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27 APRILE 2019 TRIMESTRALE
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N°24 LUGLIO 2019
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Leonardo IL PIÙ GRANDE Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
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chi era veramente? • la gioconda, identikit di un mistero • automi e robot: le invenzioni più attuali • che fine ha fatto il dipinto della battaglia di anghiari? • dal sottomarino all’aliante: le macchine in 3d • il genio toscano testimonial della propaganda fascista
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LEONARDO IL PIÙ GRANDE
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iamo abituati a considerarlo un genio su tutti i fronti. Ma il “cervello in fuga” per eccellenza si trasformò in mito solo quando divenne un brand portavoce del made in Italy nel mondo. Ironia della sorte, il primo a coglierne le potenzialità propagandistiche fu un dittatore: Mussolini, che nel 1939, in pieno regime autarchico, celebrò Leonardo con una mostra ribattezzata “la Leonardesca” (vedi a pag. 74). Ma andiamo con ordine... Correva l’anno 1468 quando il padre di Raffaello, in visita a Firenze, annoverò il sedicenne Leonardo tra gli artisti di grido, insieme al Perugino. Ma quel ragazzo, che oggi definiremmo gifted, non solo era un pioniere del pensiero scientifico (suggerì di usare “occhiali per vedere la Luna” 60 anni prima di Galileo), ma ebbe anche l’intuizione che per spiegare un’idea, il funzionamento di una macchina o di una parte del corpo, un’illustrazione ben fatta vale più di mille parole. Grazie ai codici leonardeschi, infatti, gli studiosi possono oggi cimentarsi nella riproduzione delle sue opere, anche quelle incompiute. Ed è proprio così che abbiamo deciso di festeggiarlo su Focus Storia Collection: dando spazio, con ricostruzioni in 3D, ai suoi progetti più arditi e alle sue invenzioni più visionarie. Paola Panigas, redattore 6
IL “MITO “DEL RINASCIMENTO
Ricostruzione del leone meccanico realizzato da Leonardo nel 1515 per omaggiare il sovrano francese Francesco I.
pag. 10
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Ottimo ingegnere idraulico, Leonardo pensò a come attraversare i fiumi senza rischi. In tempi di pace e di guerra....
A cinquecento anni dalla morte di Leonardo facciamo il punto sul visionario artista di Vinci.
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AFFAMATO DI SAPERE
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COPERTINA: LEONARDO 3 / VENERANDA BIBLIOTECA AMBROSIANA/GIANNI CIGOLINI/MONDADORI PORTFOLIO
Leonardo fu pronto a sfruttare ogni occasione di lavoro pur di sperimentare.
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L’ETÀ D’ORO DELL’UOMO
IL TACCUINO DELLE MERAVIGLIE
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pag. 18
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L’AEREO DI LEONARDO
Nel Codice sul volo c’è il progetto di una macchina simile a un moderno aliante: ecco com’era.
DAL PEDALÒ ALLA CORAZZATA
Innamorato dell’acqua, Leonardo progettò pompe, cisterne, catamarani e addirittura l’antenato del sottomarino.
Il Manoscritto B: la più antica raccolta di appunti di Leonardo.
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TORCHI, CAMINI E GRU
In molti settori lo scopo di Leonardo era automatizzare, per rendere il lavoro meno faticoso.
Nel Quattrocento, in Italia, si verificò un fenomeno ancora oggi in parte inspiegabile: un’esplosione di genialità.
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MOBILI E ROTANTI
pag. 42
IL MAESTRO LEONARDO DA VINCI
Nell’arte, raggiunse obiettivi che sembravano impossibili: riuscì a dipingere l’aria, la voce, la sorpresa... insomma l’“invisibile”. 3
LEONARDO IL PIÙ GRANDE 54
IL VERO VOLTO DELLA GIOCONDA
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Leonardo non si limitò a suonare e cantare con “rara” abilità, ma ideò anche un gran numero di strumenti.
Dopo esami ai raggi X e indagini decennali, le ipotesi su chi sia la donna del ritratto più enigmatico restano molte.
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ANGHIARI CACCIA AL TESORO
Doveva essere il suo capolavoro. Ma il dipinto si rovinò e andò perduto. O forse no?
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pag. 58
106
pag. 70
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pag. 84
UN FIUME DI IDEE
Sull’Adda, in Lombardia, Leonardo sperimentò soluzioni rivoluzionarie in campo idraulico ed energetico. Che ammiriamo ancora oggi.
pag. 94
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L’ACQUA IN CITTÀ
Tutta la rete idrica regionale studiata da Leonardo doveva servire a rendere Milano una “metropoli” navigabile.
MEGLIO DI UNA TAC
Scenografie mobili e grandiosi effetti speciali: le regie di Leonardo lasciavano il pubblico a bocca aperta.
LA CITTÀ IDEALE
Leonardo fu anche un originale urbanista, in grado di progettare quartieri molto avveniristici.
NATURALISTA PER HOBBY
LO SPIELBERG DEL RINASCIMENTO
L’ESERCITO DEI ROBOT
Il genio toscano nascose forse nel Codice Atlantico le istruzioni per costruire un’armata di automi.
UN GENIO IN ORBACE
Il confronto con le tecniche moderne dimostra quanto fossero accurati i disegni anatomici del Maestro di Vinci.
GENERALE LEONARDO
Come sarebbe andata la Battaglia di Fornovo del 1495 se in campo ci fossero state le armi leonardesche?
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Leonardo cominciò a studiare il creato per poterlo dipingere meglio. Poi, però, si accorse che c’era tanto da scoprire...
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CHE FINE HANNO FATTO?
Nel 1939, all’apice del consenso al fascismo, una grande ma controversa mostra a Milano arruolava Leonardo come testimonial del “primato tecnologico e industriale” italiano.
LE ARMI DI UN PACIFISTA
Leonardo progettò bombarde a proiettili esplosivi, carri armati, cannoni a vapore, catapulte. Eppure non amava la guerra.
DIETRO I QUADRI
Le opere di Leonardo? Perse, rubate, fatte a pezzi, poi ricomposte, sparite e infine ritrovate...
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ANCHE I GRANDI SBAGLIANO
Disegni perfetti e studi geniali? Quasi tutti. Ma fra tante attività, anche a lui è capitato di fare qualche “cappellata”.
pag. 54
Simboli occulti nel Cenacolo, messaggi poco ortodossi nella Vergine delle rocce, psicodrammi nel dipinto di Sant’Anna.
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MUSICA, MAESTRO!
pag. 116
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QUI VISSE LEONARDO
Tra piccoli borghi e grandi città, sulle orme di un uomo che non si fermava mai.
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APPUNTAMENTI
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LETTURE
i d n a r g i e a d i a r t o r t e s p a o l c l s e a d l i l a h g luo
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INTERVISTA CON FRANCO CARDINI
IL “MITO” DEL
A cinquecento anni dalla morte di LEONARDO facciamo il punto
È lecito considerare Leonardo una sorta di “eroe” della civiltà occidentale? «Sì, ma senza esagerare, come fece invece Adolf Hitler, che arrivò a definire il genio toscano la massima espressione della razza ariana, lodandone tanto l’aspetto fisico quanto le opere. Di base, Leonardo era un artigiano che amava sperimentare, tornando più volte sui propri studi e sulle proprie opere e mettendosi continuamente in discussione. Tra gli aspetti decisivi nel determinare la sua grande influenza sulla cultura del tempo, oltre al genio, vi fu la sua longevità. Nato nel 1452, Leonardo si spense infatti a poco meno di settant’anni (1519): visse assai più della media dei suoi contemporanei, e ciò gli consentì di accumulare maggiori conoscenze ed esperienze». 6
Oltre a Hitler, anche Mussolini era un “fan” del genio toscano... «Sì, è vero, e nel suo caso a essere sottolineata era soprattutto l’italianità del talento di Leonardo, da celebrare al pari delle sue opere. Mussolini seguiva con estrema attenzione ogni manifestazione culturale, e per quanto riguarda il maestro toscano si impegnò a promuovere la “Mostra di Leonardo da Vinci e delle Invenzioni italiane”, tenutasi a Milano nel 1939» (vedi articolo alle pagine seguenti). Colpisce il fatto che Leonardo lavorò in moltissimi luoghi, spostandosi tra Firenze, Milano, Mantova, Venezia, Roma e raggiungendo infine la Francia. Questi continui spostamenti furono dovuti a particolari ragioni di opportunismo economico? «Leonardo, come tanti suoi colleghi, è sempre stato al servizio di chi gli permettesse di lavorare. E questo non perché pensasse ad accumulare denaro, ma semplicemente perché era sempre in cerca dei mezzi che gli consentissero
di portare avanti le proprie opere: d’altronde legno, metallo, pietre pregiate e carta costavano parecchio. Per sua fortuna, pur essendo un cane sciolto, fuori dai giochi di potere del Rinascimento, Leonardo venne costantemente richiesto, data la sua innata bravura». Fu molto richiesto, ma qualche volta fu anche “allontanato”, come quando dovette lasciare Roma con l’accusa di essere un negromante... «Sì, capitò che alcune abitudini di Leonardo, come il trafugamento di cadaveri, usati per gli studi di anatomia, o la cottura di occhi come fossero uova sode (una tecnica impiegata per conservarli), portarono alcuni a pensare che egli seguisse pratiche magiche. Fu però l’opinione pubblica a indurlo ad allontanarsi da Roma, e non una condanna ufficiale da parte dei tribunali ecclesiastici o civili, che non videro nulla di diabolico nelle sue pratiche». Come mai Leonardo usò spesso simboli “eretici” derivati dal neoplatonismo, dal pitagorismo e dallo gnosticismo, filosofie che mettevano in discussione il dio biblico? «Probabilmente perché conosceva bene le opere di Marsilio Ficino, l’umanista che nel 1463 iniziò a tradurre il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto, un testo neoplatonico di buon successo, e per questo si trovava a suo agio con i simboli gnostici, ma da qui a immaginarlo impegnato in dispute religiose e sette segrete, come qualcuno ha fatto, ce ne passa. Di certo, Leonardo era un cristiano inquieto: vedeva nella natura il vero ordine delle cose, con un atteggiamento panteista (il credo per cui in tutti i particolari del creato si trova la divinità), e se avesse realizzato alcune sue opere un secolo più MONDADORI PORTFOLIO/AGE
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eonardo da Vinci è considerato da molti l’incarnazione del genio rinascimentale e, più in generale, delle italiche virtù. Una personalità in grado di tramandare ai posteri straordinari capolavori artistici e una miriade di intuizioni e anticipazioni tecnico-scientifiche. Intuizioni nate a volte “copiando” e migliorando il lavoro di altri e persino occupandosi di un ambito che con l’arte ha apparentemente poco a che fare: quello bellico. Leonardo, infatti, provò a “vendersi” a Ludovico il Moro come ingegnere militare, anche se fu poi ingaggiato soprattutto come pittore e scenografo. Di questo campione dell’eclettismo e della sua immagine abbiamo conversato con il medievista Franco Cardini, nato e formatosi proprio dove iniziò la folgorante carriera di Leonardo: a Firenze, “culla” del Rinascimento.
RINASCIMENTO
sul visionario artista di VINCI tardi, cioè ai tempi della Controriforma, l’Inquisizione lo avrebbe verosimilmente arrestato e condannato. Ma tra XV e XVI secolo la Chiesa era più “elastica”, pronta a stupirsi di fronte all’originalità e alla cultura mostrate dal pittore, piuttosto che a scandalizzarsi».
ACUTO INGEGNO
A lato, elaborazione di una statua di Leonardo. In basso a sinistra, disegno leonardesco di un feto nell’utero.
GRZEGORZ PĘDZIŃSKI
Leonardo da Vinci può essere considerato un precursore del “metodo scientifico” teorizzato – oltre un secolo dopo la morte di Leonardo – da Galileo? «In comune, tra i due, vi fu soprattutto la fiducia nell’esperimento, quindi in una scienza che si fondasse non tanto sulle regole logico-dialettico-deduttive della “ragione”, quanto sull’esperienza diretta. Tuttavia, la visione di Leonardo, “omo sanza lettere” come egli stesso si definiva, rimase quella di un artigiano-artista, mentre Galileo aveva un approccio che potremmo definire da filosofo-scienziato».
a cura di Matteo Liberti
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Le sue MACCHINE da guerra lasciavano SENZA PAROLE i committenti, ma spesso si rivelavano INEFFICACI
ALAMY STOCK PHOTO
GRANDE TRA I GRANDI
A destra, nella Scuola di Atene di Raffaello (1510 circa) Platone, al centro dell’affresco, ha le sembianze di Leonardo. A sinistra, la statua di Leonardo (1847) nel loggiato degli Uffizi a Firenze.
Quel che è certo è che, al pari di Platone, Leonardo sosteneva che la pittura è lo “specchio” della natura... «Sì, ma ogni specchio cambia l’immagine riflessa a seconda di come lo si muove, e in questo caso il “movimento” è condensato nell’intuito dell’artista, che esplora scientificamente la natura per formulare teorie e tecniche da applicare all’arte. In tale dialettica è custodito l’aspetto “poetico” di Leonardo». Un “poeta” che deve peraltro parte della sua fama alla progettazione di macchine da guerra... «Probabilmente Leonardo avrebbe risposto che la società si regge sui conflitti e che, ai suoi tempi, non c’era la democrazia a regolarli. La guerra era dunque una conseguenza inevitabile degli insuccessi della diplomazia. Inoltre, a ben vedere le macchine che progettava servivano più a “impaurire” il nemico che a mietere vittime». Leonardo pensava che il progresso tecnologico passasse, come avviene oggi, proprio dagli strumenti bellici?
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«Per millenni la maggior parte delle risorse di ogni comunità è stata finalizzata alla guerra, di conquista o di difesa, ed è quindi ovvio che nelle “arti belliche” gli uomini abbiano imparato a esprimere, tecnicamente e scientificamente, il meglio di sé. E anche oggi, per l’appunto, gli sforzi di molte élites scientifico-tecnologiche ed economico-finanziarie sono diretti a investire nelle armi. Tornando a Leonardo, la sua dedizione a progetti bellici è piuttosto da leggere, almeno sotto un profilo “antropologico”, come perfettamente normale per la sua epoca. Del resto i suoi stessi datori di lavoro erano quasi sempre uomini di guerra. Va detto, poi, che le guerre del Rinascimento non erano ancora devastanti come quelle moderne e, soprattutto, che la maggior parte delle macchine belliche disegnate da Leonardo non trovò mai un’applicazione pratica». Nella sua vasta e multiforme opera, sia artistica sia ingegneristica, Leonardo ha mai mostrato qualche particolare “difetto”?
«Uno forse sì: la curiosità “estrema”, che lo portò a diventare esperto di tutto (come nel film Non ci resta che piangere, dove, dopo che Troisi gli parla del treno, si mette subito a progettarlo), ma non sempre con grandi risultati. Occupandosi di troppe materie, Leonardo ha infatti dovuto lasciare per forza di cose un buon numero di opere e progetti incompiuti, a volte anche per errori tecnici, dall’Adorazione dei Magi alla Battaglia di Anghiari».
circolo, diventava patrimonio comune della comunità degli studiosi. Si poteva quindi modificare o riciclare liberamente, come facevano tutti. Se Leonardo non fu un genio “assoluto” non è quindi perché “copiava”. Semplicemente, nella storia dell’umanità non sono mai esistiti “geni assoluti”. Ogni cosa è relativa e va confrontata con il contesto nel quale si presenta e con le funzioni che svolge. Inclusa l’opera di Leonardo». •
Alcuni sottolineano anche che Leonardo fosse un po’ “copione”, appropriandosi di frequente di idee e intuizioni di altri artisti e scienziati, peraltro migliorandole, e che per questo non possa in fondo essere considerato un genio assoluto... «Direi che si tratta di pseudo-problemi, utili ad alimentare forzature da romanzo, ma che non dovrebbero neanche sfiorare i veri studiosi. Definire Leonardo “plagiario” suona decisamente ridicolo, visto che tra il XV e XVI secolo brevetti e copyright dovevano ancora essere perfezionati. Qualsiasi idea o innovazione, una volta messa in
79 anni, fiorentino, storico medievista. Tra i suoi saggi più recenti: Nastagio degli Onesti: una storia archetipica, una novella del Boccaccio, un ciclo pittorico del Botticelli (Libreria Editrice Fiorentina). Potere e vendetta nella Firenze dei Medici (Laterza). Storia illustrata di Firenze (Pacini Editore).
FRANCO CARDINI
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BIOGRAFIA
Affamato di
SAPERE
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Leonardo fu sempre pronto a SFRUTTARE ogni OCCASIONE di lavoro pur di continuare a SPERIMENTARE: fu un genio anche per questo
CONCORRENTI
Francesco I di Francia mostra a Leonardo la Sacra famiglia inviatagli da Raffaello, in un dipinto settecentesco.
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI/G. DAGLIORTI
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entre varcava la soglia del Castello di Amboise (in Francia), portando con sé la Gioconda e gli inseparabili appunti, Leonardo trepidava di gioia. Era il 1517 e alla veneranda età di 65 anni aveva finalmente trovato il mecenate che cercava. Il re di Francia Francesco I di Valois lo aveva nominato “premier peintre, architecte, et mécanicien du Roi”, cioè “primo pittore, architetto e ingegnere reale”. Il che significava uno stipendio annuo di un paio di migliaia di scudi, oltre a vitto e alloggio. Era il degno coronamento di una vita di viaggi e di lavori disparati, al servizio degli uomini più potenti. Lavori il cui unico scopo era finanziare i propri studi in tutti i possibili campi del sapere. A bottega. La fame di conoscenza che lo portò a sfruttare ogni occasione di lavoro che la vita gli offrì (e lo spinse a cercarne sempre di nuove) caratterizzò Leonardo fin da piccolo. Se ne accorse presto il padre, Piero, rispettato notaio ben introdotto negli ambienti fiorentini (poteva annoverare anche i Medici tra i suoi clienti). Fu lui, intorno al 1470, ad accompagnare quel suo figlio illegittimo, ancora adolescente, in una delle botteghe più importanti del tempo, quella di Andrea del Verrocchio. Qui il ragazzo imparò subito a risolvere problemi pratici come quelli affrontati quando ebbe l’incarico di porre sulla cima della cupola di Santa Maria del Fiore l’enorme palla di rame dorata che la bottega aveva fuso. Ma qui, soprattutto, si cimentò per la prima volta con la pittura, con risultati da subito sorprendenti. Come nel suo intervento sul Battesimo di Cristo, classico esempio di allievo che supera il maestro: l’angelo dipinto da Leonardo, dai colori più fluidi e dall’angolazione innovativa, era decisamente meglio riuscito di quello vicino, del Verrocchio. Racconta il Vasari che il maestro fu così umiliato che decise di “non toccar più colori”. Nello stesso periodo Leonardo dipinse l’Annunciazione, quadro che, pur con qualche ingenuità, contiene già tutti gli elementi che lo faranno distinguere dai suoi contemporanei: dalla particolare disposizione delle figure al paesaggio che si vede sullo sfondo. 11
SCALA (4)
Nel 1476 fu tacciato di SODOMIA con altri allievi del Verrocchio. Ma L’ACCUSA venne poi archiviata TANTI PROGETTI
Sopra, da sinistra, l’Adorazione dei Magi (olio su tavola, incompiuto), conservato nella Galleria degli Uffizi, a Firenze; il ritratto di un giovane (forse lo stesso Leonardo) in un particolare dello stesso quadro.
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Certo è che quando – verso il 1475 – dipinse il ritratto di Ginevra Benci (rampolla di banchieri) quel giovane pittore che dipingeva “alla fiamminga” era già una celebrità per la borghesia fiorentina. Piove lavoro. Ma Leonardo non voleva limitarsi a dipingere. Si era già cimentato con il disegno tecnico, reinterpretando con nuove applicazioni le macchine della tradizione medioevale e, ancora prima, romana (come leve, carrucole, piani inclinati). Così si lanciò in progetti visionari, come sollevare il Battistero di Firenze, per aggiungervi alla base una scalinata. Fra tante commissioni, che ormai non gli mancavano, cominciò a lasciare a metà diverse opere. Nel 1478 gli fu chiesto di realizzare la pala d’altare della Cappella di San Bernardo in Palazzo Vecchio: non la portò mai a termine. E incompiuti rimasero sia il San Gerolamo sia l’Adorazione dei Magi, commissionatagli dai monaci di San Donato a Scopeto, che fu poi abbandonata con altri oggetti in casa
dei Benci. Secondo i biografi tanta inconcludenza si doveva al fatto che Leonardo, ormai stanco di Firenze, stava cercando nuovi lidi. La città delle opportunità. Nel 1482 Lorenzo de’ Medici decise di mandarlo a Milano, alla corte di Ludovico il Moro, forse come segno dei buoni rapporti tra le due corti, forse per timore di essere travolto dalla politica espansionista del duca di Milano. Per Leonardo la possibilità di entrare in contatto con quella che stava diventando una delle più importanti corti d’Europa fu un’occasione d’oro: Milano si trovava al centro di una regione nella quale non mancavano le opportunità di mettere in pratica le sue conoscenze tecniche, per esempio nella regolazione delle acque convogliate nella estesa rete di canali che il Moro stava facendo costruire per alimentare le tante tessiture. Per avere più possibilità di farsi accettare dal Moro, Leonardo si fece scrivere una lettera di presentazione (v. riquadro a destra) in cui mette-
Quel posto sarà mio
D va in luce le proprie capacità come ingegnere militare. Anche se, in cuor suo, considerava la guerra una “pazzia bestialissima”. Di testa sua. A Milano la sua personalità indipendente si andò definendo. Lo dimostra la storia del primo dipinto milanese. Il priore della Confraternita laica dell’Immacolata Concezione gli commissionò una pala d’altare: doveva rappresentare la Vergine in primo piano in un ambiente montano, vestita con un abito di broccato oro e azzurro, con il Bambino, un gruppo di angeli e due profeti. Il risultato, la Vergine delle rocce, era però ben diverso. L’episodio rappresentato (l’incontro tra i piccoli Gesù e san Giovanni Battista narrato nella Vita di Giovanni secondo Serapione), nonché il modo innovativo in cui Leonardo lo dipinse, scandalizzarono i committenti, che lo ritennero eretico. Senza fretta. L’atteggiamento di Leonardo non cambiò neppure quando il committente fu il duca di Milano in persona. Era troppo ansioso di speri-
PROGETTI AMBIZIOSI
Sopra, un ritratto settecentesco di Leonardo: fu a lungo, e a torto, ritenuto un autoritratto. In alto a destra, una serie di studi per il monumento equestre a Francesco Sforza (mai realizzato): il colossale cavallo in bronzo (in alto), l’imballo per il trasposto dello stampo (a sinistra), lo stampo per la fusione (al centro), uno schizzo del cavallo (a destra).
ecisamente scaltro. Quando si recò da Ludovico il Moro, nel 1482, Leonardo portò con sé una lettera di presentazione non autografa: si fece forse aiutare da un conoscente non digiuno di diplomazia. Ne uscì una sorta di curriculum studiato ad hoc, che astutamente metteva in luce le sue abilità di ingegnere militare proprio in un momento in cui il Moro coltivava l’ambizione di espandere il suo regno. Soltanto nell’ultimo punto (su 10), scrisse ciò che avrebbe potuto fare “in tempo di pace”, ovvero dipingere.
Guerrafondaio. Per il resto è un catalogo di opere belliche che prometteva di saper realizzare, dai “ponti leggerissimi e forti” alle “bombarde commodissime et facili da portare”, ai “carri coperti, securi et inoffensibili”. Non sappiamo quanti di questi progetti furono realizzati, e sembra che il Moro in battaglia raramente abbia fatto uso delle macchine leonardesche. Ma la lettera raggiunse il suo scopo e gli anni del primo periodo milanese di Leonardo, sotto la protezione di Ludovico il Moro, furono i più fecondi del Rinascimento.
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INTANTO NEL MONDO
1452 Leonardo nasce il 15 aprile a Vinci, figlio naturale di ser Piero e di una certa Caterina. 1470 È a Firenze, nella bottega del Verrocchio. 1472 È membro della corporazione dei pittori fiorentini, con Perugino e Botticelli. 1474 Esegue il ritratto di Ginevra Benci. 1476 È accusato di sodomia. Il processo si conclude con l’archiviazione. 1481 Inizia l’Adorazione dei Magi per i frati di San Donato. 1482 Si stabilisce a Milano, alla corte di Ludovico il Moro. 1483 Si dedica alla Vergine delle rocce. 1490 È a Pavia con Francesco di Giorgio Martini. Organizza la Festa del Paradiso, e dipinge la Dama con l’ermellino. Si stabilisce da lui un ragazzo, il Salaì, forse suo amante. 1495 Comincia il Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. 1499 Lascia Milano, occupata dai francesi. È ospite a villa Melzi a Vaprio d’Adda, poi a Mantova, dove incontra Luca Pacioli. 1500 È a Venezia e poi in Friuli, quindi rientra a Firenze. 1502 Cesare Borgia lo nomina ingegnere militare delle sue truppe. 1503 Torna a Firenze. Inizia la Gioconda e la Battaglia di Anghiari. 1506 Va a Milano chiamato da Carlo d’Amboise, governatore francese. 1508 Esegue lavori urbanistici e idrografici per i francesi. Progetta un monumento equestre (mai realizzato) per il condottiero Gian Giacomo Trivulzio. 1513 Si stabilisce a Roma, con Melzi e il Salaì, sotto la protezione di Giuliano de’ Medici, fratello del papa. 1514 Progetta la bonifica delle paludi pontine. 1517 Si trasferisce ad Amboise, in Francia, nel castello di ClosLucé, dov’è raggiunto dal Melzi e dal Salaì. 1519 Muore il 2 maggio. Lascia scritti e disegni al Melzi.
1453 I Turchi assediano Costantinopoli, che cade e dal 1465 diventa la capitale degli Ottomani. 1454 L’avanzata dei Turchi in Oriente spinge le signorie italiane a firmare la Pace di Lodi. Le grandi potenze italiane (Firenze, Milano, Venezia, Napoli e Roma) si uniscono nella Lega italica. 1455 In Inghilterra scoppia la Guerra delle due rose tra le casate Lancaster e York per il controllo della Corona. Avrà la meglio Enrico Tudor, capo dei Lancaster. 1462 Ivan III, gran principe di Mosca, si proclama per primo zar di tutte le Russie. 1469 Lorenzo de’ Medici eredita la Signoria di Firenze. La Toscana è “l’ago della bilancia” della politica italiana. 1472 Viene stampata la Divina Commedia. 1487-88 Il navigatore portoghese Bartolomeo Diaz doppia la punta meridionale dell’Africa. 1492 Il 12 ottobre Cristoforo Colombo approda nelle attuali Bahamas. Comincia la conquista europea dell’America. Granada, ultima roccaforte araba in Spagna, viene distrutta. Si conclude la Riconquista. I “re cattolici” (Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia) cacciano gli ebrei dalla Spagna. 1494 Carlo VIII di Francia conquista Napoli. 1504 Inizia il dominio asburgico e spagnolo in Italia. 1509 Enrico VIII diventa re d’Inghilterra. Non potendo ottenere il divorzio da Caterina d’Aragona, si stacca dalla Chiesa di Roma, creando la Chiesa anglicana. 1516 I portoghesi fondano una base commerciale a Canton, in Cina. 1517 Martin Lutero denuncia la corruzione della Chiesa di Roma. È l’inizio della Riforma protestante. 1519 Ferdinando Magellano comincia la circumnavigazione della Terra: la spedizione terminerà nel 1522. Carlo V d’Asburgo diventa imperatore tedesco: il suo regno va dalle colonie spagnole alla Germania.
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ABBOZZO
Un’opera giovanile mai terminata: il ritratto del figlio di Gian Galeazzo Sforza, Francesco.
SCALA
LA SUA VITA
L’ultimo LAVORO per il Moro fu la decorazione della SALA DELLE ASSE nel Castello sforzesco mentare cose nuove. Un esempio: intorno al 1490 ritrasse la bella Cecilia Gallerani, nel dipinto poi noto come La dama con l’ermellino, su uno sfondo nero e di tre quarti, mentre sembra guardare, insieme all’animale, un’azione che si svolge fuori dal quadro. E sperimentò anche quando ricevette l’incarico dal Moro di dipingere un affresco dell’Ultima cena, su una parete del refettorio del convento annesso alla basilica di Santa Maria delle Grazie. A Leonardo non piaceva la tecnica dell’affresco, che prevedeva di lavorare velocemente sull’intonaco “a fresco”. Quindi ne inventò una che gli permettesse di andare ogni tanto a dare anche una sola pennellata, continuando a seguire in contemporanea i suoi altri studi e lavori. Troppo tardi scoprì che in questo modo il dipinto si deteriorava molto rapidamente. Quando ancora Leonardo era in vita, complice l’umidità dell’ambiente, il Cenacolo era ridotto a una macchia di colore indistinta. Contro i “trombetti”. Nel frattempo Leonardo cercava di riscattarsi dalla sua condizione di “omo sanza lettere”, per non aver seguito particolari corsi di studi. E per rispondere ai “trombetti” (così definiva coloro che recitavano a pappagallo il sapere altrui) che lo deridevano, affermò che la regola della “vera scienza” era quella di basarsi sull’esperienza. E che “nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche”. Questi precetti accompagnarono anche il suo
Chi erano i suoi
DATORI DI LAVORO GLI SFORZA
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li Sforza erano condottieri romagnoli. Il loro nome originario era Attendolo: “Sforza” era il soprannome attribuito al capostipite Muzio Attendolo, capitano di ventura famoso per la sua forza. Il figlio naturale di Muzio, Francesco, prese il potere a Milano nel 1450, mettendo fine alla signoria dei Visconti e fondando il ducato. Errori. Lo Sforza più famoso fu Ludovico (1452-1508), detto “il Moro” (sotto). Il Moro aveva usurpato il trono del nipote Galeazzo Maria. Ma sotto il suo dominio la corte milanese diventò uno dei maggiori centri europei di cultura. Ludovico commise però un errore fatale per l’Italia. Nel 1494 si alleò con il re di Francia, inaugurando un’epoca di guerre per la conquista della Penisola.
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI /GIDAGLIORTI
Per vivere, Leonardo si mise al SERVIZIO dei POTENTI del suo tempo. CAMBIANDO spesso campo, e bandiera I MEDICI
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a famiglia che per tre secoli legò il proprio nome a Firenze aveva oscure origini popolane. I Medici cominciarono la loro ascesa alla fine del Duecento, come mercanti di stoffe. Il ramo della famiglia di maggior successo fu quello di Giovanni di Bicci, ricchissimo banchiere e padre di Cosimo il Vecchio, che fondò la signoria. Popolo. L’origine “plebea” diede ai Medici l’appoggio del popolo, che li vedeva come l’incarnazione di un nuovo tipo di potere: quello della borghesia che si era fatta da sé. Cosimo ideò il mecenatismo che fece di Firenze una capitale della cultura. Una tradizione proseguita dal figlio Lorenzo, “il Magnifico” (a sinistra, un ritratto).
IL RE DI FRANCIA
BRIDGEMAN/ALINARI
BRIDGEMAN/ALINARI
I
l re di Francia Francesco I di Valois (a sinistra, un ritratto) salì al trono nel 1515 grazie al matrimonio con Claudia di Francia, figlia di suo cugino, re Luigi XII. Alto un metro e ottanta (moltissimo per l’epoca), si lanciava nella battaglia alla testa dei suoi uomini. Dissanguò le casse dello Stato con le continue imprese militari e il suo regno fu segnato dal braccio di ferro con l’imperatore del Sacro romano impero Carlo V per il controllo dell’Italia. Un conflitto che finì per perdere. Arte. Era letteralmente innamorato dell’arte italiana e anche per questo partì subito alla conquista di Milano, una delle capitali del Rinascimento. Mecenate generoso, chiamò alla sua corte molti maestri italiani.
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GALLERIA D’ARTE MODERNA MILANO
COSTRETTO ad andare di città in città alla ricerca di un COMMITTENTE, Leonardo non ebbe mai veramente una SUA CASA ACQUA E ARIA
Sopra, Leonardo, in veste di ingegnere idraulico, mostra a Ludovico il Moro le Conche del Naviglio, in un dipinto del 1858. Proprio nel periodo milanese, il grande genio si dedicò anche agli esperimenti per “immergersi nell’aria”, cioè per il volo.
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sogno più grande: quello di realizzare ali per “immergersi nell’aria”, per volare, come diremmo noi. Non ci riuscirà, ma aveva certo ben presente l’analogia tra aria e acqua. E forse il fatto che le sue intuizioni siano andate così vicino al volo umano si deve anche al fatto che il Moro gli aveva dato molto lavoro come ingegnere idraulico. Neppure le macchine più stupefacenti nacquero dalla pura fantasia speculativa di Leonardo: molte furono il frutto dei suoi incarichi di scenografo. Nel 1490 curò la realizzazione della Festa del Paradiso, andata in scena nel Castello sforzesco per le nozze tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza. Fu un enorme successo. Inquietudini. Dopo il 1494, però, gli eventi precipitarono. Carlo VIII, re di Francia, varcò le Alpi, mentre i Medici vennero cacciati da Firenze. Leonardo, che aveva appena finito di realizzare gigantesche strutture per fondere il colossale cavallo che avrebbe dovuto celebrare la casata degli Sforza, vide il bronzo destinato alla statua dirottato verso
usi militari. Il Moro fu costretto a fuggire in Germania e Leonardo annotò con amarezza: “Il duca perse lo Stato e la roba e la libertà, e nessuna sua opera si finirà per lui”. Bisognava trovarsi un nuovo datore di lavoro. Sempre sul mercato. La prima tappa di Leonardo fu la città di Mantova, dove Isabella d’Este, che lo conosceva per aver reso bellissima l’amica Cecilia Gallerani, gli chiese di farle un ritratto. Lui accettò e oggi quel quadro è al Louvre. Ma per non perdere opportunità di lavoro, Leonardo non esitò a tenere il piede in più scarpe. Si avvicinò ai francesi, che pure avevano fatto imprigionare il suo ex mecenate, il Moro; mise a punto sistemi difensivi contro i Turchi per conto della Repubblica di Venezia, e intanto offrì i suoi servigi al sultano Bayazid II, progettando un ardito ponte sul Bosforo, a Istanbul. Alla fine lo trovò, il nuovo mecenate: il terribile Cesare Borgia detto il Valentino, condottiero spietato e crudele. Per conto suo viaggiò, tra il 1502 e
MONDADORI PORTFOLIO/AKG
il 1504, fra Toscana, Emilia, Romagna, Marche e Umbria, visitando fortezze e tracciando mappe. Nel frattempo portava avanti studi di ottica, astronomia, idraulica, geologia, anatomia. Le mire dei francesi. Tanto talento non poteva passare inosservato e così i francesi lo chiamarono a Milano. Qui, nel 1508, progettò una “villa di delizie” per Carlo II d’Amboise: un giardino con zampilli, strumenti musicali azionati dall’acqua e altre meraviglie meccaniche, come un colossale orologio idraulico con un automa che batteva le ore. Cinque anni dopo, quando gli Sforza tornarono a Milano con Massimiliano, figlio del Moro, Leonardo era troppo compromesso con i francesi e dovette fuggire. Stavolta andò a Roma, chiamato da Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. Qui entrò al servizio del fratello Giovanni, diventato papa col nome di Leone X, inaugurò un nuovo filone di studi e progettò di prosciugare le paludi pontine e il porto di Civitavecchia. Ma si fece anche la fama di stregone, perché nel frattempo continuava
i suoi studi di anatomia per trovare la “sede dell’anima”. Leonardo, allora, fece il suo ultimo viaggio. Verso la Francia. “Grandissimo filosofo”. Nel Castello di Amboise il grande genio trovò finalmente la pace. E ad Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona che nel 1517 andò a trovarlo, raccontò dei suoi mille progetti. Tra questi anche una città ideale e le scene per la festa di nozze del nipote del papa. Nonostante l’emiparesi destra che gli rendeva difficile parlare, era felice. Il suo ultimo committente gli dava lavoro, ma soprattutto lo rispettava come persona. Come riportò l’artista e scrittore fiorentino Benvenuto Cellini, anch’egli al servizio di Francesco I, il re, dopo la morte di Leonardo da Vinci nel 1519, disse che “non credeva mai che altro uomo fusse nato al mondo che sapessi tanto quanto Lionardo, non tanto di scultura, pittura e architettura, quanto che egli era grandissimo filosofo”. •
AL CAPEZZALE
Leonardo ormai moribondo, circondato da medici e allievi, viene visitato anche da una testa coronata: Francesco I di Francia, che lo ospitava ad Amboise.
Daniele Venturoli
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LA SUA EPOCA
L'ETÀ D'ORO Nel Quattrocento, IN ITALIA, si verificò un FENOMENO ancora oggi in parte inspiegabile: un’esplosione di GENIALITÀ
P
rovate a pensare a uno scienziato, architetto, pittore, poeta, inventore e matematico del primo Rinascimento italiano. Leonardo da Vinci? No, Leon Battista Alberti. E ora pensate a un architetto, pittore, scultore della medesima epoca. Michelangelo? No, Francesco di Giorgio Martini. I due esempi – scelti fra quelli delle tante menti poliedriche vissute più di mezzo millennio fa – ben dimostrano come il genio leonardesco, per molti versi insuperabile, sia in realtà solo la punta dell’iceberg di un’epoca segnata dalla singolare fioritura di “multiformi ingegni” d’ogni ordine e grado. Uomo universale. Umanesimo e Rinascimento, cioè gli anni che vanno dalla metà del Quattrocento a tutto il secolo successivo, furono un ininterrotto fuoco d’artificio della mente, complice un vero esercito di talenti capaci di giocare in contemporanea – e con risultati spesso prodigiosi – sui più diversi tavoli da gioco dello scibile. L’Homo universalis, versato in ogni campo del sapere ed erede di quella figura che gli antichi Greci chiamavano polymathes (“colui che ha imparato molto”), non nacque per caso: fu l’ideale punto d’arrivo di una visione del mondo che, attualizzando le parole del filosofo greco Protagora (V secolo a.C.), vedeva l’uomo come “misura di tutte le cose” in contrapposizione a un Medioevo dove tutto ruotava intorno a Dio. Nel suo Libro del cortegiano Baldassarre Castiglione (1478-1529) fece persino una lista di precetti (tra questi imparare l’arte della conversazione) per aspirare a questo status privilegiato. Aria nuova. Al di là di presunte “ricette di genialità”, comunque, l’eccezionale boom di intelletti superiori registrato in quegli straordinari 150 anni di Storia italiana è cosa non facile da spiegare. Un enigma sul quale si interrogavano già alcuni uomini dell’epoca. Per esempio Giorgio Vasari, artista e storico dell’arte che per primo applicò il termine Rinascimento ai propri tempi. 18
Nelle sue Vite riprese la “teoria delle arie” del greco Ippocrate (IV secolo a.C.) per spiegare quella primavera dei cervelli con l’“aere”, cioè il clima o l’atmosfera. Alcune spiegazioni moderne chiamano invece in causa la più rapida diffusione delle informazioni favorita dalle tecniche di stampa di Gutenberg (1450 circa); altre il periodo di relativa tranquillità politica seguito alla Pace di Lodi del 1454 fra Milano e Venezia, in guerra da mezzo secolo; altre ringraziano il pensiero laico e la ridimensionata leadership della Chiesa (messa in crisi da Lorenzo Valla, che nel 1440 dimostrò con gli strumenti della neonata filologia che la Donazione di Costantino alla base della presunta supremazia di Roma sulle altre Chiese era un falso); altre ancora il rapido sviluppo delle città italiane. A ben guardare, però, nessuna di queste spiegazioni sembra risolutiva: non si capirebbe altrimenti perché rivoluzioni come il capitalismo, la secolarizzazione e internet, insieme alla relativa pace, non abbiano prodotto nella nostra epoca un’infornata altrettanto cospicua di geni. In realtà, spiegano gli storici, furono concause, tutte necessarie ma nessuna sufficiente a spiegare da sola quel fiorire di intelletti brillanti. Non solo. Agirono pure cause meno evidenti, ma forse più decisive. Come l’inedita diffusione del disegno, che aprì la strada ai progetti dettagliati di palazzi e di chiese, ma anche di macchine stupefacenti come quelle di Leonardo, che però non furono certo le sole.
“Chi disputa allegando l’autorità non adopera lo ingegno, ma più tosto la memoria”.
ALBA FIORENTINA
Nel fotomontaggio, l’Uomo vitruviano (ispirato cioè alle teorie dell’architetto latino Vitruvio) di Leonardo sorge su piazza della Signoria a Firenze (in un disegno di metà ’500, opera di Baldassarre Lanci).
SCALA
DELL’UOMO
Un ruolo chiave ebbe LA PESTE del secolo prima: dimezzò la popolazione, favorendo il RINNOVAMENTO GENERAZIONALE dici. E persino una disfatta come la caduta di Costantinopoli in mano turca, nel 1453, si trasformò in un’occasione d’oro: grazie all’immigrazione verso Occidente dei sapienti bizantini in fuga dagli Ottomani, arrivarono in Italia le prime opere tradotte dal greco. Viva i pagani. Non si trattò di semplice ripescaggio o, peggio, di mera imitazione. «Il ritorno alla classicità fu solo il punto di partenza per formulare nuovi linguaggi, nuove espressioni artistiche, una nuova concezione dell’uomo e della natura», spiega Rossi. «Basti pensare agli elementi pagani presenti nella pittura di Botticelli (v. riquadro a destra) o alla rinascita della matematica innescata dalla traduzione di trattati greci d’epoca alessandrina (I secolo). Fu questa la vera novità dell’epoca, più ancora del contributo della scienza e della cultura araba, i cui studi astronomici e filosofici, in realtà, circolavano già in epoca medioevale». Altro marchio di fabbrica degli uomini del Rinascimento fu l’eclettismo: Leonardo & Co. si interessavano di tutto, esploravano il mondo saltabeccando da un sapere all’altro. Anche questo fu possibile solo in quel particolare momento, quando non esisteva ancora la scienza moderna, divisa in discipline settoriali. SCALA
Repulisti... salutare. Secondo Paolo Aldo Rossi, docente di Storia del pensiero scientifico all’Università di Genova, la “genialità diffusa” del ’400 ebbe però anche una molla meno nobile e quasi invisibile: il batterio Yersinia pestis, portatore della temibile peste nera che tra il 1347 e il 1352 uccise oltre un terzo della popolazione del Vecchio Continente (circa 25 milioni di persone). «Solo in Italia si calcola che morirono circa 100mila tra artisti e intellettuali», spiega Rossi. «La popolazione di Firenze, per esempio, si dimezzò. Questo comportò nei cento anni successivi un grande rinnovamento delle botteghe, con giovani artisti che passavano da un laboratorio all’altro e spesso soppiantavano i maestri, in un clima di interscambio e di più grande libertà espressiva rispetto al passato». In questo terreno fertile cadde il seme della riscoperta dei testi classici. Grazie a eruditi come il toscano Poggio Bracciolini (1380-1453) uscirono finalmente dalla prigione dorata delle biblioteche monastiche testi considerati perduti. Rispuntarono dalla polvere, quasi 1.500 anni dopo, le teorie architettoniche di Vitruvio e le idee di Cicerone insieme a quelle dei filosofi greci. A finanziare la ricerca c’erano famiglie di nuovi ricchi come i Me-
AMORE NEOPLATONICO
La Primavera di Sandro Botticelli (1482) segna la riscoperta dei miti classici ma cela anche significati filosofici sul concetto di amore: Botticelli era infatti seguace del neoplatonismo. Zefiro (1) e Clori (2) rappresenterebbero l’amore sensuale e irrazionale, che però è fonte di vita (Flora, la dea della fertilità, 3). Questa, con la mediazione di Venere (4), Eros (5) e Mercurio (6), simboli di amore spirituale, si trasforma in un amore perfetto (le tre Grazie, 7).
IN FUGA DAL MORBO
In alto a sinistra, in un dipinto di inizio ’500, un ex-voto per essere scampati al morbo della peste dopo un pellegrinaggio al santuario di Loreto (Ancona).
COSTA/LEEMAGE
I best seller del Rinascimento
C Libreria intarsiata nello studiolo di Palazzo Ducale, a Urbino (1474).
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he libri c’erano nella biblioteca di un genio del Rinascimento? Trattandosi di menti poliedriche, non dovevano mancare sorprese, ma questi erano i must: CLASSICI Le opere di Aristotele e di Platone (di quest’ultimo, in particolare, il Timeo); l’Iliade di Omero; le commedie latine di Plauto e Terenzio.
LETTERATURA MEDIOEVALE Dante, Petrarca e Boccaccio; san Tommaso e sant’Agostino. POLITICA E STORIA Le Vite parallele di Plutarco (I secolo d.C.); la Storia d’Italia di Francesco Guicciardini (1537); il Principe di Niccolò Machiavelli (1513). MATEMATICA De divina proportione di Luca Pacioli (1500); per gli appassionati di crittografia, il
De furtivis literarum notis di Giovanni Battista Della Porta (1563). ASTRONOMIA Almagesto del greco Tolomeo (I secolo d.C.). ARCHITETTURA De architectura di Vitruvio (I secolo a.C.). MEDICINA De materia medica del greco Dioscoride (I secolo d.C.); De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio (1543).
LESSING/CONTRASTO
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MATITE ALLA MANO
LUISA RICCIARINI/LEEMAGE
Due pagine del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti (1450). Nel ’400 ci fu un boom del disegno tecnico.
«Quello rinascimentale era un ambiente prescientifico. Della “rivoluzione” innescata nel Seicento da Keplero, Galileo, Bacone, Cartesio e Newton c’erano appena le avvisaglie», chiarisce Rossi. «Lo stesso Leonardo è stato a volte sopravvalutato come ingegnere: molte sue intuizioni furono troppo embrionali e alcuni suoi studi (quelli di ottica per esempio) mostrano un certo affanno». In altre parole: il territorio vergine era immenso e di conseguenza l’esploratore scopriva molto, ma senza metodo e un po’ alla rinfusa. Liberi. Il rovescio (positivo) della medaglia fu l’atteggiamento intellettuale di curiosità onnivora, quell’apertura totale che stimola a sperimentare in tutte le direzioni. In una figura come Girolamo Cardano troviamo per esempio riuniti il medico che descrisse per primo la febbre tifoide, il matematico che fece progredire l’algebra e l’ingegnere che inventò la serratura a combinazione e il giunto cardanico. «La scienza iperspecializzata di oggi è legata a specifici risultati di mercato, mentre quella dell’epoca era libera: il matematico o l’astronomo sviluppavano le loro teorie senza interessarsi troppo alla loro applicazione pratica. Allo stesso modo l’ingegnere e l’architetto portavano avanti ricerche e studi speculativi pur sapendo che per campare dovevano progettare 21
SCALA
BRIDGEMAN/ALINARI
Il caos creativo favoriva il genio
PROPORZIONATI
SCALA
A studiare le proporzioni del corpo furono, tra gli altri, il tedesco Albrecht Dürer (a sinistra), Cesare Cesariano (sopra) e Giovanni Antonio Rusconi.
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“L,
aria è piena di infinite similitudini delle cose: tutte si rappresentano in tutte, e tutte in una, e tutte in ciascuna”. Le parole sono di Leonardo, e secondo l’americano Michael Gelb, uno dei massimi esperti di genialità e pensiero creativo, rivelano la vera ragione delle incredibili performance dei geni rinascimentali: Leonardo e colleghi facevano uso del pensiero analogico, un metodo cognitivo ereditato dal Medioevo e che verrà abbandonato nei secoli successivi, con la nascita dei saperi settoriali. Conoscere tante cose in campi diversi permetteva di metterle in relazione, favorendo intuizioni nuove. Appunti. I taccuini leonardeschi, in effetti, erano in origine un’accozzaglia di appunti sui temi
più disparati, senza un ordine apparente. I codici come li conosciamo oggi sono invece frutto dell’arbitraria riorganizzazione di Pompeo Leoni (1531-1608) che separò i disegni artistici da quelli tecnici, le pagine letterarie da quelle scientifiche. Snaturando, di fatto, lo spirito leonardesco del “tutto in tutto”. Eredità. Il modo di procedere di Leonardo, tuttavia, non è stato del tutto abbandonato, ed è per esempio alla base di una tecnica di pensiero in voga nelle aziende moderne, il brainstorming. Per ottenere risultati originali, si lascia che le idee si intreccino una con l’altra, esprimendo spontaneamente tutto ciò che passa per la testa, senza il filtro (spesso limitante) della razionalità.
Molti mecenati FINANZIARONO artisti e scienziati: i MEDICI a Firenze, gli SFORZA a Milano, gli ESTENSI a Ferrara, i GONZAGA a Mantova... FINANZIATORI
ALBUM/ORONOZ/MONDADORI PORTFOLIO
La corte di Ludovico Gonzaga a Mantova, dipinta da Andrea Mantegna nella seconda metà del ’400. Sotto, San Gerolamo nel suo studio (1475), in cui Antonello da Messina raffigurò un tipico umanista.
fortificazioni e macchine da guerra». Il moderno cliché del ricercatore a senso unico, insomma, era lontanissimo dalla forma mentis di scienziati che erano spesso anche pittori o letterati o di poeti che erano anche giuristi, come Angelo Poliziano. «Leonardo scriveva fiabe e di Michelangelo ci sono giunti bellissimi sonetti», aggiunge Rossi. Importante, benché effimero, fu anche il contributo femminile. «Poetesse come Gaspara Stampa in pieno ’500 e, alla fine del Rinascimento, pittrici come Artemisia Gentileschi erano apprezzate per la loro sapienza oltre che per la loro arte», continua lo storico. «Questo filo rosa del Rinascimento, per la verità, risale indietro fino al Medioevo, epoca considerata misogina per eccellenza, ma nella quale esistevano eccezioni: la celebre scuola medica di Salerno annoverava, almeno fino al Duecento, professioniste di prim’ordine». Sponsor illuminati. Anche cinque secoli fa, però, scienza e cultura non potevano andare lontano senza denaro. Tanta abbondanza di geni non si spiegherebbe infatti senza la figura del mecenate, che nel Quattro-Cinquecento assunse tratti unici (e in stridente contrasto con i nostri tempi). Il principe protettore di arti e scienze era in primo luogo un politico
“Ogni azione fatta dalla natura non si pò fare con più brieve modo co’ medesimi mezzi”.
e un uomo di potere. Ma anche, in molti casi, un intellettuale disposto a investire sulla ricerca della conoscenza e del bello. Farsi dedicare un trattato di astronomia o abbellire la propria città con statue e monumenti erano certamente dimostrazioni di supremazia dinastica e forme di propaganda. Ma non si trattava solo di questo: i signori del Rinascimento volevano conoscere e non solo apparire. Per questo proprio Firenze divenne il maggiore polo culturale dell’epoca: la svolta avvenne quando Cosimo e Lorenzo de’ Medici favorirono lo studio dei testi antichi perché (forse per non apparire ricchi ma ignoranti) erano ansiosi di leggere in originale le opere di cui commissionavano le traduzioni. Anche la corte cambiò stile: un gruppo (ristretto per la verità) di persone colte, che amavano cenare insieme ascoltando Ludovico Ariosto, Torquato Tasso o Angelo Poliziano mentre leggevano brani delle loro opere, prese il posto del codazzo di compagni d’armi al fianco del signore-condottiero. «La cultura era molto meno diffusa di oggi, ma i suoi privilegiati custodi erano animati da un entusiasmo senza eguali», spiega Rossi. «In ambienti come la corte estense a Ferrara, quella dei Gonzaga a Mantova, degli Sforza a Milano o dei dogi a Venezia si respirava questa atmosfera». Persino Roma e l’ambiente curiale sembrarono accettare la centralità dell’uomo e nel primo Quattrocento papa Pio II fu un grande umanista, mentre molti suoi successori furono amanti delle arti. Certo, fu allora che la teoria eliocentrica di Copernico (è la Terra a orbitare intorno al Sole, e non il contrario) fu bollata come eretica, ma il fatto di essere un religioso non impedì a fra’ Luca Pacioli di porre le basi matematiche dei suoi laicissimi studi sulla “sezione aurea”: le proporzioni del bello andavano definite con i numeri, prendendo a modello le misure umane. «L’immagine dello stesso Leonardo che si aggira furtivo per cimiteri trafugando nottetempo cadaveri da sezionare in barba ai precetti curiali è una leggenda romantica: la Chiesa tollerava questa pratica già dal Trecento», conclude Rossi. Sana concorrenza. Fu dunque il mecenatismo il fattore decisivo? Forse. Eppure per il Vasari la spiegazione di quel boom c’era, ed era semplice e più “umanistica”: “È costume della natura, quando ella fa una persona molto eccellente in alcuna professione, molte volte non la far da sola, ma in quel tempo medesimo, e vicino a quella, farne un’altra a sua concorrenza”. • Adriano Monti Buzzetti Colella 23
L’INVENTORE
Il TACCUINO delle
MERAVIGLIE
Il Manoscritto B è la PIÙ ANTICA RACCOLTA di APPUNTI di Leonardo che ci è pervenuta. Un documento eccezionale, tornato in vita grazie alle ricostruzioni AL COMPUTER
D
a buon disegnatore e osservatore qual era, Leonardo aveva sempre con sé una penna o una sanguigna (all’epoca non esistevano matite) e un foglio su cui prendere appunti, annotare quanto vedeva in giro, riportare riflessioni, progetti, idee di ogni tipo. Migliaia di pagine. Molte di quelle pagine sono andate perdute, ma molte altre – e fortunatamente sono la maggior parte – sono arrivate fino a noi, raggruppate in vario modo in manoscritti e codici (come il Codice Atlantico o il Codice sul volo degli uccelli). Tra tutti i documenti di Leonardo, il più antico (insieme al Codice Trivulziano, conservato al Castello Sforzesco di Milano) è il Manoscritto B, che originariamente conteneva cento pagine. Leonardo lo scrisse tra il 1487 e il 1490, quando aveva 35-38 anni e viveva nella città lombarda. Questo documento è straordinario, perché mostra tutto l’entusiasmo 24
e la creatività del giovane artista, che già qui annotava idee che poi avrebbe sviluppato negli anni maturi della sua vita. Vi sono illustrati anche i suoi studi utopistici sulla città ideale, che costituiscono una parte importante del lavoro di Leonardo. Ma nel manoscritto c’è dell’altro: in queste pagine vi presentiamo le ricostruzioni in 3D di alcune tra le idee più sorprendenti, frutto di un approfondito studio dei ricercatori di Leonardo3. Cinquecentenario. In occasione delle celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci, i lavori dei ricercatori di Leonardo3 sono esposti nella mostra Il Mondo di Leonardo, a Milano, in piazza della Scala, a pochi metri dalla statua ottocentesca di Leonardo scolpita da Pietro Magni. Alla fine di quest’articolo troverete anche un coupon per un ingresso alla mostra scontato del 50%, valido fino al 31 agosto 2019. •
FRAMMENTATO E RICOSTRUITO
In alto a sinistra, ricostruzione al computer del taccuino di Leonardo, che conteneva 100 pagine. Di queste, 84 sono raccolte nel Manoscritto B conservato a Parigi, dieci sono diventate il Codice Ashburnham e le altre sono state ricostruite tramite testimonianze e documenti.
L’UOMO LIBELLULA re», nota Mario Taddei, autore dello studio e della ricostruzione. Sviluppi successivi. Peccato che non potesse funzionare. «Era una delle sue prime idee sul tema», spiega Taddei. «Solo più tardi Leonardo capì che la meccanica del volo degli insetti non si poteva applicare agli esseri umani, e sviluppò macchine più efficaci, ispirate al volo degli uccelli (v. articolo alle pagine successive)».
ILLUSTRAZIONI E RICOSTRUZIONI DIGITALI RESTAURATE LEONARDO 3
L
eonardo è famoso per i suoi studi sul volo. Ma una delle prime macchine volanti che progettò fu questa, descritta nel foglio 79r e ispirata al volo di una libellula (il cui studio si trova nello stesso taccuino, nel foglio 100v). È una macchina straordinaria, che si poteva azionare con le mani e con i piedi, «anche se è con le gambe che si poteva esercitare una spinta maggio-
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Nel manoscritto compaiono MOLTE IDEE che Leonardo avrebbe SVILUPPATO negli anni successivi
L’IPPOCARROARMATO
C
om’è possibile migliorare un’arma come un elefante, e renderla più sicura? Leonardo si pose questa domanda nel Manoscritto B, ispirandosi alle campagne di Annibale contro i Romani, e arrivò alla risposta nel foglio 59r. Il suo mezzo fortificato differiva da quelli che già altri avevano progettato perché era spinto non da persone, ma da due cavalli. E questo gli consentiva di essere utilizzato come
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un carro armato moderno, invece che solamente come una “semplice” arma d’assedio, com’era prima. Varianti. Leonardo lo pensò in più varianti, per esempio come imbarcazione o come postazione rotante da collocare su una torre (v. articolo alle pagine seguenti). Nella ricostruzione in questa pagina, sono state aggiunte le spingarde, che Leonardo aveva progettato in un altro disegno, e una corona di lame.
LAVORARE LA PIETRA
N
el Manoscritto B Leonardo affrontò un tema tipico dell’urbanistica rinascimentale: la pianificazione di una “città ideale”. E lo fece considerando anche le macchine da usare per la costruzione, come questa descritta nel foglio 51v. Si trattava di un trapano per forare le pietre, azionato dalla forza muscolare. Un operaio tirava la corda, mettendo in rotazione un asse al quale (nella parte alta) era
collegata una ruota che faceva da volano. Al termine dell’operazione, grazie all’inerzia del volano, la macchina continuava a girare, facendo riavvolgere la corda in senso inverso al precedente. A questo punto si poteva ricominciare, garantendo la continuità dell’azione del trapano. Punta calda. In basso, c’era un contenitore per l’acqua necessaria a raffreddare la punta (che, altrimenti, si sarebbe fusa).
Alcune ANNOTAZIONI sono idee (e invenzioni) ORIGINALI, altre sono APPUNTI tratte dai libri sui quali STUDIAVA
L’UOMO-RANA
N
el repertorio delle idee belliche leonardesche non poteva mancare la versione dell’epoca di quelli che oggi sono gli “uomini rana”, ossia i sommozzatori della Marina, con tanto di pinne, salvagente e mano palmata (l’analogo di una pinna). È un disegno che compare nel foglio 81v. Solo appunti, ma... Non bisogna, però, pensare che si trattasse di una sua invenzione: «Leonardo
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stava studiando l’equipaggiamento perfetto degli “uomini rana”, dagli antichi Romani al Medioevo», spiega Mario Taddei, «e riprese questi disegni dal Trattato di architettura civile e militare del contemporaneo Francesco di Giorgio Martini: si trattava di appunti di studio. La cosa più interessante, però, è che quest’idea gli fornì l’ispirazione per la macchina volante che avrebbe sviluppato in seguito».
LA FORTEZZA IMPRENDIBILE
L
eonardo ha rilevato, studiato e progettato un’infinità di fortezze. La particolarità di questa, che compare nel foglio 12r, consiste nelle barre a forma di croce che si trovano sulle torri. Tagliateste. Per capire come funzionavano, immaginiamo di essere gli assedianti. Per prendere la fortezza, dovremmo innanzitutto superare il fossato, oppure i due ponti diametralmente opposti protetti da altrettante
fortificazioni. Entrambi i compiti non sarebbero facili. Ma, a questo punto, a meno di sfondare le porte, non avremmo altra scelta che arrampicarci sui muri, con l’aiuto di scale, oltrepassando le feritoie dietro le quali si celano gli arcieri o i buchi da cui sparano i cannoni. Sarebbe più probabile arrivare in cima a una delle due torri, ma lì troveremmo la sorpresa delle barre rotanti, che ci trancerebbero letteralmente la testa.
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L’ULTIMA PAGINA del manoscritto è la prima che Leonardo disegnò. Contiene una FARFALLA, un pipistrello, un pesce volante e una LIBELLULA SVEGLIA!
Q
uesta originale invenzione non è tra le più famose di Leonardo, ma certamente tra le più sorprendenti. Ad acqua. Disegnata nel foglio 20v, è l’antenata della moderna radiosveglia, ed era azionata da un orologio ad acqua. Il liquido, cadendo da un imbuto in legno dotato di un piccolo orifizio, andava a cadere e ad accumularsi in un secchio. Fino a quando, alle prime luci del mattino o in un altro mo-
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mento prestabilito, il peso diventava sufficiente ad azionare la leva. Il secchio, allora, cadeva in basso (lo spostamento dell’acqua all’interno del contenitore, tra l’altro, contribuiva ad accelerare questa fase), facendo sollevare la parte opposta del meccanismo, dov’erano poggiati i piedi del dormiente. In questo modo si veniva svegliati al momento opportuno, dolcemente, con un discreto sollevamento delle estremità.
LA PALLA INCENDIARIA
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antasia artistica e tattica militare si mischiano in modo micidiale in questa invenzione di Leonardo descritta nel foglio 4r. Mix esplosivo. Si tratta di una sfera di circa un metro di diametro, presumibilmente, che all’interno conteneva polvere da sparo circondata da canne (orientate verso l’esterno) e da panni di lino imbevuti di fuoco greco (una miscela di sostanze esplosive usata dai bizantini).
La sfera veniva incendiata e lanciata nel campo nemico. Atterrando, a causa dell’urto con il terreno, le canne facevano aprire il contenitore interno, dando fuoco alla polvere da sparo. Risultato: i panni incendiati andavano in frantumi e venivano sparati in tutte le direzioni. «Si otteneva un effetto simile a quello del moderno napalm», dice Mario Taddei: «questa è una delle trovate più diaboliche di Leonardo».
COUPON PER L’INGRESSO SCONTATO IN MOSTRA
Questo coupon in originale (non sono valide copie né riproduzioni di alcun tipo) dà diritto a uno sconto del 50% sul biglietto intero di 12 euro di ingresso alla mostra “Il Mondo di Leonardo” – dove troverete le invenzioni di questo articolo e molto altro – aperta tutti i giorni dalle 09:30 alle 22:30 in Piazza della Scala (ingresso Galleria Vittorio Emanuele) a Milano e vale una sola volta, per una sola persona. Deve essere presentato direttamente in biglietteria assieme alla rivista e non va ritagliato. Non è valido per sconti su altre tipologie e/o tariffe di biglietto, e non è cumulabile con altre campagne. Il coupon scadrà inderogabilmente il 31 agosto 2019.
50% SCONTO Per chi presenta il coupon alla mostra
Tagliando valido fino al 31 agosto 2019 Tutti i giorni dalle 9:30 alle 22:30 compresi festivi Ingresso Galleria Vittorio Emanuele
ILLUSTRAZIONI DI LEONARDO3
L’INVENTORE
L’AEREO di Leonardo
Nel CODICE DEL VOLO c’è il progetto di una macchina in legno e lino (o seta), simile a un moderno ALIANTE: ecco la sua RICOSTRUZIONE al computer. Il genio toscano l’aveva ideata per VIAGGIARE e per... trasportare neve d’estate
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U IL GRANDE NIBBIO
A sinistra, la macchina disegnata nel Codice del volo ricostruita al computer: per progettare questa sorta di aliante Leonardo si ispirò al nibbio. L’idea, sviluppata anche nel Codice Atlantico, non fu mai realizzata.
n quaderno di 18 pagine, scritto in pochi mesi, che contiene le istruzioni per costruire e pilotare una macchina volante. Un aereo-aliante in grado di planare e sfruttare i venti: per viaggiare e forse anche per trasporti... refrigeranti: “Porterassi neve di state (d’estate, ndr) nei lochi caldi, tolta dalle alte cime dei monti e si lascerà cadere nelle piazze, nelle feste, nel tempo dell’estate”. Quattro tomi. Non è il sogno di un bambino. Quel quaderno fu scritto, nel 1505, da Leonardo da Vinci: oggi è noto come il Codice del volo, custodito alla Biblioteca Reale di Torino. Il trasporto di neve come sistema di “raffrescamento” per le città è una delle singolari applicazioni per questa macchina volante. Oggi le sue istruzioni (piuttosto complesse) sono state riprodotte con la grafica a tre dimensioni dal centro di ricerca Leonardo3: qui, grazie ai computer, il suo “aereo” ha preso vita. «Sappiamo con certezza che Leonardo aveva intenzione di scrivere un vero trattato sul volo, in quattro tomi, come si legge chiaramente in un suo appunto sul foglio 3 recto del Manoscritto K», spiega Edoardo Zanon, il ricercatore di Leonardo3 che ha approfondito questi argomenti. «Era un’opera ambiziosa, che
ha ossessionato Leonardo per tutta la vita, senza che egli probabilmente la portasse mai a compimento». L’analisi del contenuto del Codice del volo è iniziata da un altro manoscritto, al quale, in origine, il Codice apparteneva: il Manoscritto B, che contiene una serie di disegni di ali meccaniche per volo battente. «Riproducendole al computer, abbiamo capito che non poteva trattarsi di veri strumenti per il volo, ma di macchine teoriche destinate allo studio: quelle che hanno permesso a Leonardo di capire che il volo battente, cioè muovendo le ali come gli uccelli, era naturalmente precluso all’uomo, data la scarsa forza dei suoi muscoli rispetto al peso delle ali», spiega Zanon. È questa considerazione che ha spinto Leonardo a scrivere un breve trattato pratico, nel quale mettere da parte il volo battente per occuparsi del volo “a forza di vento”. Pilota ingabbiato. «Nel testo, Leonardo inizia con l’osservazione del volo degli uccelli, in particolare del nibbio», spiega Zanon. «Quest’ultimo è un uccello che si muove sfruttando venti e correnti termiche, riducendo al minimo il battito d’ali. Leonardo ne studia i movimenti, la distribuzione del peso e del baricentro e perfino il profilo delle ali (vedi riquadro sotto): da qui ricavò i concetti-ba-
Da Leonardo ai fratelli Wright: la fisica del volo
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e pagine 9 e 10 del Codice del volo contengono annotazioni scientifiche sorprendenti: in pratica, Leonardo da Vinci è arrivato a un passo dal comprendere il segreto del volo studiando il profilo dell’ala degli uccelli. «Sono piccolissimi dettagli a margine del foglio, ma dimostrano come Leonardo da Vinci avesse compreso una cosa importantissima», dice
Edoardo Zanon. «La divisione del flusso d’aria in due parti, sopra e sotto l’ala, che esercitano “quasi la stessa forza”».
Portanza. Pur non arrivando mai al concetto di differenza di pressione atmosferica, Leonardo da Vinci riuscì a intuire quel
principio che porterà, quattro secoli più tardi, i fratelli Wilbur e Orville Wright a effettuare il primo volo a motore della Storia: oggi come allora, gli aeroplani sono sostenuti in aria grazie al loro profilo alare, che, a una certa velocità, crea una differenza di pressione (maggiore in basso, minore al di sopra dell’ala) in grado di mantenerli in volo.
IL SEGRETO DELLE ALI
Da sinistra, uno studio al computer della macchina, l’azione del vento sulle ali di un uccello e l’effetto della coda.
Largo 15 METRI e alto 2: le dimensioni di un DELTAPLANO di oggi. Il primo a usarlo fu l’inglese Otto Lilienthal a fine ’800 se per costruire la macchina volante». Una macchina che, però, Leonardo non disegnerà mai nella sua interezza: tanto che, in effetti, manca il suo progetto completo nelle pagine del Codice. «Ma anche senza fornirne un disegno finito, Leonardo ha lasciato diversi indizi», continua Zanon. «Prima di tutto le dimensioni: 30 piedi di larghezza (più o meno 15 metri di apertura alare) e circa 4 piedi (un paio di metri) di altezza. Poi le indicazioni sulla struttura che deve ospitare il pilota: da alcuni schizzi a margine del testo si intuisce la forma di un uomo ingabbiato in un abitacolo, svincolato dal busto in su e con le braccia libere, per manovrare i tiranti che agiscono sulle ali. Queste ultime si potevano aprire, chiudere e orientare».
Scienza dei materiali. L’aereo di Leonardo ha un sistema molto sofisticato di regolazione della superficie alare: «Leonardo non poteva conoscere il concetto di portanza. Ma dalle sue sperimentazioni pratiche e dall’osservazione della natura è arrivato a dimensionare la misura delle ali in modo sorprendente. Al punto che la sua macchina, alla luce delle moderne conoscenze aeronautiche, potrebbe davvero riuscire a volare», osserva Zanon. L’attenzione del Maestro ha toccato molti particolari costruttivi, compresa la scelta dei materiali: legno (forse di palissandro) per la struttura, taffetà (una seta) o lino trattato per le ali. Leonardo scrisse esplicitamente di non usare metalli per snodi e giunture, per non appesantire la struttura e per non logorare le parti in legno a causa dello sfregamento. Non solo: «Il genio toscano arrivò anche a suggerire l’utilizzo di un materiale costruttivo “potenziato”, proprio come facciamo oggi quando produciamo il carbonio per le scocche delle auto di Formula 1». Corso di pilotaggio. Il “carbonio” di Leonardo è il cuoio maschereccio: una pelle di bovino molto resistente, trattata con solfato di alluminio e grasso. «Leonardo, nel particolare di un disegno, suggerisce che per ridurre a uno solo i quattro tiranti in cuoio “normale” che manovrano un’ala, bisogna usare il maschereccio: un esempio (in anticipo sui tempi) di applicazione della scienza dei materiali, per ridurre peso e complessità della macchina». Per di più, come sempre in grande anticipo sui tempi, Leonardo aveva già compreso un concetto molto moderno. E cioè che, per far volare un uomo, prima di tutto bisogna metterlo in una situazione di sicurezza (vedi riquadro in alto a destra). Per finire, in alcuni fogli, diede precise istruzioni al pilota della macchina, spiegando che cosa si deve fare in caso di ribaltamento. «Le operazioni che suggerisce vengono ancora una volta dal comportamento degli uccelli, in particolare quando affrontano due situazioni: la prima, se il vento tende a rovesciare l’uccello investendolo dall’alto, la seconda, dal basso. La manovra da fare, in ambo i casi, consiste nella chiusura di un’ala, avvicinandola al corpo-macchina: così il vento investirà una superficie minore, riducendo la propria forza e consentendo il controllo», conclude Zanon. Un concetto non lontano dalle tecniche di manovra della moderna aeronautica. • Carlo Dagradi
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E c’è pure l’airbag, anzi: il “water-bag”
“P IN CASO DI EMERGENZA
A sinistra, la cintura di otri riempiti d’acqua pensata per proteggere il pilota.
ersuadere dall’audace impresa che solleva obiezioni”: era questo il titolo che diede Leonardo al foglio 16 recto del Codice del volo, dove spiegava quanta forza serve a sostenere in volo il proprio peso e quello della macchina. Sicurezza. Non solo: Leonardo sottolineò, in uno schizzo, l’importanza di un sistema di emergenza per proteggere
il pilota dalle cadute a bassa quota. Cadere a terra da 10 metri, infatti, è ben diverso che farlo in acqua: in base a questo ragionamento, Leonardo progettò una cintura di otri di pelle, riempiti d’acqua e avvolti intorno al pilota. Così, se la macchina fosse precipitata, l’impatto sarebbe stato attutito da questi “salsicciotti”. Il sistema rudimentale si avvicinava al concetto dei moderni airbag.
IL PROTO-ELICOTTERO
A destra, la “vite aerea” descritta nel Manoscritto B: un’alternativa ai modelli di aereo ad ala battente. La particolarità consiste nell’enorme vela a elica, che ruotando doveva avvitarsi e sollevarsi in volo.
PILOTA AI COMANDI
A sinistra, il disegno di Leonardo ricostruito con l’aiuto della computer grafica. A destra, una ricostruzione della postazione da cui manovrare le ali.
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L’INVENTORE
Ottimo INGEGNERE IDRAULICO, Leonardo pensò a come
ILLUSTRAZIONI DI LEONARDO3
MOBILI E
DESIGN ULTRAMODERNO
Costituito da una sola campata, il ponte mobile era riservato al passaggio di persone a piedi: il perno centrale rendeva impossibile il transito ai carri.
PERNO CENTRALE CASSONE SISTEMA A CONTRAPPESO
CARRUCOLA ARGANO 36
Schema di funzionamento del ponte rotante. Dietro al perno centrale c’è un cassone riempito di pietre, pesante quanto il resto della struttura, che fa da contrappeso. Grazie a un argano, basta una persona per farlo ruotare (a lato).
attraversare i FIUMI senza rischi. In tempi di PACE e di guerra...
ROTANTI L
eonardo era innamorato dell’acqua, ma non la considerava soltanto un bene indispensabile alla vita: era per lui strumento di lavoro, forza motrice e via di comunicazione. E ne era affascinato anche dal punto di vista naturalistico (vedi articolo alle pagine seguenti). Per eserciti e non. Per Leonardo l’acqua andava governata, gestita, ma anche affrontata come in un difficile campo di battaglia. Ingegnere civile e militare, Leonardo dedicò una parte dei suoi studi alla realizzazione di ponti per il superamento di fiumi e canali, ottimi per gli eserciti e funzionali in tempo di pace: ponti “leggerissimi e forti”, come li ha definiti lui stesso nella lettera di presentazione a Ludovico il Moro del 1482. I ponti di Leonardo hanno caratteristiche precise. Possono muoversi (come quello di queste pagine) ruotando per consentire il passaggio di navi, sono leggeri (per permettere agli eserciti di trasportarne i pezzi con facilità) e possono essere montati e smontati velocemente (vedi ricostruzione sotto). Passaggio per navi. Nel Codice Atlantico sono raffigurati diversi ponti: da quello “autoportante” (che si monta senza chiodi, funi o ferri) a quello di barche (utilizzato ancora oggi dal Genio pontieri) per arrivare al ponte girevole, dal design sorprendente, affusolato ed elegante. La sua forma, però, non è solo bella: risolve il problema dell’apertura per il passaggio di navi con un contrappeso a cassone che rende il ponte spostabile con la semplice forza di una sola persona. E tanto velocemente da essere anche, come i ponti levatoi dei castelli, un’ottima difesa per fermare l’avanzata dei nemici. • Carlo Dagradi
SENZA CORDE NÉ CHIODI
Un altro tipo di ponte, modello “autoportante”. Per costruirlo basta assemblare tronchi d’albero opportunamente incastrati.
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L’INVENTORE
TORCHI, CAMINI e GRU In molti settori lo SCOPO di Leonardo era AUTOMATIZZARE, per rendere il lavoro meno FATICOSO
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er tutta la vita Leonardo si è dedicato alla progettazione di macchine da lavoro: si è occupato soprattutto di produzione di oggetti in metallo, di opere nei grandi cantieri e della tessitura della lana. Nella bottega del Verrocchio, suo maestro, e nel cantiere del Duomo di Firenze, guidato dal Brunelleschi, Leonardo osservò i problemi pratici del lavoro degli artisti-artigiani del suo tempo, analizzando da vicino fusioni, saldature, preparazione di colori e costruzioni di grandi ponteggi. Come quelli necessari alla posa di una grande sfera in rame, il 27 maggio 1472, proprio sopra la cupola del Duomo: la “palla” di Santa Maria del Fiore, come la chiamava Leonardo, lo impressionò a tal punto da essere citata come esempio di “lavoro ottimo” anche quarant’anni dopo, in un suo appunto. Ragionando sui suoi progetti, Leonardo univa sempre teoria e pratica. Quando ideava specchi o forni a riflessione di calore, per esempio, abbinava i disegni dei congegni destinati ai miglioramenti degli strumenti e delle tecniche di produzione con studi più teorici, come quelli sull’ottica, che trasferì anche nelle sue opere d’arte. Telescopio. La sua enorme fantasia, inoltre, lo portò a ipotizzare usi diversi per macchine e apparecchi già noti o soltanto lievemente modificati. È il caso degli specchi ustori (che concentrano cioè i raggi solari), pensati tradizionalmente per scopi bellici o per riscaldare l’acqua impiegata nell’industria tessile, ma che Leonardo (si intuisce da una nota scritta sui Codici di Madrid) ipotizzò di impiegare per la realizzazione di un telescopio riflettore. • Carlo Dagradi
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SCAVATRICE “A BRACCIA”
ILLUSTRAZIONI DI LEONARDO3
Questa macchina doveva rendere più veloce la rimozione della terra durante gli scavi per i canali. Per metterla in funzione erano necessarie tre squadre di operai.
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Anche NELLA STAMPA, Leonardo cercò di VELOCIZZARE i tempi e di risparmiare la MANODOPERA
MOVIMENTO DELLA PRESSA
LEVA
RUOTA DENTATA MOVIMENTO DEL CARRELLO SCORREVOLE
TORCHIO CON CARRELLO
VITE SENZA FINE
LEVA MECCANICA
Il torchio per la stampa di Leonardo: azionando una leva, la pressa scendeva imprimendo la stampa sul foglio trascinato da un carrello e da una carrucola verticale. Terminata la stampa, la pressa si alzava, allontanando il carrello.
PIANO SCORREVOLE PIANO INCLINATO
FOGLIO DA STAMPARE
CONTAPASSI
Qui sopra, un odometro, strumento per misurare le distanze. Era un piccolo carro trascinato sul percorso da calcolare: la ruota centrale faceva cadere nel contenitore un sassolino a ogni giro (corrispondente a una distanza nota). Fatto il percorso, bastava contare i sassi...
CON PRECISIONE
A lato, una mola per specchi concavi, ideata da Leonardo.
E COL FUMO, GIRA L’ARROSTO
A destra, un girarrosto che viene messo in moto sfruttando lo stesso calore del fuoco che cuoce il cibo: è l’aria calda che, salendo, mette in movimento le pale nella canna fumaria.
Il primo a inventare i cuscinetti a sfera
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a capacità di Leonardo di risolvere problemi pratici emerge anche nei miglioramenti destinati alle macchine più piccole. È il caso dei cuscinetti a sfera. Meglio i coni. Al tempo di Leonardo erano già in uso dispositivi per ridurre l’attrito tra due parti in movimento di una stessa macchina, ma lui fu il primo a risolvere definitivamente il problema ideando cuscinetti a sfera molto effi-
cienti e del tutto simili a quelli di oggi. Ne considerò vari tipi. Il più originale è probabilmente quello “a coni” che risolveva il problema dell’usura delle sfere (che erano di legno e toccavano il perno rotante sempre nello stesso punto). Rimpiazzando le sfere con coni, infatti, la superficie di contatto con il perno diventa una linea che, ruotando, distribuisce l’attrito su una superficie maggiore, limitando l’usura.
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L’INVENTORE
CATAMARANO ANTIFANGO
Barca cavafango, descritta nel foglio 75 del Manoscritto E. La rappresentazione 3D rende evidente l’inclinazione dei “cucchiai”, ideata per riempire la barchetta senza ostacolare le pale.
Dal PEDALÒ alla CORAZZATA Innamorato dell’ACQUA, Leonardo progettò pompe, cisterne, CATAMARANI e addirittura l’antenato del SOTTOMARINO
S
COSÌ L’ACQUA VA IN SALITA…
ILLUSTRAZIONI DI LEONARDO3
Dal Codice Atlantico: con il sistema della vite di Archimede è possibile riempire una serie di cisterne a torre. Il mulino in primo piano fa girare la prima pompa a vite, che porta l’acqua fino alla cisterna bassa. Qui un analogo meccanismo rifornisce la cisterna alta.
e gli studi sul volo derivano in gran parte da un interesse “privato” di Leonardo, le opere di ingegneria idraulica sono frutto di commissioni da parte dei governanti presso i quali Leonardo trascorse la sua vita. Già nel periodo fiorentino, racconta il Vasari, l’allora giovanissimo inventore venne consultato per due progetti: quello per rendere navigabile l’Arno fino al mare e quello per collegare Pisa e Firenze, realizzando un canale. Il motivo di queste committenze è semplice: nei secoli passati le vie d’acqua avevano enorme importanza. Non solo per l’approvvigionamento idrico delle città e come forza motrice, ma anche perché costituivano l’“autostrada” del tempo, la via di comunicazione più veloce per le merci. Nei successivi anni milanesi, Leonardo progettò anche macchine belliche da impiegare in acqua, difficile campo di battaglia: sono di questo periodo alcuni studi sul primo sottomarino (vedi alle pagine seguenti) e sul sistema per attaccare le navi nemiche forandone lo scafo sott’acqua. Vortici e onde. Ma l’ingegno di Leonardo si adoperò anche per togliere l’acqua dai terreni paludosi: sul Manoscritto F, per esempio, si trova una macchina messa a punto per eliminare l’acqua da uno stagno con un sistema a centrifuga azionato da ruote idrauliche, che sfruttano l’energia di un fiume. I “ruotismi”, come li chiamava Leonardo, generano infatti vortici in grado di spostare l’acqua: la loro osservazione gli ispirò anche riflessioni sul moto ondoso e sulle analogie tra movimenti di aria e acqua.
Bonifiche. Leonardo mise a punto questi studi proprio negli ultimi anni della sua carriera (a Roma fino al 1516 e in Francia fino al 1519) per risolvere problemi di prosciugamento del terreno, come quello delle paludi Pontine su incarico di papa Leone X. Riprodusse una mappa, oggi a Windsor, in Inghilterra, delle zone più bisognose di interventi di bonifica. Proprio in seguito al suo lavoro topografico, il papa affidò al nipote Giuliano de’ Medici il compito di realizzare il canale Portatore, per drenare l’acqua dalla palude. • Carlo Dagradi
PEDALA, PEDALA...
Una barca azionata da pedali: è l’evoluzione delle barche a pale medioevali.
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Per Leonardo, fiumi e mari erano il “SANGUE” della Terra, che scorreva in canali sotterranei e talvolta RISALIVA in superficie CORAZZATA
LA “NAVE SCORPIONE”
Così la chiamò lo stesso Leonardo. Descritta nel Manoscritto B, era una nave da guerra mossa a remi e armata di una grande falce con base rotante per attaccare (come uno scorpione) il nemico, infilzandolo.
FUOCO! NELL’ACQUA...
Una barca da battaglia con una bombarda multipla: i cannoni opposti dovrebbero in teoria sparare insieme, per annullare lo spostamento impresso dalla bordata.
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Questo vascello con due bombarde aveva una protezione triangolare mobile, dalla quale spuntavano le armi da fuoco. Leonardo realizzò vari progetti simili, probabilmente per Ludovico il Moro.
Ideato per sabotare
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eonardo disegnò più volte sottomarini, copiandoli a fini di studio dai trattati che leggeva. Ce n’è uno, però, che ideò davvero lui, e che è stato ricostruito in ogni dettaglio grazie a uno studio di Mario Taddei, ricercatore di Leonardo3. Il risultato è visibile in questa pagina. Servizi segreti. Il prototipo virtuale sembra uscire da un film di 007: doveva servire ai soldati per muoversi sotto il pelo dell’acqua (a qualche metro di profondità), risultando quindi invisibili, per
A raggiungere la chiglia delle navi nemiche e perforarla con un trivellino. Le sacche in pelle piene d’aria all’interno servivano per mantenere un assetto stabile. Aria. Leonardo affrontò il problema dell’aria per il pilota sub, risolvendolo in due modi: con un boccaglio dotato di galleggiante e con un otre di pelle che avrebbe dovuto contenere una riserva d’aria sufficiente per qualche minuto. Leonardo lo giudicava uno strumento da guerra potente, tanto da non volerne divulgare i disegni.
B
INNOCENTE BARCHETTA
Al nemico risultava visibile soltanto l’imbarcazione di appoggio (non più lunga di 4 metri). Sotto la chiglia di quest’ultima (A) era agganciato il minisottomarino, che poteva essere abbassato grazie a un sistema di corde (B).
ALL’ATTACCO, E PEDALARE
PEDALI
Una volta sganciato, il minisommergibile si muoveva grazie a un sistema autonomo di propulsione: un meccanismo a pedali.
PINNE
INGRANAGGIO Trasforma il moto delle gambe in movimento delle pinne.
ACCESSORIATO
La propulsione era garantita da due pinne meccaniche mosse dal moto alternato delle gambe del palombaro, trasmesso grazie a un ingranaggio. Appositi bilancieri, insieme ai due serbatoi d’aria paralleli, aiutavano a mantenere l’assetto. Lo scafo del congegno era aperto per motivi pratici (uno scafo chiuso sarebbe stato impossibile da gestire).
DERIVA
BILANCIERE APPOGGIO
RISERVAD’ARIA
L’aria necessaria al palombaro-sabotatore era conservata in un otre di pelle, probabilmente collegato alla bocca da un respiratore.
IL PITTORE
Il MAESTRO Leonardo da Vinci
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI/G. DAGLIORTI
F
irenze, 1470. Nell’anno in cui Leonardo entrava nella bottega di Andrea del Verrocchio, poco lontano l’architetto Leon Battista Alberti terminava la facciata di Santa Maria Novella, inserendo le famose “vele”. A due o tre isolati di distanza, Domenico Ghirlandaio affrescava la Cappella Vespucci nella chiesa di Ognissanti e Sandro Botticelli, che da poco aveva lasciato la bottega del Verrocchio, stava lavorando alla Madonna con Bambino e santi, oggi agli Uffizi. L’anziano Paolo Uccello rientrava a Firenze e regalava a Lorenzo il Magnifico la sua bellissima Caccia notturna, Pietro Vannucci detto il Perugino cominciava la sua Adorazione dei Magi, lo scultore Bartolomeo Ammannati terminava Palazzo Pitti, opera iniziata dall’architetto Filippo Brunelleschi. Tutto in un solo anno e nella stessa città. Ecco la Firenze che accolse Leonardo quando, poco meno che ventenne, lasciò il villaggio di Vinci. Il Rinascimento fioriva nelle chiese, nei palazzi, nelle botteghe artigiane da cui uscivano capolavori. La famiglia Medici spendeva centinaia e centinaia di fiorini d’oro per finanziare quadri, statue, decorazioni. Le famose “giostre” che Lorenzo il Magnifico organizzava per accattivarsi il consenso dei cittadini accendevano la rivalità tra il Verrocchio e l’altro rinomato titolare di bottega artistica del tempo, il Pollaiolo. L’avanguardia del pennello. Mentre Leonardo si formava insieme al Verrocchio, l’arte somigliava ancora molto all’artigianato, ma cominciava a trasformarsi. L’artista non si accontentava più di eseguire ordini: voleva inventare. E in questo periodo viene perfezionato il disegno. Era stato Giotto, quasi un secolo prima, ad adottare per primo questa tecnica preparatoria al dipinto,
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Nell’arte, raggiunse OBIETTIVI che sembravano IMPOSSIBILI: riuscì a dipingere l’aria, la voce, la SORPRESA... insomma l’ “INVISIBILE”
TRA MUSICI E POETI
In un dipinto ottocentesco, Cesare Maccari immagina così Leonardo intento a ritrarre Monna Lisa: circondato da poeti e musicisti per allietare la modella, che diventerà la più famosa del mondo.
SENZA AUREOLA
A fianco, le Madonne dipinte da Leonardo (qui quella dei Fusi, di attribuzione incerta) sono prive di orpelli.
A sinistra, la torsione dei corpi e la direzione degli sguardi dei tre protagonisti danno a Sant’Anna, la Vergine, il Bambino con l’agnellino, oggi al Louvre, una forte impressione di movimento.
AKG-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI/G. DAGLIORTI
ROTAZIONE A TRE
Gli esperimenti di Leonardo riuscirono soprattutto SULLA TELA.Tanto che i suoi contemporanei, prima della morte, lo consideravano già una LEGGENDA su tavoletta o carta pecorina, principalmente con carboncino. Era stata inventata anche la tempera, con uovo oppure colla, mentre lo stesso Giotto aveva creato la criptoscrittura, ovvero l’inserimento in un quadro di caratteri arabi dorati. Giotto e Giovanni Pisano, poi, avevano innovato l’arte con la rappresentazione tridimensionale: prima di loro, nell’arte bizantina, le figure apparivano “piatte”. Con l’invenzione giottesca del chiaroscuro le immagini si avvicinano alla realtà tridimensionale. Ma nel periodo in cui Leonardo si accostava all’arte, la scoperta più sensazionale fu quella della prospettiva, che donò profondità a figure e ambienti. Negli stessi anni furono inventati anche la pittura a olio, probabilmente dal fiammingo Van Eyck (poi riprodotta da Antonello da Messina e da Domenico Veneziano) e un compasso che faceva cerchi perfetti. Ritrarre l’anima. In questo clima, Leonardo da Vinci si proponeva di applicare i princìpi della scienza all’arte. Per questo ritraeva fenomeni fisici, moti d’acqua, nuvole, piante e animali. Ma soprattutto l’uomo, nella sua struttura e nelle sue espres48
sioni, nei suoi gesti e nei tic. Di conseguenza, la sua pittura riesce a trasmettere le relazioni psicologiche tra i soggetti: i gesti, gli sguardi, i movimenti dei personaggi sono intrecciati tra loro, come se stessero parlando (esempio evidente in Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino). A fare di Leonardo un grande innovatore, però, fu soprattutto l’introduzione della tecnica detta dello “sfumato”. Con le dita il pittore spandeva il colore fino a dissolvere il disegno sottostante. Lo scopo? Riprodurre il reale, con le sue gradazioni e i passaggi sottili dalla luce all’ombra. Un’altra importante innovazione leonardesca è quella della fedele riproduzione dal vivo. I suoi dipinti sono rigorosamente tratti da soggetti reali: per fare un angelo pretendeva un bambino vero e non un modello adulto, come si usava allora. Alla ricerca di un naso. Leonardo aveva inaugurato cioè quella “terza maniera” di dipingere che lo storico dell’arte Giorgio Vasari chiamava “moderna”: aveva dato alle sue figure “il moto e il fiato”. Nella scelta dei modelli preferiva i conoscenti (in moltissimi lavori ci sono tratti del suo giovane compagno
La battaglia di Anghiari (1504)
Una copia eseguita quando il dipinto non si era ancora deteriorato.
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
inadeguata, tanto che l’opera fu lasciata incompiuta e la decorazione della sala fu affidata in seguito a Giorgio Vasari. Di questo capolavoro, sul quale sono state avanzate molte ipotesi (v. articolo nelle pagine seguenti), restano perciò solo alcuni studi dell’autore e diverse copie eseguite da altri artisti che le presero a modello.
SCALA
Q
uesto straordinario dipinto – che rappresentava la battaglia del 29 giugno 1440 tra l’esercito dei Visconti di Milano e la Repubblica fiorentina – era originariamente collocato nel Salone del Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze. La tecnica pittorica adottata da Leonardo, però, si rivelò
ORIGINALI E COPIE
Un disegno preparatorio di Leonardo per la Battaglia di Anghiari, dal quale risulta evidente la straordinaria dinamicità (unica nella storia dell’arte) della scena da rappresentare.
FURORE E LOTTA
I cavalli imbizzarriti si fondono con i corpi dei guerrieri, in un effetto di furore e lotta. La scena, che rappresenta uno scontro tra fiorentini e milanesi, doveva celebrare la vittoria della libertà repubblicana contro nemici e tiranni.
COME UN TURBINE
La composizione nasce al centro della scena, dove si sviluppa un vortice di corpi per la conquista del gonfalone, simbolo di Firenze. L’asta dello stendardo è al centro degli sguardi dei cavalieri.
ALL’ULTIMO SANGUE
Il personaggio in primo piano (a sinistra) afferra l’asta dietro la schiena, mentre altri due cavalieri si affrontano a colpi di spada. I loro cavalli si affrontano muso a muso, in uno scontro serrato.
TRA POLVERE E ZOCCOLI
A terra vi sono tre fanti, travolti dall’intensità dello scontro. Due sono al centro, sotto i cavalli impennati, mentre il terzo, nell’angolo in basso a sinistra, si protegge come può con lo scudo.
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BIBLIOTECA DELLA STAMPERIA D’ARTE/ALINARI MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI/PICTURE LIBRARY
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A fianco, nel disegno di questa Gioconda in piedi (la modella forse fu la stessa), Leonardo dipinse il vento, ottenendo un effetto simile a quello di un servizio di moda di oggi.
CHI È LÀ? CLICK!
A sinistra, la Dama con l’ermellino è ritratta “colta di sorpresa”, come dall’arrivo di qualcuno che è fuori dal quadro. Così il ritratto somiglia a una foto.
MONNA LISA riassume tutti gli studi compiuti da Leonardo: il gioco dei MUSCOLI FACCIALI, LE OMBRE, il fiume sullo sfondo... e discepolo Salaì), ma andava spesso in strada o nei luoghi di ritrovo alla ricerca di soggetti interessanti, di cui magari cogliere solo un particolare fisico, come un naso o una bocca. L’artista, inoltre, fu tra i primi a usare la prospettiva aerea: attraverso un uso sapiente del colore e un’attenta disposizione nello spazio delle figure egli arrivò a dipingere il filtro dell’aria, l’atmosfera. Una tecnica visibile per esempio nella Gioconda. Leonardo, poi, ritrasse le sue figure in paesaggi aperti, un espediente inconsueto all’epoca, specie per i soggetti religiosi. Per ottenere le tonalità cercate non mescolava i colori, ma operava per velature successive, strati molto sottili di tinte digradanti: con questa tecnica riusciva a dare luce alle sagome. Inoltre, prima di cominciare, stendeva un velo di colore rosso sulla superficie bianca di partenza, per ottenere uno sfondo su cui “fondere” l’incarnato delle figure. Leonardo introdusse e perfezionò anche il sistema del tratteggio (piccoli tratti obliqui, disegnati sempre da destra a sinistra, poiché era mancino), fatto con la matita rossa detta “sanguigna” su cartone. Talvolta fece ricorso a una speciale griglia, attraverso la quale guardare per disegnare le proporzioni
CON IL VENTO TRA I CAPELLI
dell’oggetto da ritrarre. Sistema che permetteva di riprodurre alla perfezione le misure prospettiche. L’artista studiò a lungo anche il cosiddetto “prospettografo”, un asse numerato che serviva a misurare le proporzioni. Studiò infine le ombre, distinguendo quelle originate da raggi di luce paralleli, divergenti o convergenti. Prima di stendere il colore stabiliva da dove venissero le ombre e in base a questa distinzione dipingeva le parti illuminate. L’umanizzazione delle divinità. Le Madonne leonardesche sono sorridenti, disadorne. Vestite di stoffe semplici, senza broccati vistosi né dorature. E il Cristo è addolorato e sincero. Nella rappresentazione delle divinità Leonardo fu tra i primi a introdurre un aspetto sobrio e naturale, in una parola: umano. Nella Vergine delle rocce, per esempio, le figure sono disposte in una sorta di cerchio comunicante. Ciascuna figura “parla” con l’altra e la Madonna è china sul Bambino, come una madre premurosa. Secondo gli storici dell’arte, questo schema anticipa quello del Cenacolo, dove Leonardo raggiunge la perfezione della cosiddetta “unità psicologica” della struttura. Tutti i soggetti raffigurati, ed era una novità assoluta per quei tempi, appaiono coinvolti in rapporti con gli altri attraverso
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La Gioconda (1503-1504)
ome tutte le opere di Leonardo, anche la più nota non ha né firma né data. Insieme alla Sant’Anna del Louvre è l’unico ritratto di Leonardo su legno di pioppo, scelta anomala perché l’artista in genere consigliava il noce. Chi era? Gran parte del fascino del quadro riguarda il mistero sull’identità della donna ritratta. Sono stati proposti almeno una decina di nomi. I più celebri sono quelli di Isabella d’Este, Costanza d’Avalos o una certa Gualanda, ma l’ipotesi più probabile è del Vasari: la donna che sorride è Lisa del Giocondo. Ne parliamo in un altro articolo di questo numero.
ALAMY STOCK PHOTO
L’ATMOSFERA
Nel quadro l’ambiente uggioso che avvolge la donna sembra palpabile. Per ottenere questo effetto, il maestro ha sovrapposto vari strati di colore a olio. Questo effetto si chiama “prospettiva atmosferica”, ovvero il tentativo, in questo caso riuscito, di rendere l’aria sulla tela.
PAESAGGIO
Il ponte ricorda quello di Buriano vicino ad Arezzo. Altri hanno identificato il paesaggio come il fiume Adda (dove c’era la tenuta di Francesco Melzi, allievo e segretario di Leonardo).
IL SORRISO CHE NON C’ERA
Una radiografia del 1954 ha rivelato che in origine la piega della bocca non era increspata dal sorriso enigmatico che vediamo oggi. Questo effetto è stato ottenuto con uno strato di colore più luminoso sfumato tra le ombre ai lati della bocca.
ALL’ULTIMA MODA
All’altezza della spalla, all’attaccatura della manica, spunta un lembo ondulato della camicia: un “vezzo” molto diffuso alla fine del Quattrocento.
L’ENIGMA DELLE MANI
Leonardo scelse di rappresentare le morbide mani della Gioconda in una posa rilassata, ma curiosamente senza fede nuziale.
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FOTO SEGNALETICA
THE BRIDGEMAN ART LIBRARY
Testa di un bambino: Leonardo fu il primo a introdurre il principio della “foto segnaletica”, disegnando i soggetti di fronte e di profilo.
Per raggiungere la PERFEZIONE, Leonardo sovrapponeva decine di STRATI DI COLORE di luminosità diversa, delineando corpi e volti sguardi, gesti, atteggiamenti. Nella Vergine delle rocce il raffinato gioco di luci illumina la direzione dei singoli sguardi, prendendo per mano l’osservatore e conducendolo verso l’oggetto dell’attenzione (Gesù). Capovolgendo lo schema classico, l’artista introduce un’altra innovazione: è il Bambino che benedice San Giovanni. Nel Cenacolo, poi, Leonardo crea un vero capolavoro di pittura psicologica. Per la prima volta le figure sono più grandi in proporzione allo spazio intorno. La scena sembra inserirsi all’interno dello stesso refettorio di Santa Maria delle Grazie ed è come prolungasse la stanza: per questo pare viva, reale. Poi c’è la comunicazione tra le figure: da Gesù, al centro della scena, sembra che provenga un suono, una voce (la dichiarazione “uno di voi mi tradirà”). E ciascuno dei discepoli assume un’espressione di risposta a seconda del proprio ruolo, come in una scena cinematografica. In questo modo Leonardo è riuscito a dipingere l’in-
visibile: il suono della voce. In mezzo, il triangolo isoscele della figura di Cristo, simbolo di purezza geometrica. E le sculture? Nei suoi codici Leonardo raccomanda di prestare attenzione alla scultura e dà molta importanza al rilievo, avvicinandolo alla grandezza della pittura. Non ci sono prove che documentino sculture a firma dell’artista, ma alcuni studiosi hanno proposto delle ipotesi. In particolare, Alessandro Parronchi ritiene che il famoso Tondo Arconati, attribuito a Desiderio da Settignano dal Vasari, avrebbe dei tratti che lo avvicinerebbero allo stile di Leonardo. Per esempio, la sapienza nella descrizione delle espressioni. E lo stesso vale per un’altra scultura, la Santa Cecilia di Toledo: nelle sue annotazioni, Leonardo dice di aver eseguito una “testa di Nostra Donna”. E nell’espressione del volto c’è una dolcezza che potrebbe essere stata concepita dal giovane allievo di Vinci. • Roberta Scorranese
Il primo a ritrarre le mani
N
el Ritratto di Ginevra Benci Leonardo introdusse una novità assoluta: per la prima volta nella storia del ritratto sono presenti le mani (anche se oggi non possiamo vederle, perché sono state tagliate dalla tela e successivamente sono andate perdute).
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Mazzolino. Prima di allora ci si accontentava di un busto e, per le donne, di un busto di profilo. L’espediente delle mani era già stato utilizzato dal Verrocchio nella scultura, nella Dama con il mazzolino in marmo, ma il primo ad applicarlo nella pittura fu Leonardo da Vinci.
E fece subito tendenza, visto che Botticelli riprese immediatamente la “trovata” nell’Uomo dalla medaglia, oggi agli Uffizi. Ginepro. Il Ritratto di Ginevra Benci anticipa l’atmosfera della Gioconda. Il ginepro sullo sfondo fa riferimento al nome della ragazza.
BRACCIA MOZZATE
Al ritratto della giovane fiorentina Ginevra Benci (sotto) furono tagliate le mani.
L’angelo del Battesimo di Cristo (1475-1478)
I
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI/PICTURE LIBRARY
n quest’opera, di Andrea del Verrocchio, Leonardo eseguì solo il primo angelo da sinistra e parte dello sfondo, che ricorda i suoi paesaggi, celebri per il “realismo” di piante e rocce. Basta! Giorgio Vasari racconta che il maestro fu così umiliato dalla bravura del giovane discepolo che decise di “non toccar più colori” e smise di dipingere. In effetti, come si spiega sotto, la differenza di talento e innovazione tra i due spicca nettissima.
AL CENTRO DELLA SCENA, FERMO
Il Cristo del Verrocchio è dipinto con colori “al bianco di piombo”, composto impiegato per dare luce al quadro, ma il cui uso dà alle figure un’impressione di staticità.
L’ANGELO STA PER ALZARSI
VESTITI “MORBIDI”
Per i panneggi delle vesti, Verrocchio usava modelli d’argilla cui sovrapponeva vestiti bagnati. Le vesti risultavano così un po’“pesanti”. Grazie ai sottili strati di colore Leonardo riesce ad alleggerirle.
L’angelo di Leonardo rasenta la perfezione. Prima di tutto per la tecnica usata: una sovrapposizione di colori in strati successivi, che dà loro una grande fluidità. E poi per la composizione: la figura è presa dall’angolatura più difficile, tre quarti di schiena, innovazione che la rende viva.
IL MISTERO
Dopo esami ai RAGGI X e indagini decennali, le ipotesi su chi sia la donna del ritratto più ENIGMATICO restano molte
Il vero volto della
GIOCONDA
L
a signora Lisa, mentre posava, non poteva certo saperlo, ma un giorno sarebbe diventata la donna più famosa del mondo. Oggi si indaga sulla sua vita privata (peggio che con una top model) e si cercano le sue spoglie come fossero sacre reliquie. Eppure, per ottenere tanto successo, Monna Lisa, al secolo Lisa Gherardini (1479-1542), moglie di un mercante di tessuti fiorentino, non dovette far altro che sedersi e sorridere. Al resto ci ha pensato Leonardo, che da quell’anonimo volto ha creato il capolavoro per eccellenza: la Gioconda. Ma è davvero di Lisa Gherardini il sorriso enigmatico immortalato dal maestro toscano? Un giallo che neppure la scienza forense è stata ancora in grado di risolvere. 54
Status symbol. Un giorno di cinquecento anni fa, il facoltoso Francesco del Giocondo (14651538) decise di commissionare un bel ritratto della sua sposa, “Monna” Lisa Gherardini (il primo termine non è altro che il toscano di “madonna”, cioè “signora”). La Firenze di allora era uno dei più grandi centri commerciali del Rinascimento europeo, e possedere opere d’arte era un modo di ostentare la propria ricchezza. Uno “status symbol”, diremmo oggi. Il committente, perciò, si rivolse a uno dei più illustri tra i pittori in circolazione: Leonardo da Vinci. Si apre così la storia della Gioconda, o Monna Lisa, dipinto di modeste dimensioni ma di enorme impatto visivo. Leonardo iniziò l’opera probabilmente nel 1503, a Firenze, per poi lavorarci fino
CHI ERA DAVVERO?
Tre particolari della Gioconda. Gli studiosi da tempo cercano di appurare l’identità della nobildonna che fece da modella, tradizionalmente ritenuta Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo.
RMN/ALINARI (3)
alla fine dei suoi giorni, senza terminarla né consegnarla ai committenti. «In realtà non siamo sicuri che le cose siano andate così», spiega Costantino D’Orazio, storico dell’arte e autore del libro Leo nardo segreto. Gli enigmi nascosti nei suoi capolavo ri (Sperling & Kupfer). «Intorno al dipinto circolano documenti e testimonianze che si contraddicono; perciò non esiste certezza sul periodo in cui Leonardo abbia realizzato il ritratto, né sull’identità della donna e sul suo reale aspetto. La Gio conda potrebbe essere molto diversa dalla modella originale». Qualcosa non torna. A identificare nel dipinto il ritratto di Lisa Gherardini è stato il pittore e biografo aretino Giorgio Vasari, autore delle celebri Vite (la cui prima edizione è del 1550).
Nel descrivere il dipinto leonardesco, Vasari spese parole entusiastiche su alcuni elementi del volto di Lisa. Tuttavia, qualcosa non torna, perché nel quadro del Louvre quei dettagli non esistono. In particolare, Vasari si sofferma sull’impeccabile riproduzione delle ciglia, che a suo dire, “non potevano es sere più naturali”. Ma Monna Lisa non ha né ciglia né sopracciglia, come annoterà più tardi il collezionista d’arte Cassiano del Pozzo (che nel 1625 ebbe modo di osservare il dipinto). Possibile che Vasari si sia sbagliato? «La verità è che Vasari non vide mai il dipinto, perché quando scrisse la vita di Leonardo, l’opera si trovava già in Francia», sottolinea lo storico. Per la cronaca, il quadro era giunto in Francia nel 1517 al seguito dello stesso Leonardo, chiamato alla corte reale di Francesco I come premier peintre. La Gio conda fu poi acquistata dal re e non si mosse più. È probabile che Vasari descriva il ritratto sulla base di un resoconto fattogli da qualcun altro, ma è anche possibile che si riferisca a un’altra opera. «Forse Lisa è stata ritratta in un dipinto che non abbiamo ancora scoperto, e la Gioconda mostra in realtà il volto di un’altra donna», conferma lo storico. «Nel dettaglio, oggi sono almeno una decina le identità attribuite a questa dama». 55
Il ritratto non ha una FIRMA né una data, ma il più grande MISTERO legato a questo quadro rimane l’identità della MODELLA
ERA LEI?
SCALA (2)
Busto di Isabella d’Aragona realizzato da Francesco Laurana tra il 1487 e il 1488, probabilmente per le nozze con Gian Galeazzo Maria Sforza.
Domande aperte. Il primo a sollevare dubbi sull’identità di Monna Lisa è stato l’incisore francese André Charles Coppier, nel 1914. Un anno importante non solo per lo scoppio della Grande guerra, ma anche per il processo a Vincenzo Peruggia, autore del celeberrimo furto della Gioconda (1911), gesto che contribuì alla fama mondiale del dipinto. Da quel momento è stato un crescendo d’interpretazioni sul soggetto ritratto da Leonardo, alimentate da enigmi tuttora irrisolti. Rimane ignoto per esempio il motivo per cui l’artista non si separò mai da un’opera per cui, probabilmente, aveva già ricevuto un anticipo sul pagamento. Altro mistero: non si trova un accordo scritto che testimoni la committenza di Francesco del Giocondo. Molti dubbi scaturiscono poi dal paesaggio sullo sfondo, che per molti storici sarebbe il frutto della fantasia dell’artista. Da qui l’ipotesi che non sia una donna reale, ma una figura “idealizzata”, forse l’allegoria della Pittura. Una, nessuna, centomila. Secondo un’interpretazione “psicoanalitica” dell’opera, sostenuta da Sigmund Freud, dietro Monna Lisa si celebrerebbe il primitivo oggetto d’amore di Leonardo, la madre Caterina, a cui l’artista fu strappato quando aveva cinque anni. Altre teorie più “concrete” si basano invece su resoconti coevi a Leonardo. Uno su tutti, datato 1517 e scritto dall’ecclesiastico Antonio de Beatis, ha fatto pensare che la Gioconda sia il ritratto di Pacifica Brandani, amante di Giuliano de’ Medici, protettore di Leonardo a Roma tra il 1513 e il 1516. Quest’ipotesi non solo farebbe precipitare la signora Lisa Gherardini dal suo piedistallo, ma sposterebbe in avanti di una decina d’anni l’esecuzione del dipinto. Sempre sulla scorta di De Beatis, alcuni autori ritengono che sia il ritratto di Isabella Gualanda, altra “favorita” di Giuliano de’ Medici. Ma le teorie non si esauriscono qui, perché ai no-
Tratto da Focus Storia 147, pag. 44
GETTY IMAGES
LE ALTRE...
Sopra, schizzo di Isabella d’Este (potrebbe essere lei Monna Lisa, se il suo nome s’intendesse come Monna l’Isa, alla lombarda). A destra, Bianca Giovanna Sforza, ritratta da Leonardo intorno al 1495.
mi fatti finora se ne potrebbero aggiungere altri e altri ancora: tra cui quelli di Costanza D’Avalos, principessa di Francavilla, Isabella d’Este, Bianca Giovanna Sforza, figlia di Ludovico il Moro, e Isabella d’Aragona Sforza. «Qualunque sia il volto che ha ispirato la Gioconda, di sicuro il ritratto non somiglia più al modello originale, perché Leonardo lavorò in modo così maniacale a ogni suo dettaglio, da mutare nel tempo le forme iniziali», avverte D’Orazio. È possibile che Lisa sia stata davvero immortalata nella Gioconda, ma che il suo volto originale sia poi rimasto nascosto sotto strati di pennellate. In effetti, analisi ai raggi X del dipinto (pubblicate nel 1954) hanno rivelato l’esistenza di una Monna Lisa “nascosta”
un po’ diversa: sul capo non c’è traccia del velo, il volto è più scarno e, soprattutto, manca l’ambiguo sorriso. Ma c’è chi si è spinto oltre, arrivando a inventare una nuova tecnica d’indagine con il solo scopo di trovare il vero volto di Lisa. Si tratta dello scienziato francese Pascal Cotte, che dal 2004, e per oltre un decennio, ha studiato il capolavoro vinciano attraverso un tipo di analisi multispettrale detta Layer Amplification Method (Lam). Cotte avrebbe scoperto tre versioni diverse della Gioconda al di sotto di quella attuale, e una di esse avrebbe le famose ciglia descritte dal Vasari. Insomma, che sia Lisa Gherardini o no, Monna Lisa continuerà a brillare nel firmamento delle celebrità. • Federica Campanelli 57
IL PITTORE
ANGHIARI
Caccia al tesoro
LEONARDO3
Doveva essere il suo CAPOLAVORO. Ma il dipinto si rovinò e andò PERDUTO. O forse no?
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LA GRANDE INCOMPIUTA
Da Vinci dipinge la Battaglia di Anghiari a Palazzo Vecchio a Firenze (1503). Sul muro c’è la composizione completa, di cui la copia di Rubens (vedi nelle pagine seguenti) ritrae solo una piccola parte centrale. La ricostruzione è di Leonardo3.
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OLYCOM
Realizzare la PITTURA A OLIO più grande della Storia: questo era forse L’OBIETTIVO del Maestro
V
ento, alberi, nuvole che si intrecciano, turbinando su una scena apocalittica: un campo di battaglia dove soldati, cavalli e armature sono fusi insieme nel furore di un istante di battaglia. Una “follia tremendissima”: così chiamava la guerra Leonardo da Vinci. Ed è sensato immaginare che proprio così volle rappresentarla nella sua opera più misteriosa, la Battaglia di Anghiari. Tanto misteriosa che ci è giunta solo attraverso due copie di una sua parte, la Tavola Doria e la famosa tela di Rubens. E possiamo solo ipotizzare dove si trovasse: sulla parete est del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, a Firenze. Della Battaglia di Anghiari, però, sappiamo anche qualcos’altro: Giorgio Vasari, altro grande maestro rinascimentale, ci ha lasciato una traccia per ritrovarla. Perché quell’opera incredibile, la più importante per lo stesso genio di Vinci, potrebbe essere ancora lì, dietro la Battaglia di Marciano affrescata dal Vasari stesso, protetta in una “capsula del tempo da lui costruita”. Un mistero, insomma, che attraversa cinque secoli di storia. Maestri in gara. Tutto inizia, sorprendentemente, con un concorso tra due star del Rinascimento italiano: lo stesso Leonardo e Michelangelo Buonarroti. Tra i due non correva buon sangue. Ne approfittò l’astuto Pier Soderini (1452-1522), gonfaloniere di Firenze, che nel 1503 volle metterli uno contro l’altro: così da assicurarsi la miglio60
re decorazione al mondo per la sua Sala del Consiglio. L’ordine era quello di celebrare con affreschi una Firenze vittoriosa, che rinsaldasse nella popolazione l’amor patrio. Le cose, però, andarono molto male. Leonardo e Michelangelo lavorarono in due luoghi diversi: il primo, direttamente nel Salone. Il secondo, invece, mise a punto i suoi cartoni in una stanza dell’Ospedale dei Tintori. Di fatto, la gara neppure si svolse. E Michelangelo nel Salone dei Cinquecento non arrivò mai: lasciò infatti l’incarico nel 1505, in seguito alla chiamata a Roma da parte di papa Giulio II, per il quale decorò i Palazzi Apostolici. Leonardo avviò il suo lavoro senza il rivale, probabilmente ignorando le indicazioni di Soderini: lo possiamo dedurre dalle due copie di parte della Battaglia di Anghiari giunte fino a noi. Natura fusa. «Se osserviamo le spalle dell’uomo sul cavallo nella tela di Rubens, vediamo chiaramente una fusione di elementi naturali e umani: si ritrovano conchiglie del tipo Turbinidae, Volutidae, Strombidae e Liarpidae. Elementi oggetto di studio da parte di Leonardo, che le riprodusse in molti disegni: insieme a gruppi di cavalli, cavalieri, armature, trasformazioni di uomini in animali e analisi di vortici d’acqua», spiega Mario Taddei di Leonardo3, studioso del Maestro di Vinci e autore di numerosi lavori digitali di ricostruzioni leonardesche.
CHI CERCA TROVA
A sinistra, il messaggio nell’affresco di Vasari, che segnalerebbe l’esistenza dell’opera di Leonardo.
SCALA
L’insieme dell’opera di Rubens, poi, suggerisce un groviglio di movimenti, muscoli tesi, furia bestiale (c’è il particolare di un cavallo che ne azzanna un altro), ben lontana dalle visioni “canoniche”, chieste da Soderini, fatte di eserciti ordinati schierati a fronteggiarsi. «L’ipotesi è che Leonardo, tornato a Firenze dopo la fama acquisita a Milano, volesse dipingere l’opera della sua vita, inserendovi gli elementi studiati per anni e rappresentando un “manifesto” secondo la propria visione della guerra: brutale e capace di “disumanizzare” l’uomo», dice Taddei. Un’operazione analoga a quanto fece nel convento di Santa Maria delle Grazie, per l’Ultima cena: non dipinse il classico “prendete e mangiate” ma un molto più originale (e scioccante) “uno di voi mi tradirà”. Tecnica nuova. Leonardo, insomma, faceva di testa propria. E non solo con il tema rappresentato, ma anche con la tecnica da utilizzare. Soderini chiese un affresco. Per farlo, colori e intonaco vanno preparati insieme. Una volta asciutti, non possono essere modificati. Leonardo, però, prediligeva la pittura a
QUADRI SOVRAPPOSTI?
Il dipinto del Vasari a Palazzo Vecchio di Firenze che celebra la vittoria di Cosimo I a Marciano (Arezzo) contro i senesi. Nasconderebbe resti della Battaglia di Anghiari di Leonardo. Lo stesso Vasari avrebbe dato un indizio scrivendo su uno stendardo “cerca trova”.
La vera Battaglia di Anghiari
L
o scontro che ispirò il capolavoro mancato di Leonardo fu combattuto il 29 giugno 1440: sul campo c’erano le truppe del Ducato di Milano, interessato a estendere la propria influenza in Toscana, e quelle di Firenze, coalizzate con i soldati di papa Eugenio IV e appoggiate da un contingente di cavalieri veneziani. Effetto sorpresa. Niccolò Piccinino, a capo dei milanesi, pianificò un attacco a sorpresa
per il pomeriggio del 29 giugno. Al mattino diresse i soldati a Sansepolcro (Arezzo) e raccolse altri duemila volontari, mettendosi poi in marcia verso Anghiari dov’era radunato il grosso della coalizione nemica. Lo schieramento milanese fu però avvistato da Michele Attendolo, condottiero veneziano, che diede l’allarme. Alla sera i difensori aggirarono lo schieramento nemico e ricacciarono indietro l’esercito milanese.
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Il VASARI non ricoprì LA BATTAGLIA con la sua pittura. Ma fece costruire UN MURO per preservarla CAVALLO PERDUTO
Disegno preparatorio di Leonardo per l’affresco, realizzato con inchiostro e gesso su carta intorno al 1503.
“A
ddì 6 giugno 1505, in venerdì, al tocco delle ore 13 ore, cominciai a colorire in Palazzo. Nel qual punto di posare il pennello, si guastò il tempo, e sonò a Banco richiedendo li omini a ragione. Il cartone si stracciò, l’acqua si versò e ruppesi il vaso dell’acqua che si portava. È subito si guastò il tempo, e piovve insino a sera acqua grandissima, e stette il tempo come notte”. Quest’annotazione di Leonardo aiuta a ricostruire la giornata in cui la Battaglia di Anghiari andò perduta. Alle 9:30 del mattino, mentre Leonardo iniziava a dipingere il cielo si oscurò. Poco dopo la campana del tribunale annunciò l’inizio delle udienze.
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LEONARDO 3
Ecco come l’avrebbe voluta Leonardo
I garzoni che portavano il vaso dell’acqua lo ruppero e rovesciarono il contenuto. Qualcuno urtò il cartone danneggiandolo. E per il resto della giornata tutto passò in secondo piano di fronte allo scrosciare della violenta pioggia. Anghiari oggi. Il ricercatore di Leonardo3, Mario Taddei, presenterà il 29 aprile, nel Salone dei Cinquecento, a Palazzo Vecchio, l’evento “Firenze 2019 Leonardo. L’uomo, la guerra e l’incredibile battaglia”. Si tratta della ricostruzione virtuale, navigabile e “manipolabile” del salone nel momento in cui scoppiò il temporale e il lavoro di Leonardo venne distrutto.
olio, che gli consentiva di esprimere il proprio perfezionismo ritoccando di continuo il lavoro. Cosa fece nel Salone dei Cinquecento? Non un encausto, cioè una specie di pittura a cera, come si è ipotizzato per secoli. «Le ricerche storiche ci spingono a credere che volesse realizzare la più grande pittura a olio su muro mai tentata», dice Maurizio Seracini, ingegnere e fondatore del primo centro diagnostico per i Beni Culturali in Italia. Seracini ipotizza che Leonardo volesse prima impermeabilizzare tutta la parete, e poi dipingerla con colori a olio: «Lo si deduce dagli ordinativi di olio di noce fatti da Leonardo, per i quali siamo in possesso delle fatture originali: troppi, per essere base della sola preparazione dei colori, ma congrui se si pensa di usare tutto quell’olio per ricoprire la parete. E così renderla adatta a ospitare le successive pennellate del dipinto», dice Seracini. Disastro in corso. Il sistema non funzionò. Il colore, infatti, non fece in tempo ad asciugare, nonostante una coppia di bracieri fatti mettere da Leonardo davanti alla parete, e colò via. Si sal-
RMN/ALINARI
vò soltanto la parte centrale, quella riprodotta da Rubens e dalla Tavola Doria (forse, in realtà, copiate da un cartone). Ma dopo una sessantina d’anni entrò in scena il Vasari, che nel 1557 ricevette l’incarico di restaurare l’intero Salone da Cosimo de’ Medici. Vasari, grande ammiratore di Leonardo, non coprì i resti della Battaglia di Anghiari con la pittura. Prima fece costruire un muro di mattoni scostato dalla parete originaria di 1,5 cm. Poi vi affrescò una meravigliosa (ma canonica) Battaglia di Marciano, quella che si vede oggi. Chiuse il lavoro con un particolare, scoperto proprio da Maurizio Seracini soltanto nel 1977, dopo due anni di studi con la supervisione di Carlo Pedretti (scomparso lo scorso anno), che è stato il massimo esperto mondiale di Leonardo: la scritta “cerca trova”, su un piccolo stendardo a una dozzina di metri da terra, un dettaglio invisibile ai comuni osservatori. L’esistenza dell’intercapedine fu accertata soltanto nel 2003, grazie all’uso di un radar. E a questo punto sorse un ulteriore problema: come fare a guardare “al di là” del dipinto vasariano senza però danneggiarlo?
Un’indagine hi-tech. Con un’apparecchiatura, messa a punto sempre da Maurizio Seracini e da una équipe dell’Università della California a San Diego: uno scanner a neutroni, capace di restituire un fascio di raggi gamma in grado di “mostrare” gli elementi chimici usati nei colori. Seracini, nel 2012, era pronto a utilizzarlo, pochi mesi prima del lavoro, però, il ministero della Salute italiano gli negò l’autorizzazione. Così si decise di ripiegare sulla pratica di sei microfori nell’affresco vasariano, realizzati però in punti già stuccati da precedenti restauri. Questi fori rivelarono due dati molto importanti: primo, la prova fisica della presenza di un’intercapedine. Secondo, la raccolta di frammenti di un pigmento nero (oltre a lacca e altre tracce). Pigmento che, a un’analisi spettrografica, si rivelò identico a quello della Gioconda, già analizzata al Louvre nel 2011, nel rapporto unico tra ferro e manganese: una sorta di “firma dell’autore”, data la caratteristica dei pittori cinquecenteschi di realizzare da soli i propri colori. •
COPIA DA COPIA
La riproduzione della Battaglia di Anghiari a opera di Rubens. Il pittore fiammingo replicò questa scena traendola da una copia, oppure da un cartone preparatorio di Leonardo. L’originale sulla parete di Palazzo Vecchio era infatti già stato ricoperto dall’affresco del Vasari nel 1557, vent’anni prima della nascita di Rubens.
Carlo Dagradi
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IL PITTORE
Simboli occulti nel CENACOLO, messaggi poco ortodossi nella VERGINE DELLE ROCCE, psicodrammi nel dipinto di SANT’ANNA
DIETRO I QUADRI A cura di Federica Campanelli
A
lle tradizionali doti attribuite a Leonardo – artista, scienziato e inventore –, negli ultimi anni si è aggiunta una definizione del genio piuttosto scomoda: quella di eretico. Si è arrivati a tanto perché analizzando i suoi capolavori, per comprenderli meglio, sono salta64
ti fuori simboli occulti, rebus, messaggi nascosti ed enigmi che probabilmente non avranno mai una soluzione. Sul maestro toscano, infatti, si è detto di tutto, compreso che fosse membro del misterioso Priorato di Sion (setta in realtà mai esistita) o che avesse abbracciato lo gnosticismo, da cui deriva l’ac-
cusa di eresia. Persino il padre della psicanalisi, Sigmund Freud, si è arrovellato su di lui, tentando di svelarne l’inconscio attraverso i suoi capolavori. Ma se il mistero che aleggia intorno alle sue opere ha dato vita a teorie affascinanti, il rischio di prendere una cantonata è sempre dietro l’angolo. •
(1494-98; Milano, Refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie)
L’
opera è una delle “vittime” favorite della tendenza esoterica emersa dopo la pubblicazione del best seller di Dan Brown Il Codice da Vinci. Il testo del romanzo, però, non passa la verifica storica: a partire dal coltello impugnato da una presunta “mano fantasma”, che dopo l’ultimo restauro (terminato nel 1999 dopo quasi vent’anni di lavoro) risulta chiaramente appartenere a Pietro (nel tondo sulla sinistra). Questa iconografia s’ispira a un episodio del Vangelo, in cui l’apostolo taglia l’orecchio a Malco, servo del sommo sacerdote Caifa, difendendo Gesù arrestato nel giardino del Getsemani. E che dire della somiglianza di Giovanni (nel tondo di destra) con Maria Maddalena? A detta di qualcuno sarebbe la prova che Leonardo credeva nell’unione carnale tra Gesù e Maddalena. Idea sostenuta
anche dal fantomatico Priorato di Sion, di cui, secondo Dan Brown, Leonardo fu Gran Maestro dal 1510 al 1519. Peccato, però, che il Priorato non sia mai esistito. Eretico? Altra nota “misteriosa” sarebbe il fatto che Giovanni sia raffigurato come un giovane dall’aspetto effeminato. Ma questa era la prassi, come attestano molti dipinti medievali e rinascimentali che hanno l’Ultima Cena come soggetto. Per quanto riguarda infine l’assenza del calice e dell’eucarestia (altre presunte prove di eresia), è bene specificare che l’opera si ispira a un episodio che nel racconto evangelico precede la consacrazione del pane e del vino: quello in cui Gesù annuncia agli apostoli che uno di loro lo tradirà. Lo scompiglio fra i discepoli è dovuto a questa rivelazione, e non alla designazione di Maddalena a successore di Cristo.
LEONARDO 3
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Cenacolo (o Ultima Cena)
Un’arte realmente immersiva
I
l dipinto che Leonardo nel 1497 realizzò nel convento di Santa Maria delle Grazie a Milano rinasce grazie alla realtà virtuale. Nel Museo Leonardo3 di Milano, infatti, indossando un caschetto è possibile muoversi nel refettorio dei frati come doveva essere
quando l’artista ultimò la sua opera. Macchina del tempo. «Il Maestro non realizzò solo il quadrato di 8,8 metri di larghezza, alto 4,6, con colori e dettagli ormai perduti che vediamo oggi», spiega Mario Taddei, autore della ricostruzione virtuale. «Dipinse
le lunette superiori con stemmi, le pareti con arazzi e il soffitto azzurro con stelle dorate che brillavano grazie alla luce naturale». Con la sua innovativa rappresentazione pittorica, Leonardo anticipò l’idea di un’opera d’arte davvero immersiva.
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Giochi di parole, SIMBOLI, codici: le DAME di Leonardo raccontano le loro storie così Uomo vitruviano
(1490 circa; Venezia, Gallerie dell’Accademia) Il disegno è stato interpretato grazie ai due testi scritti nella parte superiore e inferiore della pagina. Architettura. Questi brani si rifanno a un passo del terzo libro del De Architectura di Marco Vitruvio Pollione, il più famoso architetto e scrittore dell’antichità romana, vissuto sotto il principato di Augusto. Il trattato in questione, passato in sordina durante il Medioevo, fu riscoperto e valorizzato a partire dal Quattrocento, diventando un testo fondamentale per gli umanisti e gli architetti rinascimentali.
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A
l pari della Gioconda, l’“Uomo vitruviano” è diventato una delle icone leonardesche. Ma che cosa rappresenta realmente? Il tutto potrebbe essere riassunto in una sola parola: “perfezione”. Il più famoso tra i disegni di Leonardo raffigura, infatti, le proporzioni ideali del corpo umano, che risulta armoniosamente inscrivibile all’interno di due forme, il cerchio e il quadrato, considerate perfette dal filosofo greco Platone. Le due figure geometriche rappresentano a loro volta la creazione: il quadrato è la Terra, il cerchio è l’Universo.
Ritratto di Ginevra de’ Benci (1475 circa; Washington, National Gallery)
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eonardo amava molto giocare con gli incastri tra immagini e parole, fino a creare intricatissimi rebus. È il caso del Ritratto di Ginevra de’ Benci, ossia della figlia di un ricco banchiere che a detta di Lorenzo de’ Medici era la donna più colta di Firenze. Il bel volto pallido della ragazza spicca sullo sfondo scuro, dove Leonardo ha dipinto con estrema precisione una pianta di ginepro. La scelta non è casuale, la parola “ginepro” allude infatti, per assonanza, al nome “Ginevra”. Ed è stato proprio questo l’elemento che ha permesso agli studiosi di identificare la dama ritratta. Rebus svelato. Il gioco di Leonardo continua sul retro della tavola, dove assie-
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me al ginepro appare una ghirlanda di palma e alloro. Queste due specie botaniche alludono alla moralità di Ginevra (la palma) e al suo talento poetico (l’alloro). C’è di più. Il nastro che avvolge la ghirlanda riporta l’iscrizione latina Virtutem forma decorat (“La bellezza adorna la virtù”), ma se a esso aggiungiamo la parola juniperus (ginepro) e facciamo poi vari anagrammi, otterremo ben 50 frasi di senso compiuto. A scoprirlo è stata di recente la ricercatrice italiana Carla Glori, secondo la quale queste frasi latine racconterebbero la vera storia di Ginevra, andata in sposa suo malgrado a Luigi di Bernardo Niccolini, un vedovo di quindici anni più anziano.
Dama con l’ermellino
(1489-90; Cracovia, Museo Nazionale)
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li studi e le opere di Leonardo sono ricchi di figure vegetali e animali: elementi naturali che non vengono mai inseriti per caso. Come avviene nella Dama con l’ermellino, dove la bestiola da compagnia ha la funzione di dare un indizio sull’identità e la storia della giovane nobildonna ritratta. Si tratta di Cecilia Gallerani, affidata alla tutela di Ludovico il Moro, reggente del Ducato di Milano. Fu lui stesso a commissionare il ritratto della ragazza, divenuta una delle sue favorite. Quanto all’ermellino, il nome greco dell’animale, galé, allude
al nobile casato della dama: ritorna quindi quel gioco di parole caro a Leonardo, già sperimentato nel Ritratto di Ginevra de’ Benci. Simbolo politico. L’ermellino non è però solamente il “simbolo” della dama ritratta, ma anche del suo committente, Ludovico il Moro. Nel 1488, poco prima della realizzazione del dipinto, questi aveva infatti ottenuto dal re Ferdinando I di Napoli il prestigioso titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino dopo aver contribuito alla repressione della rivolta dei baroni, scoppiata nel Sud Italia contro gli Aragonesi.
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI PICTURE LIBRARY
Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino
(1510-13 circa; Parigi, Museo del Louvre)
L
eonardo non riuscì mai a portare a termine questo dipinto, che però è passato alla Storia per la capacità di trasmettere le relazioni psicologiche tra i soggetti (gesti, sguardi e movimenti). Tanto che riuscì a stimolare la curiosità di Sigmund Freud. L’opera, a prima vista, ha un impianto “classico”, con le tre figure che assumono una forma piramidale (un riferimento alla sacralità del soggetto), come avviene in molti altri dipinti coevi. Tuttavia il padre della psicanalisi era convinto che questo dipinto celebrasse qualcosa d’intimo e primordiale, tanto da decidere di “sottoporre” a una vera analisi psicanalitica il genio toscano, attraverso la lettura di varie sue opere. Qualche esempio? La pala
Sant’Anna, la Vergine e il Bambino attesterebbe l’omosessualità passiva del pittore toscano. Freud ne avrebbe scovato le tracce nella veste della Vergine, che a suo dire assume la sagoma di un avvoltoio, uccello di cui Leonardo parla nel Codice Atlantico raccontando di un sogno infantile. Freud interpretò tale sogno, associando appunto l’animale all’omosessualità. Due madri. Secondo un’altra interpretazione, le due figure femminili, ritratte con un’espressione dolcissima e di cui non si riesce a distinguere la differenza d’età (Anna è la madre di Maria), sarebbero le “due madri” di Leonardo: quella biologica, Caterina (di cui era figlio illegittimo), e la madre adottiva, Albiera, che lo adottò da bambino.
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Secondo gli GNOSTICI c’era un Gesù“spirituale” e uno “corporeo”
1
IN ATTESA DELLA “LUCE”
La prima versione della Vergine delle rocce (oggi al Louvre). L’ambientazione in una caverna è un rimando alle pratiche ascetiche degli eremiti in cerca dell’“illuminazione”.
Maria sembra proteggere il bambino “sbagliato” (S. Giovanni). E se invece fosse anche lui Gesù?
2
SECONDA VERSIONE
CORTESIA KURA PRESS
Leonardo fece una prima copia della Vergine delle rocce per venderla: compare l’aureola.
3
TERZA VERSIONE
Gesù Bambino benedice colui che lo battezzerà oppure (come nell’eresia gnostica) se stesso?
L’angelo indica san Giovanni (o il Gesù “corporeo”) forse per dire che la “strada verso Dio” si può trovare non solo per nascita divina, ma anche con l’esperienza ascetica.
A un’altra copia (conservata a Londra), il Maestro aggiunse il bastone del Battista.
BRIDGEMANART (2)
Il bambino che viene benedetto potrebbe anche essere il “doppio” di Gesù (la sua “parte corporea”).
Vergine delle rocce
N
ella tavola (di cui esiste anche una seconda versione, conservata alla National Gallery di Londra), Gesù Bambino e san Giovannino sono nudi e molto somiglianti. Inoltre, non hanno aureola e manca la piccola croce che è il tradizionale attributo iconografico del Battista. L’elemento eccezionale del quadro è che i due fanciulli non vengono “differenziati” tra loro e l’opera è di fatto priva di simboli sacri. Lo stesso angelo presente nel quadro, che punta il dito sul San Giovannino in preghiera, protetto dalla Vergine, non ha le ali. Questa scelta così originale si rifà, secondo alcuni studiosi, alla tradizione gnostica seguita da Leonardo, e sarebbe uno dei motivi per cui la tavola non venne
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accettata dai committenti. Nello specifico, gli eretici gnostici credevano nell’esistenza di un doppio Gesù: uno incarnazione del mondo corporeo (e morto sulla croce), l’altro di quello spirituale. Nella tavola del Louvre, san Giovannino sarebbe il “Gesù corporeo”, mentre la Vergine incarnerebbe la “Sophia” gnostica, la componente femminile di Dio. Influenze. Leonardo potrebbe essersi fatto influenzare dall’opera di Marsilio Ficino, filosofo che aveva contribuito alla diffusione di temi gnostici nella cultura rinascimentale, dal cui studio aveva tratto dimestichezza con varie simbologie poco “ortodosse”. Difficile invece ipotizzare una partecipazione di Leonardo a qualche setta di impronta gnostica.
AP/LA PRESSE
(1486 circa; Parigi, Museo del Louvre)
Il disegno che si cela sotto la versione “numero 3” della Vergine delle rocce.
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MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI PICTURE LIBRARY
LE OPERE
CHE
FINE
HANNO FATTO? Le OPERE di Leonardo? Perse, RUBATE, fatte a pezzi, poi RICOMPOSTE, sparite e infine RITROVATE...
A
MARY EVANS/ALINARI
lla morte di Leonardo, avvenuta ad Amboise (Valle della Loira) il 2 maggio 1519, i dipinti presenti nello studio del Maestro forse tornarono subito in Italia. Un testamento elenca i quadri in possesso di Salaì, ovvero Gian Giacomo Caprotti, un discepolo che, spirato Leonardo, rientrò a Milano dalla Francia: “Quadro dicto una Leda, numero 1, scudi 200; Quadro de Santa Anna, numero 1, scudi 100; Quadro dicto la Joconda, dicto la honda, scudi 100…”. Un elenco che apre molti problemi, tra cui quello dell’identificazione di questi quadri. Erano opere del Maestro o copie? A favore dell’autenticità ci sono i prezzi espressi in scudi: se si considera che a Milano, agli inizi del Cinquecento, i dipinti di autori di una certa fama e di grandi dimensioni raramente superavano la cifra di 6-10 scudi, stime sbalorditive di 100 e 200 scudi non possono che riferirsi a opere originali. I titoli ricordano inoltre capolavori ben noti di Leonardo: Leda, Sant’Anna, Gioconda... Ma fino a poco tempo fa si riteneva che molti quadri di Leonardo fossero rimasti in Francia. Non è nemmeno da escludere che quelli in possesso di Salaì fossero copie, visto che in Lombardia dipinti di scuola leonardesca circolavano come autentici. Sgabello. I quadri giunti fino a noi, comunque, hanno avuto una vita avventurosa. Per esempio il San Gerolamo, oggi in Vaticano. La tavola appartenne alla pittrice svizzera Angelica Kauffmann, che lo teneva a Roma. Poi, per qualche motivo, fu tagliata in due: un pezzo fu impiegato da un rigattiere romano come coperchio per una cassa, mentre l’altro, il riquadro con la testa del santo, fu addirittura usato da un ciabattino come sedile per il suo sgabello. Fu il cardinale Fesch a riconoscere e ad acquistare il pezzo più grande nel 1820, mentre ci vollero anni prima che riuscisse a recuperare anche la porzione con la testa. Anche la Gioconda,
UN FURTO CLAMOROSO
Nel disegno, apparso sulla Domenica del Corriere il 10 settembre 1911, il clamoroso furto della Gioconda. Sopra, sempre sulla Domenica del Corriere, il ritorno di Monna Lisa al suo posto nel 1947, dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
nel 1911, rischiò di scomparire: fu rubata dalla sua teca al Louvre. Il ladro l’aveva portata via nascondendola sotto il cappotto. Le indagini coinvolsero perfino il pittore Pablo Picasso e il poeta Guillaume Apollinaire. Il vero colpevole, l’italiano Vincenzo Peruggia, fu arrestato solo due anni dopo. Disse di aver agito per “patriottismo”, ma in realtà era stato arrestato quando aveva cercato di venderlo a un mercante d’arte fiorentino. Disavventure anche per il cartone che raffigura Sant’Anna, la Vergine, il Bambino e San Giovanni, conservato alla National Gallery di Londra e colpito alcuni anni fa dai proiettili sparati da uno squilibrato. Capolavori perduti. Molte opere di Leonardo sono invece andate perdute. Giorgio Vasari, nelle sue Vite, ci parla per esempio di un cartone per un Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre destinato a un arazzo per il re del Portogallo (mai eseguito). Probabilmente l’artista dipinse anche un Drago in zuffa con il leone, di cui resta una copia disegnata, oggi agli Uffizi. Nel 1478 Leonardo annotò di aver cominciato a lavorare a “due Virginie Marie”. Una è la Madonna Benois oggi a Pietroburgo, l’altra è la Madonna del gatto che conosciamo solo attraverso gli schizzi preparatori. È andato perso anche un Cristo tra i dottori commissionato forse da Isabella d’Este, un Angelo dell’Annunciazione e una Natività che sarebbe stata commissionata dagli Sforza appena il pittore giunse a Milano. Persa anche un’Assunzione che egli realizzò per il portale di Santa Maria delle Grazie, nel capoluogo lombardo, e un grande cartone con la Madonna, Sant’Anna, il Bambino e l’agnellino, uno degli studi preparatori all’omonimo quadro oggi al Louvre. Perduti, infine, i due soli nudi femminili di Leonardo: la Gioconda nuda e la Leda. Di quest’ultima esiste una copia a Roma (Galleria Borghese). Di recente ha invece richiamato l’attenzione del pubblico l’attribuzione a Leonardo della statuetta in terracotta della Madonna col bambino che si trova al Victoria and Albert Museum di Londra, ritenuta da sempre opera di Antonio Rossellino.
La complicata vita del Salvator Mundi
ART LIBRARY/ALAMY/IPA
I
l quadro, attribuito a Leonardo e venduto il 16 novembre 2017 dalla casa d’asta Christie’s a New York, è l’opera d’arte più costosa al mondo. Battuto a 450 milioni di dollari (circa 380 milioni di euro), al momento il Salvator Mundi si trova in una collezione privata di Abu Dhabi. Troppi dubbi. Acquistato da un amico del principe saudita Mohammed bin Salman per
essere esposto al Museo del Louvre di Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), da allora non è più stato presentato al pubblico. E non approderà al Louvre di Parigi, come era stato invece annunciato, per la mostra del cinquecentenario. C’è infatti chi dubita che il dipinto, riapparso a Londra nel 2011, sia davvero il Cristo dipinto da Leonardo. Che dopo l’asta non si è più visto.
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DOVE SONO I CODICI E I DIPINTI
R
ealizzati tra il 1478 e il 1519, i codici di Leonardo giunti fino a noi (contenenti in totale quasi 3.500 fogli) sono custoditi in tanti luoghi diversi. Lo stesso vale per i dipinti. Nella mappa sono indicate le opere con le relative ubicazioni. È praticamente tutto in Europa, fatta eccezione per il Ritratto di Ginevra de’ Benci (1474), alla National Gallery of Art di Washington, il Salvator Mundi (1499 circa), in una collezione privata di Abu Dhabi, e il “Codice Leicester”, nella collezione privata di Bill Gates a Seattle (ma rimasto dal 30 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019 in mostra agli Uffizi di Firenze).
CODICE ARUNDEL 263 Londra, British Library
MADONNA DEL GAROFANO (1473) Monaco di Baviera, Alte Pinakothek
RACCOLTA DI WINDSOR Berkshire, Castello di Windsor, Royal Library MANOSCRITTI DI FRANCIA (A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L, M) Parigi, Institut de France
SCAPIGLIATA (1508) Parma, Galleria nazionale
RITRATTO DI MUSICO (1485) Milano, Pinacoteca Ambrosiana
CODICE DI MADRID (I, II) Madrid, Biblioteca Nacional de España
MADONNA LITTA (1490) San Pietroburgo, Museo statale Ermitage
VERGINE DELLE ROCCE II (1494-1508) Londra, National Gallery
CODICE FORSTER (I, II, III) Londra, Victoria and Albert Museum
ULTIMA CENA (1494-1498) Milano, Refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie
MADONNA BENOIS (1478-1482) San Pietroburgo, Museo statale Ermitage
CODICE SUL VOLO DEGLI UCCELLI E AUTORITRATTO Torino, Biblioteca Reale
SAN GIROLAMO (1480) Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana
CODICE ATLANTICO Milano, Biblioteca Ambrosiana CODICE TRIVULZIANO 2162 Milano, Castello Sforzesco, Biblioteca Trivulziana CODICI QUADRI
ANNUNCIAZIONE (1472-1475) Firenze, Galleria degli Uffizi
DAMA CON L’ERMELLINO (1488-1490) Cracovia, Museo Nazionale
GIOCONDA (1503-1514) Parigi, Musée du Louvre VERGINE DELLE ROCCE I (1483-1486) Parigi, Musée du Louvre BELLE FERRONNIÈRE (1490-1495) Parigi, Musée du Louvre SAN GIOVANNI BATTISTA (1508-1513) Parigi, Musée du Louvre SANT’ANNA, LA VERGINE E IL BAMBINO CON L’AGNELLINO (1510-1513) Parigi, Musée du Louvre
ADORAZIONE DEI MAGI (1481-1482) Firenze, Galleria degli Uffizi
Le creazioni del genio TURBANO chi le guarda. Non a caso sono La diaspora dei taccuini. I manoscritti, i disegni e gli strumenti di lavoro di Leonardo non ebbero miglior fortuna. Si trattava di almeno un centinaio di libri, quattro quinti dei quali oggi perduti. Andarono all’allievo Francesco Melzi, che raccolse in un unico volume i diversi passi che nei codici trattavano di pittura (ricavandone il celebre Trattato sulla pittura, per secoli l’unico testo scritto di Leonardo conosciuto). Alla sua morte, però, il figlio Orazio gettò alla rinfusa i manoscritti in alcune casse che stipò in un granaio; ne vendette poi una parte e lasciò che i collezionisti si prendessero il resto. Tra questi, Pompeo Leoni, scultore ufficiale del re di Spagna Filippo II, offrì a Orazio Melzi i favo72
ri del re e un posto nel Senato di Milano in cambio di ciò che rimaneva dell’eredità leonardesca. Riuscì in questo modo a raccogliere una gran quantità di disegni e manoscritti, che portò in Spagna. Leoni riordinò gli scritti di Leonardo, smembrando i libri, per poi incollare le singole pagine su fogli più grandi, e in alcuni casi ritagliò addirittura i disegni raggruppandoli per argomento. Compose due raccolte. Con i disegni più belli realizzò la raccolta che si trova oggi nella Royal Library del castello di Windsor, in Inghilterra. Con 1.300 carte, tratte dai codici e incollate su 402 fogli, compose il Codice Atlantico, acquistato dal conte Galeazzo Arconati, che nel 1637 lo donò alla Biblioteca
SCALA
UN MITO PAGANO
FINE ARTS/HERITAGE/MONDADORI PORTFOLIO
A destra, copia della Leda (l’originale probabilmente fu bruciato). Sopra, un disegno preparatorio di Leonardo.
spesso prese d’assalto da SQUILIBRATI armati di coltelli o pistole Ambrosiana di Milano insieme a dieci manoscritti di Leonardo. Nel 1796 Napoleone entrò a Milano: il Codice Atlantico finì alla Biblioteca Nazionale di Parigi e gli altri manoscritti all’istituto di Francia. Dopo il 1815, il barone di Ottenfels, responsabile del recupero delle opere d’arte fatte trasferire da Napoleone, riportò a Milano l’Atlantico, ma gli altri codici restarono in Francia, dove sono tuttora. Qui, tra il 1841 e il 1844 subirono un furto ingegnoso: Guglielmo Libri, professore di matematica, chiese di consultarli per motivi di studio. Usò però come segnalibro un filo intriso di acido muriatico che, corrodendo il bordo delle pagine, gli permetteva di staccarle. Riuscì così a portarsi via il Codi-
ce sul volo degli uccelli, che era rilegato all’interno del Codice B, e a sottrarre molti fogli sia a questo codice che al Codice A. Rilegandoli ottenne due “nuovi” codici che riuscì a vendere. Una volta recuperati tornarono all’Istituto di Francia, ma si persero molti fogli. Sotto chiave. Il Codice Atlantico, invece, è oggi custodito nella sala del Tesoro della Biblioteca Ambrosiana, in un caveau sotterraneo climatizzato. Non è difficile pensare, però, che altri codici si possano nascondere nei polverosi depositi di qualche biblioteca. E non è un’ipotesi inverosimile: nel 1966, due codici di Leonardo creduti perduti sono tornati alla luce nella Biblioteca Nazionale di Madrid. • Massimo Polidoro 73
ARGO DI STRAZZA/ MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI”
ALINARI
IL MITO
UN EVENTO COLOSSALE
L’ingresso alla mostra su Leonardo del 1939 al Palazzo dell’Arte di Milano (oggi Triennale). A sinistra, un ritratto di Benito Mussolini.
Nel 1939, all’apice del consenso al FASCISMO, una grande ma controversa mostra a Milano ARRUOLAVA Leonardo come TESTIMONIAL del “primato tecnologico e industriale” italiano
UN GENIO IN ORBACE
ENTRATA TRIONFALE
“S
copo della mostra è quello di celebrare il genio universale e ineguagliato di Leonardo da Vinci, assunto quasi a simbolo di tutta la civiltà latina e cristiana e pertanto romana e di porre in evidenza i legami spirituali che uniscono questo grande realizzatore e creatore alle realizzazioni dell’Italia mussoliniana e imperiale”. Con queste parole ad alto tasso retorico il catalogo della “Mostra di Leonardo e delle invenzioni italiane” arruolava il maestro della Gioconda come testimonial autarchico delle conquiste della scienza e della tecnica italiche. La mostra-evento, sui giornali del tempo ri-
MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI”
Lo scalone del Palazzo dell’Arte di Milano con il modello di argano per sollevare pezzi di artiglieria.
battezzata “la Leonardesca”, si aprì a Milano, al Palazzo dell’Arte (oggi Triennale) il 9 maggio 1939, 420° anniversario della morte di Leonardo. Quando chiuse i battenti, il 22 ottobre, la Seconda guerra mondiale era cominciata da 42 giorni. Il momento storico favoriva il nazionalismo. Il sostegno al fascismo era ai massimi, e non soltanto per l’efficacia della macchina del consenso e per oltre un decennio di azzeramento della democrazia. Nel 1936 la Guerra d’Etiopia si era conclusa con la nascita dell’effimero Impero italiano, tentativo fuori tempo massimo di guadagnarsi un posto al sole tra le potenze coloniali. L’impresa aveva messo in
luce il lato peggiore del fascismo, tra campagne razziste e attacchi chimici ordinati da Mussolini. Ma aveva inorgoglito quasi tutti gli italiani. Paralleli arditi. Che lo scopo della mostra fosse stabilire un parallelo tra il genio di Leonardo e le conquiste dell’Italia fascista, in particolare quelle tecniche e industriali, appariva evidente appena oltre l’ingresso del Palazzo dell’Arte. Il visitatore si trovava subito a un bivio: da una parte c’erano, un po’ come in una fiera campionaria, gli ultimi ritrovati dell’industria nazionale e i prodotti delle aziende di punta; dall’altra c’era lui, Leonardo, rappresentato dai modelli delle sue mac75
FRANCESCO DAL POZZO/MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI”
GRANDI MEZZI
MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI” (3)
A sinistra, guida ufficiale della Mostra delle invenzioni italiane. A destra, La Sala delle Celebrazioni all’interno del Palazzo dell’Arte. Sotto, la pianta della mostra. Nell’altra pagina, ricostruzione della “taglia quadrangolare”, macchina capace di sollevare con uno sforzo minimo un carico di venti quintali.
Leonardo divenne l’immagine più efficace della PROPAGANDA chine e da alcuni dei suoi dipinti. In tutto, 25 sale zeppe di opere d’arte sue e dei contemporanei, modellini, documenti, riproduzioni fotografiche. Il perché del doppio allestimento era spiegato dal catalogo: “L’abbinamento alla celebrazione vinciana della mostra delle invenzioni italiane tende a dimostrare la continuità del genio creativo della stirpe e le grandi possibilità che si aprono a esse nel clima della volontà fascista”. Questo parallelo un po’ forzato non era soltanto figlio della retorica mussoliniana. La mostra del 1939 era infatti il punto d’arrivo di un percorso iniziato quasi un secolo prima. «L’immagine di Leonardo proposta dalla propaganda autarchica incrociava un filone di ricerca che risaliva all’Ottocento», spiega Claudio Giorgione, curatore del Dipartimento Leonardo, arte e scienza al Museo nazionale della scienza e 76
della tecnologia di Milano. «Nel XIX secolo era iniziata la scoperta di Leonardo ingegnere, che non fu più visto soltanto come un grande artista». Il lato tecnologico di Leonardo era emerso dagli studi sui manoscritti. Soprattutto da quelli sui codici della Biblioteca Ambrosiana trafugati dai francesi nel 1796 e oggi in gran parte ancora all’Institut de France di Parigi. «Nel clima postunitario, tra Ottocento e Novecento, nel mondo accademico Leonardo era già considerato il pioniere del pensiero scientifico in Italia», spiega ancora Giorgione. «Questa visione aveva preso le mosse da Giovan Battista Venturi, morto nel 1822, che fu il primo a studiare Leonardo come ingegnere e uomo di scienza. Ciò avvenne quando i manoscritti di Leonardo furono portati a Parigi da Milano, durante la campagna napoleonica. Decisiva, nel
corso dell’Ottocento, fu poi la diffusione dei manoscritti vinciani. Quando le tecniche fotografiche di riproduzione resero possibile pubblicare in volume i disegni e gli appunti, la platea degli studiosi si allargò. Libri come il Codice Atlantico pubblicato nel 1894 dall’editore Hoepli, con la trascrizione del testo “decifrato” da Giovanni Piumati, fanno ormai parte della storia della leonardistica e della storia della scienza italiana». L’inventore del futuro. La riscoperta dei codici fu però anche all’origine di uno dei luoghi comuni leonardeschi più duraturi: quello dell’anticipatore visionario di invenzioni futuribili. Venturi fu il primo a soffermarsi sui disegni tecnici dei codici, trascrivendoli e cercando di tradurli in macchine funzionanti. Nel 1906 Luca Beltrami, altro padre nobile degli studi vinciani, ipotizzò la costru-
MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI”
REGALO D’AUTORE
G
autarchica del fascismo zione di una delle macchine volanti, senza però riuscire a realizzare il suo sogno. I primi otto modellini in scala videro la luce nel 1929, grazie a Raffaele Giacomelli e Giuseppe Schneider, per una mostra sulla storia della scienza a Firenze: erano quasi tutti macchine volanti. I disegni di Leonardo, dalla “vite aerea” all’“ornitottero”, non erano però quello che apparivano. Più che antenati di elicotteri e aerei, erano riflessioni sulla meccanica del volo e sulla natura, che era poi il vero interesse di Leonardo. Eppure, per gli studiosi italiani di inizio Novecento la suggestione era troppo forte: chi, se non un toscano geniale, poteva avere anticipato di quattro secoli l’invenzione degli americani fratelli Wright, l’aeroplano? L’idea di Leonardo profeta delle conquiste della seconda Rivoluzione industriale precede dunque il fascismo. Ma fu
ià prima del 1939 Leonardo da Vinci debuttò in versione autarchica all’Esposizione universale di Chicago, nel 1933. «A Chicago per la prima volta gli studiosi italiani presentarono Leonardo nella sua veste di scienziato e inventore, anche attraverso la ricostruzione di una sua macchina per la produzione tessile», spiega Claudio Giorgione, curatore al Museo nazionale della scienza e della tecnologia di Milano. Per l’occasione, il Comitato nazionale delle ricerche (Cnr), nato nel 1923, preparò un “documentario”, cioè una raccolta delle invenzioni e scoperte scientifiche italiane. Portavoce del primato tricolore era la star internazionale delle onde radio, Guglielmo Marconi, che del Cnr era allora presidente. Hall of Fame. Nel Pantheon tecnico-scientifico italiano c’erano, oltre a Leonardo e Galileo Galilei, pionieri ottocenteschi allora misconosciuti: il fisico e patriota Macedonio Melloni (1798-1854), studioso della radiazione infrarossa; Eugenio Barsanti, nel 1854 inventore (con Felice Matteucci) di un motore a combustione interna che precedette quello di Carl Benz; Antonio Meucci, inventore del telefono poi brevettato da Graham Bell. Il Cnr pubblicò per l’occasione la Guida atlante delle rivendicazioni scientifiche italiane. I documenti raccolti per l’Expo di Chicago confluiranno poi nel Museo del Cnr e, nel Dopoguerra, nel neonato Museo nazionale della scienza e della tecnica di Milano, dove si trovano ancora oggi.
CRIMELLA/MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI” (2)
Chicago 1933: i “primati italiani” all’Expo
Prototipo di detector magnetico realizzato in una scatola di sigari da Guglielmo Marconi e donato nel 1932 a Guido Ucelli, fondatore del Museo della scienza e della tecnica di Milano.
Facciata dell’Esposizione dell’Aeronautica Italiana (sopra) e Sala di Icaro (a sinistra) al Palazzo dell’Arte.
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Pieghevole sui luoghi leonardeschi edito dal Touring Club Italiano in occasione del quinto centenario della nascita di Leonardo, nel 1952.
L’EVOLUZIONE DEL MITO
MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI” (2)
SELLA/MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI”
Sotto, schizzo del Padiglione di Leonardo, 1952. A destra, una macchina nella galleria del Museo della scienza e della tecnica inaugurato a Milano nel 1953.
Gli oltre CENTO modelli di macchine realizzati nel 1939 andarono perduti nel 1942, mentre tornavano da una MOSTRA in Giappone soltanto durante il fascismo che questa idea si trasformò in mito fondatore. «Lo “scarto” avvenne all’inizio degli Anni ’30, in particolare con l’Esposizione universale di Chicago del 1933 (v. riquadro alla pagina precedente)», prosegue Giorgione. «Il governo fascista capì allora che le mostre potevano essere un potente strumento di propaganda per esaltare, in patria e all’estero, il cosiddetto “primato italiano”. In quel periodo si cominciava a investire molto nella preparazione di allestimenti di grande impatto visivo. Una tendenza che culminò proprio con la mostra milanese del 1939, che aveva un’impostazione “pop”: si voleva portare questa nuova immagine di Leonardo fuori dal mondo accademico». Il fascino delle macchine. La Leonardesca, allestita dall’architetto Giuseppe Pagano, aveva intenti didascalici: ricostruzione del contesto storico, paragoni con altri artisti e pensatori del Ri78
nascimento, riproduzioni fotografiche di codici e opere d’arte, approfondimenti tematici. Il ministro dell’Educazione, Giuseppe Bottai, aveva del resto le idee chiare su questo punto: “Il primo a dichiarare che l’arte non è un prodotto di lusso, ma un bisogno primordiale ed essenziale dello spirito è stato Mussolini. Da quella verità discende che l’opera d’arte ha una sua validità sociale e politica; quindi una forza educativa”. Di questa funzione “educativa” rivolta alle masse i pezzi forti in mostra erano le macchine vinciane: dovevano essere la prova provata di Leonardo “primo genio italiano”. Vennero realizzati oltre 100 modelli, ricostruiti a partire dai disegni leonardeschi. «Furono costruiti intenzionalmente con strutture colorate, per colpire di più. Alcuni erano azionati da motori elettrici, con evidenti forzature interpretative, che andavano nella direzione della spettacolarizzazione», continua Giorgione. Paga-
no illustrò così quella scelta: “Ci piacque, allora, dare a più d’una di queste macchine un colore inatteso, rosso sangue, rosa pastello, nero fondo, in modo da animarle anche come valore di linea e di massa, contro le pareti candide. Questo sembrò ad alcuni un sacrilegio contro la scienza”. La costruzione delle macchine leonardesche, quasi tutte in grande scala, fu supervisionata da un apposito Ufficio modelli. Il lavoro di quegli ingegneri e tecnici segnò l’inizio di una lunga tradizione di modellistica leonardesca, oggi declinata al computer, in 3D e in realtà virtuale. I modelli ebbero un enorme successo e nel 1940 furono presentati all’Esposizione universale di New York. Poi andarono in mostra a Tokyo ma nel 1942, mentre tornavano dal Giappone, furono distrutti insieme alla nave che li trasportava, colpita da un bombardamento. Per fortuna a Milano c’erano i disegni dell’Ufficio modelli. Così, nel 1953, le macchine
Le peripezie dei manoscritti
I
modelli delle macchine realizzati per la mostra del 1939 si basavano sull’interpretazione dei cosiddetti “codici leonardeschi”. Quei codici, però, di leonardesco hanno il contenuto, non la forma. Leonardo lasciò infatti le proprie carte in eredità a Francesco Melzi, suo allievo e segretario. Dopo la morte di Francesco (1567) quel tesoro rischiò di andare disperso, venduto al miglior offerente dagli eredi. Salvati. Per fortuna lo scultore Pompeo Leoni (1533-1608) acquistò molti di quei manoscritti mentre era al servizio dei re di Spagna, a Madrid. Fu lui a ritagliarne, incollarne e organizzarne alcuni in “codici”, cioè manoscritti rilegati. In seguito molti furono smembrati, ricomposti, venduti e trafugati, perduti e ritrovati. Identificati nell’Ottocento con lettere progressive o titoli relativi al contenuto, in qualche caso portano il nome di chi li ha posseduti. Ecco attraverso quali peripezie sono arrivati fino a noi. IL CODICE ATLANTICO è il più grande di codici leonardeschi, in tutti i sensi. Si chiama così perché Pompeo Leoni lo realizzò tagliando e incollando i 1.119 autografi di Leonardo (è la sua più ampia raccolta di disegni e scritti) su grandi fogli usati per gli atlanti geografici. Dopo la morte di Leoni fu acquistato dal milanese Galeazzo Arconati e poi donato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Nel 1796 fu trafugato come bottino di guerra dai francesi e finì nella Biblioteca nazionale di Francia. Tornò a Milano nel 1815, con la Restaurazione, mentre gli altri 12 codici rimasero là. IL CODICE SUL VOLO DEGLI UCCELLI apparteneva in origine al cosiddetto Manoscritto B, che dopo varie vicessitudini fu donato ai Borromeo insieme al Codice Atlantico e ad altri codici. Fu sottratto dai francesi durante le campagne napoleoniche d’Italia, ma dopo il 1815 rimase in Francia. Intorno al 1844 Guglielmo Libri lo separò dal Manoscritto B, con il quale era rilegato e che si trovava all’Institut de France. Venne acquistato prima dal collezionista milanese Giacomo Manzoni (1867) e poi dal russo Fjodor Sabachnikov. Donato alla regina Margherita di Savoia nel 1893, è oggi nella Biblioteca Reale di Torino, dove c’è anche il celebre Autoritratto. IL CODICE TRIVULZIANO si trova a Milano. Si chiama così perché a metà ’700 fu acquistato per la biblioteca milanese dei principi Trivulzio, attuale Biblioteca Trivulziana nel Castello Sforzesco.
ALAMY/IPA
Lo studio ad Amboise, in Francia, dove Leonardo visse i suoi ultimi anni, dal 1517 al 1519.
I CODICI DI MADRID sono due codici rimasti alla Biblioteca Nazionale di Madrid dopo la morte di Pompeo Leoni, nel 1608. Nell’Ottocento si persero negli archivi durante la catalogazione e furono riscoperti per caso nel 1965. IL CODICE ARUNDEL E I FOGLI DI WINDSOR presero presto la via dell’Inghilterra. Acquistati verso il 1630 dal collezionista Thomas Howard, conte di Arundel, passarono alla Royal Society di Londra e infine al British Museum nel 1831. Gli studi anatomici entrarono invece nelle collezioni reali del Castello di Windsor (tranne un foglio, finito a Weimar, in Germania). I CODICI FORSTER sono anch’essi in Inghilterra. Viaggiarono fino a Vienna, poi passarono nelle mani di due scrittori inglesi, Lord Lytton e John Forster: quest’ultimo li donò al Victoria and Albert Museum di Londra, dove i tre codici oggi sono conservati. I “MANOSCRITTI DI FRANCIA” che si trovano all’Institut de France di Parigi sono 12 codici della Biblioteca Ambrosiana di Milano, sottratti nel 1796 dai francesi. Nella capitale d’Oltralpe furono catalogati da Giovanni Battista Venturi, con le sigle alfabetiche che portano ancora oggi. Nel 1815 il Codice Atlantico tornò a Milano. Dei 12 rimasti a Parigi, i Codici A e B furono trafugati dal bibliofilo Guglielmo Libri verso il 1844, ricomposti e rivenduti, ma poi tornarono (con alcune parti mancanti) in Francia a fine Ottocento. IL CODICE LEICESTER (o Hammer) è l’unico oggi appartenente a un privato. Intorno al 1530 lo possedeva lo scultore Guglielmo Della Porta, ma all’inizio del Settecento lo ritroviamo in Inghilterra, nella collezione di Thomas Coke, primo conte di Leicester. Nel 1980 lo acquistò il petroliere americano Armand Hammer (1980) e nel 1994 se lo aggiudicò Bill Gates, per oltre 30 milioni di dollari. IL “LIBRO DI PITTURA” ossia gli schizzi e gli appunti sull’arte, approdò a Firenze, dove probabilmente diverse mani lo trascrissero. Nacque così il cosiddetto “Trattato sulla pittura di Leonardo”, pubblicato a Parigi nel 1651. Il manoscritto originale finì prima nella collezione dell’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, e poi passò alla Biblioteca Vaticana, dove si trova oggi.
LE MACCHINE VISIONARIE Negli anni Cinquanta, i migliori studiosi e artigiani italiani realizzarono questi modelli attingendo alle pagine di Leonardo e ai disegni preparatori per la grande mostra del 1939.
LA “VITE AEREA”
Disegnata nel Manoscritto B venne considerata nel 1939 l’antenata dell’elica di un aereo.
TRASMISSIONE PER CARRO
Qui viene anticipata l’idea del “differenziale”. L’asse trasferisce alle ruote il carico del telaio, il movimento viene trasmesso attraverso un meccanismo dentato, mentre l’altra ruota gira liberamente.
MOTO PERPETUO
Nel Codice Forster Leonardo riproduce il modello di ruota per il moto perpetuo di Villard de Honnecourt (XIII secolo).
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ALESSANDRO NASSIRI/MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI” (6)
GRU A DOPPIO BRACCIO
Montata su una piattaforma circolare poteva ruotare permettendo rapidi travasi di materiali.
PALOMBARO
Uno scafandro di cuoio composto da giubbone, calzoni e maschera con occhiali di vetro. Inoltre era dotato di un otre per raccogliere l’urina e sacchi di sabbia da usare come zavorra.
Dalla RICOSTRUZIONE di questi complessi CONGEGNI apparve evidente che Leonardo aveva anticipato il FUTURO nei campi più disparati
BARCA A PALE
Uno studio di propulsione a pale per moltiplicare la forza dei vogatori.
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MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI” (2)
La mostra del 1939 fu CRITICATA dal punto di vista artistico: lo storico dell’arte Roberto Longhi la definì “ABOMINEVOLE” del 1939 ripresero vita per la mostra che accompagnò la nascita del Museo della scienza e della tecnica “Leonardo da Vinci” (v. pagina a destra). Flop artistico. Se il lato tecnicoscientifico della Leonardesca fu un successo, quello storico-artistico si rivelò un flop. È vero, a Milano giunsero dipinti che oggi sarebbe impensabile far uscire dai musei che li ospitano. «Arrivarono le opere degli Uffizi, il San Giovanni Battista, molti disegni. Per esempio quelli del duca del Devonshire, che rimasero poi nei sotterranei del Castello Sforzesco per tutta la durata della guerra», spiega Giorgione. Ma insieme ai capolavori c’erano, affastellati in modo incoerente, copie, calchi e dipinti poco pertinenti. «Giorgio Nicodemi, curatore della parte storico-artistica, presentò tra le opere persino un dipinto falso. Nel comples82
so, come mostra d’arte la Leonardesca fu davvero un tonfo». Fra tante attribuzioni dubbie e interpretazioni discutibili, in quel 1939 arrivò tuttavia una scoperta vera, del tedesco Emil Möller: dagli archivi storici di Firenze spuntò la data di nascita del maestro di Vinci, fino a quel momento ignota. Era contenuta in un registro notarile del nonno di Leonardo, Antonio, che all’anno 1452 annotò la nascita del nipote, figlio illegittimo di ser Piero da Vinci e (ma questo lo rivelerà un altro documento) di una certa Caterina: “Nacque un mio nipote, figliuolo di Ser Piero mio figliuolo a dì 15 d’aprile in sabato, a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo”. Il brand Leonardo. Discutibile quanto si vuole, la Leonardesca fu una delle prime mostre blockbuster in Italia e per il suo protagonista segnò l’inizio di una seconda vita: quella da brand. «La
mostra anticipò i tempi», conclude Giorgione. «Non si realizzò un unico grande catalogo, come si usa oggi. Si pubblicarono però diverse guide per la doppia mostra e ci fu uno dei primi merchandising, con cartoline delle opere leonardesche». Nel 1939 Leonardo era un marchio autarchico, oggi è un brand globale. Ma, a ottant’anni dalla mostra voluta da Mussolini, l’idea di Leonardo campione della creatività italiana resiste. Quando si dice che l’autore della Gioconda fu l’anticipatore di un made in Italy votato alla conquista dei mercati, in fondo lo si arruola ancora una volta come testimonial del primato italico. Non più in orbace (la divisa fascista) ma in abiti sartoriali da ambasciatore delle eccellenze italiane. Chissà se Leonardo, che amava vestire con eleganza, avrebbe apprezzato. • Aldo Carioli
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el 1953 inaugurò a Milano il nuovo Museo nazionale della scienza e della tecnica (oggi “della tecnologia”) “Leonardo da Vinci”. Quel museo era figlio della mostra del 1939. Intanto perché la sua inaugurazione (febbraio 1953, con la mostra “Scienza e tecnica di Leonardo da Vinci”) fu parte delle celebrazioni per i 500 anni dalla nascita di Leonardo, iniziate l’anno prima. E poi perché il suo fondatore, Guido Ucelli (1885-1964) – ingegnere, dirigente industriale e presidente dell’azienda meccanica Riva & Calzoni – era stato nel comitato scientifico della Leonardesca. «Il museo era già nella mente del suo fondatore nel 1939», spiega Fiorenzo Galli, Direttore generale del Museo della scienza e della tecnologia milanese. «Ucelli immaginò un luogo che celebrasse la trasformazione industriale del nostro Paese, della quale fu uno dei protago-
nisti. Voleva celebrare i successi dell’industria italiana e della scienza applicata tra Ottocento e Novecento, all’indomani dell’Unità d’Italia. Un altro legame tra la mostra del 1939 e quella del 1953 furono i modelli delle macchine leonardesche, andati perduti nel 1942 ma ricostruiti sulla base dei disegni tecnici del 1939». Erede ideale. Logico quindi che proprio Leonardo fosse il simbolo di quella celebrazione della creatività tecnica, fra turbine idroelettriche e conquiste della meccanica. «L’intitolazione a Leonardo era l’aggancio al passato. La capacità italiana di innovare, già sottolineata dalla mostra del 1939, accompagnava allora lo sforzo della ricostruzione post-bellica. L’apertura del museo, nel convento di San Vittore ristrutturato, fu un simbolo della rinascita di Milano». Di cui i modelli leonardeschi diventarono subito il cuore.
Arte e scienza. Oltre al lascito ideale del 1939, il neonato museo ricevette tesori concreti. «Nel 1952 Fernanda Wittgens, direttrice della Pinacoteca di Brera, diede a Guido Ucelli in comodato 36 affreschi e due sinopie della scuola di Bernardino Luini. Recentemente si sono aggiunte altre 12 opere di Luini, da Palazzo Citterio e sempre in comodato dalla collezione di Brera. In questo modo, fin dall’inizio, il binomio “arte e scienza” fu presentato come un elemento connaturato all’anima di Leonardo, che ebbe per tutta la vita uno spirito da ricercatore e sperimentatore, anche nell’arte». Proprio la rivisitazione dell’avventura vinciana al di là del mito sarà la chiave di lettura delle nuove Gallerie di Leonardo al Museo nazionale scienza e tecnologia, che apriranno per la fine del 2019. «Ospiteranno i modelli delle macchine, ma presenteranno anche Leonar-
do nella sua realtà storica e scientifica. La vera “invenzione” di Leonardo fu l’uso originale delle tecniche del disegno. Una diversità fatta di quantità e qualità e soprattutto una diversità concettuale: erano disegni al servizio di uno studio approfondito, ma rispettoso della natura. Un approccio decisamente moderno». Copiare per progredire. L’altro filo rosso delle nuove Gallerie sarà il legame tra Leonardo e i suoi contemporanei. «Molti suoi disegni erano studi di macchine altrui, come quelle che aveva visto nella bottega del Verrocchio da giovane, durante la costruzione della cupola del Duomo a Firenze; la sua originalità stava proprio nella capacità di sviluppare le idee promettenti». A degna conclusione di un anno di celebrazioni, potremo finalmente immergerci in questa nuova visione, anche interattiva, dell’universo leonardesco.
TRA ARTE E SCIENZA
Una sala del museo allestita con i modelli degli Anni ’50 e affreschi di pittori lombardi del XVI secolo. Nell’altra pagina la locandina della mostra in corso (a sinistra) e il pieghevole della mostra che si tenne nel 1953 (a destra).
PAOLO SOAVE/MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI”
Il Museo nazionale “Leonardo da Vinci”: ieri, oggi e domani
LO SCIENZIATO
NATURALISTA PER HOBBY
Leonardo cominciò A STUDIARE il creato per poterlo DIPINGERE meglio. Poi, però, si accorse che c’era tanto da SCOPRIRE...
I TRE REGNI
Dall’alto in senso orario: un disegno di ciliegie e piselli, purtroppo rovinato da una macchia (forse di caffè); uno studio sulle rocce tratto dal Codice Windsor; gatti, leoni e draghi sempre nel Codice Windsor, in cui Leonardo disegnò animali di tutti i tipi.
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ALINARI (4)
Studio di un albero, disegno tratto dal Codice Windsor.
a struttura delle rocce, il movimento di un gatto, i mulinelli di un torrente in piena o la semplice disposizione delle foglie sui rami: la curiosità insaziabile di Leonardo per il mondo che lo circondava lo trasformò a tutti gli effetti in un naturalista. Nei suoi dipinti, fiumi e montagne sembrano veri: nella Vergine delle rocce o nella Madonna dei Fusi, per esempio, la precisione nel riprodurre le strutture geologiche è evidente. Onde luminose e sonore. «L’interesse di Leonardo per la natura», spiega Paolo Galluzzi, direttore del Museo Galileo di Firenze, «nacque con la sua attività di pittore. Prima di dipingere Leonardo analizzava le rocce, le piante, gli animali per poterli rappresentare in modo più realistico nei suoi quadri». E la sua precisione fu tale che alcuni dei suoi studi pittorici hanno ancor oggi valore scientifico. Indagando, Leonardo scoprì alcune leggi della natura allora sconosciute: descrisse per esempio il fenomeno dei cerchi concentrici formati dalla caduta di un sasso nell’acqua ferma come il risultato di un moto apparente delle particelle di acqua, che si alzano e si abbassano ma non cambiano posizione, e intuì addirittura che la luce e il suono si diffondono nell’aria nello stesso modo. Scoprì anche il meccanismo di formazione dei fossili e perché talvolta la parte in ombra della Luna diventa evidente (v. riquadri sotto e nella pagina seguente). Si tratta di considerazioni ben più approfondite delle osservazioni necessarie a una semplice raffigurazione dei paesaggi naturali nei quadri, ma fu tipico dell’artista chiedersi il perché dei fenomeni osservati. E poi ancora il perché del perché. «Leonardo sentiva la natura
come qualcosa di vivo, di animato», continua Galluzzi. «Credeva che il principio divino fosse in ogni cosa, depositato all’interno di rocce, uccelli, foglie e movimenti d’acqua». Per fare un albero. L’artista fu particolarmente attratto dalla botanica, effettuando importanti osservazioni. Oltre a studiare tutti gli organi che costituiscono una pianta, Leonardo analizzò gli anelli concentrici dei tronchi, intuendo che contandoli si può conoscere l’età degli alberi. Riconobbe la disposizione regolare dei frutti e delle foglie lungo i rami (il nome di questo fenomeno, studiato secoli dopo, è fillotassi). Osservò come le foglie siano orientate verso la luce del Sole (oggi si sa che questo comportamento, detto eliotropismo, favorisce la fotosintesi). A Leonardo mancarono i concetti di fisica e chimica per capire appieno, per esempio, perché l’acqua risalga dalle radici alle foglie, però si deve a lui uno dei primi accenni a una classificazione sistematica delle piante (fu solo con Linneo, dopo la metà del ’700, che si ebbe la catalogazione vera e propria del mondo vegetale e animale). L’acuta vista dei rapaci. Leonardo studiò inoltre l’anatomia e la fisiologia animale. Analizzò la differenza tra le zampe anteriori e posteriori dell’orso e le posture del gatto. «Non si limitò a sezionare animali», racconta Claudio Giorgione, curatore del Dipartimento Leonardo, arte e scienza al Museo della scienza e della tecnica di Milano, «ma confrontò l’anatomia animale con quella umana, affermando che molte parti delle ossa sono presenti sia negli uni che negli altri». E, in contrasto con la mentalità del tempo che poneva l’uomo al centro dell’universo, egli sostenne che animali e uomini sono soggetti alle stesse leggi della natura. Ma gli studi più approfonditi sul mondo animale li dedicò agli uccelli. Osservò il nibbio, le anatre, i rapaci di cui notò la straordinaria acutezza visiva.
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uardando il cielo può capitare di vedere la sottile e brillante falce della Luna accompagnata da un debole chiarore, che illumina la parte in ombra rendendola visibile: è il fenomeno della luce cinerea o lumen cinereum. Leonardo fu il primo a dare la corretta spiegazione del fenomeno: stabilì un’analogia tra la Luna e il nostro pianeta, e nel Codice LeicesterHammer scrisse che la “parte ombrosa” del disco della Luna “non resta integralmente oscura”
perché viene illuminata dalla luce riflessa dalla Terra, e in particolare “dall’oceano occidentale […] che riceve li razzi solari e li riflette negli inferiori mari della Luna” dandole “tanto di splendore qual è quel che dà la Luna alla Terra nella mezzanotte”. Polveri. Oggi sappiamo che a riflettere la luce del Sole sono principalmente i ghiacci polari, le nubi e le polveri dell’atmosfera terrestre, e non l’oceano. Ma la spiegazione di Leonardo resta sostanzialmente corretta.
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Il primo a spiegare la luce cinerea
UN’OMBRA “LUMINOSA”
La parte in ombra della Luna calante o crescente risulta visibile: è la luce cinerea.
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ANCHE CARTOGRAFO
ALINARI
La Toscana da Livorno a Grosseto. Le montagne sono disegnate come si fa oggi: più scure dove la quota è più alta.
Confrontando gli esseri UMANI e gli animali, LEONARDO scoprì molte somiglianze: INVENTÒ l’anatomia comparata Analizzò l’anatomia dell’ala e la disposizione delle piume di molte specie. Capì, osservando gli uccelli in volo, che è la spinta fornita dall’aria a permettere agli uccelli di solcare il cielo e studiò il movimento di coda e ali per fronteggiare un colpo di vento. Leonardo riuscì a descrivere il battito alare con enorme precisione: ne disegnò i diversi momenti come fotogrammi di una pellicola proiettata al rallentatore. Osservò anche il volo e la forma delle ali di pipistrelli, libellule, mosche e coleotteri. Esploratore e geologo. La natura attraeva l’artista soprattutto per i suoi scenari: durante il suo primo soggiorno a Milano, Leonardo scalò addirittura il Monte Rosa (anche se molto probabilmente non arrivò in cima). Descrisse inoltre eruzioni, tempeste,
esplosioni sotterranee, intuendo che l’interno della Terra è caldo. Molti disegni e scritti, raccolti nel Codice Windsor, descrivono gli strati rocciosi e il processo che li ha formati. Anche su questo tema ebbe un’importante intuizione: Leonardo scrisse che i materiali erosi e trasportati dall’acqua di fiumi, laghi e mari si depositano in tempi successivi fino a costituire le tipiche stratificazioni delle rocce. Strati che poi disegnò spesso come sfondo dei suoi dipinti. Erosione. Non solo: aggiunse che l’acqua sotto forma di pioggia modella valli e colline ed è per questo responsabile dello spianamento delle montagne. Concetti che la moderna geologia ha sviluppato solo negli ultimi due secoli. • Paola Grimaldi
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eonardo li chiamava nichi e, precorrendo i tempi, capì che sono resti organici e non la prova del Diluvio universale o, come credevano i suoi contemporanei, il frutto di influssi astrali o di non meglio precisate “forze plastiche”. L’artista aveva avuto modo di osservare fin da giovane i fossili degli Appennini: ammoniti, pesci, conchiglie, coralli. Notò come i resti siano distribuiti in strati successivi e aggiunse che, se li avesse depositati un
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diluvio, i fossili si troverebbero in un unico strato. Fango. Per Leonardo, i nichi si formano, invece, per le cicliche inondazioni che sconvolgono una Terra in continuo mutamento. Gli organismi rimasti intrappolati nel fango, che poi si tramuta in pietra, vi lasciano la loro orma una volta che la materia organica si è consumata. Una spiegazione abbastanza simile a quella nota oggi (e che cominciò ad affermarsi oltre un secolo e mezzo più tardi).
Il fossile di una libellula vissuta 114 milioni di anni fa, nel Cretaceo.
SPL/CONTRASTO
Il primo a capire l’origine dei fossili
Le leggi della luce
LA FINESTRA DELL’ANIMA
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Le proporzioni della testa e dell’occhio in un disegno oggi conservato alla Biblioteca Reale di Torino. L’occhio, per Leonardo, era “la finestra dell’anima”.
MONDADORI PORTFOLIO/ELECTA
eonardo si occupò di ottica fin da ragazzo. All’inizio lo fece per scopi pratici, come la saldatura, per mezzo di specchi ustori, dei vari pezzi della sfera che fu collocata sulla cupola del Duomo di Firenze. A questo scopo, Leonardo studiò anche come la forma degli specchi influisce sul modo in cui si concentra la luce, creando zone luminose dette “caustiche”. Centrale solare. In età più matura, a Roma (1513-1515), progettò uno specchio parabolico di grandi dimensioni: «Serviva probabilmente per sviluppare energia termica (scaldando una caldaia) per l’industria tessile», spiega Domenico Laurenza, autore di diversi libri su Leonardo. E oltre alla riflessione studiò anche la rifrazione, cioè il principio per cui i raggi di luce si piegano quando passano, per esempio, dall’aria al vetro: il principio delle lenti, insomma. Non ebbe mai tra le mani un telescopio, pare, ma appuntò “Fai occhiali da vedere la Luna grande”, anticipando in qualche modo Galileo, che per primo puntò questo strumento verso il cielo. Per quel che riguarda l’atmosfera, Leonardo la considerava come una grande lente. E arrivò a intuire il principio per cui il cielo è azzurro: “Dico l’azzurro in che si mostra l’aria non essere suo proprio colore, ma è causato da umidità calda vaporata in minutissimi e insensibili atomi, la quale piglia dopo sé la percussione dei razzi solari e fassi luminosa sotto l’oscurità delle immense tenebre”. Capì, insomma, che se non ci fosse l’aria il cielo sarebbe nero e che l’azzurro è generato dalle microparticelle (anche se non necessariamente d’acqua, come pensava lui) che riflettono questo colore in tutte le direzioni. Dentro l’occhio. Leonardo studiò l’ottica anche attraverso il funzionamento dell’occhio umano, che considerava una sorta di combinazione tra una lente (il cristallino) e una camera oscura (la zona oltre la pupilla). «All’interno dell’occhio», spiega Laurenza, «Leonardo pensava che le immagini subissero una
doppia inversione: una dovuta alla pupilla, l’altra al cristallino». Ma si sbagliava, perché in realtà c’è solo un’inversione: oggi sappiamo che è il cervello a “raddrizzare” l’immagine. Leonardo capì invece che i due occhi registrano immagini un po’ diverse, e che proprio questa differenza ci permette di percepire i volumi e la profondità. Infine comprese che i sensi ci possono ingannare: l’accosta-
mento dei colori, le ombre, i fenomeni di rifrazione possono infatti alterare la percezione del cervello. Leonardo applicava queste conoscenze alla pittura: «Nel Cenacolo inserì qualche piccola correzione alle leggi della prospettiva», dice Laurenza, «per ottenere un effetto visivo più realistico, che teneva conto di ciò che avviene dentro l’occhio».
Andrea Parlangeli
LO SCIENZIATO
Meglio di una
TAC A
ffondare le mani tra organi ormai in disfacimento, mentre il sangue e gli altri liquidi corporei colano lentamente tutt’intorno, avvolti da un odore nauseabondo. Dissezionare cadaveri alla fine del Quattrocento, senza celle frigorifere, guanti e strumenti sterili, doveva essere estremamente ripugnante. Lo annotò Leonardo stesso accanto a uno dei suoi disegni anatomici: “E se tu avrai l’amore a tal cosa (l’anatomia, ndr), tu sarai forse impedito dallo stomaco, e se questo non ti impedisce, tu sarai forse impedito dalla paura di abitare in tempi notturni in compagnia di tali morti squartati e scorticati e spaventevoli a vedersi...”. Eppure Leonardo riuscì a superare la ripugnanza e sezionò più di trenta cadaveri, di entrambi i sessi e di età diverse. Il suo scopo era capire come muscoli, nervi e visceri erano disposti sotto la pelle per poterli dipingere alla perfezione. Ma non solo. Leonardo voleva scoprire come funziona l’organismo: perché gli occhi vedono, come l’embrione diventa feto, perché ci si ammala... Morti d’ospedale. I cadaveri, secondo Domenico Laurenza, autore del libro Leonardo. L’anatomia (Giunti), provenivano dagli ospedali: Leonardo se li procurò intessendo amicizie con i più famosi medici dell’epoca che gli spiegarono i princìpi della medicina galenica, come Marcantonio della Torre (1481-1511). «Per ovviare alla mancanza di mezzi di conservazione», spiega Laurenza, «le dissezioni si svolgevano nel periodo più freddo dell’in88
A. TSIARAS AT ANATOMIC TRAVELOGUE - THE ARCHITECTURE AND DESIGN OF MAN AND WOMAN/G. NERI (9)
Confrontando i DISEGNI ANATOMICI odierni con quelli di Leonardo si scopre che L’ARTISTA era...
Immagine moderna della sezione di un cervello.
L’ANIMA NEL CERVELLO
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eonardo era alla ricerca del “senso commune”, il luogo d’incontro di tutti i sensi ritenuto la sede dell’anima. All’inizio cercò di definirlo geometricamente sulla base delle proporzioni del cranio; poi, dopo aver inventato il modo di sezionare il cervello conservandone le strutture, lo cercò tra i ventricoli cerebrali (sbagliando). Le ultime immagini che Leonardo disegnò (sopra) sono praticamente uguali a quelle che otteniamo oggi.
IL “MISTERO DONNA”
A sinistra, cuore, aorta addominale e vena cava in un corpo femminile. Sono molto simili a quelli descritti da Leonardo (sotto). In queste pagine: confronti tra elaborazioni artistiche di moderne scansioni (su fondo nero) e disegni di Leonardo.
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L’ORIGINE DEL SEME
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el disegno di Leonardo, molto dettagliato nonostante la difficoltà del tempo di procurarsi cadaveri femminili, si distinguono la trachea, il cuore (disegnato però con la vena cava che lo attraversa e con due camere invece di quattro), i polmoni, i bronchi, il fegato, la milza, i reni e l’utero, gravido di qualche settimana. Leonardo, per analogia con i testicoli, considerava anche le ovaie “origine del seme”.
LA DOPPIA CURVATURA
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MONDADORI PORTFOLIO/AKG
La doppia curva della spina dorsale: è come quella disegnata dall’artista.
er la cura dei disegni questo foglio potrebbe essere pronto per la stampa, che Leonardo stesso chiese di fare ai suoi eredi con la massima qualità e “senza lesinare”. La colonna vertebrale è disegnata con la giusta curvatura e con l’esatto numero di vertebre che la compongono. Incuriosito dalla forma delle prime tre vertebre cervicali, diverse dalle altre, Leonardo le disegnò con la tecnica dell’“esploso” (in basso a sinistra) e affermò ancora una volta che la precisione del disegno è più eloquente di mille parole.
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Per poter effettuare meglio i suoi
Schema della circolazione sanguigna.
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econdo Galeno (II secolo), i fluidi naturali scorrevano nelle vene traendo origine dal fegato; quelli vitali, nascendo dal cuore, si diramavano nelle arterie: sono i percorsi che Leonardo disegnò in questo “albero delle vene”, copiandoli da un trattato di anatomia medievale. Successive dissezioni gli rivelarono che molti dei concetti medievali erano sbagliati e i suoi disegni si fecero sempre più vicini all’equivalente moderno. Non arrivò mai, però, a descrivere compiutamente la circolazione del sangue, come la conosciamo noi ora. Una curiosità: la posizione delle mani della figura e l’espressione preoccupata sono molto simili a quelle del Cristo del Cenacolo.
IL CUORE
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egli ultimi anni di vita Leonardo studiò il cuore. Fu il primo a descriverlo con quattro camere e a dedicare molta attenzione alle valvole che le mettono in comunicazione tra loro e con le arterie. Inventò addirittura, per studiare il moto del sangue, la prima valvola artificiale. Non riuscì però a superare l’idea di Galeno (autore nel II secolo d.C. di alcuni trattati di medicina all’epoca notissimi) che dava una sua interpretazione al setto che separa i ventricoli: riteneva che attraverso i suoi pori parte del sangue che fluiva e rifluiva nel ventricolo destro passasse in quello sinistro per essere fluidificato.
THE PRINT COLLECTOR HERITAGE IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO
verno, in genere intorno a Carnevale, e si seguiva un ben preciso ordine dettato dalla deperibilità dei singoli apparati, iniziando con l’aprire la cavità addominale per studiare per primi i visceri». Procedura non accademica. Nelle università, il docente procedeva in cattedra in modo simile: leggeva i trattati di anatomia dell’epoca mentre gli assistenti eseguivano materialmente la dissezione, mostrando via via le singole parti agli studenti. Leonardo rifiutò questa pratica, poiché ne risultava solo una “grandissima confusione” per la “commistione di membrane con arterie, nervi, corde, muscoli, ossi, sangue, il quale tinge di sé ogni parte d’un medesimo colore”. Meglio fare “più anatomie, delle quali tre per avere piena notizia delle vene e delle arterie, distruggendo con somma diligenza tutto il rimanente; altre tre per avere notizia delle membra; tre per le corde (i tendini) e i muscoli e i legamenti, tre per gli ossi e le cartilagini, tre per l’anatomia delle ossa, le quali s’hanno a segare per mostrare quale è cavo e quale no... E tre bisogna farne per la donna nella quale è il gran mistero della matrice (dell’utero) e del suo feto”.
L’ALBERO DELLE VENE
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studi anatomici, Leonardo creò addirittura una AORTA DI VETRO
MUSCOLI AL RALLENTATORE
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eonardo non ha disegnato solo gli organi interni ma anche gli arti e i loro movimenti, per poterli riprodurre con fedeltà in pitture e sculture. In questi fogli, con una sequenza quasi “cinematografica”, mostra i muscoli superficiali del braccio secondo diversi punti di vista, rappresentando con cura il deltoide. In altri disegni, in cui studiò il movimento degli arti, sostituì ai muscoli le corrispondenti linee di forza, anticipando la biomeccanica.
Il cuore visto dalla parte dorsale.
Movimenti muscolari durante la rotazione di un braccio.
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Per poter distinguere l’albero delle VENE da quello dei NERVI e Occhi in albume. Per attuare questo programma, Leonardo fece ricorso a tecniche già in uso. «Come quella», dice Laurenza, «di macerare il cadavere in acqua corrente per evidenziare il percorso dei nervi» e ne inventò di nuove. Per esempio immergere l’occhio, per poterlo sezionare, in albume d’uovo fatto poi bollire perché si indurisse o iniettare cera fusa nel cranio per studiare meglio i ventricoli cerebrali. Proprio per la cura con cui Leonardo disegnò le parti anatomiche da diversi punti di vista, le sue opere in questo campo sono considerate le prime vere tavole di anatomia della Storia. Tra l’altro, durante le sue dissezioni, il genio di Vinci scoprì parti del corpo umano che non erano mai state osservate prima, come l’appendice e il chiasma ottico, l’incrocio tra i due nervi ottici nel percorso tra gli occhi e il cervello. •
Daniele Venturoli
GENITALI ED EREZIONE
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er Leonardo c’erano profonde analogie tra l’anatomia maschile e quella femminile, e per questo le disegnava vicine. L’anatomia maschile, in particolare, era sostanzialmente esatta. L’artista fu tra l’altro il primo a notare il legame tra l’erezione del pene e la circolazione sanguigna, dopo aver notato che i membri dei condannati all’impiccagione si indurivano subito dopo la morte.
L’apparato genitale maschile.
Il primo a descrivere l’arteriosclerosi
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ARCHIVES CHARMET/BRIGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
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ell’inverno del 1507, all’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, Leonardo fece un incontro straordinario. Da uno dei letti, un vecchio gli disse di avere più di cento anni e di sentirsi bene, per la sua età: era solo un po’ debole. Poche ore dopo il vecchio morì e Leonardo ne ottenne il cadavere (sotto). Sezionandolo, scoprì che la morte era avvenuta per “mancamento di sangue” al cuore e agli organi interni (cioè per collasso cardiocircolatorio), che trovò molto “aridi, stremati e secchi”, al contrario di quelli di un bimbo di due anni che aveva già avuto occasione di studiare. La ragione di questa secchezza, secondo Leonardo, erano le pareti dei vasi sanguigni che, con il continuo fluire del sangue, si erano ispessite tanto da impedire il passaggio del sangue: è la prima descrizione dell’arteriosclerosi. Nutrizionista. Non è tutto: Leonardo ipotizzò che a causare questo ispessimento dei vasi potesse essere stata qualche sostanza presente nel cibo: aveva cioè intuito il ruolo del colesterolo.
IL FETO
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el 1489 Leonardo scrisse di voler documentare tutto l’arco della vita umana, dal concepimento alla morte. Vent’anni dopo riuscì a ritrarre un feto, di circa sette mesi, che poi sezionò. Dai disegni su questo foglio, Leonardo cercò di capire come siano collegate le circolazioni sanguigne della madre e del feto. Le sue esperienze di dinamica dei fluidi gli fecero osservare che il peso del feto si distribuisce meglio all’interno dell’utero grazie al liquido amniotico.
dalle OSSA, a Leonardo occorrevano tre cadaveri per ogni apparato L’UTERO “A CAMERE”
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Anatomia dei genitali durante un rapporto.
MONDADORI PORTFOLIO/AKG
li organi interni di uomo e donna disegnati da Leonardo contengono errori, derivati dai trattati di anatomia medievali, ben visibili confrontandoli con l’equivalente moderno. La parete dell’utero, per esempio, ha sette camere che in realtà non esistono, e il sangue dei cicli mestruali che non si svolgono durante la gravidanza è incanalato verso i seni per essere trasformato in latte. Lo sperma è contenuto nella colonna vertebrale, invece che nei testicoli, e da qui arriva al pene. Vi sono due canali distinti per l’urina e per il seme (particolare qui sotto) invece che uno solo. Successivamente Leonardo corresse in altre opere molti di questi errori.
Il feto nell’utero alla fine della gravidanza.
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IL REGISTA
Lo SPIELBERG
del Rinascimento
SCENOGRAFIE mobili e grandiosi effetti speciali: le REGIE di Leonardo lasciavano a BOCCA APERTA
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I
l leone fece alcuni passi e, arrivato al cospetto del re, il suo petto si aprì, lasciando cadere al suolo una cascata di gigli. Così nel 1515 Leonardo omaggiò, per conto di Lorenzo di Piero de’ Medici, Francesco I di Francia, con una trovata che destò l’ammirazione dei suoi contemporanei (v. riquadro sotto). Fu un vero colpo di teatro, reso possibile dalla realizzazione di uno dei primi robot della Storia (il leone era programmato meccanicamente). E non c’è da stupirsi, perché, se è vero che il genio di Vinci è noto soprattutto come pittore e inventore, è altrettanto vero che una delle attività che più lo assorbì durante la sua vita fu la regia, insieme alla scenografia per feste e rappresentazioni teatrali. Un’attività della quale non ci rimane quasi nulla, ma nella quale Leonardo riversò tutta la sua creatività, arrivando a concepire espedienti scenografici in grande anticipo sui tempi.
STUDIATO E RICOSTRUITO
Il leone meccanico (al centro, nella sua interezza) si muoveva grazie a una ruota che azionava le zampe (a sinistra, lo schema di funzionamento). Una volta arrivato a cospetto del re, il suo petto si apriva per lasciar cadere i gigli (a fianco). Lo studio e la ricostruzione, sulla base dei pochi schizzi rimasti, sono di Mario Taddei di Leonardo3.
Felino diplomatico
I
bolici. Il leone, infatti, era legato a Lione, al marzocco simbolo della Repubblica fiorentina e al papa Leone X, della famiglia dei Medici. I gigli, invece, simboleggiavano la monarchia francese e Firenze.
LEONARDO3 (3)
l leone meccanico fu costruito da Leonardo per conto dei Medici, per accogliere il nuovo re di Francia Francesco I a Lione, il 12 luglio 1515. Simbolico. Lo spettacolo era ricco di significati sim-
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UNA FESTA MEMORABILE
F. BOZZANO
Ricostruzione della Festa del Paradiso, che nel 1490 lasciò a bocca aperta tutti gli ospiti di Ludovico il Moro. Sotto, la piva a vento continuo, uno strumento, paragonabile a una zampogna, inventato da Leonardo.
Uno dei suoi SPETTACOLI più acclamati raffigurava Innovatore. Un esempio? L’Orfeo, un’opera teatrale di Angelo Poliziano, di cui Leonardo progettò la messa in scena tra il 1506 e il 1508. «Per l’Orfeo, concepì la prima scena mobile della Storia», spiega Pietro Marani, docente di Storia dell’arte moderna e Museologia al Politecnico di Milano. «Sul palcoscenico c’era una grande montagna di cartapesta, che a un certo punto si apriva e mostrava una scena infernale, con Plutone che usciva dal sottosuolo». E l’ascesa del dio degli inferi avveniva grazie a un meccanismo di contrappesi che si azionava automaticamente all’apertura della montagna. Leonardo si era occupato di scenografie fin da giovane, quando era a Firenze nella bottega del Verrocchio. A quei tempi, infatti, gli artisti erano spesso richiesti per preparare trucchi ed effetti speciali in occasione delle feste pubbliche e degli spettacoli teatrali. Lui, poi, aveva un innato desiderio di stupire e inventava giochi per divertire amici e cortigiani: pare che sapesse “trasformare” il vino bianco in vino rosso, o generare fiamme colorate gettan-
do vino nell’acqua bollente, o ancora infilare monete in un bicchiere colmo d’acqua senza farlo traboccare. Era perfino un originale costumista: «Si serviva di piume o scaglie di pelle di animali per le decorazioni e per gli abiti teatrali», spiega Marani, «come si vede nei disegni di “homini salvatici” che si trovano nei suoi manoscritti». Automi da palcoscenico. Per gli spettacoli, Leonardo ideò anche meccanismi automatici. Particolarmente sorprendente è un “robot” a forma di cavaliere, che risale al 1495 ed era pensato presumibilmente per le feste alla corte di Milano: grazie a un sistema di ingranaggi e cavi nascosto nell’armatura metallica, muoveva le braccia, si alzava e si abbassava, apriva e chiudeva la mascella (per altri progetti di robot, v. articolo alle pagine seguenti). Un altro “automa” è la celebre “automobile” (v. foto nella prossima pagina), un piccolo carro spinto da un motore a molle che serviva per spostare colonne o altri elementi della scenografia, o forse per portare in scena pupazzi mostruosi.
STRUTTURA PORTANTE CARRUCOLA
LEONARDO3 (4)
CONTRAPPESO
IL DIO CHE SPACCA LA MONTAGNA
Disegni e ricostruzione al computer dell’allestimento per la rappresentazione dell’Orfeo, un’opera teatrale di Angelo Poliziano. Leonardo concepì una montagna (qui rappresentata da una semisfera) che si apriva, mentre il dio degli inferi Plutone, spinto da un sistema di carrucole, usciva dal basso.
il PARADISO con sette PIANETI (rappresentati da uomini) Secondo l’ingegnere statunitense Mark H. Rosheim, questo mezzo automatico era anche “programmabile”, si poteva cioè fare in modo che seguisse un percorso preciso, con la possibilità di svoltare a destra o a sinistra. Suonare con le gambe. Oltre agli effetti scenici visivi, Leonardo curava anche la musica. Progettò molti strumenti musicali, come la lira a forma di teschio equino (v. articolo alle pagine seguenti) con la quale si presentò per la prima volta alla corte di Ludovico il Moro. Leonardo ci ha lasciato poi disegni di tamburi da usare nelle feste e nelle parate militari. E il progetto di una “clavi-viola”, uno strumento da indossare durante le sfilate in corteo. Era concepita per essere suonata come un pianoforte ed emetteva il suono di uno o più strumenti ad archi (era polifonica). Il cuore dello strumento era un lungo crine di cavallo, o un nastro, chiuso ad anello, che girava sempre nello stesso verso grazie a una leva mossa dalle gambe del musicista.
Il primo a usare l’arco scenico
O
ltre a inventare le scenografie mobili o gli automi per gli spettacoli teatrali, Leonardo è stato il primo a usare il cosiddetto “arco scenico”, una sorta di sipario. «È un “diaframma” tra scena e pubblico, impiegato più tardi nel teatro barocco, quando si cambiava scena di frequente durante la rappresentazione ed era necessario celare gli spostamenti», spiega Elena Tamburini, storica della scenografia e dello spettacolo. «Leonardo è
stato il primo a concepire l’arco scenico e lo ha disegnato in una pagina dedicata al teatro, mettendo in evidenza i tiranti che alzavano la tenda». Lampadario. Ma Leonardo non si limitava a occuparsi delle scene. Pensava anche al teatro nel suo complesso. «Nello stesso foglio dell’arco scenico», continua Elena Tamburini, «è disegnato un lampadario che si poteva calare dal soffitto per cambiare le candele».
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Leonardo portò forse IN SCENA anche un robot-cavaliere, che ALZAVA le braccia e APRIVA la bocca
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TASTIERA A PEDALE
A sinistra, la clavi-viola, uno strumento musicale innovativo, descritto nel Codice Atlantico. Si azionava con l’aiuto di una leva, camminando, si suonava muovendo le dita su una tastiera, come su un pianoforte, e produceva il suono di un quartetto d’archi.
A sinistra, lo schema e le componenti dell’“automobile” , un automa azionato a molla che serviva a portare gli oggetti in scena. A destra, i flauti glissati, nei quali (a differenza dei flauti tradizionali) il suono si poteva emettere con continuità: un’altra trovata di Leonardo nel campo degli strumenti musicali.
Prospettiva. Il Ballo dei pianeti fu un successo e fu forse ripetuto in altre occasioni. Ma Leonardo usò scenografie simili anche per la rappresentazione di Danae, del poeta Baldassarre Taccone, nel 1496. E anche qui introdusse un’innovazione: nei fogli che riguardano lo spettacolo, si vede una città in prospettiva. Elena Tamburini, storica della scenografia e già docente all’Università di Bologna, commenta: «È il primo esempio di uso della prospettiva nel teatro di cui si abbia testimonianza». • Andrea Parlangeli
LEONARDO3 (3)
FLAUTI E CARRI AUTOMATICI
Ballo spaziale. Il meglio di sé, in campo teatrale, Leonardo lo dava comunque nell’organizzazione di interi spettacoli, come il già citato Orfeo. In questi casi poteva unire le sue doti di inventore, regista, pittore e scenografo per creare veri e propri “quadri viventi”, arricchiti da effetti musicali. Particolarmente famoso è il Ballo dei pianeti, o Festa del Paradiso, che Ludovico il Moro organizzò il 13 gennaio del 1490, per le nozze del nipote Gian Galeazzo con Isabella d’Aragona (v. disegno nelle pagine precedenti). Leonardo curò tutto, dalle decorazioni con vegetali a festoni per il soffitto, ai pannelli che addobbavano le pareti con scene dell’antichità classica e della vita degli Sforza. Fino al momento più grandioso, che l’ambasciatore estense Giacomo Trotti, tra gli invitati, descrisse così: «(Era, ndr) a similitudine di un mezzo ovo, el quale dal lato dentro era tutto messo a horo, con grandissimo numero di lumi rincontro de le stelle, con certi fessi (nicchie, ndr) dove stavano li sette pianeti, secondo el loro grado alti e bassi. Attorno l’orlo di sopra del detto mezzo tondo erano li XII segni (zodiacali, ndr), con certi lumi dentro che facevano un galante e bel vedere».
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IL MUSICISTA PAN-LIRA
Questa lira, simile alla viola, si suonava sia facendo vibrare le corde con l’arco, sia pizzicandole.
IL CAN(N)ONE MUSICALE
La prima ricostruzione di uno strumento di Leonardo è di Edoardo Zanon (L3).
l’Organo continuo esposto nella mostra Leonardo3 - Il Mondo di Leonardo a Milano è stato realizzato da Mario Buonoconto
L’ORGANO CONTINUO
Era usato nelle “feste mobili”. La ricostruzione è stata realizzata con l’aiuto dell’esperto di strumenti antichi Mario Buonoconto.
Leonardo non si limitò a SUONARE e cantare con “rara” ABILITÀ, ma ideò anche un gran numero di STRUMENTI
CAN(N)ONE MUSICALE
Questa ricostruzione è la prima realizzata dai tempi di Leonardo e il modello è perfettamente funzionante. Si tratta di una sorta di carillon caratterizzato da una ruota sulla quale quattro denti, simultaneamente, percuotono alcune lamelle che emettono un suono all’interno di una canna, che funge da cassa armonica. Questa ruota viene azionata semplicemente girando una manovella.
Musica, Maestro!
CLAVI-VIOLA
“
È uno dei più complessi tra gli strumenti progettati da Leonardo. Si tratta di una tastiera a pedale che veniva suonata dal musicista con la tecnica del clavicembalo, ma emetteva il suono di un quartetto d’archi.
... e Lionardo portò quello strumento, ch’egli aveva di sua mano fabricato d’argento gran parte in forma d’un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova, acciò ché l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce, laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare...”. Sono le parole del pittore e storico cinquecentesco Giorgio Vasari, che nel suo Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, evoca (a posteriori) la lira d’argento a forma di teschio di cavallo grazie alla quale Leonardo superò tutti i concorrenti in una gara per “musici” organizzata alla corte di Ludovico il Moro, al Castello Sforzesco di Milano. Oltre a questa Pan-lira, che è sicuramente quello più scenografico, al Museo Leonardo3 di Milano si può ammirare l’intera collezione di strumenti vinciani. •
ORGANO CONTINUO
Era un piccolo organo portativo (cioè trasportabile) alimentato da due mantici, capace di emettere un suono dolce e armonioso. Serviva per accompagnare il cantore durante le feste di corte.
IL TAMBURO ELASTICO
TAMBURO ELASTICO
Lo strumento, che ricorda un moderno timpano, è stato realizzato da Mario Buonoconto e Edoardo Zanon (L3).
Azionando la manovella, il musicista poteva mettere in tensione, o allentare, la pelle del tamburo, cambiandone l’intonazione. Si trattava di uno strumento estremamente innovativo per l’epoca e ricorda il moderno timpano.
PAN-LIRA
CLAVI-VIOLA
LEONARDO 3 (5)
È nel Codice Atlantico. Per costruirla, al liutaio Marco Minnozzi e a Edoardo Zanon (L3), ci sono voluti anni di tentativi.
La lira, molto diffusa nell’antichità, era una sorta di viola. Non sappiamo esttamente quale tipo fosse quella realizzata da Leonardo (se da gamba o da braccio), ma dai documenti risulta che avesse una cassa di risonanza ricavata da un teschio di cavallo argentato. Nella ricostruzione di Mario Taddei (L3) le corde sono state realizzate usando vero budello, come si faceva ai tempi di Leonardo.
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IL PERSONAGGIO
ANCHE I GRANDI
SBAGLIANO A cura di Marta Erba
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AKG/MONDADORI PORTFOLIO
Disegni perfetti e studi geniali? QUASI TUTTI, ma fra tante e diverse attività, anche a Leonardo è CAPITATO di fare qualche “cappellata”
MONDADORI PORTFOLIO/AKG
Il famoso disegno del “carro falciante”: le falci sono troppo vicine ai cavalli.
Macchine difettose o impossibili
N
on tutte le macchine progettate da Leonardo erano in grado di funzionare. Un errore si riscontra, per esempio, nel “carro falciante”: così come appare nel disegno, le falci sono troppo vicine ai cavalli, e
Fantasie anatomiche
in queste condizioni gli animali si sarebbero certamente feriti o fermati spaventati dalle lame. Dimostrativo. Probabilmente si tratta però di un disegno dimostrativo, e non tecnico, che aveva l’obiettivo di impressionare
Ludovico il Moro alla cui corte Leonardo intendeva lavorare. In ogni caso la macchina in sé era un’arma “a doppio taglio”: l’idea era che il carro si avventasse sugli avversari mentre le falci roteavano, ma i nemici avrebbero potuto
spaventare i cavalli facendoli tornare indietro, ad affettare i propri “compagni d’arme”. Leonardo intuì questo rischio (“spesso fecero non men danno alli amici che alli nemici”), ma non riuscì a porvi rimedio.
CENA AMMUFFITA
Un dettaglio del cibo sulla tavola nel Cenacolo.
A sinistra, i ventricoli cerebrali secondo Leonardo. Erano errate sia la forma sia le funzioni.
MONDADORI PORTFOLIO/LEEMAGE
L
a maggior parte degli svarioni in campo anatomico erano il retaggio di convinzioni medioevali. Ci sono tuttavia alcune ingenuità che oggi colpiscono: Leonardo, per esempio, era convinto che il cuore servisse a scaldare il corpo, ignorandone la funzione di pompa. Né riuscì mai a liberarsi di alcune idee ereditate dal passato riguardo il ruolo dei ventricoli, le cavità del cervello ripiene di fluido. Leonardo riteneva fossero tre, ovali (anche se poi ne identificò la vera forma, più complessa), e soprattutto sede di funzioni cerebrali importanti. Memoria “liquida”. Quello di mezzo sarebbe stato la sede del “sensus communis” (cioè il punto di convergenza di tutti i sensi), quello anteriore il luogo in cui vengono elaborate le sensazioni (in particolare gli stimoli visivi) e quello posteriore la sede della memoria. Tutte funzioni che, come oggi è noto, appartengono invece alla corteccia.
Tecnica imperfetta
N
el Cenacolo Leonardo (che non amava la tecnica dell’affresco) sperimentò un nuovo sistema: la tempera forte su doppio strato di gesso.
Ma proprio questa scelta è stata la causa del rapido degrado che l’opera ha subìto nel corso del tempo. Colpa della falda. A complicare le cose si aggiunse l’umi-
dità delle pareti del refettorio: le mura “pescavano” nella terra bagnata sottostante il pavimento, tanto che spesso il dipinto appariva ricoperto da una muffa bianchiccia.
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LA TERZA GAMBA
Due “sviste” nella Vergine: un braccio troppo lungo e un velo ingannatore.
Prospettive “assurde”
L’
Annunciazione (sopra) fu uno dei primi quadri di Leonardo, e le molte imprecisioni che contiene sono dovute alla sua inesperienza. Gli esperti sottolineano che la Vergine risulta troppo arretrata,
sia rispetto all’angelo sia rispetto al leggio. Ma soprattutto c’è un grave errore prospettico: il braccio è innaturalmente troppo lungo. Inoltre, il velo che poggia sullo schienale alle sue spalle dà l’inquietante
impressione che esista un elemento innaturale, quasi una “terza gamba”. Asimmetrie. Altre imprecisioni sono state osservate nel San Gerolamo (il braccio destro troppo lungo), nella Belle Ferronière
Conti che non tornano
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come un’anticipazione della calcolatrice. Si tratterebbe in realtà di una macchina per la trasmissione del moto rotatorio, progettata in modo tale che ognuna delle ruote a contatto aumenti la velocità di rotazione della ruota successiva. Attrito. Calcolando le velocità, tuttavia, Leonardo (forse distratto dall’estetica dello schema) si dimenticò in qualche passaggio alcuni zeri. Tra l’altro, una simile macchina avrebbe sviluppato un attrito tale da non permetterle di funzionare.
Abbagli astronomici
L VENERANDA BIBLIOTECA AMBROSIANA
L
eonardo incontrava difficoltà nell’algebra: padroneggiava male le cifre e faceva spesso – forse per distrazione o troppa fretta – errori di calcolo. Nel 1504, nel redigere l’inventario dei libri che possedeva, scrisse: “25 libri piccoli, 2 libri maggiori, 16 libri più grandi, 6 libri in carta pecora, 1 libro con coperta di camoscio verde. Totale: 48”. Peccato che la somma sia 50. La “calcolatrice”. Un altro errore di calcolo si trova nel Codice Atlantico, nel famoso disegno che è stato interpretato
(l’asimmetria del busto) e nel quadro Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e l’agnellino (le ombre più scure in primo piano e le ombre della gonna di sant’Anna non rispettano le regole prospettiche).
La presunta calcolatrice, da una pagina del Codice Atlantico.
eonardo, pur valutando con buona approssimazione il diametro della Terra in 7.000 miglia milanesi (circa 12.500 chilometri, contro i reali 12.700), sottostimò moltissimo la distanza Terra-Sole (circa 7.000 chilometri contro i reali 150 milioni). Scrisse correttamente che la Luna non emette luce propria ma, studiando il modo in cui riflette la luce solare, arrivò a pensare che sulla sua superficie vi fossero mari percorsi dalle onde come sulla Terra. Le continue mutazioni del nostro pianeta, poi, che lo rendono analogo a un organismo vivente, gli suggerirono la causa delle maree: per lui erano dovute all’“alitare” della Terra e non, come sappiamo oggi, all’attrazione gravitazionale della Luna.
SCALA
Qualche volta gli scappavano banali errori DI CALCOLO. E ALCUNE MACCHINE proprio non potevano funzionare
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LO STRATEGA
Le
ARMI di
LEONARDO3 (2)
Leonardo progettò bombarde a PROIETTILI esplosivi, carri armati,
LA BARCA ARMATA
Ricostruzione al computer di un originale mezzo di trasporto bellico che poteva essere terrestre o navale (qui nella versione navale): l’analogo di un carro armato, con in più la possibilità di sparare in tutte le direzioni. La spinta era fornita da un motore a pale azionato a manovella e situato al centro, mentre con i remi si poteva imporre una rotazione. Tutta la struttura era protetta da pannelli di legno.
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un PACIFISTA
cannoni a vapore, CATAPULTE. Eppure non amava la GUERRA
È
il 1482. Leonardo, nella sua lettera a Ludovico il Moro, si presenta come un vero esperto dell’arte della guerra, in grado di progettare “secondo la varietà de’ casi varie et infinite cose da offender et difendere”. E tra queste parla di ponti mobili, di bombarde “commodissime et facile ad portare”, di metodi di guerra sottomarina e di passaggi segreti, di carri coperti “securi et inoffensibili” (gli antenati degli odierni carri armati) e di macchine per gli assedi. Nonostante queste roboanti credenziali, però, gli storici ritengono che il Moro non abbia mai utilizzato realmente nessuna delle sue armi. Anzi, impiegò il bronzo, faticosamente raccolto per l’enorme statua equestre disegnata da Leonardo, per fondere cannoni del tutto tradizionali e cercare di difendersi, inutilmente, dai francesi. Nel 1499, in fuga da Milano, Leonardo scrive amaramente che il duca “perse lo Stato e la roba e la libertà e nessuna sua opera si finì per lui”. Consulente. Dopo la cacciata del Moro, in Italia si aprì un’epoca di battaglie e guerricciole (principalmente tra i francesi, gli spagnoli e i loro alleati),
FUOCO A 360°
Il disegno originale di Leonardo: si trova nel Codice Atlantico, foglio 1ar. Nella sezione dall’alto, si vedono i cannoni e l’apparato motore.
PIÙ VOLTE scrisse nei suoi appunti che la guerra era una “PAZZIA BESTIALISSIMA”
CODICE ATLANTICO BIBLIOTECA AMBROSIANA
che coinvolsero inevitabilmente Leonardo. I tempi erano cambiati, dunque, ma l’artista-ingegnere (dando ancora una volta prova della sua natura eclettica) non se ne crucciò più di tanto, ritagliandosi il ruolo di “consulente militare” e scegliendo di volta in volta a chi offrire le proprie conoscenze. Cominciò, nel 1500, con i Veneziani, ossessionati dall’incubo di una possibile offensiva turca. Leonardo propose un attacco sottomarino per annientare in un colpo solo la flotta del sultano: un gruppo di palombari, equipaggiati con occhiali di vetro, otri d’aria per respirare e coltellacci affilati (per tagliare eventuali reti destinate a catturarli), avrebbe dovuto affondare le navi usando una specie di grosso succhiello. Un fiume come arma. Dopo aver fatto rilevazioni sul campo in Friuli, inoltre, propose di utilizzare come “arma” il corso del fiume Isonzo, costruendovi una paratia mobile che si potesse facilmente spostare per allagare la valle e annegare l’esercito nemico. Il suo progetto non fu mai realizzato né gli costò l’inimicizia dei turchi. Tanto che, nel 1502, Leonardo progettò per il sultano Bayazid II un ambizioso ponte sul Bosforo, tra Pera e Costantinopoli. Da Venezia si spostò a Imola, al servizio di Cesare Borgia, detto il Valentino, personaggio ambiguo e crudele, che lo nominò suo “Architetto et Ingegnere Generale”.
Mura inclinate. Per questo temibile committente, che controllava la Romagna e parte della Toscana, Leonardo ispezionò le fortezze di Piombino e di Imola, elaborando anche progetti per il loro ammodernamento. Tra la fine del ’400 e l’inizio del ’500, infatti, l’arte della guerra subì una profonda evoluzione. Alle catapulte e alle balestre del Medioevo (Leonardo ne disegnò una enorme) si sostituirono i cannoni e le bombarde, le antenate dei moderni mortai. Le mura delle fortezze, di conseguenza, prima molto alti, lisci e merlati per resistere più efficacemente agli assalti degli assedianti, si ridussero di dimensioni, inclinandosi e offrendo spigoli vivi alle palle di cannone per cercare di ridurne gli effetti. Leonardo studiò a fondo questo nuovo modello di fortezza, bassa e tozza, forse pensando di scrivere poi un trattato sull’arte della guerra in cui l’architettura sarebbe stata particolarmente importante. Probabilmente vi avrebbe incluso alcune delle sue proposte più originali, come quella di connettere le torri di guardia con una sottile intercapedine, in modo che le sentinelle potessero comunicare tra loro come se fossero state dotate di una specie di interfono (v. disegno nelle prossime pagine). O la realizzazione di passaggi segreti, dentro le mura o sotto il livello del suolo, allagabili e incendiabili per ritardare l’avanzata dei nemici. Da questi passaggi,
Leonardo studiò come “impacchettare” i proiettili.
COME PESA... LA GUERRA
A sinistra, il montaggio di un cannone sull’affusto in una fonderia, in un disegno di Leonardo. Sotto, disegno di una catapulta (e dello sforzo per caricarla) tratto dal Codice Atlantico.
LANCI A “CUCCHIAIATE”
AKG-IMAGES
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ALINARI
Un’enorme catapulta a balestra: ancorata al terreno, era capace di scagliare pesanti proiettili a grandi distanze.
SPESSORE PROIETTILI
MOVIMENTI DELLA BOCCA DI FUOCO
PALLA “ESPLOSIVA”
AZIONE AD AMPIO RAGGIO
MOVIMENTO DELLA MANOVELLA
La celebre bombarda a palle esplosive che si trova nel Codice Atlantico (a sinistra). Le palle si aprivano per lasciar uscire i proiettili che si spargevano in ogni direzione.
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AL SERVIZIO del sanguinario Cesare Borgia, Leonardo ideò soprattutto INESPUGNABILI (e innocue) FORTEZZE a pareti inclinate secondo Leonardo, gli assediati avrebbero anche potuto azionare alcune bombarde “a scomparsa”, poste al di fuori delle mura, in modo da cogliere di sorpresa gli assedianti che le avessero già scavalcate. Cannoni di rame. Ma Leonardo cercò soprattutto di rendere più micidiali ed efficienti le armi già esistenti, in particolar modo cannoni e bombarde. Disegnò cannoni a retrocarica e studiò il modo di raffreddarne rapidamente le canne, proponendo di rivestirle esternamente di rame, buon conduttore, in modo che il calore si disperdesse più facilmente. Arrivò addirittura a proporre un cannone a vapore, l’“architronico”, in cui le palle vengono violentemente spinte fuori non dall’esplosione della polvere da sparo, ma dall’espandersi del vapore acqueo. Progettò inoltre batterie di piccoli cannoni intercambiabili: mentre un gruppo sparava, un secondo gruppo poteva essere caricato e un terzo si raffreddava. Come sempre, applicò la scienza alla “pratica”: fece accurati studi di balistica e ideò un sistema di accensione automatica dei cannoni (detta “a tamburo”), che sarebbe stata inventata di nuovo da un orologiaio di Norimberga (al quale l’innovazione è attribuita) quindici anni dopo che Leonardo l’aveva disegnata nei minimi particolari. L’accendicannoni permetteva di dar fuoco alle polveri “automaticamente”, grazie allo sfregamento della pietra focaia contenuta nell’accendino. Immaginò, inoltre, bombarde che sparano proiettili esplosivi. Si pose anche il problema di come spostare e trasportare armi divenute sempre più pesanti, ideando carri rinforzati e cannoni smontabili.
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Assetare i pisani. Nel 1503, però, forse disgustato dai metodi del Valentino, tornò improvvisamente a Firenze insieme a Niccolò Machiavelli (1469-1527), segretario della Repubblica fiorentina, incontrato nella sua veste di osservatore presso Cesare Borgia. Leonardo pensò ancora una volta di risolvere una guerra sfruttando le acque di un fiume. Stavolta però, invece che come metodo di difesa, come sistema offensivo, per costringere definitivamente i pisani alla resa togliendo loro sia l’acqua sia il porto, allora situato sull’estuario. Disegnò mappe dettagliate del corso dell’Arno, rendendosi conto che un canale del genere avrebbe permesso anche a Firenze di avere uno sbocco sul mare. Grazie all’influenza di Machiavelli riuscì a far approvare il progetto, ma non a ottenere la direzione dei lavori. La disorganizzazione e alcuni imprevisti fermarono comunque l’enorme cantiere. Pochi anni più tardi (nel 1507), Leonardo, in rapporti sempre più stretti con i francesi, fu nominato “peintre et ingenieur ordinaire” del re di Francia Luigi XII (1462-1515), lo stesso che comandava le truppe da cui era fuggito nel 1499. Per lui, e per il suo successore Francesco I, Leonardo si dedicò nuovamente a rilievi topografici, questa volta anche per scopi tattici, cioè per meglio disporre gli eserciti sui campi di battaglia. Poté così ritrarre anche scene di guerra “dal vero”, come i tiri d’artiglieria che nel 1513 bersagliarono il castello di Trezzo d’Adda o gli incendi appiccati nel 1511 dai lanzichenecchi ai borghi a nord di Milano, tra i quali Desio. • Daniele Venturoli
RUBINETTO E BRACIERE
Disegno a “esploso”: mostra il braciere che scaldava il retro del cannone a vapore e il rubinetto da dove entrava l’acqua.
TELEFONO SENZA FILI
Grazie a una sottile intercapedine tra una torre e l’altra, i soldati appostati nelle torri di avvistamento potevano parlarsi.
SPARI “A VAPORE”
Un cannone mai visto: impiegava il vapore acqueo per espellere la palla.
BIGLIETTO DA VISITA
Questa barca d’assalto con prua metallica era forse uno dei progetti che Leonardo presentò a Ludovico il Moro per ottenere un incarico da ingegnere.
FROMBOLA MULTIPLA
LEONARDO3 (5)
Questa invenzione funzionava come una fionda rotante, che sparava proiettili a 360°, azionata da una molla in legno (le assi ricurve al centro). Il congegno si attivava rilasciando una fune.
Il primo a capire... come cade un proiettile
A
ll’inizio del ’500 si pensava che le palle di cannone seguissero la traiettoria descritta nel Medioevo da Alberto di Sassonia (1316-1390). Le palle si sarebbero cioè mosse lungo una retta all’uscita della bocca del cannone, per poi curvare bruscamente fino a cadere seguen-
do la verticale. Grazie agli studi sulla meccanica dei solidi, Leonardo tracciò invece la traiettoria come un’unica parabola. Aria fluida. Le sue ricerche sul moto dell’acqua e la sua intuizione che l’aria si comporta come un fluido gli fecero modificare correttamente l’ultima parte
del tragitto, deformandola per tener conto della resistenza dell’aria. Per la descrizione matematica della curva bisognerà aspettare Isaac Newton (1642-1727), tanto che fino alla prima metà del XVII secolo compariranno trattati militari in cui la forma della traiettoria è ancora quella medioevale.
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LO STRATEGA
GENERALE Leonardo Come sarebbe ANDATA la Battaglia di Fornovo del 1495 se in campo ci fossero state le armi LEONARDESCHE?
I
due schieramenti si fronteggiavano dalle rive opposte del fiume Taro, nei pressi di Fornovo, pochi chilometri a sud-est di Parma. L’esercito francese, comandato da Carlo VIII (1470-1498), schierava 5mila uomini, muniti dei primi modelli di armi da fuoco ad avancarica: polvere, palla e pressare bene il tutto dentro la bocca del cannone. Più di 10mila erano invece i soldati di Francesco II Gonzaga (1466-1519), che costituivano l’alleanza della Lega Santa: eserciti di Milano e Venezia, composti per gran parte da mercenari tedeschi, italiani e da una agguerrita falange greco-albanese. La Lega si era formata per impedire a Carlo il rientro in Francia, al termine della sua marcia di conquista che lo aveva visto arrivare, quasi indisturbato, fino nella città di Napoli. Carlo doveva essere fermato e catturato, vivo o morto. Era il primo pomeriggio del 6 luglio 1495. Mezza vittoria. La storia, attraverso l’attento racconto di Alessandro Beneditti, medico veneziano e testimone oculare dello scontro, riporta una “non vittoria” degli italiani: francesi respinti in patria, ma Carlo che riesce a fuggire e grandi saccheggi a danno dei villaggi teatro della battaglia. Un migliaio di morti tra i francesi, circa il triplo nelle file degli italiani. Lo scontro durò poco più di un’ora, deciso in buona parte dalla superiorità delle armi d’Oltralpe e dalla pesantezza del terreno: lo stesso fiume Taro era gonfio d’acqua per un violento temporale della notte precedente. 112
CAVALLERIA MILANESE
MERCENARI GRECO-ALBANESI
RICCÒ
CAVALLERIA MILANESE
SE LO AVESSERO ASCOLTATO...
ILLUSTRAZIONI DI LEONARDO3 (6)
La ricostruzione della Battaglia di Fornovo (a sinistra, in una cartina illustrata). L’attacco italiano presso il fiume Taro mirava a catturare il re francese Carlo VIII. Ma il piano fallì. Forse con le armi di Leonardo l’esito sarebbe stato diverso.
CAVALLERIA E ARTIGLIERIA FRANCESI
CAVALLERIA VENEZIANA
CARLO VIII DI FRANCIA SI DÀ ALLA FUGA
CAVALLERIA VENEZIANA GUALATICO BALESTRIERI
BALESTRIERI MILANESI
OZZANO
Il ducato di Milano aveva fornito alla Lega Santa una parte di esercito, ma non le opere di un ingegnere militare pronto a dare il meglio di sé proprio al servizio di Ludovico il Moro, signore della città. Si chiamava Leonardo da Vinci e, nei suoi scritti, stava progettando spingarde a canna multipla, carri armati, bombarde, ponti da assalto. Cosa sarebbe accaduto nella Battaglia di Fornovo se le armi immaginate dal genio di Vinci fossero state realizzate (e utilizzate) dagli italiani? Ricognitori. «L’uso delle macchine ideate da Leonardo avrebbe potuto essere, per certi aspetti, decisivo», commenta Massimiliano Righini, esperto di storia militare rinascimentale. A cominciare dalle informazioni in possesso dello schieramento della Lega Santa, che sarebbero state accresciute dall’impiego come ricognitori degli “aerei” leonardeschi. «La macchina volante disegnata da Leonardo avrebbe potuto verosimilmente librarsi in aria, quantomeno planando, e con una buona manovrabilità», spiega Edoardo Zanon dello Studio Leonardo3 di Milano, autore del libro Il Codice del volo (Leonardo3). «Non risulta, però, che l’abbia mai costruita: probabilmente anche temendo per la vita dei collaudatori... ». Di certo l’apparizione di “uomini volanti” capaci di sorvolare l’accampamento nemico avrebbe ottenuto l’effetto di destabilizzare le truppe avversarie, spaventate da una visione così fantascientifica. Artiglierie a confronto. Il ruolo predominante, comunque, sarebbe stato quello dall’artiglieria: un settore nel quale i francesi erano allora all’avanguardia, grazie alle loro bocche da fuoco “standardizzate” (in grado quindi di essere ricaricate velocemente da gente addestrata sempre sul medesimo modello di cannone) e capaci di sparare palle di ferro. A Fornovo, in realtà, il danno provocato dall’artiglieria francese fu meno pesante del solito: questo perché il terreno bagnato impediva il rimbalzo dei proiettili. Era proprio questo, infatti, a provocare i danni, spezzando le gambe di cavalli e soldati. «Sull’efficacia dell’artiglieria francese a Fornovo ci sono dati storici contrastanti», spiega Massimiliano Righini. «Probabilmente l’umidità rese difficile l’uso delle polveri dei grossi pezzi da fuoco. Se l’esercito della Lega avesse schierato molte bocche da fuoco “leggere” (come le “mitragliatrici” di Leonardo), più facilmente trasportabili e quindi conservabili all’asciutto, forse avrebbe ottenuto risultati migliori dei francesi». Leonardo avrebbe anche potuto opporre ai colpi tradizionali speciali granate multiple a frammentazione, fatte di grossi sacchi di pelle cucita che, in volo, si aprivano rilasciando una serie di piccole bombe. Nel foglio 33r del Codice Atlantico sono raffigurate, infatti, due bombarde con uno schema molto chiaro che ne spiega il funzionamen114
IL MAXI CANNONE
Il super-cannone nella fase di posizionamento. Il suo peso ne avrebbe però ridotto l’efficacia sul terreno fangoso di Fornovo.
Le macchine da guerra furono ideate per STUPIRE. Ma i loro disegni NASCONDONO intuizioni geniali per l’epoca LA “MITRAGLIATRICE”
Il cannone multiplo aveva una potenza enorme. Le bocche da fuoco potevano sparare in sequenza o simultaneamente.
PONTE BLINDATO
Il ponte mobile coperto permetteva ai soldati di guadare senza essere colpiti.
Un pacifista che progettava armi?
P
ersonaggio-simbolo del Rinascimento, Leonardo è considerato spesso un uomo “di pace”, amante della natura. Però progettò mezzi militari e fortezze... Non c’è una contraddizione? Tempi duri. «Il dibattito su Leonardo pacifista o guerrafondaio ha poco senso», commenta Mario Taddei di Leonardo3. «La nostra percezione della guerra, oggi, è diversa da quella del Cinquecento. Gli scontri tra eserciti erano allora normali, e altrettanto il concetto di difesa e di uso delle armi. Leonardo
usò la scienza in un campo di applicazione, quello militare, necessario al suo tempo, senza porsi problemi estranei alla mentalità dell’epoca». Scrupoli. È vero comunque che negli scritti di Leonardo si trovano riferimenti alla guerra come “pazzia bestialissima”. E, secondo uno studio di Leonardo3, proprio per un suo scrupolo il genio di Vinci potrebbe aver celato uno studio di soldati-robot destinati a spaventare i nemici, smembrandolo in numerosi fogli, per tenerlo lontano dalle “male nature delli òmini”.
to: i proiettili, una volta sparati, si dividono in molti altri proiettili più piccoli. Dato che doveva essere l’esplosione a dividerli (più che l’impatto col suolo) sarebbero stati efficaci anche con il terreno bagnato. Soprattutto, Leonardo avrebbe potuto consentire agli italiani di aprire lo scontro con il fuoco di un super-cannone, capace di una gittata in grado di superare schieramento amico e fiume, finendo direttamente in campo francese. Non solo: questa macchina, così lontana dalla portata nemica, sarebbe sempre rimasta al sicuro. Fuoco alle micce. Ma è anche grazie alle invenzioni in apparenza più semplici che l’esercito della Lega Santa avrebbe potuto cambiare l’esito dello scontro. Uno dei problemi più complessi nell’uso delle prime armi da fuoco era infatti rappresentato dalla difficoltà di accenderne velocemente le micce. In un altro foglio del Codice Atlantico (il 158r) Leonardo risolve la cosa disegnando un grande “accendino per cannoni” funzionante a molla. Premendone un lato, la molla si carica: una volta rilasciata mette in movimento una pietra focaia che, sfregando, produce velocemente una pioggia di scintille. L’obiettivo italiano della Battaglia di Fornovo era, in ogni caso, la cattura di Carlo VIII: il re si trovava al centro dell’esercito francese, protetto dall’avanguardia del maresciallo Pierre de Rohan e dalle retrovie di Louis II de la Trémoille. Fu proprio questa posizione “di sicurezza” che gli consentì la fuga, defilandosi dallo scontro e permettendogli di conservare il ricco bottino raccolto durante la campagna italiana. Questo perché l’esercito italiano ebbe difficoltà a guadare il fiume Taro, dovendo risalirlo a monte di Fornovo per alcuni chilometri, in modo da trovare un punto con l’acqua sufficientemente bassa. Leonardo, però, aveva progettato una serie di ponti militari che sarebbero stati molto utili in questa situazione: uno, in particolare, poteva essere usato come una vera e propria “testuggine”. Una specie di mezzo da sbarco, con una copertura sul piano stradale ottima per proteggere i soldati dagli attacchi delle frecce e un portone frontale che poteva aprirsi proprio nel mezzo dello schieramento nemico, facendo uscire la fanteria. Uomini rana. Per catturare Carlo VIII, Leonardo avrebbe potuto sfruttare un’altra invenzione ancora, degna dei moderni eserciti: mentre i soldati erano impegnati nella battaglia, un gruppo di loro avrebbe potuto indossare uno speciale boccaglio, capace di farli respirare appena sotto il pelo dell’acqua. Il Taro, gonfio e limaccioso, li avrebbe nascosti alla vista durante l’attraversamento. Raggiunto il nemico in modo tanto defilato, avrebbero potuto spingersi fino al centro dell’esercito francese, puntando le armi verso il re. • Carlo Dagradi 115
LO STRATEGA
L’esercito dei
ROBOT
ILLUSTRAZIONI DI LEONARDO3
Il genio toscano nascose forse nel CODICE ATLANTICO le istruzioni per costruire un’armata di automi. Alcuni studiosi italiani le hanno DECIFRATE DIVERSIVO EFFICACE
I robot di Leonardo ricostruiti al computer. Secondo un’ipotesi, avevano scopo dissuasivo: la loro presenza sarebbe bastata a tenere lontani i nemici, incapaci di immaginare che fossero automi.
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Questi guerrieri furono SCOPERTI nel 1957. Si pensava fossero
U
n esercito di soldati in armatura, schierati sulle mura di un castello. Reggono lunghe alabarde, e le muovono in modo minaccioso. Sulla torre di guardia, altri soldati fanno oscillare le armi. Chi oserebbe avvicinarsi a un maniero così ben difeso? Questi soldati, infatti, sono instancabili: nessuno lascia mai le proprie posizioni... Per forza: non sono uomini, ma rudimentali robot. I loro movimenti, infatti, sono guidati da meccanismi di corde e carrucole: quale stratega del Cinquecento avrebbe potuto immaginare l’esistenza di un trucco del genere? Dietro questa trovata geniale c’è – ancora una volta – lo zampino di Leonardo da Vinci, che ha celato nei suoi manoscritti le istruzioni per realizzare il progetto. Il genio toscano, forse, riteneva questo stratagemma così efficace e pericolo-
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so da trasformarlo in un segreto militare. Lo avrebbe così nascosto tra i disegni del Codice Atlantico, oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Ma quei riferimenti cifrati sono stati notati da venti ricercatori di Leonardo3, che in 16 mesi di lavoro hanno decifrato tutte le indicazioni, arrivando a ricostruire un modello perfettamente funzionante del soldato robot. Ecco come sono riusciti in questa impresa. Una scoperta tardiva. «Nel 1957, lo scomparso leonardista Carlo Pedretti identificò per la prima volta l’esistenza di un soldato meccanico nascosto nei disegni di Leonardo», spiega Mario Taddei, esperto di design industriale e autore del libro I robot di Leonardo (Ed. L3). «Negli anni successivi, ricercatori e curatori di mostre sulle macchine di Leonardo hanno tentato di ricostruirlo, ma nessuno è riusci-
PLOTONE MECCANICO
I guerrieri robot di Leonardo da Vinci ricostruiti in 3D dal team di Leonardo3. Tutti gli automi, armati di alabarda, sono collegati da un sistema di carrucole e funi, mosso da un unico motore.
CONGEGNI teatrali. E NESSUNO era riuscito a farli funzionare to a riprodurre un modello funzionante. E, soprattutto, a identificare quale fosse il suo scopo preciso». Macchina teatrale, orologio oppure...? Per molti anni si è pensato che questo automa servisse come scenografia per rappresentazioni teatrali, o che fosse un congegno per misurare il tempo. «Abbiamo ristudiato da zero i fogli 579r, 1077r, 1021r e 1021v del Codice Atlantico: un insieme all’apparenza confuso di ingranaggi, carrucole e parti di armatura. Ma in realtà cela la “grammatica” delle macchine. Tutti i leveraggi e le carrucole disegnati qui sono gli elementi dai quali si può costruire qualsiasi congegno meccanico capace di muoversi». Questi elementi sono stati riprodotti al computer in modelli 3D capaci di simularne il funzionamento. Poi sono stati assemblati, tenendo conto degli appunti e delle conoscenze di Leonardo in materia di ingegneria bellica:
DIFENSORI IMPERTURBABILI
Sopra, alcune tra le innumerevoli alabarde disegnate da Leonardo. A destra, così, nella ricostruzione 3D, dovevano apparire al nemico i soldati meccanici, progettati dal genio vinciano e schierati sulle mura.
proprio per la sua perizia in questo campo, infatti, era stato reclutato da Ludovico il Moro. Carrucole nascoste. Nei quattro fogli del Codice Atlantico presi in esame ci sono in tutto 174 soggetti: la sfida era capire quali di questi fossero veramente disegni del robot e non generici ingranaggi. «Leonardo ha celato il progetto del robot nei suoi fogli: se letti in modo lineare, all’apparenza sembrano un insieme confuso di disegni e annotazioni. Ma se si vanno a cercare particolari simili o che si richiamano a vicenda (come il busto di un’armatura, parti di articolazione della spalla e un insieme di corde e carrucole a forma di torso umano) si può stabilire una relazione logica tra i vari documenti», spiega Taddei. Questo lavoro è stato fatto con l’aiuto della computer grafica: prima passando i fogli del Codice Atlantico allo scanner, per trasformarli in documenti
Uno degli ELEMENTI-CHIAVE del robot è L’ALABARDA: digitali, visualizzabili su un monitor. E poi usando il computer per tagliare, cucire, sovrapporre ed evidenziare le tracce che, insieme, danno vita al robot. Ma per quali scopi era stato concepito l’automa? Il cane di Taccola... Mariano di Jacopo (detto il Taccola) era un ingegnere italiano certamente conosciuto e studiato da Leonardo. «In un suo disegno è presente un rudimentale sistema antifurto per castelli, realizzato con un cane e una campana: bastava legare il cane con una fune alla campana, mettendogli il cibo a distanze diverse (alcune non raggiungibili). Agitandosi, il cane faceva suonare la campana in modo irregolare, dando l’impressione che nel castello ci fosse qualcuno», racconta Taddei. Questo sistema oggi sembra ingenuo (e crudele nei confronti del cane), ovviamente. «Ma nel Cinquecento probabilmente funzionava, perché nessuno avrebbe immaginato un simile trucco. È possibile che proprio da questa idea abbia preso spunto Leonardo, sostituendo al cane un automa meccanico», dice Taddei. Tuttavia, perché il genio toscano avrebbe nascosto le istruzioni per realizzarlo? «O esisteva un progetto finale che è andato perduto, oppure, com’è dimostrato per il progetto del sottomarino, il maestro lo considerava un lavoro talmente importante da doverlo proteggere con lo “smembramento” dei suoi componenti in diversi fogli», afferma il ricercatore milanese. E se avesse invece voluto realizzare solo un pupazzo a scopo teatrale, come ipotizzato da alcuni? «In questo caso, probabilmente, lo avrebbe fatto con le sembianze di un mostro o di un angelo. E lo avrebbe disegnato chiaramente, come spesso ha fatto per i costumi e le scenografie da lui realizzate per le feste», risponde Taddei. Prima il computer, poi il falegname. Il lavoro del team di Leonardo3 non si è fermato però alla ricostruzione grafica. Ogni singolo pezzo del robot è stato riprodotto con legno e corde, seguendo una regola precisa: usare soltanto sistemi e materiali disponibili nel XV secolo. Tre squadre si sono impegnate nella costruzione dell’alabarda, dell’armatura e della struttura meccanica a carrucole. In particolare, proprio l’alabarda, durante la realizzazione, è risultata importante: non soltanto per dare un aspetto aggressivo ai soldati, ma soprattutto per fornire equilibrio ai manichini stessi. «Anche usando il legno più duro che Leonardo poteva avere a disposizione, l’olmo, l’armatura e le parti meccaniche facevano rimanere le braccia del cavaliere meccanico distese lungo il corpo: con le mani fissate a due alabarde, scelte tra le moltissime disegnate 120
dallo stesso Leonardo, le braccia rimangono invece al proprio posto, in una posizione naturale per un soldato», dice Taddei. A questo particolare costruttivo aveva forse pensato anche Leonardo: in un punto del foglio 579r, infatti, si vede un sistema di carrucole simile a un busto eretto, con due linee che partono dalla posizione delle mani. Potrebbero simboleggiare uno schizzo
serve a reggerne le BRACCIA e ovviamente a spaventare i nemici delle alabarde, o anche due corde esterne per sostenere il peso che grava sulle spalle. Complicato dentro, semplice fuori. Il tipo di armatura è stato scelto tra quelle del periodo in cui Leonardo lavorò alla corte degli Sforza. Modelli semplici, senza fregi e decori, ideali per rappresentare militari di truppa. L’armatura è stata quindi adattata ai disegni vinciani ed è stata posta sopra la
struttura dell’automa. Risultato? Un robot rinascimentale che si regge in piedi, con le braccia alzate. «Girando una ruota inserita nel busto, le braccia si aprono e si chiudono a destra e a sinistra, facendo oscillare la punta delle alabarde. A questo punto, basterebbe costruirne molti, metterli su una torre, collegare le carrucole centrali come indicato nei disegni da Leonardo e portare il capo della corda a un motore, per esempio un mulino ad acqua: otterremmo così un esercito di soldati capace di spaventare chiunque si avvicini al castello», spiega Mario Taddei. Una corda, molti moti. La disposizione dei soldati potrebbe essere stata prevista in file parallele o anche casuale, per un maggiore realismo. E infatti, al centro del foglio 579v sono disegnate carrucole multiple, per distribuire il moto su vari punti. Nel foglio 369r del Codice Atlantico, Leonardo aveva disegnato altre carrucole, annotando: “Una medesima corda po’ fare molti moti col moto di sé medesimo”. Un’arma di difesa semplice, certo. Ma che a un uomo del Rinascimento doveva fare la stessa impressione che proviamo oggi vedendo i robot dei film di fantascienza. • Carlo Dagradi
MOSSI DA UN MULINO
A sinistra e a fianco, i movimenti degli automi leonardeschi. Un sistema di carrucole permetteva ai robot di ruotare le braccia e di spostare le alabarde, che servivano anche a sostenerle. Le carrucole erano a loro volta mosse da un cavo probabilmente collegato alla ruota di un mulino (non visibile nel disegno).
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L’ARCHITETTO
La CITTÀ Leonardo fu anche un URBANISTA, in grado di progettare QUARTIERI molto avveniristici
IDEALE
N
ei taccuini non si trova alcun riferimento, ma è probabile che fosse a causa dell’epidemia di peste a Milano che Leonardo cominciò a occuparsi di igiene e urbanistica. Risalgono infatti a quell’epoca i disegni in cui ipotizzò come dovesse essere la città perfetta, ricostruita in queste pagine grazie a uno studio del team di Leonardo3. Tanti agglomerati. Secondo Leonardo il problema delle metropoli era il sovrappopolamento: sarebbe stato meglio avere tanti agglomerati autosufficienti, con il mercato al centro. In essi, nei progetti, la vita si svolgeva su due livelli: quello superiore era la zona pedonale, destinata ai “gientili omini” e agli edifici nobili, mentre il piano inferiore, in comunicazione diretta con i canali, era destinato alla circolazione di animali e merci, e alle abitazioni del popolo (la “poveraglia” ). Era un progetto un po’ “classista”, ma Leonardo voleva migliorare la qualità della vita di tutti: progettò un sistema di sfiato che disperdesse il fumo al di sopra dei tetti e canali di scolo lungo i marciapiedi, raccomandò scale a chiocciola per evitare che la gente facesse i propri bisogni nelle buie rientranze delle scale diritte, programmò molte latrine e un sistema fognario basato su canali sotterranei.
IL PROGETTO PILOTA
Lo schizzo originale della città ideale, descritta nel Manoscritto B. Le strade dovevano essere larghe quanto l’altezza dei palazzi: per Leonardo, infatti, le vie strette e malsane, con gli scarichi a cielo aperto, favorivano il diffondersi di malattie.
P
er passare a un livello inferiore del canale, una barca deve attendere nella chiusa. Un’innovazione importante introdotta da Leonardo fu quella
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di sostituire le porte a saracinesca con quelle a doppio battente e apertura controcorrente (immagine a lato). L’idea è raffigurata nelle pagine del Codice Atlantico.
ILLUSTRAZIONI E RICOSTRUZIONI DIGITALI RESTAURATE LEONARDO 3
Chiuse a doppio battente
I NOBILI AI PIANI ALTI
Erano previsti due livelli: quello superiore per i “gientili omini”, quello inferiore per la “poveraglia”.
Scacchiera d’acqua
L
a città ideale era dotata di una rete di canali che servivano al trasporto ma anche all’irrigazione di orti e al lavaggio delle strade. Inoltre erano un’importante via di comunicazione: le barche, attraverso i canali, potevano raggiungere il fiume, e quindi il mare.
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BIBLIOTECA TRIVULZIANA DEL CASTELLO SFORZESCO
Oltre alla città perfetta, MAI REALIZZATA, Leonardo progettò il
Un medico architetto per il duomo malato
N
el 1487, a Milano fu bandito un concorso per il progetto del tiburio (la struttura che racchiude la cupola) da innalzare sul Duomo di Milano. Parteciparono, tra gli altri, Leonardo e l’amico Bramante. Leonardo disegnò (v.
sopra) e fece costruire un modellino di legno, e scrisse una relazione (al “duomo malato” serve un “medico architetto”). Fu convincente? Non abbastanza, pare. Il progetto venne affidato a due architetti lombardi, Amadeo e Dolcebono.
Un tempio “all’orientale”. Questo ambizioso progetto restò sulla carta, ma Leonardo nella Milano di Ludovico il Moro non restò inattivo nemmeno come architetto. Sembra che appartenga a lui, per esempio, il progetto del santuario di Santa Maria alla Fontana, fatto costruire nella zona nord della città tra il 1506 e il 1508: si trattava di un originale insieme di portici e di piscine aperte da ogni lato, in cui i fedeli potevano fare abluzioni come in certi templi orientali. E ci ha lasciato anche il curioso progetto di una casa padronale con cucina al centro dotata di passavivande. Durante gli studi per il monumento equestre a Francesco Sforza, inoltre, Leonardo si mise a frequentare le scuderie, inventando nuove idee per perfezionarle (v. ricostruzione a destra). Eccone un paio: mangiatoie rifornite automaticamente attraverso condotti verticali sistemati nei muri e letame fatto scorrere tramite piani inclinati in canali sotterranei. Alla corte francese. Leonardo riscoprì infine la sua passione per l’architettura negli ultimi anni della sua vita, quando Francesco I lo coinvolse nei progetti del castello a Romorantin (che però non fu mai costruito). In quell’occasione rispolverò la sua città ideale, riprogettandola più in grande: disegnò canali, fontane e un grande bacino per gli spettacoli nautici, un padiglione ottogonale per il parco e immense scuderie. • Marta Erba
STRADE PULITE
Nel progetto di Leonardo ogni strada è larga 12 metri e ha un solco al centro per far defluire l’acqua piovana nelle vie d’acqua inferiori e nelle fogne.
INNOVAZIONI
Sopra, le scale che collegano le due parti dell’edificio sono una coppia, e l’una non incontra mai l'altra. A destra, una pompa meccanica a pendolo.
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tiburio del DUOMO, scuderie, cucine e forse un SANTUARIO “zen”
PERFETTA ANCHE LA STALLA
Per le scuderie Leonardo studiò un edificio a due piani, simile a quello presente nel castello di Vigevano (Pavia), in cui organizzò un efficace sistema di abbeveraggio e di foraggiamento, e uno per la pulizia.
SOPRA E SOTTO
LEONARDO3 (5)
Si possono ipotizzare funzioni diverse per questo ponte a due piani: separare i due sensi di marcia, oppure i carri dalle persone, o ancora i nobili dai poveri.
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L’INGEGNERE
UN FIUME DI IDEE SULL’ADDA, in Lombardia, Leonardo sperimentò soluzioni RIVOLUZIONARIE in campo idraulico ed ENERGETICO. Che ammiriamo ancora oggi
SCALA
MARCELLO BONFANTI
IDRAULICO
Alcuni disegni di Leonardo relativi ai navigli (i canali navigabili intorno a Milano): un “incrocio” fra due vie d’acqua (sopra) e gli studi per le chiuse che regolavano il flusso. Risalgono agli anni intorno al 1485-90.
T
EREDITÀ
L’Adda visto dal ponte di Paderno (Lecco). Sulla destra si vede il canale ideato da Leonardo per evitare le rapide del fiume (sulla sinistra).
eorema n° 1: se Leonardo fosse vissuto abbastanza per essere eletto sindaco di Milano, oggi migliaia di pendolari lombardi non pagherebbero l’ecopass per entrare con l’auto in città, perché andrebbero a lavorare in barca. Teorema n° 2: se lo stesso Leonardo fosse nato in America invece che a Vinci, il Canale di Panama sarebbe stato creato con quattro secoli d’anticipo. Teorema n° 3: se il nostro dirigesse l’Enel o l’Eni, le bollette di noi tutti sarebbero meno care perché una parte del fabbisogno energetico verrebbe coperto da fonti gratuite. Ogni teorema, si sa, va dimostrato. Per i tre che abbiamo enunciato sopra, la dimostrazione può partire da un fiume, un paese e una villa d’epoca. Il fiume è l’Adda, che dal Lago di Como cala verso il Po bagnando con le sue acque verdi i confini di sei province: Monza, Milano e Lodi a ovest; Lecco, Bergamo e Cremona a est. Il paese è Vaprio, un comune di 8mila anime affacciato sull’Adda, 35 km a nord-est di Milano. La villa, infine, è un ameno belvedere di Vaprio, da oltre cinque secoli residenza di una nota famiglia patrizia, i Melzi d’Eril. Ospite. Se potessero parlare, i muri di quella villa avrebbero varie cose da riferire sul genio di Vinci. Il quale, durante il suo secondo soggiorno lombardo (1506-1513) visse a lungo nel loro perimetro, ospite del conte Girolamo, capo della milizia e supporter di Luigi XII, re di Francia e duca di Milano. «Ma Leonardo frequentò Vaprio già molto prima, sia pure saltuariamente», precisa Benigno Melzi d’Eril, un discendente di Girolamo. «Di sicuro
fece visita ai miei avi una volta nel 1498, quando Milano era ancora degli Sforza». Fu dunque un legame di lunga data quello tra l’Adda e l’autore della Gioconda: un legame che generò effetti importanti. Esempio: fu a Vaprio che Leonardo “arruolò” il suo allievo pittore prediletto, Francesco Melzi, figlio del conte Girolamo. E fu in un paese vicino, Canonica, che studiò un traghetto fluviale a costo zero, che tuttora è detto “leonardesco”. Ancora: fu poco più a nord, tra Paderno e Porto d’Adda, che si innamorò di un panorama selvaggio di acque e forre, usato poi, secondo alcuni, come sfondo per uno dei suoi dipinti, la Vergine delle rocce. Ma nella vita di Leonardo l’Adda ebbe un ruolochiave soprattutto per un progetto che puntava a creare nella Lombardia Occidentale una ragnatela di “autostrade d’acqua”, capaci di collegare i laghi di Como e Maggiore via Milano. Siamo giunti al primo dei nostri tre teoremi: l’idea si realizzò solo in parte ma, se fosse stata completata, oggi sotto la Madunìna ci sarebbe una Venezia-bis. E i trasporti lombardi avrebbero avuto uno sviluppo diverso, con pendolari in barca, auto ferme a casa e niente ecopass. Come volevasi dimostrare. In rete. Chiariamo subito: l’idea della “ragnatela” non era di Leonardo, ma di Ludovico Sforza detto il Moro, ultimo duca indipendente della Milano quattrocentesca. Fu lui a incaricare il genio di Vinci di “soprintendere ai fiumi, ai navigli, alle muzze, ai fossi, alle bocche pubbliche e private”, dove il termine “navigli” stava per canali navigabili 127
Grazie al sistema delle “conche”, le chiuse dei CANALI molto usate nei
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI PICTURE LIBRARY
SCALA
e “muzze” indicava le diramazioni artificiali dei fiumi a scopo irriguo. In pratica, Leonardo divenne quello che oggi chiameremmo forse “magistrato delle acque”, con pieni poteri su tutto il ducato. Va detto che alla fine del Quattrocento gran parte dei canali della progettata rete esisteva già. Verso ovest Milano era collegata col Ticino (quindi con il Lago Maggiore e la Svizzera) dal Naviglio Grande, nato ai tempi del Barbarossa (XII secolo) e allargato nel ’300 per portare in città il marmo della fabbrica del Duomo. Altre idrovie (incomplete) si dirigevano a sud verso il Ticino pavese. Anche a est esisteva già un canale: la Martesana, creata pochi anni prima fra Trezzo d’Adda e Milano su progetto di un ingegnere meno noto del dovuto, tale Bertola da Novate. La Martesana di Bertola, però, era solo una “muzza”, non un naviglio: serviva cioè per irrigare i campi, non per far viaggiare persone e merci. Inoltre arrivava solo alle porte di Milano, senza entrare in centro; perciò non si collegava al Naviglio Grande. Il Moro voleva tutt’altro: nel 1496 diede ordine di rendere navigabile quella roggia a fondo cieco e di allacciarla ai navigli occidentali. Leonardo eseguì,
COPERTI D’ASFALTO
Studio di Leonardo per la conca di San Marco a Milano: gran parte dei navigli milanesi furono coperti e trasformati in strade negli anni Trenta.
IERI, OGGI E DOMANI?
La piazza della Chiesa di San Marco, alla confluenza del Naviglio di San Marco con la Cerchia dei Navigli, in un dipinto del 1835 di Luigi Bisi.
NAVIGLI lombardi, si potevano superare rapide e grandi pendenze
GIOCHI D’ACQUA
Lo schema di funzionamento delle “conche” (le chiuse) dei navigli: aprendole e chiudendole le imbarcazioni potevano superare i dislivelli.
poi risistemò la rete dei canali urbani e Milano diventò un attivo porto fluviale, snodo di un’unica via d’acqua che andava dall’Adda al Ticino. Testimonianze. Tra Vaprio e dintorni il ricordo di Leonardo è tuttora vivo più che mai. Il tratto di fiume dove il genio operò è protetto da un parco regionale, chiamato Adda Nord. Lungo il fiume, poi, i luoghi leonardeschi sono diventati altrettante tappe di un museo a cielo aperto (l’Ecomuseo Adda di Leonardo); il clou è in località Tre Corni, presso Paderno, dove una targa indica la forra che avrebbe ispirato la Vergine delle rocce. All’epoca, in cambio dei suoi lavori idraulici, Leonardo non ebbe musei dedicati. Però, oltre al compenso dovuto, ricevette un premio extra: i diritti su una “bocca”, cioè su una di quelle paratie mobili che regolano il prelievo d’acqua dai canali. Quel premio era sul Naviglio Grande, presso una chiesetta romanica suburbana tuttora esistente, San Cristoforo. Il “soprintendente” teneva tanto a quel dono che dopo il 1499, quando la bocca gli fu confiscata dai francesi (subentrati al Moro a Milano), fece carte false per riaverla.
CONCA APERTA
Nuove mire. E il Moro? A lui la nuova Martesana fruttò ben più che una bocca: l’idrovia Adda-Ticino facilitava i commerci fra l’Est e l’Ovest del ducato, con ovvie ricadute su Milano, che incassava i dazi. Non a caso Leonardo scrisse di quel supercanale: “Vale 50 ducati d’oro, rende 125mila ducati l’anno”. In più, il sistema di idrovie garantiva allo Sforza vantaggi militari perché agevolava i movimenti di truppe fra l’Adda, confine con Venezia (nemica storica), e il Ticino, potenziale fronte contro i francesi (nemici recenti). Nonostante tutto ciò, il duca Ludovico non era soddisfatto, per due motivi. Anzitutto gli Sforza avevano un vecchio sogno irrealizzato: collegare Milano col Po (e quindi con l’Adriatico) per la via più breve, cioè per il Ticino. Francesco I, padre di Ludovico, aveva tentato l’impresa quarant’anni prima, realizzando il Naviglio di Bereguardo che però finiva su un binario morto, perché tra il canale e il Ticino, presso Bereguardo (Pavia) c’era un dislivello di vari metri, insuperabile con la tecnologia di allora. In secondo luogo la stessa Martesana era un successo monco. Infatti, una volta arrivati all’Adda, i barconi
CONCA CHIUSA
SARACINESCA APERTA CONCA CHIUSA
CONCA APERTA
F. SPELTA
CONCA CHIUSA
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milanesi potevano risalire il fiume solo per un breve tratto, da Trezzo a Porto. Poi trovavano un ostacolo insuperabile come quello di Bereguardo: un tratto di rapide che proseguiva fino a Paderno, circa tre km più a monte. Quell’intoppo doveva essere un grosso cruccio per il duca, il cui obiettivo era raggiungere con le sue idrovie il Lago di Como, porta di accesso alla Valtellina e al Canton Grigioni (Svizzera Meridionale). Che poteva fare Leonardo? Per il “nodo” di Bereguardo non fece nulla, che si sappia. Invece per collegare Milano e il Lago di Como studiò due soluzioni arditissime. «La prima, in ordine di tempo, puntava ad abbandonare il bacino dell’Adda a favore di quello del Lambro», spiega Giuseppe Petruzzo, direttore dell’Ecomuseo di Leonardo a Trezzo. «Un canale doveva uscire dal lago vicino a Lecco, poi scavalcare una dorsale, traversare i laghi brianzoli di Annone e Pusiano e infine sfociare appunto nel Lambro, che scende a Milano». L’altro progetto, più noto, prevedeva di aggirare le rapide dell’Adda tracciando da Paderno a Porto un naviglio parallelo al fiume. Entrambe le ipotesi comportavano l’uso di chiuse, soluzione tecnica che all’epoca era d’avanguardia, anche se non inedita, e che nel futuro avrebbe avuto fortuna nel mondo, consentendo opere prima impossibili, come il Canale di Panama che nel 1914 unì l’oceano Pacifico e l’Atlantico. Ricordate il nostro secondo teorema? Se fosse nato americano, Leonardo avrebbe ideato quel canale con quattro secoli di anticipo. Stop. Ma il genio di Vinci viveva in Italia, terra politicamente turbolenta. Perciò non riuscì a realizzare né il Naviglio di Annone né quello di Paderno perché, prima che il Moro approvasse una delle due ipotesi, il suo ducato aveva già finito di esistere. Infatti nel 1499 i francesi passarono il Ticino e attaccarono Milano. Per salvare la dinastia Sforza non bastò fare come previsto, cioè spostare truppe da una frontiera all’altra sul “supercanale” Martesana-Naviglio Grande, perché sul confine dell’Adda, in appoggio ai francesi, si mosse anche Venezia. Fine della “ragnatela d’acqua”? Sì e no, perché l’idea di Leonardo e Ludovico ebbe, almeno in parte, fortuna postuma. Il Naviglio di Annone non fu mai realizzato, ma almeno quello di Paderno sì: deposto il Moro, già nel 1516 i francesi resuscitarono il pro130
NAVIGLIO DI ANNONE FIUME TICINO
NAVIGLIO DI PADERNO
SONDRIO LAGO DI COMO
NAVIGLIO MARTESANA
LECCO LAGO MAGGIORE
VARESE COMO
NAVIGLIO GRANDE
MILANO
BERGAMO BRESCIA
VIGEVANO
FIUME PO
MANTOVA
PAVIA NAVIGLIO DI BEREGUARDO
FIUME ADDA
NAVIGLIO PAVESE
FIUME LAMBRO
getto, affidandolo allo stesso Leonardo, che però morì tre anni dopo lasciandolo in sospeso. Altri tentativi seguenti abortirono, ma a fine ’700, cioè due secoli e mezzo dopo la morte di suo “padre”, il bypass sull’Adda fu partorito da una “madre” d’eccezione, Maria Teresa d’Austria. Fra l’altro, quello dell’imperatrice asburgica fu un parto gemellare, perché oltre al canale a chiuse di Paderno Maria Teresa realizzò anche l’altro sogno degli Sforza, il Naviglio Pavese: “Vogliamo e ordiniamo che si debba formare il canale navigabile da Milano a Pavia e che si debba anche intraprendere quanto sarà necessario per rendere navigabile l’Adda da Lecco sino al Naviglio della Martesana”, si legge in una sua lettera del 1773. Quattro anni dopo il “vogliamo e ordiniamo” piovuto dalla lontana Vienna era realtà. Ma quel naviglio ebbe una vita inversamente proporzionale alla sua gestazione: insomma durò poco, perché i “soprintendenti” dell’800 (e oltre) non erano appassionati delle acque come Leonardo. Oggi quel canale breve (2,6 km) e ardito, che supera un salto di 30 metri con sette chiuse, c’è ancora, ma è in pessimo stato: per un tratto è sempre secco, perché due centrali elettriche gli scippano l’acqua. Così gli enormi e consunti portoni di legno delle sue chiuse sono ormai solo una tappa dell’Ecomuseo, nascosti in un bosco. Genio “verde”. Sull’Adda Leonardo si interessò, oltre che di chiuse e canali, anche di risparmio energetico, studiando un mezzo di trasporto che consentiva di varcare il fiume senza remi né (ovviamente) motore, grazie soltanto al moto della corrente, che un marchingegno convertiva da forza longitudinale in laterale. Chi oggi vuol vedere un “traghetto leonardesco” ha una sola chance: l’ultimo rimasto fa la spola tra Villa d’Adda e Imbersago. Formato da due scafi paralleli, uniti da una piattaforma dove possono
LE IDROVIE LOMBARDE AI TEMPI DI LEONARDO
Grazie ai navigli (in marrone; tratteggiati quelli solo progettati o realizzati in seguito) e ai collegamenti fluviali, la Lombardia Occidentale avrebbe dovuto diventare una regione navigabile.
F. SPELTA (2)
Leonardo studiò anche un SOTTOMARINO “da assalto”. Ma non divulgò il PROGETTO
IL QUARTO
Un ponte (foto) tra Brivio e Cisano Bergamasco sostituisce dai primi del Novecento il quarto traghetto di Leonardo.
TRAGHETTO
Uno dei traghetti rimossi è conservato a Lecco.
LECCO
FUNZIONANTE
Il terzo traghetto (foto) è ancora funzionante: collega Imbersago e Villa d’Adda.
QUINTO PASSAGGIO
Il quinto traghetto leonardesco collegava Olginate e Calolziocorte.
CALOLZIOCORTE OLGINATE
LE CHIUSE ANTIRAPIDE
Qui inizia il tratto non navigabile del fiume, aggirato da un canale artificiale regolato da chiuse (foto).
IMBERSAGO
IL PAESAGGIO DELLA VERGINE?
SULLE SUE TRACCE
I luoghi leonardeschi lungo il corso dell’Adda che si possono visitare ancora oggi.
CISANO BERGAMASCO
BRIVIO
In località Tre Corni (da raggiungere a piedi o in bici) c’è il paesaggio che avrebbe ispirato lo sfondo della Vergine delle rocce.
IL MUSEO
VILLA D ’ADDA
PADERNO D’ADDA
In località Stallazzo si trova il centro visitatori dell’Ecomuseo di Leonardo.
PORTO D ’ADDA TRE CORNI
IL SECONDO
Fiume Adda
LA MARTESANA
Il naviglio della Martesana nasce qui, ma scorre a lungo parallelo al fiume.
CONCESA VAPRIO D’ADDA
IL PRIMO PASSAGGIO
Qui c’era il primo traghetto leonardesco, nei pressi della Roggia Vailata che qui si stacca dal fiume.
Qui c’è l’imbarcadero dell’ex secondo traghetto.
CAPRIATE SAN GERVASIO CANONICA D’ADDA CASSANO D’ADDA
Milano
MARCELLO BONFANTI (5)
Naviglio Martesana RESIDENZIALE
Villa Melzi d’Eril (foto) ospitò Leonardo da Vinci almeno due volte.
DEVIAZIONE
Qui il naviglio della Martesana (foto) si dirige verso Milano.
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COSTA/LEEMAGE (2)
I TRAGHETTI leonardeschi che facevano LA SPOLA tra un riva e l’altra dell’Adda erano CINQUE
BARCHE INNOVATIVE
Modellini in legno di draga (a sinistra) e di scafo a pale (sopra) realizzati a partire dai disegni di Leonardo.
trovar posto cinque auto e 100 pedoni a ogni corsa, orientato da timoni, è ancorato con un lungo gancio a un cavo che attraversa il fiume. La corrente spinge sugli scafi, che senza il cavo andrebbero alla deriva, e la risultante tra la forza del fiume e la resistenza degli scafi e del cavo produce un moto laterale sufficiente a guadagnare l’altra riva. Opportunista? A questo punto occorre chiarire un punto: paradossalmente, il “traghetto leonardesco” non fu inventato affatto da Leonardo. Certo: se i battelli a costo zero si diffusero, fu senz’altro grazie a lui, che durante il soggiorno a Villa Melzi studiò un prototipo e lo fece conoscere al resto del mondo. Ma un fatto è certo: quando il magistrato delle acque arrivò a Vaprio, il traghetto “leonardesco” di Canonica esisteva già; lui lo vide, ne restò affascinato e se ne appropriò. Dunque il genio dei navigli scippò il copyright di un’invenzione a un oscuro barcaiolo di fiume? Proprio così. Ma l’Adda si è preso la rivincita con un affresco di Villa Melzi: una Madonna inserita in un tondo di cinque metri di diametro, che ha tutti i requisiti per essere ritenuta, almeno in parte, di Leonardo. Eppure nessun critico si azzarda ad attribuire al Maestro quel Madonnone: chi dice che è di Francesco Melzi, chi di ignoti. In una tomba vista Adda un barcaiolo anonimo sta ridendo soddisfatto: a volte chi di copyright colpisce, di copyright perisce.• Nino Gorio
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Milano come Amsterdam?
O
ggi sono solo tre i navigli che attraversano Milano: il Naviglio Grande, connesso al Ticino, il Naviglio Pavese, collegato a Pavia, il Naviglio della Martesana, correlato all’Adda. Fino a circa un secolo fa i canali milanesi erano però molti di più e caratterizzavano il centro storico del capoluogo lombardo, la cerchia dei navigli. Coperti. Tra la fine dell’Ottocento e soprattutto negli anni Trenta del Novecento buona parte dei canali è stata coperta per migliorare la viabilità e far spazio alle auto. Da qualche anno, però, si parla di restituire a Milano la sua immagine storica, riaprendo parte dei canali cittadini, così da ridurre il traffico automobilistico e rafforzare l’attrattività turistica. Se ne è parlato per Expo 2015, ma i progetti sono rimasti
lettera morta, fatta eccezione per il recupero della Darsena, l’antico porto di Milano (che tuttavia non era mai stato coperto). Il progetto più fattibile, portato avanti dall’associazione Riaprire i navigli (www. riaprireinavigli.it), punta a recuperare proprio il percorso della Martesana su cui lavorò Leonardo, riaprendo il canale e la centrale Cerchia dei navigli. Vie d’acqua. Milano recupererebbe otto chilometri di canali e ripristinerebbe l’antico sistema idroviario, circuito che permetteva il collegamento dal Lago Maggiore e dal Lago di Como fino all’Adriatico. A favore dell’operazione depone il fatto che i canali sono stati coperti ma non distrutti e che oggi in molte aree si sta già scavando per i lavori della linea metropolitana M4 (la quinta a essere realizzata).
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P001
Data
SCALA
L’INGEGNERE
L’ACQUA Tutta la RETE IDRICA regionale STUDIATA da Leonardo doveva servire a rendere Milano una “metropoli” NAVIGABILE
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IN CITTÀ D
Naviglio preso dal ponte di San Marco in Milano (1834) del pittore Giuseppe Canella. A destra, antica mappa di Milano, circondata dai corsi d’acqua.
RES /REALY EASY STAR
CERCHIA DIFENSIVA
ipinti sacri, decorazioni e ritratti di nobili e signori della città: per Leonardo Milano fu tutto questo ma non solo. Oltre alla pittura di quadri importanti, come la Vergine delle rocce, l’Ultima cena, la Dama con l’ermellino, durante il suo soggiorno milanese l’artista passò moltissimo tempo tra rogge e canali, studiando come migliorare la rete dei canali navigabili della città. E se oggi i navigli sono una frequentatissima attrazione turistica, e un polo della movida della metropoli lombarda, ai tempi di Leonardo costituivano il sistema difensivo della città, ossia un intricato fossato di protezione in caso di attacco. Ma soprattutto erano “autostrade” per trasportare merci pesanti. Il Naviglio Grande, il più antico di questi canali, fu costruito nel XII secolo, e dal XIV secolo venne usato per trasportare il marmo necessario alla costruzione del Duomo meneghino, dalla zona del Lago Maggiore e poi giù lungo il Ticino fino a Milano. Studio dei canali. Ludovico il Moro, reggente di Milano dal 1480 al 1494 e poi duca dal 1494 al 1499, voleva rendere ancora più efficienti queste vie d’acqua, collegando il capoluogo lombardo con l’Adda e il Lago di Como a nord e con Pavia a sud. Non era però semplice per l’epoca superare i dislivelli che si trovavano lungo il percorso. Ma Ludovico aveva la soluzione. Leonardo, che aveva il pallino dell’acqua e dell’idraulica, gli aveva mandato una lettera di presentazione in cui aveva scritto “di saper conducere acqua da un loco all’altro”. Il Moro non se lo fece ripetere due volte e nel 1482 lo chiamò a Milano (qui Leonardo avrebbe poi vissuto a lungo, fino al 1499). Dei numerosi studi sull’argomento del toscano abbiamo traccia nel Codice Atlantico, la raccolta di scritti, appunti e disegni di Leonardo, conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Leonardo doveva trovare il mo-
ALAMY/IPA (2) MONDADORI PORTFOLIO / VENERANDA BIBLIOTECA AMBROSIANA
Leonardo pensò per MILANO un piano di espansione basato sullo sviluppo della CERCHIA dei navigli
do di collegare Milano a Pavia e fare arrivare il Naviglio della Martesana, che proveniva dall’Adda, fino all’interno della Cerchia dei Navigli. Spostare Milano? Per prima cosa si occupò del problema “pavese”, ma non riuscì a trovare una soluzione per un canale diretto tra Milano e l’altra città lombarda. Secondo le cronache, Leonardo, che per carattere quando falliva non si abbatteva ma, anzi, alzava l’asticella dell’ostacolo, arrivò a ipotizzare una soluzione drastica. Lo racconta Giuseppe Sala, oggi sindaco di Milano, nel suo saggio del 2014, Milano sull’acqua (Skira): «La rifondazione di Milano altrove, lungo un corso d’acqua navigabile, come è il caso di Vigevano, collocata sulla riva occidentale del Ticino e per la quale Ludovico il Moro nutre un particolare interesse». Possiamo solo immaginare le reazioni a corte e le malignità sussurrate all’orecchio del Moro dai non pochi detrattori del genio di Vinci. Leonardo capì che doveva darsi da fare e poco dopo ci fu il completamento del Naviglio della Martesana a Milano, congiunto all’Adda sulla base di una bozza di mappa realizzata proprio dal maestro di Vinci. L’“autostrada” d’acqua era aperta e per il toscano fu un successo. «Quando finalmente le acque dell’Adda entrano a Milano sul finire del secolo Leonardo comprende che non vi è più bisogno di ipotizzare una città ideale ubicata altrove. La questione cardinale è risolta e dunque può riportare su Milano la sua attenzione tracciando il piano di espansione cittadina in136
centrato sulla Cerchia dei navigli», scrive Sala. Missione compiuta. Le “quotazioni” di Leonardo salirono alle stelle e tra il 1496 e il 1498 ebbe l’incarico di ingegnere ducale, titolo che gli conferì carta bianca sulle vie d’acqua. Il canale della Martesana era giunto fino in città, ma ora doveva arrivare alla Cerchia dei navigli e congiungersi con il Naviglio Grande. Solo così ci sarebbe stata un’unica via navigabile tra Como, Milano e il Ticino. Leonardo si focalizzò per rendere più efficiente il sistema delle conche, ossia i bacini regolati da chiuse che permettevano di superare i dislivelli tra i due canali. Tuttavia nel 1499 ormai l’era di Ludovico il Moro era al tramonto, i francesi erano calati in Italia decisi a far propria la Penisola e Milano fu la loro prima “preda”. Leonardo riprese a errare tra le corti italiche fino a che il re di Francia lo riportò nel capoluogo lombardo. Fra il 1508 e il 1513, tra un ritratto e l’altro, Leonardo mise a punto quella Conca delle Gabelle (o Conca dell’Incoronata) che oggi, a due passi dal quartiere di Brera, è la maggiore testimonianza rimasta del genio idraulico di Leonardo. La Martesana era così navigabile fino alla Darsena, il porto di Milano, e Leonardo sapeva di aver cambiato il volto della città, avendogli conferito l’immagine di una “Amsterdam padana”. Milano rimase così fino a quasi un secolo fa, e oggi in molti vorrebbero che ritornasse a essere quella di allora. • Roberto Roveda
SCHIZZI
In alto a sinistra, un sistema disegnato da Leonardo per scavare i canali. In basso a sinistra, dal Codice Atlantico, disegno di un tratto di naviglio, a San Cristoforo. Sopra, alcuni disegni di architetture leonardesche dell’epoca.
Tratto da Focus Storia 147, pag. 64
I LUOGHI
QUI VISSE
Leonardo
CESARE GEROLIMETTO/SIME
Tra piccoli BORGHI e grandi città, sulle orme di un UOMO che non si fermava MAI
IN CIMA ALLA CUPOLA
A 16 anni, l’artista cominciò a frequentare la bottega del Verrocchio, a Firenze. Oltre a dipingere e a scolpire, partecipò alla realizzazione della grande sfera di rame che, nel 1472, fu collocata in cima alla cupola di Santa Maria del Fiore (nella foto).
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OLIMPIO FANTUZ/SIME REALY EASY STAR
Versatile e disposto ad adattarsi a ogni tipo DI LAVORO, Leonardo visitò le città PIÙ POTENTI d’Italia: Firenze, Venezia, Roma
AL SERVIZIO DEI POTENTI
Qui sopra, la Rocca sforzesca di Imola, dove Leonardo dimorò nel 1502 al servizio di Cesare Borgia, per il quale progettò armi e fortificazioni. In alto, Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova. Qui, nel 1500, Leonardo progettò alcuni canali per il doge.
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LAIF/CONTRASTO
NELLA PACE DEL CHIOSTRO
Nel 1494, Leonardo cominciò a realizzare un’opera che avrebbe cambiato la storia dell’arte, il Cenacolo, nel refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, a Milano. Vi lavorò per cinque anni; ma purtroppo, a causa della tecnica utilizzata, ben presto il dipinto cominciò a deteriorarsi.
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GÜNTER GRÄFENHAIN/SIME
IL PIÙ GRANDE DELLA LOIRA
Secondo la leggenda, il castello di Chambord è stato ispirato a progetti di Leonardo. Fatto costruire da Francesco I poco dopo aver chiamato l’artista fiorentino alla corte di Francia, questo gigantesco edificio rinascimentale è situato all’interno del parco forestale chiuso più grande d’Europa.
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GÜNTER GRÄFENHAIN/SIME
CHI SALE, CHI SCENDE
Sopra, una scala a doppia elica all’interno del castello di Chambord, in cui chi sale non incontra chi scende. Il suggestivo effetto è ispirato a un’idea di Leonardo. Sotto: il letto, nel piccolo castello di Clos-Lucé a Cloux, in cui l’artista si spense. Aveva 67 anni.
DAVID BRABYN/CORBIS
Nel 1516 Leonardo ACCOLSE L’INVITO di Francesco I, RE DI FRANCIA, e si trasferì ad Amboise. Fu il suo ULTIMO VIAGGIO
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APPUNTAMENTI
NON SOLO
ARTE
Tutto il mondo nel 2019 celebra il CINQUECENTENARIO della morte di Leonardo da Vinci con un’infinità di MOSTRE e INIZIATIVE a tema: ecco la nostra selezione A MILANO Leonardo ha soggiornato a Milano più volte tra il 1482 e il 1512, lasciando molte testimonianze del suo genio. Per questo il capoluogo lombardo celebra i 500 anni della sua morte (avvenuta il 2 maggio 1519) con Milano e l’eredità di Leonardo 1519-2019, un ricchissimo palinsesto di iniziative che coinvolgeranno diverse sedi espositive. Castello Sforzesco. L’evento più atteso del 2019 è la riapertura della Sala delle Asse, alle cui decorazioni Leonardo lavorò alla fine del Quattrocento. La sala (sotto) sarà il fulcro della mostra Leonardo e la Sala delle Asse tra natura, arte e scienza, aperta dal 16 maggio al 18 agosto 2019. Sempre al Castello Sforzesco di Milano dal 2 maggio 2019 al 2 gennaio 2020 un percorso multimediale accompagnerà il visitatore alla scoperta della Milano leonardesca.
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Palazzo Reale. Non lontano dal Castello, a Palazzo Reale, saranno allestite due mostre dedicate all’eredità artistica di Leonardo. Dal 4 marzo al 23 giugno 2019 aprirà al pubblico Il meraviglioso mondo della natura prima e dopo Leonardo, mentre dal 2 ottobre 2019 al 23 gennaio 2020 verrà esposta una delle prime copie del Cenacolo vinciano, l’arazzo realizzato tra il 1505 e il 1510 su commissione del futuro re di Francia Francesco I, prestato dai Musei Vaticani. Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”. Non poteva mancare alle celebrazioni leonardesche il più importante museo tecnico-scientifico d’Italia, il Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, intitolato proprio al maestro toscano. Il museo riunisce una vastissima collezione di progetti e macchine leonardesche che fino al 13 ottobre 2019 sarà al centro della mostra Leonardo da Vinci Parade. Si tratta di un originale percorso tra arte e scienza incentrato sugli spettacolari modelli leonardeschi realizzati negli anni Cinquanta del secolo scorso interpretando i disegni di Leonardo e sugli affreschi di pittori lombardi del XVI secolo, concessi in deposito nel 1952 dalla Pinacoteca di Brera. Il tutto in attesa di vedere, in autunno, la storica Galleria Leonardo completamente rinnovata.
Biblioteca Ambrosiana. La Biblioteca Ambrosiana, nella cui Pinacoteca si conserva il Ritratto di musico di Leonardo, offrirà ben quattro mostre tematiche in cui saranno esposti i fogli più interessanti del Codice Atlantico. Museo Poldi Pezzoli. Dall’8 novembre 2019 al 10 febbraio 2020 torna a Milano dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo la Madonna Litta (sotto) nell’esposizione Intorno a Leonardo. La Madonna Litta e la bottega del Maestro. Fondazione Stelline. Ospiterà dal 2 aprile al 30 giugno L’Ultima Cena dopo Leonardo, una rilettura contemporanea del capolavoro di Leonardo da Vinci, conservato nell’ex refettorio di Santa Maria delle Grazie.
IN TOSCANA Firenze, Museo di Palazzo Vecchio. Dal 29 aprile il Salone dei Cinquecento ospiterà la ricostruzione della Battaglia di Anghiari all’interno dell’evento Firenze 2019 - Leonardo L’uomo, la guerra e l’incredibile battaglia. Sarà una ricostruzione virtuale, navigabile e “manipolabile” del salone nel momento in cui scoppiò il temporale e il gigante di Leonardo venne distrutto (sotto). Un’esperienza 4.0, molto innovativa, realizzata da Mario Taddei, storico della scienza e ricercatore del Laboratorio Leonardo 3. Sempre a Palazzo Vecchio, nella Sala dei Gigli fino al 24 giugno, la mostra Leonardo da Vinci e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico.
A ROMA Scuderie del Quirinale. Fino al 30 giugno 2019 le Scuderie del Quirinale di Roma, con il Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano e insieme alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ospiteranno una mostra dedicata al lato ingegneristico del grande inventore all’interno dell’esposizione Leonardo da Vinci. La scienza prima della scienza. Particolare spazio verrà dedicato ai progetti delle sue macchine.
A TORINO Musei Reali. Torino metterà in mostra fino al 14 luglio 2019 i suoi gioielli leonardeschi nella mostra Leonardo da Vinci. Disegnare il futuro. Il celebre (per alcuni presunto) Autoritratto di Leonardo; 12 fogli disegnati (sotto), alcuni fronte e retro; e il Codice sul volo degli uccelli.
Vinci (Firenze), Villa BarontiPezzatini. La città natale di Leonardo celebra il “suo” artista con una mostra dedicata alle incisioni di Wenceslaus Hollar (1607-1667), che rappresentano un importante strumento di studio e di diffusione dei disegni leonardiani di caricature e grottesche. Fondazione Rossana & Carlo Pedretti, fino al 5 maggio.
IN FRANCIA Parigi, Museo del Louvre. Il museo dove si trova la Gioconda ha annunciato per l’autunno una mostra con un numero di opere di Leonardo senza precedenti. Centro Valle della Loira. La regione francese rende omaggio a Leonardo con il progetto Viva Leonardo da Vinci! 500 anni di Rinascimento: oltre 700 eventi che coniugano epoche, forme artistiche, mostre, convegni e itinerari dal 2 maggio fino al 31 agosto.
LA MILANO DI LEONARDO
V
uoi vedere la città come era ai tempi di Leonardo? Indossa il visore e immergiti nel primo street tour in realtà virtuale. Una visita guidata dal Duomo a Santa Maria delle Grazie, passando per Palazzo Reale, Pinacoteca Ambrosiana e Porta Vercellina. Per vedere la Milano del Quattrocento attraverso rendering in 3D. Dal 1° maggio, i lettori del mondo Focus, acquistando il biglietto dal link www.youareleo.com/focus, avranno uno sconto e pagheranno il biglietto 20 euro invece di 25.
LETTURE Leonardo segreto
Costantino D’Orazio (Sperling&Kupfer) Considerato uno dei più grandi geni dell’umanità nonché autore del più famoso ed enigmatico quadro del mondo, La Gioconda, Leonardo ha lasciato dietro di sé tanti segreti che nonostante i numerosissimi studi su di lui, nel tempo nessuno è riuscito a svelare. Ma chi sono veramente i personaggi che si nascondono dietro ai suoi ritratti? Perché ha lasciato tante opere incompiute? Le domande intorno alla sua figura, quasi mitica, si sprecano.
Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci
Sigmund Freud (Skira) Pubblicato nel 1910, il saggio costituisce uno dei più importanti esempi di uso della scienza psicanalitica in una ricerca biografica. Il punto di partenza di Freud è una nota lasciata sul Codice Atlantico dall’artista stesso. Raccontando una sua fantasia infantile, narra di come un nibbio, calato sul piccolo Leonardo in culla, gli avrebbe aperto la bocca con la coda, percuotendolo ripetutamente. Questo ricordo dà vita a un’appassionante psicobiografia che, ricostruendo l’infanzia e la vita di Leonardo, fa luce sui lati più controversi della personalità dell’artista: la sua instabilità creativa, l’incompiutezza di molti suoi capolavori, la gentilezza quasi femminea del suo carattere e la sua sessualità.
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Navigli del Milanese ieri e oggi
Edo Bricchetti, Giuseppe Codara (Meravigli) Questo volume riccamente illustrato ripercorre la storia di quei canali milanesi, detti navigli, che una volta avevano una funzione molto diversa rispetto ai giorni nostri. Ai tempi in cui Leonardo se ne interessò erano un sistema difensivo e un modo per trasportare merci “eccezionali” (nel XIV secolo per esempio erano serviti per far arrivare fino in città i pesanti marmi per la costruzione del Duomo). Oggi rappresentano un’importante attrazione turistica, e proprio per questo motivo si parla di riaprire anche una parte di quelli che furono chiusi nel Novecento.
La biblioteca perduta. I libri di Leonardo
Carlo Vecce (Salerno Editrice) Quanto possiamo sapere di una persona esclusivamente guardando i libri della sua biblioteca? Molto, anzi moltissimo. Avremmo potuto farlo anche con quella di Leonardo da Vinci, se solo i suoi libri non fossero scomparsi tutti. Ma qualcosa è rimasto, ovvero quello che il maestro annotava sui suoi quaderni e che oggi definiremmo una sorta di diario. Il genio toscano, infatti, fu anche un appassionato lettore e le sue considerazioni su ciò che aveva modo di scoprire attraverso i libri rivelano una grandissima conoscenza della cultura del suo tempo, ma anche una notevole apertura mentale e una spiccata propensione verso la modernità.
Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle
Massimo Polidoro (Edizioni Piemme) Un viaggio nell’Europa di cinquecento anni fa insieme a Leonardo, un nome leggendario, intorno a cui fiorirono nei secoli miti e storie fantastiche. Il maestro rivive nelle memorie (immaginarie ma documentate) di uno dei suoi discepoli prediletti, nonché suo segretario, il milanese Francesco Melzi. Viene raccontato l’uomo e il suo lavoro. Si scopre in che modo hanno preso vita i suoi capolavori immortali. Ma anche come sono nate le leggende che nei secoli si sono diffuse intorno al genio toscano e alla sua vita, che per molti versi resta ancora oggi un mistero irrisolto.
La verità sul Codice da Vinci
Bart D. Ehrman (Mondadori) Il Codice da Vinci di Dan Brown ha venduto milioni di copie. In questo libro, lo studioso del cristianesimo delle origini Bart D. Ehrman separa la realtà dalla fantasia letteraria, offrendo una chiave per decodificare tutti i segreti del best seller di Brown.
Il laboratorio di Leonardo nella città ideale. I codici, le macchine e i disegni
Massimiliano Lisa, Mario Taddei, Edoardo Zanon (Leonardo3) Già catalogo di una mostra, il volume raccoglie molte immagini pubblicate in questo numero e approfondisce le tematiche affrontate dai ricercatori di Leonardo3, tra cui uno studio dettagliato del Manoscritto B.
Il Gran cavallo di Leonardo da Vinci. Mito, storia, attualità
Marco Castelli (Colibrì) Il volume ricostruisce la storia del cosiddetto Gran cavallo, una statua maestosa ottenuta da un’unica fusione di bronzo. Mai portata a termine da Leonardo da Vinci, l’opera è stata realizzata nel Novecento da una scultrice statunitense.
Il libro del Codice del volo. Leonardo da Vinci
Edoardo Zanon (Leonardo3) Analizzando il Codice del volo, il volume si sofferma sul progetto relativo a un macchinario volante noto come Grande nibbio, riportandone le istruzioni per il montaggio e il pilotaggio.
Leonardo. Anatomia
Domenico Laurenza (Giunti) Un approfondimento dedicato ai disegni anatomici di Leonardo e alle illustrazioni in uso in epoca medioevale e nel primo Rinascimento presso le scuole di medicina, ricco di immagini e corredato di una cronologia che propone una nuova datazione per molte opere leonardesche.
Leonardo da Vinci. L’arte, la vita, il doppio
Hidemichi Tanaka (Editori Riuniti) Viaggio attraverso la multiforme produzione di Leonardo, con nuove interpretazioni sull’origine di alcuni capolavori del Rinascimento e un particolare approfondimento sulle connessioni delle opere leonardesche con l’arte orientale.
La Festa del Paradiso di Leonardo da Vinci
Luca Garai (La vita felice) Il volume ripercorre il mirabolante lavoro svolto da Leonardo – in qualità di scenografo e su richiesta di Ludovico il Moro – per la messa in scena di un sontuoso spettacolo teatrale noto come Festa del Paradiso e dedicato alle nozze tra Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona.
I robot di Leonardo. La meccanica e i nuovi automi nei codici svelati
Mario Taddei (Leonardo3) Corredato di centinaia di disegni inediti e tavole a colori, e forte di un linguaggio accessibile a tutti, questo libro ci guida alla scoperta dei molteplici macchinari ideati da Leonardo, partendo dall’automobile automatica fino al leone meccanico.
Leonardo & io
Carlo Pedretti (Mondadori) Uno dei massimi studiosi di Leonardo, scomparso nel 2018, propone un’affascinante rilettura delle sue opere suggerendo importanti novità interpretative che si riferiscono anche a numerosi disegni, schizzi e testi redatti dal grande genio toscano.
Leonardo da Vinci. Artista, scienziato, filosofo Serge Bramly (Mondadori) Libro scrupoloso nel ricostruire la biografia del genio di Vinci, intrecciandone le vicende con quelle di un’intera epoca.
Leonardo. Il volo
Domenico Laurenza (Giunti) Affascinante viaggio attraverso gli studi che Leonardo dedicò al tema del volo, dalle elaborazioni puramente teoriche, basate sull’osservazione degli uccelli, ai tentativi di applicazione pratica, sfociati spesso nella progettazione di spettacolari macchine volanti.
Il codice Gioconda. La vera identità di Monna Lisa P. Gulisano ed E. Bonanomi (Fede & Cultura) Indagine attorno ai misteri che aleggiano tuttora intorno a una delle opere più celebri di Leonardo e al suo enigmatico sorriso.
Leonardo da Vinci 1452-1519
Maria Teresa Fiorio e Pietro C. Marani (Skira) Attivo nei più disparati campi dell’arte e della scienza, è considerato un grande protagonista della nostra cultura non solo del Rinascimento, ma di ogni epoca. Questa opera, realizzata
in occasione di una mostra dedicata dal comune di Milano al genio vinciano, propone la straordinaria complessità di questa figura come artista e pittore ma anche scienziato e tecnologo.
L’enigma del Cenacolo. L’avventura di un genio nel Rinascimento e dell’affresco che lo rese immortale
Ross King (Bur) In che modo l’Ultima Cena di Leonardo ha segnato un punto di svolta nella storia dell’arte? Quali misteri si celano dietro a questo capolavoro? L’autore risponde a queste domande tratteggiando nel contempo un affresco delle vicende rinascimentali italiane.
IN LIBRERIA E IN EDICOLA CON FOCUS LEONARDO DA VINCI 100 DOMANDE 150 RISPOSTE Andrea Concas (Mondadori)
È
vero che Leonardo, forse, non era italiano? E che era un vegetariano? E ancora: fu lui a portare in Francia La Gioconda? A domande come questa, e a tante altre che riguardano la vita e le opere del genio del Rinascimento, potrete dare una risposta grazie a questo libro di Andrea Concas, in libreria e in edicola con Focus (a 9,90 euro oltre il prezzo della rivista). Tra i tanti libri su Leonardo in circolazione, è senza dubbio uno dei più originali e innovativi. Si tratta infatti di un testo interattivo, un libro chatbot che contiene parole
chiave da utilizzare per scoprire approfondimenti, quiz, trivia e contenuti extra chattando, tramite messaggio o social, con l’autore sul suo sito (www. andreaconcas.it). Lettura “aumentata”. In pratica basta fare una domanda via messaggio e il libro risponde subito, dando al lettore accesso a video, foto e contenuti esclusivi. La vita privata, le curiosità e i misteri sulle opere di Leonardo da Vinci e perfino le tante “fake news” che circolano, da sempre, sul suo conto: tutto quello che sappiamo sul mondo
del genio italiano si apre in una lettura “aumentata” guidati dall’esperienza – nell’arte e nel marketing culturale – dell’autore Andrea Concas.
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LEONARDO IL PIÙ GRANDE Mondadori Scienza S.p.A. - Via A. Mondadori, 1 - 20090 Segrate (Mi) Società con unico azionista, soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte di Arnoldo Mondadori S.p.A.
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Hanno collaborato a questo numero Federica Campanelli, Aldo Carioli, Carlo Dagradi, Marta Erba, Nino Gorio, Paola Grimaldi, Matteo Liberti, Adriano Monti Buzzetti Colella, Andrea Parlangeli, Massimo Polidoro, Roberto Roveda, Roberta Scorranese, Daniele Venturoli
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IL MONDO DI LEONARDO DA VINCI Milano, Piazza della Scala all’ingresso della Galleria
Tutti i giorni dalle 9:30 alle 22:30 Informazioni: 02.495.199.81 www.leonardo3.net