piacere rendersi conto che condividevano emozioni tanto intime. Come non le faceva piacere essere costretta a parlare di simili cose con lei. Rimasero in silenzio senza aggiungere altro, finché Donia disse: «Ma non servirà a farmi cambiare idea. So che pensa di essere innamorato di me, però è anche convinto di amare te». Come vorrei mentire. Cosa non darei per poterlo fare in questo momento. «Non voglio…». Non riuscì ad andare avanti. Fece un altro tentativo. «Noi non siamo…». Neanche quello era del tutto vero e lei non poté concludere la frase. Alla fine disse: «Io sto con Seth». «È vero, ma lui è un mortale». Donia non sembrava in collera. «E Keenan è il tuo re, il tuo compagno. Lo sento nella sua voce quando pronuncia il tuo nome. Non è successo con nessun’altra». «Eccetto te». La Regina dell’Inverno annuì. «Sì, questo lo so». «Vuole vederti. È sconvolto, devi…». «No». Donia si alzò. «Non hai nessun diritto di dirmi cosa devo o non devo fare. La mia corte ha imposto il suo dominio sulla terra ben più a lungo di quanto noi possiamo immaginare. Le mie creature hanno visto Keenan sotto il giogo di Beira per secoli». Sebbene fosse assolutamente immobile, nei suoi occhi stava imperversando una bufera di neve. «Non è facile per loro accettare di rinunciare al potere di cui hanno goduto sino a questo momento, però mi obbediscono e io ho ordinato loro di permettere all’estate di regnare più a lungo, non solo per qualche breve giornata». «Allora lo capisci anche tu perché dobbiamo cercare di risolvere questa situazione». «Perché l’estate diventi più forte». «Sì». «E dovrebbe essere una buona ragione per me?», scoppiò a ridere Donia. «Le creature dell’estate mi hanno disprezzato quando hanno scoperto che non ero la ragazza che aspettavano. Non mi hanno consolato quando ho perso ogni speranza di essere la regina che Keenan cercava… Dimmi Ash, perché dovrei prendere a cuore la sorte della tua corte?». «Perché ami Keenan e lui ama te, e insieme possiamo raggiungere un accordo e vivere in pace se riuscirete a risolvere le cose tra voi, qualsiasi sia la cosa che vi impedisce di stare insieme questa volta». «Non hai ancora imparato a conoscere il tuo re, vero?», disse Donia quasi divertita. «Anche se tua madre è morta per non finire nella sua corte e tu hai perso la mortalità a causa sua, non hai ancora capito nulla di lui. Be’, io sì. È la sua arroganza a impedirci di stare insieme e… la tua presenza, Ash». «Non voglio essere un ostacolo tra voi due. Io voglio Seth, solo lui. Se potessi scegliere, sarei ancora una mortale e… Oh, come sarei felice che fossi tu la Regina dell’Estate». «Lo so. Ed è per questo che non riesco a odiarti», rispose Donia con un sorriso quasi affettuoso. «Non sono innamorata di lui», disse Aislinn d’un fiato, come se temesse di non poter pronunciare quelle parole, quasi fosse una bugia. «Mi manda in collera un giorno sì e uno no e… voglio che torniate insieme». «So anche questo». «E allora accetta di vederlo». «Non ti farò da scudo, Ash». Una punta di spregio si era insinuata nella voce di Donia.

«Da… cosa?». «Non puoi nasconderti dietro di me per evitare quello che c’è tra voi due». Donia distese le dita distrattamente e Aislinn vide uno strato di brina diffondersi sulle pareti, una pellicola di ghiaccio che ricoprì le crepe e la sbiadita carta da parati. «Avevate un sacco di problemi anche prima di me, voi due». Aislinn sentì la pelle avvampare come reazione all’improvviso calo di temperatura nella stanza, nel tentativo di tenere a distanza il gelo che la stava prendendo d’assedio. «È vero». Alcuni fiocchi di neve ondeggiarono delicatamente intorno a lei sino a posarsi ai suoi piedi. «Ma erano tutti provocati dal fatto che lui ti stava cercando». «Non è colpa mia», insistette Aislinn avvicinandosi. Donia doveva accettare di vedere Keenan, doveva capire. Era necessario. Per tutti. «Devi…». «Non darmi ordini, Aislinn», disse la Regina dell’Inverno con la perfetta calma della neve appena caduta, ancora immacolata. «Non sono venuta qui con l’intenzione di litigare». Il sole che splendeva dentro di lei era una ben misera protezione tra quelle pareti. Sì, non era solo la residenza della regina delle nevi, soprattutto era il suo centro di potere. E io non dovrei trovarmi qui. «Forse è stato un errore venire». Sulle dita di Donia erano apparsi diamanti di ghiaccio. «L’estate è cominciata presto quest’anno solo perché io l’ho permesso». «E noi te ne siamo grati». Donia giocherellava con quei frammenti facendoli tintinnare uno contro l’altro. «E malgrado ciò, ti presenti in casa mia come se fossi tu più forte, come se ciò che desideri fosse più importante di ogni altra cosa, come se la tua corte avesse voce nei miei domini…». Aislinn fu colta da un subitaneo impeto di collera, una vampata di sole che la scaldò in quella stanza gelida, eppure tentò lo stesso di placare la Regina dell’Inverno. «Non era mia intenzione. Né di Keenan. Solo non capisco perché tu debba essere tanto irragionevole». «Irragionevole? Perché, i desideri dell’estate ti sembrano forse più saggi e ponderati?». Aislinn non rispose. Le sembrava ovvio che lo strapotere della Corte dell’Inverno creava una situazione di instabilità. Non era sempre stata d’accordo anche Donia? Aveva persino affrontato la morte per mano della vecchia Regina dell’Inverno per quel motivo, ma era evidente che doveva avere cambiato idea. «Se adesso ti punissi per gli insulti che mi hai rivolto, Keenan andrebbe su tutte le furie», dichiarò Donia facendo un passo verso di lei. «Cosa dirà? Smetterà di fare tutto quel baccano alla mia porta? Si sistemeranno le cose?». «In che senso si sistemeranno? Cosa intendi?». Aislinn avrebbe voluto fuggire. Donia era più forte di lei. La Corte dell’Inverno era ancora troppo potente. «Quello che c’è tra me e Keenan non è più così semplice come un tempo, prima che noi due fossimo delle regine. Il nostro disaccordo crea ostilità tra le nostre corti. È quello che le mie creature desiderano, un dissidio tra noi», disse fissandola, «e io ci ho riflettuto. Ho immaginato cosa significasse trafiggere con lame di ghiaccio la tua pelle illuminata dal sole. Ho pensato alla possibilità di ferirti. Questa stupida messinscena in cui siamo tutti amici deve finire». «Donia!», esclamò Aislinn atterrita. Come le era successo con Niall, la Regina dell’Estate comprese che la creatura fatata che aveva conosciuto allora era stata sostituita da un essere ferino che poteva, e voleva, farle del male. E lei era proprio nel palazzo dell’inverno.

«Non ti porto rancore. Mi rammenti com’ero un tempo, ma ci sono anche altri elementi…», quelle parole morirono sulle labbra di Donia mentre la neve vorticava ai suoi piedi. «L’estate non è benvenuta nei domini dell’inverno». Malgrado i ghiaccioli sulle pareti, malgrado il gelo di quel tono, Aislinn perse il controllo. «Noi non abbiamo voce nella tua corte e tu puoi fare il bello e il cattivo tempo nella nostra?». «Sì». «Perché mai dovremmo…». Prima ancora che potesse concludere la frase, Donia le era giunta accanto e le aveva posato una mano sullo stomaco trafiggendola con dita incappucciate di ghiaccio che, pur sciogliendosi al contatto con la pelle della Regina dell’Estate, non smetteva di riformarsi, per ampliarsi e penetrare sempre più in profondità. Alcune schegge si spezzarono e le si conficcarono nella carne. Aislinn lanciò un grido. Punte acute di dolore la trafissero. Non fu sicura se fosse a conseguenza delle ferite o del ghiaccio che si era insinuato in lei. Morirò? «Mi chiedi perché dovreste obbedire ai miei desideri», mormorò Donia posandole una mano insanguinata sul mento e piegandole la testa in modo da guardarla negli occhi. «Perché io sono più forte di voi, Ash, e non potete, non dovete dimenticarvelo. Questo equilibrio che desideri tanto è possibile solo se io vi acconsento». «Mi hai pugnalato». Aislinn ebbe la sensazione di essere sul punto di vomitare. Stava sudando freddo, lo strazio del ghiaccio conficcato dentro di lei faceva a gara con il bruciore delle ferite. «Mi è parsa la cosa più giusta». L’espressione di Donia era identica a quella della Regina dell’Inverno che l’aveva preceduta, così priva di qualsiasi rimorso e turbamento. «Keenan…». «…andrà su tutte le furie. Sì, lo so, ma…», Donia sospirò e una nuvola gelida avvolse e fece rabbrividire la sua vittima, «non sono ferite profonde. La prossima volta non sarò tanto clemente». Aislinn si portò una mano allo stomaco in un vano tentativo di arrestare il sangue. «Io e Keenan potremmo vendicarci, è questo che vuoi?». «No, voglio solo che stiate alla larga da me», replicò la Regina dell’Inverno porgendole un fazzoletto di pizzo. «Che non mettiate più piede qui dentro finché non vi inviterò io. Nessuno dei due». E in quel momento Evan apparve per accompagnarla alla porta.

Capitolo 14

Aislinn non si appoggiò a Evan mentre la conduceva fuori. Non si aggrappò al suo braccio per sorreggersi neppure quando inciampò sui gradini che portavano in giardino. Tenne una mano sopra la ferita, come se potesse in qualche modo arginare il dolore. Sono la Regina dell’Estate. Ce la posso fare. Il dolore, tuttavia, era cocente. Le ferite inferte le avevano squarciato i muscoli che ogni passo sollecitava. Camminare era una tortura tale che riusciva a stento a trattenere le lacrime. Ma non devono vedermi soffrire. In cortile gironzolavano le Segaligne Sorelle che, trasparenti come sussurri, aleggiavano spettrali sulla neve. Uno spirito dei biancospini era appollaiato tra i rami di una quercia ammantata di brina: i suoi occhi scintillavano come rosse bacche gelate. Accanto a lei, Aislinn scorse una creatura dalle ali lacere e una glaistig, immobile in un’antiquata posa da fuciliere, che esibiva il suo piede di capra. Tutti gli occhi erano fissi su di lei mentre usciva dalla dimora della loro sovrana. Mi hanno sentita gridare. Quando Donia l’aveva pugnalata, Aislinn aveva lanciato un urlo di dolore. Non era riuscita a trattenersi. L’avevano udita e ora vedevano la camicetta insanguinata dove si copriva lo stomaco con una mano. Non sono debole. Non sono stata sconfitta. Quando fu quasi in fondo al giardino, riuscì a raddrizzare le spalle. «Puoi andare». Il volto dello spirito del sorbo era impassibile e anche le altre creature che la stavano fissando con l’aria di essere del tutto indifferenti alla sua sorte, ma Aislinn non avrebbe dato loro la soddisfazione di vederla debole. Scostò la mano dalle ferite e al cancello si arrestò un istante per arginare il dolore. Appoggiandosi all’inferriata che delimitava il territorio della Regina dell’Inverno, tirò fuori il cellulare dalla tasca. Poi pronunciò un incantesimo per nascondere le ferite e il pallore mortale agli occhi umani e uscì. Ancora qualche passo soltanto. Aveva percorso a malapena un isolato quando le lacrime presero a solcarle le guance. Senza neanche guardare il telefono, premette il tasto di chiamata rapida. Appena Keenan rispose, non gli diede il tempo di parlare. «Ho bisogno di te. Vieni a prendermi». Riagganciò e si lasciò lentamente andare sul marciapiede. Si rese conto, preoccupata, che stava perdendo i sensi. Non è una ferita grave. Donia ha detto così e le creature fatate non mentono. Osservò i corvi sul cornicione di un edificio poco lontano e fece un’altra chiamata: sorrise sentendo la voce di Seth, anche se era solo un messaggio registrato. Al bip proferì con voce più chiara possibile: «Non ce la faccio a venire a cena stasera. È successo un imprevisto… Ti amo».

Avrebbe voluto dirgli di raggiungerla, ma era in mezzo alla strada, insanguinata, incapace di difendersi se qualche essere fatato avesse voluto aggredirla o rapirla, e Seth era mortale. Il suo mondo non era un luogo sicuro per lui. Neanche un po’. Aislinn percepì i movimenti e i rumori soffocati delle persone che le passavano accanto mentre andava in cerca di una sorgente di silenzio dentro di sé e vi si ancorava. Udì un autobus fermarsi in fondo alla strada. Il via vai dei passi si fece più distinto per qualche istante. I corvi gracchiarono, lanciando lunghi versi rochi che si fusero con i rumori del mondo mortale. Aislinn appoggiò la testa al muro, senza preoccuparsi di sporcarsi, felice piuttosto di sentire il calore dei mattoni. Ne aveva bisogno. Il calore mi guarirà, pensò e come una cantilena prese a ripetere dentro di sé: calore, afa, estate, sole, caldo, calore, afa, estate, sole, caldo. Keenan le avrebbe portato tutto ciò. Rabbrividì. Vedeva mentalmente le schegge di ghiaccio conficcate nel suo corpo. Schegge d’inverno sepolte in lei. Una lezione: ecco s’era. Una lezione e un avvertimento. Non un’aggressione fatale. Tuttavia, lì seduta per terra, ferita, si chiese se Donia non l’avesse ferita più gravemente di quanto non intendesse. Calore, afa, estate, sole, caldo, calore, afa, estate, sole, caldo, ripeté a se stessa come in una preghiera. Keenan stava per arrivare. E le avrebbe portato il calore e il sole di cui aveva bisogno. Calore, afa, estate, sole, caldo. Non è una ferita profonda. Non sono in fin di vita. Sì, invece. Le creature fatate possono vivere in eterno, ma lei non sarebbe sopravvissuta se Keenan non fosse arrivato. Calore, afa, estate, sole, caldo. Sto per morire. «Aislinn?». Il suo re la stava sollevando tra le braccia. Si strinse a lui, alla sua pelle ardente di sole. Lo sentì parlare, dire qualcosa a qualcuno. Non aveva importanza. Alcune lacrime di sole le caddero sul viso, accarezzandola. «Ho freddo». Tremava tanto che temette di cadere, ma lui la strinse a sé, e poi ogni cosa divenne confusa.

Al risveglio Aislinn non si trovava a casa, né nel suo letto nel loft o in quello di Seth. Osservò il groviglio di tralci sopra di sé: anche se non l’aveva mai visto da quella posizione, aveva spesso osservato meravigliata quel rigoglioso rampicante dalla soglia della camera di Keenan. «Cos’è?». Sapeva che era lì, non aveva bisogno di vederlo: non si sarebbe mai allontanato da lei in un momento simile. «Ash…». «Questo rampicante, intendo. Non l’ho mai visto da nessun’altra parte. Solo… qui». Keenan si sedette sul bordo dell’assurdo copriletto di broccato rosso e oro che ammantava il suo letto gigantesco. «Lo chiamano coppa d’oro: mi piace. Sono addolorato per la nostra discussione». Non riuscì a guardarlo: era sciocco essere imbarazzata, eppure si sentiva a disagio. Ripeté mentalmente la propria conversazione con Donia, come se analizzarla potesse cambiare le cose. E la paura la ghermì di nuovo, con repentina violenza. Potevo morire. Non era certa che fosse proprio così, ma per strada, sola e sanguinante, aveva temuto di non farcela. «Anche a me dispiace». «Di cosa? Non mi hai detto nulla che non sapessi già…». La voce di Keenan era calda come le lacrime che aveva versato quando l’aveva sollevata tra le braccia. «Troveremo una soluzione per tutto, vedrai. Adesso, però, la cosa che conta di più è che sei qui e appena saprò chi ti ha…». «Donia. Chi altri?». Aislinn sollevò la testa e ripeté, fissandolo: «È stata Donia a pugnalarmi». «Don?», esclamò lui, impallidito. «Deliberatamente?».

Le sarebbe piaciuto inarcare un sopracciglio come faceva Seth. «Di solito non si pugnala qualcuno per sbaglio, che dici? Mi ha conficcato delle lame di ghiaccio nello stomaco. Sono quasi svenuta…». Cercò di tirarsi su ma sentì tirare le ferite. Non era più il dolore cocente di prima, però fu sufficiente a riempirle gli occhi di lacrime. Rinunciò. «A quanto pare non è poi vero che le creature fatate guariscono tanto in fretta». «Perché è stata Donia a ferirti», le spiegò con voce piatta, malgrado il rombo dei tuoni fuori tradisse i suoi sforzi di mantenere la calma. «È una creatura reale, la nostra antitesi». «E allora… adesso?». Keenan sbiancò di nuovo. «Non voglio la guerra. Non sarebbe saggio». Aislinn tirò il fiato. Neanche lei desiderava la guerra, soprattutto contro una corte più forte della loro. Il pensiero che le sue creature dovessero affrontare il suo stesso dolore la terrorizzava. C’erano già stati abbastanza disordini nel mondo fatato a causa dell’ascesa al trono di tre nuovi sovrani nel giro di pochissimo tempo. «Sono d’accordo». «Se fosse stato chiunque altro, non avrei esitato a uccidere», affermò Keenan passandole le dita tra i capelli, riversando su di lei i suoi raggi di sole. «Quando ti ho vista ferita… Come ha potuto fare una cosa simile alla mia regina, alla mia corte?». Aislinn non rifiutò quel gesto di conforto, il ricordo del gelo che l’aveva ghermita era troppo recente. Per un attimo sognò di potergli chiedere di stendersi accanto a lei e abbracciarla. Non perché desiderasse un abbraccio sensuale, né tanto meno romantico: voleva solo sentirsi avvolta in un manto di sole. Calore, afa, estate, sole, caldo. Quel pensiero la fece arrossire. Lui avrebbe frainteso e lei non aveva nessuna voglia di creare altri equivoci tra loro. «Posso aiutarti», le disse indicando imbarazzato le ferite. «L’avrei fatto prima, ma so quanto sia importante per te avere… il tuo spazio… soprattutto da quando…». Aislinn si guardò la camicetta. Non era insanguinata. «E questa chi me l’ha messa?». «Siobhan. Ti ha cambiato lei dopo che io ho controllato le ferite. È sempre stata con me, mentre… lo facevo. Era qui anche lei». Aislinn gli prese la mano. «Mi fido di te, Keenan, anche se fossi stato tu», arrossì, «a cambiarmi». Era vero. La metteva in imbarazzo se le si avvicinava troppo o le riservava attenzioni eccessive, ma sapeva che non si sarebbe mai approfittato di lei. L’aveva temuto quando non lo conosceva ancora, ma ora no. Donia si sbagliava. «E come?». «Con il sole. Come hai fatto tu con me, solo più in profondità. Altrimenti guariresti molto lentamente, come se fossi…», non ebbe il coraggio di finire la frase. «Mortale. Puoi dirlo, Keenan. Lo so cosa sono diventata». Aislinn si rese conto che si stavano ancora tenendo la mano e gliela strinse. «Se fossi stata mortale, a quest’ora non sarei più qui». «Se fossi stata mortale, Donia non ti avrebbe ferito». «Non ne sono tanto sicura. Se tu provassi per le Ragazze dell’Estate… quello che senti per me, potrebbe aggredirle, non pensi?». Aislinn non aveva mai ritenuto Donia tanto crudele, ma con quelle ferite lasciate dalle lame di ghiaccio era difficile non giudicarla in modo nuovo. A tutta prima Keenan non rispose. Fissava i tralci abbarbicati al baldacchino e il suo sguardo li fece fiorire, rivelando esili stelle purpuree all’interno del loro grande imbuto dorato, mentre

tendevano nuovi tralci verso di lui. «Keenan?». «Non lo so. Non ha importanza, comunque. Non in questo momento». «E allora cos’ha importanza?». «Che ha aggredito la mia regina». Nei suoi occhi apparve qualcosa che Aislinn non vi aveva mai visto: bagliori e scintillii di spade. Avrebbe dovuto intimorirla quella collera negli occhi del suo re, invece le fu di consolazione. Le altre emozioni che le parve di scorgervi, possessività, paura e desiderio, quelle sì, che la turbavano. «Ma tu sei arrivato in tempo. Guarirò». Keenan le lasciò andare la mano e chiese, esitante: «Posso curarti allora?». «Sì». Non gli chiese come, non voleva dubitare di lui, in quel momento non c’era spazio per nessun sospetto. Erano amici. Compagni. Il resto si sarebbe risolto. Inevitabilmente. Senza di lui non sarei più qui. Il ghiaccio che si era insinuato in lei l’avrebbe avvelenata, se lui non l’avesse sciolto. Sarebbe morta lentamente, dissanguata. Keenan scostò la trapunta e il lenzuolo frusciante. Era ferita, tuttavia, malgrado ciò, sentì di nuovo farsi strada tra loro la tensione e l’imbarazzo. Cominciava a temere di dover affrontare un indesiderato piacere più che un nuovo dolore. «Posso sollevarti la camicetta? Devo vedere le ferite». Gli tremava la voce di timore o per qualcos’altro cui Aislinn non volle pensare. La porta della camera era aperta. Non avevano bisogno di privacy e per di più nessuno sarebbe entrato sapendo che erano soli. La loro corte accettava che fossero solo amici, se necessario, ma non era certo quel che desideravano. Non era un segreto per nessuno. In silenzio Aislinn sollevò un lembo della camicetta in modo da scoprire lo stomaco, coperto da una fasciatura bianca. «Anche la garza?». Lui annuì, senza offrirsi di aiutarla. Aveva i pugni serrati e teneva ostinatamente gli occhi bassi. Aislinn scostò la benda e il cerotto. Aloni violacei circondavano ferite di appena un paio di centimetri, ma molto profonde. Donia aveva ampliato la lama man mano che il ghiaccio si era fatto strada dentro di lei. «Non sentirai male», mormorò Keenan, «ma potresti… sentirti in imbarazzo». Avvampando, Aislinn disse: «Mi fido di te». Senza aggiungere altro, Keenan posò il palmo sulle ferite. Fu come sentir passare tra loro una scarica elettrica. Negli occhi di Keenan una spiaggia deserta lambita dalle onde fu rischiarata da un’alba incantevole. Un improvviso piacere le mozzò il fiato. Fiotti di sole si riversavano nel suo corpo attraverso le ferite. Guardandola negli occhi, Keenan le disse: «Tu quel giorno hai cancellato il gelo di Beira con un bacio. Potrei guarirti più in fretta nello stesso modo anch’io, ma non lo farò, visto come stanno le cose. Vorrei tanto, Ash: vorrei usare questa scusa per baciarti», disse guardandole la pancia nuda, «vorrei usare la fiducia che mi stai accordando in questo momento per perdermi in te, per farti perdere in me, ma non lo farò. Sei mia solo a metà, non posso. Così guarirai più lentamente, ma è meglio così. Per… tutti».

«Credo che tu abbia ragione», disse Aislinn cercando di respirare profondamente. Il cuore le batteva troppo in fretta, frammenti di estasi affioravano in lei mentre il sole scioglieva ogni anfratto ancora gelato e lui continuava a fissarla con occhi adoranti, lo sguardo che Aislinn solitamente fuggiva. Ma non in quel momento. Non poteva. Non guardarlo. Tuttavia era più forte di lei e non riusciva ad abbassare gli occhi. Il sole si fece più ardente, lei afferrò il polso di Keenan e rabbrividì, non di freddo, ma di piacere, a quella corrente elettrica che le correva sotto la pelle, fin nelle ossa. Era senza ombra di dubbio un contatto erotico. Sebbene le avesse semplicemente posato una mano sullo stomaco, quello che lei stava provando era lo stesso piacere sessuale che le dava Seth. Keenan fece qualche respiro profondo e lei cercò di concentrare i propri pensieri sul ritmo meditativo dei suoi respiri. «Credo che possa bastare…». «Credi?». «Sì», sussurrò Aislinn senza staccare la mano dal polso di Keenan. Sentiva la pelle pulsare di sole. Il suo sole. Il nostro sole. Le scappò un sospiro quando una vibrazione dell’intensità di tutte le altre messe insieme fluì dal palmo di Keenan verso di lei. Le si chiusero gli occhi e fu spazzata da ondate di piacere. Un fruscio di fiori si tese verso la luce che entrambi stavano irradiando. Poi Keenan allontanò la mano. Aislinn abbassò lo sguardo convinta di vedere l’impronta delle sue dita sulla pelle. Non c’era nulla. Solo quattro piccoli tagli. I lividi erano quasi completamente scomparsi. «Tutto okay?», gli domandò con un filo di voce. «No», rispose lui senza fiato, guardandola con un’aria di confusa vulnerabilità simile a quanto stava provando anche lei. «Non voglio dover vivere senza di lei e senza di te. Donia non vuole vedermi a causa di quello che provo per te. Entrambe mi chiedete qualcosa che va contro le mie convinzioni, i miei desideri più profondi. Potrei essere felice con una di voi, invece eccomi qui, triste e indebolito». «Mi dispiace». Non si era mai sentita tanto in colpa come in quel momento. «Anche a me. Preferirei morire piuttosto che vederti di nuovo ferita, ma non credo di poterle fare del male. Tu sei la mia regina, ma lei è… A volte mi sembra di essere innamorato di lei da sempre. Se tu mi accettassi…», disse sfiorando la pancia nuda, «le direi addio. Sapevo di doverlo fare una volta trovata la mia regina. E anche lei lo sapeva. L’avevamo accettato entrambi. Un re deve vivere al fianco della sua regina. Ne sono convinto. Me lo sento dentro ogni volta che ti sfioro. È come se fosse…». «Inevitabile», concluse Aislinn con un filo di voce. «Lo so, ma io non sono innamorata di te. Non avrei dovuto accettare la tua proposta poco fa, immagino». «Eri ferita. Non ti avevo detto che sarebbe stato come…». «Come fare l’amore?». Arrossì. «Hai provato la stessa cosa anche tu quando io ho guarito te?». «Non con la stessa intensità, erano ferite molto più superficiali, ed era inverno». La mano di Keenan la stava sfiorando appena, ma Aislinn si sentiva attratta dal calore che irradiava. Lui, tuttavia, non si avvicinò di più. «Non sono fatto per amare un’altra. Sono fatto per amare te, la mia regina, non lei. E tu… tu dovresti amare me». Aislinn aveva le guance rigate di lacrime, difficile dire se fossero per Keenan o per sé. «Mi

dispiace». Non sapeva dire altro. «Ho bisogno di spazio. Mi dispiace… È solo che… Mi dispiace». Lui sospirò, senza muoversi. «Dovevo fare un tentativo. Se fossimo insieme, sarebbe tutto più semplice». «Ma io non ti amo. Donia invece sì. Se potessi darle il mio posto, lo farei. Abbandonerei la corte, se potessi. Si risolverebbe ogni cosa…». «Allora sei più forte di me. Io voglio tutto: la mia regina, la mia corte, l’amore. Grazie a te adesso ho il potere, ma…», si scostò, «non ho te. Non ancora. Ottenere i miei pieni poteri mi ha accecato. Devo starti lontano per un po’ finché non riusciremo a controllare meglio questa attrazione che proviamo l’uno per l’altra. Possiamo chiedere alle guardie di non lasciarci soli, oppure non rimanere insieme nel loft o… qualcos’altro». «Mi aiuterai a trasformare Seth in…». «No, mai. Non insisterò più finché la situazione non cambierà, ma non maledirò mai Seth. Col tempo esploreremo questa nostra attrazione. È inevitabile, noi siamo inevitabili. Per il momento, però, ti darò lo spazio che chiedi». Si voltò verso la porta. «Non so ancora bene come riuscire a starti lontano, ma finché tu avrai Seth, io sarò al fianco di Don». «E allora adesso cosa fai?». «Andrò a parlarle di quello che è successo, sperando che non sia troppo tardi». E con un’aria non meno ferita di quanto non si sentisse lei stessa, Keenan si chiuse la porta alle spalle. Aislinn fissò la porta e scoppiò a piangere, lasciando che le lacrime le rigassero le guance. Era salva. Era viva. Ma anche sopraffatta da tutto quello che era accaduto, smarrita, confusa. La sua vita era cambiata in maniera drastica e lei stava facendo un mucchio di errori. Seth non era felice. Keenan non era felice. In quel frangente essere pugnalata da un’amica era davvero troppo. Si addormentò piangendo.

Svegliandosi, vide Seth fermo sulla soglia. «C’è qualcosa che devo sapere?». Aislinn batté le palpebre insonnolita. «Tavish non mi ha voluto dire cosa sta succedendo. Le ragazze mi hanno accolto mute o in lacrime, abbracciandomi. Mi hanno detto solo che eri qui. Se tu fossi stata qui perché eri con lui, non credo che avrebbero pianto». «Seth…». Fece per tirarsi su ma si arrestò di colpo, portandosi una mano allo stomaco. «Sei ferita». In un istante le fu accanto. «Keenan…». «No, Keenan non mi farebbe mai del male, lo sai». «E allora chi?». Gli raccontò ogni cosa, tranne quel che aveva provato quando Keenan l’aveva curata, e aggiunse: «Immagino che una guarigione rapida non significhi che si è invulnerabili al dolore». Gli mostrò i segni delle ferite. «Sono quasi a posto, ma sento ancora dolore. Malgrado tutte le cure di Keenan…». Seth si sedette sul pavimento, accanto al letto. «Così Keenan ti ha guarito. Come avevi fatto tu con lui, con un bacio?». «No, niente bacio, solo la sua mano sulle mie ferite», rispose lei con le guance in fiamme, rivelandogli così tutto quello che aveva cercato di tacergli. «Dimmi che è stata una cosa senza importanza, Ash», disse Seth con voce addolorata, poco

più di un sussurro. «Guardami e dimmi che non c’è stato niente tra voi». «Seth…». «Dimmi che non è vero che ogni giorno che passa ti allontani di più da me, dannazione». La fissò, cercando nei suoi occhi risposte che lei non aveva. Poi Seth chiuse gli occhi e appoggiò la fronte al materasso. «Seth, io… Avevo bisogno del suo aiuto. Tu non… ma… Mi dispiace. Però abbiamo parlato. Keenan smetterà di essere incalzante. Troveremo un modo di risolvere le cose». «Fino a quando?». «Fino a che tu…», fece per rispondere Aislinn, ma le parole le morirono sulle labbra. «Fino a che sarò qui? Fino a che sarò vivo?». Si alzò. «E poi? Lo vedo come ti guarda quando ti sfiora. So che questo non è stato… un caso. E io non sono in grado di aiutarti. Per te era inutile chiamarmi in aiuto». Scosse la testa. «Mi dispiace». Aislinn allungò una mano verso di lui. Seth la strinse. «Gliene ho parlato… di te. Che vuoi diventare una creatura fatata», gli disse. Esitava, ma voleva che lui sapesse che stava cercando di trovare una soluzione. Se vivrò abbastanza a lungo. Le sembrava di essere minacciata da ogni lato, negli ultimi tempi. «E?». Per un attimo, un attimo soltanto, sul suo volto apparve un’espressione di speranza. «Ha detto di no, ma…». «Ma certo. Ha ragione Niall. Desidera solo vedermi sparire, Ash. E un giorno succederà. Lui avrà tutto e a me non sarà rimasto nulla». Si bloccò cercando di evitare che il suo volto rivelasse le sue emozioni. Poi si chinò su di lei e le baciò la fronte. «La sai una cosa? Non è il momento di fare questi discorsi, tu non stai bene. È meglio che me ne vada». «Seth, per favore». Aveva un groppo alla gola. Non voleva vederlo ferito come se fosse stato pugnalato anche lui. «Sto facendo del mio meglio». «Anch’io, Ash, ma… è come essere stati ammessi in paradiso e poi esserne cacciati. Credo di avere bisogno di stare un po’ solo in questo momento. Concedimelo». Le lasciò la mano e uscì. E lei rimase sola, ferita e in un letto che non era il suo. Nella stanza accanto, uno stuolo di creature fatate non aspettava altro che di obbedire a qualunque suo ordine, ma le due persone di cui aveva più bisogno se n’erano andate.

Capitolo 15

Seth non degnò di uno sguardo né di una parola le creature fatate nel loft. Non si sarebbe nemmeno accorto se gli avessero parlato. Quinn si alzò e lo accompagnò alla porta. Non ho voglia di avere a che fare con lui in questo momento. Seth attraversò la strada inoltrandosi nel parco in cui si tenevano i Girotondi dell’Estate, come dimostrava un ampio cerchio d’erba calpestata, simile a quei misteriosi disegni che a volte sono stati fotografati nei campi di grano. Alcuni spiriti del sorbo selvatico gironzolavano nell’incipiente oscurità della sera. Le Ragazze dell’Estate chiacchieravano sedute in piccoli gruppi oppure danzavano roteando come dervisci. Alcuni giovani leoni suonavano in circolo. Non era chiaro se fossero le ragazze avvolte da tralci fruscianti a danzare al suono delle loro percussioni o piuttosto quei ragazzi dalle lunghe criniere leonine a seguire i loro ebbri volteggi. Nel parco della Corte dell’Estate il mondo fatato sembrava incantevole. «Non occorre che tu mi segua. Sono al sicuro qui», disse senza voltarsi verso Quinn, che lo stava tallonando. «Hai intenzione di fermarti?». «Non per sempre». Si sedette su una panchina che un artigiano fatato aveva realizzato intrecciando i tralci di un rampicante in modo che, crescendo, desse vita a un sedile fiorito. Era uno dei tanti prodigi che Seth era in grado di vedere grazie alla seconda vista. Magiche illusioni. O forse la realtà. Chi poteva dirlo. Ai confini del parco sei corvi erano appollaiati su una quercia. Per un istante, al vederlo gli si bloccò il respiro, ma Tracey, una delle più tenere tra le Ragazze dell’Estate, lo prese per mano. «Ti va di ballare?». Stava già volteggiando, esile come un giunco ma, in quanto creatura fatata, abbastanza forte da tirarlo a sé, se avesse voluto. Verdi tralci si tesero verso di lui. «Non sono dell’umore giusto, Trace». Seth cercò di liberare la mano. «Proprio per questo», replicò lei sorridendo e costringendolo ad alzarsi. «Così smetti di essere triste». «Ho solo bisogno di pensare un po’». Si era divertito a volte danzando per ore con le ragazze o ascoltando le loro chiacchiere. Un po’ come andare a un rave e dimenticare ogni cosa. Tutte cose prima-di-Ash. La sua vita era così: prima-di-Ash e dopo-Ash. «Puoi sempre pensare anche se muovi i piedi», lo tirò con sé verso il cerchio d’erba calpestata e, non appena lo varcò, Seth fu sopraffatto dalla sua magia. Alzandosi dalla panchina, aveva visto le sculture e la fontana prendere vita, aveva scorto i sorrisi compiaciuti dei giovani leoni, aveva sentito il ritmo della musica cambiare, ma non poteva opporsi. Vedeva ogni genere di cose, ma non aveva il potere di modificarle. Fu ghermito ai fianchi dai tralci di Tracey che lo attirava a sé. Le lievi carezze delle sue

mani e dei suoi capelli gliela fecero apparire ancora più eterea. Non c’era nulla a cui Seth potesse aggrapparsi, nulla di sufficientemente solido. «Lasciami», le disse e già i suoi piedi si muovevano al suono della musica. «Devo andare, Trace». «Perché?». Quei suoi occhi spalancati avevano un’espressione di assoluta innocenza, ma Seth le conosceva fin troppo bene, le Ragazze dell’Estate, non erano sciocche come potevano sembrare. Frivole? Inclini a improvvisi scoppi di allegria? Sensuali? Senza dubbio. Ma sapevano il fatto loro. Avevano vissuto per secoli in attesa della loro regina, osservando i travagli del re. Non si vive a lungo in circostanze avverse senza imparare a perseguire i propri scopi e a usare gli altri per far avverare i propri sogni. «Tracey», ripeté arretrando. «Sono di cattivo umore». Lei lo seguì, volteggiandogli intorno, e la musica si trasformò in un samba. «Rimani». «Devo…». «Rimani». Gli portò le braccia al collo e gli strappò l’amuleto che lo proteggeva dall’incanto di quelle danze. La catenina con la pietra le serpeggiò sulla pelle, quasi fosse dotata di vita, mentre Tracey se la lasciava cadere tra i seni. Seth guardò la pioggia di petali che all’improvviso si riversava su di loro. «Rimani con noi. Il tuo posto è qui», disse prendendolo tra le braccia. Per un istante, il tempo di un battito d’ali di farfalla, Seth ricordò che aveva bisogno di quella pietra, che doveva recuperarla. Poi il mondo si trasformò e lui fu colto da una sensazione di gioia travolgente. Che luogo meraviglioso… C’era ancora qualcosa dentro che gli diceva che avrebbe dovuto andarsene, ma le Ragazze dell’Estate avevano fatto tanta fatica a insegnargli a danzare come piaceva a loro e i giovani leoni suonavano così bene e la terra stessa mormorava al ritmo dei suoi movimenti. «Sì, balliamo», disse, e stava già danzando. Quando Tracey lo baciò su una guancia e scomparve volteggiando per lasciarlo tra le braccia di Eliza, gli parve che fosse trascorso appena un istante. «Rumba?». La musica cambiò e il corpo di Seth prese a muoversi al tempo che sentiva pulsare dal terreno. Non poteva smettere di ballare, si fermò quel tanto che bastava per sfilarsi gli anfibi e poter sentire il ritmo attraverso i piedi nudi. La luna era alta ormai, una giovane donna ondeggiava in una fontana. No, non una giovane donna. Una creatura fatata. Come Ash. «Vieni a danzare con me, Seth». Siobhan gli lasciò le mani. Quand’è che Eliza è diventata Siobhan? Seth entrò nella fontana, l’acqua gli bagnò i jeans, rinfrescando i piedi ardenti, mentre tendeva le braccia verso di lei. E al contatto con il suo corpo rabbrividì di piacere. Potrei perdermi in lei. La ragione gli rammentò di fare attenzione, perdersi in quella creatura d’acqua significava annegare. «Mi vuoi fare del male, Aobheall?». Lei gli portò le labbra all’orecchio: «Vattene, mortale. Le cose qui non si stanno mettendo bene per te stasera». Gli spruzzi della fontana creavano una cortina d’acqua che li nascondeva alla vista delle altre creature, ma il suono delle percussioni filtrava sino a loro. «Chiama aiuto», gli disse. «Aiuto?».

«Chi, Seth? Se hai bisogno di aiuto, chi verrà a salvarti? », domandò Aobheall stringendosi a lui. «Io non posso aiutarti. Le ragazze? I giovani leoni? Il nostro re? Chi ti può salvare dai capricci delle creature fatate?». «Niall. È come un fratello». Premette un tasto del suo cellulare mentre l’acqua per qualche istante si riversava soltanto su Aobheall. Lo tenne in mano senza portarlo all’orecchio. «Dove siamo, mortale?», mormorò Aobheall. «Fontana». Era stordito, ma stava lentamente riprendendosi. «E da quanto tempo sei tra le nostre braccia?». «Da sempre». «Dannazione, Seth», si udì dall’altro capo del filo. «Vuoi rimanere qui, Seth? O vuoi andartene?». «Rimanere qui, per sempre». Non poteva allontanarsi da Aobheall. Voleva rimanere con lei, con loro. Le vedeva, oltre il velo d’acqua. Le Ragazze dell’Estate di Ash. Si sarebbero prese cura di lui. Prima di finire tra le braccia di Tracey era così triste. Adesso non più. «Con te». Al suo arrivo, Niall lo vide ancora nella fontana. Il Re del Buio entrò nell’acqua e per un attimo Seth fu sopraffatto da un’ondata di strane emozioni: Niall era un dio. Seth lo guardò e gli parve di non avere mai desiderato nessun altro tanto intensamente. Poi il sovrano delle ombre gli prese una mano per posare qualcosa nel suo palmo. «Sembra che tu l’abbia perso». Non appena toccò l’amuleto, Seth ritrovò la lucidità. Si rese conto di essere bagnato fradicio, fermo in mezzo alla fontana con Aobheall, desiderando il suo migliore amico. Prese Aobheall per mano. «Sei stata generosa». La creatura rise e lui udì l’eco di una cascata. «Non direi, Seth. Altrimenti ti avrei suggerito di chiamare Niall prima di avere la possibilità di danzare con te». «Per una creatura fatata non è poco», sottolineò Seth. «Vieni a ballare con me quando vuoi dimenticare. Terrò io quel tuo amuleto per il tempo che mi dirai tu». Aobheall si voltò ad accarezzare il volto di Niall. «E tu sei sempre il benvenuto nella mia fontana». Il Re del Buio sorrise. «Ti sono in debito». Lei rise ancora. «E quando mai non lo sei stato? È una cosa che adoro». Niall la baciò e, mentre le ombre si mescolavano all’acqua, al posto di sgargianti arcobaleni si formò un arco di luccicanti fasce grigie e argentee tempestate di piccole esplosioni luminose. Durante quel bacio, la figura di Aobheall disparve nell’acqua che scrosciava. Il suono del sospiro che seguì aleggiò nell’aria per qualche istante. Niall uscì dalla fontana. «Seth?». E lui lo seguì in silenzio. Le Ragazze dell’Estate non danzavano più, i giovani leoni avevano smesso di suonare, gli spiriti del sorbo selvatico erano immobili, in guardia. Nessuno desiderava provocare Niall, anche se forse, a dire il vero, a qualcuno di loro, in particolar modo a Siobhan, non sarebbe dispiaciuto, a giudicare dalla sua espressione. Seth sospettava che almeno un paio di Ragazze dell’Estate cercassero ancora gli abbracci di Niall, ma preferiva non indagare. «Tracey?».

Tracey arrivò volteggiando e tendendo le braccia verso il Re del Buio mentre i tralci avvinghiati al suo corpo si ritraevano in un fremito. Niall le prese le mani. «Non devi farlo più», disse calpestando il tralcio che dalla sua caviglia si stava dirigendo verso Seth e schiacciandolo sotto la suola. «Seth è ormai mio fratello». «Gli siamo affezionate. Era triste, se ne stava andando…», rispose lei tendendo una mano verso Seth. Niall le bloccò il polso, impedendole di toccarlo. «Gli hai sottratto il suo amuleto perché era triste?». Tracey annuì. Altre ragazze giunsero al suo fianco, compreso Siobhan ed Eliza. «Era felice con noi», disse Eliza. «Cosa importa perché?». «Ti renderemo felice. Rimani con noi e sarai sempre accanto ad Aislinn», Tracey mormorò a Seth. «Non vogliamo che anche tu ci abbandoni». «La regina è confusa», disse Siobhan rivolta a Seth, benché fissasse Niall. «Succede a volte quando le persone desiderano cose contrastanti. Non la devi abbandonare». «Non la stavo abbandonando. Stavo… Ho solo bisogno di spazio». Seth lanciò un’occhiata al loft. Le finestre erano aperte e vi si scorgeva una profusione di rami e fronde. Desiderano stare vicino a lei. A loro due. Non voleva dover spiegare a nessuno cosa provava, né a Niall, né alle Ragazze dell’Estate. Erano affari suoi. Cose private di cui troppa gente era invece al corrente. Fu assalito da una rabbia subitanea. «Ne ho abbastanza di tutto questo per il momento». Si voltò e si allontanò. Niall l’avrebbe seguito, oppure lo avrebbe fatto una guardia, uno spirito del sorbo selvatico, o una glaistig. Ce li ho sempre alle calcagna. Non gli piaceva, ma ormai era diventato un suddito del mondo fatato. Per quanto non appartenesse a nessuna corte, era sotto il loro dominio. Ho detto di sì a tutto questo quando ho scelto di starle accanto. In quel momento, però, il pensiero di Aislinn distesa nel letto di Keenan non gli fu di grande conforto.

Niall rimase in silenzio mentre si avviavano verso il treno di Seth. Rimase in silenzio quando arrivarono e Seth riempì il bollitore. Rimase in silenzio mentre Seth dava da mangiare a Boomer. Le creature fatate sono dotate di grande pazienza. Seth, invece, anche dopo anni di meditazione, si rendeva conto che la sua pace interiore veniva ancora disturbata con grande facilità. Versò l’acqua bollente nella piccola teiera che gli aveva comprato Aislinn. Quando era ancora una mortale. Scacciò quel pensiero: Aislinn non era più mortale, non lo sarebbe stata mai più. Le cose non potevano rimanere com’erano e lui doveva trovare il modo di andare avanti. Seth si sedette davanti all’amico. «Persino Tracey è più forte di me». «Tu sei un mortale», rispose Niall con la tazza in mano, ancora vuota. «Se non avessi perso il tuo amuleto…». «Non l’ho perso». «È vero». Niall prese la teiera e versò il tè a entrambi. «È dura, me ne rendo conto…». «Non ne hai la minima idea». La risata sarcastica di Seth suonò carica di amarezza. Lui stesso ne fu sorpreso. «Tu non sei mai stato umano e sei maledettamente perfetto, forte, così… tutto. E Ash ha bisogno di un compagno così». «Non dirlo neanche», ribatté Niall. «Non devi metterti a pensare certe cose». «Cosa sarebbe successo se Aobheall fosse stata d’umore diverso?».

«Le ragazze non ti volevano fare del male. Se Ash non fosse tanto distratta ultimamente…». Si bloccò. «Se ne hai abbastanza di questo mondo, ti aiuterò a uscirne. Forse dovresti farci un pensiero». «No, non è uscirne che voglio», replicò Seth sorseggiando il tè. Aveva la sensazione di perdere Aislinn e sapeva che non avrebbe resistito a lungo nel suo mondo da semplice mortale. Aislinn non l’aveva chiamato quando era rimasta ferita perché lui era troppo vulnerabile. Il conflitto tra le corti s’intensificava. Stare in mezzo, né di qua né di là, non era possibile. Seth posò la tazza e dichiarò: «Voglio diventare un essere fatato». Niall lo guardò angosciato. «No». Seth si versò un’altra tazza di tè. «Non voglio morire e non voglio lasciarla. Non sono abbastanza forte per potermi difendere neanche dalle creature fatate più deboli. Non sono in grado di resistere a un semplice incantesimo… Devo diventare un essere fatato». Niall lo fissava. «È una pessima idea, amico mio. Fidati». Per un attimo Seth si fermò a riflettere. Amico mio. Un termine simile sulle labbra di una creatura fatata era un dono che non veniva offerto con leggerezza, e non andava ignorato. «Apprezzo la tua amicizia, Niall, e hai la mia assoluta fiducia, te lo posso garantire». L’espressione tesa del Re del Buio si mitigò. Seth proseguì: «Però non cambierò idea solo perché tu non sei d’accordo. Mi conosci, lo sai. Perché invece non mi aiuti?». Niall si alzò e cominciò a muoversi nervoso per la stanza. «Sono tentato, te lo confesso. Malgrado sappia quanto sarebbe egoistico da parte mia e che aiutarti in un simile proposito ti porterebbe alla distruzione… sono tentato». «Non ti seguo». Gli diede un posacenere: non poteva evitare che Niall fumasse, per quanto detestasse l’odore delle sigarette. «Spiegati». «Due corti possono unirsi per scagliare una maledizione, come hanno fatto Irial e Beira… ma io non ti maledirò. L’unica possibilità che resta è di rivolgersi a Lasair, ma anche in tal caso ci sarebbe un prezzo da pagare». «Vale a dire?». «Un po’ di mortalità nelle mie vene, un po’ di ombre per te… Equilibrio. Uno scambio è quello che Lasair chiede di solito». Niall si fermò. La sua immobilità era quasi altrettanto irritante dell’agitazione di poco prima. «Mescolerebbe le nostre essenze: io diventerei in parte mortale, perdendo così la possibilità di conservare il trono della Corte Oscura – mi libererei del fardello che Irial mi ha rovesciato addosso – e tu… otterresti parte della mia natura». «Perfetto. Tu ti scrolli ogni pensiero di dosso e io…». «No». Niall andò verso il lavandino e lavò la sua tazza. «Sarebbe una mia scelta». «La storia è piena di creature che si sono rovinate per amore, e la mia storia personale è segnata dalle conseguenze di possibilità deplorevoli». Niall si avviò alla porta. Aveva un’aria turbata e stranamente atterrita. «Perché tu hai fatto delle scelte sbagliate non significa che debba farle anch’io». «Non io, Seth. Le persone a cui ho distrutto l’esistenza». Aprì la porta. «Non voglio essere tuo complice. Goditi il tempo che ti è concesso con Ash. Oppure dimenticala. Non ci sono alternative». Seth rimase seduto a fissare la porta anche dopo che Niall fu uscito. Non ho altra scelta.

Eppure non è ciò che voglio … Però Niall aveva aperto a Seth un’altra strada. Lasair. La Regina Suprema. È lei la soluzione. Ora non gli restava che trovarla.

Capitolo 16

Se l’aspettava quel gran trambusto alla porta, era prevedibile. Sentì possenti ondate di calore spingersi sino a lei. Era circondata dalle sue creature, sedute o appollaiate sui banchi che si susseguivano lungo le pareti dell’ingresso, quasi in attesa di un vero e proprio spettacolo. Sasha non c’era: la confusione lo turbava, a differenza degli esseri dell’inverno che, invece, erano estasiati dalla prospettiva di quanto stava per accadere. «Ho detto che entrerò», ripeté Keenan per la terza volta. «Non senza il consenso della mia regina». Lo spirito del sorbo selvatico faceva da scudo alla porta, imponente e risoluto come quando aveva protetto Donia per ordine del Re dell’Estate. Né lui né Keenan potevano certo dimenticare che un giorno Evan aveva giurato fedeltà al sovrano a cui adesso negava l’accesso alla dimora dell’inverno. «Non obbligarmi a farlo, Evan». Lo spirito del sorbo non batté ciglio, ma Donia rabbrividì. L’idea che la sua guardia potesse essere ferita la terrorizzava. Se non avesse minato l’autorità di Evan, la propria, gli avrebbe detto di farsi da parte, ma non poteva permettere a Keenan di entrare dopo avere ordinato di non farlo passare. Se davvero non avesse voluto vederlo, avrebbe chiamato i rinforzi. Invece gli avrebbe parlato, ma solo dopo che lui avesse compreso che non aveva libero accesso alla sua residenza. Keenan non avrebbe certo ignorato il valore di quella resistenza puramente formale, l’insulto di essere bloccato da un’unica guardia. E da quella in particolare, poi. Come spesso accadeva nelle lotte politiche del regno fatato, si trattava di una sorta di partita a scacchi, di mosse e contromosse. Evan ribadì: «Ha detto espressamente che vi dev’essere impedito…». Il sibilo delle vampate che si scagliavano contro il legno le mozzò il fiato, per quanto Donia sapesse che era inevitabile. In un attimo la porta fu in cenere. Evan era stato ghermito dalle fiamme, ma non gravemente. Poteva andare peggio. Il Re dell’Estate avrebbe potuto non concedergli la possibilità di arretrare. Avrebbe potuto ucciderlo e non l’aveva fatto. Un tale riguardo era un chiaro omaggio alla sua regina. Scavalcando lo spirito del sorbo, Keenan entrò e disse, fissando Donia: «Sono venuto a parlare alla Regina dell’Inverno». Alle sue spalle una kitsune, Rin, corse da Evan. La ragazza volpe scoccò un’occhiata gelida a Keenan da dietro una ciocca azzurrina, ma ogni animosità si dissolse non appena la guardia le strinse una mano. Altre kitsune e diversi spiriti dei lupi osservavano la scena in piedi, oppure seduti o accovacciati a terra. Si sarebbero volentieri avventati contro il Re dell’Estate, ma Donia non desiderava farli soffrire per una semplice dimostrazione di forza. Aveva affidato a Evan il compito di rifiutargli l’accesso, persino accordandosi con lui sulla necessità di tale misura. Non avrebbe fatto altro. «Non mi sembra di ricordare che ti sia stata accordata un’udienza», disse voltandogli le

spalle e allontanandosi, sapendo che l’avrebbe seguita. Non si sarebbe messa a discutere davanti alle sue creature, né aveva intenzione di esporle all’ira di Keenan. Il Re dell’Estate attese finché non furono in giardino, poi l’afferrò per un braccio costringendola a girarsi. Disse soltanto: «Perché?». «Mi aveva infastidito», rispose lei liberandosi. «Ti aveva infastidito?». Aveva già visto innumerevoli volte sul viso di Keenan quell’espressione di confusa indignazione, ma questo non rendeva certo le cose più semplici. «Hai pugnalato la mia regina, attaccato la mia corte, perché ti aveva infastidito?». «A dire il vero, sei tu che mi avevi infastidito. Lei ha soltanto fatto traboccare il vaso», rispose Donia senza battere ciglio. Anche il suo volto non tradiva nessuna emozione. Troppo pericolosi, i suoi sentimenti erano sepolti nella voragine in cui affondavano i ghiacci dentro di lei. «Vuoi la guerra?». «Non ne sono sicura». Fece un altro passo per scostarsi da lui, osservando la neve ai propri piedi come se quella conversazione fosse di ben poco interesse per lei. Quando ritenne che quella scena fosse servita al suo scopo, disse: «Voglio solo che tu mi stia lontano». Ma lui le si avvicinò e lei in un attimo perse ogni risolutezza. «Cos’è successo, Don?». «Ho preso una decisione». «La decisione di sfidarmi? Di dimostrare che la tua corte è più forte? Cosa?». Dalle dita della signora dell’inverno spuntarono lame di ghiaccio. Lui le guardò e soffiò, facendole sciogliere. Le prese la mano. «Hai pugnalato Ash. Cosa devo fare?». «Cosa vuoi fare?», replicò lei stringendogli la mano il più possibile. «Perdonarti. Fartela pagare. Supplicarti di non farlo mai più». Sorrise tristemente. «La mia corte, la mia regina… sono importanti per me». «Dimmi che non sei innamorato di lei». «Non sono innamorato di Aislinn. Io…». «Dimmi che non cercherai di convincerla a dividere il tuo letto». «Questo non posso dirtelo, lo sai». Distrattamente Keenan allungò una mano verso l’albero alle proprie spalle. Alla sua carezza minuscoli germogli comparvero tra il ghiaccio. «Un giorno, quando Seth non ci sarà più…». «Allora non devi farti rivedere mai più qui». Donia quasi non riusciva a scorgerlo attraverso la neve che le soffiava intorno. «Non rimpiango di averla pugnalata. E sarà solo l’inizio se la tua corte continua a mancarmi di rispetto. In futuro non sarò tanto clemente». «Un giorno… cercherò di convincerla a essere mia un giorno, non ora». Le si fece ancora più vicino, incurante della bufera, sciogliendo i fiocchi di neve e abbagliandola con il sole che s’irradiava dalla sua pelle. Ai loro piedi il terreno era diventato un pantano, Keenan aveva sciolto la spessa crosta di ghiaccio che lo ammantava e, per quanto andasse ricostituendosi intorno ai piedi di Donia, in quel momento il Re dell’Estate era più forte, avvantaggiato dalla collera divampata improvvisa in lui. «Ascoltami. Sei l’unica che io abbia mai amato tanto. Quando non sono con te, ti vedo nei miei sogni, mi sveglio con il tuo nome sulle labbra. Permettimi di starti accanto. Lei vuole lui e io voglio te. Quando mi ha detto che l’avevi pugnalata, si è spezzato qualcosa dentro di me. Non voglio essere in guerra con te. L’idea di farti del male mi terrorizza». Donia era immobile. La corteccia premuta contro la pelle, la mano stretta in quella di Keenan.

«Se tocchi ancora la mia regina, sarò costretto a mettere da parte ogni sentimento. Qualcosa dentro di me morirà, ma è mio dovere proteggerla. Non costringermi a fare qualcosa che aborrisco». Liberò la mano e se la passò tra i capelli e, con la stessa rapidità con cui era esplosa, la sua ira svanì. Le prese il volto tra le mani. «Te ne prego, Don». «Non è solo Aislinn. Calpesti la mia sovranità quando fai irruzione qui dentro in questo modo. Nessun altro osa tanto, né sovrano né spirito solitario». Appoggiò le mani sul suo petto permettendo al ghiaccio nulla più che di graffiarlo. «Hai dato fondo a ogni mia riserva di benevolenza». Lui si tese verso di lei e Donia non poté resistere all’istinto di impedire al fiotto di gelo che si riversava dalle sue mani di ferirlo seriamente. Keenan sorrise e disse: «Dopo tutto quello che abbiamo passato, vuoi rinunciare a stare insieme proprio ora?». Donia gli sfiorò le labbra, troppo rapidamente perché potesse essere un vero bacio, soffiandogli in volto, sugli abiti, una ventata di gelo. Non poteva pugnalarlo, ma almeno farlo soffrire un po’. «Ti amo, Don», sussurrò Keenan. «Avrei dovuto dirtelo tanti anni fa». Udire finalmente quelle parole aveva un gusto così dolce, e tanto amaro – com’era sempre stato il suo amore per Keenan: straziante, incantevole. A Donia parve di sentire il cuore battere all’impazzata e come spezzarsi. Sospirò e gli disse: «Anch’io ti amo… ed è per questo che dobbiamo trovare una soluzione. Finisce che faccio una strage, se andiamo avanti così». Con un sorriso radioso, lui replicò: «Non ne sono tanto sicuro». E la baciò, non come aveva fatto lei poco prima, ma con un bacio che le mandò in fiamme la lingua. All’improvviso una piena fioritura esplose su ogni fronda e i ghiacci si sciolsero, mentre una distesa di fiori in boccio spuntava con irruenza dal terreno. Era coperta di schizzi di fango, quando si scostò da lui. «Per secoli ho dovuto contrastare l’inverno disarmato. Ora ho riconquistato i miei poteri, fortificato dall’esperienza. Rammentalo, in caso volessi sfidarmi». La strinse come aveva fatto in quelle poche notti che avevano trascorso insieme. Era una dimostrazione di forza e controllo: il suo calore non la toccava nemmeno. «Ma non è una sfida che voglio tra noi. Finché ci sarà Seth nella vita di Aislinn, smetterò di inseguirla. Ho fatto un tentativo, come dovevo, per il bene della nostra corte… ma non è ancora giunto il momento che lei sia mia». Il fiato di Keenan e Donia si mescolarono in un sibilo di vapore. «Per i pochi anni che potrò averti, non ti voglio a metà». Lui le infilò un’orchidea tra i capelli, dietro un orecchio. E il fiore, sorprendentemente, non avvizzì. «Non voglio rinunciare a noi due né alla pace tra le nostre corti. Ti amo. Darò ad Aislinn il suo spazio. L’impeto dell’estate mi ha accecato. Lei vuole Seth e questo significa che io posso avere te. Se fosse possibile, ti starei accanto per sempre». La baciò teneramente. «Non amo Aislinn. Ne abbiamo parlato». Donia distolse lo sguardo. «L’ho spinta io tra le tue braccia. Ho solo commesso l’errore di credere che per qualche anno saresti stato mio… È lei la tua compagna, non io». «Forse un giorno, ma non ora… Mi sono lasciato trascinare dalla prima estate: mi ha inebriato, stordito, ma ora incanalerò le mie energie in un’altra direzione. Permetti al nostro sogno di realizzarsi. È quello che ogni corte desidera: un re felice, un sovrano che desidera di potersi perdere tra le braccia di una compagna innamorata. Dimmi che mi posso perdere tra le tue braccia». E lei cedette. Come sempre. «Sì». Lo trasse a sé e, infangati, si strinsero l’una all’altro, per quanto possibile senza ferirsi a vicenda. «Ma a condizione che finché c’è Seth tu sarai solo mio. Non ti voglio vedere mai più qui

con lei al tuo fianco». «E io non devo immischiarmi nelle tue faccende di corte. Lo so. Nessuna ingerenza, nessuna intromissione». Sorrise all’espressione sorpresa di Donia. «Me l’hai già detto, Don. Porgerò le mie scuse a Evan e accetterò le tue condizioni. Tu eviterai di prendere a pugnalate i membri della mia corte?». Donia sorrise: «Per il momento». «Allora siamo d’accordo», le sussurrò sulle labbra. «Per il momento». «Anche se sarai mio, anche se non ci fosse Ash tra noi, devi capire che io non sono ai tuoi ordini. Non hai nessuna autorità sulla mia corte». Era importante che fosse chiaro. Il problema non si limitava al rapporto con la sua regina. C’era anche altro che la preoccupava. «Ti ho amato quando eri mortale. Ti ho amato quando eri la Ragazza dell’Inverno che doveva ostacolare i miei sforzi andando a raccontare a tutte cosa rischiavano se avessero avuto fiducia in me». E così dicendo le andava baciando il collo, le spalle. «Non sono qui perché sei la Regina dell’Inverno, ma ti prometto che farò del mio meglio. E se dovessi commettere qualche errore…». «Non avrò pietà solo perché ti amo». Donia diceva sul serio, e fu felice che le creature fatate non potessero mentire perché per la prima volta da chissà quanto tempo lei e Keenan erano finalmente, totalmente onesti. «Tuttavia cercherò di non farmi trascinare dal dolore e dal desiderio di vendicarmi quando Seth morirà e tu…». Con un bacio Keenan le impedì di proseguire e poi sussurrò: «Possiamo evitare di parlare di quando tutto questo finirà? Siamo solo all’inizio. Sono tuo. Completamente, senza riserve. Cercherò di non interferire nelle tue decisioni riguardo alla tua corte. E adesso me lo dai un bacio?». Donia sorrise. «Sì, credo di potertelo concedere». Non fu come gli altri baci che avevano condiviso, avido, consolatorio o tinto di tristezza. Fu lento e affettuoso, e troppo, troppo breve. Lui si appoggiò all’albero e la guardò con tutto l’amore che lei aveva sempre sognato. «Tra qualche mese potrò trascorrere intere giornate tra le tue braccia, ma adesso», fece un passo indietro, cautamente, «credo di essere al limite del mio autocontrollo… So trattenermi, lo vedi? È possibile. Possiamo stare insieme». «Quando arriverà il solstizio», disse lei, facendo scendere su di loro leggera la neve. «Non sarà necessario tenere le distanze». «Che sogno!», esclamò Keenan tendendosi verso di lei per baciarle le labbra su cui si era posato un fiocco di neve. E corse via come un lampo. Che sciocco, sorrise Donia. Ma è mio, mio. Per un po’ almeno. Prima o poi sarebbe finito tra le braccia di Aislinn, ne era certa. Quando non ci fosse più stato Seth, avrebbe dovuto rinunciare a lui. Persino andarsene da Huntsdale per qualche tempo, ma, fino ad allora, aveva motivo di sperare. Forse Bananach si sbagliava. Lei e Keenan dovevano solo lasciarsi alle spalle il passato. Quelle visioni di guerra, come la famosa chiaroveggenza di Lasair, erano solo probabilità, non certezze. E oggi quelle probabilità sono svanite.

Capitolo 17

Aislinn si svegliò a mezzogiorno. Era sola, nella stanza di Keenan. Vide i suoi abiti poggiati su un’ottomana vicino al letto. Sul comodino, un vassoio con la colazione. Prima di pensare a mangiare o a vestirsi, però, chiamò Seth due volte, senza ottenere risposta. Poi telefonò a Keenan. «Come stai?», furono le sue prime parole, tranquille, affettuose, come se non fosse successo nulla. Aislinn ebbe un sospiro di sollievo. «Meglio. Sto meglio». «Hai qualcosa da mangiare», le disse, di nuovo esitante, «accanto al letto. Ho dato ordine che ti portassero un nuovo vassoio ogni mezz’ora così avresti trovato la colazione calda». «Potevo sempre riscaldarla con una ventata di sole, no?». Era contenta che potessero scherzare cosi, senza imbarazzo. «Dove sei?». «Nei frutteti fuori città. È bellissimo qui, sono così rigogliosi». «E cosa ci fai?». «Volevo vedere come andava, dare un’occhiata». La sua voce era un fiume attraversato da calde correnti. Di rado Aislinn l’aveva sentito tanto sereno. Anche se in parte la condivideva, era difficile per lei comprendere fino in fondo la gioia che provava a vedere la terra prosperare. Ma lei aveva conosciuto solo un paio di decenni di freddo, Keenan secoli interi, e per di più sentendosi responsabile di quello che accadeva. Era chiaro che ora esultasse. «È lì che vai quando io sono a scuola, vero?». «In questo frutteto? Non sempre», rispose lui, evasivo. «Lì vicino?». Scoprì il piatto che le avevano portato, tiepido, e Aislinn lo riscaldò un poco facendo sgorgare un fiotto di calore dalla punta di dita. «Sì». «Perché non me l’hai mai detto?», domandò mentre assaggiava la frittata: spinaci, formaggio e pomodoro, uno dei suoi piatti preferiti. «Mi piace venirci da solo. Non volevo offenderti dicendoti che preferivo che tu non venissi». Aislinn rimase un istante in silenzio, leggermente ferita. «E perché?». Non le rispose subito e quando lo fece la sua voce era di nuovo incerta. «Quando non avevo ancora pieni poteri venivo spesso qui, tra questi alberi tanto provati, in questi campi che si sforzavano di dare cibo a mortali e animali. E provavo a riversare su di loro piccoli rivoli di sole. Era tutto quello che avevo: non molto, ma meglio di niente. Adesso posso donare di più». «Potrei darti una mano uno di questi giorni».

«Sì, chissà. Adesso come adesso… è meglio di no. Ho portato qui solo una persona». «Donia». «Sì», le confessò. «La prima volta quando era ancora mortale, poi ci siamo tornati in seguito, nel corso degli anni, se le dovevo parlare, ma non le ho mai spiegato perché proprio qui… Sono andato da lei oggi. Abbiamo parlato». «E?». «Troveremo una soluzione. Per non lasciarci sopraffare dall’attrazione che proviamo. Si può fare. È solo questione di non dimenticarsene». «Mi dispiace». «Qualsiasi cosa accadrà, dev’essere qualcosa che desideriamo entrambi. Speravo che la nostra amicizia sarebbe… cresciuta, che avresti scelto me, ma…». Aislinn fece un respiro profondo e gli chiese ancora una volta: «Mi aiuterai a trovare il modo di trasformare Seth?». «No». Keenan rimase in silenzio per qualche secondo. «Stiamo ancora facendo i primi passi insieme, Aislinn. L’arrivo della prima vera estate nella nostra vita ci ha stordito. Vedrai che le cose diventeranno più facili anche tra voi». «Sicuro?», disse lei tormentandosi il labbro. «E noi diventeremo più forti». «Prenditi cura del tuo frutteto, io riproverò a chiamare Seth». «Digli che mi dispiace, se può servire a qualcosa. Che non sarò più così incalzante. L’estate è passione, Aislinn, e noi ne siamo lo spirito, l’essenza. Offri la tua passione a Seth mentre io gioisco con Don». Finita la telefonata, Aislinn sorrise. Malgrado l’ebbrezza dell’estate, avrebbero trovato il modo di essere felici adesso che tra lei e Keenan non c’erano più tensioni. Poi mangiò, si vestì e uscì. Voleva andare a cercare Seth per mettere a posto le cose con lui, ma, non appena attraversò la strada, si arrestò in preda all’orrore. Le Ragazze dell’Estate erano sanguinanti, mutilate, strangolate dai loro tralci. Gli spiriti del sorbo selvatico bruciati. Aobheall nella sua fontana trasformata in pietra, sulle labbra un grido muto. L’aria densa di fumo che si levava dagli alberi abbattuti e dai corpi delle guardie prese Aislinn alla gola. Una grigia pioggia di cenere scendeva sopra ogni cosa. Una donna, un essere fatato dalla capigliatura corvina, marciava in mezzo a tanta devastazione. Portava legato a una coscia un bianco pugnale di osso, scolpito, che risaltava sui pantaloni grigi della mimetica. Un lacero mantello nero chiazzato di sangue fresco le ondeggiava intorno. Aislinn fu colpita dalla stranezza di quel mantello sull’uniforme militare finché non si rese conto che, in realtà, si trattava di una lunga capigliatura simile a piume di corvo, che le scendeva lungo la schiena e sembrava man mano addensarsi sino a formare un paio di robuste ali. «Un bello spettacolo tutto per te», esclamò compiendo un grande arco con la mano intorno a sé a indicare la strage ai suoi piedi. Aveva strane immagini dipinte sulle braccia con erbe, cenere e sangue. Aislinn osservò le sue creature. Solo qualche mese prima credeva di odiarle e a volte provava ancora una sorta di timore nei loro confronti, ma in quel momento, in preda al panico, vederle in quelle condizioni le spezzava il cuore. La donna corvo le fece scivolare un braccio intorno alla vita. «Per tutti noi, a dire il vero». «Cosa hai fatto?», mormorò Aislinn.

Tracey stava ancora danzando, ma un braccio le penzolava lungo il fianco come se fosse stato staccato dalla spalla. Aislinn si scostò bruscamente da quella sconosciuta. «Cosa hai fatto alle mie creature?». «Nulla». Di nuovo disegnò un arco con un braccio in aria e il parco tornò ad avere l’aspetto di sempre: le ragazze, gli spiriti del sorbo, Aobheall erano tutti incolumi. C’era del fuoco in mezzo alla radura e le fiamme ondeggiavano al centro del circolo in cui danzava la Corte dell’Estate. Non un falò, un vero incendio. «Posso raccontarti una storia, reginetta?». L’essere alato aveva occhi simili a quelli di Irial e Niall, neri come l’eternità, ma vi scintillava un barlume di follia. «Posso raccontarti del mondo dei “se”?». «Chi sei?», domandò Aislinn, per quanto sospettasse di avere davanti Bananach, spirito della guerra e dei più crudeli spargimenti di sangue. Non poteva essere altri. «Tanto, tanto tempo fa, il mondo era in mio potere. Era un luogo così piacevole. Il caos danzava al mio fianco e la nostra progenie divorava gli esseri viventi. Far Dorcha sedeva alla mia tavola». Si accovacciò davanti al fuoco. Era mezzogiorno, ma il cielo era scuro di fumo e di cenere. È anche questa un’illusione? Aislinn non riusciva a capire: avrebbe dovuto essere immune da ogni sorta di incantesimo. Perché questa creatura è capace di mostrarmi ciò che non è? «Bananach», disse Aislinn. «È questo il tuo nome, vero?». «A volte». Inclinando il capo in uno strano modo si volse a guardarla. «E tu sei la ragazza che è diventata regina, la sovrana dell’estate, foriera di pace». «Proprio così». Aislinn sentiva il calore delle fiamme, sempre più alte. L’espressione di Bananach si fece famelica, gli occhi spalancati, le labbra socchiuse. «Mi piaceresti, sai, se ti gettassi spontaneamente nel fuoco. Lascia che si diano la colpa l’un l’altro… Non è nulla, potrebbe persino non essere doloroso: fuoco e sole non sono poi così diversi». Aislinn fu scossa da un tremito. «Già». «Danzerei al suono delle tue grida. Non saresti sola». Nelle sue parole, un’eco di allegria. «No». Aislinn era immobile: lo sguardo rapace di Bananach le diceva che qualsiasi movimento in quel frangente sarebbe stato un’imprudenza. «Non desidero la tua presenza». «Non desideri neanche che risponda alle tue domande, reginetta mia? So molte cose, sai?». «Credi sul serio che esistano risposte in cui credere?», replicò in tono risoluto, malgrado sospettasse che quella creatura fosse consapevole di quanto era terrificante. Sperando di non commettere un errore e scegliendo con cura le parole, aggiunse: «Dimmi ciò che desideri». Non era facile rivolgersi in modo appropriato a creature tanto antiche. La donna corvo si pulì le mani sui pantaloni e si alzò. «Un tempo, dopo il caos, ma prima di te, venivo consultata per mostrare grandi scacchieri di battaglia ai sovrani sul punto di dichiarare guerra. Posso rivelare il futuro a chi è sull’orlo del baratro». Aislinn rimase con lo sguardo fisso, muta. Le pareva che la cenere che aleggiava nell’aria le avesse inaridito la lingua rendendole impossibile parlare. Era l’unica a vedere Bananach. Le sue creature si stavano comportando come se nulla fosse, come se la donna corvo e quell’immensa pira infuocata non esistessero. «Tu stai vedendo i miei sogni, le possibilità che io scorgo davanti a me… La guerra è ormai prossima, reginetta cara. Per merito tuo». Le fiamme si levarono verso Bananach, seguendola, lambendole le piume. «Tu mi fai sperare, perciò io in cambio sono venuta ad avvertirti: abbiamo la stessa meta. Segui la tua strada e io te ne sarò grata: ho nostalgia del mondo tormentato dalla discordia».

Le si parò davanti e un odore penetrante di carne e piume bruciate si mescolò all’aroma confortante e familiare di un caminetto. La combinazione era inquietante quasi quanto il caos che scoppiò improvviso tra le creature della Corte dell’Estate quando si dissolse il tessuto di illusioni che quella creatura foriera di battaglie aveva ordito intorno a sé. La videro tutti allora e, scorgendola a un passo dalla loro regina, le guardie si precipitarono al suo fianco, mentre le Ragazze dell’Estate si raccoglievano l’una accanto all’altra. Aobheall le chiamò intorno alla sua fontana. Bananach ridacchiò, nient’affatto intimorita. Naturale. La donna corvo si sporse verso Aislinn e, sfiorandole la guancia, le sussurrò: «Devo abbatterli? Spezzare questi uomini di corteccia e farne legna per la tua pira, ragazza mia?». «No». «Che peccato», sospirò Bananach. «Suvvia, sii generosa, regalami una guerra all’orizzonte… È pur vero che abbiamo bisogno di carne da macello per il bagno di sangue a venire, tuttavia…». In un vorticare di piume e scatti repentini, si avventò contro le guardie, pugnalandole e colpendole a mani e piedi nudi. Poi si arrestò, non meno subitaneamente di come aveva iniziato. La maggior parte delle guardie si rialzò, altre resistevano in piedi malgrado i colpi subiti. Una sola rimase immobile, a terra. Bananach levò lo sguardo al cielo. «Si sta facendo tardi e io ho altri impegni. E il mio re mi attende». Detto ciò, svanì, lasciando il parco in preda al caos e al terrore. Keenan. Niall. Donia. Dove starà andando? Guerra. Aislinn non voleva la guerra: era terrorizzata alla sola idea. Una voragine che inghiottirebbe troppe cose a cui tengo. Pensò alla nonna, a Seth e ai suoi amici tra i mortali. La nonna era sempre seguita da una scorta, e lo stesso Seth. Eppure prima o poi Aislinn li avrebbe perduti. Gli esseri umani morivano… però non voleva che succedesse adesso, non così presto. Aveva appena imparato a scoprire la bellezza che la terra poteva offrire dopo tanti anni di inverni interminabili. Questo era il suo mondo, un luogo che fremeva di vita e di possibilità. Ma queste ultime non sarebbero durate in eterno. Era innamorata, amata e si vedeva circondata da continui prodigi. Come tanti mortali, come tante altre creature fatate. Tutto ciò sarebbe stato distrutto se fosse scoppiata una guerra. Annullato il timore di provocare l’ira delle altre corti, senza più freni, con sovrani e guardie troppo impegnati per potersi preoccupare di piccole infrazioni, le creature fatate avrebbero seminato il caos… Fatta eccezione per l’Alta Corte, il mondo mortale e quello fatato sarebbero stati sfigurati dall’ostilità di due, forse tre, corti, oltre che dalle creature solitarie che avrebbero senza dubbio tratto vantaggio da tanto disordine. Il solo pensiero le ripugnava. Doveva assolutamente trovare Seth, parlargli. Doveva sentire la sua voce, avere il suo perdono. Erano molti gli ostacoli davanti a loro, ma avrebbero trovato un modo di aggirarli. Fino a quel momento ce l’avevano fatta. Lui era il filo che teneva tutto unito. La sua fiducia le dava la forza di non crollare quando le sembrava di essere travolta da quella nuova vita. Non poteva fare a meno di lui. La passione, l’affetto erano meravigliosi, ma la cosa più importante era che Seth voleva il meglio da lei, le permetteva di credere di poter ottenere l’impossibile. E l’impossibile diventava possibile, con lui accanto. Erano insieme soltanto da pochi mesi, ma Aislinn sapeva che non avrebbe mai amato nessun altro così tanto. E lo voleva al suo fianco, per sempre. Lo chiamò di nuovo e ancora una volta non ottenne risposta. Gli lasciò un altro messaggio. «Chiamami, per favore. Ti amo».

Si diede un’occhiata intorno, vide gli spiriti del sorbo che, malgrado le ferite, stavano incitando le Ragazze dell’Estate a rientrare nel loft. Chiamò Keenan e disse: «Ho incontrato Bananach… Non abbiamo subito molte perdite, ma devi tornare immediatamente a casa».

Capitolo 18

Per tutto il giorno Seth ignorò, non senza sforzo, le chiamate di Aislinn e Niall. L’amico era passato e avevano bevuto una tazza di tè in un silenzio carico di tensione che Seth aveva spezzato solo per domandare: «Dove vive Lasair?». Niall aveva posato la sua tazza. «Irraggiungibile per i mortali. Nascosta». «D’accordo, questo l’ho capito. Dove?», aveva insistito senza alzare la voce, per quanto sapesse che l’irritazione trapelava dal suo tono. «Portami da lei». «No». «Niall…». «No». Il Re del Buio aveva scosso la testa, si era alzato e se n’era andato. Seth era rimasto a fissare la porta contrariato. Inutile parlarne ad Aislinn o a Keenan: da loro non avrebbe ottenuto aiuto. Niall non voleva neanche affrontare l’argomento. Rimaneva Donia, o fare qualche ricerca. Prese il cellulare e premette il numero sei. Invece della Regina dell’Inverno gli rispose una delle Segaligne Sorelle. «Mortale?». Seth rabbrividì udendo quella voce crepitante. «Posso parlare con Donia?». «Oggi no». Chiuse gli occhi. «Quando?». «È impegnata. Riferirò». «Dille se mi può chiamare». Cominciò a raccogliere i vari libri di fiabe e tradizioni popolari che aveva, tra cui diversi volumi ricevuti da Donia e Niall. «Appena può». «Sarà fatto», replicò la voce, graffiante. «Addio, mortale». Seth recuperò un blocco dal cestino in cui teneva un po’ di tutto e si sedette tra diverse pile di libri. «Vada per le ricerche».

Quando, diverse ore più tardi, squillò il telefono, Seth si precipitò a rispondere, sperando che fosse Donia. No. Malgrado tutto, però, quando vide il numero di Niall si augurò che avesse deciso di aiutarlo. Invece il Re del Buio gli ripeté ancora una volta: «È un errore». «No», ribadì e chiuse. Non aveva voglia di ascoltare le opinioni di altri: né le spiegazioni di Aislinn sul perché la sua idea non fosse fattibile, né le obiezioni cariche di senso di colpa di Niall. Aveva deciso: voleva diventare una creatura fatata, voleva vivere l’eternità al fianco di Aislinn, voleva essere abbastanza forte da non essere in pericolo nel mondo in cui ormai si muoveva. Un essere umano aveva vita difficile tra gli esseri fatati e Seth non voleva, come un qualsiasi mortale,

essere una debole e facile preda. Voleva di più. Voleva vivere accanto ad Aislinn alla pari. Doveva solo scoprire come trovare Lasair e convincerla ad aiutarlo. Una bazzecola. Si adombrò: immaginava già come sarebbe stato semplice convincerla. Ma certo, eccoti l’eternità, mortale. Guardò i volumi che aveva sfogliato per ore senza profitto. Osservò i suoi appunti. Vive in isolamento. Segue logica e ragione. Non si mescola alle altre corti. Devlin. Non sarebbe andato tanto lontano. Preso da un moto di collera, si alzò in piedi e spazzò il bancone con una mano facendo volare via tutti i libri. Li guardò soddisfatto cadere per terra uno dopo l’altro con un tonfo. Meglio che meditare. Era innamorato, in perfetta forma fisica, aveva tutti i soldi che voleva e un amico che era come un fratello… ma a causa della sua mortalità rischiava di perdere tutto. Senza Aislinn sarebbe stato costretto a tagliare i ponti con il mondo fatato, non ci sarebbero più stati concerti lungo il fiume, né magie. Certo, avrebbe continuato ad avere la seconda vista, ma questo significava che avrebbe visto quanto non poteva più avere. Perdere Aislinn significava perdere ogni cosa. Se lei lo avesse lasciato, non avrebbe avuto più nessuna importanza essere fisicamente in forma. Ma, anche se non l’avesse fatto, non sarebbe comunque mai stato abbastanza forte da potersi difendere dal popolo fatato. E comunque sarebbe invecchiato e alla sua morte lei lo avrebbe dimenticato. I libri, sparsi dappertutto, non gli offrivano nessuna soluzione. Niente da fare. Si diresse verso la cucina. È tutto inutile. Ogni singolo piatto che aveva, eccezion fatta per le due tazze e la teiera che gli aveva regalato Aislinn, finì in pezzi, contro la parete. Poi cominciò a prendere a pugni anche quella finché non ebbe tutte le nocche insanguinate. Non era un comportamento costruttivo ma, al diavolo, almeno si era preso una bella soddisfazione!

Qualche ora dopo aveva ripulito le tracce della sua esplosione d’ira. Aveva messo in ordine in casa e dentro di sé. Perdere Aislinn era un’eventualità che nemmeno voleva contemplare. Ci doveva essere una soluzione, anche se non sapeva quale. L’avrebbe trovata, però. Non aveva nessuna intenzione di perdere tutto. Non si sarebbe arreso. Né ora né mai. Mandò un SMS ad Aislinn, «ho bisogno di stare solo. ti chiamo», e prese a fare su e giù nervosamente. Di solito vivere nello spazio limitato di quei due vagoni ferroviari non era un problema, ma quel giorno si sentiva in gabbia. Non aveva voglia di uscire e di trovarsi circondato da creature fatate, né tanto meno di dover fingere che andasse tutto bene. Aveva deciso il suo intento, ma non come realizzarlo. Finché non riusciva a escogitare un piano, avere quelle creature intorno e sapere di non far parte del loro mondo era insopportabile. Così, quando una guardia di corte bussò per chiedergli se aveva intenzione di rimanere in casa o di uscire, Seth gli disse: «Va’ pure, Skelley, non ti preoccupare». «Sicuro che non ti va di andare a bere qualcosa? Oppure potremmo entrare… non per molto, ma a turno…».

«Ho solo bisogno di un po’ di spazio stasera, davvero». Skelley annuì, ma indugiò ancora un istante davanti alla porta. «Le ragazze non avevano cattive intenzioni. Volevano solo…», s’interruppe come se cercasse le parole giuste. «Ti sono affezionate. È come con quel tuo serpente». «Boomer?». «Ti rende felice averlo?». «Già», disse Seth sorridendo divertito. «Avere Boomer mi rende felice». «Anche tu le rendi felici». Skelley aveva un’aria talmente seria, lì fuori in mezzo allo scalo ferroviario, in quella distesa di ferro e acciaio, che era difficile non comprendere quanta gentilezza si celasse nelle sue parole, anche se l’aveva paragonato a un serpente. «Temevano che te ne saresti andato via, come Niall». Seth non era sicuro se sentirsi confortato da quella spiegazione o sentirsi insultato dal paragone con un boa constrictor. O entrambe le cose. In realtà, più che altro era divertito. Cercando di non scoppiare a ridere, annuì. «È… interessante quel che dici». Skelley, esile e magro, aveva un animo delicato: non erano molte le guardie che sarebbero venute a bussare alla sua porta per parlare di sentimenti. Lui era un’eccezione. «Ti vogliono tutti bene nella nostra corte», aggiunse. «La nostra regina è felice quando sei con lei». «Lo so». Con un cenno salutò le altre guardie di sentinella fuori. «Ma adesso voglio proprio farmi una dormita. Riposatevi un po’ anche voi». «Ci trovi qui se hai bisogno». «Lo so». Chiuse la porta. Qualche ora più tardi non era ancora riuscito ad addormentarsi: era troppo irrequieto, teso. Aveva cercato di bruciare un po’ di energia facendo flessioni, addominali, pesi. Tutto inutile. Ho bisogno d’aria. Guardò l’orologio: era appena passata mezzanotte. Il Crow’s Nest era ancora aperto. In un paio di minuti si era vestito e si stava allacciando gli anfibi. Sentì il bip di un messaggio al cellulare: «Domani allora?». Aveva voglia di incontrarla? Di solito non si poneva neanche la domanda. Ma avrebbe saputo cos’era successo al parco? Avrebbe chiesto di Niall? Sarebbe stata disposta a parlare di Keenan? Non era sicuro di volerne discutere. Quello che desiderava era un piano, un modo per raggiungere Lasair, una soluzione. Parlarne con Aislinn in quel momento non era una buona idea. Non rispose. Era tentato di farlo, di chiamarla, ma alla fine preferì lasciare il cellulare sul bancone della cucina. Se non ce l’ho, non posso chiamare né rispondere. Presa quella decisione, s’incamminò verso il Crow’s Nest. Vide tre guardie dietro di sé, ma le ignorò. Non gli andava di avere perennemente una schiera di baby-sitter alle calcagna. Una guardia entrò con lui nel locale ma, quando vide che non c’erano creature fatate, lo lasciò solo. Seth sapeva che erano di sentinella alle due entrate: era il massimo di libertà che poteva ottenere. Non è abbastanza. Dopo quasi un’ora dovette ammettere che gli girava proprio male. Non aveva escogitato

nessun piano. Aveva intravisto alcuni amici che non frequentava quasi più da quando stava con Aislinn, ma non aveva rivolto la parola a nessuno. C’era anche Damali: non stava cantando, beveva qualcosa. Seth incrociò il suo sguardo e le sorrise, e qualche minuto dopo lei si avvicinò con due birre, la sua quasi finita. «Libero?». Seth scosse la testa. «Per due chiacchiere, sì». «Peccato», sbuffò lei. «Non ci avevo creduto, quando me l’avevano detto che facevi tanto sul serio. Con chi sei incazzato, la ragazzina pelle e ossa o il tipo che non sorride mai?». Seth accettò la birra. «Non è pelle e ossa». Damali scoppiò a ridere. «Vabbe’, ti tratta bene almeno?». Mi tratta bene? Bevve un sorso e preferì cambiare argomento. «Sei stata brava l’altra sera». Damali lo fissò: non era uno sguardo critico né commiserante. Solo molto… umano. «Un po’ goffo come tentativo di svicolare… Cosa posso fare per te?». «Tienimi compagnia». La conosceva abbastanza bene perché non ci fosse bisogno di fingere con lei. «Le cose vanno così così e avevo bisogno d’aria stasera». Lo squadrò. «È per questo che non voglio saperne di avere un compagno fisso. Anche tu, mi pareva. Meglio evitare di essere presi al laccio. Niente rimpianti. Ci siamo divertiti, io e te». «Sono contento di essere stato preso al laccio, Di». «Ma certo, come no?». Scolò la sua birra. «Te ne va un’altra?».

Quando uscì dal Crow’s Nest, da solo, alcune bottiglie di birra più tardi, Seth non era affatto di umore migliore. Neanche un po’. Mi ha buttato ancora più giù. Bere non serviva. Per niente. D’un tratto si accorse che forse il suo umore non era l’unico problema che avrebbe presto dovuto affrontare. Come aveva desiderato qualche ora prima, le guardie che lo seguivano erano scomparse, ma non per soddisfare la sua richiesta di spazio. La donna corvo che aveva aggredito Niall era apparsa alle sue spalle senza preoccuparsi minimamente di nascondere la propria presenza: lo tallonava a distanza talmente ravvicinata che Seth la sentiva canticchiare tra sé degli inni di battaglia. Sapeva che avrebbe dovuto esserne terrorizzato e sentì nelle viscere una fitta di paura: le guardie non c’erano e lui non aveva neanche il cellulare. Ma non posso farci niente, quindi che senso ha preoccuparsi? Era ormai arrivato allo scalo ferroviario. I vagoni e i binari abbandonati costituivano una protezione ideale contro il popolo fatato. La sua casa era in un angolo del terreno ma, una volta giunti ai binari, quasi tutti gli esseri fatati erano costretti a fermarsi. La donna corvo, invece, lo seguì fin quasi alla soglia. Davanti, c’erano alcune sedie di legno. Seth tirò fuori la chiave e si voltò a guardarla. Si era seduta. «Ti va di venire un po’ qui con me, mortale? ». «Non credo che sarebbe molto saggio», le rispose aprendo la porta, ma senza entrare. Lei inclinò la testa di lato con un movimento ben poco umano. «Forse sì, invece». «Già, forse». Si fermò sui gradini, davanti alla porta aperta. Gli sarebbe bastato un passo per essere dentro. Cosa cambierebbe? Dopo aver visto la rapidità con cui la donna corvo si era mossa quando aveva lottato contro Niall, Seth sapeva che l’avrebbe raggiunto prima ancora che lui potesse fare quell’unico passo e, del resto, la sua porta sarebbe stato un ben misero ostacolo per quella creatura. Cercò di vagliare le possibilità che gli si offrivano: decise che non ne aveva. Se Niall aveva fatto fatica a contrastarla, un mortale non aveva chance.

«Tuttavia permettimi di dubitarne». La donna corvo incrociò le gambe e si appoggiò allo schienale. «Mi piacciono i dubbi». Ecco perché ho una scorta. Ma poi Seth ricordò ancora una volta quello che aveva visto al Crow’s Nest e si disse che probabilmente, se avesse deciso di nuocergli, le guardie della Corte dell’Estate non sarebbero state di grande aiuto. Si domandò se le avesse uccise, e stesse per uccidere anche lui. «Il tuo sovrano sa che sei qui?». Lei fece una risatina che echeggiò roca come il verso di un corvo. «Audace, il ragazzo. Sono sicura che lo scoprirà… presto o tardi. Ma non abbastanza da mettermi i bastoni tra le ruote». La paura affiorò improvvisa e Seth entrò in casa. «Mi ha offerto la protezione della sua corte e io l’ho accettata». «Ma certo. Ti è legato, non è vero? Il nuovo Re del Buio ha sempre amato i suoi giocattoli mortali, non come chi lo ha preceduto…». Si mosse verso di lui con i movimenti rallentati di un film che avanza un fotogramma alla volta. Seth si rammaricò di non avere il telefono a portata di mano. Niall, tuttavia, non sarebbe mai arrivato in tempo, per quanto almeno avrebbe saputo che era stata quella creatura a… a fare cosa? Uccidermi? Si gettò un’occhiata alle spalle: il cellulare era lì. Fece un altro passo all’interno senza perderla di vista. «Be’, non andremo certo a raccontargli le nostre faccende», esclamò scuotendo la testa con aria di rimprovero. «Se lo sapesse, ti direbbe di non farlo». Arretrando, Seth domandò: «Non fare cosa?». Bananach si arrestò con un piede a mezz’aria: «Incontrare Sua Maestà del Tedio e Somma Monotonia. È quello che desideri, no? Ma ti diranno tutti di no». Sospirò, non di sofferenza, bensì di desiderio e Seth preferì non soffermarsi a pensare cosa bramasse quella creatura. «Che ragazzaccio, a voler parlare con la Regina della Ragione! Lei sa già di te. Ha mandato il suo scagnozzo a controllare. Non si parla d’altro, nel regno fatato, che del mortale che vaga indisturbato tra il nostro popolo». A quelle parole Seth si arrestò. «Stai dicendo che vorresti aiutarmi?». La donna corvo riprese ad avvicinarsi. Era a un paio di metri ormai e continuava a muoversi con studiata lentezza. «Disgraziatamente ci ostacolano tutti. Come si possono realizzare i propri sogni quando si è tenuti al guinzaglio e ci si sente ripetere solo dei no? Sono fatti così, non vogliono lasciarci decidere nulla. Ci trattano come dei bambini». Gli era davanti. Seth vide la lunga capigliatura di piume bruciacchiata qua e là. Un paio d’ali scure come ombre sfarfallavano alle sue spalle. Aveva il volto e le braccia imbrattati di cenere. Sembrava appena uscita da un campo di battaglia. «Chi sei?», domandò Seth. «Puoi chiamarmi Bananach». Un altro passo e Seth prese in mano il telefonino. «Perché sei venuta?». «Per condurti da Lasair», disse inclinando il capo a ogni parola. «Perché?». Senza guardare il cellulare fece scivolare il dito sul tasto di composizione rapida del numero di Niall. «Non farlo. Non ho intenzione di spargere il tuo sangue se non me ne darai ragione. E se lo fai, me ne darai ragione». Di colpo era svanita dal suo volto e dalle sue parole ogni traccia di follia e la serietà improvvisa del suo sguardo la rendeva ancora più agghiacciante. «Nutriamo tutti dei sogni, Seth Morgan. Per il momento, il tuo e il mio coincidono. Considerati fortunato se oggi mi sei

più utile vivo». E così dicendo gli passò accanto ed entrò. Seth rimase un istante in silenzio, con il dito sul tasto di Niall. «Mi stai offrendo di accompagnarmi da Lasair?». «Le vuoi parlare. Niall non ti aiuterà. La reginetta non ti concederà quanto desideri. La Corte dell’Inverno te lo rifiuterà… La Ragione può aiutarti se si degnerà di farlo. E ciò aiuterà me. È un po’ che tesso le fila del mio arazzo, Seth, sussurrando segreti all’orecchio dell’inverno». Si fermò ad accarezzare Boomer. Il boa era fermo sulla sua roccia riscaldata. Senza alzare la testa, Bananach disse: «Prepara lo zaino». Seth conosceva abbastanza bene il popolo fatato per sapere che quella creatura stava dicendo la verità, o almeno quella che ai suoi occhi era la verità. E ai miei. Aveva detto il vero: né Aislinn né Niall erano disposti ad aiutarlo a diventare una creatura fatata. La Regina dell’Alta Corte era la sola che poteva risolvere i suoi problemi. Bananach stava mandando baci a Boomer, il quale si era messo a ondeggiare in un modo che Seth non aveva mai visto. Quindi si voltò di nuovo verso di lui. «Chiedimi quello che hai in mente. Non abbiamo molto tempo». Guardandola intensamente, le chiese: «Mi condurrai da Lasair senza farmi del male?». Lei lo corresse: «Giungerai da Lasair incolume. Devi essere più preciso se vuoi essermi di qualche utilità. Altrimenti mi lasci aperta la possibilità di farti ferire o uccidere da qualcun altro mentre io ti porto da lei, no? La precisione è la chiave di volta di ogni strategia. Ho bisogno che tu sia coraggioso e scaltro». Lo squadrò dall’alto in basso. «Ma credo che tu lo sia. I miei corvi mi dicono di sì, ma devi ascoltare con accortezza le sagge parole di Lasair. È tedio e monotonia assoluta, ma ti aiuterà a ottenere ciò che desideriamo». «Perché “desideriamo”? Perché il “noi”?». «Perché avvicinerà anche me alla mia meta». Aprì il terrario e prese Boomer. «Mentre rispondere ad altre domande a questo punto, no». «D’accordo». Deglutì a fatica, aveva la gola secca. Sentì la voce di Skelley, fuori: «Seth, tutto bene?». Bananach si portò un dito alle labbra. «Sì», rispose senza andare alla porta. Skelley non aveva chance contro Bananach e Seth non era sicuro di volersi sbarazzare di lei. Gli stava offrendo una soluzione: lo avrebbe condotto dalla Regina Suprema. Dopo qualche istante di silenzio Skelley domandò: «Vuoi compagnia?». «No, credo di non avere più bisogno di nulla», rispose Seth scrutando quella creatura che a sua volta lo fissava, immobile, in guardia. «Avevo solo bisogno di stare un po’ solo». Skelley lo salutò e Seth si rivolse a Bananach: «Non so come tu lo sappia, ma voglio davvero incontrare Lasair». La donna corvo annuì con aria severa. «Chiama la tua regina e dille che sei in partenza. Non puoi recarti da lei stasera. Non con me. Non sarei la benvenuta nella loro dimora. E se mi vedessero…», il verso d’esultanza di Bananach fece sentire Seth a disagio, «ci sarebbe da divertirsi, ma per il mio bagno di sangue aspetterò un’altra occasione». Seth aveva ancora buon senso a sufficienza per rendersi conto che quello che stava per fare non era ragionevole.

Posso ancora dirle di no, pensò. Forza. Dille che ci hai ripensato. Chiedile di andarsene. Forse ti ascolterà. Ma poi ricordò come Aislinn si allontanasse da lui ogni giorno e lui fosse in pericolo tra le creature fatate, anche le più deboli; quanto fosse limitato il tempo che le sarebbe rimasto accanto se restava un mortale. Premette l’uno sul suo cellulare. Non appena partì la segreteria telefonica, disse: «Sono in partenza e…». Bananach gli era all’improvviso comparsa davanti, a un passo, e gli stava sussurrando: «Basta così». Seth non alzò la testa. Sapeva che non era consigliabile fidarsi di lei, ma obbedì. Disse: «Ti chiamo… ti chiamo io. Adesso devo andare. Non so quando… se… Devo andare». E chiuse. «Bravo». Bananach srotolò Boomer che le si era avvolto intorno alle braccia e glielo porse. Poi aprì la porta. «Tienimi la mano, Seth Morgan, tienila stretta. La Ragione non ci aspetterà per sempre. Dobbiamo andare prima che le tessere si confondano». Seth non era sicuro di avere capito cosa intendesse dire, ma le prese la mano e la seguì nella notte. Non appena ebbe chiuso la porta, in meno di un istante si lasciarono lo scalo ferroviario e le guardie alle spalle per ritrovarsi in un posto che distava una buona mezz’ora da casa sua. Era ancora più veloce di Aislinn e lui fu quasi sul punto di vomitare. Boomer, avvolto intorno alle sue spalle, fu scosso da un lieve tremito. «Bravo, agnellino», mormorò Bananach accarezzandogli la testa. Vari corvi giunsero in volo attraverso le finestre in pezzi dell’edificio che avevano davanti. Piegarono il capo per osservarlo. Bananach imitò il loro gesto quasi nello stesso istante. Lottando contro la nausea, Seth domandò: «Dov’è Lasair? Dov’è la Regina dell’Alta Corte?». «Nascosta». Bananach si allontanò e Seth le corse dietro. Gli aveva offerto la soluzione che cercava e lui ormai non aveva intenzione di lasciarsela scappare, a dispetto del pericolo. Meglio tentare di conquistare l’eternità che essere tormentato dai rimpianti.

Capitolo 19

Aislinn fu sorpresa ed estremamente delusa di non vedere Seth quella mattina. Una discussione con Keenan, Tavish e altre creature fatate era andata avanti sino alle ore piccole la sera precedente, ma poi era tornata a casa nella speranza di incontrarlo prima di andare a scuola. Facevano colazione insieme almeno un paio di volte alla settimana e quel giorno avrebbero dovuto vedersi. Quinn e un gruppetto di guardie la stavano aspettando fuori, nascosti agli occhi mortali. Sorrise a Quinn: si erano messi d’accordo perché Aislinn potesse godere di un minimo di privacy. Era già abbastanza difficile spiegare ai suoi amici, e a quelli di Seth, la presenza costante di Keenan al suo fianco, perché dovesse essere vista in giro con un codazzo di strani personaggi che nessuno conosceva. Così, a meno che non fossero al Crow’s Nest o in qualche luogo di incontro delle creature fatate come il Rath, le guardie si mantenevano invisibili. Seth aveva un’andatura tranquilla, così di solito Aislinn usciva con largo anticipo la mattina per potergli camminare accanto senza fretta. Ma lui non era lì, quindi affrettò il passo. Potrei fare una corsa. Cercò di non preoccuparsi, Seth a volte ritardava, oppure lo trovava già al Depot in sua attesa. Non le aveva detto che sarebbe venuto, ma era impossibile che fosse ancora arrabbiato con lei. Seth non era così suscettibile, era un tipo calmo, equilibrato. Andrà tutto a posto. Si era dimenticata di caricare il cellulare, perciò non poteva neanche chiamarlo. Quella preoccupazione non voleva abbandonarla. Girò in un piazzale dietro un palazzo e, dove nessuno poteva vederla, si rese invisibile. Poi si mise a correre. Era incredibile muoversi tanto in fretta, il suo corpo sembrava palpitare di un senso di libertà assoluta. C’erano degli aspetti di quella sua nuova vita che la eccitavano più di quanto non avrebbe mai immaginato. Lo svantaggio era di arrivare in una frazione di secondo: poteva essere utile, ma a volte si ritrovava nei posti troppo presto. Anche la sua percezione del tempo era stata rivoluzionata e non aveva ancora capito bene come in alcuni angoli remoti del regno fatato, o nella dimora di Lasair, il tempo rispondesse a leggi diverse. Ma, finché non fosse stato necessario incontrare la Regina dell’Alta Corte, lei non era interessata a esplorare quello strano paradosso. Per il momento era già abbastanza difficile pensare a quanto fosse limitato il tempo concesso ai mortali, a Seth, alla nonna. Si arrestò davanti al caffè. Il Depot era pieno, con diverse persone che conosceva sedute ai tavolini, o in piedi appoggiate alle pareti. Entrò di corsa e andò a vedere nelle altre salette: Seth non era da nessuna parte. Cominciava a essere seriamente preoccupata. Forse è a scuola. Possibile. A volte la passava a salutare lì prima di andare in biblioteca o nel parco a disegnare. Altrimenti significava che era ancora arrabbiato, che non voleva parlarle. Si sentì mancare il respiro. E se non mi volesse più vedere?

Era l’unico che avesse accettato tutto di lei, la sua nuova esistenza accanto all’altra, precedente. La nonna faceva del suo meglio. Keenan lo stesso. Solo Seth la conosceva davvero, solo lui la capiva veramente. Ancora invisibile, attraversò la strada e corse verso la Bishop O’Connell. Pur sapendo di fare una sciocchezza, si rese visibile a metà scalinata. Sentì lo schiocco delle labbra di disapprovazione di Quinn, alle sue spalle. Non le disse nulla: non era tipo da fare commenti sull’arroganza delle creature fatate. Aislinn si voltò verso le guardie. Quinn disse: «Siamo qui fuori». Lei annuì ed entrò. Per un istante si fermò a guardare i compagni, ma il loro chiasso la turbò. Era suo compito proteggerli, per quanto, a differenza delle sue creature, loro non avrebbero mai saputo dei suoi sforzi per evitare una guerra devastante. Li osservò mentre le giungevano brevi stralci di conversazioni che le sembravano ormai tanto lontane e incomprensibili da poter essere in una lingua straniera. Non si era mai sentita a suo agio nel loro mondo, quello dei suoi amici, un luogo in cui il compito di economia e il ballo di fine anno erano questioni di vita o di morte, una discussione con il proprio ragazzo una tragedia. Be’, quello valeva anche per lei. Se Seth è arrabbiato con me, non so che fare. La festa di fine anno non era nulla in confronto ai Girotondi dell’Estate. Economia era importante, ma solo da un punto di vista pratico. Però Seth, sì, lui era… tutto. Se voleva vederlo, quello era il momento migliore. Senza un attimo di esitazione, si voltò e uscì. Sarebbe andata da lui. Magari dormiva ancora. Oppure non aveva voglia di parlare, ma poteva almeno ascoltarla. Non voleva che quella situazione s’incancrenisse. Sarebbe andata a casa sua e avrebbero affrontato la questione. Era troppo importante. Per strada si mise a correre verso lo scalo ferroviario fino alla sua porta. Sentiva le guardie dietro di sé, ma non si fermò a spiegare nulla. Che pensino pure che sono avventata e impulsiva. La cosa più importante era trovare Seth. Qualche minuto dopo stava già infilando la chiave nella porta. Aprì. «Seth?». La luce era spenta, la musica anche. Il bollitore era sulla stufa, due tazze da lavare sul bancone. Si sarebbe detto che era uscito di corsa. Non lasciava di solito stoviglie sporche in giro. «Seth?». Si diresse verso il secondo vagone, dove c’era la camera da letto. Era mattina presto e il letto era già fatto. Era uscito troppo in fretta per lavare le tazze, ma non tanto da dimenticare di rifare il letto. Aislinn si chinò e mise il cellulare in carica. Non appena si accese, vide che c’era un messaggio. L’aveva chiamata. Tirò un respiro di sollievo, finché non udì: «Sono in partenza e…». In quell’istante di esitazione Aislinn udì una voce in sottofondo, una voce di donna, ma non riuscì a capire cosa dicesse. Poi Seth aggiunse: «Ti chiamo… ti chiamo io. Adesso devo andare. Non so quando… se… Devo andare». In partenza? Ascoltò il messaggio altre due volte. Sembra contento. Accarezzando distrattamente la trapunta che avevano comprato insieme, ascoltò un’altra volta il messaggio e sentì ancora quella voce che gli sussurrava accanto. Se n’è andato. Gli aveva detto cose che non aveva rivelato a nessun altro. Quando Keenan e Donia si erano messi a seguirla, Aislinn aveva raccontato tutto a Seth, infrangendo le regole che fino a quel momento avevano retto la sua vita.

Sentiva gli occhi bruciare di lacrime, ma le scacciò. «Cos’è successo?». Non poteva stare un istante di più in quella stanza, in quello spazio che era stato di loro due soltanto e adesso non lo era più. Uscì e andò a controllare la roccia di Boomer. Il serpente non era nel suo terrario. È sparito anche Boomer. «Tornerà», disse guardandosi intorno sconsolata. Sarebbe voluta fuggire, ma non sapeva dove. Era sempre da Seth che correva a rifugiarsi, e lui non c’era. «Dove sei?», sussurrò. Non riusciva a muoversi. Si lavò le mani e poi sciacquò quelle due tazze, non perché sperasse di vederlo arrivare in quel momento, ma perché era più forte di lei, non ce la faceva ad andarsene. Nel riporle, scoprì che non c’era più un piatto, nulla, eccezion fatta per la teiera che gli aveva regalato lei. Perché ha portato via tutto? Perché non ha preso la mia teiera? C’è qualcosa di strano. Non era da Seth sparire così. Alla fine scoprì i cocci nel bidone. Qualcuno aveva rotto tutti i piatti e poi aveva ripulito. Se non fosse stato per l’assenza di Boomer e l’eccitazione nella voce di Seth, avrebbe pensato che poteva essere in pericolo. Ha portato via anche Boomer. Le emozioni stavano per travolgerla e da quando era Regina dell’Estate non poteva permettere che accadesse, non con un simile vulcano interiore. Aveva visto i risultati delle esplosioni di Keenan: tempeste tropicali intrappolate in spazi chiusi, folate di scirocco che aveva spazzato una strada in città. In quelle occasioni lei aveva sempre cercato di contenere i danni. La sua presenza lo calmava. Anche con nove secoli sulle spalle, al suo re capitava ancora di perdere il controllo, ma non aveva mai scatenato quell’incubo travolgente che Aislinn stava sentendo tuonare dentro di sé. Non aveva la forza di affrontarlo da sola. Fuori si era levata una foschia salmastra, ma a Huntsdale il mare non c’era. Era opera sua: si sentiva preda di ondate di confusione, timore, rabbia, sofferenza, sempre più vorticose e violente. Seth se n’e andato. Uscì e si richiuse la porta alle spalle. Mi ha lasciato. Camminava come un automa, con un immane sforzo di volontà, unica guida nel suo stordimento. Le guardie le parlavano, altre creature fatate si fermavano al suo passaggio, ma nulla aveva importanza. Seth se n’era andato. Se Bananach o chiunque altro avesse voluto assalirla, sarebbe stato il momento migliore: era consapevole soltanto del messaggio che il cellulare ripeteva alle sue orecchie. Quando fu davanti al loft, la sua percezione della vita si riduceva ormai a quell’unico pensiero: Seth se n’era andato. Aprì la porta. Vide un capannello di guardie intorno a Keenan. Comprese da qualche frase sulle loro labbra che gli stavano riferendo che si era comportata in maniera imprudente. Parole. Il chiacchiericcio degli uccelli. Nulla contava. Keenan era in mezzo alla stanza, circondato dagli uccelli che svolazzavano tra gli alberi e i rampicanti che crescevano nel loft. Di solito era uno spettacolo che la rilassava. Quel giorno non lo notò.

«Se n’è andato», disse. «Come?», esclamò Keenan senza muoversi, con lo sguardo fisso su di lei. «Seth. Se n’è andato». Non sapeva se fosse più intenso il dolore o il panico. «È partito». La stanza si svuotò e lei e Keenan rimasero soli. Tavish, le Ragazze dell’Estate, Quinn, gli spiriti del sorbo sgattaiolarono tutti fuori senza rumore. «Seth se n’è andato?». Aislinn si sedette per terra, svuotata. «Ha detto che mi chiamerà, ma… non so dov’è né perché, niente. Era arrabbiato con me e adesso è sparito. L’altra sera, dopo essere venuto qui, aveva detto che aveva bisogno di spazio, ma non credevo che intendesse qualcosa del genere. Ho provato a chiamarlo un milione di volte. Non risponde». Guardò Keenan. «E se non tornasse più?».

Capitolo 20

Seth era accanto a Bananach, in uno dei più antichi cimiteri di Huntsdale, un’oasi senza edifici in rovina e muri coperti di graffiti. Era venuto qui a volte coi suoi amici, mentre con Aislinn avevano passeggiato per ore tra le tombe. Quel giorno, tuttavia, la sensazione di tranquillità che di solito provava in quel luogo era sostituita da un’intensa trepidazione. «È qui? La porta è qui?», domandò. «A volte. Non sempre». Lo incitò a superare un paio di pietre sghembe, appoggiate l’una contro l’altra. «Oggi sì». Grazie alla seconda vista e all’amuleto che portava al collo Seth scorse la barriera fatata che si ergeva davanti a loro: ne aveva viste altre, intorno al parco davanti al loft, o alla dimora della Corte dell’Inverno, al cottage di Donia, al Rath. Ce n’erano alcune che proteggevano i luoghi che le creature fatate più frequentavano. Ma non ne aveva mai viste di tanto solide: normalmente si trattava di un velo di nebbia o di fumo facile da attraversare. Toccarle trasmetteva una sensazione sgradevole e chi non era consapevole della loro presenza, e non sapeva nulla degli incantesimi delle creature fatate, non le varcava: il loro scopo era di tenere alla larga gli esseri umani. Ma questa era completamente diversa. Niente fumo, né velo d’illusione, solo un chiarore lunare che scendeva dall’alto fin sulla terra, solido e pesante come fitte tende di velluto. Allungò una mano per toccarlo. Impossibile attraversarlo. Al passaggio di Bananach, la barriera s’increspò come una polla d’acqua. Poi con le sue mani artigliate vi fece uno squarcio e disse: «Entra nel cuore del regno fatato, Seth Morgan». Seth udì la prudenza mormorargli all’orecchio parole che gli rammentavano l’importanza della decisione che era sul punto di prendere. Vedeva creature fatate muoversi in una città che qualche istante prima gli era stata invisibile. Al di là di quella barriera si nascondeva un mondo ignoto e conturbante: la ragione insisteva a mostrargli il pericolo, a soppesare le conseguenze di quanto stava per fare. Ma vi avrebbe trovato Lasair. Lei poteva aiutarlo. Se fosse riuscito a convincerla, Seth avrebbe potuto vivere al fianco di Aislinn per l’eternità. Con Boomer avvolto intorno al collo a mo’ di sciarpa, Seth varcò la porta che gli dava accesso al regno fatato. Bananach ridacchiò. «Sei un agnellino coraggioso a entrare in gabbia senza un attimo d’esitazione! Un agnellino in trappola». Seth appoggiò una mano sulla barriera di luna: non si mosse. Cercò di infilarvi le dita come aveva fatto la donna corvo. Era robusta come l’acciaio. Le paure che si affollavano nella sua mente crebbero a dismisura. Si voltò verso Bananach e vide che si stava allontanando lungo una strada normalissima e al tempo stesso diversa da qualsiasi altra lui avesse mai visto. Le creature fatate si scostavano nel vederla, senza fuggire ma chiaramente cercando di evitarla. Doveva essere stata una città umana un tempo, ma c’era qualcosa che la rendeva diversa da ogni luogo umano: dagli edifici era scomparsa

ogni struttura metallica per essere sostituita da elementi naturali. Robusti rampicanti dai fiori privi di profumo avevano preso il posto delle scale antincendio, tende e pensiline erano sostenute da pali di legno, cancellate e infissi erano realizzati con lastre di roccia e minerali di ogni genere. Si guardò alle spalle e non riuscì più a scorgere il velo. Il cimitero e il resto della sua città erano ormai nascosti come le strade del luogo in cui si trovava erano celate alla vista di chi si aggirasse tra le tombe e i mausolei di Huntsdale. Cercò di convincersi che quel luogo non era più insolito di tante altre cose che aveva visto da quando Aislinn gli aveva rivelato il mondo fatato. Quell’atmosfera surreale non gli veniva solo dalla somiglianza con un abitato terreno, ma soprattutto dall’ordine che regnava per le vie luminose e pulitissime. Un gruppo di creature dall’aspetto umano giocava a calcio. La partita si svolgeva nella massima serietà: niente grida, nessuno che alzasse la voce. Era come entrare in un cinema in cui stavano dando un film muto ambientato in un luogo che ricordava vagamente la bizzarra stranezza di un quadro di Dalí. Bananach si arrestò sulla soglia di un vecchio albergo. Chiare colonne di pietra grigia davano su un ingresso privo di portone: drappeggi bordeaux erano raccolti da un intreccio di foglie dorate. Sembrava uscito da una vecchia pellicola hollywoodiana. Invece di un tappeto rosso, una lunga fascia di muschio color smeraldo conduceva all’interno. La donna corvo ne varcò la soglia. «Vieni, mortale», lo incitò senza controllare se la stesse seguendo, sapendo che le avrebbe obbedito. D’altronde Seth non aveva altra scelta. La barriera si era richiusa alle sue spalle: poteva rimanere lì fuori, oppure entrare e seguirla. Non sono venuto sin qui per scappare davanti alla porta. Sperando di non avere commesso un errore, calpestò il tappeto di muschio ed entrò in una grande sala luminosa. Numerosi esseri fatati chiacchieravano a gruppetti o fissavano in silenzio un punto davanti a sé. Sui tavolini erano ordinatamente raccolte alcune pile di libri. Un uomo protetto da un velo bianco spolverava una creatura persa in meditazione. Senza guardare né a destra né a sinistra, Bananach attraversò la sala infilandosi in un lindo corridoio. Chi si rese conto del suo arrivo assunse un’espressione tesa, oppure scivolò via in silenzio. I sussurri si trasformarono in un bisbiglio soffocato al passaggio di Seth. Erano ancor meno umane delle creature dell’estate o delle tenebre. Per quanto i loro lineamenti avrebbero potuto essere quelli mortali, irradiavano un’immobilità che aveva qualcosa di rapace e remoto al tempo stesso. La donna corvo non si preoccupò minimamente di loro. Con la sua capigliatura di piume che le ondeggiava dietro come una lunga coda, attraversò una sala dopo l’altra, salì e scese scalinate, girando ora a destra, ora a sinistra. Seth udì l’eco di lontani tamburi da battaglia, le cui note tonanti erano accompagnate dal suono delle cornamuse e dei corni. Con il cuore in gola, continuò a seguirla. Mentre si lasciavano alle spalle numerose sale deserte, il ritmo di quella musica diveniva sempre più incalzante e feroce, da mozzare il fiato, finché si arrestò di colpo quando Bananach pose il palmo su un’anta chiusa mormorando: «Sei arrivato». Aprì la porta di una grande sala da ballo di marmo azzurro. Lungo le pareti erano appesi arazzi e dipinti dei più grandi maestri di tutti i tempi, in cornici di filamenti d’argento grezzo, oppure più semplici, di legno, o ancora sotto teche di vetro. Abbarbicati ai pilastri di marmo che si susseguivano lungo la sala crescevano lussureggianti rampicanti e il soffitto era tempestato di stelle. Seth sapeva che non potevano essere veri astri, ma l’illusione era perfetta.

Mentre contemplava quel firmamento di stelle e opere d’arte a bocca aperta, Bananach gli fece schermo dicendo: «Ti ho portato un agnello». A fatica Seth distolse lo sguardo dai tanti prodigi che lo circondavano per fissare la sua attenzione sulla creatura fatata seduta su uno scranno che troneggiava nell’ampia sala deserta. Era lei che poteva salvarlo o strappargli ogni suo sogno. Aveva una massa di capelli simili a tremolanti vampe di calore, come se un incendio la avvolgesse. La sua pelle gli ricordò il chiaro di luna che avevano attraversato per entrare nel regno fatato, quasi fosse una creatura di fresca luce diafana. Ma in un attimo si trasformò, rabbuiandosi come i più neri abissi dell’universo. Ombre e luce, fiamme e frescura, bianco e nero: aveva dinanzi i due volti della luna, tutte le cose, la perfezione assoluta. La Regina Suprema. Lasair. Non poteva essere che lei. Seduta in quell’immensa sala deserta, davanti a una scacchiera, circondata da opere d’arte e meraviglie della natura. Seth portò una mano alla pietra che aveva al collo e prese ad accarezzarla con un dito. Malgrado l’amuleto, provava un intenso desiderio d’inginocchiarsi davanti a lei per offrirle l’anima in adorazione estatica, una tentazione non meno irresistibile dell’istinto che spinge il corpo a respirare. «Un agnello?». Lo sguardo della Regina dell’Alta Corte lo sfiorò come un colibrì che si ferma un attimo a mezz’aria e poi sfreccia via, riportando subito l’attenzione sulla tavola da gioco, molto più grande di quella degli scacchi, su cui si fronteggiavano sei schieramenti di pietre preziose. «Ancora tutto intero», rispose Bananach accarezzando la testa di Seth. «Ricordi il tempo in cui ci venivano offerti sacrifici?». Lasair sollevò una figura di un verde opalescente che reggeva in mano un’arma simile a una falce. «Non avresti dovuto condurlo qui. Non dovresti essere qui nemmeno tu». Bananach inclinò la testa come un uccello e domandò con voce cantilenante: «Devo riprendermelo allora? Vuoi che lo riporti indietro, che lo conduca via? Che lo lasci sulla soglia di una certa corte raccontando che ti ha fatto visita? È questo che desideri, sorella mia dolce?». Seth, immobile, osservò un lampo indecifrabile negli occhi di Lasair. Si domandò dove la donna corvo avesse intenzione di lasciarlo o cosa potesse dire per spargere zizzania tra le corti fatate. Gli unici sovrani che mi conoscono sono Ash, Don e Niall, e io potrei spiegare… ma quel pensiero lo abbandonò non appena comprese che Bananach non intendeva riportarlo indietro vivo. Se Lasair non gli avesse permesso di restare, sarebbe morto. Si guardò intorno nella speranza di trovare un’arma. Come se fosse facile. Non scorse nulla. Gli vennero in mente antiche formule popolari. Ruta e sorbo, rosa e cardo … Sapeva che c’erano piante che offrivano protezione. Ne aveva diverse in casa e spesso anche con sé. Prese a frugarsi nelle tasche. Parole… preghiere… Cosa poteva promettere per non morire? Bananach si era impegnata a condurlo sin lì senza torcergli un capello, ma non aveva promesso nulla riguardo a quel che sarebbe successo dopo. Lasair tenne il pezzo sollevato qualche istante prima di posarlo di nuovo sulla scacchiera, in una nuova casella. «D’accordo. Può rimanere». La donna corvo gli premette sul torace con le dita incurvate, quasi volesse graffiarlo con gli artigli. «Da bravo, su. Voglio essere orgogliosa di te. Fa’ sì che i nostri sogni si avverino». Quindi si voltò e disparve. Seth aspettò un cenno da parte di Lasair. Quello che aveva sentito dire di lei, mai direttamente, bensì solo attraverso qualche commento casuale che la dipingeva come la personificazione del decoro e della correttezza, gli suggeriva di attendere. Nulla. Silenzio. Boomer si mosse, scivolando giù da un braccio di Seth e avvolgendosi ai suoi piedi.

La Regina Suprema non fece motto. E adesso? Seth conosceva le riserve di pazienza delle creature fatate. Lanciò un’occhiata alla porta da cui era uscita Bananach e tornò a guardare la Regina dell’Alta Corte: non osservava più la scacchiera, ma fissava in lontananza, nell’aria, come se vi scorgesse qualcosa. Forse è proprio così. Trascorso qualche altro minuto, Seth provò a dire: «Così, voi siete Lasair, giusto?». Lo sguardo che quella creatura volse su di lui non era crudele, ma nemmeno invitante. «Sì, e tu invece?». «Seth». «Il consorte della nuova regina». Distrattamente sollevò un altro pezzo dalla scacchiera. «Ma certo. Non sono molti i mortali che conoscono il mio nome, ma la tua regina è…». «Non è la mia regina», precisò Seth. Gli parve importante metterlo in chiaro, anche se non sapeva perché. «È la mia ragazza. Non sono il suddito di nessuno». «Capisco». Posò la statuina, di un viola delicato, e lisciò i ricchi drappeggi del suo abito. «Allora, Seth-che-non-è-ilsuddito-di-nessuno, cosa ti conduce al mio cospetto?». «Voglio diventare una creatura fatata», rispose lui senza battere ciglio. Lasair scostò la scacchiera mentre una scintilla di interesse parve illuminarle il viso. «Una richiesta audace… a cui non mi sarà possibile rispondere senza una pausa di riflessione». Potrebbe risolvere ogni mio problema. Ne ha il potere. Da dietro un elaborato arazzo apparve un’altra bellissima creatura fatata dall’espressione altrettanto imperturbabile. Avrebbe potuto essere uno dei pezzi della scacchiera di Lasair, tanto era immobile, privo di qualsiasi umanità. Mentre lo guardava, Seth si rese conto che si trattava dello stesso essere fatato che aveva assistito alla lotta tra Niall e Bananach al Crow’s Nest. «Devlin», mormorò Lasair, «credo che il mio nuovo mortale abbia bisogno di un luogo in cui riposare. Sarà anche necessario rammentargli i pericoli dell’impertinenza. Ti dispiacerebbe occupartene mentre io mi ritiro a riflettere?». «È un onore», rispose questi accennando un inchino, quindi si avvicinò a Seth e lo agguantò per il collo. Lo sollevò stringendolo per la carotide, impedendogli di respirare. Seth si dimenò, scalciò, finché non sprofondò nel buio perdendo i sensi.

Capitolo 21

«Come va?», domandò Carla ad Aislinn mentre aspettavano che Rianne uscisse dal bagno dove si stava truccando. Era un’operazione piuttosto lunga: sua madre, a casa, le proibiva di andare a scuola truccata e lei vi poneva rimedio una volta arrivata alla Bishop. «Non ti senti bene?». «No». «Ti va di parlarne? Hai una faccia…», disse l’amica, malgrado una certa esitazione. Adottava spesso, negli ultimi tempi, un atteggiamento materno con lei e Rianne. «Io e Seth…», fece per risponderle, ma un singhiozzo le impedì di proseguire. Cercò di trattenere le lacrime. Non voleva pronunciare le parole che avrebbero reso quell’incubo ancor più reale. «Non c’è. Abbiamo litigato». Carla la abbracciò. «Andrà tutto a posto, vedrai. È innamorato di te. Ti è stato appresso una vita». «Non lo so», replicò Aislinn cercando di non volgere lo sguardo allo stuolo di creature fatate nell’atrio della scuola. «È scomparso, se n’è andato…». «Seth?». Aislinn annuì. Più di quello non poteva dire. Avrebbe voluto confidarsi con l’amica, con Rianne, con qualcuno, ma la persona che l’ascoltava sempre non c’era più, e raccontare a Carla cos’era successo significava dover omettere troppe cose, oppure farle confessioni a cui non era preparata. Il mondo fatato non è per i mortali. «Se n’è andato». Guardò Carla e gli esseri fatati alle sue spalle. «E io sto da cani». Mentre la sua amica mormorava qualcosa per consolarla, le sue creature le accarezzavano il volto e i capelli. Un tempo una cosa del genere l’avrebbe terrorizzata, ma ora non più. Erano diventati parte di lei, una preoccupazione costante, una ragione di vita. Ho bisogno di loro. E loro avevano bisogno di lei. Non l’avrebbero mai abbandonata. Quel pensiero la aiutò ad arrivare alla fine di quell’interminabile giornata di lezioni. Le sue creature non la seguivano spesso a scuola: erano disturbate dalla profusione di metallo e di simboli religiosi che vi regnava, ma quel giorno non la lasciarono sola un momento. Siobhan le si sedette accanto in un banco vuoto nell’ora di studio. Eliza le canticchiò una filastrocca durante il pranzo. La dolcezza del suo canto fu accompagnata dalle carezze delle guardie e di tutti gli altri che passavano a salutarla per dimostrarle il proprio affetto. Sono la mia famiglia. Non erano più degli sconosciuti o creature bizzarre e temibili. Il loro amore non cancellava la pena che aveva nel cuore, però riusciva a mitigarla. Quella sensazione di essere cullata nell’abbraccio della sua corte le era di conforto, leniva un poco il dolore di aver perduto Seth. Dopo la scuola Aislinn non corse tra le braccia di Keenan, ma fece subito ritorno al loft: lì almeno, accanto al suo re e circondata dalla sua corte, si sentiva al sicuro. Andava ancora a scuola, a volte trascorreva la notte a casa dalla nonna, ma da quando Seth

era sparito, ed erano già passati diciotto giorni, aveva lasciato perdere ogni tentativo di rimanere in contatto con il mondo mortale. Non aveva visto né chiamato nessuno. Non era uscita da sola. Si sentiva più tranquilla con Keenan al suo fianco. Insieme erano più forti. E tra le pareti del loft, al sicuro. Dopo un paio di giorni dal messaggio di Seth, Keenan aveva capito che era meglio non chiederle come stava o, ancora peggio, se l’aveva sentito, e cercava piuttosto di distrarla. Tra l’impegno della scuola, le faccende di corte da risolvere e il nuovo addestramento di difesa personale, alla fine della giornata Aislinn era talmente sfinita da crollare dal sonno e chiudere gli occhi per qualche ora almeno. A volte Keenan, evitando di soffermarsi troppo sull’argomento, la aggiornava riguardo ai risultati delle ricerche di Seth. Non avevano ancora fatto progressi, ma lo troveremo, prometteva. Le ricerche andavano un po’ a rilento perché le guardie erano costrette a muoversi con la massima cautela. Sarebbe pericoloso se si sapesse in giro che è scomparso, le aveva spiegato Keenan. È solo, debole, vulnerabile. Aislinn avrebbe voluto sapere dov’era, ma non voleva certo metterlo in pericolo… e se fosse già in pericolo? Era una preoccupazione costante: malgrado tutto, Aislinn l’amava ancora. Fino a quel momento avevano scoperto soltanto che era stato al Crow’s Nest, dove aveva trascorso qualche ora in compagnia di Damali, una giovane cantante rasta, con cui in passato gli era capito di uscire un paio di volte. Le guardie non l’avevano visto uscire dal locale, perché impegnate in uno scontro con alcuni ly erg che avevano catturato una giovanissima Ragazza dell’Estate. Quando erano tornati, Seth se n’era ormai andato, ma poi Skelley gli aveva parlato. Era a casa, tranquillo, aveva riferito la guardia. Non so come abbia fatto ad andarsene. Non è mai successo. Seth era uscito senza farsi vedere, portando Boomer con sé, e sembrava contento, eccitato di partire. C’era qualcosa di strano. Se n’è davvero andato di sua spontanea volontà? Non c’era ragione di pensare che non fosse così, se non che non era da Seth sparire a quel modo. Ma ne era proprio sicura, poi? Seth non aveva mai voluto una ragazza fissa. Non ne aveva mai avuta una prima di lei. Il suo legame con Keenan negli ultimi tempi lo infastidiva enormemente. E quando aveva chiamato, sembrava contento. Non tranquillissimo forse, ma dire addio al telefono non è una cosa tanto semplice, in fin dei conti. Forse è andato dai suoi. Aislinn si era persa in mille congetture, chiedendo alle guardie di correre a controllare di qua e di là, di informarsi se aveva acquistato un biglietto del pullman o del treno per una o l’altra destinazione. Non era servito a farla sentire meglio, né a scoprire nulla. La compagnia di Keenan era l’unica cosa che smorzava la tensione che le attanagliava la bocca dello stomaco. Quel giorno, tuttavia, non appena la vide entrare, le sue parole non furono esattamente ciò che Aislinn desiderava sentire: «C’è Niall che ti vuole parlare». «Niall?», domandò, assalita da una sensazione di terrore e speranza. Aveva provato a chiamare il Re del Buio il giorno che Seth era sparito, ma si era rifiutato di parlarle. Le emozioni di Keenan, di solito trasparenti, erano soffocate sotto un’impenetrabile patina di imperturbabilità. «Dopo, possiamo dare un’occhiata agli appunti di Tavish e mangiare qualcosa». Non riusciva quasi a respirare dalla tensione che la opprimeva. «Niall è qui?». Il volto del Re dell’Estate fu percorso da una nube d’ira tempestosa. «È nel nostro studio. Vuole parlarti da solo». Aislinn non lo corresse come avrebbe fatto qualche settimana prima: ormai lo studio era anche suo. Il loft era casa sua. Prima o poi doveva accettare l’idea. Sono immortale. Purché nessuno mi uccida. Non aveva pensato alla morte prima di diventare una creatura fatata, ma da qualche tempo era terrorizzata all’idea di perdere tutto in un istante. Le minacce di Bananach, di Donia e di Niall l’avevano costretta a pensare alla possibilità della fine. E tra coloro che potevano strapparle

ogni cosa, c’era l’essere fatato che la stava aspettando. Sapere che Keenan sarebbe stato a un soffio da lei la aiutava, ma l’idea di affrontare il Re del Buio la riempiva di angoscia. Il terrore, i dubbi, le ansie, che un tempo si scatenavano in lei ogni volta che scorgeva un essere fatato e doveva impedire che scoprisse che lei era in grado di vederlo, si erano ormai pian piano sedati, eppure stavano riaffiorando di nuovo. «Vuoi che venga con te?», domandò Keenan apparentemente impassibile. «Se preferisce di no… se sa qualcosa e non me l’ha voluto dire perché…». Lo guardò con aria supplichevole. «Devo sapere». Keenan annuì. «Sono qui se hai bisogno di me». «Lo so». Aislinn aprì la porta dietro la quale la attendeva il sovrano delle tenebre. Niall era seduto sul divano, perfettamente a suo agio, come se il loft della Corte dell’Estate fosse casa sua. Vederlo tanto tranquillo allentò per un istante la tensione che le serrava la gola, ma l’espressione di disprezzo con cui la accolse la fece irrigidire di nuovo. «Dov’è?». «Come?». Le tremavano le gambe. «Dove. È. Seth», ripeté Niall adirato. «Non è a casa. Non risponde al telefono. Al Crow’s Nest non lo ha visto nessuno». «È…». Aislinn sentì scivolare via tutta la calma che aveva cercato di chiamare a raccolta. «È sotto la mia protezione, Aislinn». Due ombre apparvero al suo fianco e si sedettero alle sue spalle con aria severa: erano un giovane e una ragazza, e si sporsero in avanti ad ascoltare ogni parola della Regina dell’Estate. «Non puoi tenerlo lontano da me solo perché non ti piace…». «Non so dov’è», lo interruppe lei a quel punto. «Se n’e andato». Le due ombre si agitarono confuse mentre Niall chiedeva: «Da quando?». «Diciotto giorni». La guardò a lungo, sdegnato, senza muoversi, né aprire bocca. Poi si alzò e uscì. Aislinn gli corse dietro. «Niall! Aspetta! Cosa sai? Niall!». Senza fermarsi, il re delle tenebre aprì la porta, scoccò un’occhiata ostile a Keenan e se ne andò. Aislinn fece per seguirlo, ma Keenan la trattenne quando lei gli passò accanto, impedendoglielo. «Sa qualcosa. Lasciami…», gli disse liberandosi. «Sa qualcosa, ti dico». Keenan la lasciò, né tentò di chiudere la porta. «Conosco Niall da novecento anni, Aislinn. Se se ne va, è meglio lasciarlo andare. Non è più nella nostra corte. Non è saggio fidarsi di lui». Aislinn continuava a fissare il corridoio ormai deserto. «Sa qualcosa». «Forse. Oppure è semplicemente in collera. O ha dei sospetti». «Voglio che Seth torni a casa». «Lo so». Aislinn chiuse la porta e vi si appoggiò contro. «Non sapeva che aveva in mente di andarsene. Non ha abbandonato solo me». «Adesso lo cercherà anche lui». «E se gli fosse successo qualcosa?», esclamò Aislinn, dando voce ai timori che sino a quel momento aveva cercato di nascondere persino a se stessa. Era più semplice credere che l’aveva

lasciata che immaginare che fosse chissà dove, magari ferito, in difficoltà. «Ha portato via il suo serpente. Ha chiuso a chiave la porta». Rimasero qualche istante in silenzio finché Keenan, indicando lo studio, domandò: «Vuoi che diamo un’occhiata agli appunti che ci ha preparato Tavish? Oppure preferisci tirare qualche cazzotto prima?». «Tirare qualche cazzotto». Keenan sorrise e andarono insieme in palestra, dove erano appesi diversi sacchi da boxe e punching ball.

Più tardi, dopo avere sferrato pugni tanto a lungo da sfinirsi e avere gli addominali talmente a pezzi da rischiare di vomitare, Aislinn si fece una rapida doccia nel bagno della sua camera da letto. Fino ad allora non l’aveva mai sentita sua, quella stanza: era solo un posto in cui dormire, niente di più. Ma da quando Seth se n’era andato, non era più così. Vi si era rintanata più di una volta per tagliare fuori il resto del mondo, finché non sarebbe stata di nuovo in grado di tornare fra le creature dell’estate. Sentiva sempre più spesso il bisogno di loro, di averle accanto. Tuttavia fu sorpresa di trovare Siobhan seduta a gambe incrociate sopra il suo immenso letto a baldacchino. Le tende di tela di ragno che lo drappeggiavano erano raccolte e trattenute ai lati con alcune spine di rosa. In quella cornice fiabesca Siobhan sembrava la principessa di uno di quei cartoni animati che la nonna non era mai stata contenta che Aislinn seguisse. Aveva capelli tanto lunghi da sfiorare la trapunta e, appena lei entrò, i tralci che le accarezzavano la pelle come tatuaggi viventi presero a stormire volgendosi verso la Regina dell’Estate. È troppo affascinante e graziosa per essere umana. Tanta bellezza è innaturale… Aislinn cercò di scacciare dalla mente quei vecchi pregiudizi, ma non prima di concludere… come me, anche lei non è umana. «Ci dispiace che se ne sia andato», disse Siobhan con voce sussurrante. «Avevamo cercato di trattenerlo». Ad Aislinn si mozzò il fiato. «Come?». «L’abbiamo fatto danzare con noi e gli abbiamo persino strappato l’amuleto», rispose, atteggiando le labbra a una smorfia che la fece apparire più giovane di quanto non fosse. «Ma poi è arrivato Niall e se ne sono andati insieme. Noi ci abbiamo provato. A farlo restare». Non sarebbe servito a nulla prendersela con lei. Malgrado facesse la bambina, non era sciocca. Anzi, le sue astuzie a volte avevano turbato Aislinn tanto che, malgrado desiderasse credere alla sua fedeltà alla Corte dell’Estate, le erano sorti dei dubbi. Si strinse la cintura dell’accappatoio e sedette, non sul letto, bensì sullo sgabello davanti alla specchiera. «Così lui e Niall se ne sono andati insieme. Si sono ripresi l’amuleto?». Il sorriso di Siobhan giunse lentamente. «Dal momento che era stato Niall a darglielo, mi pare ovvio, no?». «E quell’amuleto serve a…», proseguì Aislinn mentre prendeva in mano una bella spazzola di legno d’olivo. «Proteggerlo da ogni sorta di incantesimo, mia regina», replicò Siobhan alzandosi e, prendendole la spazzola di mano, cominciò a pettinarle i capelli. «Con quello non c’è illusione e magia che possa nulla su di lui». «Certo. E gliel’aveva dato Niall, ma voi glielo avete strappato». Aislinn abbassò le palpebre mentre Siobhan le districava i capelli.

«Proprio così». «Sei stata tu?», domandò Aislinn riaprendo gli occhi e osservandola nello specchio. La ragazza si fermò un istante per rispondere: «No, io non contrarierei mai Niall. Se me lo chiedeste voi, mia regina, d’accordo, ma altrimenti… Abbiamo danzato insieme per centinaia di anni. È stato lui a insegnarmi cosa significava essere una creatura fatata. Ogni volta che una nuova mortale monopolizzava le attenzioni del mio re…». Scosse la testa. «No, non contrarierei mai Niall se non per obbedire a un ordine del mio re o della mia regina». «Non sapevo che Seth avesse un amuleto», confessò Aislinn. «A tal punto non si fidava di me?». «Non lo so, ma mi dispiace vedervi tanto triste». Siobhan riprese la spazzola. Gli occhi di Aislinn si riempirono di lacrime. «Mi manca». «Lo so», disse la Ragazza dell’Estate scuotendo il capo. «Quando Keenan ha smesso di curarsi di me… Abbiamo provato tutte a sostituirlo. C’è stato un tempo in cui ho persino creduto di esserci riuscita». Abbassò gli occhi per un attimo. «Finché anche lui non se n’è andato». «Niall. Voi due eravate…». «Oh, sì». La sua espressione era eloquente. «L’eternità è lunga, mia regina. Il nostro re era spesso distratto. Finché non siete giunta voi, Niall aveva un ruolo importante nella nostra corte. Nascondeva le tenebre che nutriva in sé con vertiginose dimostrazioni d’affetto. Che io ho ricevuto più di ogni altra». Si avviò verso il guardaroba, lo aprì e scelse un abito. «Dovete essere elegante stasera per cena. Per il nostro re». Aislinn si alzò e si avvicinò al mobile accarezzandone le ante su cui erano intagliate splendide scene di festini incantati. Anche se non osservava più a bocca aperta l’opulenza di quella stanza arredata da Keenan apposta per lei, ne rimaneva sempre affascinata, come del resto dagli abiti del suo guardaroba. «Non ho voglia di vestirmi elegante». Il perfetto viso principesco di Siobhan si trasformò in una maschera di sdegno. Incrociando le braccia esclamò: «Sguazzate pure nel vostro dolore. Indebolite la nostra corte proprio mentre Bananach ci gira attorno. Distraete il nostro re con il vostro egoismo. Impeditegli di essere felice sia con voi sia con la Regina dell’Inverno». «Non è…». «Si è allontanato da Donia per starvi accanto perché avete bisogno di lui e voi continuate a rifiutarvi di vedere in lui il vostro vero re e compagno. Lui è disposto a sacrificare la sua possibilità di felicità con la Regina dell’Inverno e voi invece piangete e vi ritraete, facendolo preoccupare e rattristare. È intollerabile vedervi entrambi tanto afflitti. La nostra corte ha bisogno di risate e di frivolezza. Questa malinconia e questa rinuncia a ogni piacere indeboliscono voi, la vostra stessa natura, e di conseguenza anche noi». Siobhan sbatté le ante e una frazione di secondo dopo volse ad Aislinn uno sguardo supplichevole. «Se il vostro mortale non è qui a ridere e divertirsi con voi, se al nostro re è negata la gioia di amare l’altra regina, se siete entrambi così di malumore, anche noi siamo più spenti e tristi. Le vostre risa, la vostra felicità filtrano sino a noi, e lo stesso vale per questa disperazione strisciante. Andate a cena con il nostro re e aiutatelo a sorridere». «Ma io non sono innamorata di Keenan», si giustificò Aislinn, consapevole della fragilità di un simile argomento. «Amate la vostra corte?». La regina la guardò, osservò quella giovane che aveva il coraggio di dirle ciò che lei non

voleva sentire. «Sì». «E allora siate la nostra sovrana. Se il vostro mortale torna, deciderete cosa fare, ma adesso la vostra corte ha bisogno di voi. Il vostro re ha bisogno di voi. Noi abbiamo bisogno di voi. Godetevi la vita… oppure permettete al nostro re di gioire tra le braccia della sovrana dell’inverno. Lo tenete al vostro fianco senza dargli ragione di sorridere. Il vostro dolore sta facendo soffrire tutti. Accettate il piacere che è in grado di darvi». «Non ne sono capace», gemette Aislinn. Non voleva dimenticare Seth, ma doveva ammettere, almeno a se stessa, che Keenan le era di grande conforto. Guardò Siobhan, consapevole della confusione che avrebbe visto sul suo volto. «Non so cosa fare». La voce della Ragazza dell’Estate si fece più gentile: «Scegliete la felicità. È quello che abbiamo fatto tutte».

Capitolo 22

Per quattro giorni Seth attese nella città segreta di Lasair. Dopo il suo incontro con la Regina Suprema, Devlin lo aveva accompagnato in uno spazioso alloggio, completo persino di un terrario che Boomer aveva subito trovato di suo gradimento. Ci stava bene, se non fosse stato per un unico dettaglio. Sono cinque giorni che non vedo Ash. Adesso gli dispiaceva non avere risposto alle sue chiamate e ai messaggi il giorno che se n’era andato. Il cellulare lì non funzionava. Non c’era segnale. Era l’unica cosa che lo rattristava, non poter comunicare con Aislinn. Tutto il resto gli veniva offerto prima ancora che potesse desiderarlo. I pasti gli venivano portati nella sua stanza e lui aveva deciso di ignorare la regola di non mangiare cibo fatato. Ormai aveva fatto la sua scelta: voleva vivere nel loro mondo. Nulla gli avrebbe fatto cambiare idea. Fu tuttavia con trepidazione che inghiottì il primo boccone preparato da mani fatate, un evento per lui memorabile. Era un passo verso un inevitabile cambiamento, un po’ come impegnarsi fisicamente a percorrere il cammino che aveva scelto. Gli sarebbe piaciuto avere Aislinn accanto mentre assaporava quello strano pasto a base di frutti sconosciuti e piccoli tortini di pasta sfoglia, ma del resto gli sarebbe piaciuto averla accanto ogni momento della giornata. Trascorreva la maggior parte del tempo nelle sue stanze, ma aveva anche gironzolato un po’. Si era presto reso conto che si ritrovava di nuovo al punto di partenza ogni volta che lo desiderava, così aveva messo alla prova quella sua scoperta e, indipendentemente da quanti giri avesse fatto, ogni volta che ripensava a tornare in camera gli bastava girare l’angolo tre volte e se la ritrovava davanti. Qualche rara creatura fatata lo degnava di tanto in tanto di uno sguardo, qualche raro mortale di un sorriso. Nel suo alloggio aveva tutto il materiale per dipingere o per scolpire che potesse desiderare, ma faceva fatica a concentrarsi. Quell’incertezza riguardo alla decisione della Regina dell’Alta Corte non era la condizione mentale ideale per creare. Aveva meditato. Aveva fatto qualche schizzo. Aveva letto qualcosa: dei manuali di giurisprudenza e di retorica, un paio di trattati sui Segreti del regno fatato, alcuni saggi sulle possibilità di vivere In compagnia del popolo sotterraneo. Aveva girovagato senza meta. Aveva cercato ispirazione nei testi che lo circondavano: le stanze dell’edificio in cui si trovava erano piene di libri. Tutto quanto potesse desiderare era a sua disposizione. Tranne Ash. Aveva la sensazione che, se lei non gli fosse mancata, sarebbe stato felice in quel luogo che Lasair gli aveva messo a disposizione. Era perfetto per un artista. Una parete di vetro faceva entrare una luce meravigliosa. Fuori un immenso giardino, mentre all’interno c’era un tripudio di cavalletti, colori, inchiostri, tele, fogli da disegno e, in una cameretta adiacente, il materiale e gli attrezzi per scolpire. Tutto, meno l’ispirazione. Dipingere un giardino da dietro un vetro è poco interessante. L’inquietudine con cui lottava ormai da quattro giorni lo condusse ancora una volta davanti

a quell’immensa finestra. E a un’ispezione ravvicinata gli si rivelò un’apertura: premendo un’ombra a forma di mezzaluna, una parte del vetro si aprì verso l’esterno permettendogli di accedere al giardino. Non appena vi mise piede e spinse lo sguardo oltre il verde, vide l’oceano, un vasto deserto, pianure artiche, praterie, catene montuose… Dalla sua stanza scorgeva solo fiori e alberi ma, uscendone, un elemento di irrealtà aveva fatto irruzione intorno a lui. O di realtà. Concentrandosi sull’oceano, fu in grado di riempirsi le narici dell’odore del mare. Aveva vissuto in una località marina un tempo. A Linda piaceva un sacco. Suo padre non amava troppo l’acqua, ma Seth e sua madre l’adoravano. Era più materna quando non si sentiva in gabbia e l’aria di mare le dava una sensazione di libertà. Seth riusciva quasi a sentirla sulle labbra, quella punta di sale nell’aria. Troppo concreta per essere un’illusione. L’universo intero è agli ordini di Lasair. Era chiaro perché non vivesse a Huntsdale o in qualunque altra città umana quando poteva creare un simile spazio utopico intorno a sé. Donia aveva il suo angolino di inverno tutto l’anno, Keenan e Aislinn il loro parco, ma Lasair aveva un mondo intero tutto per sé. Seth non capiva come si potesse desiderare di abbandonare un luogo tanto perfetto. Non doveva lasciarsi trascinare da simili pensieri, doveva rimanere lucido se voleva riuscire a convincerla. Donia gli aveva concesso la seconda vista. Niall gli aveva offerto un legame di fratellanza. Le creature fatate sembravano rispondere positivamente alla sincerità, al coraggio; un’adorazione cieca, invece, non sarebbe stata convincente. Tuttavia Seth sapeva di non poter addurre nessun elemento razionale a sostegno della sua richiesta. Semplicemente non voleva essere un mortale che vive in un mondo di creature eterne. Sperava soltanto che, quando avrebbe accettato di dargli udienza, la Regina dell’Alta Corte comprendesse quel suo desiderio. E che lo chiamasse al suo cospetto al più presto. Non sapeva quanto tempo gli sarebbe stato chiesto di aspettare né se potesse andarsene nel caso in cui si fosse stancato di attendere. Sono prigioniero di questo luogo forse? Non lo sapeva, e non c’era nessuno a cui chiederlo. La corte di Lasair non era come la Corte dell’Estate, dove regnava un continuo chiacchiericcio illuminato da improvvise risate. Era… tranquilla, e non particolarmente accogliente. L’unica eccezione era una creatura fatata che sembrava uscita da un cielo notturno. Ogni giorno passava da Seth dicendogli che poteva offrirgli i suoi materiali per scolpire se lo desiderava. «Potresti venire nel mio studio. Potremmo creare insieme». «Apprezzo la tua offerta», oppure «È molto gentile da parte tua», rispondeva lui evitando con cura un vuoto “grazie”. Sapeva quanto poco fossero gradite simili espressioni tra le creature fatate. «Non una parola fuori», ripeteva lei ogni giorno. E se ne andava. Sapere che anche lei era un’artista aveva reso quelle apparizioni confortanti, se non fosse stato per l’inquietante luccichio di stelle che emanava a ogni passo e le ombre luminose che quella strana creatura gettava sulle pareti. Era un controsenso, ma Seth aveva smesso da tempo di aspettarsi che gli esseri fatati seguissero le regole della logica o della fisica del mondo terreno. Quel giorno, dopo il loro breve scambio di battute sulla soglia, Seth aveva deciso di accettarne l’invito ma, appena stava per seguirla, si era imbattuto nella creatura fatata al servizio di Lasair, Devlin. Non l’aveva più visto dalla sera che lo aveva afferrato per la gola. Gli si parò davanti impedendogli di proseguire. «Olivia frequenta luoghi cui non ti è permesso l’accesso». Seth la osservò sparire dietro un angolo e domandò: «Hai intenzione di strangolarmi di nuovo?».

Devlin non sorrise. Il suo atteggiamento e ogni suo movimento rivelavano un severo addestramento militare. Teneva la schiena dritta come una sbarra d’acciaio e ogni muscolo in tensione, pronto a scattare in un istante. «Se la mia regina me lo chiedesse o se fosse nell’interesse della mia corte o…». «Seguire Olivia è nell’elenco?». «Se segui Olivia in cielo, gelerai oppure soffocherai, due eventualità ugualmente sgradevoli», dichiarò senza allentare un muscolo. «I mortali non sono fatti per passeggiare tra le stelle». Passeggiare tra la stelle? Soffocare? Gelare? Seth fissò il punto in cui aveva visto Olivia scomparire. «Letteralmente “tra le stelle”?». «Per creare usa materiali diversi dai tuoi. È un’artista di rara qualità, la sua natura mista le permette di fare cose uniche al mondo». Per un istante l’espressione impassibile di Devlin svanì e il suo volto lasciò intravedere una sorta di timore reverenziale. «Crea tessiture di stelle. Arazzi di luce così fugaci che si dissolvono in un giorno. Il cielo non è luogo per i mortali: siete troppo fragili. Il vostro corpo ha bisogno di calore e ossigeno e lassù non c’è né l’uno né l’altro». «Capisco». «Avrebbe tessuto il tuo ritratto, ma le conseguenze non sarebbero state di tuo gradimento, mortale». «Sarei morto». «Già. A volte il respiro umano le permette di far durare le sue opere un po’ più a lungo. Un respiro per l’arte. È una questione di equilibrio». Il tono di Devlin aveva un fervore in cui Seth riconobbe una delirante passione artistica. E in qualche modo quell’istante rivelatore lo fece sentire più tranquillo al suo fianco. «Lasair ha chiesto i tuoi servigi». Seth inarcò un sopracciglio. «I miei servigi?». In silenzio Devlin fissò il punto in cui era scomparsa Olivia. «Forse sarebbe stato meglio se avessi seguito Olivia. La mia regina è… come la tua, come Niall, costretta a considerare il bene della sua corte prima di ogni altra cosa. Tu sei un’aberrazione, un’inaccettabile eccezione a ogni regola». Seth volse lo sguardo a Boomer nel suo immenso terrario e dopo essersi assicurato che non potesse uscire, chiuse la porta della sua stanza. «Vivo in condizioni terribili da mesi. Sono qui per trovare una soluzione». «Venire a patti con le creature fatate non è mai saggio», lo avvertì Devlin. «L’arte non è l’unica passione per cui vale la pena di vivere». «Così mi dicono». Lo squadrò dall’alto in basso. «Niall ti è legato, perciò spero che tu sia tanto furbo quanto credi, Seth Morgan. Le mie sorelle non sono né gentili né delicate». «Non ho nessun desiderio di scontrarmi con loro». «Non ce n’è alcun bisogno. Il loro interesse in un mortale è di rado una buona notizia per l’oggetto della loro curiosità, e tu ne hai attirata fin troppa d’attenzione, da parte di entrambe», gli disse con un filo di voce. «Vieni ora». Mentre lo seguiva da una sala all’altra, a Seth parve di essere guardato in modo diverso dalle altre creature fatate: era inquietante vederle interrompere qualsiasi discorso stessero facendo,

fermarsi con un piede a mezz’aria, trattenere il respiro mentre Devlin passava. Come quando aveva seguito Bananach, fecero uno strano percorso all’interno dell’edificio, salendo e scendendo, girando a destra e a sinistra, entrando e uscendo da sale che a lui sembravano tutte uguali. Alla fine si fermarono nel mezzo di una stanza spoglia che a Seth pareva assolutamente identica a quella da cui erano appena usciti. Aveva una strana porta. Seth si guardò alle spalle per osservarla di nuovo e vide dietro di sé una folla di esseri fatati. Mi stanno tutti fissando. «Volgiti verso di me. Sei al mio cospetto, Seth Morgan», ordinò Lasair. Mentre Seth si girava, le creature fatate svanirono, la stanza sparì e lui si ritrovò solo con la sovrana dell’Alta Corte, in un ampio giardino. Un sentiero lo attraversava e da un lato una profusione di fiori abbarbicati gli uni agli altri creava un panorama di caos: si vedevano enormi orchidee azzurre sul punto di soffocare le margherite che cercavano di affiorare in quell’intrico di boccioli di ogni genere; dall’altro, rose e strelitzie crescevano ordinatamente intervallate da cactus e ciliegi in fiore. Seth si guardò alle spalle. Gli esseri fatati, la stanza, l’edificio, tutto era scomparso. Non vide altro intorno a sé che quel giardino e una foresta, con l’oceano in lontananza. La città nascosta di Lasair non era uno spazio protetto da una barriera fatata, era un intero mondo. «Siamo soli», disse la Regina Suprema. «Sono spariti tutti». Gli rivolse un’occhiata paziente. «No. Il mondo è stato riorganizzato. È così che funziona qui. La realtà si uniforma ai miei desideri. Qui tutto risponde ai miei pensieri, alle mie necessità». Seth avrebbe voluto parlare, fare delle domande, ma non riusciva. Nonostante l’amuleto al collo, era preda di un incantesimo più potente di ogni immaginazione. Lasair, somma sovrana dell’Alta Corte del regno fatato, stava conversando con lui in un favoloso giardino… nel bel mezzo di un albergo. Lei lo guardò e sorrise. Il telefono di Seth mandò un bip. Non appena lo prese in mano, una serie di SMS prese a comparire sul display. Mentre quelli continuavano a lampeggiare, arrivò anche un messaggio alla segreteria. Seth fissò il cellulare: al centro dello schermo era apparso «dove 6». Si guardò attorno. «Non è come il luogo da cui provieni. Nessuna regola né strumento mortale funziona se non è di utilità per me. Qui il mio volere è l’unica legge». Seth comprese dov’era. Lasciò scendere il braccio lungo il fianco, con il telefono ancora stretto in mano, e guardò la Regina dell’Alta Corte negli occhi. «Questo è il regno fatato. Non è solo la presenza di tante creature fatate a renderlo diverso… Questo è un altro universo, non come la casa di Don o il parco…». Lasair non sorrise, non esattamene, ma parve divertita. «Sono nel regno fatato», ripeté Seth. «È così». Lasair sollevò appena il lembo dell’abito e fece tre passi verso di lui. Seth notò che aveva i piedi nudi e che minuscoli filamenti d’argento le spuntavano tra le dita. Non era un’illusione. Non erano tatuaggi come quelli della Corte Oscura, né tralci viventi come quelli avvinghiati alle Ragazze dell’Estate, bensì veri filamenti d’argento, a fior di pelle. Li osservò e vide simili tracce argentee correre lungo tutto il corpo di Lasair, appena accennate, quasi venuzze sotto pelle. «Sei nel regno fatato e vi rimarrai finché io non deciderò altrimenti. Nel regno degli uomini vivono varie corti. Un tempo ne esistevano soltanto due. Una abbandonò questo luogo per seguire il

richiamo della propria depravazione. Altre creature fatate fecero la stessa scelta… alcune furono persino in grado di dare vita a nuove corti. Altre ancora preferirono vivere in solitudine. Qui ci sono solo io. Solo il mio volere. Solo la mia voce». Lasciò cadere le sottane in modo da coprire i piedi. «Non chiamerai nessuno da qui. Non senza il mio permesso». Seth, attonito, si accorse che il cellulare si era trasformato in una manciata di farfalle che stava prendendo il volo dal suo palmo. «Non ci sarà alcun tipo di comunicazione tra la mia corte e il loro mondo. Gradirei che ti comportassi come si conviene». Lasair posò lo sguardo sulla mano di Seth e il telefono riapparve. «Le decisioni qui sono solo mie. Sono unica sovrana di questo regno. Non ho successore né predecessore. La felicità della tua regina non-più-mortale qui non ha valore alcuno». «Ma Ash…». «Qui sei soggetto al mio volere. Mi hai cercato, ti sei presentato al mio cospetto, e ora ti trovi in un mondo che innumerevoli mortali hanno solo sognato e per cui hanno dato la vita. Nel regno fatato ogni dono ha un prezzo». Lasair era assolutamente indifferente alle preoccupazioni di Seth, il suo volto un’inflessibile maschera d’argento. Allungò una mano verso di lui. Seth le porse il telefono. «Per quale motivo dovrei ascoltare le tue suppliche, Seth Morgan? Cosa ti rende tanto speciale?». La guardò. Era l’incarnazione della perfezione e lui… ben lungi da qualsiasi eccellenza. Cosa mi rende speciale? Era tutta la vita che cercava la risposta a quella domanda. Cosa rende qualcuno speciale? «Non lo so», ammise. «Perché vuoi diventare una creatura fatata?». «Per vivere al fianco di Aislinn». S’interruppe, cercando le parole giuste. «Lei è tutto per me. È il vero amore. Uno se lo sente. Nessuno, nulla avrà mai per me l’importanza che ha lei ora. E ne avrà sempre di più». «Quindi chiedi che ti sia concessa l’eternità perché sei innamorato?». «No», precisò Seth. «Perché amo una regina del popolo fatato e lei merita di essere amata per ciò che custodisce nel suo animo e non per la sua nuova natura fatata. Ha bisogno di me. Ci sono anche altre creature per cui provo profondo affetto e che sono in pericolo a causa mia, a causa della mia mortalità. Sono troppo debole, fragile, limitato». Si sentì pronunciare cose che non sarebbe stato capace di dire qualche istante prima, ma al cospetto di Lasair era come se le parole giuste gli si presentassero alla mente da sole. «Vivo già tra le creature fatate. Tutte le persone importanti per me, la donna che amo, gli amici che ho in tutte e tre le corti… appartengono al vostro mondo, e io stesso ormai. Ho solo bisogno che mi concediate la possibilità di vivere al loro fianco e di essere abbastanza forte per non essere loro di ostacolo». Lasair sorrise. «Sei uno strano mortale. Potresti piacermi». Sapendo di non dover dire “grazie” a una creatura fatata, Seth rispose: «Siete gentile». «No, niente affatto». Per un attimo parve sul punto di scoppiare a ridere. «Ma tu mi incuriosisci… Se accettassi la tua richiesta, ogni dodici mesi dovresti trascorrerne uno qui, nel regno fatato, in mia compagnia». «State dicendo di sì?». Seth era a bocca aperta. Si sentì tremare le gambe. La Regina dell’Alta Corte si strinse nelle spalle. «Ti trovo gradevole… e potresti tornare utile al regno fatato, Seth Morgan. Non è un dono che possa essere offerto con leggerezza, tuttavia,

quello che mi chiedi. Ti legherà a me per il resto della tua esistenza». «Sono già legato in modo diverso ad altri due sovrani fatati, e amico di un terzo», le rispose cercando di reprimere la paura che lo stava assalendo. Per quanto desiderasse ciò che stava per accadere, era invaso dal terrore: ottenere l’eternità non era cosa da poco. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sul proprio respiro, sui propri spazi di calma interiore. Il panico allentò la morsa. Quindi disse: «Allora cosa devo fare? Come funziona?». «È molto semplice. Un bacio e avrai ciò che vuoi». «Un bacio?». Seth la guardò. C’erano altre due sovrane del popolo fatato che avrebbero potuto chiedergli un bacio senza metterlo in imbarazzo. Di baciare Aislinn Seth non si sarebbe mai stancato e Donia… non era attratto da lei, ma le era affezionato. E Keenan s’infurierebbe se sapesse che l’ho baciata. Quel pensiero lo fece sorridere. La Regina Suprema, dal canto suo, non aveva nessun fascino romantico, né tanto meno erotico. Ricordava a Seth alcune statue dell’antichità ritratte nei libri di storia dell’arte, austere e solenni. Aislinn era sempre stata passionale, anche prima di diventare Regina dell’Estate, e Donia poteva pure essere l’incarnazione dell’inverno, ma i ghiacci non sono tiepida placidità. «Non c’è altro modo?», chiese. Un bacio gli pareva una richiesta strana e d’altronde, malgrado le creature fatate fossero astute, non sapevano mentire. Per di più, in una simile circostanza Lasair non solo si aspettava da lui delle domande, ma le avrebbe apprezzate. L’espressione della sovrana dell’Alta Corte rimase immutata, senza che una minima scintilla di emozione trapelasse dal suo volto, per quanto nel tono si avvertisse una traccia di divertimento. «Speravi forse in una missione cavalleresca? Un compito apparentemente impossibile da portare a compimento per poi vantartene con la tua regina? Vorresti poterle dire che per amor suo hai trovato e ucciso un drago?». «Un drago?». Seth soppesò con cura le parole. «No, non sono pronto a tanto. Solo non credo che Aislinn sarebbe molto contenta di sapere che vi ho baciata, e le creature fatate in genere non sono particolarmente disposte a rivelare i pro e contro di una proposta». «Già, proprio così, non è vero?». Lasair si accomodò su un elegante sedile di argento battuto, un intreccio di fili che sembravano non avere inizio né fine come un nodo celtico, apparso nel momento stesso in cui lei si era accinta a sedervisi. «Allora c’è un altro modo?», insistette Seth. Lasair gli rivolse un sorriso da stregatto e per un istante Seth si aspettò di vedere sparire tutto il resto. Invece lei trasse dalla manica un ventaglio e prese a sventolarlo: un gesto contegnoso in contrasto con l’ovvio divertimento che provava. «Nessun altro che io sia propensa a considerare. Un bacio per la tua nuova sovrana. In fondo è giusto che io ti chieda qualcosa che non sei particolarmente incline a darmi». «Non sono sicuro che “giusto” sia il termine corretto in questo caso». Il ventaglio si fermò mentre Lasair esclamava: «Vuoi forse contestare le mie parole?». «No». Seth era sicuro che Lasair era incuriosita, più che irritata, perciò non arretrò. «Solo precisare. Contestare implicherebbe collera, o paura». Lasair accavallò i piedi, aggiustando i panneggi dell’abito d’antica foggia e rivelando ancora una volta i filamenti argentei che le avvolgevano le caviglie. «Mi diverti». «Perché un bacio?». Una scintilla di qualcosa di pericoloso s’insinuò nella voce della sovrana dell’Alta Corte mentre replicava: «Pensi che le dispiacerebbe tanto? Alla tua Regina dell’Estate?».

«Non ne sarebbe certo felice». «E questa è una ragione sufficiente perché tu non debba concedermelo?». «Sì». Prese a giocherellare con il piercing che aveva sul labbro sperando che, per quanto non fosse esattamente quello che desiderava sentirsi dire, Lasair trovasse interessante l’idea di non compiacere Aislinn. Questa storia di non mentire alle creature fatate non è una buona idea. A Seth non sarebbe dispiaciuto essere un po’ meno onesto in quel momento. Se lei potesse, mi mentirebbe. Lasair disse con un filo di voce: «Le cose più semplici sono a volte le più ardue». Poi gli porse una mano e Seth all’improvviso desiderò poter rifiutare quell’invito. Malgrado vivesse circondato da creature fatate da mesi, quelle dita innaturalmente lunghe e sottili lo fecero rabbrividire. Quella mano tanto delicata è in grado di stritolarmi. «E questo bacio mi renderà come voi? Diventerò una creatura fatata?». «Sì, purché tu mi offra un mese di fedeltà nel mio regno ogni anno». La mano, tanto gracile, era ancora protesa, senza un tremito. «Periodo nel quale tornerai a essere mortale». Le sue gambe non si volevano muovere, benché la mente gli dicesse che a quel punto poteva solo avanzare o indietreggiare, non aveva altra scelta. «Un bacio per l’eternità con Ash». A quelle parole l’imperturbabilità di Lasair venne per un istante a mancare. «Oh, no, non posso garantirti questo. Un bacio in cambio della longevità delle creature fatate. Dovrai obbedire alle nostre leggi: non sarai in grado di mentire, la tua parola avrà il valore di un giuramento. Ti potrai avvalere di incantesimi e sarai uno di noi in quasi ogni cosa, per quanto il ferro e l’acciaio non saranno un pericolo per te perché conserverai una traccia di mortalità. Per quel che riguarda la tua regina, le creature della Corte dell’Estate sono troppo frivole, troppo volubili e incostanti dal punto di vista emotivo: non posso prometterti l’eternità con lei». Mosse le dita per chiamarlo a sé. «Avvicinati adesso. Se accetti di stringere il patto che mi hai chiesto…». Seth fece un passo verso di lei. «E io rimarrò la stessa persona? Sia quando sono là sia quando sono qui? E non sarò vostro suddito quando sarò là?». «Esattamente», affermò la regina Suprema. «Fa bene attenzione alle tue parole ora, Seth Morgan, e decidi. Questa offerta non varrà più, se oggi mi giri le spalle». Sto dimenticando qualcosa? Aveva letto di sin troppe alleanze con le creature fatate per non sapere che sembrano sempre più allettanti di quanto non si rivelino poi. Da che mondo era mondo i mortali stringevano intese con il popolo fatato finendo sempre per cadere in qualche trabocchetto. Seth aveva seguito con attenzione i giochi di potere in cui Aislinn cercava di imparare a districarsi, aveva preso in prestito diversi volumi da Donia, aveva parlato con Niall. La precisione era l’unica cosa che poteva salvarlo. Un mese all’anno, un bacio e l’eternità al fianco di Ash. Non riusciva a trovare nessun lato negativo. A meno che… «I mesi che vi devo sono tutti in fila?». Il sorriso che gli rivolse Lasair a quel punto fu mozzafiato. E Seth ebbe infine davanti la sovrana fatata che si aspettava di incontrare: quel barlume di emozione rese la perfezione della Regina Suprema meno rigida e nel suo volto apparve lo stesso fascino tentatore, incantevole e pericoloso che illuminava quelli di Aislinn e di Donia. «No. Un mese con me e poi ritorni nel mondo mortale per trascorrervi undici mesi». Lasair si ammantò di un incantesimo che la fece apparire agli occhi di Seth la personificazione di ogni sogno che avesse mai avuto: perfetta e inarrivabile, degna della sua adorazione assoluta. «Per

quanto tu possa sempre chiedermi di rimanere anche gli altri undici mesi». Seth si portò una mano all’amuleto che gli aveva dato Niall. Lo strinse finché la pietra levigata non gli si conficcò nella pelle. In quel momento non serviva a nulla. «Non c’è da sperarci». «Accetti la mia offerta, Seth Morgan?». Seth scrollò il capo come se volesse liberarsi dalle ragnatele che aveva la sensazione gli stessero intasando la mente. «Sì». «Sta a te la scelta. Vieni a me, se accetti. Decidi dunque di accettare il patto che ti propongo, Seth Morgan?». Seth le si avvicinò, lasciandosi attirare da filamenti invisibili, impalpabili fibre che lo avvolsero legandolo a lei, per assicurargli un posto in un mondo di purezza e proteggerlo dalla sua mortalità una volta che sarebbe uscito dal regno fatato. Lei è il regno fatato. Lei è ogni cosa. «Sì, accetto», ripeté. «Essere suddito di una regina fatata significa donarle ogni respiro. Senza esitazione alcuna mi offri la tua fedeltà e la tua presenza nel regno fatato per un mese all’anno finché avrai vita?». Si era inginocchiato ai suoi piedi, sfiorandole la mano perfetta. Le vide scintillare negli occhi schegge di luna che l’avrebbero distrutto se avesse commesso errori. Lasciò andare l’amuleto per prenderle la mano. Mia regina. «Mi darai la vita se te lo chiederò? Scegli di accettare ciò che ti offro, Seth?». Fu scosso da un tremito. «Sì. Sì, accetto». «E allora dammi il mio bacio, mortale».

Lasair attese. Il mortale della Regina dell’Estate s’inginocchiò ai suoi piedi, prendendole la mano, incapace di penetrare del tutto il velo dell’incantesimo che ancora l’avvolgeva, malgrado il suo amuleto e la gentilezza con cui lei gli aveva parlato. Aveva tenuto sotto controllo il proprio fascino, ma quel mortale era destinato a essere suo. L’aveva visto sin dal primo momento in cui le si era presentato davanti, chiedendole audacemente il dono dell’immortalità. Lo vedeva anche ora, se volgeva lo sguardo al futuro. Seth Morgan apparteneva a lei, alla sua corte, al regno fatato. Era un tassello importante nell’ordine delle cose e per questo non doveva diventare un semplice essere fatato, bensì una creatura di rara forza. Mentre Seth temporeggiava, Lasair si chiese se avesse preso una saggia decisione. Gli stava offrendo una parte di sé, della propria natura. Non era necessario che lui lo sapesse, né che fosse consapevole di quanto era raro ottenere tanto. Un simile dono non era certo qualcosa che la Regina dell’Alta Corte concedeva spesso. I mortali diventavano esseri fatati solo legandosi alla creatura che avrebbe condiviso con loro la propria essenza. E ciò era possibile in due modi, come pegno d’amore o creando un vincolo di schiavitù. Se quel giovane fosse venuto a lei per puro egoismo, Lasair gli avrebbe offerto condizioni ben poco generose. Se avesse invece dimostrato altruismo, lei gli avrebbe risposto con magnanimità. «Un bacio porterà a compimento il nostro patto, ti scioglierà dai tuoi vincoli mortali…». Lasair non permise alla propria voce di rivelare la speranza che vi si nascondeva. Desiderava che Seth si dimostrasse degno di quanto gli stava offrendo, come lei credeva. Ma poteva ancora rinunciare, poteva ancora abbandonarla.

«Non so…», sussurrò. «Aislinn dovrebbe essere l’unica a ricevere i miei baci». «Decidi, Seth», replicò Lasair tenendo a freno il proprio fascino. «Se vuoi concludere il nostro patto, devi darmi il mio bacio». «Un bacio». Non aveva parlato con voce impastata o confusa, solo più lenta. Lasair non poteva tendersi verso di lui. Non poteva privarlo della sua volontà, della sua libera scelta. «Porta a compimento il patto o rifiuta l’offerta». Seth guardava nel vuoto, gli batteva il cuore. Poi inarcò il sopracciglio decorato con un ornamento di metallo e lei vide scintillare nei suoi occhi qualcosa di inatteso. «Sì, mia regina». Fissandola, le girò la mano e le baciò delicatamente il palmo. Per un istante Lasair non reagì. Ardito. I mortali tanto potenti da resistere alla seduzione della Regina Immutabile erano rari e preziosi. Bananach aveva ragione. Le sue visioni erano giuste. Quell’umano era speciale. Si sono combattute guerre per molto meno. Lo aiutò a sollevarsi in piedi, tenendogli la mano mentre lui barcollava sotto la sferzata della prima onda di cambiamento. «Il nostro patto è concluso». Lui si scostò. «Bene». Aveva pensato di concedergli l’ebbrezza di un bacio affinché con il suo potere narcotico potesse attenuare l’impatto della metamorfosi. Non è giusto che soffra per la sua astuzia. È lecito dimostrare gentilezza nei confronti dei propri sudditi. Quando Keenan aveva trasformato le sue ragazze, loro avevano avuto un anno intero per adattarsi alla natura fatata. Seth aveva solo un mese, e nel regno fatato. All’inizio sarebbe stata dura. Non desiderava che i suoi sudditi fossero vittima di inutili crudeltà. Sarebbe stato irrazionale. «Dammi il tuo amuleto». Era la sua signora ormai: Seth obbedì. Poi con un incantesimo gli apparve sotto le spoglie dell’altra regina. «Seth? Vieni». «Ash?». La guardò confuso. Gli offrì entrambe le mani. «Lascia che ti aiuti». «Non mi sento bene, Ash. Ho la nausea», farfugliò, ondeggiando lievemente mentre cercava di guardarsi attorno. «Da dove arrivi? Mi sei mancata». «Sono sempre stata qui», gli disse Lasair. Poche risposte sono state più sincere, più vere. «Mi devo mettere seduto». Allungò una mano per appoggiarsi a una parete che non c’era. Lasair gli accarezzò il viso. «I mortali non dovrebbero gironzolare nel nostro mondo. A volte attirano l’attenzione delle creature sbagliate…». «È solo per la tua attenzione che ho fatto tutto questo…». Chinò la fronte contro la sua per un attimo e poi si scostò con aria sconcertata. «Non sei mai stata così alta». «Sssh». Lo baciò mentre la sua mortalità veniva spazzata via dalla nuova energia che gli scorreva nelle vene e ne calmò gli spasmi con il proprio respiro. Non poteva placare il dolore, ma almeno attenuarlo. Per quanto fosse in grado di riorganizzare il regno fatato in qualsiasi momento, non le era concesso cambiare ogni cosa. Nemmeno la Regina Suprema aveva potere sulla sofferenza, il piacere, la malattia, il desiderio. Lasair sperò che la Regina dell’Estate meritasse la passione e il sacrificio del suo ex mortale.

Perché ora è mio suddito. E come ogni buona sovrana, Lasair stava facendo quanto era meglio per lui.

Capitolo 23

Donia stava aspettando alla fontana di Willow Street. A quell’ora il sassofonista se n’era ormai andato da tempo e le schiere di bambini che giocavano nell’acqua erano già a letto, a dormire. Uno spirito dei biancospini, Matrice, era appollaiato su un albero poco lontano. Le sue candide ali lacere s’increspavano come ragnatele mentre scrutava il cielo dal suo ramo. Non era l’unico essere fatato nelle vicinanze. All’altra estremità del giardino si vedeva Sasha acquattato a terra con aria vigile. Alcune glaistig infine si aggiravano lungo il perimetro del piccolo parco. La Regina dell’Inverno voleva sapere cosa stava succedendo e, dei quattro esseri fatati a cui avrebbe potuto chiederlo, tre erano da escludere a priori: Lasair non poteva certo essere interrogata, Keenan si rifiutava di aprire bocca, Bananach era inaffidabile. Restava solo Niall. Dopo l’improvvisa scomparsa di Seth e le voci di una sua presenza nel regno fatato, Donia sospettava che si trovasse sul serio nei domini di Lasair, un luogo da cui i mortali, e non solo loro, raramente facevano ritorno. La sovrana dell’Alta Corte era inflessibile, tanto spietata a volte da far impallidire, al confronto, la Corte Oscura. O forse sono io che mi lascio soggiogare dalle mie paure… Il potere sempre più dirompente dell’estate la deprimeva. Non avrebbe dovuto uscire in una stagione tanto calda, ma invitare Niall a casa le sarebbe parso un tradimento verso Keenan. Anche dopo aver visto svanire, dopo così poco tempo, la prima vera possibilità di stare insieme, non riusciva a sopportare l’idea di ferirlo. Il Re del Buio arrivò solo, muovendosi con la fluida grazia delle ombre che si allungano furtive sulla terra. La sua andatura rivelava l’altera superbia del suo predecessore, con in mano una sigaretta accesa, un’abitudine accolta insieme al trono delle tenebre. Violenza e tentazione: era la personificazione dell’essenza della corte che un tempo aveva ripudiato. Quando viveva tra le creature dell’estate ne aveva recato una vaga traccia, e forse proprio per tale motivo Keenan l’aveva voluto accanto a sé, pensava Donia, ma non le aveva mai esibite con tanta disinvoltura. In silenzio, le si sedette accanto. «Perché Seth è nel regno fatato?», gli domandò senza tanti preamboli. «Perché è un idiota», rispose lui adombrandosi. «Voleva diventare una creatura fatata. È stata Bananach a condurlo da Lasair». «Credi che lo terrà con sé? Oppure lo rifiuterà…». Lo sguardo di Niall la fece ammutolire. «Credo che Lasair abbia il vizio di rapire i mortali dotati della seconda vista. Con ogni probabilità Seth è nei guai». «E Keenan?», non esitò ad affrontare l’argomento, anche se non era facile: le aveva appena ridato speranza dicendole che l’amava solo per dirle addio immediatamente dopo. Il solstizio era vicino e lei non sarebbe stata tra le sue braccia. Niall schiacciò la sigaretta sotto lo stivale prima di rispondere. «Seth è scomparso e la Corte dell’Estate non è riuscita a rintracciarlo. È impossibile che Keenan non sospetti dov’è… Aislinn gli

avrà di certo parlato del suo desiderio di trasformarsi in una creatura fatata». Distrattamente Donia si fece scendere sul palmo una manciata di fiocchi di neve e prese a modellarli secondo le fattezze dell’indolente kelpie solitario immerso nella fontana. Niall le rimase accanto immobile, avvolto dall’oscurità, in attesa che lei riprendesse la conversazione. Non si comportava con arroganza neanche ora che sedeva sul trono della corte più temuta, dopo quella di Donia. Dalla morte di Beira, tuttavia, le cose erano mutate. Il nuovo potere acquistato da Keenan le aveva cambiate ancor di più. E quando Irial aveva abbandonato la Corte Oscura, i vecchi equilibri erano definitivamente saltati. Ora non esisteva più nulla di certo. Donia, e non era la prima volta da quando aveva immaginato dove potesse essere Seth, si chiese se non fosse il caso di dirlo ad Aislinn. Se la Regina dell’Estate avesse saputo dove si trovava, sarebbe andata a riprenderselo provocando un conflitto che avrebbe ridotto la sua corte in ginocchio. E sarebbe stata furibonda con Keenan per averle taciuto la verità, altro motivo di debolezza per la Corte dell’Estate. Tuttavia non dirglielo le pareva crudele e avrebbe inevitabilmente creato una profonda scissione tra lei e Aislinn, che non l’avrebbe mai perdonata, come non avrebbe perdonato Niall, o chiunque altro, se avesse scoperto che erano al corrente di cos’era accaduto al suo adorato. Se poi Seth fosse rimasto ucciso nel regno fatato… le conseguenze del loro silenzio sarebbero state devastanti. «Dovremmo dirglielo?». Niall comprese subito a cosa si riferiva. «Non saprei. È sempre più legata a…». S’interruppe, rivolgendole uno sguardo carico di commiserazione. «Lo so». Niall accese un’altra sigaretta e un puntino rosso scintillò nella notte scura. «Se lo facciamo, la situazione precipiterà. Ash vorrà riprenderselo. Bananach mi dice che siamo a un soffio da un’esplosione di violenza». Donia cercò di disgiungere il suo desiderio che Seth tornasse dalla consapevolezza che, se Aislinn fosse venuta a conoscenza della verità, poteva scoppiare una guerra. Le conseguenze di un conflitto con Lasair erano insondabili, per quanto non sarebbe stato piacevole neanche quel che poteva accadere se Aislinn avesse scoperto che i sovrani dell’inverno e del buio le avevano tenuto nascosto dove si trovava Seth. O che Keenan sapeva ogni cosa. Niall sospirò. «Non lo so. Andrò da Lasair. Vedrò come se la passa e cercherò di riportarlo qui, se necessario. È comunque ora che vada a offrire i miei omaggi alla sovrana dell’Alta Corte…». Donia schiacciò la sua scultura e la neve si sciolse non appena toccò il suolo. «Non siamo suoi sudditi». «Lasair non è come noi, Donia. Non possiede la nostra capacità di cambiare. È l’essenza stessa del regno fatato». Distese le gambe davanti a sé, accavallando i piedi. «Se è vero quel che si racconta, è la più antica creatura fatata che sia mai esistita. Se venisse in questo mondo, saremmo tutti suoi sudditi. E altrettanto se noi tornassimo nel regno fatato. Porgerle i nostri rispetti è il minimo che possiamo fare». «Ho letto i suoi libri, Niall. Non sono tanto sicura che saremmo proprio tutti suoi sudditi se tornassimo nel regno fatato. La tua corte è sempre stata sua rivale». «Tanti secoli fa, Don». Le ragazze delle ombre presero a danzargli accanto gioiosamente, malgrado la modestia della replica di Niall, intrecciando piroette nell’alone di fumo della sua sigaretta. «Al momento la tua corte è più forte. La mia non sarebbe in grado di opporsi alla Regina Suprema».

«Non so. Sospetto che tu sia più potente di quanto non desideri ammettere». Le labbra di Niall tradirono un sorriso e malgrado il loro passato conflittuale, quando lui era al fianco di Keenan e lei ne contrastava gli sforzi, Donia sentì allentarsi ogni residuo di tensione che aveva provato sino a quel momento. Niall sembrava felice. Per secoli, molto prima che lei venisse alla luce, aveva sopportato i soprusi di Irial, dei segugi di Gabriel, di Keenan. Era piacevole vederlo spensierato per una volta. «Mi lusinghi», disse Niall. «Se Lasair portasse qui la sua corte, tutto quello che sappiamo avrebbe ben poca importanza. Ricrea il mondo con la stessa facilità con cui noi respiriamo. Molto molto tempo fa, quando Miach era il mio sovrano, ho vissuto presso l’Alta Corte, al suo fianco, ma quando è nato Keenan…», Niall scrollò le spalle come se fosse poca cosa, però dal tono reverenziale che aveva usato parlando della Regina Suprema era chiaro quanto Lasair avesse contato per lui, «sono stato richiamato al dovere. La Corte dell’Estate aveva bisogno di me. Io e Tavish abbiamo cercato di tenere la situazione sotto controllo finché Keenan non è stato abbastanza grande da abbandonare Beira. Lei gli permetteva di venire saltuariamente e… una corte ha bisogno di un sovrano, per quanto noi cercassimo di destreggiarci». Donia non disse nulla, pensando agli anni che Keenan aveva trascorso accanto a Beira, ai suoi sudditi senza un vero re, a Niall che cercava di governare una corte non sua. Non erano cose di cui parlare in quel momento, tuttavia. Indirizzò la conversazione verso l’argomento che più le premeva. «Da quanto tempo pensi che Seth sia con Lasair?». «Lui crede che sia passato solo qualche giorno, troppo poco perché possa essere stato colto dal panico… ma qua sono già diverse settimane. Ho fatto in modo di potermi recare da lui. Non voglio che gli succeda nulla, intendo proteggerlo». Donia annuì. «Bananach è venuta a farmi visita». Fino a un istante prima non sapeva ancora se parlargliene, ma farsi guidare dal proprio istinto è una dote fondamentale per un sovrano. E lei sentiva che Niall non era partecipe delle trame della donna corvo. «E?». «Mi ha mostrato il futuro». Donia si strinse le braccia al petto. «Credevo che avremmo avuto la possibilità di essere felici insieme, ma poi è successo questo. Mi ha mostrato… che non sono molto diversa da Beira». «È solo un futuro possibile», le rammentò Niall. «Se deve scoppiare la guerra, non voglio che sia per causa mia», sussurrò lei. Essere la Regina dell’Inverno non l’aveva liberata da dubbi e timori, sebbene lasciarsi trascinare da tanta incertezza poteva risultare devastante. Non sono Beira. Non sarò la causa di un ritorno alla crudeltà. In quel momento fu la voce di Niall a tingersi di crudeltà. «E per quale motivo pensi che io continui a evitare di scontrarmi con lui? Potrei schiacciarlo. Anche tu potresti. Eppure non lo facciamo. Io non voglio la pace, ma una guerra non è la soluzione migliore per la mia corte in questo momento. Altrimenti…». Quel tono spietato la fece rabbrividire. «E quindi permetti a Bananach di fare ciò che le aggrada?». «No. Faccio il possibile per evitare un conflitto. Perché mai credi che Irial mi abbia caricato di questo fardello…? Sto facendo la stessa cosa che ti prefiggi tu: trovare un equilibrio che non indebolisca la mia corte. A differenza di te, però, sarei felice di vedere Keenan in ginocchio. Non so perdonare come te, tuttavia la guerra non sarebbe un bene né per noi né per voi». «Quindi non diciamo ad Ash che Keenan sospetta, se non addirittura sa, dov’è Seth». A Donia non piaceva quella soluzione, ma la discordia, che sarebbe conseguita alla scoperta da parte

di Aislinn di essere stata ingannata da Keenan, avrebbe messo tutti in una posizione difficilmente sostenibile. E la collera del Re dell’Estate nei confronti di Donia o di Niall sarebbe stata pericolosa per la pace già fin troppo incerta che regnava tra loro. Niall annuì. «E tu dimenticatene». «Ci sto provando», sussurrò. Anche solo pronunciare quelle parole era una sofferenza. Essere stata tanto vicina all’amore che da una vita sognava, per poi perderlo, era ancora più straziante del dolore provato quando l’aveva temuto irraggiungibile. «Col tempo Aislinn lo accetterà. Col tempo, e qualche decisione giusta da parte nostra, forse riusciremo a evitare la guerra». «A lungo non ho desiderato altro: vedere Keenan accanto alla sua regina, felice, potente. Era l’unica cosa che avesse valore per me», disse Niall con uno sguardo colmo d’amarezza. Le sue ancelle delle ombre gli accarezzarono le spalle cercando di consolarlo. «Per me fu lo stesso». E Donia pensò, senza dirlo ad alta voce, che se lo augurava ancora, non tanto di vederlo al fianco di Aislinn, ma felice sì. Ancora. Malgrado tutto. Sperava solo che la felicità di Keenan non significasse una vita di sofferenza per lei. Rimasero tranquillamente in silenzio per qualche minuto, finché Donia non lo guardò e disse: «Preferirei sapere che Bananach ha le mani legate, ma se dovesse scoppiare una guerra, la Corte dell’Inverno sceglierà la strada sempre percorsa in passato». Niall si voltò verso di lei con una lentezza da creatura mortale. «Vale a dire?». «Vale a dire che la mia corte sarà alleata delle tenebre». Si alzò, lasciò che la neve che le aveva ammantato le gambe cadesse al suolo e attese che anche lui si alzasse. «Nel caso di un conflitto con la corte di Keenan oppure con l’Alta Corte. Ma io voglio la pace. Voglio… molte cose, ma alla fine sono costretta a fare ciò che è meglio per le mie creature». «Se scatenando una guerra ottenessi di fare soffrire solo lui», il sorriso di Niall in quel momento era letale, tanto da rendere difficile credere che non fosse il Re del Buio da sempre, «sarei fortemente tentato… ma lottare contro Lasair non è il caso, Donia». «Preferirei lottare contro la Regina Suprema piuttosto che contro Keenan», replicò lei posandogli una mano su una spalla. «Seth di tutto questo non ha colpa. Le permetteresti di farlo soffrire? Se fosse necessario combattere al fianco di Keenan per proteggere Seth, lo faresti?». «Sì, anche se preferirei piuttosto combattere contro di lui». «Per Seth lo faresti, però?». «È come un fratello», disse Niall. «Lasair non lo tratterrà contro la sua volontà». Donia fu colta da un capogiro. Quel caldo la stava spossando. «È giusto che tu vada nel regno fatato». «E se invece non fossimo chiamati a lottare contro Lasair, tu combatteresti contro Keenan?», le domandò. «Non ne sarei felice, ma se sarà necessario lo farò», gli rispose sostenendo il suo sguardo. «Tuttavia, qualsiasi cosa decidiamo di fare, la presenza di Seth presso l’Alta Corte complica ogni cosa». «Ed è precisamente per questo che Bananach ve l’ha condotto», mormorò Niall, prendendola sottobraccio e incamminandosi amichevolmente al suo fianco. Non era il momento di rimanere ancorati al passato, né alle cose a cui lei avrebbe dovuto dire addio già da anni ormai. Era tempo di prepararsi al futuro, per quanto carico di presagi funesti.

Capitolo 24

Aislinn si era fermata nervosamente davanti alla porta della sala da pranzo. Da diversi giorni cenava ogni sera con Keenan. A volte si univano a loro altre creature fatate, oppure un gruppetto di Ragazze dell’Estate, ma quella sera sarebbero stati soli. Scegliere la felicità era stata l’esortazione di Siobhan e Aislinn se lo ripeteva ogni volta, come un mantra. Per settimane non aveva cercato di fare altro, senza dimenticare Seth, ma neanche disperarsi. E non stava funzionando. Dopo un respiro profondo aprì la porta. Keenan la stava aspettando, come al solito. Aislinn sapeva che l’avrebbe trovato già lì. Fu sorpresa, comunque, dall’atmosfera creata da una miriade di candele accese sparse per tutta la stanza, lumini che baluginavano dentro le piccole nicchie nelle pareti e grossi ceri sfavillanti su colonnine d’argento e di bronzo. Sedette e si versò un bicchiere di vino dell’estate da un’antica caraffa che non aveva mai visto prima. Keenan non disse nulla mentre la guardava sorseggiare quella bevanda dorata. E Aislinn non ricambiò lo sguardo, osservando invece le candele che tremolavano nella brezza che entrava dalle finestre. Non voleva che ci fosse ragione di discordia tra loro, soprattutto adesso che lui era diventato la sua ancora di salvezza, tuttavia doveva sapere se le stava tenendo nascosto qualcosa. Così, infine, gli pose la domanda che aveva in mente dalla sera in cui aveva parlato con Siobhan. «Lo sapevi che Seth aveva un amuleto contro ogni tipo di incantesimo?». «Gliel’avevo visto». «Ah, glielo avevi visto», ripeté Aislinn. Quelle parole le morirono sulle labbra e tra loro calò il silenzio: sperava che Keenan dicesse qualcosa che rendesse meno bruciante il suo disappunto. «Immagino che glielo abbia dato Niall». Commentò lui, senza scusarsi. Aislinn strinse il bracciolo della sedia finché il legno non cominciò a scheggiarsi. «Non me ne hai parlato… Perché?». «Non amo dirti qualcosa che potrebbe allontanarti da me. Lo sai, Aislinn. Ho sempre desiderato che tu fossi solo mia. E l’hai sempre saputo». Le si avvicinò, fermandosi alle sue spalle. Aislinn lasciò andare il bracciolo. «Mi perdonerai? Perdonerai lui? E te stessa?». Ancora una volta le lacrime presero a rigarle le guance. «Preferisco non parlarne più». Keenan non le fece notare che aveva tirato fuori lei l’argomento, né che non parlarne non avrebbe risolto nulla, e neppure tentò di ribattere in alcun modo. Disse solo: «In questo momento desidero solo vederti sorridere». «Lo so». Prese il tovagliolo e vi osservò i soli ricamati che danzavano tra un intreccio di rami. «Col tempo andrà meglio». Da quando Seth se n’era andato, Keenan non aveva mai smesso

di essere al suo fianco, di consolarla. Lei annuì. «Lo so, ma è ancora molto dura. È come se avessi perso tutto. Dev’essere stato così anche per te ogni volta che le Ragazze dell’Estate si rifiutavano di affrontare la prova… e ogni Ragazza dell’Inverno finiva preda del gelo. Ogni volta è stato un fallimento per te». Keenan le rivolse uno sguardo circospetto. «Finché non sei arrivata tu». Un silenzio imbarazzato si insinuò tra loro finché lui non aggiunse con un sospiro: «Non è parlando di queste cose che riuscirai a sorridere, Aislinn». «Vedi, non è… il romanticismo che mi manca… voglio dire, be’, anche quello». S’interruppe cercando di trovare il modo di spiegare a una creatura fatata, la quale non aveva nessun vero amico al mondo malgrado tutti i secoli che aveva alle spalle, cosa significasse per lei Seth. «Soprattutto, Seth era il mio migliore amico. È stato l’unico a cui ho raccontato ciò che stava succedendo quando tu e Donia avete… cominciato a seguirmi». Keenan attese che continuasse. «Un amico non se ne va in questo modo, senza dire nulla», disse Aislinn. Adesso che le parole avevano preso ad affiorare, lasciò che la sollevassero del peso di tutto quello che si era tenuta dentro sino a quel momento. «Non ho bisogno di un ragazzo, di un compagno, di un partner. Ho bisogno dei miei amici. Leslie se n’è andata. Non ho nessuno con cui poter parlare della mia vita. Donia mi ha pugnalato… non eravamo molto legate, ma credevo che lo stessimo diventando. E adesso la persona più cara che avevo mi ha abbandonato». «E tu ti senti sola», disse Keenan avvicinandosi, ma non tanto da metterla a disagio. «E allora permettimi di esserti amico. È questo che mi hai proposto quando sei diventata la mia regina. L’arrivo dell’estate ha confuso le cose, ma io… ho bisogno che tu sia felice, Aislinn». Lei annuì e disse quello che non avrebbe mai voluto dover dire: «Sono già passate diverse settimane senza che Seth si sia fatto sentire. Non so se tornerà, ma non ce la faccio a dimenticarlo». «Permettimi di diventare tuo amico, Aislinn. È l’unica cosa che ti chiedo oggi. Se poi dovesse succedere anche qualcos’altro, si vedrà. Per il momento nessuna decisione, solo una porta aperta». Spalancò le braccia. «Adesso dammi solo la possibilità di starti vicino. Dobbiamo cercare di andare avanti, non è più possibile continuare a piangere e aspettare». Aislinn si lasciò abbracciare e quando lui prese ad accarezzarle i capelli le sfuggì un sospiro in cui il piacere si mescolava al rimorso. Sentì i raggi di sole scivolare su di lei finché non fu sopraffatta da un languore e un senso di pace che quasi non ricordava più. «Andrà tutto a posto. In un modo o nell’altro, andrà tutto a posto», le promise Keenan. Non sapeva se fosse la verità, ma cercò lo stesso di credervi. La felicità è una scelta.

Capitolo 25

Passò un altro mese senza una parola. L’estate era al suo culmine, la cerimonia del diploma ormai passata da tempo, come Aislinn scoprì un pomeriggio trovando il certificato tra la posta. «Mi dispiace», disse alla nonna. «Forse tu volevi…». «Non ti preoccupare, tesoro», le rispose con un cenno perché si sedesse sul divano accanto a lei. Aislinn si avvicinò: ogni passo le costava fatica. «Io ce la metto tutta, ma certi giorni mi sembra che il sole mi soffochi e… di Seth non ho ancora avuto notizie». «Pian piano le cose andranno meglio. Non posso dirti che ti capisco, ma», disse prendendole la mano, «sei più forte di quanto tu creda. Non dimenticarlo mai». Aislinn non ne era tanto convinta. Le sembrava di scoppiare: la terra non solo si stava stiracchiando dopo il lungo sonno cui l’aveva costretta Beira seppellendola sotto una pesante coltre di ghiacci, ma sembrava voler sfogare decenni di energia repressa facendola fluire attraverso di lei. Ogni nuova alba la vedeva più legata all’altra metà di quel fuoco: il suo re, suo amico-non-amante. Sapeva che non era giusto voler essere a conoscenza di ogni minimo movimento di Keenan: pur non essendone innamorata, lo desiderava, e la cosa la metteva in grande imbarazzo. Con Seth Aislinn aveva provato amicizia, amore, fiducia. Con Keenan c’era l’amicizia e in parte anche la fiducia, ma non c’era vero amore. Mancava qualcosa. La nonna le era seduta accanto, in silenzio. L’unico suono era quello dell’orologio a cucù. Tuttavia, invece di un senso di pace, Aislinn provava il desiderio di fuggire. Ma non c’era posto al mondo in cui sarebbe fuggita all’energia che sembrava soffocarla. Solo accanto a Keenan sto meglio. La nonna spezzò il silenzio. «Se Seth non riesce a venire a patti con ciò che sei, è lui che ci perde». «No, sono io che mi sento perduta», mormorò Aislinn. «Senza di lui mi sembra di non avere più nulla». «Però…». «Se n’è andato da due mesi e Keenan…». «È un ipocrita, Ash», esclamò la nonna cercando di controllare lo sdegno. «A volte. Non sempre». «È un bastardo intrigante, ma sarà nella tua vita per sempre…», sospirò la nonna. «Cerca solo di fare attenzione a non lasciarlo avvicinare troppo. O troppo in fretta. Non farti influenzare dal vortice dell’estate o dal tuo dolore. Il sesso non è la stessa cosa dell’amore». «Io non…», balbettò Aislinn abbassando gli occhi. «Noi non… Io ho… solo con Seth».

«Non saresti la prima che finisce a letto con qualcuno solo perché si sente sola, tesoro. Però cerca di essere preparata alle conseguenze, se dovesse accadere». La nonna si alzò. «Dai, devi mangiare qualcosa. Non posso aiutarti, ma almeno posso offrirti qualcosa di buono». «E degli ottimi consigli». La nonna sorrise mentre si dirigeva in cucina. «Torta al cioccolato o gelato?». «Tutti e due».

Quella sera, qualche ora più tardi, mentre Aislinn guardava un film accoccolata accanto a Keenan, ripensò alle parole della nonna. Keenan non era un bastardo, non sempre, non con lei. Era spietato nel perseguimento del bene della sua corte, ma sapeva anche essere premuroso e gentile. L’aveva visto in compagnia delle Ragazze dell’Estate. Gli era affezionato. Ed era affezionato agli spiriti del sorbo, non solo perché suoi sudditi, bensì come individui. Era impulsivo e capriccioso, l’essenza dell’estate. Ma anche buono. Forse non sempre; tuttavia, considerato che si trattava di un sovrano del popolo fatato, era encomiabile. E per essere stato costretto a lottare sin dalla nascita per ottenere ciò che gli spettava di diritto, era sin troppo gentile. Ed è sempre al mio fianco. Posò la testa sulla sua spalla e cercò di seguire il film. Capitava spesso che stessero insieme a quell’ora, malgrado fosse notte fonda. Aislinn faceva fatica a dormire e, tranne le notti passate dalla nonna, ogni volta che si svegliava trovava Keenan in piedi. Si domandò se rimanesse comunque sveglio. Non glielo aveva mai chiesto. Aveva semplicemente cominciato a dormire sempre più spesso nel loft. La nonna non diceva nulla. Vedeva la sua irrequietezza, l’energia che la travolgeva con sempre maggiore violenza man mano che si avvicinava il solstizio, e la disperazione per la scomparsa di Seth. Devi stare dove sei più tranquilla, tesoro, erano state le sue uniche parole, e in questo momento non è accanto a me. Vai alla tua corte. Avere Keenan al suo fianco le dava uno strano senso di sollievo mescolato al desiderio di lui. Ma Keenan era stato di parola e aveva sempre tenuto le distanze, coprendola di premure senza essere troppo invadente. Gli unici momenti in cui si era lasciato andare a qualche gesto affettuoso erano avvenuti durante la visione notturna di un film, cosa che si era verificata una decina di volte. Non era un film d’azione né la solita commedia, bensì una storia romantica, Once (Una volta), un film indipendente su due suonatori di strada che s’innamorano perdutamente malgrado altri affetti complichino la relazione. La musica era perfetta, commovente e appassionata. E la storia la toccava da vicino ricordandole di non commettere errori che potevano creare danni irreparabili. Il desiderio non è abbastanza. Ma, mentre Keenan le accarezzava distrattamente i capelli, Aislinn si domandò se fosse proprio solo desiderio quello che li legava. A un certo punto, però, si doveva essere addormentata perché alzando gli occhi vide che il televisore era spento. Si accorse di avere la testa su un cuscino sulle gambe di Keenan, che le stava ancora accarezzando i capelli. «Avevi bisogno di dormire. Mi fa piacere che tu ti senta abbastanza a tuo agio accanto a me da addormentarti così». Aislinn arrossì e poi si sentì una sciocca per averlo fatto. Non era la prima volta che le capitava di dormire insieme a un amico. Aveva passato la notte da Carla e da Rianne e anche da Leslie prima che la sua vita cambiasse tanto. Svegliarsi accanto a Keenan – o meglio, vabbe’, con la testa sulle sue gambe – non era in fondo niente di speciale. Guardò fuori. Era l’alba. Era rimasto

lì con lei sul divano per ore per non svegliarla. Prima che lei potesse dire qualcosa, Keenan si alzò. «Va’ a cambiarti», le disse aiutandola a sollevarsi in piedi. «Perché?». «Andiamo a fare colazione fuori. Ti aspetto giù». E scomparve prima che lei potesse chiedergli nulla o trovasse le parole per ringraziarlo di averla fatta sentire tanto tranquilla da addormentarsi. Si accigliò mentre fissava la porta da cui era uscito. Le dispiaceva sentirlo tanto distante durante il giorno. Da un lato era felice che mantenesse la promessa di non essere più tanto insistente, dall’altra la faceva sentire in colpa. Una volta le aveva detto che avrebbe fatto propri i suoi desideri. Ed eccezion fatta per alcuni rari momenti in cui le aveva ricordato che lui voleva qualcosa di diverso, era stato di parola. Ancora una volta Aislinn si chiese se si sarebbe innamorata di lui se non ci fosse già stato Seth nella sua vita. Era così stanca di domande, di dubbi, di timori. Una buona notte di sonno era già qualcosa, continuare a rimuginare quelle cose che la tormentavano da mesi, no. Cercando di mettere da parte le sue ansie, andò in camera a prepararsi. Di sotto, Keenan la stava aspettando davanti alla Thunderbird. Non prendevano spesso la macchina, perciò la cosa la sorprese un po’. Lui le parve nervoso. Le disse: «Niente domande ancora». «Okay». Aislinn montò e osservò il cielo schiarirsi mentre uscivano di città dirigendosi verso i campi che le era capitato di visitare in occasione di qualche rara gita scolastica, o di ancor più rare escursioni fotografiche quando riusciva a convincere la nonna che avrebbe seguito alla lettera tutte le regole per evitare di attirare l’attenzione delle creature fatate. A quel tempo, permettersi di trascorrere qualche ora in mezzo alla natura, dove non poteva contare sulla protezione del ferro e dell’acciaio, non era facile. Adesso non c’era più alcun pericolo. Le tante creature fatate che poteva incontrare nei campi e nei boschi non costituivano più una minaccia per lei. Keenan svoltò in un piazzale cosparso di ghiaia. Un vecchio cartello di legno dipinto a mano e mezzo sbiadito li informava che erano arrivati al «FRUTTETO DI PEG & JOHN». Al di là del grande parcheggio quasi del tutto deserto iniziavano lunghi filari di meli: una distesa di rami, foglie e frutti a perdita d’occhio. Aislinn non aveva mai visto tanti alberi così rigogliosi. Anche da lontano vedeva i rami stracarichi. Fece per scendere e vide che Keenan la aspettava già accanto alla portiera. «È questo il frutteto che…». Non era sicura di come concludere la frase. Keenan, invece, non esitò, mettendola di fronte all’importanza di quel momento. «Ci ho già portato un’altra», disse prendendole le mani, «ma tu sei la sola che sappia quanto conta questo posto per me. Ho pensato che potevamo fare colazione qui». «Ti va se facciamo due passi prima? Per dare un’occhiata». Era intimidita: Keenan non le stava offrendo una cosa da poco, anche se tra loro, doveva ammettere, non c’era mai stato nulla di scontato. Però quello era un suo spazio e condurla lì era un gesto importante. Lui le lasciò andare le mani e recuperò una sacca termica dalla macchina. Poi, riprendendola per mano, la condusse verso il frutteto. La ghiaia scoppiettava sotto i loro passi, nel silenzio. In fondo al parcheggio c’era un piccolo prato. Una ragazza dai capelli scuri con un paio di occhiali da sole in testa era seduta a un tavolino su cui erano posati diversi canestri accanto a un vecchio registratore di cassa. Guardò Keenan con aria diffidente. «Come mai di ritorno così presto?».

«Volevo portare la mia amica in un posto speciale». Con aria scettica gli fece cenno di prendere un cestino. «Prego». Il sorriso sfavillante di Keenan non dissipò la sua occhiata sdegnosa. L’istintiva sfiducia di quella ragazza piacque ad Aislinn: solo perché si ha davanti un bel viso non si deve credere di avere a che fare con una persona inoffensiva, e Keenan, per quanto gentile, sapeva essere spietato. Aislinn gli lasciò andare la mano e prese un cestino. «Andiamo». La condusse tra gli alberi, sotto i rami carichi di frutti, lontano da tutti. Mi manca solo una mantellina rossa. Per un attimo Aislinn fu assalita da un infantile terrore al pensiero di avventurarsi in un luogo popolato di creature pericolose, come le aveva insegnato la nonna: Cappuccetto Rosso era finita nei guai perché si era allontanata dalla protezione dell’acciaio. Siamo amici. Aislinn scacciò quell’angoscia assurda per mettersi a contemplare quella profusione di mele. Con disinvoltura, come se non fosse affatto insolito per lui, Keenan la prese di nuovo per mano. Senza dire nulla passeggiarono tra gli alberi di cui Keenan si era preso cura al tempo in cui l’inverno aveva serrato la terra nella morsa del gelo. Infine si fermarono in una piccola radura. Lui posò la sacca e la lasciò andare. «Eccoci». Aislinn sedette sotto un albero e guardò Keenan. Lui le sedette accanto, tanto vicino da provare la tentazione di toccarlo. Malgrado l’aria mite, Aislinn ebbe un brivido. Quando le aveva lasciato la mano, era venuto meno il continuo scambio di energia tra i loro corpi. «Per anni mi sono rifugiato qui quando avevo bisogno di un posto dove poter essere solo». Un’espressione smarrita apparve sul suo viso per un attimo, i suoi occhi si oscurarono di nuvole. «Ricordo quando erano solo dei giovani alberelli: i mortali facevano di tutto per farli crescere». «E tu li hai aiutati». Keenan annuì. «A volte, bastano un po’ di cure e di tempo per far crescere qualcosa». Aislinn non replicò e lui aggiunse: «Stavo pensando alla scorsa notte. A come stanno andando le cose tra noi. A quello che hai detto… quando ti ho baciata». Immediatamente lei s’irrigidì, tesa. «Hai detto che volevi che io fossi onesto con te. E se siamo davvero amici, è necessaria un’assoluta sincerità tra noi». Accarezzò l’erba che cresceva tra loro e dalla terra spuntarono minuscole violette selvatiche. «Sono qua. Puoi chiedermi qualsiasi cosa». «Qualsiasi cosa?». Aislinn strappò un paio di fili d’erba, felice di sentirli tanto robusti. Il terreno era ricco, le piante forti e vigorose. Aislinn sentiva l’intrico di radici sottostanti mentre pensava a cosa le stava offrendo Keenan. Non c’erano molte cose che desiderasse sapere, se non… «Parlami di Moira. Tu e la nonna siete gli unici che potete dirmi qualcosa di lei». «Era molto bella, e io non le sono mai piaciuto. Le altre, quasi tutte…», sorrise, «con pochissime eccezioni, sono sempre state accondiscendenti, felici di innamorarsi. Lei no». Si strinse nelle spalle. «Sono state tutte importanti per me. Lo sono ancora». «Però?». «Dovevo diventare ciò che loro desideravano per farle innamorare. A volte significava adottare le mode del tempo, i balli, le poesie, gli origami… scoprire cosa le appassionava e imparare». «Non potevi essere semplicemente te stesso?». «A volte ci ho provato. Con Don…». Si arrestò bruscamente. «Lei era diversa, ma stavamo

parlando di tua madre. Moira era intelligente. Adesso so che lei sapeva che genere di creatura io fossi, ma allora ne ero all’oscuro». «Ma tu… voglio dire, so che hai… insomma…». Le sue guance si fecero più rosse di una mela. Chiedere a Keenan, suo amico, suo re, forse suo qualcosa-di-più se avesse fatto l’amore con sua madre era estremamente imbarazzante. «No, non ho fatto l’amore con nessuna delle Ragazze dell’Estate quando erano umane», disse distogliendo lo sguardo, chiaramente in imbarazzo quanto lei. «Non ho mai fatto l’amore con una mortale. Ne ho baciata qualcuna, ma non lei, non Moira. Sin dall’inizio mi ha trattato con disprezzo. Né fascino, né regali, né parole, nulla ha funzionato». «Capisco». «Era un po’ come te, Aislinn: forte, intelligente. Spaventata». Si adombrò al ricordo. «Non comprendevo perché, ma mi guardava come se fossi un mostro. Così quando è fuggita, non l’ho inseguita. Sapevo che sarebbe dovuta tornare una volta diventata una Ragazza dell’Estate, ma sapevo che non avrebbe mai accettato di affrontare la prova, così l’ho lasciata andare». «E poi? Hai aspettato?». «Non potevo fare altro, ormai era stata scelta», disse con aria triste. «Capivo che era speciale. Come te. Quando ho scoperto che eri tu la mia regina, mi sono chiesto se non sarebbe stata lei se…». «Anch’io me lo sono domandata». Aislinn si accorse che stavano sussurrando, eppure non avevano visto creature fatate vicino alla loro radura. «O se sono così perché lei stava trasformandosi quando io sono nata». «Se mi fossi comportato in modo diverso, se l’avessi ricondotta a me, quante cose sarebbe state differenti? Se avessi saputo che era incinta, ti avrei allevata alla Corte dell’Estate. E tu non avresti opposto resistenza se fossi cresciuta con noi. Non avresti avuto legami con i mortali». Aislinn sapeva a quale legame si riferiva Keenan in quel momento, ma neanche per un attimo dubitò che la sua esistenza avrebbe potuto essere migliore senza la sua vita umana. Amare Seth era stata la cosa più bella che avesse mai avuto e l’unico vero amore della sua vita. Non poteva desiderare di cancellarlo dal proprio passato nonostante il dolore che in quel momento gliene derivava. Ma dirlo all’essere fatato a cui era legata per l’eternità non era forse la cosa migliore da fare. «È stato meglio così». «L’anno che Moira è scomparsa, quando era incinta di te, ho trascorso tutto il tempo che all’improvviso avevo a mia disposizione per convincere Don a perdonarmi», confessò Keenan con aria malinconica. «A volte si degnava di trascorrere qualche serata con me. Siamo persino andati a un ballo e…». «Il tempo aiuta?». La guardò. «Cosa?». «Ad accettare di avere perso chi si ama». «No», rispose lui abbassando lo sguardo. «Ho continuato a pensare che a un certo momento i suoi rifiuti avrebbero smesso di ferirmi, ma la sofferenza più grande non mi è stata data da un rifiuto. Credevo che avremmo avuto qualche anno tutto per noi, invece adesso… Seth se n’è andato, Ash, e io non posso lasciarti sola. Sei la mia regina. Sono inevitabilmente attratto da te. Se potessi lasciarti libera e fare di lei la mia regina, lo farei, ma non posso. E se c’è una possibilità aperta per noi due, io sarò sempre accanto a te». «E Donia…».

«Non parliamone. Per favore…». La guardò negli occhi e aggiunse: «Ho bisogno di tempo». «E io e te cerchiamo di essere felici con quello che abbiamo», concluse Aislinn. Non provava per lui l’amore che la legava a Seth, ma c’era amicizia. E desiderio. Poteva convincere se stessa che sarebbe stato sufficiente. Se quello doveva essere il suo futuro, poteva riuscirci. Amare qualcuno significava soffrire, scegliere la passione con un amico era più sicuro. Forse era un comportamento interessato e calcolatore, per proteggere il proprio cuore, ma non la spingeva solo l’egoismo, perché insieme avrebbero rafforzato la loro corte. Sembrava la scelta più ragionevole sotto ogni aspetto. Non voleva più amare nessun altro, anche se non era una cosa che poteva confessare a Keenan. Come si fa a dire a qualcuno che non lo si vuole amare anche se si deve vivere insieme a lui per secoli e secoli? Lui non se lo meritava. Rimasero lì seduti a parlare del popolo fatato, della loro vita, di tutto insomma. Finché Keenan non esclamò: «Non ti muovere». E scomparve. Aislinn si appoggiò all’albero, provando per una volta un senso di contentezza, di pace. Lo vide tornare con alcune mele appena colte. «L’altro giorno erano quasi mature. Lo sapevo che oggi sarebbero state perfette». Le si inginocchiò accanto e le porse una mela, per un morso. «Assaggiala». Lei esitò un istante. Poi la addentò: era dolce e succosa. Era merito suo, lui aveva reso quegli alberi robusti quando il mondo era intrappolato nella morsa del gelo. Alcune gocce di succo le scivolarono sul mento e lei scoppiò a ridere. «Una meraviglia». Lui le asciugò il mento con un dito e se lo portò alle labbra. «Potrebbe davvero esserlo». No. Non poteva. Non era sufficiente. Keenan non è Seth. Si ritrasse, cercando di non vedere quanto quel gesto lo ferisse.

Capitolo 26

Niall, avvolto in un alone di ombre simili a nastri di tenebre che si diramavano da una stella nera, fissava la Regina Suprema accigliato. Era immobile, ma i pugni serrati rendevano evidente la collera. «Hai commesso un errore, Lasair». Lentamente, molto più lentamente di quanto non facesse con qualsiasi altra creatura fatata, eccezion fatta per Bananach, Lasair attraversò la stanza, dirigendosi verso di lui e fermandosi soltanto quando l’orlo delle sue vestiti gli lambì gli stivali. «Non commetto errori. Prendo decisioni secondo ragione. E ho deciso di farlo mio». «Non ne avevi il diritto», rispose il Re del Buio. Le ancelle dell’abisso scomparirono vorticando tra le fiamme di un nero fuoco mentre lui afferrava Lasair per le braccia. «Può anche darsi che le altre corti ti permettano di sottrarre i loro mortali dotati della seconda vista senza opporre resistenza, ma io combatterò per lui. Non ti lascerò rapire nessun mezzosangue o mortale dotato della seconda vista sotto la mia protezione». «Sei venuto nel regno fatato a dirmi cosa sia giusto? Lo ritieni saggio?». Intorno a loro la stanza sparì e si ritrovarono in una vasta pianura. «Qui vale solo il mio volere». «Vuoi forse che ti rammenti chi un tempo godeva di egual potere nel regno fatato?», esclamò lui fissando un punto accanto a Lasair, la fronte corrugata dallo sforzo. Funzionò: il re delle ombre sorrise mentre uno specchio d’ossidiana, di tenebre solidificate, si sollevò dal terreno ai loro piedi. Non era granché, ma eccolo lì, davanti a loro. Il ritmo tentatore nelle parole di Niall rivelò il piacere che provava: «Non frequento spesso la tua corte, ma un tempo ti ho osservato con attenzione. E conosco segreti che non ho sinora mai rivelato». «Mi stai minacciando?». «Se è necessario», le rispose scrollando le spalle. «Posso portare qui la mia corte. Per riprendermelo. Il Re del Buio ha il diritto di governare al tuo fianco nel regno fatato». «Sarebbe una follia», a un suo respiro il mondo ancora una volta cambiò forma. «Posso schiacciarti se ti opponi a me. Non sei altro che un poppante». «Esistono persone per cui vale la pena di lottare». «Su questo in parte concordo con te. Seth vale grandi sforzi, ma combattere contro di me non è la soluzione giusta». Indicò il tempio austero che era apparso intorno a loro. Lo specchio d’ossidiana di Niall era circondato da pilastri decorati. Alle spalle di Lasair si ergeva un altare coperto dalle vittime di un’ecatombe. Lasair non dovette voltarsi per verificare. «È questo che vuoi offrire a Bananach? La tua sconsiderata accondiscendenza? Ti presenti al mio cospetto con insolenza. Perché mai credi che lei l’abbia condotto qui? Per sacrificarlo alle sue brame di violenza». «Seth non è una vittima sacrificale, non deve essere usato per scatenare una guerra, né per

evitarla». «Lo so», sussurrò Lasair, non per timore ma perché non dava mai voce a importanti verità con leggerezza. «Sarà al sicuro al mio fianco, come ti renderesti conto anche tu se fossi un po’ più lucido. Se Bananach, o chiunque altro, lo toccasse, sarebbe come se attaccasse me». A quelle parole Niall ebbe un attimo di esitazione e dal suo volto scomparve ogni espressione d’ira. «Ash… Aislinn non sa dove si trovi. Non ancora. Se scopre che l’hai rapito, si precipiterà qui». «Il suo re non glielo dirà». Lasair sapeva che Keenan, come tutte le creature fatate più astute, era al corrente di ogni cosa. «E io non ho il dovere, né l’interesse, di farlo. Né ce l’hai tu, altrimenti glielo avresti già detto». Gli offrì la mano. Lui con cavalleria se la posò su un braccio. «A che gioco stai giocando, Lasair?». «Lo stesso che ho fatto tutta la vita, Gancanagh». Per qualche istante il Re del Buio tacque, poi si girò verso di lei e disse: «Voglio vederlo. Voglio sentire che sta bene». «Come desideri. Sta riposando da diversi giorni ormai. Non appena lo riterrò in grado di vederti, potrai incontrarlo, non prima. È mio dovere proteggerlo». «Cos’hai fatto?». «Quanto necessario, Niall. Com’è mia abitudine», gli rispose. Le loro corti potevano anche essere rivali, ma questo non significava che i due sovrani fossero nemici. Era solo una questione di equilibrio. Come per ogni altra cosa. In qualche occasione Lasair aveva persino fatto pendere la bilancia in modo tale che le creature del buio ottenessero il proprio nutrimento, senza eccedere, a sufficienza perché potessero assolvere alla loro funzione. La loro esistenza era necessaria al regno fatato e, anche se non erano sudditi di Lasair finché vivevano nel regno mortale, lei rimaneva Regina Immutabile e Suprema del popolo fatato. «Ti ha offerto il suo giuramento di fedeltà liberamente?». C’era una tale speranza nella voce di Niall che fu quasi tentata di mentirgli. «Sì. Io non induco in tentazione, o in errore, a differenza di quanto fai tu». «Non ho mai cercato di indurti in tentazione, Lasair, anche quando ho creduto che avresti potuto essere la soluzione che cercavo». «Un vero peccato», mormorò lei mentre si allontanava, lasciando che Niall si recasse nelle sue stanze. Era un abile sovrano e avrebbe potuto riportare le tenebre al loro antico potere, ma non costituiva una minaccia per l’Alta Corte, non ancora. E quella non era una visita del Re del Buio. Niall era lì in qualità di amico di Seth, il che significava che non avrebbe recato offesa all’Alta Corte né alla benevolenza della sovrana.

Quando Seth, svegliandosi, vide la sua regina, la prima reazione fu di gratitudine: l’aveva salvato dal suo destino mortale, offrendogli un dono inenarrabile. Non avrebbe mai potuto fare abbastanza per ricompensarla. Lasair gli dava le spalle, guardava in giardino, stiracchiandosi. Si sarebbe detto che non avesse dormito bene. Assurdo. La Regina Suprema non aveva ragione di rimanergli accanto in una posizione scomoda, pensò Seth mentre fissava la sedia verde pallido vicina alla finestra. Lasair non si voltò. Aprì invece le finestre e sporse una mano per cogliere alcuni boccioli. «Sei rimasto incosciente per sei giorni», disse. «Il tuo corpo doveva accogliere i cambiamenti che

gli sono stati imposti. È stato meglio così». Seth si stiracchiò. Si sentiva uno straccio, quasi come quando si era ritrovato in ospedale dopo essere stato in fin di vita a causa delle lesioni infertigli dalla Regina dell’Inverno. Era debole e indolenzito e soprattutto sorpreso di avere dormito, o essere rimasto privo di sensi, per tanto tempo. «Ma adesso non sono più un semplice mortale?». Lasair sorrise. «Non sei mai stato un semplice mortale, Seth. Un’anomalia, piuttosto». Lui inarcò un sopracciglio, rendendosi improvvisamente conto di un mal di testa lancinante che si faceva ogni secondo più violento. «Ero un umano». «Sì, ma hai sempre avuto un ruolo e un’importanza che non puoi comprendere». «Sarebbe a dire?». La Regina Suprema gli si avvicinò porgendogli un panno dal catino vicino al letto. Per un attimo parve essere sul punto di passarglielo sul viso, ma poi si trattenne. «Un po’ di fresco ti aiuterà». Seth se lo posò sugli occhi. Odorava di menta. «Starò così male per tutto il mese che trascorrerò qua da mortale?». «No», rispose Lasair con dolcezza. «Però il tuo corpo sta facendo i conti con l’eccesso di energia che è penetrata in te. Avrai percezioni diverse quando sarai una creatura fatata e poteri prodigiosi. Ciò che ogni essere fatato sa sin dalla nascita è stato intessuto nel tuo inconscio. Se tu dovessi rimanere qui, non ti sentiresti così, il processo sarebbe più lento». «Intessuto?». «Con i fili di stelle di Olivia. È più rapido, ma fa un po’ male». Seth sollevò un lembo del panno per guardarla. «Un po’?». Era tornata alla finestra e stava strappando i petali dei fiori che aveva raccolto. «L’essenza fatata che hai ricevuto è estremamente potente. Anche questo rende la metamorfosi più difficile… Ho fatto quel che ho potuto per farti soffrire il meno possibile». Il tono della sua voce era molto diverso da quello che aveva usato quando gli aveva parlato la prima volta. Il suo volto era ancora impassibile, ma gli parve fragile, vulnerabile. Seth si tirò su a sedere e fissò la sua nuova regina. «Mi avete dato tutto. Grazie a voi ora potrò vivere insieme ad Ash. E al fianco di Niall. Sarò in grado di far fronte al loro mondo». La Regina dell’Alta Corte annuì e la sua aria preoccupata si mitigò. «Me ne sono assicurata. Pochi esseri fatati saranno abbastanza potenti da poter costituire una minaccia per te», disse. «Perché?». «Perché ho deciso così». «Bene… Perciò il mese che devo trascorrere qui…». Seth non avrebbe voluto tirare fuori l’argomento, ma in quel momento desiderava più di ogni altra cosa rivedere Aislinn. «I sei giorni che sono stato privo di sensi e gli altri che avevo già trascorso qui, contano?». «Sì». Lasair versò dell’acqua bollente sui petali che aveva raccolto. «Perciò sono già trascorsi dodici dei trenta giorni che devo stare con voi?». Si alzò e sorrise quando Lasair, voltandosi, gli gettò rapidamente una vestaglia. «Sì». Versò la tisana di fiori e gliene porse una tazza. «Bevi». Seth non esitò. Non gli fu possibile: la sua regina gli aveva dato un ordine e lui obbediva. Trangugiò quella bevanda nauseabonda con una smorfia. «Ecco… io… Non ho potuto rifiutarmi».

Lasair sorrise. «Sei mio suddito, Seth Morgan. Mi daresti il cuore se te lo chiedessi». Sono suo schiavo. Aveva osservato i rapporti di Niall, Donia, Keenan, Aislinn con le loro creature. Non erano così. Seth non aveva creduto che sarebbe accaduto qualcosa di simile quando aveva giurato fedeltà a Lasair. È perché siamo nel regno fatato? O perché lei è diversa? O io? La guardò accigliato. «Non lo sapevo». Era tornata davanti alla finestra, ristabilendo le distanze. «Mi hai dato la tua volontà, il tuo corpo, la tua anima. Avresti risposto in maniera diversa se l’avessi saputo?». «No». «Bene». Uscì in giardino. «Portati un’altra tazza di tisana». Non le aveva chiesto di seguirla, ma sapeva che l’avrebbe fatto. Era suo dovere. Scalzo, solo con i pantaloni del pigiama e la vestaglia, e una tazza di quella roba disgustosa, seguì Lasair in giardino senza esitazione. Era la sua regina, il suo volere era l’unica cosa che contava. Dovette camminare più in fretta di quanto non avrebbe voluto per raggiungerla. «Allora cosa sono? Un vostro giocattolo? Un vostro servo?». Lasair gli rivolse uno sguardo divertito. «Non amo i giocattoli. Il regno fatato non è il mondo dei balocchi come si crede tra gli uomini», disse con un vago gesto verso un lontano muro di cinta. «Ci comportiamo in modo civile». «Sono vostro schiavo, non vedo come questo possa essere considerato un comportamento civile», ribadì lui sorseggiando quell’orribile tisana. «Non funziona così nelle altre corti». «Davvero?». Si strinse nelle spalle con aria confusa. «Io sono diversa. Noi due siamo diversi». «Ma nel mondo mortale sarò un essere fatato?». Voleva sentirselo dire ancora una volta. La consapevolezza che la propria volontà gli era stata sottratta lo aveva turbato. «Non solo, sarai tanto potente che pochi saranno in grado di contrastarti. Diverso, sì, ma senza alcun dubbio un essere fatato». Distolse lo sguardo volgendolo verso una panchina di avorio intarsiato. Era circondata da minuscoli insetti alati che scintillavano come lucciole. Disegnarono un arco di luce e svanirono. «D’accordo. Qui invece sono un mortale. Cosa devo fare, allora? Me ne sto qui e basta?». Seth sperava che la sua metamorfosi non l’avrebbe reso parco di parole come erano spesso le creature fatate. Conversare con loro era esasperante e Lasair non costituiva certo un’eccezione. Lo guardò con aria paziente, come con un bambino che fa troppe storie. «Farai quel che i mortali hanno sempre fatto per noi: creare». «Creare?». «Dipinti. Musica. Versi». Accarezzò distrattamente la panchina e gli intarsi si trasformarono sotto la sua mano. «Avrai tutto quello che ti servirà. Materiali, colori di ogni qualità. Cerca l’ispirazione e crea qualcosa di favoloso per me». «Il che significa che il prezzo che devo pagare per l’immortalità sono alcune settimane trascorse a fare ciò che amo?». «Tuttavia», aggiunse Lasair rivolgendogli un’occhiata calcolatrice che Seth aveva già avuto modo di vedere sul volto di altre sovrane fatate, «non devi deludermi. Le tue opere dovranno essere vibranti e appassionate, altrimenti non ti permetterò di andartene». «No», s’infiammò Seth. Le si fece più vicino. «Un mese all’anno. Questi erano gli accordi».

«Un mese di fedeltà erano gli accordi. Per servirmi lealmente, mi devi offrire vera arte. Vera passione». Il suo tono si addolcì. «Riposati adesso, Seth. Tornerò domani». C’era qualcosa nella sua voce da fargli credere che Lasair gli stesse tenendo nascosto qualcosa ma, prima che potesse chiedere, un grigio muro di pietra in fondo al sentiero si aprì e Devlin comparve davanti a loro. Lasair gli rivolse un sorriso triste che lo confuse. «Un mortale non dovrebbe godere dell’autonomia e dell’influenza di cui hai goduto tu. Tre corti fatate sono state influenzate dal tuo volere. È necessario ristabilire i giusti equilibri. Non hai rispettato l’ordine naturale delle cose e questo dev’essere in qualche modo compensato. Nell’interesse di tutti». Seth lottò contro un brivido mentre faceva correre lo sguardo dalla Regina Suprema a Devlin. Aveva sempre creduto che gli esseri peggiori appartenessero allo stuolo delle tenebre ma, osservando il placido volto della creatura al servizio dell’Alta Corte, dovette ricredersi. I mostri non hanno sempre un aspetto mostruoso. Devlin gli fece cenno di precederlo attraverso il passaggio nel muro. E Seth si domandò sin dove si sarebbe spinto per “compensare” lo squilibrio constatato dalla loro regina.

Capitolo 27

Lasair tornò da Seth il giorno dopo e per altri tre successivi. Si fermava ore e ore mentre lui lavorava. Parlavano della vita, dei sogni, di arte e di filosofia, della musica che piaceva a Seth e delle opere teatrali a cui Lasair aveva assistito. Passeggiavano in giardino, oppure lei meditava o leggeva mentre lui era occupato a dipingere o disegnare. Seth non riusciva a immaginare di doverle stare lontano. Se non fosse stato per Aislinn, sarebbe rimasto nel regno fatato per sempre. Nel mondo degli uomini non aveva un vero scopo nella vita, né famiglia o ambizioni. Viveva solo per Aislinn. Nel regno fatato dedicava la sua esistenza all’arte. Gli pareva di sentirsi pienamente se stesso per la prima volta nella sua vita, in pace, senza più dubbi e incertezze. Era venuto per ottenere l’immortalità, ma quel che aveva trovato era ben più prezioso. Felicità. Pace. Una casa. Un appagamento adombrato soltanto dalla pena di non poter vedere Aislinn e dal dolore al pensiero di dover lasciare Lasair alla fine del mese. Decidere di diventare un essere fatato gli aveva dato tutto ciò che desiderava, insieme a tante altre cose che non avrebbe mai immaginato. Ora il pensiero di abbandonare il regno fatato lo colmava di timore. Incanalava emozioni, desideri e paure nell’arte, dipingendo. Nella sua stanza c’erano tele sparse ovunque: aveva iniziato diversi dipinti anche se non ne aveva concluso nessuno. Aveva anche cercato di lavorarle con i metalli trovati nell’altra stanza e un paio di cose sembravano accettabili, ma nulla che fosse degno della sua regina o all’altezza delle proprie aspirazioni. «Seth». Lasair era apparsa al suo fianco. «Puoi fare una piccola pausa per oggi?». «Per?». Lei sorrise e gli pulì uno sbaffo di colore sul viso. «Hai una visita, caro». Visite. Non poteva andarsene, ma poteva ricevere visite se Lasair acconsentiva. Il cuore si era messo a battere all’impazzata. «Una visita? Ash… è qui?». «Non lei», rispose Lasair con la stessa tristezza che causò a Seth la sua risposta. E dal nulla, alle spalle della Regina dell’Alta Corte, apparve il Re del Buio. «Vedo che il mio consiglio è stato platealmente ignorato». Seth lo abbracciò. Dopo Aislinn, non c’era creatura al mondo che gli faceva piacere vedere quanto Niall. Rispose: «Ti sbagliavi». Niall scoppiò a ridere. «Sei già arrogante… Stai imparando cattive abitudini, fratellino». L’espressione preoccupata della Regina Suprema si fece leggermente più distesa. «Ti lascio con lui, allora. Mi troverai in sala da pranzo, più tardi». A Niall disse solo: «Torna, quando desidererai parlare di altre cose. Potremo rievocare lontani rimpianti…». Seth la seguì con lo sguardo mentre usciva: era più forte di lui. Poteva contare le frazioni di secondo tra un passo e l’altro, non mutavano mai. Il ritmo dei suoi movimenti era quello della perfezione. Quando la mano di Lasair si muoveva per aprire la porta, disegnava ogni volta lo stesso arco nell’aria: se Seth lo avesse misurato, sapeva che sarebbe stato identico. Quel giorno, tuttavia, la

vide esitare. Non si muoveva con la stessa precisione di sempre. «È turbata», disse. «In che senso?». Seth gli spiegò come aveva osservato il ritmo dei suoi passi e aggiunse: «È come uno spartito musicale. Il suo canto oggi non è lo stesso di sempre». Lanciò un’occhiata a Niall. «L’hai fatta rannuvolare». Il re fissò la porta da cui era uscita Lasair. Le danzatrici delle ombre si protesero in avanti come se volessero lanciarsi all’inseguimento della sovrana dell’Alta Corte. «È un’antipatia naturale». «Forse gradirebbe le tue attenzioni. In tal caso forse…». «Non so se te ne rendi conto, ma questa adorazione mi fa rabbrividire», commentò Niall scuotendo la testa. Seth si mordicchiò il piercing sul labbro, soppesando le parole prima di rispondere. «Il mio più caro amico siede sul trono della corte degli incubi. La mia ragazza è la personificazione di una stagione. Non sono sicuro che questo faccia rabbrividire. Lasair mi dà serenità. Sono felice». «Dovrai pagarne le conseguenze». «Ho preso la decisione giusta. Ho ottenuto quello che desideravo». Niall scosse la testa. «Speriamo che tu non debba cambiare idea in futuro». Seth si diresse verso il giardino. Aprì. «Vieni». Quando Niall lo raggiunse, Seth disse: «Nella corte di Lasair provo una tranquillità nuova. Ci sono voluti anni di meditazione per raggiungere la calma che possedevo prima, e ogni volta che vedevo l’influenza di Keenan farsi più forte, ho rischiato di perderla, ma poi… in un attimo, con una promessa, ho ottenuto una serenità assoluta. Un mese all’anno con lei e tutto quello che desidero di più. Quando tornerò nel mondo, sarò come eri tu prima, con le debolezze e i punti di forza di ogni creatura fatata. Posso vivere con Ash in eterno. Ed esserti accanto in eterno. Non capisci? È perfetto». «Eccezion fatta per questo mese che devi trascorrere qui. Vieni via con me. Sei sotto la mia protezione e… le tenebre servono a bilanciare l’Alta Corte. Possiamo andarcene insieme. Adesso». «Il mio posto è qui, Niall. Se non fosse perché sento la mancanza di Ash…», a quel punto Seth s’interruppe. «Perché tu sai che sono qui e lei no?». «Seth…». Abbassò la testa. «Cosa?». «Keenan non gliel’ha detto. Lui lo sa. Lo sanno tutti». «Tutti tranne lei». Seth ingoiò la rabbia e i timori che lo stavano assalendo. Non si doveva lasciar prendere dal panico. Era nel regno fatato, aveva trovato la pace e sarebbe stato accanto ad Aislinn per l’eternità. «Perché?». «Vieni via con me», ripeté Niall. «Possiamo andare da lei». «Keenan sta approfittando della mia assenza», esclamò Seth comprendendo cosa l’amico non aveva il coraggio di dirgli. «Ma sono qui soltanto da qualche giorno. Trenta giorni senza di me non cambieranno nulla». In quell’istante apparve Devlin. «Scegli con cura le tue parole, Niall. Lasair non gradirà che tu riveli quanto potresti». E a Seth intimò: «Lasair ti chiede di non seguire questa direzione». E quelle parole furono sufficienti a impedire a Seth di desiderare di chiedere altro a Niall.

«Credo che sia necessario cambiare argomento». «È davvero ciò che vuoi? Dammi la tua parola…». Niall lanciò un’occhiataccia a Devlin. «Pensaci, Seth. Se vuoi, puoi resistere ai suoi desideri. È più dura con lei, nel regno fatato, ma sappi che puoi…». «È la mia regina, Niall. I suoi desideri sono i miei. Mi ha dato tutto, il mondo intero». «Hai idea di quanto tu sia esasperante?», esclamò infastidito. «Sei mio amico, Seth, ed è come avere davanti una tabula rasa». «Non sono una tabula rasa…». Si strinse nelle spalle. «Sono in pace». «Credo che sia ora che io me ne vada». «Forse è meglio. Ho delle cose da fare e Lasair richiede tutta la mia attenzione. C’è un passaggio, lì», disse indicandogli una porticina nascosta tra i rovi, in fondo al giardino, dove il regno di Lasair si apriva sul mondo mortale. «Stammi bene». «Sì. Sono felice qui. Lasair sa un mucchio di cose. E con le sue spiegazione tutto acquista senso», disse Seth pensando alle loro conversazioni serali in giardino. Filosofia, religione: così tante cose gli si facevano chiare quando parlava con la sua regina. Poi, traboccante di arte, di passione e di intuizioni, tornava allo studio che lei aveva creato per lui e lavorava finché riusciva a tenere gli occhi aperti. «Poi, quando sarai venuto via di qui, io e te dobbiamo parlare. Vieni a trovarmi quando torni a casa, okay? Ci torni a casa, vero?». «Tornerò. C’è Aislinn». Seth allungò una mano e gli strinse un braccio. «Ma parlerò solo di quello che Lasair desidera. Anche se non sono qui, onorerò il mio giuramento di fedeltà alla mia regina». «Ci vediamo quando sarai di nuovo a casa e avrai riacquistato i sensi», e così dicendo Niall si allontanò. Seth passeggiò ancora qualche momento, poi tornò ai suoi quadri. Erano trascorse poco più di due settimane da quando era arrivato nel regno fatato. Un’altra decina di giorni e avrebbe potuto rivedere Aislinn.

Capitolo 28

Erano passati più di quattro mesi dalla partenza di Seth senza una telefonata né un messaggio, né notizie da parte di Niall. Sempre più spesso scoppiavano schermaglie tra le Corti dell’Estate e dell’Inverno. Anche le creature delle tenebre aggredivano gli spiriti dell’estate, sempre più vulnerabili e indeboliti dall’incapacità di Aislinn di dimenticare e andare avanti. Scegliere la felicità era più facile a dirsi che a farsi. Lei e Keenan attraversavano un periodo di stasi e la loro corte ne pagava le conseguenze. Seduti l’uno accanto all’altra, nello studio, stavano ascoltando l’ultimo rapporto delle guardie riguardo a quanto accadeva a Huntsdale e dintorni. Niente di nuovo, ma il tono era sempre più rattristato. «I ly erg si fanno più temerari ogni giorno che passa», disse una glaistig, a dire il vero senza sembrare particolarmente angustiata, ma quegli esseri dalle zampe di capra erano semplici mercenari, al soldo di qualsiasi corte fosse disposta, nei periodi di maggiore instabilità, a pagare i loro servigi. Altrimenti vivevano solitari. Il sovrano annuì. Aislinn adottò la maschera dietro cui nascondeva alla sua corte la sofferenza che la tormentava. Keenan le strinse la mano e un fiotto di sole fluì verso di lei. È una consolazione, ma non è sufficiente. Il Re dell’Estate faceva in modo che lei potesse ascoltare in silenzio i resoconti delle guardie, come se fosse troppo fragile per partecipare attivamente. E certi giorni lei si sentiva proprio così, un calice di vetro soffiato che sarebbe andato in frantumi se non fosse stato maneggiato con immensa cura. Poi Quinn disse: «Quando Bananach era fuori, le nostre guardie sono entrate nel suo nido. Non hanno trovato nessuna prova che vi sia mai stato condotto Seth». «Come?». La calma già precaria di Aislinn venne meno in un istante. Udire il nome di Seth unito così casualmente a quello di Bananach la raggelò. Keenan le strinse più forte la mano, offrendole un’ancora che la legava a una parvenza di stabilità. «Quinn…». «In che senso “nessuna prova”?», domandò la regina cercando invano di controllare il tono della voce. Quinn non batté ciglio, mentre le guardie si agitavano nervosamente. «Si ciba di carogne, mia regina. Se l’avesse ucciso, ci sarebbe stato qualcosa. Sangue, ossa…». «Basta così», ringhiò Keenan stringendole la mano e attirandola a sé. Ad Aislinn parve di scorgere una tremolante cappa di nebbia addensarsi nella stanza. «No, voglio sapere». Alzò il capo e guardò il suo re negli occhi. «Devo». «Posso occuparmene io, Ash», le rispose a bassa voce, come per non farsi sentire dagli altri. «Non è necessario che tu sia disturbata da… notizie sgradevoli».

«Devo sapere», insistette. Dopo averla fissata in silenzio per vari istanti, Keenan ordinò a Quinn: «Va’ avanti». La guardia si schiarì la gola. «C’erano delle cose strane. Una vostra camicia», esitò, cercando le parole giuste e lanciando un’occhiata a Keenan, «…sua, della nostra regina. Un lembo della vecchia pelle del serpente, un libro, di Seth». «E perché mai?». Aislinn aveva cominciato ad accettare l’idea che Seth se ne fosse andato, ma se c’erano quelle cose nel nido di Bananach forse si era sbagliata. Keenan guardò le sue guardie, Quinn. Il Re dell’Estate era furibondo. «Lasciateci soli». Il drappello si defilò tra mormorii di rimprovero alla volta di Quinn. Voltando loro le spalle, Keenan scostò il tavolino e le si inginocchiò davanti. «Lascia che me ne occupi io. Te ne prego». Aislinn gli posò la testa su una spalla. «Devo sapere perché c’erano quelle cose nel suo nido. Non può essere andato da lei spontaneamente». «Chissà, non si può sapere. È amico di Niall. Bananach appartiene alla Corte Oscura». Le accarezzò i capelli. «Seth aveva accettato la protezione delle tenebre. Era in collera con me. Avevamo avuto una discussione, Aislinn. Mi aveva detto che avrebbe usato tutta l’influenza che aveva per farmela pagare se… avessi cercato di condizionarti». «Seth?». Aislinn si scostò e fissò il suo re. «Seth ti ha minacciato? Quando? Perché non me l’hai detto?». Keenan si strinse nelle spalle. «Non mi sembrava necessario. Avevamo parlato, io e te. Io avevo intenzione… Donia mi aveva perdonato. Ritenevo che non sarebbe stato saggio dirtelo, ma poi lui se n’è andato e non ho visto ragione di turbarti ancora di più». «Avresti dovuto parlarmene. Avevi promesso che non avresti avuto segreti per me». La sua pelle scintillava di sole, ondate di calore provocate dall’ira che le bruciava in petto. Nessun altro avrebbe potuto toccarla in quel momento. «Te lo sto dicendo ora. Quinn avrebbe dovuto starsene…». «No». Si allontanò da lui. «Ha fatto bene a dirmelo. Sono la sovrana dell’estate, non una semplice consorte senza voce in capitolo. Ne abbiamo già parlato». «Sei alterata». «La Guerra ha degli oggetti che appartengono a Seth, a me. Mi stai dicendo che Seth ti ha minacciato. Be’, ci puoi scommettere che sono alterata». «Ed è esattamente quello che cercavo di evitare. Voglio che tu sia felice, Aislinn». Si lasciò andare contro i cuscini del divano, allontanandosi da lui. «E io voglio sapere cos’è successo». La Corte dell’Estate l’aveva cercato ovunque. Nessuna traccia era stata trovata… fino a quel momento. «Ma non ha senso», disse Aislinn. «Ho incontrato Bananach. Seth non è… Non l’avrebbe mai seguita nel suo nido». «Ne sei proprio sicura? Il suo più caro amico è il sovrano delle tenebre. Ci sono aspetti del tuo mortale che non vuoi vedere. Com’era prima che arrivassi tu?», s’interrogò Keenan fissandola. «Seth non è ingenuo e innocente, e la Corte Oscura è un ricettacolo di tentazioni che hanno sedotto ben più di un mortale, Ash». «Aislinn. Non Ash. Non chiamarmi più così». Aveva un peso sul cuore. Detestava sentirsi chiamare con quel nome mortale. Non sono più mortale. Non sono più la ragazza di allora. Era una creatura fatata incapace di dare ai suoi sudditi la regina che meritavano. Non comprendeva il perché

della bellicosità delle altre corti, tanto avverse e ostili. Donia si era allontanata, Niall era pieno di rancore, entrambi avevano interrotto ogni rapporto con la Corte dell’Estate scegliendo il silenzio. E a tutta quella tensione si aggiungeva l’ombra fosca di Bananach che annunciava un conflitto. «Se vuoi scoprire qualcosa, si potrebbe chiedere un’udienza a Niall», suggerì Keenan. «A meno che tu non desideri invitare la Guerra a un colloquio…». «No». Aislinn sentiva ancora l’odore di fumo che pesava nell’aria il giorno che Bananach le aveva mostrato quelle immagini di morte nel parco. «Se c’è il rischio di un’esplosione di violenza, non voglio che venga qui. Sto sforzandomi di diventare la regina che le nostre creature meritano di avere, e portarla in mezzo a loro non è certo un bene. Non posso rimanere qui seduta con le mani in mano. Bananach deve sapere qualcosa». «E allora cosa vuoi fare, Aislinn?», le domandò con circospezione. «Vuoi affrontarla e metterti in pericolo? Credi che servirebbe? Seth non era felice. Se l’ha seguita ed è rimasto intrappolato tra le spire tentatrici della…». «Possiamo andare da Bananach?». Aislinn, che credeva di avere ormai versato tutte le sue lacrime, sentiva ancora una volta bruciare gli occhi mentre si sforzava di non piangere. «Se gli ha fatto qualcosa…». «Non sappiamo se Seth sia stato lì di sua spontanea volontà o no. Lascia che me ne…». «Se gli ha fatto del male…», riprese lei, «la pagherà. Se avesse fatto qualcosa a Donia o a me, tu gliela faresti pagare». Keenan sospirò. «Non posso mettere a repentaglio la sicurezza della mia corte per un semplice mortale, Aislinn». «È anche la mia corte». «Seppure l’avesse rapito, non è possibile combattere contro la Guerra». «Ci hai mai provato?». «No». «Allora non venire a dirmi che non è possibile». Se Bananach aveva rapito Seth e l’aveva ucciso, Aislinn avrebbe trovato il modo di vendicarsi. Aveva l’eternità a sua disposizione. «Metteresti in pericolo la nostra corte per questo?». «Per la persona che amo? Sì. Senza dubbio». Keenan sospirò, ma non fece più obiezioni. «Gettiamoci tra le fauci del leone, mia regina».

Scortati da un intero plotone, il Re e la Regina dell’Estate si avviarono verso il nido di Bananach. Dopo quello che era successo durante la visita di Aislinn a Donia e visto com’era finita con Niall al Crow’s Nest, Aislinn si domandò se fosse il caso di sfidare ancora la sorte. Recarsi alla Corte Oscura, dimora degli incubi peggiori, covo dei segugi di Gabriel nonché della donna corvo, non le sembrava un’idea molto saggia. Ma Bananach deve sapere qualcosa. Aislinn non aveva idea di come Keenan fosse in grado di rintracciarla. Era troppo spaventata all’idea di essere diretta verso una corte nemica per indagare come sarebbero giunti alla presenza della personificazione della guerra e dei più cruenti spargimenti di sangue. Keenan la condusse attraverso Huntsdale alla volta di un edificio in rovina con le finestre sbarrate, ben diverso dal loft arioso e pieno di luce dell’estate, o da un’antica dimora come quella di Donia. Persino l’aria puzzava di sudiciume. Aislinn rabbrividì, quasi si fosse trovata nuda davanti a

una folla di sconosciuti. Terrore. Puro, abissale terrore. Erano arrivati. Avvicinandosi, Keenan si fece scuro in volto. Senza fermarsi né bussare, spalancò la porta ed entrò a grandi passi con aria bellicosa. Collera. «Keenan!». Aislinn lo trattenne per un braccio. «Dobbiamo parlare. Rammenti? Di…». «Reginetta, finalmente sei venuta a trovarmi!». Aislinn sollevò la testa e scorse Bananach appollaiata su una trave simile a un lugubre avvoltoio. Le sue piume si stavano trasformando in due ali immense, che distendendosi e sbattendo maestose facevano echeggiare un raccapricciante crepitio. «Mi fate un grande onore», gracchiò la donna corvo. Si gettò a terra, davanti a loro. «Venite. Il mio re si adirerà se vi tengo tutti per me». Aislinn esordì: «Siamo qui per parlare con te. Devo sapere…». Bananach le coprì la bocca con una mano prima che potesse concludere. «Sssh. Non rovinare tutto. Non aprire più bocca se vuoi che ti dica qualcosa». Aislinn annuì e lei scostò la mano, graffiandole una guancia con gli artigli. La seguirono in un vero abisso di lerciume: nell’aria regnava un odore nauseabondo, come di zucchero bruciato, e di selvatico; sul pavimento viscido e appiccicaticcio ogni loro passo era accompagnato da un suono simile a un risucchio. Aislinn fu assalita dall’impulso irrefrenabile di fuggire. Teneva le braccia accostate al corpo per timore di toccare qualcosa. Erano circondati da creature fatate non necessariamente mostruose, ma per lo più deformi. E anche quelle dall’aspetto più consueto non erano meno terrificanti. Ly erg dai palmi scarlatti li osservavano con un sorriso troppo soddisfatto, troppo ilare in quel luogo funereo. Le vila volsero i loro occhi grigi su di loro. Jenny Verdidenti e la sua accolita di sinistre sorelle mormoravano tra loro come un gruppo di pettegole comari. Avvolti da un alone di terrore, i segugi di Gabriel si aggiravano vigili e minacciosi. Aislinn si voltò verso le sue guardie. Si sarebbero fatte valere in caso di una piccola schermaglia, ma una vera e propria guerra avrebbe avuto su di loro un effetto devastante. La Corte dell’Estate non era affatto pronta a combattere. Quella delle tenebre sguazzava nella violenza, tra le altre cose: era il suo regno. «Ti piace», bisbigliò Bananach, «il modo in cui ti guardano, come se volessero mangiarti viva? Sei tu che hai strappato al nostro vecchio re la sua mortale, sei tu che hai costretto il nostro nuovo sovrano a piangere i suoi due mortali». «I suoi due mortali? Seth è il mio…», esclamò Aislinn. Ma Bananach gracchiò e distendendo le ali dietro di sé le sfiorò il braccio con gli artigli in una raccapricciante carezza. «Povera reginetta, che pena mi fai. Credi dunque che siano false quelle lacrime? Che lo faccia solo per dare a te la colpa di avergli sottratto il suo giovane Seth?». Aislinn vide davanti a sé un’immagine offuscata. Mentre nel parco le scene che la donna corvo le aveva mostrato le erano apparse reali, era evidente che ora si trattava di un’illusione: in un immenso campo di battaglia, teatro di una carneficina, disseminato di creature fatate mutilate e sanguinanti, tra gli spiriti dei morti che si levavano dalle pire funerarie, alcuni mortali si aggiravano deliranti, con occhi colmi d’orrore, oppure spenti, svuotati di vita. Al centro si levava una tavola di ossa sbiancate che poggiava su pile di teschi. Il ripiano era fatto di costole, vertebre e ulne intrecciate e legate tra loro da nervi e tendini. A capotavola era

seduta Bananach, con Seth disteso davanti. La donna corvo fissò Aislinn e disse: «Se fossi regina, gli strapperei le viscere e le divorerei per il piacere di vederti soffrire». E affondò gli artigli nello stomaco di Seth. Seth lanciò un grido. Non è reale. Non vi è nulla di reale. Ma le parole che aveva udito l’avevano terrorizzata. E se fosse uno scenario possibile? In tal caso cosa potrebbe succedere se prendo la decisione sbagliata? Keenan la trasse più vicina a sé. «È un’illusione, Aislinn. Non guardare. Non guardare, ho detto». L’immagine andò in frantumi mentre una vila prendeva a danzare vorticosamente per la stanza. Le sue delicate calzature, legate ai piedi con catene d’argento, davano origine, sul cemento, a uno sgradevole suono metallico. «È un’illusione», ripeté Keenan. «Seth non è qui». «Ne sei tanto sicuro, reuccio? Di cosa puoi essere sicuro? ». Bananach allungò una mano posandola là dove Donia aveva ferito Aislinn con le sue lame di ghiaccio. «Eccitanti, tumultuosi eventi mi daranno la violenza che bramo…». Aislinn dovette rammentare a se stessa che non era più una mortale che si lasciava intimorire tanto facilmente. Posò la propria mano su quella artigliata. «Hai Seth con te? Lo hai rapito?». «Bella domanda», esclamò Niall. Era giunto alle loro spalle. Il Re del Buio si fermò accanto a Bananach. «Allora?». «Erano nel mio nido, ora sono al tuo cospetto. Il mortale non è qui. Ma questo già lo sai…». Si appoggiò alla sua spalla e lo avvolse in un abbraccio con quelle sue ali fatte di ombre, non concrete, ma neanche del tutto illusorie. «Basta così». Niall si diresse verso uno scranno posizionato su un piccolo palco. A differenza dei sovrani dell’estate e dell’inverno, il re delle ombre sedeva su un vero e proprio trono. Nella Corte Oscura vecchie tradizioni si mescolavano in maniera bizzarra a inquietanti perversità. Aislinn si fece avanti, con Keenan sempre al suo fianco. Alcune guardie li seguirono, mentre altre si sparpagliavano per la sala, anche se non avrebbero potuto fare granché contro tanti avversari. Bananach non era l’unica vera minaccia: c’erano, qua e là, diverse glaistig, i ly erg, i segugi e Cath Pulac. Aislinn rabbrividì alla vista di quella creatura dalle sembianze feline che come la grande sfinge del deserto osservava assolutamente immobile tutto quanto che le accadeva intorno. Perché mai frequenta la Corte Oscura? Aislinn e Keenan si scambiarono un’occhiata eloquente dopo avere osservato le creature di cui si circondava Niall. I mormorii di guerra di Bananach erano ancor più agghiaccianti in quell’abisso di terrore e violenza. Niall li osservava dal suo scranno con aria divertita e irridente. «Cosa vi porta qui?». «Devo sapere cos’è accaduto a Seth. Dov’è. Perché se n’è andato». Aislinn non sapeva esattamente come comportarsi. Una regina si deve inchinare davanti a un sovrano cui rivolge una supplica? L’avrebbe fatto. L’avrebbe implorato in ginocchio per riavere Seth. «Credevo che Bananach avrebbe potuto rispondere alle mie domande». Un coro di risate arrochite seguì le sue parole. «La mia Bananach?», sorrise Niall. «Tesoro, credi di poter rispondere alle domande della Corte dell’Estate?». In un istante la donna corvo apparve al suo fianco afferrandolo per il collo come se volesse

strangolarlo. Niall non si mosse. «Hanno delle domande da farti». «Sì?». L’aveva ferito e stava fissando il rivolo di sangue che gli solcava la gola. «Delle domande», ripeté Niall. Calò il silenzio mentre Bananach si guardava attorno e diceva: «La mia guerra è ormai prossima. Non ci sono guerre senza vittime né roghi». Le sue ali si solidificarono sotto gli occhi di tutti. «Se tu non rovinerai ogni cosa, giungeremo al nostro traguardo». Bananach baciò Niall e sussurrò: «Verseremo il nostro sangue, mio re. Se siamo fortunati, potresti persino andare incontro a una morte orribile». Poi prese il volo. Aislinn strinse con forza la mano di Keenan mentre la Guerra passava sopra di loro in un lampo scuro. Scomparsa Bananach, Niall li congedò agitando una mano. «Non troverete altre risposte qui. Andate ora». Non bastava. Aislinn ne era sicura: Niall sapeva di più. Era troppo legato a Seth per mostrare tanta indifferenza. Non sarebbe così calmo se Seth fosse morto. Mettendo da parte ogni orgoglio, implorò: «Dimmi quello che sai. Te ne prego». Lo sguardo colmo di disprezzo di Niall era lo stesso che le aveva rivolto durante il loro confronto al Crow’s Nest. Il silenzio che aveva accolto le parole deliranti della donna corvo continuò ad aleggiare finché il Re del Buio non disse: «So che tu sei la ragione per cui se n’è andato e non so se meriti che faccia ritorno qui». «Sta bene, però?». «È vivo, fisicamente illeso», le rispose. «Ma…». Il sollievo fu immediatamente seguito da nuovi, peggiori timori. Seth è sano e salvo. Ma il dolore, la spina che le straziava il cuore da mesi, era ancora più cocente. Seth mi ha lasciato e non desidera tornare. «Sai dov’è. L’hai sempre…». Circondata da quelle creature che la fissavano, cercò di non lasciarsi sopraffare dal dolore o dall’ira. Si leccavano le labbra come se potessero sentire il gusto della sua pena. Erano rozze, spregevoli, e Aislinn le aveva sempre temute. Erano così diverse dagli spiriti dell’estate. Keenan, al suo fianco, s’irrigidì per la tensione. Le porse la mano e lei la prese. «Gli dirai che io…». «Non sono il tuo galoppino», replicò Niall con uno sdegno travolgente, quasi soffocante. Gli spiriti delle tenebre ridacchiarono, mormorando. Aislinn fece per avvicinarsi al sovrano dell’abisso, ma Keenan la trattenne. «No. Vieni, Aislinn, avvicinati a me», disse Niall. «Mettiti in ginocchio e implora pietà». «Aislinn…», esclamò invano Keenan, vedendola avviarsi verso il Re del Buio. Quando lei gli fu davanti, cadde in ginocchio ai suoi piedi. «Mi dirai dov’è?». Niall si chinò su di lei e sussurrò a voce abbastanza alta da farsi udire da tutti: «Solo se mi chiederà lui di farlo». A quel punto Aislinn non poté replicare più nulla. In ginocchio sul pavimento sudicio, abbassò umilmente lo sguardo. Se Seth non voleva vivere in quel mondo, che diritto aveva lei di costringerlo a farlo? Amare qualcuno significava accettare ciò che era, non tenerlo in gabbia.

Forse non mi ha detto addio perché sapeva che avrei cercato di trattenerlo. Nel suo ultimo messaggio aveva detto che l’avrebbe chiamata, non che sarebbe tornato da lei. Rimase lì, in ginocchio, finché Keenan non la trascinò via.

Capitolo 29

Lasair avrebbe preferito essere in compagnia del suo mortale, in giardino, ma Devlin aveva insistito per poterle parlare. Attraversarono una sala dopo l’altra, non accanto, bensì a mezzo passo l’uno dall’altra: Devlin le rimase alle spalle, ponendo tra loro una distanza appena sufficiente perché lei potesse accorgersene, ma invisibile a uno sguardo casuale. Il fruscio delle gonne e il ritmo dei passi di Lasair erano così scanditi che Devlin vi si adattava senza sforzo. Dopo avere trascorso tanti millenni al suo fianco, era in grado di prevedere qualsiasi mossa della Regina Immutabile. E io non lo sopporto. Ma si sarebbe ben guardata dal dare voce a tale emozione. Devlin non era meno antico di Bananach e Lasair. Si muoveva come un cappio scorsoio tra le due sorelle, dispensando consigli all’Ordine, sorridendo alla Guerra. Dei tre credeva di avere la posizione più scomoda, ma Lasair gli avrebbe volentieri ceduto il proprio ruolo se fosse stato possibile. Suo fratello aveva una libertà di scelta che a lei mancava. Bananach, dal canto suo, per quanto fosse libera di agire come voleva, era uno strumento della sua follia. «Perdonate se ve lo domando, ma a che pro lasciarlo andare via? Tenetelo qui o uccidetelo. È un semplice mortale. Farlo tornare tra gli uomini creerà ogni sorta di complicazioni. Sarà fonte di dissidi tra le altre corti». «Seth è mio suddito ora, Devlin. Appartiene alla mia corte, è mio». «A questo è ancora possibile porre rimedio. La sua esistenza può dare origine a situazioni pericolose. Le vostre premure nei suoi confronti sono… sregolate, mia regina». Il tono pacato di Devlin non significava che il suo animo fosse tranquillo. Era capace di una feroce devozione all’ordine, e uccidere era un modo di ristabilire gli equilibri. «È mio», ripeté Lasair. «Sarebbe vostro anche sottoterra. Lasciatelo inghiottire dalla Gran Sala. Il vostro affetto per lui vi induce a comportarvi in modo bizzarro», la guardò negli occhi, «a dimenticare i vostri doveri. Trascorrete tutto il vostro tempo con lui… e poi lui se ne andrà nel regno dei mortali dove voi non spingete mai i vostri passi. Se non farà ritorno a voi o se la Guerra dovesse ucciderlo, temo che vi comportereste in modo irrazionale. Esiste una soluzione: potete ancora riportare la situazione sotto controllo. Uccidetelo oppure tenetelo qui, dove non corre alcun rischio». «E se fosse proprio quanto desidera Bananach?». Lasair si fermò un attimo a guardare Olivia al lavoro. Gli scenari di stelle che stava dipingendo erano composizioni perfette, equidistanti punti luminosi con sporadiche concessioni alla casualità. Un tocco di caos in un panorama di ordine: ecco da cosa scaturiva la creazione artistica. Per tale motivo le creature dell’Alta Corte non ne erano capaci. Devlin rimase in silenzio mentre osservavano entrambi Olivia intrecciare diademi di stelle con celestiali fili di ragno, tessendo una trama invisibile cui ancorare schegge di eternità per qualche istante fuggevole. Se l’invidia non fosse stato un sentimento tanto sregolato, Lasair sospettava che in simili momenti suo fratello ne sarebbe stato preda: la stava fissando ammaliato. Una passione bruciante come quella di Olivia per la sua arte lo lasciava senza parole. Quella creatura sembrava

quasi non avere legami con la realtà, entro i cui confini si muoveva come una brezza tenue e impalpabile. Non parlava mai mentre lavorava e neppure se solo pensava al lavoro. Lasair la lasciò ai suoi dipinti. Appena Devlin la raggiunse, disse: «Voglio che Seth abbia la sua libertà, ma anche che sia al sicuro tra i mortali. Voglio che sia protetto quando io non sono al suo fianco. È importante, Dev. Non ti ho mai chiesto una cosa così in tutta l’eternità». «Cosa vedete?». Lasair non amava parlare delle visioni che scorgeva nel dipanarsi delle esistenze. Erano raramente prevedibili, valide solo per brevi archi di tempo, sempre fluide, mutevoli. Ogni nuova decisione ne trasformava e ridefiniva la trama. Come Bananach, anche Lasair vedeva nel futuro solo eventi possibili. La sorella era interessata soltanto a quelli che potevano aiutarla a perseguire i propri scopi, la visione di Lasair era più ampia. «Vedo la sua esistenza intrecciarsi alla mia senza fine», sussurrò. «Senza avvilupparsi né ingarbugliarsi mai… Scorre e si muove, anche in questo momento, appare e scompare, fino all’eternità. Soffoca la mia, la illumina là dove sembra spegnersi. Ha un ruolo importante». «Ucciderlo prima di lasciare che questa emozione ottenebrasse la vostra ragione avrebbe semplificato le cose». «Oppure chissà, avrebbe impedito ogni cosa». Devlin si accigliò. «Non mi state dicendo tutto». Lasair stava per rispondere, ma il fratello glielo impedì. «Lo so. Siete la Regina Suprema, ne avete diritto. Avete diritto a ogni cosa». Per un attimo, stranamente, le parve quasi di vedere nei suoi occhi uno sguardo d’affetto, ma poi Devlin le disse: «Lo proteggerò, però voi dovete domare questa emozione. È innaturale». Il suo consigliere da tempo immemore sembrava tenere conto solo delle necessità di corte. Come dovrei fare anch’io. Invece, mentre tornava alle sue occupazioni, Lasair si domandò se a Seth sarebbe piaciuto il suo giardino privato e cosa le avrebbe dedicato prima di andarsene.

Ogni giorno la Regina Suprema si recava nelle stanze di Seth a discorrere con lui e, se non lavorava, trascorreva ore a mostrargli il regno fatato, per quanto possibile nel tempo limitato che avevano a disposizione. Gli sarebbe mancata, Lasair, alla sua partenza. Un po’ come quando aveva saputo che Linda sarebbe partita, Seth provava un dolore sordo al pensiero dei mesi che avrebbe trascorso senza di lei. Doveva evitare un eccesso di sentimentalismo, ma prima o poi le gliene avrebbe parlato. Quel giorno, entrando, la sovrana dell’Alta Corte aveva un’aria pensosa. Nei suoi occhi di luna risplendeva una luce fredda ben diversa dagli sguardi solari di Aislinn. Presto rivedrò il sole. Sorrise al pensiero di incontrare Aislinn, di raccontarle tutto quello che aveva visto e di poterle rivelare che aveva trovato il modo per trascorrere l’eternità al suo fianco. Gli sarebbe piaciuto portarla con sé nel regno fatato. Forse Lasair acconsentirà a farla venire quando sarò qui. O che mi venga a trovare. Non era sicuro di volerglielo chiedere adesso, prima di avere parlato con Aislinn, ma, anche se non fosse stato possibile, un mese all’anno non era certo un prezzo troppo alto per quello che aveva ottenuto. Qualche mese in cambio dell’eternità accanto ad Aislinn. Lasair non disse nulla. Si diresse alla finestra e l’aprì lasciando entrare il chiaro di luna e un

intenso profumo di gelsomino. Non era notte, ma nel regno fatato anche i cieli obbedivano ai capricci di Lasair e lei in quel momento aveva probabilmente desiderato un’atmosfera notturna. «Buongiorno», sussurrò Seth. Era rimasto alzato a lavorare a un quadro. Non era granché, ma prima o poi lo sarebbe stato. Fremeva dal desiderio di catturare un’immagine perfetta, un momento ideale, per potergliene fare dono. Un dono a una regina per fare ritorno a un’altra. Era strano, i suoi sentimenti per Lasair erano simili all’affetto che aveva per Linda: desiderava la sua approvazione, voleva che lo guardasse con orgoglio. In quel momento la Regina Suprema gli si avvicinò e lui le offrì obbediente il braccio.

«Garbo e galanteria, Seth. Le donne apprezzano sempre un uomo che sa trattarle con galanteria». Il padre di Seth era allo specchio che si allacciava il rigido colletto bianco dell’uniforme. In divisa suo padre si trasformava, i suoi movimenti si facevano più decisi, la schiena più dritta. Anche Linda ne subiva il fascino: seduta accanto al figlio, gli accarezzava distrattamente i capelli mentre osservava il marito con uno sguardo adorante. «Garbo e galanteria», ripeté Seth stringendosi a Linda. Doveva fare la quarta elementare a quel tempo, ma non avrebbe certo rinunciato a uno dei rari momenti di tenerezza della madre. Lo amava, senza dubbio, però non era mai stata particolarmente affettuosa. «Piccole cose per farle sapere che non c’è nulla e nessuno al mondo che conti più di lei», disse suo padre volgendo le spalle allo specchio. Porse la mano a Linda che sorrise e si alzò in piedi. Era ancora in vestaglia, ma già pettinata e truccata per uscire. Sotto lo sguardo attento del figlio, il padre le baciò la mano come fosse una regina.

Non aveva sempre compreso quelle lezioni paterne al tempo in cui gliele aveva impartite, ma in seguito si erano rivelate inestimabili. Seth soffocò un attacco di nostalgia per la propria famiglia. Lasair, al suo fianco, continuava a essere silenziosa. L’aveva condotto in una sala le cui pareti erano tappezzate di arazzi, fermandosi davanti a un’opera i cui colori, sbiaditi dal tempo, rendevano la scena più smorzata, ma non certo meno bella. La Regina Suprema vi era ritratta circondata dalle creature della sua corte in diversi atteggiamenti, e tutte rivolte verso di lei. Alcune coppie si muovevano secondo i passi di un’antica danza mentre dei musicisti suonavano. Ogni sguardo era per la sovrana, che osservava la scena con aria regale. Lasair, di cui la creatura nell’arazzo era una copia quasi perfetta, scostò il tessuto rivelando la presenza di una porta nascosta. «Mi sembra una conigliera, questo posto. Lo sapete, vero», disse Seth aprendo l’antica porta di legno, «che non ha affatto l’aspetto di un albergo?». Una risata argentina simile al tintinnio di campanelli di cristallo le sfuggì dalle labbra. «È nel regno fatato ora e non risponde più alle leggi dell’universo mortale, bensì alle mie. Se decidessi di trasferirmi tra gli uomini, anche il loro mondo finirebbe per conformarsi ai miei desideri». La porta conduceva in un giardino circondato da un alto muro di pietra. Un sentiero vi si inoltrava come a invitare nel cuore di un altro mondo. Le pietre del vecchio muro di cinta erano poggiate una sull’altra a secco in base a una conoscenza profonda delle leggi spaziali e rigogliosi tralci vi si arrampicavano mentre esplosioni di fiori spuntavano qua e là tra le crepe. «Un po’ caotico per voi, non trovate?». Lasair scosse il capo. «Non proprio. È il mio giardino privato, vengo qui a meditare.

Nessuno vi ha accesso, oltre a me e mio fratello… e adesso tu». Mentre passeggiavano, le pietre del selciato si riallineavano, i fiori si disponevano secondo ordinati disegni. Era estremamente surreale, anche dopo tutto quello che Seth aveva visto. «Non siamo più sulla terra, eh?». «Sulla terra?», esclamò lei accigliandosi. «Non ci siamo mai stati…». «È un posto così bizzarro», commentò Seth mentre evitava a Lasair che i suoi passi venissero disturbati da una pietra sconnessa. «In verità ogni cosa qui è secondo ragione», dichiarò la sovrana del regno fatato facendo scorrere le dita sui fiori di un gelsomino notturno. «Ma le apparenze sono ingannevoli». «I miei dipinti sono quasi pronti». Seth desiderava con tutto se stesso che Lasair li apprezzasse. Mancano solo pochi giorni. «Non vedo l’ora di vederli», disse lei con disinvoltura, malgrado il tono rivelasse un certo piacere. «È sempre un momento interessante, un attimo di chiarezza…». «Lasair», la guardò negli occhi, «cosa c’è?». «Devo spiegarti cosa si cela dietro il nostro accordo». Seth era calmo, ma sospettava che non lo sarebbe rimasto per molto. «Speravo di avere evitato tranelli». Lei gli posò una mano su un braccio. «Stringo accordi da prima ancora che i mortali scrivessero la loro storia. Conoscevi i pericoli, ma non hai esitato». «Il che significa che sono stato uno sciocco?». «No, ma come tutti i mortali, ti sei lasciato accecare dalla passione». Scostò la mano e si chinò verso il gelsomino. Con un fruscio, la pianta si estese sino a lei. Il chiaro di luna che scintillava sulla sua figura le si diffuse sul viso. «Di cosa si tratta?». Il cuore gli batteva all’impazzata mentre riandava a ogni singolo dettaglio. Aveva avvertito Aislinn dei pericoli di un patto con un sovrano fatato e poi aveva compiuto anche lui lo stesso sbaglio. Si sentì soffocare dal terrore, ma Lasair si volse verso di lui e ogni tensione svanì. Un incantesimo, per tranquillizzarmi. La calma prese a spirare su di lui come una brezza fresca sulla pelle accaldata. Lasair sorrise e si girò di nuovo verso i fiori. Seth attese, osservandola, la mia perfetta regina, nella semplicità del suo giardino. «Non fatelo. Non giocate con le mie emozioni». La brezza si acquietò. Lasair fece ritorno al sentiero. «Mi hai promesso un mese nel regno fatato». «È così», dichiarò Seth offrendole di nuovo il braccio. Lei vi si poggiò e riprese a camminare. «Qui il tempo scorre in maniera diversa da quanto accade nel regno mortale». «Vale a dire?». Senza mutare il ritmo dei suoi passi per un solo istante, Lasair rispose: «Un giorno qui corrisponde a sei giorni tra gli uomini». «Quindi manco da più di cinque mesi?», disse Seth lentamente, cercando di comprendere le

conseguenze di quanto gli stava dicendo la sovrana dell’Alta Corte: da diversi mesi aveva lasciato Aislinn sola con Keenan, proprio nel momento in cui subiva al massimo il suo fascino e per più tempo di quanto lui e Aislinn fossero stati insieme. «Sì». «Capisco». «Davvero?». Lasair si arrestò, interrompendo ancora una volta la loro passeggiata. «Per lei sarai lontano molto più a lungo di quanto non sembrerà a te». «Me ne rendo conto». Seth si mordicchiò il piercing, riflettendo. Un’altra ondata di terrore lo assalì. Magari Aislinn temeva che lui se ne fosse andato per sempre… Era spaventata? In collera? L’ho perduta? Non si sarebbe arreso tanto facilmente dopo essere stato così vicino a ottenere ogni cosa. Lasair gli lanciò un’occhiata perplessa. «Puoi rimanere nel regno fatato, se vuoi. Sarai al sicuro. Sei felice qui…». «Nel caso la situazione là si fosse volta al peggio?». Sorrise. «Non ho fatto tanto per rinunciare proprio adesso. La fortuna premia gli audaci, giusto?». «Keenan sa che sei qui. Niall te l’ha detto». Seth non era calmo come avrebbe voluto e, per quanto provasse un tetro piacere all’idea di scoprire il doppio gioco di Keenan, non bastava a lenire la pena al pensiero che Aislinn poteva essersi innamorata del Re dell’Estate. «La pagherà quando lei scoprirà ogni cosa, questo è certo». L’idea di Aislinn e Keenan insieme lo faceva star male. Ma noi abbiamo l’eternità. Lui ha avuto l’unica chance della sua vita. «Se ti ha abbandonato, potrai tornare qui. Questa sarà sempre casa tua». Lasair non insistette oltre, ma Seth la conosceva abbastanza bene per comprendere che quello che gli stava offrendo non era cosa da poco per lei. E per Seth, che non aveva mai creduto di poter avere una casa, fu di grande conforto. In fondo l’unica creatura su cui credeva di poter contare si era forse allontanata da lui. Non avrebbe mai accettato il rischio di perdere l’amore di Aislinn, ma non aveva neanche creduto di poter guadagnare tanto. Il regno fatato era un dono assolutamente inatteso. «Sentirò la vostra mancanza», confessò. Non desiderava nascondere le proprie emozioni, e meno che mai a lei. «Anche se non tornerò qui di corsa, mi mancherete». Con la stessa disinvoltura di ogni suo gesto, Lasair si scostò dal braccio fingendo di voler osservare un tralcio fiorito. «È inevitabile». «E voi, mia regina, sentirete la mia mancanza». I fiori monopolizzarono l’attenzione di Lasair, che si limitò a stringersi nelle spalle. «Desidererò forse sapere come ti adatterai alla tua nuova vita tra i mortali». «Mi sembra ragionevole». Avrebbe voluto offrirle dei doni, trovare le parole giuste per dimostrarle quanto era prezioso per lui il suo affetto e dirle che avrebbe sentito la sua mancanza perché provava per lei un sentimento profondo. Le si fece più vicino. «Lasair? Mia regina? Rimarrei con voi se non fossi già innamorato… ma non sarei mai venuto qui se così non fosse stato». «Lo so», rispose, scostandogli i capelli dal viso.

Lasair sentì immediatamente la presenza di Devlin in giardino. Non si era avvicinato, ma lei ne percepiva i passi sul proprio suolo. Non era un luogo qualunque: a quell’angolo esclusivo,

protetto, ben poche creature avevano il permesso di accedere e una sola poteva farlo senza bisogno di chiedere il permesso. «Devo tornare indietro», mormorò la Regina Suprema. «D’accordo». Seth si scostò, ma lei gli lesse in volto una pena che non comprese. «Sei in collera con me?». Che valore poteva avere l’opinione di quel giovane mortale? Eppure per lei ce l’aveva. «No». Le rivolse uno sguardo strano, sereno quanto quello di una creatura dell’Alta Corte. «Posso farvi una domanda? ». «Per pareggiare i conti?». Seth sorrise. «No. Ma voi siete l’unica che può rispondermi». «D’accordo». Lanciò un’occhiata lungo il sentiero per assicurarsi che suo fratello non fosse troppo vicino. D’un tratto non desiderava che udisse la sua conversazione con Seth. «La bontà che mi dimostrate… cos’è?». Lasair rimase un istante in silenzio. Aveva il diritto di farle quella domanda. E avrebbe avuto modo di riflettere sulla sua risposta mentre era nel regno mortale. Forse l’avrebbe persino convinto a ritornare da lei in anticipo. «Sei sicuro che è questo che desideri sapere? Ci sono altre cose che…». «Sono sicuro». «Sono la Regina Suprema. Non ho un consorte», sollevò una mano quando lo vide che apriva la bocca per dire qualcosa e proseguì, «né un figlio». «Un figlio?». «La prole è un dono raro nel regno fatato. Viviamo troppo a lungo perché sia possibile dare alla luce molte giovani creature. Avere un figlio…», scosse il capo. «Beira è stata una sciocca. Aveva Keenan, ma si è lasciata travolgere dal timore che sarebbe assomigliato a suo padre. Ha sepolto ogni affetto dentro di sé, eccezion fatta per strane esplosioni di tenerezza che lui non era in grado di comprendere. Altrimenti non sarebbe diventato il Re dell’Estate, bensì…». «Il suo erede». Lasair annuì. «È nato dal sole e dai ghiacci. I timori di Beira l’hanno allontanato dall’inverno». «E voi?». «Io non ho erede, consorte, genitori. Se avessi un figlio, però, lo andrei a trovare se la mia presenza… non gli dispiacesse». Non aveva mai parlato a nessuno del suo desiderio di avere una famiglia. Era irrazionale. Aveva Devlin. Aveva la sua corte. E una sorella delirante. Non era abbastanza. Voleva una vera famiglia. Eppure era più sensato vivere l’eternità senza il fardello di veri legami. Rendeva tutto più semplice mantenere la lucidità necessaria. La Regina Immutabile non avrebbe dovuto desiderare il cambiamento, invece ammise: «Desidero un figlio». «Ne sono… onorato». Seth non parve turbato da quelle parole. Dopo un attimo di silenzio disse a bassa voce: «Ho una madre che mi ha dato alla luce tra i mortali e di conseguenza mi ha dovuto accudire, e dal momento che voi mi avete dato vita una seconda volta, immagino che sia necessario che voi ora facciate lo stesso». Lasair provò una sensazione di calore agli occhi, una dolcezza che le fece versare alcune lacrime. «Nascere significa trarre energia da qualcuno che cede qualcosa di sé. Per nascere

abbastanza potenti da essere in grado di affrontare i pericoli del mondo fatato e del mio affetto, quel qualcuno avrebbe dovuto essere una creatura potente. E io volevo che tu lo fossi». Non era stata sua intenzione confessare ciò che aveva fatto, o almeno così aveva creduto allorché aveva deciso di trasmettere a Seth l’essenza della propria natura. Lui comprese. «Una creatura fatata ha forse perduto la sua immortalità per offrirla a me?». «No». «Qual è stato il prezzo, allora?». «Un po’ di emozioni mortali e di vulnerabilità», disse Lasair sottovoce. Per quanto Devlin fosse fidato, non significava che rispettasse la sua privacy. Suo fratello era tanto protettivo quanto Bananach distruttiva. «Siete voi ad avere operato lo scambio?», bisbigliò Seth. Lasair annuì impercettibilmente. Gli occhi di Seth la guardarono con una sorta di timore reverenziale. «Verrete a trovarmi?». «Mi piacerebbe accertarmi che stai bene». «D’accordo». La strinse a sé in un abbraccio improvviso, impulsivo, che durò un istante e nulla più, ma fu pur sempre un abbraccio. E Lasair conobbe un paradiso a lei fino ad allora ignoto. Allora lui le domandò: «Ditemi a chi ho il permesso di parlarne oppure impeditemi di confidarlo a chiunque». «Niall. Irial. Loro possono saperlo se tu lo desideri. Niall lo sa già, credo». «E Aislinn?». La Regina Suprema sapeva che avrebbe dovuto rispondere a quella domanda prima o poi, se Seth avesse scoperto la verità, ma non credeva che sarebbe giunta tanto presto. Facendo bene attenzione alle proprie parole, rispose: «Se ritieni che non dirglielo metterà a repentaglio il vostro rapporto in maniera irreparabile, o se tu fossi in pericolo di vita e necessitassi il mio aiuto. Altrimenti…». «Ma Irial e Niall?». Lasair sentiva che stava già commettendo degli errori in quel nuovo ruolo di madre. Così presto. Era pur vero, comunque, che aveva a che fare con un figlio che non era più un bambino. Fidandosi del proprio istinto e mettendo da parte la ragione, rispose: «Irial è innamorato di Niall da secoli. Niall ti è legato e ti proteggerà quando sarai nel regno mortale, perciò non glielo terrei nascosto. Se lo sa lui, anche Irial può saperlo. Hanno avuto ragioni di dissidio a sufficienza perché se ne aggiunga un’altra. Voglio che tra loro ci siano buoni rapporti. È per questo che la giovane mortale che amano non è qui insieme agli altri che hanno ricevuto il dono della seconda vista». «Siete più gentile di quanto non desideriate ammettere». «Quel tocco di mortalità…». Lasair s’interruppe per evitare un inutile tentativo di mentire. «Devo proprio andare a vedere cos’ha da dirmi Devlin». Suo figlio si sporse in avanti per baciarle una guancia. «Quel tocco di mortalità risale a qualche giorno fa, mentre Leslie è libera da mesi». «Era un dono a qualcuno che un tempo ho…», Lasair s’interruppe ancora una volta. Aveva le guance in fiamme. Stava arrossendo, e non era presente nessuna creatura della Corte Oscura. Un fatto piacevole. «Le madri non raccontano di solito simili cose ai propri figli», disse Seth giocosamente,

«perciò preferisco non saperlo». Era così caro. «Niall ti proteggerà», concluse Lasair frettolosamente. «Io potrei…». «Venite a vedere come me la passo, ve ne prego. Mi mancherete». Seth le offrì il braccio per accompagnarla in fondo al sentiero, là dove Devlin l’attendeva. «Verrò». Gli prese il braccio e s’incamminarono insieme.

Capitolo 30

Per tutto il mese successivo Aislinn non volle parlare di quanto accaduto alla Corte Oscura. Ogni volta che Keenan cercava di affrontare l’argomento, lei svicolava. Sapere che Seth l’aveva abbandonata: un dolore che non voleva affrontare. Preferiva piuttosto dedicare tutte le attenzioni alla sua corte, trascorrendo le giornate con spensieratezza, danzando per strada insieme a Tracey o infondendo energia alle piante della città. La terra e le sue creature fiorirono sotto le sue cure. Dopo un paio di settimane da perfetta Regina dell’Estate, persino i più cauti pensarono che fosse felice. Tutti meno Keenan. Quella sera ci sarebbe stato, come ogni mese, il Girotondo dell’Estate e anche lui avrebbe scoperto come stavano le cose. Era l’equinozio d’autunno e lei piangeva la scomparsa di Seth da più tempo di quanto non fossero stati insieme. Non poteva continuare così in eterno. Seth aveva scelto di girare le spalle al mondo in cui lei viveva, per evitare il destino di un mortale innamorato di una creatura fatata. Aveva rifiutato di accettare la nuova Aislinn calpestando quello che c’era tra loro. Devo scegliere la felicità. Si tormentava da quasi sei mesi. Devo dimenticarlo. Aislinn attraversò la strada che separava il loft dal Parco dell’Estate. Dentro di lei qualcosa le disse che era strano possedere un parco, ma poi rammentò che le creature fatate vivevano in quei luoghi da molto più tempo di qualsiasi mortale. Quella sera qualunque stranezza doveva essere messa da parte per cedere il passo all’unica certezza su cui Aislinn poteva ormai contare: Sono la Regina dell’Estate. Keenan la stava aspettando. Era il suo re, il suo compagno in quello strano mondo. Invisibile a occhi mortali, aveva assunto il suo vero aspetto: una creatura intessuta di sole e di luminose promesse. Le s’inginocchiò davanti, a capo chino, come un suo suddito. E Aislinn per una volta non obiettò. Voleva sentirsi forte e libera, non come se il suo cuore fosse stato messo a nudo e il dolore la stesse divorando. Era la Regina dell’Estate e quella era la sua corte. Keenan, il suo re. «Mia regina». «Sì», rispose. «Tua unica regina». Keenan rimase in ginocchio, ma sollevò lo sguardo verso di lei. «Se così desideri…». Le creature dell’estate attendevano, raggruppate intorno a loro, come durante il precedente solstizio d’autunno, quando Aislinn era ancora mortale. Ora aveva ben più chiaro quale fosse la posta in gioco: sapeva cos’era sul punto di diventare. In quel parco, al termine dell’estate, con il suo re in ginocchio davanti, stava per scegliere di essere sua regina fino in fondo. Keenan le offrì la mano, un invito che lei aveva accettato a ogni festa. Ogni volta lui le aveva offerto la possibilità di essere sua e ogni volta lei aveva accettato di danzare con lui, ma niente di più. «Acconsenti a danzare… tra le mie braccia?». La domanda era la stessa di sempre, un rito

che dava l’avvio a una notte di balli e libagioni sfrenate, ma non quella pausa quasi impercettibile. «Per l’eternità, non so», rispose Aislinn accettando la mano che lui le porgeva. Keenan si rialzò e la strinse tra le braccia e, mentre muovevano i primi passi di danza sulla terra calda di sole, le sussurrò: «Mi hai già dato l’eternità, Aislinn. Ti sto chiedendo una chance adesso». Lei rabbrividì, ma per la prima volta non si scostò da lui e fu felice che la baciasse. E a differenza della prima volta, a quella festa che aveva cambiato la sua vita, o delle altre due volte in cui lui le aveva rubato un bacio, non aveva scusanti: non era ebbra di vino dell’estate, né in collera o presa alla sprovvista. Provò a godere della sensazione delle labbra di Keenan schiuse sulle sue. Non le trasmisero la tenerezza che aveva provato con Seth, né vi sentì la veemenza degli altri baci del Re dell’Estate: era una sensazione nuova, agrodolce. La sua speranza e la gioia di Keenan travolsero i loro sudditi con la forza travolgente di un incendio, facendo sbocciare una profusione di fiori ovunque. Ecco cos’era loro mancato sino a quel momento: la promessa della felicità. Può bastare. Deve bastare. Poi il mondo prese a vorticare, o forse erano loro: Aislinn non ne era sicura. I volteggi delle Ragazze dell’Estate creavano mulinelli di un verde vibrante striato dalle sfumature ramate e mogano dei loro corpi discinti e per un attimo ad Aislinn non piacque che si avvicinassero tanto a Keenan. Non ne ho il diritto. Keenan si scostò appena da lei sussurrandole: «Dimmi tu quando devo fermarmi». «Non lasciarmi andare», gli rispose stringendosi a lui. «Salvami». «Non hai mai avuto bisogno di essere salvata, Aislinn». Keenan, suo amico, suo re, la strinse a sé mentre le creature dell’estate danzavano vertiginosamente intorno a loro, disegnando spirali che si dipartivano dalla radiosità dei loro corpi. «E non ne hai bisogno neanche ora». «A me pare di sì». Sentì le lacrime solcarle le guance mentre danzavano sempre più veloci e vide alcuni ciuffi di violette spuntare là dove quelle lacrime cadevano al suolo. «Mi sembra… mi sembra di essere stata mutilata». «Ti sentiresti così anche se…», il seguito gli morì sulle labbra. «Se fossi tu a lasciarmi?», chiese lei con la voce più dolce che aveva. «Era una domanda egoistica. Perdonami…». «Sì, mi sentirei così», bisbigliò Aislinn e chiuse gli occhi per nascondere le lacrime, o forse il gorgo di emozioni che aveva dentro. Persino a occhi chiusi, volteggiando vorticosamente, sapeva di non avere nulla da temere tra le braccia di Keenan. Se l’avessi incontrato prima di Seth… Purtroppo non era andata così. Posò il viso contro il suo petto e gli disse: «Vorrei essere dispiaciuta che non sei insieme a Donia, invece…». Keenan non si oppose a che lei tirasse fuori quell’argomento proprio in quel momento. «Ho amato sinceramente solo un paio di volte, Aislinn, e voglio provare a innamorarmi di te». «No, non devi inna…». Le si gelarono le parole sulle labbra. «Non puoi mentire, mia regina», disse Keenan con dolcezza malgrado il tono di rimprovero. «Centottanta giorni, Aislinn. Seth se n’è andato da centottanta giorni e da allora ti ho vista lottare con il tuo dolore ogni singolo istante. Posso provare a renderti felice?». «Per la nostra corte». «No», precisò lui. «Per te e per me. Mi mancano i tuoi sorrisi. Ho atteso centinaia e centinaia di anni di trovare la mia regina. Possiamo provare almeno? Adesso che lui…».

«Mi ha lasciato», concluse Aislinn. Lo guardò negli occhi e, dimenticando tutte le creature che li circondavano, si fermò. Gli spiriti dell’estate continuarono a danzare, con lei e Keenan soli al centro di un tornado. «Sì, fammi dimenticare ogni cosa che non sia quello che stiamo vivendo in questo momento. La Corte dell’Estate è passione, non razionalità, dipendenza o guerra, serenità o freddo. Riscaldami, non farmi più pensare. Fammi dimenticare me stessa». Keenan rispose con un bacio. Ad Aislinn parve di sorseggiare raggi di sole e non oppose resistenza. La sua pelle prese a scintillare tanto che qualsiasi creatura che non fosse della loro corte sarebbe stata costretta a distogliere lo sguardo. Aveva i piedi a terra, ma non percepiva il suolo sotto di sé. Non sentiva nulla che non fosse quel fiotto di sole che scacciava tutto il dolore che si era insinuato dentro di lei. Ripresero a muoversi, facendo sbocciare fiori a ogni loro passo. Le labbra calde di sole di Keenan erano dolci come miele. Come ogni volta durante i balli dell’estate, al mattino era ebbra, infiammata da quella notte di danze. Si ritrovò in braccio a Keenan, che la portava al fiume dove erano stati dopo il loro primo ballo fatato. Niente picnic, questa volta, nessun tentativo di seduzione, solo loro due sulla sponda. Nel corso di quelle notti perdevano lucidità, ma diventavano anche invulnerabili. Persino la Guerra non avrebbe osato avvicinarsi in quei momenti. Aislinn rimase tra le sue braccia anche quando Keenan si sedette sul greto e l’acqua le scivolò fresca su piedi e gambe, lasciando dietro di sé, sulla sua pelle, una miriade di minuscoli punti che vibravano come tante scosse elettriche. La sua frescura mitigava il calore della terra che stava assorbendo il loro sole. Aislinn fu percorsa da un brivido alla carezza del fiume, e di Keenan. Per un attimo rimpianse di essere seduta in terra in abito da sera, ma in fondo lei era l’estate: frivolezza, impulsività, calore. Ecco cosa sono. E in questo momento sono al fianco del mio re. «Dimmi quando devo fermarmi», le disse ancora una volta Keenan. «Non lasciarmi andare», gli ripeté. «Parla. Dimmi cosa provi. Dimmi tutto quello che non vuoi confessare». Lui sorrise. «No». «Allora trattami come una regina». «Vale a dire?». Aislinn si sollevò e gli s’inginocchiò accanto. Lui rimase immobile, sulla riva fangosa, a osservarla. Aislinn ripensò al giorno in cui, per strada, lui le aveva riversato sulla pelle una pioggia sublime di gocce di sole. Come tante altre cose imparate da quando era Regina dell’Estate, anche lei ora sapeva come fare, ma non aveva mai avuto modo di sperimentarlo. «Così». Ogni piacere al mondo era racchiuso nelle gocce che scivolarono dolcemente su di lui. Voleva esplorare con lui quell’universo magico che era ormai il suo mondo, senza doversi preoccupare di nuocergli, come se fosse stato un mortale. Se Seth non fosse stato un essere umano… Ma se non fosse stato un essere umano, non le avrebbe mai dato tanta amicizia e amore. E se lei non fosse divenuta una creatura fatata, non l’avrebbe perso. Keenan invece non era un essere umano, e neppure lei stessa. Non più. Mai più. Guardò il suo re negli occhi e pronunciò la stessa promessa che lui le aveva fatto: «Voglio cercare di innamorarmi di te. Fa’ che m’innamori di te, Keenan. Ne hai convinte tante. Persuadi

anche me. Conquistami, fammi dimenticare il dolore». Si chinò su di lui, ma lui la trattenne. Scosse il capo. «Questo non è amore. È qualcosa di diverso». «Perciò…». «Con calma. Finire con me tra le lenzuola… o sulla riva di un fiume non ti farà innamorare». Keenan si alzò e le porse la mano. «Sei la mia regina. Ho atteso nove secoli per trovarti e quasi un anno per arrivare a questo momento. Posso aspettare ancora un po’ per avere il resto». «Ma…». Le si avvicinò e la baciò dolcemente. «Se hai sinceramente deciso di provare ad amarmi, ti corteggerò». «È quello che hai sempre fatto, praticamente». «No». Le prese le mani e la trasse a sé, abbracciandola. «Ho fatto di tutto per non corteggiarti. Ti mostrerò il nostro mondo. Ti porterò a cena sussurrandoti dolci tentazioni. Ti condurrò a fare un giro in giostra, a un concerto, a danzare sotto la pioggia. Voglio farti ridere, sorridere, convincerti che puoi fidarti di me. Voglio che tra noi sia vero amore». Aislinn non sapeva cosa dire. Il sesso era più semplice di un corteggiamento. Erano amici, c’era la scintilla della passione tra loro. Però il sesso non è amore. Keenan voleva una vera opportunità, non si accontentava del suo corpo. «La mia soluzione era più semplice», mormorò. «E più rapida». Keenan scoppiò a ridere. «Dopo nove secoli, avrei accettato qualsiasi condizione, ma se dobbiamo provare ad amarci, non voglio dubbi. Se non mi ami, ma vuoi lo stesso… essere mia, cercherò di accontentarmi, ma voglio la chance di avere tutto». «E se Seth…». «…tornasse?». Keenan la strinse e la baciò finché i loro corpi non scintillarono come due soli. E le promise: «Starà a te decidere. È sempre stato così in fondo, no?».

Capitolo 31

Lasair non versò lacrime quando andò a salutarlo quella mattina. Osservò i dipinti che aveva fatto per lei e lo guardò. «Non sono niente di speciale», disse Seth. «Se potessi ti mentirei», mormorò la regina. «Ma la passione c’è, e sarei egoista se non ti lasciassi andare». Si aggirò per la stanza dando un’occhiata alle tele che aveva già visto. «Questo lo è», disse Seth aprendo il palmo e porgendole un perfetto bouquet di gelsomini d’argento, molto più delicato delle sue solite opere in metallo. Gli occhi di Lasair si colmarono di lacrime. Accarezzò con la punta di un dito i petali d’argento. «Sì, questo lo è. Incantevole». «Volevo sorprendervi», confessò Seth appuntandoglielo sull’abito con mani tremanti, «così ci ho lavorato quando ero solo». Lei rise e, poiché non c’erano testimoni alla sua follia, gli diede un bacio su una guancia. Aveva visto molte madri compiere quel gesto, ma non ne aveva mai compreso la ragione. Sapeva che l’affetto materno è un imperativo biologico che induce la madre a provare tenerezza per la propria prole spingendola a proteggere quelle piccole e preziose creature. Era tutto molto logico, ma quando posò le labbra sulla guancia di suo figlio non era mossa dalla logica, né dalla razionalità. Si trattava di un impulso istintivo. Era qualcosa che desiderava dirgli, ma non aveva parole per esprimerlo. «È deliziosa», disse contemplando la spilla e, sull’onda dell’impulsività, ammise: «Non voglio che tu te ne vada. E se ti facessero del male? Se tu avessi bisogno di me? Se…». «Madre». Seth sorrise, così sereno, così bello ai suoi occhi. «Sarò una creatura fatata. Godrò della protezione della Corte Oscura, sarò amato dalla Regina dell’Estate, conterò sulla forza che voi mi avete dato. Non mi accadrà nulla». «Ma Bananach… e l’inverno… e…». Il cuore le batteva troppo in fretta. Sapeva che avrebbe provato qualcosa al momento della sua partenza, ma non avrebbe mai immaginato tanta preoccupazione e tristezza. «Potresti rimanere. Manderemo Devlin a chiamare la tua Regina dell’Estate e…». «No, non le chiederò di abbandonare la sua corte per me». La condusse al sedile che dava sul giardino in cui avevano passeggiato tante volte insieme. Lasair si sedette e lui si accoccolò ai suoi piedi. «Devo andare. Voglio andare. In men che non si dica tornerò… a casa», promise. «Credo che potrei odiare la tua regina in questo momento», esclamò Lasair aggrottando la fronte.

Le si stavano gonfiando gli occhi di lacrime: era una reazione fisiologica, niente di più. Eppure le lacrime continuavano ad affiorare. «E poi ho paura. Se mia sorella ti facesse del male, io…». Fece un respiro profondo. «Non c’è da fidarsi di Bananach, Seth. Non devi seguirla mai e poi mai. Promettimi che te ne terrai alla larga. Ha un unico scopo: la violenza». «E allora perché mi ha condotto qui?». Lasair scosse il capo. «Per provocare la reazione di qualcuno. Per costringermi a fare qualcosa che avrebbe fatto ricadere la responsabilità della tua scomparsa su di me. Non lo so. È un’eternità che cerco di indovinare i suoi moventi. Non fa che tramare e architettare nuove ragioni di guerra. E io devo comprendere il modo di contrastarle». «Credete di avere preso la decisione giusta questa volta?». «Sì», rispose accarezzandogli il viso. «Qualsiasi cosa accada, questa era la cosa giusta da fare». «Anche se scoppiasse una guerra…». «L’alternativa era la tua morte», rispose la Regina Suprema soffocando un singhiozzo al solo pensiero. «Nel momento in cui hai scelto di seguirla, ti sei trovato di fronte a due possibilità: questa, oppure la morte. La tua Regina dell’Estate ti avrebbe trovato senza vita e la corte di Niall o la mia, sarebbero state ritenute responsabili. O forse in quella dell’inverno. E la Guerra avrebbe ottenuto ciò che desiderava». Era strano parlare di simili cose a qualcuno che non fosse Devlin, ma suo figlio avrebbe avuto voce in capitolo nelle decisioni di corte quando sarebbe giunto il momento. Avrebbe potuto farlo diventare una creatura fatata a tutti gli effetti, lasciandogli la libertà di decidere se rimanere al suo fianco oppure no. Così, invece, finché fosse valso il loro patto, era tenuto a trascorrere parte del suo tempo accanto a lei. Se fosse stato in tutto e per tutto una creatura fatata, sarebbe ugualmente rimasto? Non era il momento di esaminare quella possibilità. Seth non sarebbe mai diventato sovrano supremo: lei era eterna, la sovrana immutabile dell’Alta Corte. Tuttavia avrebbe avuto voce, influenza, potere. Al pari di Devlin. Lasair si domandò come suo figlio e suo fratello si sarebbero adattati a questa condizione. Seth non disse nulla: attendeva, paziente, come si addice a un figlio. «Se ti trattenessi qui, le probabilità di una guerra rimarrebbero alte. Prima o poi, Keenan non riuscirà più a nascondere la verità e Aislinn cercherebbe di impormi il suo volere. Non ha il potere di fare una cosa simile e io non…», s’interruppe, soppesando le parole con cura, «reagirei bene. Se la tua amata venisse nel mio regno in cerca di vendetta, sarei costretta ad annullare il pericolo». «La uccidereste». «Se non riuscissi a farla ragionare, sì. Sono disposta a eliminare chiunque minacci ciò che amo. O le creature che amo. Se Aislinn sfidasse la mia corte, sarei costretta a fermarla… anche se mi rammaricherebbe darti un dolore». Si domandò, per un attimo, se quei suoi nuovi sentimenti umani fossero un bene per la sua corte oppure no. Sentiva di essere mossa da nuove emozioni. La tenerezza che provava per suo figlio era tinta di sofferenza e timore. Una tale sregolatezza non si addiceva all’Alta Corte. Questa mia metamorfosi influenzerà le mie creature? Poco importava. Poteva essere cambiata, ma… Non le fu possibile concludere quel pensiero. Cosa succede quando la Regina Immutabile cambia? Lasair scosse il capo. Simili riflessioni erano illogiche, insensate. La realtà era quel che era. Lei e la sua corte vi si sarebbero adattate, tutto qua, com’era logico. A quel punto le sue parole ebbero la forza di un giuramento: «Non permetterò ad Aislinn né a Bananach né a nessun altro di strapparti a me. Non permetterò loro di mettere in pericolo la mia corte o mio figlio».

Mentre proferiva quel voto, era consapevole che, se avesse dovuto scegliere tra i suoi sudditi e Seth, la sua preferenza non sarebbe caduta sulla sua corte. Si domandò se non fosse proprio questo che Bananach aveva in mente portandole Seth, ma era impossibile saperlo. Dopo secoli di piccole vittorie dell’una o dell’altra, Lasair sapeva che l’eco di ogni decisione risuonava a lungo nell’arazzo del tempo. Le sue scelte avrebbero modificato le macchinazioni di sua sorella e Bananach avrebbe intrapreso nuove vie per contrastarle, così come accadeva da secoli. «Posso dirvi che anch’io sarò preoccupato?», le disse Seth con sguardo fanciullesco. «Non voglio che il dono che mi avete fatto vi metta in una condizione di vulnerabilità. Non credevo… Non voglio sapervi in pericolo. Se Bananach costituisce davvero una minaccia tanto grave, può essere fermata. Ho amici in altre corti. Se posso proteggervi…». «Non è dovere dei figli preoccuparsi dei genitori, Seth. Non corro alcun rischio», dichiarò Lasair, adottando il sorriso che riservava alla sua corte nel tentativo di rassicurarlo. «Combatto contro di lei da sempre. L’unica cosa nuova è che ora ho un figlio da difendere. Sei un dono prezioso. Bananach non ne era consapevole quando ti ha condotto a me». Seth annuì malgrado il timore che continuava a fargli luccicare gli occhi. «Vieni», lo esortò Lasair. «Vediamo cosa dovrai portare con te».

Aislinn era accoccolata tra le braccia di Keenan a dispetto di un senso di disagio che non riusciva a scrollarsi di dosso. Tavish aveva lanciato diversi sguardi di approvazione verso lo studio mentre allontanava le Ragazze dell’Estate. Il loft era tranquillo e la regina sapeva che quella pace era dovuta alla sua decisione. Sollevò lo sguardo verso Keenan. Era inevitabile, questo sarebbe stato il suo futuro. In un modo o nell’altro erano indissolubilmente legati. «…dopo pranzo?». «Come?», arrossì Aislinn. Keenan scoppiò a ridere. «Ti va di fare qualcosa dopo pranzo? Una passeggiata? Un cinema? Un po’ di shopping?». «Sì?». Lui la guardò in modo nuovo o forse era nuova la disinvoltura che dimostrava nei suoi confronti. «Un ballo? Una cenetta in casa? Un picnic? Una pizza a New York?». Aislinn si accigliò. «Adesso dici delle sciocchezze». «E perché mai?». Si girò in modo da poterla guardare negli occhi. «Sei una regina fatata, Aislinn. Hai il mondo intero ai tuoi piedi. Puoi arrivare ovunque in un attimo. Io non sono un mortale. E non lo sei neanche tu». Aislinn tacque. Non aveva le parole per dire ciò che desiderava. Non le era possibile. Non sono una mortale. Respirò profondamente. «Puoi spiegarmi meglio come funziona questa storia del corteggiamento? Ci sono già passata una volta ma…». Lui le sfiorò le labbra con un bacio. «Sarai pronta tra un’ora?». Lei annuì e Keenan uscì dallo studio. Posso farcela. Il passo dall’amicizia all’amore non è troppo lungo. Non lo era stato con Seth. Si sforzò di smettere di pensarci. Non c’era più e doveva andare avanti senza di lui.

Capitolo 32

Mentre Seth attraversava la barriera del chiaro di luna, ogni cosa intorno a lui prese a trasformarsi. Non era facile passare dalla pace e dalla perfezione che regnavano nel mondo di sua madre alla dissonanza dell’universo degli uomini. Un passo ancora e fu una creatura diversa: il patto che aveva stretto con la Regina Suprema prese vita e lui scoprì di essersi liberato della propria mortalità per trasformarsi in un essere fatato. Il mondo cambiò sotto i suoi piedi: sentiva ora il rombo vibrante della vita che si annidava nella terra. Le ali di un airone lontano crearono volteggianti correnti d’aria nei cieli. Lasair gli prese una mano tra le sue. «È strano da principio. Ho osservato la metamorfosi delle mortali della Corte dell’Estate. Permetti ai tuoi cambiamenti di sedimentarsi pian piano». Seth non era in grado di parlare. I sensi, e non solo quelli cui era abituato, lo stavano travolgendo. La sua comprensione elementare del mondo di creatura mortale si stava estendendo a cose che non conosceva attraverso semplici percezioni. Sentiva intorno la presenza dell’ordine, di come la realtà avrebbe dovuto essere ed era. «Hanno… abbiamo tutti le stesse percezioni?». Gli parve che la sua voce fosse troppo melodica, come filtrata da un apparecchio che ne ammorbidiva i toni. La Regina dell’Alta Corte rimase un istante in silenzio, stringendogli la mano. «No, non con tanta chiarezza. Ma non sono miei figli. In questo sei unico». Quando Seth volse lo sguardo su di lei, la vide in modo nuovo. Una rete di minuscoli fili di chiaro di luna che nel regno fatato non gli erano stati visibili si stendevano tra loro. Allungò una mano per toccarla. «Cos’è?». Per quanto fosse qualcosa di intangibile, quella rete pesava nel suo palmo come una cotta di maglia, ben più di quanto non avrebbe immaginato. «Nessuno la vede». Lasair gli prese anche l’altra mano. «Siamo noi. Tu sei parte di me come se ti avessi dato alla luce. Nelle tue vene scorre il mio sangue. E questo significa che sarai in grado di sapere e vedere cose che non è dato conoscere a nessun altro… Non sapevo come dirtelo». «Vedere?». Seth volse lo sguardo al lido di sabbia bianca su cui si trovavano. Non aveva la sensazione di vedere, ma piuttosto di sentire i granchi che correvano sulla spiaggia, le zampe dei gabbiani e delle rondini di mare che toccavano il suolo. Si diresse distrattamente verso il mare. Mentre l’acqua gli lambiva i piedi, percepì la vita che vi si muoveva, le creature mortali e fatate che la popolavano. C’erano alcune selchie che si stavano accoppiando, a oriente. Una sirena stava litigando con il padre. Seth si concentrò cercando di non sentire, di non sapere tutte quelle cose. «Non è che la veda», disse a Lasair, «direi piuttosto che sento, percepisco la vita del mondo intero. È come se fino adesso avessi vissuto in uno stato di torpore, di semi incoscienza». «Questo è il mondo in cui si muovono le creature fatate. E nel tuo caso più di ogni altro

perché sei mio figlio. I segugi creano intorno a sé un’atmosfera di terrore, i Gancanagh di irresistibile seduzione. E le loro sensazioni sono concentrate su tali aspetti della realtà», spiegò conducendolo verso uno scoglio levigato dall’acqua. «Ma tu sarai in grado di percepirne ogni aspetto, come poche creature al mondo. Niall è in grado di conoscere tutte le sfumature della seduzione e della paura. La tua attenzione sarà più rivolta alla giustizia, alla ragione, alla logica». Seth le si sedette accanto sullo scoglio, in silenzio. «Quando ti dico che vedrai delle cose», proseguì Lasair con uno sguardo che tradiva la sua circospezione malgrado il tono tranquillo, «mi riferisco alla chiaroveggenza di cui siamo dotate io e mia sorella. Lei sceglie di vedere ciò che le può servire a seminare il caos. Io preferisco concentrare la mia attenzione sull’ordine. Ma si tratta sempre e soltanto di sviluppi possibili, di mere eventualità. Ne devi essere consapevole sempre». «E tutto questo perché sono vostro figlio». Sino a quel momento aveva pensato soltanto alla longevità e alla forza che desiderava conquistare. «È questo il motivo di tutto». «Sì. Sarai diverso… dagli altri esseri fatati», disse stringendogli la mano. «Ma se le tue visioni dovessero diventare per te motivo di turbamento, puoi sempre tornare nel regno fatato lasciandoti alle spalle per un po’ la tua nuova natura. Puoi fare ritorno a me ogni volta che desidererai tornare a essere mortale, abbandonando per un po’ la tua natura fatata, di creatura sangue del mio sangue». «Cosa esattamente… voglio dire, quali altri mutamenti…». Non era semplice comprendere la portata di quel nuovo dono, o dovrei forse dire condanna?, quando già doveva lottare contro la forza travolgente di quel torrente di informazioni che gli giungeva dal mondo che lo circondava. «Vedrò gli sviluppi futuri». Lei gli strinse la mano impedendogli di scostarsi. «Gli eventi della tua vita saranno meno chiari, ma ti appariranno più nitidi i fili delle esistenze altrui. E forse non sempre con la stessa intensità. Non so quanto la mia essenza abbia influenzato la tua natura». Seth chinò il capo e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi soltanto sulle parole della Regina Suprema. Le sensazioni esterne si affievolirono, mentre argentei sentieri comparivano nella sua mente: avrebbe potuto seguirli per conoscere il futuro, se l’avesse voluto. Ma non voleva. Conoscere il futuro senza il potere di agire per trasformarlo lo turbava. Avrebbe voluto impedire a quelle due creature del popolo delle sirene di discutere. Vedeva i fili delle loro esistenze: la giovane se ne sarebbe andata in preda alla collera e il padre ne avrebbe presto pianto la morte. «Come posso sopportare un tale fardello?», sussurrò. Stava comprendendo che il dono che gli aveva fatto la sovrana dell’Alta Corte aveva una portata molto più ampia di quanto non avesse creduto. Lasair gli aveva dato uno scopo, un vero scopo nella vita, nel regno fatato e nel mondo degli uomini. Nel regno fatato avrebbe creato opere d’arte per lei, nel mondo degli uomini avrebbe saputo dov’era necessario ristabilire la giustizia. Poteva essere il paladino dell’ordine, se ne avesse avuto gli strumenti. «Non so combattere, non conosco l’arte della diplomazia politica… So così poco». «Chi sono i tuoi amici?», gli rammentò Lasair. «Ash, Niall…», sorrise comprendendo cosa avesse in mente la Regina Suprema. «Niall sa lottare. Gabriel e Chela sono grandi guerrieri. Donia sa tutto dell’arte della politica. Niall pure. E Ash. E le guardie della Corte dell’Estate… Posso imparare ciò di cui avrò bisogno un po’ da tutti». «Compresa l’Alta Corte», aggiunse Lasair. «Ma non è necessario. Non devi per forza diventare un eroe, Seth. Potresti rimanere nel regno fatato, creare, passeggiare e conversare con me. Ti porterei poeti e musicisti, filosofi e…». «Lo farò. Ogni anno verrò da voi, ma…», disse baciandole una guancia, «il mio mondo è questo. Posso aiutare chi amo. Voi. Ash. Niall. Posso rendere più sicuro il regno dei mortali, e

persino l’universo fatato». Rimasero in silenzio per qualche istante. Seth ripensò alle due creature che aveva udito discutere sott’acqua. «Se un groviglio di alghe trascinate da una bufera impedissero alla giovane sirena di allontanarsi…». S’interruppe di colpo quando si rese conto che le sue parole erano divenute realtà. La giovane, vedendo frustrato il suo tentativo di allontanarsi, fu costretta a tornare sui suoi passi. Prima che Seth potesse commentare, Lasair lo strinse per un attimo tra le braccia e disse: «Devo andare ora. Va’ dalla tua Aislinn. Trova il tuo nuovo posto in quel mondo e se avessi bisogno di me…». «Certo che avrò bisogno di voi», rispose lui. «Chiamami e io ti raggiungerò». Lo guardò come suo padre l’aveva tante volte guardato da piccolo, con un’espressione in cui si mescolavano timore e speranza. «Oppure vieni a me. In qualsiasi momento. Devlin ti proteggerà… e Niall e…». «Lo so». La baciò di nuovo su una guancia. «Ricordo tutte le vostre istruzioni». Lasair sospirò. «Non è possibile impedire tutto questo, vero?». E con un semplice gesto della mano piegò lo spazio aprendogli una porta sul parco davanti al loft e lo osservò in silenzio attraversare il velo. Da tempo Seth aveva il dono della seconda vista perciò essere in grado di vedere le creature fatate che si aggiravano nel parco non fu una sorpresa. Aobheall, scintillante nella sua fontana, trasalì vedendolo. Gli spiriti del sorbo puntarono lo sguardo su di lui, le Ragazze dell’Estate smisero di danzare. «Che sorpresa!», mormorò Aobheall. La fontana si arrestò e lei fu avvolta da un alone di gocce simile a minuscoli cristalli sospesi per aria. Seth si fermò, sopraffatto dalle nuove percezioni da cui venne di colpo assalito. La voce di Aobheall era la stessa, ma lui non provava più il desiderio di toccarla. Non perché stringesse in mano un amuleto, ma perché la realtà era diversa, lui era diverso. Sentiva il respiro della terra, la musica dei sospiri degli alberi intessuti al silenzio. «Sei come noi», bisbigliò Tracey. «Non sei più mortale». Gli si accostò con una tristezza che le aveva spesso visto negli occhi ma Seth non capiva perché avrebbe dovuto essere triste in quel momento. Le si riempirono gli occhi di lacrime mentre lo abbracciava. «Cos’hai fatto?». Per la prima volta non fu sedotto da quell’abbraccio. Non fu tentato di stringere a sé la giovane Ragazza dell’Estate né provò un istintivo timore che gli facesse del male distrattamente. Si scostò. «Sono cambiato». Skelley la prese tra le braccia mentre lei cominciava a singhiozzare. Anche altre ragazze piangevano in silenzio. «È una cosa bella», disse Seth. Si sentiva più forte, più vivo e più sicuro delle proprie scelte di quanto non fosse mai stato. «È quello che desideravo». «Anche loro», rispose Skelley. «È per questo che piangono. Ricordano di avere fatto lo stesso sacrificio, lo stesso errore». Aobheall non piangeva né lo guardava corrucciata, anzi, gli mandò un bacio tra gli spruzzi. «Va’ dalla tua regina, Seth, ma sappi che la vita fatata non è dolce come immaginavi. Lei ha dovuto fare quanto era necessario per la sua corte». La tensione nel suo petto, i timori riguardo a cosa avrebbe scoperto al suo ritorno, aumentarono. Non aveva il cuore tanto pesante nel regno fatato, con Lasair. Lì era stato sereno. Lì

aveva avuto delle certezze. In quel momento, invece, mentre si avviava verso il loft della creatura che amava, sperava soltanto che quanto avevano costruito insieme fosse ancora abbastanza forte da poter essere salvato. Non disse nulla alle guardie che lo videro passare, non bussò. Aprì la porta ed entrò nel loft. Aislinn era lì. Gli zigomi più prominenti, come se fosse dimagrita troppo, e seduta ben più vicino a Keenan di quanto non facesse mai prima. Stava sorridendo, guardava il suo re, che stava dicendo qualcosa. Un attimo di assoluta immobilità e silenzio calò nella stanza. Keenan non si scostò da Aislinn ma ammutolì, con le mani a mezz’aria. Il sorriso di Aislinn svanì, sostituito da uno sguardo in cui lo stupore si mescolava all’incredulità. «Seth?». «Ehi». Da mesi non si era sentito tanto nervoso. «Sono tornato». Talmente tante emozioni si rincorrevano sul volto di Aislinn che Seth non ebbe il coraggio di fare un passo, ma poi, un istante dopo, se la ritrovò tra le braccia, che lo stringeva e si stringeva a lui, e gli parve che non esistesse cosa al mondo più perfetta. Piangeva, contro il suo petto. Keenan si alzò, senza tuttavia avvicinarsi. Era furibondo. Piccoli vortici di vento carichi di sabbia sferzarono la pelle di Seth. «Non sei più un mortale», disse il Re dell’Estate. «No». Aislinn si scostò per guardarlo. Fece un passo indietro senza lasciarlo andare. «Come hai fatto?». «Ho trovato una soluzione». Seth la strinse e le sussurrò: «Mi sei mancata». Keenan non pronunciò parola. Poi come un automa passò loro accanto e se ne andò. Aislinn s’irrigidì vedendolo uscire e per un attimo Seth si domandò se lo avrebbe seguito o se sarebbe rimasta con lui. «Keenan? Aspetta!». Ma il Re dell’Estate era già scomparso.

Donia sapeva chi era alla porta quando udì bussare. Le sue spie le avevano riportato la notizia del ritorno di Seth e della sua nuova natura fatata. L’arrivo di Keenan a quel punto era inevitabile. «Sapevi dov’era». Doveva sentirglielo dire. Era troppo tempo che si accontentavano di mezze verità e la situazione non era più tollerabile. «Sapevi che Seth era nel regno fatato». «Sì», confessò Keenan. Sulla soglia, la guardava con occhi in cui si specchiava un’estate perfetta, gli occhi che lei sognava praticamente da tutta la vita, chiedendole in silenzio di perdonarlo, di dire qualcosa che avrebbe fatto tornare ogni cosa a posto. Non poteva. «Ash lo scoprirà». «Ho rovinato tutto, vero?». «Tra voi due?», domandò Donia, senza avvicinarsi. Era necessario. Le aveva promesso l’amore e l’aveva abbandonata per corteggiare Aislinn. Nonostante la sua prevedibilità, era stato comunque doloroso. E adesso era venuto a farsi consolare. «Sì». «E con te?». Donia distolse lo sguardo. A volte l’amore non era abbastanza. «Credo di sì». «Così sono rimasto…», non riuscì a finire. «Ho rovinato tutto, Don. La mia regina… Non ho idea di cosa significherà tutto questo per la mia corte. Ti ho perduta. Niall mi odia… e Lasair

prova affetto per Seth, il mortale… la creatura fatata che io…». La guardò. Il sole che splendeva radioso sul suo volto quando era in preda a qualche turbamento sembrava averlo abbandonato. «Cosa farò?». Crollò ai suoi piedi. «Spera di essere trattato con maggiore generosità di quanta non ne abbia mostrata tu», sussurrò Donia. E prima di intenerirsi si allontanò, lasciandolo in ginocchio, solo.

Capitolo 33

Mentre le sue creature cominciavano a entrare, lanciando occhiate a lei e Seth e sussurrando commenti che preferiva non udire, Aislinn condusse Seth nella sua camera e chiuse la porta dietro di sé. Era l’unica stanza nel loft che fosse davvero sua, l’unico posto in cui non si sentiva di invadere uno spazio di cui non aveva il diritto di appropriarsi. Ormai il loft era la dimora della Corte dell’Estate. Erano cambiate così tante cose. Era cambiata anche lei. Seth, seduto sul letto, la osservava con la pazienza di sempre. Anche lui era cambiato, però, e non solo perché era divenuto una creatura fatata. Aislinn non riusciva a trovare le parole. Ci aveva pensato tanto, gli aveva parlato infinite volte nella sua mente, sussurrando frasi nel buio come se lui avesse potuto udirla. Adesso non sapeva cosa dire. Voleva confessargli che detestava che se ne fosse andato a quel modo, che l’aveva distrutta sapere che Niall era a conoscenza di dove lui si trovava e lei no, che era convinta che non sarebbe mai tornata quella di prima, che non avrebbe mai più amato nessun altro come aveva amato lui, che era stato doloroso persino respirare senza lui accanto. Non sapeva come dire tutte quelle cose, ma c’era qualcosa che doveva assolutamente dirgli. «Io e Keenan… ecco, Keenan mi sta… mi stava… corteggiando». Seth incrociò le braccia. «Vale a dire?». «Vale a dire che gli avevo detto che poteva provare a… farmi innamorare di lui. Che gli avrei dato una chance…». La guardava come se fosse stata lei a fare quel casino… Era lui che se n’era andato! Era stato via sei mesi senza neanche chiamare una sola volta. Crollò sul letto. «Cosa dovevo fare?». «Da quanto tempo?», domandò Seth. «Cosa?». «Da quanto tempo ti sei avvicinata a lui? Quanto tempo hai aspettato, Ash?». Fino a quel momento non era mai stata in collera con lui, mai, neanche una volta, ma appena sentì quelle parole avrebbe voluto schiaffeggiarlo. Dopo sei mesi di timori e di patimenti e di angoscia, permise alla rabbia di esplodere. «Mi avevi lasciato», disse sdegnata. «Mi era stata offerta la possibilità di presentarmi a chi avrebbe potuto offrirmi l’eternità al tuo fianco. È successo nel momento peggiore, ma…», s’interruppe. «Non sapevo che non sarei tornato per così tanto tempo. Mi dispiace che le cose siano andate in questo modo. Ho avuto una possibilità e l’ho afferrata al volo». «Ho aspettato. Ti ho fatto cercare. Ho cercato di parlare a Niall… a Bananach. Ho aspettato sei mesi». Intrecciò le dita per non mettersi a gesticolare. Non avevano mai litigato. Non c’era mai stato motivo di farlo. Si guardò le mani mentre la collera la abbandonava. «Credevo che tu mi avessi lasciato.

Niall mi aveva detto…». «Il Re del Buio che ti detesta ti dice qualcosa che ti fa dubitare di me e tu gli credi?», esclamò Seth inarcando un sopracciglio. «C’era una ragazza con te… quando mi hai lasciato quel messaggio…». «Bananach. La Guerra. Mi ha condotto lei da…». «Te ne sei andato con Bananach? Cosa ti eri messo in testa?». «Mi ero messo in testa che valeva la pena di fare un tentativo di conquistare l’eternità accanto alla persona che amavo», le rispose dolcemente. «Mi ero messo in testa che valeva la pena di rischiare per averti. Mi ha condotto da Lasair e io ho fatto un patto per poterti stare accanto in modo nuovo, per essere abbastanza forte da non avere bisogno di guardie e di baby-sitter, per avere la possibilità di amarti per sempre». «Che prezzo hai dovuto pagare?». Aislinn era terrorizzata. Da creatura fatata, come era anche Seth a quel punto, sapeva che il popolo fatato era famoso per avere sempre stretto accordi ben poco onesti coi mortali. «Un mese al fianco di Lasair ogni anno». «Sei stato lontano sei mesi». «Sono stato al suo fianco un mese. Nel regno fatato è passato un mese». Il suo sguardo la supplicava di capire, la implorava di dirgli che non aveva commesso un errore. «È stato Niall a dirmi che Lasair era l’unica forse disposta a farlo. Per me sono passati solo trenta giorni. Non sapevo che per te sarebbe stato diverso». «Così ogni anno…». «Ti lascio e trascorro un mese nel regno fatato che corrisponde a sei mesi tra gli uomini». «Per il resto della tua vita». Seth annuì. Aislinn cercava di dare un senso a tutto quello che era successo, di venire a termini con l’idea che lui le sarebbe rimasto accanto in eterno. Sentì battere il cuore all’impazzata quando pensò a cosa aveva rinunciato. «E quando sei là, com’è? Terribile?». «No, è un mondo praticamente perfetto. L’unica cosa che mi mancava eri tu», le disse incantato. «Il regno fatato è un luogo meraviglioso e io non devo fare altro che dipingere… nient’altro. Passeggio tra i fiori. Rifletto. Mi dedico ai miei quadri, alle mie sculture. È un vero prodigio». «E… Lasair?». Aislinn vide sul suo volto un’espressione di tenerezza e desiderio. «È perfetta. Gentile e delicata, saggia e divertente anche se non le piace ammetterlo…». «Oh…». Aislinn sentì una stretta allo stomaco. Non aveva trovato soltanto l’eternità, ma anche una nuova regina. Avrebbe voluto non essere gelosa, ma dopo tutti i timori che aveva nutrito per mesi, sapere che lui si stava innamorando di un’altra… «Perciò quando sei là, sei…». «No. Niente affatto», le rispose accigliandosi. «Lasair è la mia regina, la mia musa, la mia mecenate. È come avere trovato una famiglia, Ash. È la madre che non ho mai… non dico che Linda non mi ami… ma Lasair è… perfetta». Rimasero in silenzio per qualche minuto finché Aislinn non poté più sopportarlo. «E allora adesso?». Seth scosse la testa. «Non lo so. Cercheremo di trovare un modo di far funzionare le cose,

d’accordo?».

Ma le cose erano ben lungi dal funzionare. Lui aveva rischiato tutto per trascorrere l’eternità al suo fianco e lei aveva avuto così poca fiducia in quello che c’era tra loro da finire tra le braccia di Keenan. Ma stava già per finirci prima. Seth la guardò e dovette ammettere che forse non era la sua mortalità che aveva creato problemi tra loro, bensì qualcos’altro. Finché Aislinn fosse stata la Regina dell’Estate, sarebbe rimasta accanto al suo re. Ci sarebbero stati i Girotondi dell’Estate, gli incontri di corte e le discussioni con Keenan a tarda sera. E io ho fatto tutto questo solo per dover assistere a questa situazione per anni, per secoli. «Sei andata a letto con lui?». Doveva sentirglielo dire, doveva sapere. «Credevo che te ne fossi andato per sempre e non volevo innamorarmi di nessun altro… e lui è mio amico… ed è importante per me e…». «È un sì?». Il cuore gli stava battendo in petto con un rombo di tuono che gli echeggiava nelle orecchie. «No… Lui non ha voluto». Era sul punto di scoppiare a piangere. «Volevo smettere di soffrire. Mi sentivo svuotata e… Il mio dolore stava indebolendo la nostra corte». «Ti amo». L’attirò a sé e la baciò come aveva sognato di fare da quando era partito. Aislinn non oppose resistenza. Fu quasi come era sempre stato tra loro, però non abbastanza. Era stato paziente. Aveva cercato di non essere geloso di Keenan perché convinto che il Re dell’Estate avrebbe preso il suo posto alla sua morte. Non fu facile, ma si scostò da lei. «Non voglio più dividerti con lui. Mai più. Non sono più mortale. Non sono vulnerabile. E non accetterò di vedere nei suoi occhi lo stesso sguardo che c’è nei miei». «Non posso abbandonare la mia corte». «Né lui». Seth vedeva diversi fili svolgersi verso il futuro: c’erano sentieri che procedevano a zigzag e si ripiegavano su se stessi. Altri non era in grado di scorgerli con chiarezza, il che significava che contemplavano la sua presenza. In altri ancora, però, lei era al fianco di Keenan. «È il mio re», la sentì sussurrare. «Lo so, ma… re non significa innamorato né amante. Non necessariamente». Fu quasi sul punto di parlarle di quelle visioni, sebbene non fosse il momento. «Devo sapere se è lui che vuoi». «Amo te». «Dimmi che questo amore», e le accarezzò le labbra con un bacio, «non lo provi per lui. Dimmi che accanto a lui non senti battere il cuore. Se siete amici, mi sta bene, ma non credo che sia così. È da mesi che Keenan non è più soltanto un amico per te… da molto prima che me ne andassi». Aislinn lo fissava senza sapere cosa rispondere. «Anch’io sono una creatura fatata. Non so mentire e ti posso dire che non ho accolto nel mio letto nessun’altra, né mortale né fatata, da quando sono innamorato di te. Non mi ha neanche mai sfiorato il pensiero. Non ho mai desiderato nessun’altra. Mai. Solo te. Per sempre. Non voglio altro». «Cosa devo fare?», sussurrò Aislinn.

«Incomincia ad aprire gli occhi riguardo a Keenan». «Sarebbe a dire?», esclamò lei alzando il tono della voce, improvvisamente tesa. «Sapeva dov’ero, Ash», le rispose con dolcezza, per non ferirla, anche se non aveva più intenzione di permettere a Keenan di ingannarla. «Niall ha saputo dove trovarmi. E lo stesso valeva per Keenan. Vive in questo mondo da abbastanza tempo perché gli venisse in mente di cercarmi nel regno fatato». «Ma non è possibile. Forse…». «Chiediglielo», replicò Seth scrollando le spalle. «Ti dico che lo sapeva. Donia lo sapeva. Niall lo sapeva. Mi ci ha condotto Bananach. Lo sapevano tutti. Domandalo alle tue guardie. Alle Ragazze dell’Estate. Non saranno felici forse, ma se glielo chiedi, ti diranno la verità». «Quindi lo sapevano tutti», mormorò lei stringendosi le braccia al petto, «e nessuno me l’ha detto? Come hanno potuto fare una cosa simile?». «Cos’avresti fatto se avessi saputo dov’ero?». «Sarei venuta a salvarti». «La tua corte non è abbastanza forte per affrontare una guerra ed eravate nel bel mezzo dell’estate, travolti da un vortice di emozioni e passione. Se tu avessi fatto una cosa simile, sarebbe stato un disastro, ecco perché Niall non te l’ha detto. E Donia… immagino che non abbia parlato per amore di Keenan. Non voleva vedere la corte di Keenan, la tua corte, in ginocchio, anche se lui l’ha fatta soffrire». Guardandola negli occhi aggiunse: «Ma le creature dell’estate? È per loro che Keenan non te l’ha detto? O aveva anche altre ragioni?». «Mi vedeva distrutta. Come mi hanno visto tutti. Sanno quanto ho sofferto», rispose Aislinn tra le lacrime. «Lo sapeva e non lo… Perché?». Seth non avrebbe voluto farla soffrire ancora, ma ormai Aislinn doveva affrontare la questione. «Dimmi che non lo perdonerai. Dimmi che non stai già cercando un modo di giustificare quello che ti ha fatto». Aislinn lo guardò in silenzio, con il volto rigato di lacrime. «Gli hai perdonato i raggiri con cui ha fatto di te la sua regina. Gli hai perdonato le macchinazioni che sono costate alla tua corte l’amicizia di Niall e hanno fatto rischiare la vita a Leslie. E stai cercando di convincerti che non ti ha imbrogliato ancora una volta». Seth avrebbe voluto che lei gli rispondesse, che gli dicesse che si sbagliava, che le cose non stavano affatto così. Invece Aislinn rimase in silenzio. «Ti fidi di lui. Non so se sia perché è il tuo re o se preferisci vedere solo quello che c’è di buono in lui. Ma Keenan non è buono. Mi avrebbe ucciso senza la minima esitazione se avesse creduto di poterlo fare impunemente. È così, Aislinn. È talmente chiaro. Ai miei occhi, almeno. E a quelli di Niall. È ora che li apra anche tu. Devi farlo per me, per la tua corte, per te stessa». «Sarà il mio compagno per l’eternità». «No, il tuo collaboratore. Il tuo compagno sono io», disse baciandole la fronte, «per l’eternità, se mi vorrai. Può essere tuo re, tuo amico, tuo collaboratore. Non voglio tenerti sotto chiave, impedendoti di avere contatti con il resto del mondo, ma non voglio neppure dividerti con altri, specialmente con qualcuno che continua a ferirti. Se vuoi stare con lui, dimmelo. Devi capire cosa desideri veramente, Ash. Se desideri dirmi che esisto solo io per te, sai dove trovarmi. Ti aspetto». E se ne andò. Si sentì strappare il cuore a lasciarla così, ma non aveva più intenzione di accettare gli avanzi di Keenan.

Capitolo 34

Alla partenza di Seth, Lasair rimase nelle sue stanze, sola. Non era ancora pronta ad affrontare Devlin o le questioni di corte, né qualsiasi altra cosa. A dire il vero il suo unico desiderio sarebbe stato di seguire Seth per aiutarlo a risolvere i conflitti che avrebbe trovato al suo ritorno alla Corte dell’Estate. Per quanto un tempo fosse stata mortale, Aislinn era ormai l’epicentro dell’estate, una stagione di calore e frivolezza. Lasair conosceva Keenan abbastanza bene da sapere che la sua regina si sarebbe prima o poi arresa al suo fascino. «Stucchevole, sorella, davvero stucchevole», esclamò Bananach apparendo in giardino. Le sue ali di ombre avevano la concretezza di vere piume. «Stai piangendo il tuo giocattolo mortale?». «Gode della protezione del tuo re. E non è un giocattolo, né più un mortale, se è per questo», ribatté senza degnarla di uno sguardo. Ora più che mai la Regina dell’Alta Corte doveva apparire immutabile, per quanto si sentisse diversa. Malgrado la presenza della Guerra, per la prima volta, controllava perfettamente le proprie emozioni. «Mio dolce tesoro! Sarà ancora più facile manipolare i suoi pensieri, allora», esclamò Bananach prendendo in mano un pennello e annusandolo. «Devo dirti cosa troverà al suo ritorno? Devo raccontarti dei pianti e dei gemiti della sua reginetta?». Lasair inclinò il capo rivolgendole un vago sorriso. Aveva un peso sul cuore. La Regina dell’Estate era probabilmente tempestosa e volubile come le sue creature. «Perché mai dovrebbe interessarmi?». «Perché darà la colpa a te. Perché la metamorfosi e il ritorno di Seth Morgan hanno approfondito il divario tra le corti dell’Estate e dell’Inverno. Perché il Buio ringhia al pensiero delle conseguenze delle tue azioni, sorella cara», gracchiò la Guerra sottolineando ogni affermazione con impercettibili affondi del pennello di Seth nell’aria, come fosse una spada. «Niall sa dove è stato Seth e perché. Sono stata sincera con lui… così come lo sono stata con il mio vecchio re», aggiunse. Lasair si alzò per uscire e allontanare quella presenza sgradevole dalla stanza di Seth. Mentre la sovrana dell’Alta Corte le passava accanto, la donna corvo fece schioccare il becco con rozza e animalesca brutalità. «Non m’interessano i tuoi giochetti, Bananach». In giardino l’aria era fresca e la regina inspirò profondamente, lasciando credere alla sorella di avere bisogno di spazio, fingendo di essere preda del disagio che aveva sempre provato in sua presenza fino ad allora. Invece non la minima dissonanza giungeva a lei: percepiva la presenza delle ombre intorno a sé, ma ne era immune. Perché ho fatto di Seth mio figlio. La mortalità che le aveva trasmesso la rendeva diversa e Bananach non la sbilanciava più come un tempo. Sono cambiata. Alla Guerra non piacquero quelle parole ed esclamò, afferrandola per un braccio: «Credi sul serio che io non stia muovendo altre pedine?». «Sono certa che le tue trame sono quanto mai vaste», affermò Lasair sfiorando un mazzetto

di fiori di gelsomino e chinandosi su un piccolo biancospino a esaminarne le foglie. «Quando non ti lasci travolgere dalla tua sete di sangue, sei capace di grandi cose». Bananach piegò il capo con un verso di soddisfazione. «Posso essere fermata, ma la Ragione compie sempre degli errori. So aspettare. E quando tu metterai il piede in fallo, e gli altri sovrani si lasceranno andare a qualche imprudenza, avrò la mia carneficina». «Forse». Bananach lanciò un grido raccapricciante. «Sempre, alla fine, ottengo il sangue che bramo. Un giorno sarà il tuo e lo userò come belletto». Lasair strappò un rametto da un cespuglio per farle credere di averla spinta a perdere la calma. «Persino nei tuoi momenti di follia più delirante, non puoi dimenticare il legame che c’è tra noi. Non sai cosa potrebbe significare la mia morte per te. Come non posso saperlo io». «Significa che mi sbarazzerò del fastidio della tua razionalità», replicò Bananach accompagnando quelle parole a un disordinato frullo d’ali. «Se pensassi davvero che fosse così semplice, mi avresti già uccisa da tempo». Lasair strinse il rametto sino a sentirne le schegge nel palmo. Poi lo lasciò cadere e le mostrò la mano. «Il nostro sangue è lo stesso, immutabile, da sempre. Se siamo una creatura sola e tu mi uccidi, morirai?». La donna corvo la fissò facendo schioccare il becco. «Forse un giorno lo scoprirò», sibilò, ma senza fare un solo passo verso di lei. Continuò a osservarla, immobile. Il giardino era immerso nel silenzio. Per diversi secondi tacquero entrambe. «La Guerra è paziente, sorella mia dolce. Tu ti nascondi qui tra tomi polverosi e insulsi dipinti. La Regina Immutabile. Sovrana del Tedio e della Più Monotona Prevedibilità. Io muoverò le mie pedine… e tu prenderai le tue mediocri decisioni che non serviranno certo a impedire l’inevitabile». I tamburi di guerra di Bananach presero a rullare finché un’eco assordante si diffuse per tutto il regno fatato tanto da raggiungere il mondo degli uomini. «Si osservano l’un l’altra con diffidenza. La violenza non tarderà a scoppiare. Lo sento. Aspetterò… e tu sarai impotente come sei sempre quando io mi aggiro a seminare il caos». «Non avrai la tua guerra questa volta», affermò Lasair. Non si trattava di una verità, tuttavia, ma solo di un’opinione. «Perché? Mi seguirai, forse, sorella mia? Porterai il regno fatato tra i mortali per fermarmi?», cantilenò Bananach. Corvi che non facevano mai la loro apparizione nel giardino di Lasair presero a svolazzarle intorno e il terreno fu coperto da un grigio tappeto di vermi striscianti. Lei rimase immobile, ad ali spiegate. Sarebbe scoppiata la guerra. Se non succedeva qualcosa di nuovo, era fatale. Lasair non disse nulla. «Seguimi. Vieni a gettare scompiglio nel loro mondo», disse Bananach per provocarla. «Vieni a proteggere il tuo beniamino». «Non provare a toccarlo», l’avvertì la Regina Suprema avvicinandosi a lei. «Scatenerai le ire delle Corti dell’Estate e del Buio. Forse io non posso lottare contro di te, ma ti sguinzaglierò contro ogni creatura fatata ai miei ordini. Se gli farai del male, ti ucciderò». «Anche se la mia morte sarà la tua morte?», domandò Bananach inclinando la testa con un luccichio di curiosità negli occhi. «Sarà quel che sarà», concluse Lasair baciandola in fronte. «Hai perso questa battaglia, sorella mia. Non avrai la tua guerra». Bananach rimase in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, contemplando visioni di distruzione che le illuminarono il sorriso di raccapricciante allegria. «No, non sono ancora stata sconfitta».

E si allontanò con il suo seguito lasciando dietro di sé terra bruciata e fiori insanguinati.

Epilogo

Seth entrò nella dimora del Re del Buio. Niall non aveva mai voluto la sua presenza alla corte, prima. Quando ero mortale. Adesso le cose sono cambiate. Nessuno lo fermò: era benvenuto tra gli spiriti del buio, che lo avrebbero protetto anche a costo della propria vita se necessario. «Fratello», esclamò Niall vedendolo avvicinarsi al trono. Uno stuolo di creature delle ombre si fermò a osservare la scena. Seth vide i fili delle esistenze dei ly erg e delle glaistig intrecciarsi, poi la sua visione si fece all’improvviso confusa. Bananach. Non riusciva a vedere gli sviluppi della sua esistenza, ma ne percepiva la presenza. «Ho bisogno del tuo aiuto». Seth non s’inchinò ma abbassò il capo in segno di rispetto. Lui era una creatura fatata ormai e, che si dichiarasse suo fratello o no, Niall era pur sempre un sovrano. «Chiedi. Se non metterà in pericolo la mia corte», rispose il Re del Buio raddrizzando le spalle, «ti concederò sempre il mio aiuto». Seth lo guardò negli occhi. «Sono legato alla Regina dell’Alta Corte. Trascorrerò parte della mia vita al suo fianco, nel regno fatato, in eterno. Amo, riamato, la Regina dell’Estate. Ma in questo momento ho bisogno dell’aiuto del Re del Buio. Lasair mi ha trasformato in una creatura fatata offrendomi grandi doni. Ora devo fare ciò che è in mio potere per lei». «Non è certo volontà della Corte Oscura incoraggiare il desiderio di ordine dell’Alta Corte», esclamò Ani alla sinistra del suo re. Quella giovane, nelle cui vene il sangue mortale si mescolava a quello dei segugi di Gabriel, nutriva sogni di sangue che fino a quel momento Niall aveva sempre cercato di contenere. «Né tanto meno proteggere un beniamino della Corte dell’Estate», brontolò uno spirito dei cardi selvatici. Chela si accostò a Seth con fare protettivo. A quel punto calò un lungo silenzio. Seth continuò a fissare Niall. I fili della sua esistenza erano talmente tanti che era impossibili seguirli. Il sovrano delle ombre attese, animato da una speranza di cui neanche lui era del tutto consapevole. Quando Niall sollevò una mano, se non avesse posseduto una chiara visione dei fatti, Seth avrebbe potuto ritenere quel gesto casuale e disinvolto. Ma non era così: il sovrano delle tenebre era intimorito ed emozionato nel dirgli: «Dimmi cosa desideri». «Essere addestrato dai segugi di Gabriel. A volte è necessaria la violenza per riportare l’ordine». Seth fece scorrere lo sguardo sulle creature che lo circondavano per tornare infine a posarlo di nuovo sul loro re. «Devo imparare a difendermi e a inseguire, braccare, colpire. Mi aiuterai?». «Sarà un onore», dichiarò Niall. «Se i segugi sono d’accordo».

Gabriel scoppiò in una risata. Chela sorrise. Gli altri spiriti del buio fecero un cenno d’assenso. E a quel punto Seth s’inchinò al sovrano delle ombre. Vedeva svolgersi davanti ai propri occhi una miriade di possibilità future e, finché non avesse confessato che intendeva dare la caccia a Bananach, la Corte Oscura lo avrebbe aiutato. «Bentornato, fratello». Niall si alzò per abbracciarlo. «Questo cambiamento ti si addice». Era vero. Seth aveva uno scopo adesso. E la possibilità di vivere con Ash per l’eternità.

Ringraziamenti

Questo volume non ci sarebbe stato senza la passione e le intuizioni di Anne Hoppe. Grazie per avere creduto ai miei personaggi e condiviso con me il cammino. Questi libri sono tanto tuoi quanto miei. Tutto ciò che possiedo nella vita, compresa la scrittura, è possibile perché sono stata tanto fortunata da trovare un compagno che riempie i miei vuoti. Loch, sei tu che mi dai la fiducia e il coraggio di tirar fuori il meglio di me stessa. Grazie per essere sempre accanto nel corso dei miei viaggi, ad affrontare le ore più strane e le domande più bizzarre, su queste continue montagne russe di panico e allegria. Per scrivere è necessario ricaricarsi. Con la sua inesauribile pazienza mio figlio mi ha convinta a spingermi fin dove vivono le pulcinelle di mare. E mia figlia con la sua saggezza mi ha ricordato ogni tanto di prendermi una serata libera per una maratona di Buffy l’Ammazzavampiri. Per queste e mille altre ragioni, sarete sempre entrambi al centro del mio universo. I miei genitori continuano a sostenermi in ogni passo di questo mio cammino. Non avrei mai potuto fare tutto questo senza la sapienza e l’amore che mi avete donato negli anni. Tra i soliti sospetti, diverse persone mi sono state preziose nel corso dell’ultimo anno e poco più: Jeaniene Frost continua ad avere un ruolo fondamentale di critica letteraria e cara amica. Melissa Dittmar mi ha permesso di non perdere la bussola organizzando il mio universo. Alison Donalty e Mark Tucker mi hanno viziata con un’altra copertina favolosa. Patrice Michelle mi ha offerto brillanti commenti sul testo. Mark Del Franco, Kelly Kincy, Vicki Pettersson, Rachael Morgan, Jason Falivene, Kerri Falivene e Dean Lorey mi hanno tutti regalato equilibrio e parole ricche di saggezza. Più che amici, sono dei veri tesori. Grazie, a tutti. Profonda gratitudine va anche ai miei meravigliosi lettori. Un grazie soprattutto a chi ha trovato il tempo di venire a incontrarmi, a chi mi legge su www.wickedlovely.com e sul mio web forum (in particolar modo a Maria, Jennifer, Meg, Tiger, Pheona, Michaela e Raven) e asseconda il mio desiderio di chiacchiere. Mi avete tutti ispirato a cercare di fare sempre meglio. Grazie.