Fiabe del sottosuolo [PDF]

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Zitiervorschau

D e l l o s t e s s o autore p r e s s o Rusconi:

Il crepuscolo dello scientismo, 1971, 1976 La mela di Adamo e la mela di Newton, 1974 Dopo Darwin (in collaborazione con Roberto Fondi), 1980, y ed. 1983 La Luna nel Bosco, 1985 Fiabe di Luna, 1986

Giuseppe Sermonti

Fiabe del sottosuolo Analisi chimica delle fiabe di Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola...

Rusconi

Prima edizione aprile 1989

Tutti i diritti riservati

© 1989 R u s c o n i Libri S.p.A., via Livraghi 1 / b , 2 0 1 2 6 Milano I S B N 88-18-01047-4

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI L e figure al c. 1 s o n o tratte d a Ars live doctrina, M s . Pavia; d a Alchimia di H o l m y a r d , 1972; e d a D e Distillatione di D e l l a P o r t a , 1608 - L e figure al c. 3 s o n o s t a m p e p o p o l a r i russe, r i p r o d o t t e d a D . A . Rovinskij, P i e t r o b u r g o 1881 L e figure ai cc. 4, 8 e 12 s o n o tratte d a Agricola, De Re Metallica, 1556 - L e figure ai cc. 5, 6, 9, 11, 13, 14 e 15 s o n o tratte d a l l e illustrazioni di L u d w i g Richter e M o r i t z von S c h w i n d per i Grimms Màrchen - L e figure al c. 7 s o n o tutte riproduzioni di o p e r e del Paleolitico S u p e r i o r e (databili d a 2 0 . 0 0 0 a 15.000 anni f a ) o rappresentazioni di costellazioni circumpolari (quella a p. 122 è la riproduzione di un particolare delle incisioni sul corno di Montgaudier, riferite alle stelle d i alcune costellazioni z o d i a c a l i ) . L e costellazioni s o n o disegnate d a R o b e r t o D i s o . - L a figura a l l ' A p p e n d i c e è riprodotta d a Traxler.

INTRODUZIONE

La lettura di un testo, svolta con una serie di simboli, non esclude che lo stesso testo possa essere interpretato attraverso una serie diversa, anzi lo pretende. Altrimenti i primi simboli avrebbero sortito l'effetto di esaurire il testo, anziché di illuminarlo. Dopo aver usato la chiave lunare per leggere le fiabe del focolare - nel mio Fiabe di luna - mi accingo in questo libro a proporre una chiave che parrebbe non aver rapporto con la prima. Delle stesse fiabe tenterò una lettura chimico-metallurgica. Il simbolismo lunare mi aveva, per tutto il corso del primo lavoro, turbato e stupito per la sua prodigalità. Forse, mi chiedevo, avevo incontrato le sconfinate distese dell'ovvietà, o invece no, avevo proprio toccato il geniale laghetto dell'abbondanza ove più si pesca più l'acqua diviene pescosa. «L'abbondanza si attinge dall'abbondanza - sentenziano le Upanisad - eppure l'abbondanza rimane.» Ma perché la luna, proprio e solo la luna? Non ho mai pensato che la sapienza della luna escludesse altre sapienze. Anzi la sua condiscendenza prometteva che il gioco potesse essere ripetuto su altri registri. Prima ancora di terminare quel libro mi sono trovato sull'approdo di un altro laghetto dell'abbondanza e per un po' dovetti fare lo sforzo di non guardare da quella parte. Era il bacino sotterraneo dei minerali, dal quale affioravano metalli e pietre preziose, splendenti e incantatori come la Casta Diva della notte. Abitanti di una

notte opposta a quella astrale, i sette metalli sembravano saperne, di più dei sette pianeti, e avere voglia di cominciare a raccontare, di echeggiare dalle profondità gli squilli ultramondani della luna. Le miniere del sottosuolo erano sin più ricche di trame, di metafore, di motivi fiabeschi, di quanto fosse stata la luna. Ancora una volta pescavo ad una fonte prodigiosa, ad un bacino che quanto più concedeva tesori tanti più ne accumulava di nuovi. Allora sì, ho veramente creduto d'essermi avvicinato troppo al trono di una esimia maestà, ai misteriosi fondali dell'inesauribile, e allora davvero mi son preso paura, perché per viaggiare da quelle parti si pretendono virtù che non avevo mai esercitato e bagagli che possedevo in misura troppo modesta. Il libro che ne è nato contiene citazioni bibliche, mitologiche, alchemiche che gli forniscono i riferimenti culturali e lo sfondo sapienziale. Tuttavia l'autore non pretende davvero di conoscere abbastanza lo spirito dei testi da cui ha tratto le citazioni, né d'aver esplorato più d'un piccolo settore della loro vastità. Si è presto reso conto che se in quelle vastità fosse avanzato vi si sarebbe smarrito, e mai sarebbe tornato indietro al rassicurante laghetto delle favolette popolari. Come il mondo della luna, il mondo del sottosuolo è capovolto, rovesciato. Vi si presentano le stesse cose che sulla terra, ma come in uno specchio incantato, che rifletta la realtà trasformandola in irreale, l'ai di qua trasformandolo nell'ai di là; in quell'ai di là che è prima che le cose nascano. Come possono i minerali narrare le stesse fiabe che la luna racconta? Interpretare perfino, a volte, gli stessi passi, gli stessi personaggi? Lo possono perché il mondo lunare, e quello minerale, sono connessi ad archetipi, che ambedue li trascendono. La luce lunare che emerge dalle tenebre, il bianco metallo che compare dal minerale, e

gli innumerevoli risvegli delle belle addormentate o avvelenate, esprimono l'archetipo della resurrezione, nelle sue diverse manifestazioni (altre sono il rifiorire della primavera, la redenzione dal peccato, un'aurora, un sorriso...). A sollevarci dal dubbio di essere restati avvolti in una rete di generici riferimenti, di connessioni universali e inevitabili, ci conforta il fatto che in molte fiabe non si trova traccia di mineralogia. In alcuni episodi e in alcune fiabe, invece, il minerale splende, tintinna o cola in modo palese, non solo a chiarire il senso dell'accadere fiabesco, ma persino a offrire senso a vicende che non l'hanno, a risolvere arzigogoli che sembrano messi lì come puri arabeschi. Processi metallurgici e reazioni chimiche traspaiono inequivocabili in molte fiabe, e alcune sono tutte intessute intorno ai procedimenti di estrazione e alle combinazioni minerali di un particolare elemento: argento, mercurio o zolfo. Lo sono al punto di apparire allegorie delle proprietà di quell'elemento, variazioni su un tema fornito da uno specifico soggetto chimico. L'estrazione e la lavorazione dei minerali sono state un'attività umana non meno importante della caccia, dell'agricoltura e dell'edilizia. Presso le miniere sono nate città e civiltà e le grandi ère della preistoria e della storia umane sono indicate, sia nella tradizione che nella storiografia moderna, con il nome di minerali: Età dell'Oro, Età del Rame, Età del Bronzo, Età del Ferro, Età dell'Atomo. I metalli hanno reso ricchi, cupidi e potenti i popoli, hanno profondamente improntato le religioni e le filosofie, hanno promosso scienze, guerre e commerci. Logico che essi siano entrati nel lessico quotidiano, e si trovino tra le allusioni, le metafore e le allegorie delle fiabe popolari. Il fatto che vi risultino con tanta assiduità, da avermi consentito una lettura chimica della fiaba, indica quanto la metallurgia sia stata sentita dai semplici. Essa fu vissuta come esperienza sacra ed assieme sacrile-

ga, come simbolo della redenzione e della violazione, della dissociazione e dell'unione, della staticità e della trasformazione. Fabbri, metallurghi e alchimisti hanno recato le loro esperienze e il loro vocabolario nell'incantato crogiuolo delle fiabe, e ve ne troviamo segni abbondanti. Una fanciulla bianca o la luna sono state paragonate all'argento e il loro risveglio al «lampo» dell'argento nel forno a coppella. Un principe appassionato è stato comparato allo zolfo fondente nel calcarone. Ma, nello stesso tempo, e per converso, il maestro metallurgo, purificando l'argento, ha pensato alla bianca pelle d'una vergine o, raccogliendo lo zolfo disciolto, allo struggimento d'un innamorato. La fiaba nasce come un ritornello che accompagna il mondo del lavoro: la caccia, l'agricoltura, la metallurgia. Il lavoro è ogni attività che rende cose le cose, sciogliendole dal nesso che le tiene originariamente unite alla terra. Tra le opere umane, sono quelle del minatore, del metallurgo e del fabbro che meglio esprimono l'estrazione dell'essere dalla confusione iniziale. Il minatore strappa il minerale dalla sua vena, il metallurgo lo purifica, il fabbro dà forma al metallo. Una cosa è, per Marx, ciò che si lascia separare dal suo legame originario con la terra. Una cosa è cosa proprio perché è così separabile. La fiaba, che narra le piccole cosmogonie delle cose semplici, degli oggetti della vita quotidiana, ricalca di necessità il lavoro del metallurgo (così come l'opera dell'alchimista). E tra i vari modelli e mezzi espressivi adotta con predilezione il lessico minerale. Certe crudezze e stramberie delle fiabe, che i Grimm hanno fortunatamente preservato, rivelano queste origini sotterranee. Chi ci ha trasmesso le fiabe mondandole dalle durezze, rendendole più sensate, più verosimili, trasformandole in vicenduole plausibili, non ha fatto che ricondurre nella confusione le loro pietre preziose emergenti nella realtà.

Un giorno il parlare degli uomini, il parlare semplice del popolo, dovette essere ricco di metafore, di connessioni, di simboli, di rimandi. La fiaba ci rivela ancora l'insondabile ricchezza della parola dei poveri, il potere sovrano degli archetipi, la sapienza oracolare delle cose. Il pensare favoloso non fu svago o divagazione del pensiero umano; ne fu, al contrario, la via primaria. La favola precedette la logica e, in un senso profondo, il peccato originale fu la sopraffazione della visione fiabesca ad opera della conoscenza razionale. Il giardino dell'Eden era un paradiso di sogno, un luogo ove si vedeva ad occhi chiusi, un paese di archetipi e di idee prime (come fu poi l'arca di Noè). Le fiabe narrano questa sopraffazione e peccato primo sotto forma di vittoria di un piccolo eroe astuto (un Pollicino) su un grande mostro ingenuo. E proprio per questa vittoria che la fiaba può essere raccontata, che la fiaba è trasformata da mito in mitologema. La fiaba, come peraltro la storia, narra la propria fine. Quando la bella finisce nel giardino del mostro, il paese di fiabe è quello del mostro, non quello della bella che è solo una povera borghese caduta in un mondo assurdo. Ella dissolve, con un bacio, l'incantesimo e così la fiaba è conclusa. Lo stesso fa il bacio del principe che risveglia la bella addormentata. Con la bella destata il mondo è uscito dal sogno della fiaba. Questa uscita è l'argomento della fiaba. Come la conosciamo, la fiaba è l'elaborazione logica di un originario incantato. La liberazione di una bella dall'orco, l'estrazione di un'idea dal subconscio, la separazione di un metallo dalla roccia non sono opere pie né sono prive di dolore, sono una téchne che imita la creazione divina, e quindi comportano il caos originario, la cosmogonia e il soffio spirituale. Queste sono le tre fasi della via alchemica. L'interpretazione dei miti (fiabe) antichi come allegorie di trasformazioni chimiche è stata adottata dagli ultimi alchimisti, cioè da quei maestri chimici che hanno

sempre operato nella convinzione che le trasformazioni della materia avessero profonde significazioni spirituali. J. Tallius scrisse nel 1687: «Tutta la favolosa storia greca, fenicia, egiziana appartiene alla chimica», e Dom Pernety produsse nel 1758 una silloge di mitologemi greci ed egizi risolti nei termini della Grande Opera ermetica. Da quelli inizia questo libro, per arrivare alla dimostrazione che le fiabe conoscono la metallurgia antica e medioevale, come ancora praticata al principio di questo secolo e la chimica dei droghieri e dei farmacisti, la umile spagina, che ha formato la base qualitativa della chimica moderna. Conoscono anche la chimica di Lavoisier (17431794), che è venuta quand'esse erano state da tempo raccontate. Ciò a significare che le fiabe avevano avuto accesso ad alcuni principi logici fondamentali, agli archetipi da cui ogni pensiero discende. La distinzione tra corpi semplici e composti, l'idea dell'immaterialità del calore e quella della conservazione della materia si sono rese metodo e sistema per opera di Lavoisier, ma da sempre facevano parte della stessa ispirazione da cui trassero alimento le fiabe, magicamente assolte, come la scienza, dalla servitù del tempo.

Q u e s t o libro è nato dall'interesse e dai suggerimenti di alcuni tra i miei amici. Elémire Zolla mi ha stimolato e guidato; Anita Seppilli e suo figlio Tullio Seppilli sono stati prodighi di consigli; G i u s e p p e Gualandi, ultimo alchimista tra i chimico-fisici contemporanei, mi ha insegnato le trasmutazioni dei metalli. Mio fratello Vittorio, con cui s p e s s o ho il piacere di essere c o n f u s o , mi ha introdotto alle finezze della filologia. A l f r e d o Cattabiani mi ha o f f e r t o alcune chiavi. M o l t e persone mi hanno aiutato sui singoli temi. Per lo studio su MercurioCappuccetto R o s s o , ricordo il priore dell'Abbazia di San Salvatore sul monte Amiata e i minatori Balloni e Fiori delle ormai chiuse miniere di mercurio. Per lo studio su Argento-Biancaneve voglio ricordare l'ing. Marcello dell'Ente minerario sardo, la prof.ssa Enrica Delitala, cultrice di fiabe sarde, la prof.ssa Isabella Z e d d a Macciò, studiosa di geografia della Sardegna, il p a d r e L e o n a r d o Piras di San Salvatore da H o r t a e il sig. Augusto Anedda, aedo di Sinnai; inoltre Luigi L o m b a r d i Vallauri che mi ha accompagnato sul Montesenario a Firenze. Per lo studio su Zolfo-Cenerentola, Marcello Carapezza, l'ing. G i u s e p p e Terranova, ispettore regionale del C o r p o delle Miniere di Sicilia, il geometra Pietro di Salvo che mi ha accompagnato nelle solfare e tra i calcaroni, e i librai di Palermo. D e s i d e r o ringraziare per le versioni dal francese e le ripetute battiture del manoscritto mia sorella Bianca, e prima fra tutti mia moglie Isabella, il cui attento e paziente ascolto è stato l'ordito della prima stesura del manoscritto, il cui giudizio è stata l'ultima rifinitura.

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ALCHIMIA D E L L A FIABA

In Avignone, poco tempo prima che la Francia fosse sconvolta dalla grande rivoluzione, trascorreva gli ultimi anni della sua vita un monaco benedettino, che nella vita era stato scrittore ermetico, navigatore, bibliotecario. Dom Antoine-Joseph Pernety viveva, con spirito irrequieto, nel crogiuolo della grande trasformazione, e aveva fondato una setta, forse di tipo massonico-teosofico o forse di tipo illuminista. Questa aveva attratto dapprima gli strali dell'autorità ecclesiastica e poi la condanna del Terrore, che aveva trascinato in carcere il fantasioso monaco. Quando egli morì, non si sa bene se nel 1796 o nel 1801, si spense l'ultimo grande filosofo ermetico dell'età moderna. Da buon monaco benedettino Dom Pernety riteneva tutta la mitologia antica una bizzarra serie di fandonie, di insensatezze, di contraddizioni. Con la sua profonda erudizione alchemica egli pensava però di possedere una chiave esegetica che poteva restituire alla stessa mitologia nuovo significato, ragionevolezza e logica. Le «favole» egiziane e greche potevano essere reinterpretate come metafore dell'opera alchemica, della trasformazione della materia nell'atanor o nell'alambicco del maestro ermetico. Questo significava credere in un'alchimia antichissima, senza tempo, e dare ad essa tale importanza da aver ispirato tutte le leggende dei cantori mediterranei. La stessa alchimia era stata impiegata per interpretare i misteri cristiani e la passione e resurrezione di Gesù Cristo, e quella

purificazione dell'anima che l'alchimista realizzava nella purificazione della materia era il cammino verso la purezza cristiana. Nelle sue Fables Egyptiennes et Grecques del 1758, Dom Pernety 1 affossava la mitologia classica, ma nello stesso tempo, implicitamente, la rivalutava fornendola della logica stessa del sacrificio cristiano. Benché l'interpretazione ermetica della mitologia avesse avuto cultori anche in scrittori dei secoli passati 2 , l'opera di Dom Pernety è un compendio così accurato e vasto che la si può considerare la ricapitolazione e l'apogeo della lettura alchemica della fiaba, in un secolo in cui la chimica moderna stava sorgendo ad opera di Lavoisier e i racconti di fate erano fioriti alla corte di Francia ad opera di Perrault, di Madame d'Alnoy, di Madame le Prince de Beaumont... Dom Pernety non teneva in alcun conto le fiabe di corte, e ancor meno la chimica dei droghieri e dei metallurghi, ma altri forniranno interpretazioni ermetiche delle fiabe delle fate e del focolare, e forse è venuto il tempo che di esse si possano presentare letture chimiche e metallurgiche. L'Opera Alchemica (o Filosofica o Ermetica) consiste nella trasformazione della Materia prima, per estrarre da essa, dopo interminabili trattamenti, la materia astrale, il metallo puro, l'oro filosofale. Quest'oro magico, che non è quello stesso del minatore, corrisponde alla Verità, a «la Luce uscente per sé sola dalle tenebre». Le operazioni ermetiche sono così numerose e complesse, e spesso oscure e segrete, che non ne potrò fare che un fuggevole accenno, per quanto servirà a comprendere le interpretazioni di Pernety. Peraltro voglio subito confessare la superficialità delle mie conoscenze alche1 D o m A.-J. PERNETY, Fables Egyptiennes E G I C , G e n o v a 1988.

et Grecques,

2 C f r . ad es. S a l o m o n TRISMOSIN, Le Toyson d'Or Paris 1612; e J . TALLIUS, Fortuita, 1687.

Paris 1758; trad. it.

ou la Fleur des

Tresors,

miche, della quale chiedo venia a chi questa materia ha coltivato con impegno e serietà 3. La Grande Opera segue il corso della Creazione dell'Universo, e inizia perciò riconducendo la materia prima nel Caos primordiale, il che si fa triturando la sostanza nel mortaio col pestello, facendola retrocedere verso l'origine ed il principio (reincrudazione). L'Opera prosegue, poi, per via secca o per via umida, nel forno o nell'alambicco, e sempre l'artigiano capitale è il fuoco che interviene dal primo passo della lunga elaborazione filosofale. La distruzione della materia per via umida si ottiene attraverso la putrefazione. Questa è la morte del corpo, la divisione della materia nei suoi composti, la sua corruzione. Solo la corruzione dispone i corpi alla rigenerazione. Il vero segno del. compimento della putrefazione è la negrezza, la trasformazione della materia in una massa nera, la testa del corvo. Prima che tutto il biancore sia scomparso la materia filosofale rivela un colore bluastro, cianotico. La putrefazione si manifesterebbe anche dal fetore della materia, ma l'artista si limita a «vederlo», perché il tutto è sigillato nell'alambicco. La corruzione della materia comporta la dissoluzione, che è la trasformazione della materia nei suoi elementi originari, e che si contrappone alla fissazione o coagulazione. Nella dissoluzione sul fuoco si realizza la volatilizzazione degli elementi gassosi che rapidamente si sollevano verso la cupola dell'alambicco. Nella fissazione gli elementi tornano a condensarsi. La materia si tinge di violetto, } U n utile s u s s i d i o è fornito da D o m PERNETT nel Dictionnaire mythohermétique, 1758; riprod. Archè, Milano 1969. Per la storia dell'alchimia h o consultato: E . J . HOLMYARD, Storia dell'alchimia, Sansoni, Firenze 1972; e T. BURCKHARDT, L'Alchimia, trad. it., Boringhieri, Torino 1961. P e r lo spirito dell'alchimia h o letto E . ZOLLA, Le meraviglie della natura. Introduzione all'alchimia, Bompiani, Milano 1975; e M . ELIADE, Il mito dell'alchimia, Avanzini e Torraca, R o m a 1968. D i c o s t a n t e ausilio mi s o n o state, di E u g è n e CANSELIET: 1) L'alchimia. Studi diversi di Simbolismo Ermetico e di Pratica Filosofale-, 2) L'Alchimia spiegata sui testi classici, E d i z i o n i Mediterranee, R o m a 1985.

poi raggiunge il colore bianco e successivamente il colore rosso rubino 4. Quando alla fine del lunghissimo procedimento, dalla materia filosofica compare l'oro, questo non è l'oro che si trova in natura, poiché la materia non lo conteneva, ma l'oro còlto direttamente dalla luce del Sole, la luce di vita, il Verbo. L'impresa degli Argonauti ha già all'inizio un carattere strano. I navigatori approdano a Lemno, dove è accaduta la sciagura più terribile conosciuta in Grecia. Le donne dell'isola, la più grande della Grecia, avevano sentimenti ostili agli uomini, e non tributavano omaggi ad Afrodite. La dea le aveva punite dotandole di un odore insopportabile, di un acre fetore, che appare davvero curioso come figurazione mitologica. Pernety interpreta questo odore come il primo processo dell'Opera Alchemica, allorché la materia filosofica è spinta, dall'umidità e da un fuoco interno, alla putrefazione, trasformandosi nella assa foetida da cui inizia la trasmutazione della sostanza entro l'alambicco. La tragedia di Lemno era stata forse una conseguenza della maledizione di Afrodite. I mariti si erano allontanati dalle loro donne e si erano messi a corteggiare le ragazze tracie. Le donne infuriate cospirarono fra loro e sterminarono tutti i maschi dell'isola: padri, mariti e figli. Questo massacro è inteso da Pernety come la dissoluzione della materia fissa (gli uomini) ad opera della materia volatile (le donne). La volatilizzazione è indicata dai nomi dei personaggi: Ipsipile, la regina di Lemno, significa «che ama le altezze», e le altezze sono le parti alte, la cupola del vaso sigillato; Toante, suo padre, l'unico maschio sopravvissuto, significa «celere, rapido», come il A L a serie dei colori è d u n q u e q u e s t a : bluastro, nerissimo, violetto, bianco, r o s s o ( o r o ) . In un trinomio: nero, bianco, r o s s o , corrispondenti al T e m p o ( S a t u r n o ) , alla L u n a ( D i a n a ) e al S o l e ( A p o l l o ) .

moto della materia volatilizzata. Anche Toante scompare dall'isola. Il combattimento del volatile col fisso continua nella successiva impresa, allorché gli Argonauti sono affrontati dai Tirenieni e restano tutti feriti. Riprenderà con la comparsa delle Arpie. Interviene una nuova chiave interpretativa, che utilizza il cambiamento di colore della materia filosofica, mentre si perfeziona la sua fissazione. La materia diviene prima blu, poi il blu scompare (scomparsa di Glauco) e sopravviene il nero. Se il nero è veramente nero, è «nero più nero del nero», allora l'artista sa che l'Opera è riuscita. Gli Argonauti devono passare attraverso le «rocce azzurro cupo» per raggiungere le «rocce nere», così li istruisce l'indovino Fineo. Queste rocce blu, o Cianee, si trovavano nel Bosforo, all'ingresso del Mar Nero, e significavano il confine col mondo dell'ai di là. Le rocce impedivano il passaggio di chiunque, cozzando tra di loro (di qui l'altro loro nome di Simpleiadi). Gli Argonauti dovevano imitare una colomba, e sfilare in fretta attraverso lo stretto (la colomba rappresenta la volatilizzazione). Così faranno, aiutati da Atena, e rimarrà schiacciata solo la poppa della nave, come coda di colomba. L'indovino Fineo, re del popolo dei Tini, abitanti di una terra dove cominciava il regno delle tenebre, è cieco, vive cioè nel buio, e possiede la nerezza che è la chiave dell'Opera. La nerezza, che è il fondo di ogni corruzione, deve essere desiderata dal filosofo, perché toute corruption est génération. Secondo Flamel, «se all'inizio, dopo aver posto le confezioni nell'uovo filosofico, cioè qualche tempo dopo che il fuoco le ha irritate, non vedi questa testa di corvo nera, del nero più nero, devi ricominciare». Un po' dopo l'acqua prende a coagularsi, si verifica

la perfetta putrefazione, e la materia diviene terre fètide et puante. L'indovino Fineo era perseguitato dalle Arpie che arrivavano tutte le volte che veniva apprestato il suo cibo. Esse glielo strappavano dalle mani e dalla bocca e ciò che lasciavano era affetto da tale puzzo che nessuno poteva sopportarne la vicinanza. Rubare vuol dire volatilizzare, e le Arpie sono il simbolo della volatilizzazione. Hanno le mani ad artiglio dei ladri e le ali a tela di ragno dei volatili 5 . Sono dragoni che rigettano fuoco, e sono cavallette. Come dragoni puzzano orribilmente. L'alchimista non sente l'odore della sua materia in corruzione, chiusa nei matracci sigillati, ma lo vede dalla tinta che varia dal nero al blu al giallastro, come i colori dei dragoni dipinti. Un'altra chiave alchemica dell'impresa degli Argonauti è individuata da Pernety nelle divinità e negli eroi cui i navigatori sacrificano, che non sono quelli adatti a proteggere un'avventura nautica, ma quelli che presiedono all'Opera Alchemica. Così non è Nettuno che Giasone cerca di rendersi favorevole a Lemno, ma Vulcano, il dio del fuoco. E infatti il fuoco di corruzione che si rende necessario all'inizio dell'Opera. Successivamente gli Argonauti costruiscono un altare a Cibele (la terra), Tizio e Mercurio. La materia filosofica corrotta si trasforma, fissandosi, in terra. Cibele (o Rea) è la madre degli dèi ermetici, sposa del nero Saturno, prima terra filosofica. Quella terra, idratandosi, comincia a gonfiarsi. E qui la ragione di chiedere i favori di Tizio (un essere fallico, come dice il nome), figlio di Zeus e di Elara; già nel corpo della madre era cresciuto tanto, che essa ne era morta, così che il padre dovette farlo partorire dalla terra, 5

L a loro leggerezza è rimarcata dalla figura femminile perché: Quid levius fumo? flamen. Quid flamine? ventus. Quid vento? mulier. Quid muliere? nihil.

entro la quale egli era cresciuto sino alla lunghezza di 900 piedi. Mercurio, infine, è l'acqua, che in questa fase dell'Opera è uno degli agenti principali. Torniamo alla variazione cromatica della materia filosofica, che, uscita dal nero, si colora prima di grigiovioletto, poi di bianco-argento, poi di rosso-ruggine. Nel giardino dei filosofi, secondo Espagnet, appaiono tre fiori: le violette all'ingresso, poi il giglio, poi - insensibilmente - l'amaranto. Questa è la strada che Fineo prescrive agli Argonauti. Essi (tralasciamo il viola) giungeranno al fiumicello Iris, dalle acque argentee, e di lì alla dimora dei Calibi, lavoratori del rugginoso ferro, dove si trova il tempio del rosso Marte. Restando sulla tonalità rossa, essi passeranno per il territorio Citaico (colore del fior di granata) e poi giungeranno al monte Amaranto (fiore immortale), colore dello zolfo dei filosofi o della perfezione della pietra. Ed ecco finalmente l'oro alchemico. Gli Argonauti dovranno entrare nel fiume Fasis, che porta l'oro. E quel fiume imboccheranno accolti dalle figlie di Frisso, che li condurranno da Eete, figlio del Sole, padre di Medea. E lui che possiede il Vello d'Oro. Il cantico si fa radioso, solare, la materia filosofica si avvicina alla sua trasformazione aurea. Sulla strada di Giasone ci sono ancora altre difficoltà da superare. Deve ancora agire il fuoco vorace e l'oro dovrà apparire da magici semi gettati nel solco della terra primordiale. Un terribile fuoco contro natura, vigoroso, velenoso, vorace si sprigionerà dalla bocca e dalle nari di un drago enorme come una nave. Si potrà spengerlo solo con l'acqua mercuriale che ha il potere di dissolverlo. Il drago ucciso contiene i semi dell'oro. Sono i denti che Giasone gli strapperà e che seminerà nella terra. Ancora fuoco è vomitato da tori che l'eroe deve affrontare e con cui deve lavorare il campo filosofico per

seminarlo coi denti divelti dal dragone. Dalla terra seminata escono uomini armati che si scontrano e si uccidono tra loro, ultimo scontro delle materie fisse e volatili verso il raggiungimento della sostanza più fissa: dell'oro filosofico. L'oro è rappresentato dal Vello d'Oro, riconquistato al Sole (al figlio di Elio, Eete), che Giasone stacca dalla quercia custodita dal drago sconfitto. Le operazioni cui Pernety si riferisce sono quelle della cosiddetta via umida degli alchimisti, quale si svolge nei matracci e negli alambicchi. L'impresa degli Argonauti ovvero la conquista del Toson d'Oro è stata messa in rapporto anche con la via secca della grande Opera Ermetica 6 , cioè con la ricerca dell'oro nelle polveri del crogiolo e dell'atanor. Il racconto risale ai precedenti del viaggio degli Argonauti, quando Atamante (si dovrebbe tradurre «il rosso», «il rugginoso») sposa la dea Nefele («la nube»). Il re allontana la dea e questa si vendica provocando una terribile siccità, oppure è Ino, la seconda moglie, che fa seccare il grano destinato alla semente. Dall'unione di Atamante e Nefele nasce Frisso («il brivido» o «il fremit o » ) che è interpretato come uno strano e misterioso parto minerale [che] si compie sotto la superficie ribollente del b a g n o incandescente 7

Esce di scena Nefele e subentra Ino (da indo, «purgare») che è il mercurio mondato dalle sublimazioni. Frisso fugge, trasportato attraverso l'aria dall'ariete Crisomello (che vuol dire sia «montone d'oro» sia «pomo d'oro»). L'ariete sarà sacrificato e il suo vello, il prezioso Toson d'Oro, appeso ai rami di una quercia cava sulle rive del fiume Fasis. La quercia cava simboleggia il mine6

C f r . CANSELIET, 1) cit., c. VI: « I l T o s o n d ' O r o » , pp. 87-108. A n c h e

T R I S M O S I N , Le 7

Toyson

d'Or

cit.

CANSELIF.T, 1 ) c i t . , p . 7 0 .

rale grezzo e nero dell'inizio, il Caos, che gli antichi amavano rappresentare con i tratti di Lucifero con la bocca smisuratamente aperta. Caos significa sia «oscura mescolanza di elementi» sia «larga apertura», «abisso». Sarà Giasone a entrare in possesso del Toson d'Oro togliendolo alle fauci del Caos. Egli taglia la testa del drago fiammeggiante e poi doma due tori dai piedi e le corna di rame, che lanciavano fuoco dalle narici e dalla bocca-alchimista alle prese col fuoco purificatore. Con i tori egli lavora il campo di Marte e vi semina i denti strappati al mostro, semenza metallica che, vera salamandra, resta incombustibile in mezzo alle ceneri, generate da una viva calcinazione 8 .

L'effervescenza prodotta dalla semina è rappresentata dal furore dei soldati in arme che si avventano con rabbia l'uno contro l'altro. Ristabilita la calma, G i a s o n e entra in p o s s e s s o del Toson d'Oro, il cui colore variabile, bianco o rosso, corrisponde ai due stati definitivi della Pietra Filosofale 9.

Le interpretazioni della cabala fonetica o cromatica ci hanno così condotti al Vello d'Oro attraverso le fiamme della via secca, come vi eravamo giunti attraverso i flutti della via umida, sull'eterno percorso della Grande Opera. Ci portiamo ora verso tutt'altri lidi, e verso un mito che ha protagonista una fanciulla rapita. La chiave alchemica ci consente, ancorché l'argomento appaia del tutto differente, un'altrettanto puntuale interpretazione, attraverso le stesse variazioni colorate. E il mito del ratto di Proserpina, al quale Dom Pernety dedica una precisa e accurata lettura ermetica 10. 8

Ibid., p. 98.

9

Ibid., p. 99.

10

P E R N E T Y , Fables

cit.

La storia degli Argonauti, come la legge Pemety, è il transito nella negrezza degli Inferi della fragile nave Argo («la bianca»). Il ratto di Proserpina descrive il transito di una bianca fanciulla nell'Averno. Come Giasone raggiunge l'oro conquistando il Vello d'Oro, protetto da Medea, Proserpina lo riconquista, aiutata da Cerere, ritornando al sole della primavera. Pemety inizia la sua ricerca lamentando che gli abitanti di Eleusi o della Sicilia possano credere che il ratto sia una storia vera, accaduta per l'appunto a casa loro, sotto gli occhi dei loro avi. Al più, egli concede, potrebbe trattarsi dell'allegoria del modo di seminare (trascinare sotterra) e raccogliere (riportare alla luce) il grano. Allora, perché fare un mistero di ciò che l'ultimo dei contadini conosce perfettamente? 11

Portiamoci, prima di sbarcare in Sicilia, ad assistere al ratto della bambina, nel più immaginifico dei mondi, nell'Isola dei Filosofi e degli Alchimisti, come la descrive il Cosmopolita: Q u e s t ' i s o l a è situata verso Mezzogiorno, essa è graziosa e fornisce all'uomo tutto ciò che gli p u ò essere necessario per l'utile e il dilettevole. I Campi Elisi di Virgilio reggono appena il confronto. Tutti i fiumi di quest'isola sono coperti di mirti, di cipressi e di rosmarini. I prati verdeggiano e, colmi di fiori odorosi e di tutti i colori, presentano un colpo d'occhio dei più graziosi e fanno respirare un'aria delle più soavi. L e colline sono decorate di vigne, d'olivi e di cedri. I boschi s o n o composti da aranceti e limoneti... All'ingresso del Giard i n o dei F i l o s o f i si presenta una fontana d'acqua viva, chiarissima, che si e s p a n d e d o v u n q u e e tutto bagna. Subito si incontrano le violette, che, bagnate abbondantemente dall'acque dorate d'un fiume, prendono il colore del più bello z a f f i r o . Si v e d o n o in seguito gigli e amaranti12.

11 viola, il bianco e il rosso amaranto sono i tre colori

22

11

ibid.

12

ibid.

successivi della metamorfosi della materia filosofale, allorché questa esce dalla nerezza originale. Dal Giardino dei Filosofi scendiamo nell'Isola del Sole, la Sicilia, presso Enna, dove la leggenda colloca il ratto della fanciulla. Cicerone (in Verrem) parla di questa regione come di un luogo delizioso con una graziosa fontana e bei prati bagnati da sorgenti d'acqua viva. Secondo Diodoro vi crescono in gran numero violette e altri fiori. In questo luogo incantevole, di dolci fontane, di prati fioriti di violette e altre essenze, incontriamo la soave Proserpina che danza insieme alle compagne, e coglie un fiore di narciso; quando, su un carro trascinato da neri cavalli, irrompe il re degli Inferi, Plutone. Egli rapisce alla terra, cioè alla madre Cerere, la candida fanciulla, e la trascina nell'Ade. L'Ade è la nerezza alchemica, il tenebroso impero della morte. Il suo nome significa Morte. Là è trascinata una vergine bella, pura, dagli occhi di gemma: nel regno dei morti, dove non si vedono che orrori e tenebre. L'oscurità rappresenta la dissoluzione filosofica, quel che gli alchimisti chiamano Morte, Perdita, Distruzione o Perdizione, o anche Putrefazione, Corruzione, Ombra, Baratro, Inferno. Sulla soglia dell'Inferno Plutone incontra una ninfa di nome Ciane, che soggiorna presso una sorgente dello stesso nome. Ciane significa «bluastra» ed è lo stesso nome che hanno le rocce che gli Argonauti incontrano sulle soglie del Mar Nero. Bluastro è il colore che la materia filosofica assume prima di divenire nera «più nera del nero». Plutone passa oltre con un colpo di scettro. La ninfa, desolata, si scioglie in lacrime, si trasforma in acqua. Cerere, la madre, è la materia dei filosofi, cioè la terra. Sua figlia è la stessa materia, ma ancora allo stato volatile, bianca, come è bianco il narciso ch'ella coglie.

Quella «terra volatile» scomparirà dissolta, dopo aver traversato il colore bluastro, nella negritudine. La madre cerca la figlia «per mare e per terra», e infatti ci sono acqua e terra nel vaso alchemico. Ella vede galleggiare sull'acqua della fonte Ciane il velo della figlia, che è l'ultimo biancore che si dissolve all'apparire del nero. La ninfa Aretusa conferma a Cerere il sospetto: la figlia è stata rapita e condotta agli Inferi. Cerere allora si solleva nell'aria sul suo carro e va a trovare Giove, il grigio. E la terra che prende a volatilizzarsi e, abbandonando il nero per la via del grigio, a tornare bianca. Giove acconsente al ritorno di Proserpina alla luce, purché ella non abbia mangiato nulla all'Inferno. Q u i compare Ascalafo u , un figlio del rosso Marte, e accusa Proserpina di aver mangiato tre semi di una rossa granata. A causa di questi semi Proserpina dovrà passare un terzo della sua vita agli Inferi. Proserpina stessa è seme che, scendendo agli Inferi, sotterra, torna nel grembo della madre, da cui è nuovamente generata. Cerere, contenta del patto stabilito con Giove, s'invola per Eleusi e si riposa delle sue fatiche su una pietra chiamata Agelaste, che significa «raccogliere». In termini alchemici ella si volatilizza e poi ricade nel fondo del vaso dove si condensa in un tutto (cioè si fissa). Pernety non giunge al finale aureo dell'Opera Alchemica. Non narra dell'intercessione di Mercurio che richiama Proserpina dall'Ade, né dell'ascensione di Proserpina sul carro mercuriale. Non narra dell'incontro gioioso con la madre né del frumento che riprende a crescere nei campi. Tutto ciò avrebbe suggerito a un profano d'alchimia la grande trasformazione nell'oro. Ma il vero alchimista non si compiace di questa conclusione, e prefe13

« D u r o d a t o c c a r e » , c o m e la materia.

risce continuare con le sue interminabili volatilizzazioni e condensazioni. Sul finale delle analisi delle «fiabe» egizie e greche, Pernety commenta scetticamente: Il tutto non è che una pura invenzione e una relazione allegorica di ciò che avviene nelle operazioni dell'Arte Sacerdotale o Ermetica ' 4 .

Le due frasi si contraddicono, perché ciò che segue meticolosamente le trasmutazioni alchemiche non è, per ciò stesso, fantasioso e arbitrario. Si può accettare la conclusione di Pernety e di Tallius, che tutta la mitologia appartiene alla chimica? Ciò vorrebbe dire che l'esperienza primaria, la più drammatica, del cantore mediterraneo fu la permutazione della materia per opera del fuoco e dei solventi. Che essa costituì la trama logica di quella che è stata una delle più meravigliose e ricche fioriture del pensiero umano. Quell'esuberante cantico di vita, di gioia e di dolore che ci offre l'antica mitologia fu dunque il prodotto, forse decadente, di un filosofico ilozoismo primordiale? Noi siamo soliti considerare che la realtà fantastica prima si crei liberamente e poi si presti ad un'analisi materiale; che la barocca sontuosità delle forme debba risolversi in un arido ricettario chimico. Invece, se Pernety ha ragione, ci fu un momento nella storia umana, forse in coincidenza con l'inizio dell'èra dei metalli, che la corruzione, la violazione, l'estrazione, la trasmutazione, il tormento e il riscatto della materia si imposero come trama fondamentale e primaria del pensiero, come logica sovrana del divenire, mistero perscrutato, saggezza rivelata. Fabbri, metallurghi e alchimisti divennero i più grandi dei filosofi, che modellavano il pensiero sotto il maglio, nei crogioli e nelle storte. Da quella filosofia o scienza primeva fiorirono la mitica, l'epica e la statuaria come decadenti versioni antropomorfe. N

P E R N E T T , Fables

cit.

Come il fiume alla cascata, la decadenza è tanto più grandiosa e spumeggiante quanto più alto è il ciglio da cui precipita. Quando la scienza ha rinunciato alla sua carica mitopoietica e si è ridotta a fare i conti delle cose, è morta la favola, non perché uccisa dalla scienza, ma perché la scienza s'era resa grembo sterile e venale. Prima che la scienza moderna prendesse un definitivo sopravvento, dalla saggezza antica tramandata come cultura popolare emerse un rigoglio più tenue, più vago, di fiabe del focolare: focolare che esprimeva il centro e la continuità della famiglia e insieme la potenza narrativa del fuoco. Spigolerò, nelle pagine che seguono, alcuni motivi chiaramente alchemici delle fiabe moderne, senza tentare una ricognizione sistematica che non mi compete. Ci porteremo poi, nei capitoli successivi, verso il bacino sotterraneo dove si compiono le segrete trasformazioni della materia, e poi cercheremo, con la chiave chimica, di leggere le fiabe più consuete e amate. Proprio in esse è meraviglioso veder emergere l'antichissimo ilozoismo e veder espressa, sotto il velo del racconto per bambini, la saggezza chimica e metallurgica accumulata dall'uomo negli ultimi millenni. Ma come può essere che i bambini percepiscano la profondissima filosofia che è nel fondo delle fiabe, così che essi hanno eletto a preferite proprio quelle fiabe che contengono più chimica? La risposta è che il bambino non è un esserino patetico e sciocchino, il fragile abbozzo di un adulto. In virtù della sua prossimità con la nascita, con l'esperienza drammatica dell'estrazione corporale, della comparsa alla luce e del distacco, e forse anche in virtù della misteriosa vicinanza agli archetipi, egli, il piccolo saggio primordiale, ne sa una più di noi.

I narratori delle fiabe di corte francesi conoscevano bene il segreto che rendeva un racconto «fiabesco». Esso consisteva nel riversare nella novella il repertorio dell'alchimista con le sue magie, trasformazioni, sollevamenti, librazioni e precipitazioni. E poiché le antiche fiabe, da cui trarrò spunto, nascondevano le misteriose trasmutazioni, si trattava solo di rendere gli appannati metalli lucidi e risplendenti e di esprimere i processi ermetici in collaudate allegorie. «Si tratta spesso di sovrapposizioni geologiche - scrive Cristina Campo 15 - che il grande favolista porterà al fulgore del minerale perfetto.» Gli stivali delle sette leghe ne II gatto con gli stivali16 sono la spinta della sublimazione che imprime alla materia leggerezza e velocità (vedi i sandali di Mercurio). E il gatto che li indossa, nella famosa fiaba di Perrault, è bestiola magica, antica divinità egizia, degno artefice dell'opera filosofica. Egli fa da solo la fortuna del suo miserabile padrone, il marchese di Carabas, il cui nome significa «basso carato», e sta a rappresentare l'oro giovane, verde e immaturo che, spogliato e rivestito, diventerà re nel castello dell'Orco. In una fiaba di Grimm, intitolata La palla di cristallo è configurato il tormento di una sostanza, combinata in un composto e chiusa in un vaso (un pellicano?), in attesa che il fuoco del forno la distilli, la calcini, la dissolva, e un principio magico (un cristallo) la riconduca a purezza. N e l castello del Sole d'oro c'era una principessa

stregata

che

a s p e t t a v a la l i b e r a z i o n e .

Vi giunge un giovane sollevato da un ermetico cap" Cristina CAMPO, Gli imperdonabili, 16

CANSELIET, 2 ) c i t . , p .

Adelphi, Milano 1987, p. 30.

165; D'AULNOY,

PERRAULT e t a l . , I racconti

fate, E i n a u d i , Torino 1957; Il gatto con gli stivali, p . 12. 17

GRIMM, Le fiabe del focolare,

E i n a u d i , T o r i n o 1951, n. 197, p. 7 5 4 .

delle

pello magico, come acido volatile che aspiri alla combinazione. Egli trova la sostanza nello stato di un tetro minerale: Aveva una faccia color di cenere, piena di rughe, occhi torbidi e capelli rossi l f t .

Per liberarla occorre un cristallo posseduto dal mago. E qui una serie di operazioni alchemiche: il giovane deve uccidere un bisonte (una sostanza fissa), dal quale si leva un uccello di fuoco (il volatile), che fa cadere l'uovo su una capanna che fumando s'incendia (calcinazione). Arriva l'acqua, spinta da una balena, e l'uovo «raffreddato d'improvviso dall'acqua gelida, era tutto in bri18

ibid.

d o l i » (soluzione). Ne emerge il cristallo con cui il giovane libera la principessa, riportandola a tutto lo splendore della sua bellezza, al fulgore del puro metallo. Il fenomeno chimico più frequente nelle fiabe è l'evaporazione (passaggio dal liquido al vapore) o la sublimazione (passaggio dal solido al vapore) che avvengono negli alambicchi. In seguito a questi processi la sostanza, liquida o solida, scompare alla vista e tende a salire. Nell'evaporazione c'è uno sviluppo di nebbie o vapori condensati. Un personaggio che distilla in corrente di vapore è il famoso Pollicino: Allora Pollicino saltò sul focolare... Il vapore che usciva dalle vivande l'afferrò e lo spinse fuori dal camino. Per un po' girò nell'aria a cavallo di un vapore, finché ricadde sulla terra 19.

19

Ibid., n. 45, p. 191.

Il cacciatore de L'insalata magica subisce una simile elevazione: Di lì a poco una nube gli si accostò, librandosi nell'aria, l'afferrò, lo portò via, errò qualche tempo per il cielo, poi s'abbassò calando... 2 0 .

Il bambino della favola 11 Ginepro, trasformato in un mucchietto d'ossa (calcinazione), si libra nell'aria come un uccello: Dalla pianta uscì una nube, e nella nube pareva ardesse un fuoco; e dal f u o c o volò fuori un bell'uccello, che cantava meravigliosamente e si innalzò a volo nell'aria 2 1 .

La scomparsa per sublimazione è prodotta da mantelli incantati come quello che (ne Le scarpe logorate dal ballo) una vecchia offre al soldato che cerca le figlie del re: Con questa [mantellina] indosso diventi invisibile, e puoi seguirle di soppiatto 2 2 .

Anche nella favola de II re del monte d'oro 2\ fra i tre oggetti fatati c'è il mantello che rende invisibile. Uguale motivo ne II corvo: Q u e l l i lo fecero salire a cavallo, gli misero i n d o s s o il mantello e gli diedero in mano il bastone; e q u a n d o egli e b b e tutto ciò, non poterono più vederlo 2 4 .

Accanto al mantello (o al cappello) la fiaba riporta, come dono magico, il bastone (o la spada) e la borsa (o la tovaglia) da cui si può trarre ricchezza e benessere a volontà. Conosciamo numerose varianti di questi doni, il cui significato alchemico è la sublimazione-evaporazione

20

Ibtd., n. 122, p. 514.

21

Ibtd., n. 47, p. 199.

22

Ibid., n. 133, p. 559.

' Ibid., n. 92, p. 397.

2

24

Ibid., n. 93, p. 403.

della materia, l'attacco-corrosione e la finale produzioneelargizione della pietra filosofale. Chi riceve i tre doni è fortunato, perché possiede il corredo dell'alchimista. I procedimenti dell'alchimista che segue la via umida della trasformazione della materia si svolgono entro grandi recipienti di vetro: matracci, storte, distillatori, alambicchi. Entro questi il fuoco produce ebollizioni, evaporazioni, condensazioni, sgocciolamenti, sdrucciolamenti, ricadute. Le fiabe sono ricche di queste immagini; i recipienti del chimico sono grandi montagne di vetro, e le goccioline sono i personaggi delle fiabe che si arrampicano, scivolano, si rincorrono. Ne 11 corvo il liberatore insegue la fanciulla stregata che è volata sul monte di vetro: Egli si rallegrò a vederla, ma q u a n d o ci si metteva su quel vetro tornava sempre in b a s s o . E q u a n d o vide di non poterla raggiungere si rattristò molto e pensò: - Starò qui sotto ad aspettarla - . . . E tutti i giorni vedeva la principessa scarrozzare in cima al monte, ma non poteva salire sino a lei 2 5 .

Una principessa è caduta in balìa di una strega ed è confinata su un monte di vetro. Cerca di liberarla 11 tamburino che deve penare a lungo: ... se ne stava davanti al monte che era alto come tre monti messi uno sopra l'altro e per di più liscio come uno specchio; e non sapeva come salire. Prese ad arrampicarsi, ma invano: tornava sempre a sdrucciolare 2 6 .

Un vecchio re darà la sua figlia in isposa a chi riuscirà ad attraversare senza cadere l'alto monte di vetro ch'egli ha fatto costruire. La principessa scivola, cade, precipita dal monte e finisce in una gran caverna dove un vecchio la obbliga a fargli da serva. Infine sale con 25 26

ibid. lbid., n. 193, p. 737.

una scala lunga lunga, apre il finestrino ed esce dal monte 2 7 Un fratellino e una sorellina sfuggono a L'Ondina che supera ogni ostacolo, infine: ... la f a n c i u l l a si b u t t ò d i e t r o le s p a l l e u n o s p e c c h i o e n e v e n n e montagna

una

d i s p e c c h i o , c o s ì l i s c i a , c o s ì l i s c i a c h e l ' O n d i n a n o n ci si

poteva arrampicate28.

Ora è una principessa che per liberare il suo principe deve oltrepassare un alto monte di vetro «che era liscio liscio» 29, e riesce a farlo fissandosi tre spilli sotto i piedi: oppure è una bambina in cerca di sette fratelli stregati, che si taglia il mignolo e con quello apre la serratura del monte di vetro ,0 . Dentro a queste enormi bolle di vetro, a questi pal-

27

11 vecchio Rink Rank; ibid., n. 127, p. 751.

28

Ibid., n. 79, p. 341. ibid., n. 127, p. 534.

29

IIforno;

30

1 seile corvi; ibid., n. 25, p. 117.

Ioni da alchimisti, che nella favola del Tamburino sono tre sovrapposti, come in un triplice distillatore, si svolgono percorsi inferi. L'alchimista ha voluto portare alla luce non il metallo, ma la sua vicenda, il suo travaglio, la sua gravidanza, perché l'elemento generato svelasse la sua logica, il suo segreto.

L A BAMBINA, IL MAGO E L ' O R C O

La leggiadra Proserpina trascorre i due terzi della sua vita agli Inferi, e non dobbiamo ritenere che sia una vita da reclusa, perché laggiù ella è regina, laggiù si trovano ricchezze e bellezze d'ogni genere. Quando, all'inizio della primavera, ella ritorna sulla terra, fioriscono le piante, lo stambecco appare al margine della foresta, i salmoni nuotano nei torrenti montani. Per tutto il tempo della sua scomparsa, nell'altro mondo da cui ella proviene, è rimasto nascosto il seme e l'uovo di tutti i viventi, l'immagine invisibile di tutta la realtà. Salendo, o scendendo, sulla terra le cose acquistano logica, trovano collocazione nello spazio e nel tempo, si fanno obbedienti alle leggi della fisica e ai principi della teologia naturale. Nell'ai di là, da cui ogni cosa proviene ed a cui è destinata, i germi 0 i fantasmi delle cose non sono costretti alla razionalità. 1 cavalli possono volare, i castelli comparire e scomparire, i vecchi diventar giovani, le tovaglie apparecchiarsi da sole, gli animali parlare. Tutto è folle ma nulla è stupido. Queste bizzarre combinazioni esprimono l'unità, la connessione, la potenzialità delle cose più profondamente di quanto non facciano le rigide costrizioni di questo mondo. Ciò che avviene nelle dimore oscure si vede con gli occhi del sogno, e conta non per i suoi esiti, ma per i suoi significati e i suoi oracoli. Non abbiate paura dell'altro mondo, fratelli. Nessuna cosa immaginabile e plausibile vi può aver luogo, paurosa o radiosa che essa sia. Non si tratta di aver fede nell'ai di là. Anche se ci sforzassimo di immaginare il destino

più glorioso e gratificante, anche se ad esso riuscissimo alla fine a credere, quel destino sarebbe comunque impossibile. La sorte più impossibile è proprio l'inesistenza, perché essa non può certo esistere. Di sicuro non si potrà neppure vivere, felici e contenti, dopo le nozze più belle, nel palazzo dell'eternità. Nell'altro mondo albergano gli archetipi, le essenze pure, le significazioni. Vi si svolgono spettacoli che non si concludono mai, che si replicano all'infinito, nella quarta dimensione. I narratori di fiabe non parlano di questo mondo, ma dell'altro. Parlano di personaggi, e di luoghi che possiamo ricercare nella fantasia, nella memoria del non vissuto, ma che non possiamo incontrare per istrada. Scrive Giuseppe Pitré: [Gli esseri misteriosi delle fiabe] hanno bisogno di involarsi ad occhi profani; perciò si s p r o f o n d a n o sottoterra, ove hanno palazzi incantati d'oro e d'argento con lumiere, candelabri, vivai, acque freschissime, fiori odorosi e quanto sa di bello e di fantastico. Tutto è sottoterra che si trova quassù: montagne, pianure, castelli, città e perfino animali fatati. Sotterra è tenuta, ignota a sé e agli altri, la principessa, cui l'indovino appena nata ha predetto che a diciotto anni d e b b a avvenirle una grave sventura; sotterra la principessa cui il padre si è prefisso di s p o s a r e a chi saprà ritrovarla; quella cui il mago tiene in sua potestà ed ogni notte rivede e lascia con la bocca serrata a catenaccio... 1

Nel mondo della fiaba incontriamo tre generi di esistenze, non sempre precisamente distinte, non sempre tutte presenti in ogni narrazione, ma riferibili a tre tipologie fondamentali. La prima categoria è la materia prima della fiaba. E l'essere che subisce le vicende e le trasformazioni, la vittima sacrificata ed elevata. Alchemicamente è la sostanza che percorre la via regale, chimicamente è il metallo o il metalloide che viene liberato dalla roccia e portato a purezza, filosoficamente è l'idea che emerge dalla confusione ' G i u s e p p e PtrRÉ, Fiabe, novelle e racconti popolari Lauriel, P a l e r m o 1875, pp. C X X V - C X X V I .

siciliani, voi. I, P e d o n e

e dall'inconscio e si rende parola. Nella fiaba quell'essere è di solito la protagonista, Cappuccetto Rosso - Biancaneve - Cenerentola, ma può essere anche un uomo o un bambino. Appartengono a questa categoria la piccina nel bosco, la bella addormentata, la prigioniera nella torre, oppure, come personaggi maschili, il giovane in giro per il mondo, il grullo che si scopre furbo, il principe stregato. Chiameremo questi personaggi, indipendentemente dal loro sesso, La Bambina. Alla seconda categoria appartengono gli operatori delle trasformazioni, gli artefici delle vicende, gli incantatori, i consiglieri e i salvatori della Bambina. Sono gli alchimisti intenti alla Grande Opera, i minatori, i metallurghi e i fabbri che compiono l'estrazione, la purgatura e la plasmatura degli elementi, i filosofi che pensano ed esprimono l'idea, forgiandola nella propria mente. Nella fiaba sono una categoria varia di personaggi: il mago e la fata, il diavolo e la strega, il nano, l'uccellino, il gatto, il principe liberatore e sinanco la bella, allorché scioglie il principe stregato dall'incantesimo. Questi personaggi, che chiameremo Il Mago, dispongono di strumenti: bacchette magiche, cappucci per scomparire, stivali alati delle sette leghe, borse fatate. Sono gli strumenti del grandissimo tra i maghi, il divino Hermes. La terza categoria di esistenze è estremamente variabile nei suoi connotati, ma costante nella sua struttura operativa. Essa è rappresentata da recessi o cavità, che accolgono la trasformazione della Bambina, all'interno delle quali i Maghi svolgono le loro operazioni. Nella forma più antropomorfa o teromorfa questi recessi sono orchi, mostri, draghi, animali voraci, orsi o lupi, attraverso il cui ventre la materia in elaborazione passa percorrendo la sua via alchemica. Può accadere che il passaggio attraverso il mostro si verifichi non come ingestione-rigetto, ma come travestimento, come costrizione entro la pelle infame. Solo con un atto magico il

protagonista fuoriuscirà dalla sua dimora-travestimento. Nella sua rappresentazione cosmico-naturalistica, la cavità ha tutt'altra configurazione: è la volta della notte, il bosco, la montagna. Talvolta è un palazzo o una casetta, oppure il palazzo sulla montagna o la casetta nel bosco. Nella forma più rivelatrice della prospettiva metallurgica, questi recessi sono rappresentati da gallerie, caverne o antri sotterranei, in genere ricchi di tesori come generose miniere, oppure da forni, stufe, pentole, vasi di vetro. Un elemento ricorrente di questa categoria di esseri-cavità è il fuoco, sia che si tratti di fiamme che escono dalla bocca di un drago, sia che si tratti di carboni che ardono nel forno o nelle profondità sotterranee, che assumono allora il carattere dell'Inferno. Tipico è talora il corso d'acqua che si deve attraversare prima di giungere alla cavità infera 2 . Identificheremo questa categoria con L'Orco, che è il nome con cui si designano nelle fiabe gli esseri bestiali e voraci e con cui i Latini chiamavano l'Inferno. La prevalenza dell'Orco, del Mago o della Bambina segna tre momenti nella fiaba, che generalmente si susseguono in quest'ordine: prima domina l'Orco (il Nero), poi domina il Mago (il Rosso) e infine emerge la Bambina (il Bianco), liberata e affidata a un destino felice 3. Il dominio dell'Orco apre la fiaba con note di tri2 Scrive Anita SEPPILLI, Poesia e magia, E i n a u d i , Torino 1971, p. 4 8 0 : " I n f e r o " va inteso « n o n tanto c o m e materialmente sotterraneo, q u a n t o c o m e evocazione del l u o g o mitico oltre le acque, c o m u n q u e sia storicamente immaginato, d o v e si d e c i d o n o i d e s t i n i » . In una versione p o p o l a r e di Cappuccetto Rosso, la b a m b i n a diretta verso la casetta della nonna deve prima attraversare il f i u m e G i o r d a n o . CALVINO, Fiabe italiane, ( E i n a u d i ) M o n d a d o r i , Milano 1983, voi. 2, p. 4 2 5 . Un f i u m e si trova nella fiaba 11 grifone (GRIMM cit., n. 165, p. 6 4 2 ) . 3 Nero, rosso e bianco sono i tre colori fondamentali sulla via alchemica, quelli che a p p a i o n o nel corso della cottura. Il nero (blu scuro) è il t e m p o , il r o s s o è il sole, il bianco è la luna. CANSELIET, 1) cit., p. 65. Cfr. nota 4 al c. 1.

stezza, di abbandono, di paura -1 . Si intravedono bambini sperduti o vaganti nel bosco, fanciulle segregate in sotterranei o catturate da bestioni, giovani racchiusi nella pelle orsina o di rospo o, fuori di metafora, si assiste a una vera discesa, la caduta o la calata in un pozzo profondo simile a quello d'accesso alle gallerie e alle caverne della miniera. Il mondo «infero» che appare al personaggio sprofondato non è necessariamente un Inferno. Talvolta può essere un Paradiso. Nella fiaba Le scarpe logorate dal ballo, dodici principesse scendono ogni notte nelle profondità della terra per ballare: L a maggiore s'accostò al suo letto e ci picchiò sopra: subito il letto sprofondò ed esse scesero nell'apertura, l una d o p o l'altra e la maggiore in testa... Scesero fino in f o n d o , e q u a n d o furono là sotto, erano in un viale meraviglioso, dove tutte le foglie erano d'argento e brillavano e scintillavano... Poi arrivarono ad un viale, dove tutte le foglie erano d'oro, e finalmente in un terzo, dov'erano tutte di limpido d i a m a n t e 5 .

In un'altra fiaba dei Grimm un sarto si pone su una pietra, questa sprofonda lentamente e lo porta in una grande sala 6 . In un'altra ancora un soldato viene calato con un cesto in fondo ad un pozzo dove splende una luce azzurra. Anche II forte Gianni si lascia scendere, con cesto e corda, in un abisso profondo 7. Ninetta, la Cenerentola siciliana di Gràttula-Beddàttula, si fa calare dalle sorelle in un pozzo a prendere un ditale e s'accorge d'una fessura da cui viene la luce: A S e c o n d o J u n g , « e s s e r e a b b a n d o n a t i , esposti, minacciati, ecc. fa p a r t e dell'ulteriore elaborazione dell'inizio insignificante d a un lato, della nascita p r o d i g i o s a e misteriosa dall'altro. C o n ciò si allude ad una determinata esperienza psichica di natura creativa, la quale ha per o g g e t t o un contenuto nuovo e f i n o a quel m o m e n t o s c o n o s c i u t o . Nella psicologia dell'individuo, un tal m o m e n t o c o r r i s p o n d e sempre a una situazione d o l o r o s a di c o n f l i t t o » : C . G . JUNG, II fanciullo e la core, due archetipi, Boringhieri, Torino 1972, p. 43. 5

GRÌMM cit , n. 1 3 3 , p . 5 5 9 .

6

La bara di vetro-, ibidem,

7

Ibid., n. 166, p. 648.

n. 163, p. 6 3 3 .

Leva la mattonella dal muro, e vede un bel giardino, ma un giardino proprio delizioso, dov'era ogni sorta di fiori, di alberi e di f r u t t i 8 .

Il pozzo delle fiabe ricorda il mundus dei Romani, che era un pozzo attraverso cui si accedeva agli Inferi, ma costituiva altresì una via verso il cielo. Spiegava Catone Liciniano: Al mundus (il pozzo) è stato dato il n o m e del mundus (il m o n d o ) che sta sopra di noi, perché, come ho p o t u t o sapere da quelli che vi s o n o entrati, è di forma simile ad esso 9 .

Plutarco chiama il mundus Olimpo, l'abitazione degli dèi, secondo la cosmologia tradizionale greca che individuava un mondo sotterraneo «distante dalla superficie terrestre all'ingiù quanto il cielo dista all'insù». Nel mundus si faceva scendere un bambino per stabilire il momento in cui si potevano compiere certi riti. Il mundus era talvolta detto «mundus di Cerere» (Demetra) e dedicato a Dispater e a Proserpina (Ade e Persefone) 1 0 . La discesa nel sottosuolo, effettiva o metaforica, è preceduta quasi sempre da un'infrazione, da qualcosa come un peccato originale che produce la caduta. L'infrazione ha una sua connotazione precisa: è una rottura operata nel mondo vegetale, tipicamente nell'albero che collega il cielo, la terra, il sottosuolo. Essa varia dal fiore strappato, al rametto spezzato, al frutto morso. Con questa violazione originaria si stabilisce una discontinuità nell'albero-asse del mondo, si apre un pertugio verso l'ai di là, si dischiude una via insidiosa e pericolosa che mena all'abisso. Molte volte c'è un personaggio che presiede a questo transito, compare nell'attimo dell'infrazione, attraverso il passaggio aperto, proveniente dal bas8 PITRÉ cit. p. 360. L u m i n o s a i m m a g i n e di un al di là sotterraneo, top o l o g i c a m e n t e impossibile e perciò maggiormente fantastico. 9 Cit. d a D . SABBATUCCI, Mundus o Kosmos? s t r a c t a » , n. 27, p. 48 (Roma, g i u g n o 1983).

10

Il mondo

in un pozzo,

«Ab-

Ibidem.

39

so. Questa figura è una delle forme in cui si presenta il Mago. E lui che di solito trascina la Bambina nell'abisso, oppure stabilisce il giorno in cui essa debba essergli consegnata. C'era una volta un re 11 molto ricco che aveva tre figlie; esse andavano tutti i giorni a passeggio nel giardino del castello; il re aveva una gran passione per tutti gli alberi belli, e uno gli piaceva tanto che chiunque cogliesse una mela egli lo malediceva, che s p r o f o n d a s s e cento braccia sottoterra. [La più giovane delle fanciulle fu tentata dai frutti e] colse una grossa mela, corse davanti alle sorelle e disse: « A h , assaggiatela, care sorelline! In vita mia non ho mai mangiato nulla di così b u o n o » l 2 . Allora le altre due principesse diedero un morso alla mela, e tutte e tre s p r o f o n d a r o n o sottoterra e nessuno se ne accorse.

Dopo qualche giorno compare uno gnomo piccolo piccolo che è sovrano del sottosuolo, dove «ce ne sono più di mille come lui». Egli mostra a tre fratelli che vogliono liberare le fanciulle un pozzo profondo attraverso cui si scende nell'abisso. Lì si svolge la fiaba e lì si incontrano tre draghi, per la verità piuttosto melensi, che si lasciano spidocchiare dalle fanciulle e decapitare dai giovanotti. Gli gnomi e i giovani svolgono la funzione del Mago. A volte l'infrazione botanica si compie per interposta persona. Ne La Bella e la Bestia 13 è il padre della Bambina che strappa una rosa; in Cenerentola 14 il padre stacca un ramo di nocciolo. Altrove è un mugnaio che spacca la legna e deve consegnare la figlia al diavolo oppure un contadino che coglie raperonzoli e deve dare a una maga il bambino che la moglie metterà al mondo 16. 11

GRIMM c i t . , n . 9 1 , p . 3 9 3 .

12

L a scena del peccato originale nell'Eden è evidente.

13

D'ALNOY, PERRAULT et al. cit. ( M m e le Prince d e B e a u m o n t ) , p. 519.

M

GRIMM c i t . , n . 2 1 , p .

15

La fanciulla

16

Raperonzolo;

102.

senza mani; ibid., n. 31, p. 139. ibid., n. 12, p. 56.

In una fiaba siciliana, Lu scavu l'infrazione fatale è compiuta da un poverissimo raccoglitore di ramolacci (un «cavoliciddaru» o cavolettaio): C'era una volta un cavolettaio, che aveva tre figlie femmine. ... E s s e n d o in campagna non potè trovare nessuna pianta. Ora, a un certo punto, Rosina [la figlia più piccola] s'accorse d'un bel cespo e si mise a tirarlo... tira, tira: d o p o essersi impegnati un'ora tutti e due, la pianta se ne venne e compare uno Schiavo 18 ... « E tu - dice lo Schiavo al p a d r e - non la vuoi lasciare questa bella figlia che hai? C h e tua figlia qua con me diventa una regina. Io qua sotto ho un bel palazzo che è un m u s e o . »

E tutta la favola si svolgerà nel palazzo sotterraneo. Come ho già detto, queste cavità nel sottosuolo, questi Orchi divoratori, non hanno necessariamente connotazioni negative. Essi sono antri infernali, ma anche palazzi sontuosi circondati da giardini fioriti, sono ventri di mostri, ma anche uteri materni. Sono spazi di vuoto, di caos, di oscurità e di tesori, luoghi di nascite e di morti, di misteri terribili e di dolci incanti entro cui prende forma il sogno fiabesco. Una vicenda che si sviluppa nel dominio dell'Orco, che richiede il trapasso attraverso un reame oscuro e sotterraneo, corrisponde a quella che nelle mitologie è nota come discesa agli Ìnferi, come il percorso di Proserpina. Questo sembra essere il significato generale della fiaba. L'infrazione vegetale che precede la discesa configura il passaggio nel sottosuolo come castigo o come iniziazione, che toccherà al colpevole stesso della infrazione o al suo redentore. Il passaggio agli Inferi è spesso indicato nelle fiabe da un curioso documento rilasciato per attestare la tra' ' PnRÉ cit., p. 175. N e Lu Re d'amuri (ibid. p. 163), dal foro lasciato da un ramolaccio esce un Turco che p r e t e n d e la figlia di un c o n t a d i n o . 18 S ' i n t e n d e un essere selvaggio, altrove « u n T u r c o » , che fa la parte del M a g o , s o v r a n o degli Inferi.

scorsa presenza nei luoghi. Proviene dalla mitologia classica, e si tratta d'una scarpa, lasciata nel luogo del passaggio. Ecate, dea infera e lunare, aveva sandali dorati, ma uno ne aveva lasciato nell'Ade e il suo piede nudo era così sudicio che sembrava fatto di sterco di mulo 19. Anche Giasone, il condottiero degli Argonauti, provenendo dall'altro mondo, ha lasciato là la sua scarpa sinistra e appare come monosàndalos, l'uomo «con una scarpa sola» 20. La scarpetta perduta si incontra spesso nella fiaba. L'episodio più famoso è quello di Cenerentola in fuga dal palazzo reale, che è dunque una dimora infera. Q u a n d o fu sera, Cenerentola se ne andò, ma ella fuggì via così rapida che non riuscì a seguirla. M a il principe era ricorso ad una astuzia e aveva spalmato tutta la scala di pece: q u a n d o la fanciulla corse via, la sua scarpetta sinistra vi rimase appiccicata. 2 1

La perdita o l'abbandono della scarpa si ritrova in altre meno note favole dei Grimm. Ne La luce azzurra una principessa addormentata è costretta a fare al soldato bassi servizi, e per provare d'essere stata umiliata, dopo aver lavorato per tre notti come una serva, «nascose una scarpa sotto il letto» 22. Il cacciatore provetto attraversa un fiume e giunge ad un castello dove una bella addormentata è in mano di tre giganti. Vede due pantofole preziose sotto il letto e si porta via la destra. Quando la fanciulla si sveglia, «si alzò e fece per infilare le pantofole, la destra era sparita» 23. 1 9 K . KERENYI, Gli dèi e gli eroi della voi. 1, p. 43.

20

Grecia,

G a r z a n t i , Milano 198 5 2 ,

Ibid., voi. 2 , p . 2 6 3 .

GRIMM cit., n. 21, p. 102. D u r a n t e i riti eleusini si faceva scivolare un o g g e t t o s a c r o in una scarpina, che si immaginava p e r d u t a d a K o r e nella sua f u g a davanti a A d e s . 21

22

Ibid., n. 116, p. 494.

Ibid., n. I l i , p. 475. N e II re del monte d'oro (ibid., n. 92, p. 3 9 7 ) , q u a n d o il re si sveglia la moglie è fuggita e ha lasciato c o m e segno la pantofola. 23

La scarpa lasciata sul suolo 2 4 indica non solo il passaggio, ma anche l'imposizione di se stessi sulla terra per stabilirne la proprietà 25 . Il diavolo (o Ecate) con una scarpa sola, attesta la sua sovranità sul sottosuolo, e ogni principe o principessa che lascia la sua scarpa ha stabilito il suo possesso su quella terra e sui suoi tesori. Coloro che abbandonano la scarpa sono i proprietari del sottosuolo, della miniera, e con queste operazioni inizia il loro diritto a cavare pietre o tesori. Cenerentola, lasciando la sua scarpina sulla scala di pece, diviene la regina del palazzo. Quel titolo le è conferito da un principe-Mago, che la elegge non tanto per la misura della sua calzatura, quanto perché quella scarpa abbandonata attesta il suo delizioso trascorso. Il Mago nella sua forma antica e tipica compare di rado nelle fiabe moderne. E più frequente la fata, che è la vera conduttrice delle fiabe mediterranee, mentre è quasi sconosciuta in quelle nordiche, dove invece è di casa la sua sorellastra, la strega. La parte dell'operatore alchemico o metallurgico è affidata, nelle fiabe dei Grimm, oltre che alle streghe, all'uccellino fatato, a diavoli o diavoletti, a suonatori magici, a baldi giovanotti. Un personaggio frequente nella parte del Mago è il nano, o una confraternita di nanetti. I nanetti delle fiabe sono esserini ambigui, ora cattivi, ora benigni, sempre operosi, abitanti di caverne o montagne (la miniera) o di casette nel bosco (il forno). Nelle fiabe dei Grimm appaiono di frequente, in genere con 2 4 A l c u n e leggende narrano di p a n t o f o l e lasciate da p e r s o n a g g i illustri transitanti per gli Inferi (ad es. l'Etna). L a p e r f i d a regina E l i s a b e t t a I di Inghilterra, trasportata verso l'Etna, lasciava una p a n t o f o l a sulle pendici. L ' E t n a accoglie anche il f i l o s o f o E m p e d o c l e ed espelle dal cratere uno dei suoi sandali. 2 5 J e a n SERVIER (Les portes de l'année, Parigi 1962, p. 123) ricorda che « q u e s t o , una volta, era l'uso in Israele nel c a s o di riscatto o di p e r m u t a per c o n v a l i d a r e ogni a f f a r e : uno si levava il s a n d a l o e lo dava all'altro. Q u e s t a era la testimonianza in Israele. O r b e n e , quel riscattatore d i s s e a B o o z : " A c q u i s t a per t e " . Si levò il s a n d a l o e glielo d i e d e » (Rut 4,7-8).

una tonalità bonaria, come lavoratori in un'epoca ormai fondata e non come originari profanatori, eppure esclusi dalle gioie, dalle nozze, dalle luci del mondo. Essi rispettano sempre la fanciulla che discende tra loro, ma le impongono lavori umili e servili, perché l'essere che vive con loro è pietra grezza, materia vile. Nella fiaba Gli gnomi2'', tre nanetti vengono a prendere una bella ragazza « e la conducono nella caverna del monte dove abitano», per far da comare ad un bimbetto. Ne La luce azzurra21, in fondo al pozzo profondo si trova un omino nero, custode di tesori. Nani cattivi s'incontrano nella fiaba di Biancaneve e Rosarossa. Dice il buon orso: « D e v o andare nel bosco a difendere i miei tesori dai cattivi nani: d'inverno, q u a n d o la terra è gelata, devono starsene sotto e non poss o n o farsi strada, ma a d e s s o che il sole ha sgelato e riscaldato la terra, l'aprono a forza, risalgono, frugano e rubano. Q u e l che finisce nelle loro mani, nascosto nelle loro caverne, non torna tanto facilmente alla luce.» 2 8

Il forte Gianni, calato nel fondo dell'abisso, ci trova una fanciulla incatenata: «accanto a lei sedeva il nano, che fece un ghigno da gattomammone» 29. Ma ecco comparire nani benefici su un colle: ... una folla d'omini e di donnine che si erano presi per mano e danzavano gioiosamente in tondo, e d a n z a n d o cantavano nel m o d o più soave 3 0 .

Più rara è la versione dei nanetti nella Casina, che suggerisce l'opera di fabbri intorno a un forno. I tre omini del bosco «sbirciavano da una casettina» e incaricano la fanciulla buona e la cattiva di spazzare davanti c a s a " . I 2 6

GRIMM c i t . , n . 3 9 , p .

21

lbid., n. 116, p. 494.

28

lbid., n. 161, p. 6 2 5 .

29

lbid., n. 166, p. 6 4 8 .

175.

piccino-, lbid., n. 182, p. 7 0 0 .

30

1 doni del popolo

31

lbid., n. 13, p. 60.

nanetti di Biancaneve abitano una casettina nel bosco e fanno il mestiere dei minatori. Essi invitano la piccola vagabonda a curare la loro casa: «cucinare, fare i letti, lavare, cucire e far la calza, e tener tutto in ordine e ben pulito...» 32. La fiaba russa Lo specchietto fatato 33 racconta di una Biancaneve finita nel castello di due potentissimi giganti, che le affidano la casa. Nella mitologia il nano è sempre legato al sottosuolo, dove svolge il lavoro del minatore e del fabbro. E a lui che spetta il compito sacrilego di violare il grembo della Grande Madre e di estrarne l'embrione minerale che, uscito dalle viscere dell'Orco e sottoposto a fusioni, lavorazioni e purgature, si avvia, in tempi accelerati, a trasformarsi in metallo puro. L'arte del nano è una maieutica minerale e si compie al confine tra l'inesistenza e l'esistenza. Dall'Anatolia, ove iniziò l'antichissima età dei metalli, sono giunte al mondo classico le misteriose leggende dei Kabiri, dei Coribanti, dei Telchini, dei Dattili >A, nani sotterranei e industriosi esseri non del tutto formati o malformati come gli embrioni di pietra con cui vivono in dimestichezza, talvolta superfetati in forma di giganti. Il nano è sempre astuto, spesso indovino e buffone e rivela la verità come svela la materia. La mitologia nordica ci racconta di nani custodi di tesori, Gnomi, Nibelunghi, Elfi o Coboldi, magici forgiatori di armi fatate, come Durendal, la spada di Orlando, o Gugnir, la lancia di Odino. L'arte mineraria e la metallurgia sono mestieri da nani, e quando i nani presiedono alla fiaba, come in Biancaneve, la Bambina ha già rivelata la sua natura di metallo. La protagonista della fiaba, quella che ho chiamato 32

lbid., n. 53, p. 228.

33

A . N . AFANASJEF, Antiche fiabe

34

Dattili significa « d i t a » . S o n o i Pollicini o i Mignolini della mitologia.

russe, E i n a u d i , Torino 1953, p . 54.

la Bambina, rimane offuscata, occultata, camuffata per quasi tutta la durata del racconto, ed emerge dal suo stato opaco solo nel finale, allorché brevemente risplende, prevale sugli Orchi e sui Maghi che l'hanno accompagnata, ed esce dalla fiaba, come l'attore che abbandona la ribalta. Il destino della creatura nel percorso infero è stato molto diverso se esso era una donna oppure un uomo. La fanciulla è rimasta intatta, immutata, anzi persino più pura e più bella, mentre il giovanotto si è trasformato in una bestia immonda. La bella è stata occultata in un sonno lunghissimo, oppure chiusa in una torre, in una caverna, in una casupola o in una bara di vetro. Essa corrisponde chimicamente al metallo, al mercurio o all'argento o al ferro nascosti nelle combinazioni minerali e pronti ad emergere in purezza e splendore. Il maschio è trasformato in bestia o, meglio, racchiuso entro la bestia di cui esibisce l'aspetto ignobile, pur conservando l'originaria nobiltà dell'animo. Esso è il metalloide, zolfo, fosforo, carbonio o azoto facile alla trasformazione e alla combinazione, pronto a convertirsi in gas aspro e fetido, d'aspetto torbido e opaco, eppure germe di ogni vita, scintilla d'ogni fuoco. Qual è il significato della Bella addormentata nel bosco? E «l'uscita dal tempo» di una fanciulla, che si conserva bella, vergine incantata e incantatrice. Ella giace separata dalla realtà mondana che intanto scorre e si corrompe, come una santa incorruttibile, come una figurina di cera resa inalterabile dal gelo della morte. Ella è morta, perché neppure respira, ma d'una morte ch'è solo sospensione della vita, nel silenzio assoluto, nell'isolamento 3 5 Z o l f o S, f o s f o r o P, c a r b o n i o C e a z o t o N , s o n o , con l'idrogeno H e l'ossigeno O , gli elementi componenti tutte le s o s t a n z e organiche: zuccheri, grassi, alcoli ( C H O ) , proteine ( C H O N S ) , acidi nucleici ( C H O N P ) . Sviluppano gas fetidi c o m e l'acido solfidrico ( H 2 S ) , il m e t a n o ( C H 4 ) , l'ammoniaca (NH,).

totale. Giace come la pietra, come il cristallo, come il metallo nelle profondità della terra. Attende cento anni per essere rimessa in vita, gioire, amare e morire. E passata dal regno dei viventi al cristallino, eterno mondo minerale. Il bacio del principe sulle sue labbra di terra è il soffio primordiale di Dio che rende viva l'argilla, dona l'anima alla statua. Il maschio stregato resta nel tempo, agisce e si muove, seppure in maniera goffa e mostruosa. Conosce la morte come fetore e corruzione. In un certo senso egli «diviene» il tempo che passa e consuma ed è pertanto assimilabile all'Orco, al divoratore focoso, al bestione peloso e sciocco. Ma la sua anima è tanto gentile quanto leggiadro è l'aspetto della fanciulla addormentata. La ricomparsa del maschio alla vita è sempre brusca e violenta. La sua spoglia giace svuotata per terra ed egli splende nell'aspetto di un principe bellissimo. Così si avvia a conclusione La Bella e la Bestia di Mme le Prince de Beaumont 3 6 . L a Bestia era sparita, e ai suoi piedi [Bella] non vide più che un principe bello come il dio Amore, che la ringraziava per aver rotto l'incantesimo di cui era vittima... « U n a cattiva fata m'aveva condannato a restar sotto quell'orribile sembiante sino a quando una bella fanciulla non avesse acconsentito a sposarmi, e mi aveva vietato di mostrarmi intelligente.»

Le descrizioni delle fanciulle che emergono dai loro sogni o dalle loro prigioni sono i momenti del canto della gioia, della venerazione inginocchiata, del sirventese amoroso. Quando il principe raggiunge La Bella addormentata nel bosco (Perrault): ... entra in una stanza tutta dorata e vede sopra il letto, i cui cortinaggi erano rialzati da ogni lato, il più sublime spettacolo che avesse veduto: una principessa che sembrava avere quindici o sedici anni e la cui 36

D ' A L N O Y , PERRAULT e t a l . c i t . , p . 5 1 9 .

splendente bellezza aveva qualcosa di luminoso e di divino! Si avvicinò tremante per l'ammirazione e cadde in ginocchio accanto a lei 3 7

Il principe della favola Rosaspina incontra uno spettacolo altrettanto divino: A n d ò oltre: il silenzio era tale che egli udiva il proprio respiro, e finalmente giunse alla torre e aprì la porta della stanzetta, in cui dormiva Rosaspina. Là essa giaceva ed era così bella ch'egli non poteva distoglierne lo sguardo. Si chinò e le diede un bacio. Rosaspina aprì gli occhi, si svegliò e lo guardò tutta ridente 3 8 .

La principessa nel bosco in qualche favola non dorme, ma è egualmente esclusa dalla vita, reclusa in una torre, fuori dello sguardo del mondo. Non invecchia e non si sciupa e attende anch'ella, con l'impazienza di chi è sveglia, il principe liberatore. Le torri dei castelli nel bosco sono piene di vergini segregate, che attendono un liberatore, come le pure idee attendono qualcuno che le pensi, come le vene metallifere attendono il minatore che le raggiunga. Se la fanciulla morta è una sostanza che attende alchemicamente di resuscitare, la bara di vetro è la sua opportuna custodia. Così narra la fanciulla risvegliata ne La bara di vetro: Q u a n d o ripresi i sensi mi trovai in una bara di vetro, in questa grotta sotterranea. Il negromante [aveva] rimpicciolito il mio castello con tutti gli annessi, l'aveva chiuso nell'altra cassa di vetro; e, trasformati i miei servi in f u m o , li aveva imprigionati in bottiglie di vetro 3 9 .

In un laboratorio ermetico, o in un retrobottega di farmacia, si preparano reagenti per magiche permutazioni, si elaborano intrugli e si distillano elisir o ancora si confezionano fiabe, che sono il più gentile tra i procedimenti del chimico, la versione avventurosa e fatata dei tormenti e delle gioie della materia.

37

lbid., p . 30.

3 8

GRIMM c i t . , n . 5 0 , p . 2 1 6 .

39

Ibid., n. 163, p. 633.

GIOVANNI N E L L A P E L L E D'ANIMALE

La vergine Malvina è murata viva in una torre oscura, separata dal cielo e dalla terra. La sua fiaba si conclude con una curiosa canzoncina che menziona l'imperforabile muro di pietra della roccia metallifera. La strofa inizia col suono d'una bronzea campana: D i n don dan! Nella torre che ci sta? Ci sta una principessa, vederla non si può, e mai si rompe il muro la pietra non si fora. Vien dietro me, Giannino vestito d a Arlecchino

I due versi finali sembrano un indovinello. Chi è questo Giannino-Arlecchino? Gianni o Giovanni è un personaggio che s'incontra spesso nelle fiabe. E quasi sempre un giovanotto selvaggio, impavido, poveraccio. Ne II matrimonio di Gianni lo vediamo per i campi con la moglie, vestito di un camiciotto rattoppato con pezze grandi e piccole come un Arlecchino 2, e ne La fortuna di Gianni è un servo sciocco cui le cose van bene 3 . Il fedele Giovanni è il servo di un re d'un castello, che racchiude l'immagine della principessa Tetto d'Oro verso il finale diviene una pietra. 1

GRIMM c i t . , n . 1 9 8 , p . 7 5 7 .

2

Ibtd., n . 8 4 , p . 362.

3

¡bui., n. 83, p. 357.

4

Ibid., n. 6, p. 29.

Gian Porcospino, prigioniero nella sua pelle puntuta, è il più selvaggio e irsuto dei nostri Giovanni 5 . Nelle fiabe di Afanasjev compare un Gianni Orsino che fino alla cintola era un uomo e dalla cintola in giù era un orso 6. Egli riesce a catturare un diavolino che gli fa da lavorante per un anno e gli procura dell'oro. Non manca un Giovanni-citrullo, terzo di tre fratelli, che getta gnocchi alla propria ombra 7. Nella commedia dell'arte italiana, Zanni o Zani (= Giovanni) incarnava la figura del villanzone (in tedesco Hans significa anche «zotico») ignorante e poverissimo. Si rappresentavano due Zanni, il primo era il servo astuto, mentre il secondo Zani era il servo sciocco: il primo lo si trova nell'abito di Brighella (o di Pierrot) e il secondo in 5

Ibid., n. 108, p. 464.

6

AFANASJEV c i t . , p . 2 2 1 .

7

Ibid., p. 6 5 2 .

quello di Arlecchino (o di Pulcinella). Alla formazione del tipo degli Zanni concorsero gli istrioni mascherati dell'alto medioevo cui erano affidate le parti, generalmente comiche, dei diavoli 8 . In Francia, già dalla metà del Duecento, il tipo comico del diavolo, burlone, beffardo, chiassoso, scurrile, era rappresentato da Arlecchino o Herlequin, nome dell'antico re della «masnada selvaggia» nella furiosa cavalcata detta, nella saga germanica, «caccia selvaggia» o «caccia di Wotan» 9 . Il'cristianesimo fece propria questa leggenda, trasformando la masnada in una turba d'anime dannate, montata su furiosi cavalli e inseguita da cani, condannata a galoppare fino alla fine del mondo e a fare «un chiasso infernale» nelle nottate tempestose. Herlequin, nella forma Hernequin, corrisponde a «Giovannino». Giovannino vestito da Arlecchino è lui il secondo Zani della commedia delle maschere. Nel 1585 era diffusa la rappresentazione di una Discesa di Arlecchino all'Inferno, nella quale appare il motivo della passeggiata del secondo Zani nei regni bui 1 0 . Nell'agiografia cristiana abbiamo due grandi Giovanni: san Giovanni Evangelista (27 dicembre), «il Giovanni che ride» del folklore, annuncia la buona novella e l'allungarsi del giorno. San Giovanni Battista (24 giugno), «il Giovanni che piange», annuncia il giorno calante: egli deve oscurarsi e diminuire perché il Cristo cresca. I due Giovanni sono collegati al simbolismo dei solstizi. Il Battista è sulla porta solstiziale estiva, che introduce alla fase oscura (calante) del ciclo annuale, l'Evangelista 8 N e l X V I secolo la c o m m e d i a dell'arte italiana prese il n o m e di « c o media d e zani». 9 C f r . O . DWESEN, Der Ursprung des Arlekin, REINER, Svaghi critici, Bari 1914. 10

(1689).

B e r l i n o 1904. C f r . anche R.

In Francia un REGNART scrisse una Descente

d'Arlequm

aux

Enfers

è sulla porta solstiziale invernale, che introduce alla fase luminosa. Stare sulla porta solstiziale significa stare all'ingresso della caverna cosmica, che conduce dal mondo dello spazio-tempo all'altro mondo, quello delle immagini sospese e rivoltate, quello delle fiabe 11. Nella tradizione greco-latina quelle porte sono custodite da un dio bifronte, Janus o Giano I2, il cui nome ha almeno un'assonanza con quello di Johannes o di Gianni13. I due volti di Giano sono spesso quelli d'un barbuto uomo anziano e d'un uomo giovane, ed è anche noto un Giano androgino, con un volto maschile e uno femminile, Janus-Jana (Diana-la luna), rappresentato da un cartiglio di Luchon. Giovanni Battista portava la barba e i capelli lunghi, aveva il corpo ignudo coperto da una pelle d'animale (il cammello) con una fascia di pelle ai fianchi, e viveva nel deserto nutrendosi di miele selvatico e di cavallette. Egli era stato votato al nazireato, che imponeva l'obbligo di non tagliarsi barba e capelli e di non aver cura del proprio corpo, oltre che d'astenersi dall'alcool e dal contatto con i morti M. Per questo suo aspetto selvaggio il Battista si ricoI I R. GUÉNON, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1975, c. 38: « A p r o p o s i t o dei d u e San G i o v a n n i » , p. 216. 12 Ibid., c. 37: « I l s i m b o l i s m o solstiziale di G i a n o » , p. 212. 13 R. G U É N O N (ibid., p. 2 1 4 ) ritiene che si tratti di un'assimilazione fonetica priva di q u a l u n q u e r a p p o r t o con l'etimologia, pur riconoscendo che le feste dei d u e san Giovanni h a n n o realmente p r e s o il p o s t o di quelle di G i a n o . S e si tratta di una pura o m o n i m i a , la coincidenza mi riempie ancor più di stupore. P e r a l t r o , a g g i u n g e G u é n o n , « l ' e s p r e s s i o n e p o p o l a r e " G i o v a n n i che piange e Giovanni che ride" è in realtà un ricordo dei d u e volti di G i a n o » . w « T u t t o il t e m p o del s u o voto di nazireato il rasoio non p a s s e r à sul s u o capo; f i n o a che siano compiuti i giorni per i quali egli s'è c o n s a c r a t o all'Eterno, sarà santo; si lascerà crescere liberamente i capelli sul c a p o » (Numeri 6,5). N a z i r e a t o significa « s e p a r a z i o n e dagli altri, a s t i n e n z a » .

nosce nel secondo Zani e arriva a prospettarsi come figura sotterranea e infernale. L'abito selvaggio, il sudiciume, la miseria rappresentano la condizione della sostanza racchiusa nella roccia, sprofondata nella terra, che ha perso il suo aspetto luminoso nella tetra trasformazione in composto minerale. Nella fiaba II Rugginoso l'essere selvaggio si rivela come un composto del ferro, l'idrato ferrico o ruggine (Fe [OH] 3 ). Nel fondo di uno stagno, quindi «oltre le acque» ... trovarono un uomo selvatico, che aveva il corpo scuro come il ferro arrugginito, e i capelli gli pendevano sulla faccia e gli arrivavano alle ginocchia

Egli guida schiere di guerrieri ferrigni e il garzone che lo va a trovare monta un cavallo zoppin zoppetto. La sostanza rugginosa e grassa ha il colore del mitico Atamante, che a sua volta ricorda l'Adamo primordiale, fatto dalla terra 16. Un essere sudicio e malcurato lo si incontra in altre fiabe, accanto al diavolo. Nella favola de II fuligginoso fratello del diavolo è un povero soldato cui il diavolo impone un rustico nazireato: N o n puoi lavarti, né pettinarti, né soffiarti il naso, non puoi tagliarti unghie e capelli, né asciugarti gli occhi 1 7

In un'altra favola (Pelle d'orso) il nazireato è imposto a un altro soldato dal diavolo Giacca Verde, che ha un mostruoso piede di cavallo, come i passanti per l'Inferno. Egli gli impone: Per sette anni a venire non puoi lavarti, né pettinarti b a r b a e capelli, né tagliarti le unghie, né dire un Paternoster 18. 15

GRIMM c i t . , n . 1 3 6 , p . 5 7 4 .

16

CANSELIET, 1 ) c i t . , p . 8 9 .

17

GRIMM c i t . , n . 1 0 0 , p . 4 3 2 .

18

Ibid., n. 101, p. 435.

Lo stesso personaggio, un povero soldato in congedo, lo si incontra nella favola russa 11 Sudicione. Anche qui il diavolo gli offre un lavoro facile: per quindici anni non radersi, non tagliarsi i capelli, non pulirsi il naso, non togliersi il moccio, non cambiare abiti! 19

Giovanni Battista si incontra in alcune fiabe siciliane nel suo ruolo di santo. Egli è giudice austero, addirittura terribile, e pecca per eccesso di severità. I suoi castighi sono sprofondamenti in cavità sotterranee, implacabili dannazioni. Essendo stato compare di battesimo di Cristo, egli difende severamente l'istituzione del «comparatico», che prescrive che tra padrino e figlioccia non vi sia rapporto amoroso; la sua intelligenza è tuttavia stolida e rozza e non è difficile gabbarlo. In una fiaba su cui torneremo a proposito di Cenerentola, egli condanna due compari, che hanno ceduto all'amore estivo, a sprofondare all'Inferno. 19

AFANASIEV c i t . , p . 6 6 0 .

Sorpreso G e s ù per tanta severità, con volto conturbato e voce cupa grida: «Giovanni, che hai f a t t o ? » . E san Giovanni: « H a i dimenticato la mia missione, la mia vita austera per conservarmi in grazia?... N o n ti rammenti che io s o n o l'istitutore del battesimo, d a te in riva al G i o r d a n o elevato a sacramento?... N o n devo quindi essere g e l o s o di tanta istituzione, e punire severamente coloro che ne infrangono le leggi?...» « S ì , - replica G e s ù - ma lo permetto soltanto nel giorno della tua f e s t a . » Giovanni accetta: G e s ù ride in cuor suo mentre, a prevenire la ripetizione di simile catastrofe, dispone fin d'allora che san Giovanni in quel dì sia preso da forte sonno. E d ecco perché il Battista richiede q u a n d o sarà il giorno a lui santificato, trascorso il quale gli si ripete: «Attendi e verrà». E d ecco perché nel 24 giugno il volgo proverbia i rei di tale colpa riconosciuta per grave col motto: « G o d e t e , non temete, Giuanni dormi» 20.

Una leggenda medioevale 21 , trascritta nel X V secolo, narra la storia di un san Giovanni, vescovo di Costantinopoli (IV sec. d.C.), reincarnazione del Battista. All'età di sette anni Giovannino fu mandato a scuola ma era scadente negli studi e i compagni si beffavano di lui. Un giorno il piccolo tonto baciò sulle labbra la Vergine: da allora divenne saggio e tutte le parole che uscivano dalla sua bocca erano d'oro. Egli prese il nome di Giovanni Bocca d'Oro (o Crisostomo) 2 2 . Come il Battista, si ritirò nel deserto e visse in una misera capanna nutrendosi di radici e di erbe. Sulla porta della capanna capitò un giorno, portata dal vento, la figlia del re. Il pio Giovanni 2 0 G . PITRÉ, II lago sfondato in Sicilia, Forni, Palermo, p. 2 4 9 .

21

Alte deutsche

Legende»,

di Castrogiovanni,

in Studi di leggende

popolari

a cura di Richard BENZ, J e n a 1922.

II motivo della b o c c a d a cui e s c e oro si trova in alcune n o t e fiabe, in c o n t r a p p o s i z i o n e con q u e l l o della b o c c a d a cui e s c o n o gli o p p o s t i p r o d o t t i del s o t t o s u o l o , serpenti e rospi. L ' e s e m p i o più n o t o lo incontriamo ne Le Fate di Perrault (D'ALNOY, PERRAULT et al. cit., p. 2 6 ) . L a b a m b i n a cortese alla fontana aiuta a bere una povera nonnina, mentre la sorella villana rifiuta l'acqua a una finta principessa. P o i c h é le d o n n e s o n o d u e fate, la fanciulla gentile è premiata con fiori, perle e diamanti che le escon di bocca a ogni parola, e la sgarbata è punita con vipere e rospi che a c c o m p a g n a n o le sue parole. In GRIMM (cit., n. 13, p . 6 0 ) si ripete la s t e s s a scena, con d u e sorellastre: alla cortese, figlia del marito, c a d o n o di b o c c a m o n e t e d ' o r o , e alla insolente, figlia della moglie, orribili rospi (I tre omini del bosco). 22

accolse la principessa e tracciò sul pavimento della cella una linea, ordinando alla fanciulla di mai varcarla. I due continuarono a lungo a pregare, ma un giorno il Tentatore riuscì a provocare Giovanni, che varcò la linea, e i due caddero nel peccato. Nei confronti della fanciulla Giovanni adottò una punizione insensata, facendola cadere in un baratro profondo. A se stesso impose una penitenza durissima e fece voto di camminare a quattro zampe come una bestia: la pelle divenne ruvida e pelosa ed egli non fu più riconoscibile come essere umano 23 . Dopo tanti anni un neonato, figlio dell'imperatore, rifiuta il battesimo e chiede di essere battezzato da san Giovanni. La goffa creatura, bizzarra e pelosa, fu ritrovata. Alla voce del bambino essa si sollevò da terra, il sudiciume e la sozzura caddero come una corteccia rinsecchita e il suo corpo divenne lindo, lucente e liscio. Anche la giovane gettata nell'abisso fu ritrovata, intatta e bella come sempre, abbigliata con vesti regali. Iddio l'aveva salvata tenendola sospesa a mezz'aria. In questa leggenda, alla fase iniziale della segregazione segue quella dell'infrazione (violazione della fanciulla) e quindi il triste passaggio agli Inferi con la trasformazione del santo in bestia ruvida e pelosa. Nel finale c'è il ritorno allo splendore. Il destino del maschio e quello della femmina seguono la tipologia della fiaba: il santo diviene bizzarro e peloso, mentre la principessa rimane intatta e sospesa, e il suo corpo si copre degli abiti di una Cenerentola al ballo. Nelle fiabe russe incontriamo un curioso Giovanni, che per alcuni aspetti ricorda Cenerentola. E il terzo di tre fratelli ed è considerato il tonto. Per dodici 2 3 Un antecedente biblico del p a s s a g g i o attraverso la condizione sudicia e selvaggia si legge in Daniele (4,30-36) e tocca in s o r t e al gran re N a b u c o d ò n o s o r : « E g l i f u scacciato di tra gli uomini e mangiò l'erba c o m e i buoi, e il s u o c o r p o fu b a g n a t o dalla rugiada del cielo; tanto che il p e l o gli c r e b b e c o m e le p e n n e all'aquila, e l'unghie c o m e agli uccelli». I n f i n e gli verrà restituita la sua maestà e il suo splendore.

anni rimane disteso tra la cenere in un reame nel quale è sempre notte. Lo chiamano, appunto, Giovanni Cinderello 24. Quando il nostro Giovanni-Cenerentola si rizza, gli volan via di dosso cento chili di cenere. Egli è ridotto in quello stato da un drago dalle molte teste e decide di affrontarlo coraggiosamente con un bastone da cento chili. Benché la figura del «peloso», «fuligginoso», «rugginoso» sia tipicamente maschile, e corrisponda chimicamente al metalloide, alchemicamente allo zolfo, la favola ci presenta una figura di fanciulla, sudicia, grigia o pelosa che appartiene allo stesso tipo. E Cenerentola, con tutta 24

AFANASJEV c i t . , p . 5 1 8 .

la schiera delle sue simili: Pelle d'asino, Dognipelo, Pilusedda, ecc. La goffa animalità maschile che esse mostrano all'esterno, e che le rende disgustose, non è il risultato di una trasformazione, bensì d'una copertura, sotto la quale si conserva, celata, una bellezza meravigliosa. Esse si sono imposte da sole la loro maschera di bruttezza, spesso per sfuggire a un corteggiatore, che in alcune favole è il padre stesso, animato da propositi incestuosi. Le soavi fanciulle insudiciate si trovano perciò in una posizione intermedia tra i giovani imbestiati e le belle imprigionate. I cavalieri stregati hanno solitamente il pelame orsino, mentre le belle occultate preferiscono la pelle equina 25. Talvolta la trasformazione è più profonda, e l'essere stregato ha assunto l'aspetto di un anfibio o di un uccello. Dalle pagine dei Grimm salta subito fuori un Principe ranocchio26. E un principe sprofondato in un'esistenza viscida, acquitrinosa, lunare. Stupido, freddo, gracidante, sale balzelloni la scala di marmo, plitsch-platsch, plitschplatsch. In un'altra fiaba, sette fratelli (sette metalli?) sono trasformati in Sette corvi11 . Il nero è il simbolo alchemico della sostanza originaria, sublime nerezza, alfa divino, nigrum nigrius nigro, testa di corvo. Cibandosi di cadaveri, il corvo simboleggia anche l'originaria putrefazione. Tutti gli esseri pelosi, sudici, irsuti in cui abbiamo riconosciuto la sostanza racchiusa nella pietra, risalgono alla luce, si liberano delle loro pelli selvagge e del loro stato di abiezione. Dalla roccia si riscatta l'elemento puro, 25 Pelle d'asino (D'ALNOY, PERRAULT et al. cit., p . 5 9 ) è c h i u s a in una p e l l e di s o m a r o . Pilusedda (PrTRÉcit., p . 3 8 1 ) si v e s t e di p e l l e di c a v a l l o : « L ' i n d o m a n i il c o n t a d i n o v i d e q u e s t o c a v a l l o c u r i o s o , c h e c a m m i n a v a con i p i e d i davanti all'aria». 26

G R I M M c i t . , n . 1, p . 5 .

27

Ibid., n. 2 5 , p . 117.

dal composto corrotto, fetido, sgradevole emerge il metalloide, luminoso come cristallo di zolfo, splendente come pietra adamantina. Gian Porcospino sguscia fuori dalla sua pelle irsuta che quattro uomini gettano nel fuoco: Ma era nero come il carbone, quasi lo avessero bruciato. Il re m a n d ò a chiamare il suo medico che lo lavò con buoni unguenti e lo profumò. Egli divenne bianco e bello che pareva un giovane s i g n o r e 2 8 .

Il fuligginoso fratello del diavolo, appena risalito dall'Inferno, «si tolse lo zaino dalla schiena e voleva vuotarlo; ma come l'aprì la spazzatura era diventata oro schietto» 2 9 . Pelle d'orso, uscito dall'Inferno, «mise la mano in tasca e tirò fuori una manciata di ducati». Alla fine della storia, ... lo volesse o no, il diavolo dovette andare a prendere dell'acqua, lavarlo, pettinarlo e tagliargli le unghie. E d o p o Pelle d'orso sembrava un valoroso guerriero ed era molto più bello di prima 3 0 .

Il Sudicione della favola russa viene rimesso a nuovo in modo squisitamente minerario: Il diavolicchio lo fece a pezzettini, lo gettò in una pentola e lo fece cuocere; q u a n d o fu cotto lo tirò fuori e lo riunì in un pezzo solo, come si deve... e il soldato si rialzò: era divenuto un così bel giovane da non si dire, da non descrivere. S p o s ò la bella principessa e vissero felici e contenti, fra mille g o d i m e n t i 3 1 .

Sortir dalla pelle d'orso è lo stesso che uscir dalla pietra: un giovane re, trasformato con tutte le sue bestie in pietra e gettato in fondo ad una fossa, è salvato dal fratello che costringe la strega a resuscitarlo: Ella prese una bacchetta e toccò le pietre: il fratello resuscitò con le sue bestie, e tant'altra gente, mercanti, artigiani, pastori, si alzarono, ringraziarono il liberatore e tornarono alle loro case 3 2 . n. 108, p. 4 6 4 .

28

Ibid,

29

lbid., n. 100, p. 4 3 2 .

>0

Ibid., n. 101, p. 4 3 5 .

31

AFANASJEF c i t . , p . 6 6 0 .

32

GRIMM c i t . , n . 6 0 , p . 2 6 5 .

Nella fiaba I figli d'oro il finale è simile. Una strega ha trasformato in pietra un figlio d'oro (coperto di pelle d'orso) e il fratello la costringe a liberarlo". Il fedele Giovanni, trasformato in pietra, riacquista la vita a prezzo del sangue di due bambini 3 4 . Il prototipo dell'essere trasformato in mostro sotterraneo, come sostanza (metalloide) nascosta nella pietra, è il Mostro de La Bella e la Bestia35 di Mme Le Prince de Beaumont (e della nostra Bellinda e il Mostro 36 ). La favola comincia come quella di Cenerentola: un ricco mercante che parte per un viaggio, tre figlie di cui la più piccola (Bella o Bellinda) è la più bella e la più buona (come Cordelia in Re Lear). Le due figlie maggiori chiedono al padre ricchi doni, e la terza solo un ramoscello, stavolta di rosa. A questo punto interviene il Mostro, brutto come null'altro al mondo. Il Mostro abita in un palazzo pieno di ricchezze, fuori della realtà. Esso è un buono e la sua bruttezza è solo una copertura. L'amore della fanciulla lo trasforma in un essere bellissimo: L a Bestia era sparita, e ai suoi piedi ella non vide più che un principe bello come il dio Amore, che la ringraziava per aver rotto l'incantesimo di cui era vittima 37.

Le due sorelle cattive seguiranno il destino da cui il mostro si è liberato, e che è formulato in termini minerari: Divenite due statue pur conservando tutto il vostro intendimento sotto la pietra che vi avvolgerà 3 8 .

L'avvolgimento pietroso corrisponde all'irsuta pelle 33

¡bùi., n.85, p. 364.

34

Ibid., n. 6, p. 29.

35

D'ALNOY,

PERRAULT et

al.

cit.

(Mme

Le

p. 519. 36

I. CALVINO, Fiabe italiane cit., voi. 1, p. 2 4 6 .

37

C f r . nota 35.

38

lbid.

Prince

de

Beaumont),

del principe stregato, ed è il «castigo» del metallo occultato nel minerale. Nella fiaba italiana il cavaliere riappare dalla divisa bestiale, entro un fulgore gioioso: ... d'un tratto si vide il palazzo tutto illuminato e da ogni finestra uscivano canti e suoni. Bellinda volse il capo sbalordita e, q u a n d o tornò a guardare nel rosaio, il M o s t r o era sparito e in vece sua c'era un bel cavaliere che s'alzò di tra le rose, fece una riverenza e disse: « G r a z i e , Bellinda mia, m'hai liberato»... L e sorelle, dall'astio che avevano, restarono una da una parte una dall'altra della porta e diventarono due statue 3 9 .

La Bella e la Bestia compaiono pure nella fiaba russa Non-lo-so "l0. La bestia si chiama Ivan (Giovanni), è vestita 39

C f r . nota 36.

' 4 0 AFANASJEVCU., p . 1 2 8 .

di una pelle di bue e ha sul capo una vescica. Chiesto in sposo dalla terza delle figliole, strappatosi di d o s s o la pelle, toltasi dal capo la vescica, Non-lo-so chiamò il suo buon cavallo e divenne così bello da non poter descrivere con la penna, né raccontare nelle fiabe.

Quando nella sudicia pelle è nascosta una bella maschietta, la sua riapparizione, il suo disvelamento, scopre uno splendore ancora più abbagliante di quello della bella addormentata al risveglio. Il narratore di favole deve dar fondo alle sue risorse di menestrello amoroso. Così emerge dalla sua sporcizia Pelle d'asino: ... D a sotto a quella pelle nera, unta e bisunta, si vide sbucare una manina delicata, bianca e rosa, ove l'anello p o t è infilarsi senza fatica al ditino più grazioso del m o n d o ; quindi, per un leggero movimento fatto dall'infanta, la pelle cadde, ed ella apparve d'una bellezza così splendente che il principe, d e b o l e com'era, c a d d e alle sue ginocchia e le strinse con tale ardore che la fece a r r o s s i r e 4 1 .

Più drammatica è l'emersione di Dognipelo, che richiede lo strappo regale del mantello peloso e una successiva detersione del visetto verginale. Un vero «portare alla luce», un'operazione di parto-battesimo, durante la quale la piccina si presenta prima con una manina, poi con i capelli dorati e deve compiere infine un lavaggio con acqua lustrale. [Il re] scorse il dito bianco e l'anello che le aveva m e s s o durante la danza. Allora la prese per la mano e la tenne ferma; e q u a n d o ella fece per liberarsi e correr via, il manto di pelo si aperse un poco, scoprendo lo scintillìo dell'abito. Il re a f f e r r ò il mantello e glielo strappò. Allora apparvero i capelli d'oro; ed eccola in tutto il suo splendore, che ormai non poteva più nascondere. E q u a n d o si fu tolta la cenere e fuliggine dal viso, era la più bella che si f o s s e mai vista al m o n d o 4 2 .

41

D ' A L N O Y , PERRAULT e t a l . c i t . ( P e r r a u l t ) , p . 5 9 .

4 2

GRIMM c i t . , n . 6 5 , p . 3 0 2 .

IL MERCURIO D E L L A FIABA

Cappuccetto Rosso, la bimba della fiaba dei Grimm e di Perrault, è un piccalo dio Mercurio aleggiante nei boschi di castagni e di querce. Messaggera tra la mamma e la nonna, con il paniere contenente focaccia e vino (o burro), ella compie le mansioni del dio dai piedi alati, viandante, portatore di farmaci e consolazioni, intermediario. Del romano Mercurio (o del greco Hermes, del germanico Odino-Wotan, dell'etrusco Turm) ha alcuni attributi peculiari. Innanzi tutto quel suo cappuccio, da cui prende il nome. Mercurio è una divinità col cappello, il pètaso, qualche volta accompagnato da una mantellina. Wotan è descritto con il volto coperto da un cappuccio. Il cappello-cappuccio protegge il dio nei suoi viaggi e lo nasconde nelle sue furfanterie. Che quel copricapo fosse rosso è difficile stabilire, ma rosso era il cappello dei Frigi, rossi i capelli di Mercurio, violetta la mantellina di un Mercurio rappresentato in un dipinto murale sul viale dell'Abbondanza a Pompei. Loge, il demone del fuoco compagno preferito di Wotan, indossava un cappuccio e una mantellina rossi. Quando, sul finire del medioevo, fu inaugurata la moda del cappello in Europa, fu Carlo VIII il primo a portarlo entrando in Roma con un copricapo di velluto rosso (1494). Di Mercurio, Cappuccetto Rosso ha anche la borsa, con cui reca le «medicine» alla vecchiaia. Con Wotan la piccina condivide l'inquietante rapporto con un lupo. Rivelazioni essenziali di Mercurio 1 sono l'incontrare 1 K . KERÉNYI, Miti e misteri 134), E i n a u d i , T o n n o 1950.

( « H e r m e s , la g u i d a delle a n i m e » , p p . 47-

e trovare e la sua tendenza ad associarsi volentieri a qualcuno (amalgamarsi?), tendenza quest'ultima che rende Cappuccetto Rosso affabile ma la conduce anche a fidarsi della compagnia poco raccomandabile di un figuro incontrato per caso. L'equiparazione della bambina del bosco alle divinità mercuriali è un primo passo per giungere all'equiparazione chimica di Cappuccetto Rosso al metallo liquido, il mercurio. Come il dio dai piedi alati, il mercurio è lo scorrevole, l'intermedio, il disceso dall'alto. Nella nostra esegesi metallurgica, esso si candida subito a scivolare tra le paginette della fiaba della bambina messaggera e a fornirle il suo senso ermetico. Il mercurio è l'unico metallo liquido a temperatura naturale, è di color grigio lucente, volatile, solvente dell'oro e dell'argento. Ha peso atomico 200,61 e numero atomico 80; è vicinissimo quindi all'oro che ha peso atomico 197,2 e numero atomico 79. Fino ad epoca recente si tentò di trasformare un elemento nell'altro e non può escludersi che ciò sia avvenuto in minute proporzioni. Il suo simbolo è Hg, dal nome latino del metallo, hydrargirium, che significa «argento liquido» o «argento vivo». Il nome attuale gli fu dato dagli alchimisti nel VI secolo. Essi adottarono il simbolo del pianeta Mercurio

per indicare l'argento vivo, così connettendo il metallo fluido al pianeta dalla rotazione più veloce e al dio alato. In alchimia il mercurio non designa solo il metallo grigio, ma un più generale principio umido e passivo, femminile, sottoposto al principio secco e attivo, lo zolfo, come la donna soggiace all'uomo. Il mercurio dei Cinesi 2 , 2 M . ELIADE, Arti del metallo 57-112), Boringhieri, T o r i n o 1980.

e alchimia

(11: « L ' a l c h i m i a c i n e s e » , p p .

il shui-yin, corrisponde al drago e agli umori del corpo, al sangue, al seme. L'alchimia cinese contrappone il Mercurio non allo zolfo, ma al solfuro di mercurio (HgS), il cinabro, che è il minerale rosso entro cui il mercurio è catturato, racchiuso in natura. Se si sottopone il cinabro a arrostimento (calcinazione) si libera mercurio, secondo la reazione: HgS + 0

2



cinabro

S0

2

+

Hg

mercurio

Dalla polvere rossa del cinabro il mercurio riemerge come goccioline splendenti, a rappresentare la rigenerazione attraverso la morte (la combustione). Facendo agire sul mercurio lo zolfo: Hg +S -

HgS

si ottiene il cinabro come polvere di un bellissimo rosso vivo. L'alternanza cinabro-mercurio è, per gli alchimisti cinesi, simbolo della morte e della rinascita, della perpetua rigenerazione, alla maniera della Fenice che rinasce dalle sue ceneri. Ma non si dà vera morte, e il cinabro, per la sua capacità di rigenerare il mercurio, è simbolo di immortalità. Esso è rosso come il sangue, che sempre si rigenera nel corpo umano e quindi può procurare il ringiovanimento e l'immortalità. Pau Pu'tzu prescrive di mescolare tre libbre di cinabro con una libbra di miele, far seccare tutto al sole e ricavarne pillole della grandezza di un grano di canapa: dieci di queste pillole, prese nell'arco di un anno, fanno ridiventare neri i capelli bianchi e fanno rispuntare i denti caduti, e se si continua oltre l'anno si ottiene l'immortalità 3 .

Dentro il corpo umano gli alchimisti cinesi indivi3

p. 60.

Cit. in W . A . MARTIN, The love

of Cathay,

N e w York-Chicago

1901,

duavano, nelle parti più segrete del cervello e del ventre, i tan-t'ien o «campi di cinabro» ove si preparava l'embrione dell'immortalità. Attraverso la meditazione si raggiunge uno «stato caotico» che consente di penetrare nei «campi di cinabro», ovvero nella Montagna mitica K'ouen-louen, abitata da Immortali 4 . Il cinabro è la forma quasi esclusiva nella quale si trova il mercurio in natura. Esso si presenta come concrezioni o spalmature su altre rocce, di colore rosso intenso, variabile dal rosso cocciniglia al rosso bruno. E proprio per questo rosso rifugio nella pietra cinabrina che il mercurio, il metallo del dio dal cappuccio, entra nella fiaba come Cappuccetto Rosso. Da tempi antichissimi il cinabro, naturale o ottenuto dal mercurio solfurato, è usato come colorante vermiglio (vermiglione) per la pittura ad olio o per tessuti, in virtù del suo fortissimo potere ricoprente 5. L'estrazione industriale del mercurio dal cinabro è una pratica antichissima 6 . E sicuro che gli Etruschi coltivassero le miniere di cinabro del monte Amiata, sull'Antiappennino toscano, e ne traessero coloranti. I Cartaginesi e poi i Romani coltivarono le miniere di Spagna, da cui traevano mercurio. Teofrasto parla di un ateniese, Calilas, che si arricchì lavorando il cinabro spagnolo, nel 415 avanti Cristo. Le miniere spagnole furono coltivate poi da Visigoti e Arabi, che dettero il nome alla località: Almadén (la miniera). 4 R. STEIN, Jardins en miniature ¿'Extreme Orient, « B u l l . E c . Fr. Extr.O r i e n t » , voi. 42, p. 86, 1943; cit. in M . ELIADE, Arti del metallo... (qui nota 2 ) . 5 L ' a l t r o r o s s o della pittura è il minio, un o s s i d o di p i o m b o ( P b 0 2 • 2 P b O ) , che si prepara s c a l d a n d o lungamente, al color r o s s o scuro, il massico!, varietà gialla pulverulenta del litargirio ( P b O ) . Anche il cinabro è talvolta descritto c o m e minio. Il r o s s o delle « m i n i a t u r e » della celebre Bibbia Amiatina (754 d . C . ) è d a t o dal cinabro. Anche nelle t o m b e etrusche il r o s s o è s p e s s o cinabro. Plinio (Nat. Hist. X X X I I I 5 8 ) deplora che il minio sia talvolta c o n f u s o con il cinabro, e che ciò sia causa di avvelenamenti. 6 II hiercurio fu conosciuto prima del rame e del ferro. Cfr. G . VOLPINI, Abbadia S. Salvatore, storia del Monastero e del paese, E d . Paoline, R o m a 1966, p p . 92 ss.

Lo scavo di miniere di cinabro risale ad epoche molto anteriori. Durante l'apertura della galleria di Montevecchio, sul monte Amiata, furono trovate mazze di pietra e picconi a corna di cervo, che attestano operazioni minerarie antiche di millenni. La preparazione del mercurio si otteneva, nel III secolo a.C., macinando il cinabro mescolato ad aceto in un mortaio di bronzo. Nel I secolo Plinio riferisce un metodo di preparazione che consiste nell'arrostire il cinabro in vasi di ferro con coperchi di terracotta 7 . Per ottenere mercurio in quantità industriale i Romani disponevano il cinabro in mucchi insieme al combustibile cui si dava fuoco. Il mercurio che si sollevava, si condensava in uno strato di minerale minuto che ricopriva il mucchio, e da cui il metallo era poi recuperato per lavaggio. Nel medioevo era invalso l'uso di far condensare i vapori di mercurio, che salivano dal cinabro combusto, sulle foglie fresche degli alberi a foglie larghe 8 . Questo procedimento si realizzava in grande all'aperto nei boschi, o entro appositi locali a campana, nei quali erano posti il combustibile, il cinabro e gli alberelli di condensazione. Così descrive l'operazione Giorgio Agricola, in De re metallica (1550) 9 : Altri sono che fanno una cammera in volta: lo spazzo de la quale molto ben incrostato, inverso il mezzo fanno concavo, e accanto al grosso muro d e la cammera fan le fornaci... Sopra le fornaci ci metton le pentole, empiendole di vena pesta... Dipoi tra la volta e il pavimento metton degli alberi verdi, poi serran l'uscio e le finestrelle c h i u d o n o con occhi di vetro... dipoi d a t o f u o c o à le legne cuocon la vena: la qual finalmente stilla fuori l'argento vivo, il quale non potendo soffrire il caldo, e disideroso sendo del freddo, se ne vola sopra le foglie de 7

Plinio, Nat. Hist. X X X I I 32,99-100.

8

VOLPINI c i t . , p . 9 5 .

9 G i o r g i o AGRICOLA ( G e o r g B a u e r ) , L'arte dei metalli (De re metallica, 1556) tradotto in lingua toscana (1563), B o t t e g a d ' E r a s m o , Torino 1969, p . 372.

gl'alberi, che hanno virtù di rinfrescare. Il cocitore finita l'opra, speg il f u o c o , e r a f f r e d d a t o ogni cosa, apre l'uscio, e le finestre, e raccog l'argento vivo, il quale per esser grave, per la maggior parte, da cade giù de gl'alberi, e in quella parte cavata del pavimento se corre: ma se tutto da se non caschi, bisogna scuotere gli alberi, farlo cadere.

Agricola menziona altri modi di cavar il mercur dal cinabro. Il più spedito e utile si realizza attraverso due pe tole le cui bocche sono incastrate l'una nell'altra: Q u e l l e di sopra non son molto dissimili di forma à gl'orinali di veti ma però all'insu per diritto si van restringendo. Q u e l l e di sotto siiti sono a quei catinetti dove gl'huomini, o le d o n n e fanno i formaggi

Le pentole superiori si riempiono di cinabro trita 10

68

¡bùi., p. 370.

e si chiudono con stoppa; quindi si rivoltano a bocca in giù e il collo s'incastra nell'apertura di quelle inferiori, lutando accuratamente. Queste coppie di pentole, in serie di 700, si pongono a fuoco e il mercurio che si libera dal cinabro delle pentole superiori sgocciola in quelle inferiori. In una variante di questo metodo le pentole superiori (dette campane) comunicano con le inferiori attraverso un lungo naso che è infilato nel fianco di quelle. Il cinabro scaldato libera vapori di mercurio che raggiungono la volta della campana, si condensano e scivolano giù attraverso i nasi delle pentole di sotto. Il mercurio raccolto nelle pentole viene coperto di terra mescolata a cenere e, posto poi in un sacchetto, si

lava con aceto e sale. Compiuta questa operazione il mercurio s e n d o piegato e premuto, penetra fuori puro, & in una pentola o in un piatto postili sotto, se ne corre " .

I metodi impiegati in epoca moderna sono variazioni delle antiche lavorazioni in pentola 12. Un forno per mercurio (per esempio il forno Bustamante) consta di un focolare, sopra il quale, separata da una volta, è la camera di distillazione dove si carica il cinabro. In alto la camera comunica con i condensatori, costituiti da tubazioni di terracotta poggiate su un piano inclinato. Il cinabro viene scaldato oltre i 400°C e i vapori di mercurio si sollevano, raggiungono il soffitto, si condensano e scorrono lungo le tubazioni colando attraverso appositi fori. II mercurio che si ottiene dai condensatori è solo in parte sotto forma di metallo. Il più è mescolato a polvere, fuliggine e catrame proveniente dal combustibile e a bitume contenuto nel minerale. Questa mescolanza scura e viscida è quello che gli operatori chiamano i neri13. Nei neri il mercurio è trattenuto in minute goccioline rivestite di sostanze oleose. Liberato dal cappuccio rosso del cinabro, il mercurio è finito nell'oscura poltiglia dei neri. I neri venivano mescolati a calce con agitatori di legno, su una superficie anch'essa di legno, liscia e inclinata, da 11

I bid.

C f r . Vincenzo SPIREK, Metallurgia del Mercurio, C a s s o n e , Torino 1906. C f r . anche la v o c e « m e r c u r i o » nell'Enciclopedia Italiana, voi. X X I I , pp. 2 9 2 ss. C f r . a n c h e J . W . MELLOR, A comprehensive Treatise on inorganic and theorical chemistry, IV, L o n d o n 1929; P. PASCAL, Traile de chimie minerale, V E , Parigi 1932. 12

13 Vincenzo SPIREK cit. così descrive la f o r m a z i o n e dei neri. « [ I vapori o g a s si attaccano alle pareti interne dei tubi del c o n d e n s a t o r e ] quindi, accumulandosi, scivolano e cascano nelle vasche sottostanti d e p o s i t a n d o s i s o t t o l'acqua formatasi per condensazione del vapore. Q u e s t a m a s s a così formata e depositata chiamasi stupp o neri; è una m e s c o l a n z a di mercurio metallico o allo stato di sali, con polvere di minerale, idrocarburi, fuliggine, cenere. D a questi neri... si ottiene il 3 0 - 4 0 % di mercurio metallico direttamente alle vasche. Il resto viene m e s c o l a t o con calce viva».

cui scorreva via il mercurio in goccioline. Questo metodo malsano è stato sostituito dalla lavorazione meccanica in appositi estrattori. Il mercurio è poi purificato da tracce di altri metalli, per filtrazione attraverso una pelle scamosciata, che ricorda i sacchetti dei metallurghi medioevali. Metallica rugiada, materializzata da invisibili vapori, cadente dall'alto, scorrevole come acqua vivente, il mercurio è l'ambiguo tra i metalli, solido e liquido, soggetto e operatore universale dell'opera alchemica, e in ogni caso femmina, yin. Gli alchimisti lo chiamavano aqua simplex, aqua maris, aqua permanens, ma anche aqua aggrediens, venenum, Draco, Serpens. Velenoso nel corso dell'estrazione e delle manipolazioni, il mercurio metallico, attenuato in empiastri o unguenti e sciroppi, ha continuato a mantenere un rispettabile posto nella farmacopea sino ai nostri giorni 14 . Come «unguento cinereo» è stato usato contro la lue e contro le affezioni di natura parassitaria della pelle. E conosciuto un «empiastro mercuriale composto di Vigo» o «cerotto mercuriale» per trattamenti locali. Di più larga adozione medicinale è il mercurio combinato al cloro: il cloruro mercurioso (Hg 2 Cl 2 ), noto come calomelano. Calomelano significa «bel nero» (gr. kalòs mélas). E invece una polvere bianca, insolubile, blanda, tuttavia infida poiché dal suo bel biancore può emergere il nero. Se lo si tratta con ammoniaca assume rapidamente una colorazione nera; lasciato alla luce, lentamente si altera e si ingrigisce, trasformandosi in sublimato corrosivo (Hg Cl 2 ) e separando mercurio. Questa alterazione lo rende tossico ed è paventata nella farmacopea, che prescrive un metodo per controllarla. 14 C f r . A. BENEDICENTI, Malati, medici e farmacisti. Storia verso i secoli e delle teorie che ne spiegano l'azione nell'organismo, 1925.

dei rimedi traMilano 1924-

Il calomelano fu introdotto in terapia nel Cinquecento e per la sua mitezza lo si chiamò mercurius dulcis o draco mitigatus. La denominazione di «drago ammansito» gli conferisce connotati mitici. Esso appare come un essere malvagio dall'aspetto mite, ed è infatti candido e dolce, ma può rendersi grigio e corrosivo. Esso è la seconda via attraverso cui il mercurio penetra nella fiaba come bestia sorniona, come falso amico 15. In terapia il calomelano era adottato frequentemente come purgante e come diuretico. Era anche usato come disinfettante intestinale ed entrava in parecchie pomate impiegate nelle malattie della pelle. Sospeso nell'olio è stato proposto per iniezioni intramuscolari contro la sifilide. Esso forma, con il sublimato corrosivo, un'alternanza di mite e caustico, di buono e cattivo. Se si espone il calomelano alla luce si liberano sublimato corrosivo e mercurio, e da questi si riottiene calomelano trattando al calore la miscela. In formule: Hg2Cl2 calomelano

-

calore 'uce

H g Cl 2

+

sublimato corrosivo

Hg mercurio

Il sublimato corrosivo è il responsabile di quasi tutti gli avvelenamenti da mercurio, volontari o accidentali. Produce sulle mucose alterazioni gravi e dolorose, violenti dolori gastrici, dissenteria, paresi, tremori e infine la morte. Nell'avvelenamento cronico causa stomatiti, caduta di denti, cachessia, nefrite. Le leghe che il mercurio forma con vari metalli, e in ispecie con l'oro e con l'argento, si chiamano amalgami. Il termine, che sembra risalga al greco màlagma (da maldsso 15 Wotan, c o m e g u i d a di Sigmund, aveva a s s u n t o il n o m e ( W o l f e ) e l'aspetto di lupo. Era avvolto in una grigia pelle di lupo, che a b b a n d o n ò sulla terra tornando al Walhalla. Alla figura di W o t a n si addice anche il ruolo di ingannatore (dei Giganti e delle Figlie del R e n o ) .

«rammollisco»), è stato usato da san Tommaso e esprime metaforicamente la coesione, l'unione, la fusione. Per questa proprietà il mercurio si presenta come socievole e benvoluto, come colui che fa facilmente lega con tutti. In metallurgia la capacità del mercurio di sciogliere nella sua densa massa i metalli preziosi è impiegata per la loro finale purificazione. Se il mercurio è mescolato a caldo con rocce triturate contenenti argento nativo, tutto l'argento passa in soluzione nel mercurio. Il mercurio argentifero viene poi distillato in storte cilindriche di ferro e l'argento rimane come deposito. Delicato alchimista, il mercurio estrae l'argento dalla pietra e poi si volatilizza lasciando la polvere lunare a splendere intatta nel fondo della storta.

ANALISI CHIMICA DI CAPPUCCETTO ROSSO

Possiamo ricapitolare le proprietà del mercurio ricordando che esso si amalgama con gli altri metalli, è usato nella cura dei malanni e nella purificazione dei metalli preziosi, e si trova in natura in una forma quasi esclusiva: il rosso cinabro. Esso è altresì l'unico metallo liquido, scorrevole, sfuggente. La fiaba dei Grimm 1 inizia narrando di una cara ragazzina; «solo a vederla le volevan tutti bene». La generale amorevolezza già accenna a amalgami mercuriali, ma il mercurio si fa avanti più palese alla menzione dell'abbigliamento della piccina. La nonna le aveva donato un cappuccetto di velluto rosso, e, poiché le donava tanto ch'essa non volle più portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto R o s s o 2 .

La piccolina è protetta e occultata nel suo cappuccio rosso, che la identifica come «mercurio» nella qualità di metallo nascosto nella pietra vermiglia e solo in quella. Essa ricorda anche il Mercurio divino col suo immancabile pètaso sul capo. Messaggero e ristoratore, come il dio e come il metallo, la bambina si rivela subito, allorché la mamma le dice: Eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è d e b o l e e malata e si ristorerà 3 .

1

Cappuccetto

2

Ibid.

3

Ibid.

Rosso; GRIMM cit., n. 26, p. 120.

E poi le raccomanda di non uscir di strada, di non andar a curiosare in tutti gli angoli (come il fluido mercurio tende a fare) e di non rompere la bottiglia. Questa bottiglia, che la piccina non deve rompere, merita una piccola digressione. Una boccettina o teca di vetro è il luogo dove si raccoglieva il mercurio e avremo occasione d'incontrarla in questa funzione. Sul monte Annata", nel giorno dell'Ascensione (3 maggio), era uso celebrare la festa della Fiaschetta. Donne, uomini e ragazzi facevano intorno ai castagni fitte corone danzanti, e ciascuno portava al collo una fiaschetta di vino brunello. Le fiaschette, scolate in una festa di tonalità dionisiaca, erano buttate in aria e il giorno dopo giacevano sul 4 G . GABETTI, Nel Monteamiata, S. Lapi, Città di Castello 1913. Sul monte Amiata ( T o s c a n a ) erano miniere di mercurio tra le principali d ' E u r o p a ; cfr. cap. 6.

terreno come vetri minutissimi che brillavano nell'erba. Con la sua bottiglia di vinello in mano, Cappuccetto Rosso si inoltra nel bosco. La scena non è descritta. L'incontro col lupo è immediato: « E quando giunse nel bosco, Cappuccetto Rosso incontrò il lupo». Il lupo è il genio del bosco, ed è il diavolo nell'Inferno. Certo è stata poco giudiziosa la madre a mandarla sola così lontana da casa. Recita una scenetta Amiatina: FRATELLO:

MADRE:

Il giudizio d'un p a d r e e di una madre d'ave' una figlia così lontani G e n t e che passa la pole inganna'. L a mia figlia l'è onesta e l'è bona e l'è onesta nel su' parla'. G e n t e che p a s s a la lassano s t a ' 5 .

Invece ecco il lupo, infido e dolciastro, che si presenta amico alla piccina. Ed ella lo ascolta. Ammonirà Perrault: Q u i si vede che i bimbi, ed ancor più le care Bimbe, così ben fatte, belline e aggraziate, H a n torto ad ascoltare persone non fidate, Perché c'è sempre il L u p o che se le p u ò mangiare. Dico il L u p o perché non tutti i lupi S o n d'una specie, e ben ve n'è di astuti Che, in silenzio, e dolciastri, e compiacenti, Inseguon le imprudenti Fin nelle case. Ahimè son proprio questi I lupi più insidiosi e più funesti! 6

Questo lupo dolciastro ha proprio tutte le malizie e insidie del cloruro mercurioso, che già conosciamo col nome di Calomelano (il «bel nero») come prodotto medicinale bianco e dolciastro. In una favola dei Grimm, che possiamo considerare una variante di Cappuccetto Rosso, incontriamo un altro 5 6

ibid. D'ALNOY, PERRAULT et al. cit. (Perrault), Cappuccetto

Rosso, p. 6.

lupo truccato. È la favola de II lupo e i sette caprettini (i sette metalli?) 7 Il lupo cattivo, per non farsi riconoscere, mangia prima un grosso pezzo di creta « e così s'addolcì la voce», poi s'imbianca la zampa di farina. Riuscirà a farsi aprire la porta e ad inghiottire i piccoli imprudenti. Dolce, bianco e infido come il calomelano. Il nome alchemico del cloruro mercurioso era, come s'è detto, quello di draco mitigatus, drago attenuato, mostro nascosto. Questa è la natura del lupo delle fiabe, e precisamente anche quella del calomelano che, per azione degli agenti naturali, si trasforma in una mistura corrosiva grigio-nera, che contiene sublimato corrosivo. Da dolce e mite il lupo si trasforma in caustico e vorace, da bianca polvere in cenere spaventosa. Il mostro nascosto si svela, esprimendo, di fronte all'innocenza della pietra naturale, le pericolose proprietà del mercurio officinale. Il «drago attenuato» si informa sul percorso della 7

GRIMM cit., n. 5, p. 26. Il capro è la mitica preda del lupo.

bambina e sulla casa della nonna. Con voce suadente il lupo s'impegna poi a indurre la bambina a perdere il tono sostenuto e contegnoso e ad abbandonarsi a una dolce festosità dionisiaca. Vedi, Cappuccetto Rosso, quanti bei fiori? Perché non ti guardi intorn o ? C r e d o che non senti neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne vai tutta contegnosa, c o m e se andassi a scuola, ed è così allegro fuori nel bosco! 8

La bambina si lascia sedurre, se ne va fuori del sentiero, e si perde in cerca di fiori. Lo strappo del fiore è il momento della violazione originaria 9 , l'apertura della via verso gli Inferi, che sono in agguato nelle profondità del bosco. Anche Proserpina è intenta a cogliere fiori quando s'apre per lei la via dell'Ade. Q u i pure c'è un Ade appostato: il lupo. D a l sentiero corse nel b o s c o in cerca di fiori. E q u a n d o ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne f o s s e uno più bello e ci correva e si addentrava sempre più nel b o s c o 10 .

Da qui è tutto un precipitare verso l'antro infernale che s'apre con la bocca spalancata del lupo e si chiude con il suo ventre ingordo: M a Cappuccetto R o s s o aveva girato in cerca di fiori, e q u a n d o ne e b b e raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e s'incamminò. Si meravigliò che la porta f o s s e spalancata ed entrando nella stanza e b b e un'impressione così strana che pensò: - O h , D i o mio, oggi, che paura!... 1 1

8

C f r . nota 1.

C a p p u c c e t t o R o s s o s e g u e la tipologia della fiaba cui ci atteniamo: 1. è e s p o s t a al pericolo nel b o s c o ; 2 . s t r a p p a fiorellini proibiti su e s o r t a z i o n e del lupo; 3. s p r o f o n d a nel b u i o attraverso fauci spalancate; 4. risale alla luce a d o p e r a di un cacciatore. T u t t o il p a s s a g g i o nel b o s c o p u ò valere c o m e p e r c o r s o infero, o q u a n t o m e n o la s e c o n d a parte, d o p o l'incontro col lupo e lo s t r a p p o b o t a n i c o . In una variante italiana (cap. 2, nota 2 ) la piccina attraversa un fiume. 9

1 0 C f r . nota 1. Nella fiaba di Perrault (nota 6 ) C a p p u c c e t t o R o s s o coglie a n c h e nocciole. 11

C f r . nota 1.

Il lupo era intanto arrivato alla casetta della nonna. Dopo l'arrivo del lupo, la casetta nel bosco rappresenta un recesso infero, l'apertura del precipizio. Il lupo, con le sue fauci spalancate, va a farvi la parte della bocca della fornace, pronta ad accogliere le rosse pietre del cinabro 12. Prima egli inghiotte le esaurite ossa della nonna, quindi si dispone ad attendere l'arrivo del bocconcino tenerello, della fresca rossa pietra cinabrina. Egli compie il rituale dell'imbiancamento dell'aspetto e dell'addolcimento della voce, come nella fiaba dei Sette caprettini. All'arrivo della piccina, rivela via via la sua natura 13 e infine spalanca la bocca spaventosa e inghiotte tutta intera Cappuccetto Rosso. 11 ventre del lupo è una caverna nel folto del bosco. 1 2 O l t r e che la bocca della fornace, il lupo nero p u ò rappresentare la m a s s a scura e p e c i o s a in cui il mercurio s u b l i m a t o viene a trovarsi sul condensatore del f o r n o , quella che i minatori c h i a m a n o « i n e r i » . D a essa il mercurio viene estratto attraverso m e s c o l a m e n t o con calce. 13 A v v e n g o n o qui le nozze infernali. Nella versione di Perrault (nota 6 ) , C a p p u c c e t t o R o s s o si sveste e va a mettersi a letto, « e lì fu tutta stupita nel vedere com'era fatta la nonna q u a n d ' e r a s p o g l i a t a » .

Vi giace, nell'oscurità, una bella sepolta o addormentata in attesa di un liberatore. Minerale racchiuso nella miniera, o pietra gettata nel forno, il cinabro attende di tornare scintillante mercurio. Il salvatore appare nelle vesti di un cacciatore; la spada che trafigge la belva sono un paio di forbici affilate, che tagliano la pancia del lupo addormentato 14. La ricomparsa della bambina-mercurio è annunciata da uno splendore, da una luce che emerge dall'oscurità. D o p o d u e tagli, vide brillare il cappuccetto rosso e d o p o altri d u e la b a m b i n a saltò fuori gridando: « C h e paura che ho avuto! C o m ' e r a buio nel ventre del l u p o ! » 15 .

Luce che splende nelle tenebre, vita che si rigenera, Cappuccetto Rosso torna, come la Fenice, a rinascere dopo la combustione. Che la pancia del lupo sia forno per la combustione

14 A n c h e Pollicino (GRIMM cit., n. 37, p. 167) finisce nella pancia del lupo. I genitori « c e r c a r o n o un coltello e un p a i o di forbici, gli tagliarono !a pancia e tirarono fuori il p i c c i n o » . 15

C f r . nota 1.

delle pietre, come quello che si usa per la sublimazione del cinabro, è attestato dall'operazione che la bambina salvata compie in chiusura della fiaba. E Cappuccetto R o s s o corse a prendere dei pietroni, con cui riempirono la pancia del lupo 16.

La piccina apparecchia il ventre del lupo per quella operazione dalla quale ella è appena sortita. Lo stesso fanno i Sette caprettini17 nella loro favoletta: Allora i sette caprettini trascinarono in gran fretta le pietre e ne cacciarono in quella pancia quante ne poterono portare... 18

L'estrazione del mercurio nel forno, a partire dalla pietra di cinabro, si svolge in tre fasi. Alla combustione segue la sublimazione, durante la quale il vapore di mercurio si solleva e raggiunge il tetto obliquo del forno. Lì si condensa e scivola lungo la pendenza, andando a cadere in apposito recipiente ricolmo d'acqua. E uno sdrucciolio che abbiamo già incontrato lungo i pendii delle Montagne di Vetro, uno scivolare di gocce condensate che, quando le gocce sono di mercurio, scorrono lungo i declivi della Montagna mitica K'ouen-louen. Dopo la nota fiaba di Cappuccetto Rosso, i Grimm aggiungono una chiosa, nella quale è offerta un'altra versione della fine del lupo. Q u i il nostro Orco, chiamato Testa Grigia, in un'operazione chimica che lascia pochi dubbi, sublima, si condensa e ricade, come fa il mercurio nel forno. ... Testa Grigia gironzolò un p o ' intorno alla casa e infine saltò sul tetto... Ma la nonna si accorse di quel che tramava. Davanti alla casa 16

lb,d.

17

G r i d a il lupo: Romba e rimbomba nella mia pancia credevo f o s s e r o - sei caprettini s o n o pietroni - belli e b u o n i (GRIMM cit., n. 5, p. 2 6 ) .

18

A n c h e Z e u s è sostituito, nella pancia di C r o n o , da un pietrone.

c'era un g r o s s o trogolo di pietra, ed ella disse alla bambina: « P r e n d i il secchio, Cappuccetto Rosso, ieri ho cotto le salsicce, porta nel trog o l o l'acqua dove han b o l l i t o » . C a p p u c c e t t o R o s s o portò l'acqua, finché il g r o s s o trogolo fu ben pieno. Allora il p r o f u m o delle salsicce salì alle nari del lupo, egli si mise a fiutare e a sbirciare in giù, e alla fine allungò tanto il collo che non potè più trattenersi e cominciò a sdrucciolare: e sdrucciolò dal tetto proprio nel g r o s s o trogolo e a f f o g ò 19 .

La trama narrativa di Cappuccetto Rosso segue due tracce riconducibili ai processi chimici del mercurio. Una è il percorso di Cappuccetto Rosso, cioè del rosso cinabro (Hg 2 S). Ella gironzola fino alla bocca del forno, vi scompare dentro e ne emerge scintillante come argento vivo (Hg). Manca in questo percorso la trasformazione più cospicua del mercurio, cioè la sublimazione, la conversione del corpo solido in gas e la sua fuga verso l'alto. Cappuccetto Rosso non si solleva mai, e solo leva lo sguardo, e il cuore, verso la luce che splende tra le chiome degli alberi. Questa traccia prenderà concretezza nel prosieguo della nostra analisi. Il secondo percorso è quello del lupo, che segue la trasformazione chimica del calomelano (Hg 2 Cl 2 ). Da dolciastro e bianco si fa scuro e caustico, come sublimato corrosivo (Hg Cl 2 + Hg). Forse più che il processo sono le sue denominazioni alchemiche che assegnano al lupocalomelano il ruolo di drago acquattato, di occulto divoratore. I due percorsi s'incontrano quando il cinabro (Cappuccetto Rosso) finisce nel fuoco e il calomelano (il lupo) ha esaltato al massimo la sua ingorda causticità. Il mercurio si autodivora. Quel che conta è che nella fiaba si svolgono processi mercuriali, con le loro variazioni cromatiche e di stato, precisamente commentati dal lessico alchemico e farmacologico. Questo attesta la carica drammatica che i com19

C f r . nota 1.

posti mercuriali poterono avere ai tempi in cui la fiaba assunse l'attuale composizione. Solo nella coda della fiaba si verifica la sublimazione. E il lupo Testa Grigia che si solleva sul tetto, sdrucciola, sdrucciola e ricade da basso 20. Q u i parrebbe aver luogo uno scambio delle parti, perché il processo si addice specialmente al mercurio del cinabro. Ma anche il calomelano si ottiene per sublimazione, riscaldando un miscuglio (grigiastro) di quattro parti di sublimato corrosivo e tre parti di mercurio metallico 21 . Testa Grigia è un mercurio sublimato, opportuna chiosa alla fiaba e suo finale granguignolesco, giacché il terribile e sublime Mercurio precipita e muore nell'acqua di bollitura delle salsicce. La fiaba di Cappuccetto Rosso è mercuriale non solo per le chiavi interpretative che le fornisce il metallo liquido. Essa sa di mercurio per un richiamo costante al dio messaggero greco-romano, e al suo corrispondente germanico Odino-Wotan. Il mercurio le assegna inoltre un topos geografico, sulla montagna toscana che per millenni è stata sorgente mediterranea del mercurio, il monte Amiata. I boschi di castagni e le rare querce della montagna serbano lontani cenni della fiaba che si intravedono in una leggenda medioevale e in più recenti narrazioni locali, giunte fino alla soglia dei nostri giorni. L'umile racconto della bambina nel bosco risuona di corni di antiche cacce reali, e si affosca del fumo di un acre fuoco boschivo. 2 0 Q u e s t a versione del finale di Cappuccetto Rosso ha un parallelo nella f i a b a mantovana Le tre casette-, « L a sera nevicava. L a Marietta si scaldava al focolare, q u a n d o sentì un r u m o r e per la canna del c a m i n o . - Q u e s t o è il lupo che viene a mangiarmi - p e n s ò . P r e s e un p a i o l o d ' a c q u a e lo mise sul f u o c o a bollire. Piano piano, piano piano, il lupo s c e n d e per il camino, spicca un salto credendo di saltare a d d o s s o alla ragazza e invece casca nell'acqua bollente e resta cotto. C o s ì la scaltra Marietta si liberò del nemico e visse tranquilla per tutta la vita» (CALVINO cit., voi. 1, p. 142). 21

V. nota 12 al cap. 4.

L'ALBERO D E L MERCURIO

Nel medioevo l'estrazione del mercurio dal cinabro era praticata, entro i boschi amiatini, all'aria aperta in uno scenario tra il sacro e il diabolico, tra lingue di fiamma e dense fumate. Contro il tronco degli alberi dalle foglie più ampie e folte si raccoglievano fascine di rami e foglie secche e si dava loro fuoco. Quando le fiamme erano alte, si gettavano nel fuoco le pietre incrostate di cinabro. Nell'aria soffocante il cinabro liberava vapori di mercurio che, sublimando, sospinti in alto dal forte calore, andavano a condensarsi sulle foglie fresche. Lassù formavano minute goccioline di mercurio liquido che, quando la chioma era attraversata dai raggi del sole, o illuminata da fiamme notturne, dovevano rilucere in un vivido splendore. Crescendo, le goccioline cominciavano a sdrucciolare sulle pagine fogliari e ricadevano in terra all'esterno dei fuochi, sui prati. I boscaioli si chinavano allora a raccogliere l'argentea rugiada, e la ponevano in piccole teche di vetro, come tesori sacri e terribili. L'operazione boschiva era la stessa che gli alchimisti praticavano nei loro laboratori usando, come condensatori, alberelli freschi racchiusi entro una casetta di mattoni. E la tecnica che troviamo descritta da Agricola in De Re Metallica2. Nel tardo medioevo la raccolta del mercurio era con1

G . VOLPINI cit., c. 5, nota 6 p. 95. Notizie riferite dall'ing. V i n c e n z o

2

AGRICOLA cit. (v. nota 9 al c. 4 ) .

Spirek.

siderata una pratica empia e il metallo liquido era ritenuto emblema del diavolo. Nel 1273 l'arcivescovo di Parigi stabilì con una bolla la condanna al rogo per chiunque detenesse mercurio, anche in piccole quantità. Alcuino, lo storico di Carlo Magno, narra che un giorno 3, in Aquisgrana, si presentò a re Carlo un forestiero, che prometteva all'imperatore la signoria di tutto il mondo. Per dare prova della sua potenza, il forestiero sollevò un massello d'argento e lo strinse con gran forza nel pugno, finché il metallo non scivolò giù come argento vivo e si raccolse in un vaso. Carlo, ritenendo che ciò avvenisse per arte di magia, ordinò che si arrestasse lo straniero, ma questi scomparve improvvisamente alla vista di tutti, con il suo vaso \ Lo splendore sacro del mercurio condensato sugli alberi riverbera da una narrazione riferita ad un periodo di poco precedente quello di re Carlo. E la storia di un re longobardo, Rachis, vagante nella campagna toscana e approdato alle pendici del monte del mercurio. Rachis fu eletto re dei Longobardi nel 744 e di lui si narrava che avesse voluto farsi monaco benedettino e girasse per la Toscana, con la moglie e la figlia, cercando un luogo sacro, lontano dagli uomini, per fondarvi un monastero. Egli giunse infine sul monte Amiata, ove era apparsa una luminosa visione, e ivi fondò un'abbazia che ancora vi si trova, alla periferia del paese di San Salvatore. Un manoscritto d'un monaco cistercense del XVI se5 colo così narra la visione di re Rachis: M e n t r e c o n d i l i g e n z a d a p e r t u t t a la T o s c a n a c e r c a v a l u o g h i a d a t t i , al dire della f a m a , c h e niente tiene occulto, intese che nel m o n t e A m i a t a , 3

G . VOLPINI c i t . , p . 9 4 .

U n a simile prova di forza si ritrova in una favola dei GRIMM cit. (Il prode piccolo sarto; n. 20, p. 9 4 ) , ove un gigante « p r e s e in m a n o una pietra e la strinse f i n o a f a m e gocciolare a c q u a » . 4

5

Ritrovato d a l Volpini (cit.) nell'Archivio di Stato di Firenze.

in un luogo altissimo e assai discosto dalle riunioni degli uomini, guardiani di p o r c i 6 erano soliti, in un albero bellissimo, vedere uno splendidissimo lume or uno or trino. Il che udendo Rachis Re, anziché monaco, fu ripieno di grandissimo gaudio perché comprese che un tal prodigio non avveniva senza volontà di Dio. [Il re manda legati a verificare il prodigio.] Avendo loro i guardiani indicato l'albero, nella prima notte... videro uno splendidissimo fulgore calare dal cielo sull'albero 7 E ivi, da loro in piena veglia, il suddetto fulgore venne veduto or trino or uno, chiaramente per tre ore intere. [Il prodigio si verifica per tre giorni consecutivi.] Tosto i legati imperiali, rallegrati da così certa e grande visione, considerando bene con gli occhi e con la mente detto albero, con gaudio grandissimo tornarono al Re... Rachis Re - e veramente Re e non anco monaco - acceso dal f u o c o del divin amore, a w i o s s i al Monte (ormai detto M o n t e della f e d e ) con tutto l'esercito. M a come vide ov'era il detto albero ed il luogo amenissimo per la bellezza degli alberi e per l'abbondanza delle acque che vi scorrevano convenientissime, rese grazie grandi al Creatore del tutto... Ma subito tagliati e diradicati in giro gli alberi di quel luogo... costituirono una chiesa conveniente in onore del Salvatore Signore N o s t r o G e s ù Cristo, con celere apparecchio, e fu fabbricato l'altare maggiore ov'era stato l'albero in cui era stato veduto l'igneo fulgore...

Il culto dell'albero indica che la leggenda cristiana è stata prima una saga germanica e che l'albero adorato dal re longobardo corrisponde al sacro frassino, posto al centro del culto dei popoli germanici, l'immenso Yggdrasill, asse del mondo, dimora del sovrano Odino o Wotan. Lo splendore tra le frasche dell'albero, descritto come «or uno or trino», ci accosta al culto di Odino, prima 6 N e l l a mitologia i guardiani di porci s o n o adepti della D e a M a d r e , che qui a p p a r e nel s u o avatara a r b o r e o . 7 P o c o più avanti si chiarisce che il fulgore sale dalla terra (risorge) v e r s o l'albero, vi resta per tre ore e poi ricade (ritorna) nella terra. C o s ì continua la cronaca: al terzo giorno, ai legati regi a p p a r e « u n fulgore d i f u o c o c o m e prima, r e s t a n d o ivi per tre ore... Q u i n d i poi, mentre la luce risorta ritornava nella terra...». L a ricaduta al s u o l o non s ' a d d i c e certo a una d i s c e s a divina, e par riferirsi a un'entità che si solleva dalla terra ( s u b l i m a z i o n e ) e vi ricade ( d o p o c o n d e n s a z i o n e ) , e q u i n d i al mercurio liberato d a l cinabro c o m b u s t o . Ai tempi di Rachis, le miniere di mercurio del monte Amiata erano in funzione, c o m e prova il reperimento, nelle miniere di C o m a c c h i o e del Siele, di strumenti e monete dell'epoca di Carlo M a g n o . N o n v'erano altre miniere attive di mercurio nel m o n d o c o n o s c i u t o , poiché, q u a n d o gli Arabi o c c u p a r o n o la S p a g n a nel VII secolo, le miniere di A l m a d é n f u r o n o a b b a n d o n a t e (VOLPINI cit ).

ancora che alla Trinità cristiana. Era infatti Odino rappresentato da tre persone: Odhinn, Vili e Vé (o Odhinn, Haemir e Lòdhurr, nella Vòluspà). Come Cristo sulla croce, Odhinn si sacrifica sull'albero cosmico per possedere le rune, cioè la conoscenza oscura, magica e profonda. Dall'albero piovono gocce di luce. Dice la Vòluspà: Io conosco un frassino irrorato che si chiama Yggdrasill, alto albero sacro, bianco d'argilla; di là provengono le gocce di rugiada che cadono sulla valle 8 .

Tra le divinità germaniche, Odino-Wotan corrisponde a Mercurio. Egli è il dio viandante nei boschi e portatore d'un cappuccio (Sidhòttr) che gli copre il volto. L'inglese Wednesday (giorno di Wotan) corrisponde al nostro mercoledì (giorno di Mercurio). Se l'albero che Rachis vede splendere è il sacro Yggdrasill, esso è l'albero del Mercurio nordico, e la sua rugiada sono cadenti gocce di argento vivo. Anche il metallo mercurio è uno e trino, esso è la pietra originaria degli alchimisti che genera tutti i metalli. Nel Manuscriptum di P.G. Fabre (fine Cinquecento) si legge: L a nostra Pietra si presenta trina e una: trina perché in essa sono il sale, il mercurio e lo zolfo, una perché questa triade costituisce un oggetto o m o g e n e o e affine. In conseguenza la nostra Pietra è una, tuttavia in essa si ritrovano una trinità e una unità come in Dio... E s s a contiene il simbolo della divinità che è trina e una.

Nella iconografia alchemica la luce stillante dall'alto come celeste rugiada è il mercurio ed esso rappresenta la parola di Dio. Questa manna mercuriale si ritrova in illustrazioni alchemiche, come nel Tractatus qui dicitur Thomae Aquinatis de alchimia (Leida, ca. 1526). In una Epi8

Vòluspà,

str. 19.

fania del Bosch la manna cadente dal cielo è raffigurata sulla bianca manica di Baldassarre. L'albero del re Rachis è rappresentato, in un affresco del Nasini (1652) nella cappella dell'Abbazia di San Salvatore, con tre tronchi. Nelle fronde unite appare in una gran luce il Cristo con una triplice face. Di fronte all'albero si vedono, in ammirazione, il re a cavallo, con la moglie, la figlia e la sua corte. Forse è in memoria di quell'albero che gli Amiatini issavano un arbusto nella festa dell'Arboscello, l'ultimo giorno di Carnevale. Nel dramma che si recitava sotto l'albero figuravano re, regine, conti, baroni, guerrieri ed angeli. Un altro albero veniva piantato in mezzo alla piazza nella festa dell'Ascensione (3 maggio) a Santa Fiora, sull'Annata. Intorno si facevano feste religiose e si adunava gran folla, e molti avevano il volto coperto da cappucci. Or ecco che tra la folla avanza una strana e drammatica trinità: Fra gli incappucciati, tre figure umane si avanzano ad una certa distanza le une dalle altre: sono tre uomini giovini, l'uno in cappa rossa, gli altri due bianca, con mantellina azzurra, curvi ciascuno sotto il p e s o di un enorme tronco n o d o s o fatto a croce, che grava sulla loro schiena e che essi devono portare sul percorso della processione. Gli sguardi della moltitudine sono fissi su quegli uomini ansanti, deformati, contorti in tutte le membra, pavonazzi nel viso e nel collo con gli occhi schizzanti dalla disumana fatica 9 .

I tre tronchi dolorosi portati in processione dai tre Cristi (uno recante un cappuccio rosso) si possono collegare ai tre tronchi gloriosi dell'albero di Rachis, nella versione Nasini. Di essi si trova cenno nella fiaba di Cappuccetto Rosso. Quando la bambina indica al lupo la casa della nonna, ella dice: Ancora un buon quarto d'ora più oltre nel b o s c o , sotto grandi querce, là è la sua c a s a . . . 1 0 9 10

G . GABETTI cit. ( v . n o t a 4 al c. 5 ) . GRIMM cit., n . 2 6 , p .

120.

le tre

Alla domanda del lupo: Wo wohnt deine Grossmutter? (dove abita la tua nonna?), Cappuccetto Rosso risponde: Unter den drei grossen Fichbàumen (sotto le tre grosse querce), come se la nonna abitasse sotto gli alberi, e precisa: Da steht ihr Haus (là sta la sua casa). Poi aggiunge: Untern sind die Nusshecken (sotto sono i noccioli, impropriamente tradotto, nella versione che seguiamo: « E sotto la macchia di noccioli») 1 1 . Come possono i noccioli essere "sotto" la casa? Questa strana descrizione della nonna sotto le querce e sopra i noccioli acquista senso se si immagina la casa della nonna come la camera a volta per l'estrazione alchemica del mercurio. Lì gli alberelli sono dentro la casetta; sotto gli alberelli sono le fascine (noccioli?) su cui è posta la pietra di cinabro (la nonna?). 11 motivo delle querce ricorre in altre favole. La guardiana d'oche alla fonte «giunse a una sorgente dove c'erano tre vecchie querce» 12. La guardiana era figlia di re, era nascosta da una pelle che le dava l'aspetto di un capriolo e fu sposa d'un principe ch'era stato costretto a portare un così pesante fardello da divenire «rosso in faccia come un tacchino»... L'albero protettore si trova in altre fiabe. In Fratellino e sorellina13 è un albero cavo, come il frassino Yggdrasill: L a sera giunsero in un gran b o s c o ed erano così stanchi per il pianto, la f a m e e il lungo cammino, che si misero dentro un albero cavo e si addormentarono. L a mattina d o p o , q u a n d o si svegliarono, il sole era già alto nel cielo e i suoi raggi penetravano ardenti nell'albero.

Strana dizione questa, che fa intravedere tra le chiome «l'igneo fulgore» del re longobardo, e che s'incontra anche nella fiaba di Cappuccetto Rosso: " Grimms

90

Marchen,

M a n e s s e Verlag, Zùrich 1946, p . 201.

12

GRIMM c i t . , n . 1 7 9 , p . 6 8 3 .

13

Ibid., n. 11, p. 50.

Cappuccetto R o s s o alzò gli occhi e... vide i raggi di sole danzare attraverso gli alberi.

I bambini proseguono nel loro cammino e incontrano tre sorgenti. Sono tre le sorgenti a cui portano le radici del frassino Yggdrasill. Ad una di queste sorgenti si recò Odino, e chiese di bere un sorso, ma l'ottenne solo al costo di subire una trasformazione 14. II fratellino ha sete, ma alla prima sorgente può bere solo trasformandosi in tigre, alla seconda deve trasfor-

14

Vòluspa,.str.

28.

marsi in lupo, alla terza cede alla sete e si trasforma in capriolo. La fanciulla e il capriolo proseguono finché giungono a una casetta nel bosco dove trovano rifugio. Ed ecco giungere nei paraggi un re cacciatore con tutto il suo seguito. Sembra d'udire i corni di caccia del re Rachis. Il prodigio cui assistono i cacciatori reali nella fiaba è il colloquio tra la fanciulla e il capriolo, ma i termini con cui esso è narrato al re sono simili a quelli della leggenda: Il cacciatore tenne tutto a mente, a n d ò dal re e gli raccontò quello che aveva visto e udito

dice la fiaba. E la leggenda: Tosto i legati imperiali, rallegrati da così certa e grande visione, considerato bene con gli occhi e con la mente detto albero, con gaudio grandissimo tornarono al re 16.

E il re va di persona ad assistere al prodigio. La trasformazione cui Odino è costretto per abbeverarsi alla fonte consiste nella perdita di un occhio. Nella fiaba che stiamo commentando è la sorellastra dei due bambini che compare in scena «con un occhio solo». Alla fanciulla trovata nel bosco, che nel contempo è diventata regina e madre, tocca un'altra sorte che ci riporta d'improvviso in mezzo ai rituali infocati dei boschi del mercurio. Ella è trascinata in uno stanzino dove è sottoposta a combustione e sublimazione: Ma nella stanza da b a g n o avevano acceso un f u o c o d'Inferno, così che la bella giovane regina ne fu presto s o f f o c a t a 17.

Ella diviene una silenziosa immagine di sogno, che appare tre volte nella stanza oscurata del bambino, sinché, 15

C f r . nota 13.

16

G . VOLPINI c i t .

' ' C f r . nota 13.

alla terza, richiamata dal re, torna in vita, «fresca, rosea e sana». Sul monte Amiata si narra una più breve, e raccapricciante, storia di Fratellino e sorellina 18. I due bimbetti vanno dritti dritti incontro, gongolanti e birichini, alla sorte della pietra di cinabro, che «nera, rossa, incandescente, fumante», arde e si consuma alla base del grande castagno cavo. I bimbi accendono da soli il fuoco nell'albero, e quando il fuoco li raggiunge, «scattano in disperatissimi strilli, tosto soffocati dall'aria irrespirabile». Così dice la fiaba: D u e fratellini, b i m b o e bimba, erano nel castagneto poco più su delle case, alle Bàgnore: cinque anni l'uno, quattro l'altra, e anche il maschietto aveva le gonnelline. Cominciava il novembre, la castagnatura era terminata, le foglie dorate erano cadute sulle piagge sempre verdi, il vento le aveva mulinate e poi a m m a s s a t e qua e là a j piè degli alberi; ma quel giorno il tempo era splendido: poco freddo, un sole di primavera, un azzurro da esilarare lo spirito dei malati e dei vecchi. I d u e bambini erano usciti soli, al mattino, come sempre solevano, e farfalleggiavano per le piagge, sotto i castagni, e si rincorrevano, si rotolavano per l'erba come per beverne la freschezza... O r ecco che un pensierino folle viene in mente dell'uno o dell'altra e se lo comunicano tutti allegri e contenti, gongolanti di felicità: - Sì, sì... bene! Vedrai che fumone! - Tornano in casa, e non c'è nessuno: la nonna, povera vecchina, è in faccende, forse a dare il becchime ai polli, forse a sprimacciare e rifare il letto dei bimbi; il b a b b o è morto, la mamma è in M a r e m m a per la raccolta delle olive, a guadagnare qualche soldarello di più per la vernata. Entrano i due bimbi in cucina, tolgono di su il camino un fiammifero, e via fuori di nuovo, a salti, verso un castagno buco: lì intorno pigliano a manatine le foglie cadute, quelle più secche, le ammucchiano intorno alla fessura del vuoto pedone, e ve le pigiano con le mani e coi piedi... - Sì, sì, bene! C h e f u m o n e faranno! - Q u a n d o le foglie s o n o tutte dentro, entrano anche loro. P o c o d o p o dalla fessura esce una nuvoletta di fumo; si o d o n o per un momento le due vocette infantili metter gridi di gioia e un batter di mani festoso. Poi, silenzio. Il f u m o esce più d e n s o e più nero, le foglie arse scoppiettano e schioccano, qualche lingua di f u o c o 18

C f r . nota 9.

esce dal castagno vuoto. Ecco ora che le vocette infantili scattano in disperatissimi strilli, tosto soffocati dall'aria irrespirabile; poi di nuovo si fa silenzio, ma dalla fessura esce un involto nero, rosso, incandescente, fumante: rotola un p o c o sull'erba e resta lì ad ardere, a consumarsi come una torcia funebre... Q u a n d o la nonna e qualche contadino sentirono il puzzo della carne umana bruciata, e videro il fumo, corsero subito angosciosamente al castagno; ma il b i m b o rimasto nell'albero era carbonizzato di già; e la bimba, l'involto sbucato dalla fessura, la torcia di tenera carne, dava gli ultimi guizzi.

La fine della bambina boschiva, birichina e dissennata come Cappuccetto Rosso, acquista realismo attraverso il riferimento descrittivo al corpo rotolante, «nero, rosso, incandescente, fumante», che è pietra cinabrina arroventata sulle fascine o sulle foglie ardenti. Difficilmente si possono immaginare termini come nero-rosso e incandescente riferiti a un corpo umano. La combustione-consumazione di Cappuccetto Rosso avviene in metafora. Il suo ingresso nel forno-fuoco è rappresentato dall'inghiottimento, in un sol boccone, nelle fauci del Lupo. - C h e bocca spaventosa! - Per meglio divorarti. E subito il lupo... ingoiò il povero Cappuccetto R o s s o

19

.

La fine di Odino, del dio dal cappuccio, è ben conosciuta. Siamo al Crepuscolo degli dèi, e sul mondo in dissoluzione, Odino è divorato dal grande lupo Fenrir, che lo inghiotte nelle sue immense fauci. E il terribile ragnarfikkr, la fine del mondo, ...èra di venti, èra di lupi prima che il m o n d o crolli 2 0 . Il lupo Fenrir avanzerà con le fauci spalancate, la mascella superiore contro il cielo e quella inferiore contro la terra; ma le spalancherebbe w

C f r . nota 10.

20

Vóluspà,

str. 45.

di più se ci f o s s e p o s t o 2 1 . . . O d h i n n cavalcherà verso la fonte di Mìmir al quale chiederà consiglio per sé e la sua stirpe. Il frassino Yggdrasill si scuoterà e nulla sarà senza terrore, né in cielo né in terra. ...il lupo ingoierà Odhinn, e questa sarà la sua morte 2 2 . Va il figlio di Odhinn a combattere col lupo... al figlio di Hvedhrungr 2 3 con la mano conficcherà la s p a d a fino al cuore... Il sole si oscurerà sprofonderà la terra nel mare, saranno tolti dal cielo gli astri splendenti; infurieranno il f u m o e il fuoco, le fiamme lambiranno il cielo 2 4 .

Tutto il mondo si rigenera come pietra nel forno. Poi la terra tornerà verde e bella, e gli dèi sopravvissuti si siederanno assieme a conversare ricordandosi delle loro rune e del lupo Fenrir. La infocata metamorfosi del mercurio ha lasciato tracce in altre fiabe. In una d'esse incontriamo un ragazzetto in giro per il bosco. Egli passa quando tutte le favole sono già passate, tutte le feste concluse; tutti i fuochi spenti e il mercurio è rimasto come Lo spirito nella bottiglia25. Il viandante nel bosco è uno studente universitario, ma ancora sbarazzino e allegro, come gli altri folletti del bosco. Incontra una quercia secolare e sotto la quercia trova la fiaschetta col mercurio. Questo gli si rivelerà per 21 Edda di Snorri, Rusconi, Milano 1975, p p . 148-149. C o n t i n u a : « D a i suoi occhi e d a l s u o n a s o e r o m p e r a n n o f i a m m e » . Il lupo a p p a r e c o m e d r a g o e c o m e f o r n o acceso. 22

lbid., p. 150.

23

II lupo. str. 46-54.

24

Vòluspd,

2 5

GRIMM c i t . , n . 9 9 , p . 4 2 8 .

la sua potenza astuta e terribile, e mitigato, per le sue tradizionali proprietà di molcere i metalli (tirar fuori l'argento dal ferro) e medicare i malanni. Lo studente va nel bosco con il padre a tagliar legna, «ed era allegro e spedito». Q u a n d o il padre lo invita a riposare, risponde: - Riposatevi pure, b a b b o ; io non sono stanco; andrò un po' a zonzo per il b o s c o , in cerca di nidi. - Tu, farfallino, - disse il p a d r e - dove vuoi bighellonare?... Ma il figlio andò nel b o s c o , mangiò il suo pane ed era tutto allegro, e guardava tra il verde dei rami, se mai potesse scoprire un nido. Così girellando, arrivò a una quercia paurosa, che certo era vecchia di molti secoli, e le spanne di cinque uomini non l'avrebbero potuta circondare... All'improvviso gli parve di udire una voce. Ascoltò e sentì come un cupo grido: - Fammi uscire, fammi uscire! - Si guardò intorno; ma gli parve che la voce uscisse di sottoterra. Allora gridò: - D o v e sei? - La voce rispose: - S o n qua sotto, fra le radici della quercia. F a m m i uscire, fammi uscire - . L o scolaro si mise a rimuover la terra sotto l'albero e a cercar tra le radici, finché, in una piccola cavità, scorse una bottiglia. L a sollevò e la tenne controluce e vide un cosino a forma di rana, che saltellava su e giù. - Fammi uscire, fammi uscire! - gridò di nuovo; e lo scolaro, che non s'aspettava nulla di male, tolse il tappo dalla bottiglia. S u b i t o ne uscì uno spirito, e si mise a crescere, e crebbe così in fretta, che in pochi istanti si rizzò davanti allo scolaro, come un orrendo mostro, che arrivava a metà albero. [Lo spirito lo minaccia di rompergli il collo e grida:] - Credi f o r s e che io sia stato rinchiuso tanto tempo per grazia? N o , era per punizione. Io sono il potentissimo Mercurio; a chi mi libera devo rompergli il collo. - [Lo scolaro riesce a convincere lo spirito a rientrare nella bottiglia,] ma appena fu dentro, lo scolaro rimise il tappo, gettò la bottiglia al suo antico p o s t o fra le radici della quercia, e lo spirito fu g a b b a t o . [Rinnovate preghiere e promesse dello spirito nella bottiglia finiscono per convincere lo scolaro ] Tolse il t a p p o e lo spirito uscì c o m e la prima volta, s'ingrandì e diventò c o m e un gigante. - A d e s s o avrai il tuo premio! - disse; porse allo scolaro uno straccetto grande come un cerotto e disse: - Se con un capo tocchi una ferita, la risani; e se con l'altro tocchi ferro e acciaio, lo tramuti in a r g e n t o 2 6 . 26

Ibid.

Lo studente sperimenta le virtù mercuriali. Passa un capo del cerotto sull'ascia d'acciaio e la tramuta in argento. Ne cava quattrocento scudi. Trecento ne dà al padre e col resto del denaro, tornò all'Università e continuò a studiare; e siccome col suo cerotto poteva risanare tutte le ferite, diventò il dottore più f a m o s o in tutto il m o n d o 2 7

La storia dello studente si svolge tra i boschi in qualche località dove si trovavano miniere di mercurio, e dove si praticava, nei secoli addietro, quando l'antica quercia era ancora giovane e fronzuta, l'estrazione del mercurio sotto gli alberi, come ai tempi dei Longobardi. In margine alla leggenda del re Rachis si narra che la moglie del re, Erminia, si sarebbe fatta anch'essa monaca, costruendo un modesto oratorio, non lontano dal monastero, che fu chiamato l'Ermeta. Il mercurio (Hermes) domina tutta la storia. Questa contrada è ricca ancor oggi di cinabro e fu fra quelle che alla fine del X I X secolo per prime furono acquistate per l'esplorazione del sottosuolo alla ricerca del mercurio 28. Anche la figlia di Erminia, Rotruda, vestì l'abito dimesso della monachina e le due «condussero la vita con santa cautela e regolare distinzione». Rotruda (o Rotrudis) viene dall'antico germanico Hrödtrüd, col valore di roth-traut, la «rossa Amata» 29. Trud (Traut, Traude) può avere anche il significato di fanciulla, di vergine (Thrud, come in Gertrude). E allora Rotruda avrebbe il preciso valore di «Vergine rossa», di «Bambina in rosso». Cappuccetto Rosso era forse, lei, la figlia del re Rachis. Mi sia concesso allora di immaginarla, con il suo 27 28

29

schichte,

\b,d. G . VOLPINI c i t .

E r n s t FRAENKEL, Indogermanische H e i d e l b e r g 1922.

Eigennamen

als Spiegel der

Kulturge-

cappuccio di monachina, recante il cestino con le offerte per la santa messa. Ella è avviata lungo il sentiero dei castagneti del monte Amiata, verso le tre grosse querce mercuriali.

L ' U C C I S I O N E D E L DRAGO

L'essere malvagio che divora Cappuccetto Rosso è un animale loquace e balordo, che mescola alla natura belluina la natura umana, più quella d'un manigoldo che quella di un assassino. Il divoramento della bambina è un doveroso ossequio che egli presta al suo ruolo di ingoiatore, ma è privo di ferocia, incruento. La piccina è inghiottita come un'ostia benedetta senza digrignamenti e masticature, senza un goccio di sangue, senza uno strillo. E un ratto dalla luce alle tenebre, come quello di Kore ad opera di Ade. Uscendo dal baratro che l'ha accolta, Cappuccetto Rosso non lamenta dolori o ferite, ma solo una gran paura del buio.

Il lupo appartiene a quel genere di spauracchi che nella narrativa mediterranea passa sotto il nome di Orco. Insaziabile divoratore, l'Orco è come il Tempo che mangia i suoi figli, li inghiotte e li risputa in una perenne rigenerazione. E come la Natura selvaggia. In una prospettiva mineraria, l'Orco rappresenta le viscere della terra e in una prospettiva metallurgica rappresenta il forno della fu-

sione e purgatura dei minerali. Le sue fauci sono aperture d'abisso o bocche di fornace, il suo ventre è luogo di trasformazione, acqua o fuoco; l'essere che ne esce è ringiovanito, splendente, rinnovato. Nella favola de II lupo e i sette caprettini1 le vittime sono sette, che è il numero canonico dei metalli e dei pianeti. Anche nella famosa fiaba di Pollicino 2 le vittime dell'Orco sono sette, prima sette fratellini e poi sette piccole orchessine. Pollicino e i suoi fratelli, smarriti nella foresta, arrivano ad una Casina, dove un Orco voracissimo inghiotte bambini. Apre loro l'orchessa: Ahimè! Miei poveri bambini dove siete capitati? N o n sapete che questa è la casa di un Orco che mangia tutti i b a m b i n i ? 3

L'orchessa nasconde i bambini, ma l'Orco-fornace li avverte all'odore («Sento odore di carne viva»), li cattura e li prepara per l'infornata del giorno dopo. I sette bambini sono messi in un lettone nella stessa stanza dove dormono le sette figlie dell'Orco, in un altro lettone. Durante la notte Pollicino cambia le sette coroncine delle orchessine con i sette berrettini di famiglia. L'Orco, nel buio, cerca i bambini tastando le loro teste e confonde le sue figliole con i suoi prigionieri. Taglia a tutte la gola e poi s'accorge dell'orribile scambio e si getta alla rincorsa dei monelli con gli stivali delle sette leghe. L'Orco, erede dell'antico Kronos, ha compiuto l'operazione che gli è destinata, che è quella appunto di divorare i propri figli. E nel compierla, ha dato manifestazione di estrema goffaggine. Anche i lupi delle fiabe dei Grimm sono furbastri nel raggiungere le prede ma, una volta compiuto l'inghiottimento, cadono in un 1

GRIMM c i t . , n . 5, p . 2 6 .

2

D ' A L N O Y , PERRAULT e t a l . c i t . , p . 4 0 .

3

Ibid.

sonno dissennato e sono facile preda del vendicatore. Gli Orchi sono quasi assenti nelle favole dei Grimm. Se ne incontra uno in Messer Babau ed è un eccelso esempio di storditezza. Alcuni miseri esserini gliene fanno di tutti i colori: il gatto gli butta la cenere in faccia, l'anitra gli schizza l'acqua addosso, l'uovo gli impiastriccia gli occhi, lo spillo e l'ago lo pungono. Nella fiaba italiana, l'Orco è invece un personaggio ricorrente. Tra l'umano e il bestiale, ricorda i personaggi della corte dei Giovanni, Gianni, Giovannino, Zanni, Ivan. II. suo ruolo, come abbiamo già discusso, è quello della cavità che accoglie la vittima e la rigetta. Egli è il mostro, il drago degli antichi miti. Lo si distingue dall'operatore - mago, fata, nano o diavoletto - oltre che per la sua inaudita ingordigia, per la sua patetica rozzezza. Egli è proprio il privo di intelligenza, il vacuutn, e sta a rappresentare l'animalità primordiale, la naturalità originaria, destinata ad essere abbattuta e rimpiazzata dall'artificio dell'eroe. Talvolta la sua ingordigia si esercita sullo stesso eroe, talaltra su una creatura debole, e l'eroe svolge il ruolo del salvatore che sottrae la vittima alle fauci o al ventre del mostro. Nelle fiabe siciliane, la sua natura umano-bestiale è designata dal nome doppio, Padredrago, con cui lo si presenta. Nonostante la sua capacità trasformista e stregonesca, non rivela mai la prudenza e la saggezza del mago. Come un povero contadino o un boscaiolo, è di solito ammogliato con una «mammadraga», e vive a casa con i figli. Così lo descrive Pitré 5: Il padredrago ha qualche cosa di animalesco, di mostruoso, di brutale, che lo allontana assai dal tipo del vero mago, il quale si presenta, per lo più, sotto forma di uomo, mentre il drago è tuttavia d u b b i o tra la A

GRJMM c i t . , n . 4 1 , p .

5

G . PITRÉ, Studi di Leggende...

183.

cit., p. 25.

natura umana e la bruta... È il lato d e b o l e di questi mostri che finiscono sempre vittime della loro stessa imprudenza e della loro scioccaggine. L a loro fine è la morte, sia in una calcara sia in una caldaia d'olio bollente, sia impegolati, sia precipitati giù da balconi, sia buttati in un forno.

È la fine della pietra metallifera, ma una fine senza resurrezione, come d'infornata mal riuscita di pietra di scarto priva di vero metallo. La brutta fine dell'Orco ad opera d'un piccolo eroe e d'una eroina è l'evento centrale di molte fiabe e rappresenta il trionfo dell'arguzia sulla storditezza, quasi, se pur non esattamente, del bene sul male. Il «bene» che vince è sempre piccino, spesso apparentemente sciocco, ma dotato d'un cervello fino che lo conduce alla vittoria. Il «male» è grande e poderoso, furbastro ma infine sciocco, mago potente ma destinato allo sbaglio fatale che lo farà soccombere. Tutta la storia del mondo si svolge attraverso queste successioni dinastiche, questi passaggi di potere dal grande sciocco al piccolo furbo, dal mostro al prode. Ma la successione gloriosa segna sempre anche un momento di caduta. Il grande ingenuo rappresenta un'epoca di innocenza e di semplicità, il piccolo furbo inaugura un'epoca di astuzia e di abilità. Il mostro è la montagna sacra, l'eroe è lo scalatore dissacrante. Il mostro è la pietra intatta, non toccata da ferro, l'eroe è il piccone che viola la pietra. Il lupo della fiaba, che è l'ultima versione del mostro mitico, compie la sua opera di divoratore di vergini, obbedisce alla pia funzione di potenza cosmica che deve rinnovare la sua energia. La bambina è di contro oziosa birichina e disobbediente e incappa nel castigo che si è meritata. Nella storia di Pollicino 6 l'eroe è un concentrato di 6

C f r . nota 2.

piccolezza e furbizia, l'Orco enorme è un monumento di goffaggine e ingenuità. Pollicino s'impossessa degli stivali dell'Orco addormentato e corre a raccontare alla signora orchessa che suo marito è vittima di ladri: questi chiedono un riscatto e lui è lì per far da mediatore. La brava donna, piena di spavento, gli consegnò immediatamente tutto quello che aveva, giacché quest'Orco, in fin dei conti, era per lei un buon marito, quantunque f o s s e ghiotto di bambini. Pollicino, carico di tutte le ricchezze dell'Orco, tornò a casa di suo padre, ove fu accolto con grandissima allegria 7

L'azione di Pollicino non è delle più nobili, tanto che lo stesso Perrault deve cercare qualche giustificazione. L'Orco è invece il «buon marito» di una «brava donna». Il ruolo di custode di tesori (i propri) che ha spesso nella fiaba, lo assimila al drago, in tutte le tradizioni segno della presenza, nelle vicinanze, di grandi ricchezze e ammonimento a chi osa aspirarvi. Un drago protegge il Vello d'Oro o le mele delle 7

lbid.

Esperidi. In Cina è il guardiano della perla. Esso è il nemico da sconfiggere per raggiungere la preziosa verità, ma è anche il giusto che protegge il tesoro da cercatori indegni. Esso simboleggia l'immortalità, l'eternità. Alchemicamente è la pietra grezza, intatta, inviolata. E la montagna invalicabile, il vulcano che vomita fuoco e protegge la fucina divina. Come già abbiamo accennato, quando il drago cade e, colpito dall'eroe, muore, con lui muore un'èra, poiché sono cambiate le regole che ne facevano l'invincibile e l'immortale. L'avvenimento è irreversibile, l'evento solenne e tragico. L'eroe ha raggiunto il tesoro, ed è cominciata un'èra di tesori accessibili, un'epoca nella quale è caduto il baluardo che separa il mortale dall'immortale. Proteggere il tesoro o la perla, sia pure contro un eroe, non è professione così biasimevole, a meno che non si supponga che il guerriero abbia comunque diritto a quei preziosi, e quel diritto gli derivi dal semplice fatto che se li conquista con la sua spada. Quei tesori sono la conoscenza del bene e del male, ma è per lo meno dubbio che quella conoscenza spetti all'uomo. Almeno Jahvet non la pensava così. L'eroe che uccide il drago lo può fare solo perché la sua lancia o la sua spada sono fatate. La vera artefice della morte del rettile è la lama che penetra nella fredda carne del mostro. Con quel sacrificio cessa l'impero della pietra grezza, vergine, della grande dea femminile, e inizia quello dell'agente attivo, penetrante, violatore, l'impero del maschio ferro: spada assassina, vomere fecondatore, acido corroditore 8 . La lotta tra l'eroe e la forza bruta è il motivo centrale del ciclo del re Artù. La leggenda inizia con l'apparizione della pietra che attanaglia la spada inestraibile. Fonderà la nuova epoca 8 Q u e s t a successione ricorda l'alternanza d e l l o yin (tenero-femminile) e d e l l o yang (duro-maschile).

colui che saprà impugnare e sfilare quella spada 9 . Egli inaugura un nuovo stile di vita, fatto di violazioni e di violenze, di eroi infilzati e di regine sedotte, di filtri chimici e di bacchette magiche. «Chi è colui che distacca il metallo dalla roccia?» si chiede Heinrich Zimmer 10: L ' e r o e di una civiltà, il magico f a b b r o che liberò il m o n d o dall'Età della Pietra e insegnò agli uomini l'arte di fondere bronzo e ferro dal minerale grezzo. L'eroe che sa estrarre la spada dalla roccia non è necessariamente un grande guerriero, ma sempre un mago potente, signore di tutte le cose materiali e spirituali; un veggente paragonabile, nei termini dell'Età del Ferro, al m o d e r n o inventore, chimico o ingegnere, che crea nuove armi per il suo p o p o l o . E proprio come oggi viviamo nel rispetto - e un p o ' nel timore - dell'uomo di scienza, così è naturale che i popoli di quelle epoche remote abbiano creduto che chi liberava per loro il metallo dalla roccia f o s s e l'eletto signore dei segreti dell'esistenza.

L'episodio si situa in un momento epocale della storia umana, in un passaggio di ère, tra l'Età della Pietra e l'Età dei Metalli, all'inizio della storia. Anzi, esso rappresenta l'atto stesso che converte la Preistoria in Storia, attraverso cui l'uomo prende consapevolezza del tempo come processo di trasformazione, comincia a giudicare i suoi propri atti, distinguendo il bene dal male, compiendo cioè il peccato originale. Il nome dei personaggi che sono in rapporto alla spada nella roccia sembra connesso al passaggio d'epoca che la successione dinastica descrive. Il padre di Artù è Pendragon e il suo nome ricorda il Drago, simbolo della pietra grezza. Il nome di Artù si può collegare ad Arctos, l'Orso, che è il simbolo della classe guerriera, dell'eroismo armato di ferro. L'Età del Metallo succede all'Età della Pietra. Le imprese degli eroi dell'Età del Ferro risuonano 9 E il giovanetto Artù. L a s p a d a estratta gli consente di scoprire le s u e origini di figlio di re. S u o p a d r e è il g r a n d e P e n d r a g o n . 10

H . ZIMMER, II re e il cadavere, Adelphi, Milano 1988, p. 212.

di cozzi di spade, di scontri di scudi, di urti di corazze. Sono, prima che gesta umane, competizioni siderurgiche. Possedere una lama imperitura, scrive Zimmer 11, e r a il g r a n d e

sogno

della

giovane

età dei metalli, proprio

come

il

s o g n o dell'Età della Pietra era stato q u e l l o di p o s s e d e r e un proiettile m a g i c o c h e s a r e b b e t o r n a t o nella m a n o di colui c h e l'aveva

lanciato,

c o m e il m a r t e l l o d i T h o r , o i f u l m i n i d i Z e u s e d i I n d r a .

La leggenda di Artù ha un precedente classico nel mito di Teseo 12. Anch'egli non sa d'essere figlio di re e all'età di sedici anni cava una spada (e dei sandali) di sotto da una pietra enorme. Viene così a conoscenza del segreto della roccia, d'essere figlio di Egeo, re di Atene e nello stesso tempo divinità marina. In un dipinto vascolare si vede il giovanetto che brandisce la spada contro la madre Etra e abbiamo visto che è contro la madre che il ferro è destinato 13. Se ci rivolgiamo verso le figure delle costellazioni settentrionali, apprendiamo che la successione di Artù al padre Pendragon era stata, in un periodo molto anteriore alla narrazione romanzesca, catasterizzata, cioè portata tra le stelle. Lassù essa è narrata come la trasmissione dello scettro del firmamento da una stella all'altra. Il Polo Nord celeste, intorno a cui ruota il firmamento, è l'unico punto del cielo immoto nelle notti, orientamento per i viandanti e i velieri, mèta delle anime morte in cerca di pace Oggi corrisponde alla Stella Polare 11

Ibid., p. 213.

C f r . KERÉNYI, Gli dèi e gli eroi della voi. 2, p. 2 3 6 . 12

Grecia,

Garzanti, Milano

1976,

13 L a saga di Teseo, che è l'eroe nazionale della Grecia classica, si fa risalire al tardo p e r i o d o miceneo, cioè circa mille anni prima di Cristo (M.P. NILSSON, The Mycenaean Origin of Greek Mithology, Berkeley 1932, p p . 163 ss ), inizio dell'Età del F e r r o . 14 II culmine supremo del cielo è il regno dei morti. E s s o è infatti l'unico p u n t o i m m o t o ed eterno nella volta ruotante del cielo notturno. Per di là p a s s a la via di tutti gli eroi, che s o l o d o p o la « d i s c e s a » agli Inferi p o s s o n o iniziare la via per la purificazione. Il p u n t o più e s t r e m o del cielo è il p u n t o più b a s s o e più o s c u r o del percorso degli eroi mitici.

cioè a a Ursae Minoris. Esso non è al centro dell'eclittica: è rimosso rispetto all'asse di questa di 23,5° (circa un palmo di cielo). Nei millenni, l'asse terrestre si sposta ruotando e mantenendo la sua pendenza rispetto al centro dell'eclittica, sinché in circa 26.000 anni il Polo ha compiuto un intero giro ed è tornato alla stella di partenza. Questo fenomeno è noto come «precessione dei Poli» e corrisponde, sul piano dell'eclittica, alla «precessione degli Equinozi» 15. Cinquemila anni fa il Polo Nord stazionava in a Dracotiis 16, una stella sulla coda della tortuosa costellazione che circonda l'asse dell'eclittica. Tremila anni fa era di fronte a fi Ursae Minoris. Il perno del firmamento, ovvero 10 scettro del mondo, passò dal Drago all'Orsa, come nella leggenda esso passò dal re d'Inghilterra Pendragon al figlio Artù, l'Orso. Nello stesso periodo in cui l'asse del cielo abbandonava la coda del Drago e si spostava verso la testa della piccola Orsa, cioè 5.000 anni or sono, finiva quaggiù sulla terra l'Era Neolitica e iniziava l'età dei metalli. La prima età dei metalli si fa infatti risalire all'incirca a cinque millenni prima di oggi. Fu allora che si ottenne 11 primo ferro saldato dalla magnetite, l'argento dalla galena, il rame in lega col piombo, antimonio e stagno. Con il riscaldamento, la fusione e la colata iniziò la metallurgia vera e propria. La lega dominante fu quella del rame con lo stagno, che formano il bronzo, il primo metallo per arature e armature. Poco più di 3.000 anni fa 17 inizia la vera Età del Ferro. 15 II S o l e dell'equinozio primaverile retrocede c a m b i a n d o lentamente di costellazione, p a s s a n d o dall'una alla precedente ogni circa 2 0 0 0 anni, e comp i e n d o l'intero giro in ca. 2 6 . 0 0 0 anni. O g g i è nei Pesci e si sta s p o s t a n d o verso l'Acquario. 16

L a G r a n d e Piramide, costruita 5 0 0 0 anni fa, è orientata v e r s o a Dra-

conis. 17 1200 a.C., s e c o n d o R.J. FORBES, in Storia della tecnologia, a cura d i C . Singer, E.J. H o l m y a r d , A.R. Hall, T.I. Williams, Boringhieri, Torino 1966, voi. I, p. 5 8 2 .

Per chi è disposto a librarsi sulle vertigini del passato, a viaggiare a ritroso nella preistoria paleolitica, il percorso è appena cominciato. In un viaggio che dura 25-30.000 anni, lo attendono le costellazioni che fecero corona al Polo Nord nel suo ultimo grande giro, gli eroi più eccelsi della mitologia, e, sulla terra, lo sviluppo meraviglioso di quella cultura che ha il suo inizio nel Paleolitico Superiore. Prenderemo le mosse da alcune incongruenze nell'analisi etimologica dell'insediamento di Artù. Secondo Francis Hitching 18, Artù viene dal celtico Arth Wawr, che significa Orsa Maggiore, mentre Pendragon sta per Testa del Drago. Il Caput Draconis, con i suoi grandi occhi,

18

F. HITCHING, Earth Magic, C a s s e l , N e w York 1976, p. 159.

e y Draconis, fissò il Polo Nord celeste circa 13.000 anni fa, sul punto opposto, entro il gran ciclo del Polo, a quello dell'attuale Stella Polare. L'Orsa Maggiore, che oggi dista circa 30° dal Polo, lo sorvolò a meno di 10° in un'epoca intermedia tra quei 13.000 anni e oggi. Lo spostamento del Polo Nord dalla coda del Dragone ( a ) verso l'Orsa Minore (/?) celebra quindi un'epopea minore, che rimanda a un'altra transizione più grandiosa, a un'altra e più fatale alba di civiltà, allorché il Polo si trasferì lentamente dalla Testa del Drago verso il dominio delle Orse, entro cui ancor oggi si trova. La danza delle Orse intorno al Polo si fece sempre più stretta, mentre la testa del Drago girava sempre più al largo. Se immaginiamo che gli antichi non «vedessero» il moto del Polo, ma lo spostamento e l'avvolgimento delle costellazioni rispetto a un polo fisso, allora accadde per loro che il Drago levò gli occhi dal Polo torcendo il suo volto serpentesco verso il lato opposto, mentre la Grande Orsa si intrometteva nei dintorni polari che la testa del Drago aveva abbandonato. Tutto questo avvenne, lentissimamente, per 10.000 anni. Le costellazioni orbitanti intorno al Chiodo del Cielo presiedettero in quelle epoche al trapasso più grandioso entro la preistoria dell'uomo europeo. L'ultima Età Glaciale era terminata e nei climi più dolci del post-Glaciale

finiva l'Era Paleolitica 19. Intorno a circa 10-8.000 anni fa l'uomo aveva preso a seminare e a raccogliere, ad addomesticare e ad arare. In rapporto ai campi agricoli si erano andati formando i villaggi, e i costumi e la stessa logica umana andavano profondamente mutando verso quella condizione che ancor oggi consideriamo la civiltà. Eva che coglie la mela dall'albero compie l'infrazione vegetale primeva, e nello stesso tempo e con lo stesso significato inaugura il mondo dell'agricoltura. L'Eden è un giardino botanico, non una foresta, frequentato da animali domestici, non da fiere selvagge. La transizione dalla caccia all'agricoltura all'inizio del Neolitico fu certamente una fase drammatica. L'uomo abbandonava i sentieri, i guadi, i pascoli e le foreste che aveva percorso per millenni e prendeva ad adattare a sé il suolo, a trasformarlo e a sfruttarlo. Edificando le città costruiva per sé quelle dimore squadrate di pietra che aveva sempre riservato ai morti, trascinava il cielo sulla terra, con il suo asse nord-sud (il cardo della città), con la sua pianta quadrata (l'eclittica tra i quattro punti solstiziali ed equinoziali). L'inizio del Neolitico fu un delitto cosmico. I primi fondatori di città istituirono anche la politica e la geometria, la logica impietosa del potere e dell'economia. Nella Bibbia il primo costruttore di città è l'agricoltore Caino, e l'uccisione del fratello pastore sta a simboleggiare la legge severa del comando, che non guarda al sangue. An1 9 L a f i n e del Paleolitico si d a t a a ca. 10.000 anni fa. Il S o l e dell'equinozio vernale aveva s o s t a t o per oltre 3 . 0 0 0 anni nella Vergine (16.000-12.800 anni f a ) e poi quasi 3 . 0 0 0 anni nel L e o n e (12.800-10.000 anni f a ) . L a Vergine con i L e o n i (a nord di Leo è la costellazione del Leo Minor) r a f f i g u r a la G r a n d e M a d r e e il s u o d o m i n i o c o r r i s p o n d e all'Età d e l l ' O r o o di S a t u r n o . « N e l s u o f a m o s o Poema Astronomico, Arati (vv. 96-130) racconta c o m e Themis-Vergine, che era vissuta p a c i f i c a m e n t e tra gli uomini, si f o s s e ritirata sulle " c o l l i n e " alla fine dell'Età dell'Oro, per non mescolarsi alle genti argentee che cominciavano a p o p o l a r e la terra, e c o m e f o s s e a n d a t a a d i m o r a r e nel cielo p r e s s o B o o t e , q u a n d o e b b e inizio l'Età del B r o n z o » (cit. in G . D E SANTILLANA e H . VAN DECHEND, II mulino di Amleto, Adelphi, Milano 1983, p. 125).

che il fondatore di Roma uccide il fratello che scavalca il solco quadrato 2 0 , cioè la via degli Olimpi, tracciata con l'aratro sul suolo. Il pozzo (mundus), scavato ài centro del Foro, sanziona l'equivalenza tra la volta del cielo (il mundus) e le viscere della terra. L'allontanamento del drago dallo scettro del cielo presiedette quindi sulla terra ad una rivoluzione di portata più grandiosa ancora dell'inizio dell'età dei metalli, ad una usurpazione più drammatica e sacrilega. Comincia l'età dello sfruttamento della Terra. Sette e sette pazienti buoi (i septem triones, da cui «settentrione») prendono a trascinare in circolo la volta celeste, assoggettata ai loro carri, uscita dal dominio di governanti inferi. I carri mortuari divengono carri agricoli, mentre i tumuli del seppellimento si fanno campi coltivati. La costellazione impegnata nella contesa col Caput Draconis è una delle più antiche figurazioni celesti, Hercules, il campione di tutte le imprese, il fondatore del faticoso cammino dell'uomo. L'eroe, posto di fronte al mostro del Settentrione, proietta verso la testa del Drago due stelle, d e i che formano il ginocchio e il piede della sua gamba destra. Il piede, che 12.000 anni fa era una pallida stellina polare, preme sulla testa del drago, tra i due occhi luminosi corrispondenti a P e y Draconis. Ercole ha a che fare con vari draghi nella sua opera di redentore 21, ma il mostro polare è certamente da identificare con il serpente Ladone, dalle molte teste, posto 2 0 Elémire Zolla (Archetipi, Marsilio, Venezia 1987) individua l'archetipo di R o m o l o c o m e q u e l l o d e l l o straniero usurpatore: « I l mito di R o m o l o celebra la comunità nell'atto in cui nasce da un'accolta i n f a m e , il terrore che rinnova la vita sociale, il diritto c o m e summum jus summa injuria» (p. 8 4 ) . 2 1 A p p e n a nato, E r c o l e è a s s a l i t o da d u e serpenti e li uccide con le s u e piccole mani. L a costellazione di Hercules si e s t e n d e da Draco a Serpens Caput. Più tardi, all'ingresso degli Inferi, p r e s s o L e r n a , E r c o l e uccide l'Idra e nel mezzo della lotta un G r a n c h i o lo m o r d e a un piede. Il terzo serpente, L a d o n e , lo incontra nel giardino delle E s p e r i d i .

a difesa del giardino delle Esperidi. Benché il giardino delle Esperidi, questo Eden pagano, sia collocato all'estremo confine occidentale del mondo, al Vespro, la sua posizione originaria è al Nord, o in connessione con il Settentrione. Ercole vi giunge passando attraverso il regno dei venti del Nord, che si trova nella terra degli Iperborei 22 . Nel giardino è un gigante punito, il titano Atlante, il cui compito e castigo è quello di sostenere l'asse intorno a cui gira il cielo stellato, che è imperniato sul Polo Nord. Secondo la cosmologia mitica quell'asse era un asse inclinato, sghembo (obliquo di 23,5°), e Atlante lo sosteneva dolorosamente per evitare il crollo definitivo dei cieli. L'inclinazione dei cieli fu l'esito di un'empietà primordiale, della punizione cosmica che i Titani avevano ricevuto dopo essere stati respinti nel tentativo di dare la scalata all'Olimpo. Era la pena del peccato originale, della hybris ancestrale. Verso il culmine del cielo si levano dunque due assi: l'uno è la perpendicolare al piano dell'eclittica, l'asse retto, divino, immortale. L'altro è l'asse obliquo, pendente, intorno a cui ruota uno sbilenco firmamento. E l'asse titanico, sconfitto e arrogante, sostenuto da Atlante all'estremo Vespro o da un altro titano punito, Prometeo, all'estremo Ostro del mondo classico 23 . Intorno all'asse retto è avvolto il Draco che si sporge col capo verso l'asse inclinato, ove lo minaccia il piede 2 2 C o m e chiariscono D E SANTILLANA e VAN DECHEND (eie., p. 2 8 1 ) l'asse del m o n d o non d e v e pensarsi c o m e un p a l o verticale diritto, ma, in s e n s o più lato, c o m e un tutt'uno con la struttura, lo « s c a f o » che avvolge la terra. E s s a somiglia ad una sfera armillare, ad una « a r m a t u r a » del m o n d o (di una età del m o n d o ) . C o s ì chi v u o l e sradicare l'albero non ha b i s o g n o di « s a l i r e » o di « s c e n d e r e » f i n o al P o l o . L o p u ò fare semplicemente « t i r a n d o via la p a r t e più vicina d e l l ' " a r m a t u r a " del m o n d o a b i t a t o » (ibid., p. 2 8 3 ) . 2 5 II m o n d o antico, q u a l e lo descrive A n a s s i m a n d r o , è c o m p r e s o tra le C o l o n n e d ' E r c o l e all'Occidente e il C a u c a s o all'Oriente. S e si traccia un meridiano a 2 3 , 5 ° ovest dell'ombelico del m o n d o , situato a D e l f i , si osserva che e s s o attraversa le m o n t a g n e dell'Atlante, e se si fa lo s t e s s o ad ovest si perc o r r o n o le m o n t a g n e del C a u c a s o . Il m o n d o abitato è uno spazio c o m p r e s o nella originaria divaricazione p r o d o t t a dall'empietà titanica.

di Hercules. La situazione di Ercole nel giardino delle Esperidi corrisponde a quella di Adamo nell'Eden 24 . Anch'egli ha a che fare con un albero proibito dai pomi d'oro e con un serpente, e accanto ha non una ma numerose femmine avvenenti. In una rappresentazione vascolare si vede il drago Ladone cui, per distrarlo, Calipso offre una coppa. Una Esperide sta cogliendo una mela dall'albero ed Ercole ne tiene in mano una che ha appena ricevuto. Quella mela è, come quella d'Adamo, il segno della violazione dell'albero, una violazione che Ercole ha già commesso allorché ha divelto dal terreno un potente albero d'ulivo, da cui ha tratto la sua famosa clava, che è pertanto un axis mundi25, uno scettro del cielo. Nelle età della Terra precedenti all'avvento al Polo celeste degli occhi del Drago e del piede di Ercole, gli uomini furono guidati verso il Nord da due splendenti stelle di prima grandezza, Vega della Lira e prima ancora Deneb, del Cignus. Come esse siano collegate alla conquista dello scettro celeste e alla sconfitta d'un mostro, accennerò soltanto. Di Vega, la Stella-Capra dei Babilonesi, si diceva che avesse sottratto ad un mostro marino il centro del Cielo. Il mostro marino è la Via Lattea, nella quale il Polo era stato immerso in epoche passate, e che veniva identificata con Tiàmat. Recita così una tavoletta cuneiforme babilonese: L a S t e l l a - C a p r a si c h i a m a a n c h e s t e l l a - s t r e g a ; e s s a t i e n e in m a n o

la

f u n z i o n e divina di T i a m a t 2 6 .

La costellazione del Cigno, immersa nella Via Lattea, 2 4 A n c h e nell'Eden si p o s s o n o identificare i d u e assi cosmici: q u e l l o retto, divino, dell'Immortalità, e q u e l l o o b l i q u o , tentatore, della C o n o s c e n z a del b e n e e del male. 2 5 A n c h e U l i s s e maneggia un r a m o di ulivo selvatico e l'accecamento di P o l i f e m o identifica q u e l l ' a s s e con il b a s t o n c e l l o del trapano che a c c e n d e il fuoco. 2 6

G O S S M A N N , Planetarium,

DECHEND cit., p. 3 1 3 .

1954, p.

145. Cit. d a

D E SANTILLANA e

VAN

era identificata dagli Egiziani con Horus. Egli era il figlio vendicatore di Osiride, e aveva sconfitto e scacciato il perfido zio Seth (Tifone), raffigurato nell'Orsa Maggiore27. Ai tempi in cui il Cigno teneva lo scettro, l'Orsa ruotava lontano dal Polo Nord, ad oltre 60°. Non pretendo, naturalmente, che Vega sia stata la Stella Polare dei Babilonesi o Deneb degli Egiziani. Credo invece che ognuna di quelle stelle, nella sua localizzazione polare, abbia generato, tra gli uomini del Paleolitico, una tradizione astronomica di cui gli spettatori terrestri hanno visto svanire la fonte col passare dei millenni. Essi l'hanno conservata come testimonianza di un tempo lontano e splendente, di un'Età dell'Oro, da cui una decadenza millenaria li andava allontanando. E una caratteristica costante delle tradizioni astronomiche di mantenersi stabili a dispetto delle precessioni, a dispetto del fatto che le stelle cui si riferiscono non sono più lassù dove dovrebbero essere. Quando Dante descrive i cieli delle sue cantiche, essi non sono quelli che egli riconosceva nelle notti, bensì quelli di 3.000 (o 29.000?) anni addietro. Anche i moderni oroscopi si riferiscono ai cieli mosaici, trascorsi da 3.000 anni. E perfettamente possibile che di tempo in tempo gli astronomi rimettano l'orologio del cielo sulle giuste costellazioni, ed è da presumere che ciò avvenga in epoche nelle quali navigatori o conquistatori abbiano bisogno delle stelle giuste per orientarsi nelle loro migrazioni, o quando maghi geometri (Druidi o Caldei) hanno stabilito le coordinate celesti per la costruzione dei loro templi. Ogni volta quell'operazione comportò una riconquista del cielo, una rivincita dell'esperienza diretta sulla tradizione. E certamente anche successo che gli uomini si siano trovati per lunghi tempi sotto due cieli, quello antico e sapiente 2 7 H . BRUGSCH, Religion und Mythologie der alien Àgypter, Lipsia 1885, pp. ILI ss. C f r . anche R . H . ALLEN, Star Names, Theìr Lore and Meamng, N e w York 1963, p . 4 7 4 .

di una trascorsa Età dell'Oro, e quello moderno ed empirico, fondato sulla effimera realtà del presente: uno astrologico e uno astronomico. Nel lungo periodo che va dai 20.000 ai 25.000 anni fa, il Polo Nord ha attraversato una vasta costellazione pentagonale: Cefeus. Nella mitologia greca 28 si narra che Cefeo fosse un re negro, marito della superba Cassiopea. La regina osò gareggiare in bellezza con le Nereidi e ne venne punita da Poseidone, che l'obbligò ad esporre la figlia Andromeda su uno scoglio, alla furia di un mostro marino. Arriva a volo Perseo, montato sull'alato cavallo sortito dal collo mozzato di Medusa, Pegaso. Combatte contro il mostro, lo sconfigge, e porta con sé Andromeda. Cefeo e Cassiopea, Perseo e Andromeda, e anche Pegaso e il mostro, sono trasformati in costellazioni, e coprono un ampio settore che inizia dal Settentrione, attraversa la Via Lattea e va oltre lo Zodiaco al di là dei Pesci ove appare e scompare l'ampia costellazione di Cetus, il Mostro. L'antichissima leggenda non è il racconto didascalico di una bella fanciulla rapita ai genitori e salvata da un cavaliere volante. Questo re etiope che tiene per cinque millenni, nella sua casa pentagonale, lo scettro del cielo è una figura infernale, una divinità ctonia, come provano la pelle scura e il suo regno in Etiopia, il paese donde proveniva la mostruosa Sfinge 2 9 . La candida Andromeda vive nella casa del padre, costretta a nozze dallo zio Fineo, come una Persefone rapita da un congiunto incestuoso. Perseo giunge alla roccia di Andromeda provenendo dal mondo degli Iperborei. Un palazzo di Fineo 2 8

KERENYI cit., p p .

61-62.

Un'altra tradizione, cui fa cenno P. BIANCUCCI, Stella per stella (Giunti, Firenze 1985, p. 64), fa di C e f e o un re ancora più antico, d o m i n a t o r e dell'India e dell'Etiopia tra il 21000 e il 19000 a.C.. C e f e o è il M a t t o , l'arcano maggiore non numerato dei Tarocchi. H a b a r b a a punta color rosa, abbigliamento d a b u f f o n e reale, con brache azzurre, tunica r o s s a e una strana acconciatura gialla: è nell'atteggiamento di voltare le spalle e a n d a r s e n e , in un al di là senza regole e senza ragione. 29

s'incontra nell'impresa degli Argonauti. È situato all'imboccatura degli Inferi e Fineo vi sta più come vittima che come signore. E cieco e tormentato dalle Arpie, ma vede nell'oscurità del regno dei morti e conosce il futuro. Andromeda è sottratta da Perseo al mostro, ma è liberata anche dalla compagnia di suo padre e del suo sposo, o meglio del suo padre-sposo. La raffigurazione astrale ci mostra Andromeda che «emerge» dal quadrato di Pegaso 3 0 , sotto forma di due braccia protese verso Cassiopea. Si direbbe che Pegaso sia piuttosto la pelle equina entro cui la fanciulla è racchiusa, che non la cavalcatura di Perseo su cui Andromeda prende posto. Pegaso farebbe la parte dell'Orco (sua madre è un'orchessa) e Andromeda sarebbe una Peau d'àne preistorica H . Così si narra, si racconta e si compita. Da quanto tempo gli uomini hanno preso a rappresentare e narrare le proprie vicende? Quanto antiche sono le umane mitificazioni e mistificazioni? Quanto le mascherature, i cambiamenti di ruolo, le scenografie e le sceneggiate? Si può rispondere che esse sono da sempre e che il racconto è antico quanto l'uomo. Si suppone solitamente che quando nacque il mito o la fiaba, gli uomini fossero ingenui, ottusi, infantili, solo preoccupati a procurarsi il cibo e semmai a compiere qualche rito propiziatorio o di fertilità. Oggi dobbiamo 3 0 II q u a d r a t o di P e g a s o è chiamato dai Sumeri 1-iku, ossia l'unità di superficie ( c o m e noi d i c e s s i m o « u n a c r o » ) , ed è considerato dai B a b i l o n e s i il P a r a d i s o ( D E SANTILLANA e VAN DECHEND cit., figg. 35 e 3 6 ) . N e l l ' e p o p e a di G i l g a m e s c o r r i s p o n d e all'arca con cui Utnapistin a f f r o n t a il diluvio (ibid., p. 3 5 5 ) . E c o m u n q u e parte del P a e s e dell'ai di là, oltre la vita e oltre le acque, ove si raccolgono tutte le idee e tutte le misure.

31 Peau d'àne (Pelle d'asino, D'ALNOY, PERRAULT et al., p. 5 9 ) è una principessa insidiata d a l p a d r e , che si rifugia nella pelle d'un a s i n o . C o m e P e g a s o , q u e s t ' a s i n o è un animale prezioso o s p i t a t o nelle stalle del p a l a z z o reale (cfr. a p . 175).

pensare che gli antichissimi fra gli uomini vivessero invece assai poco interessati alla realtà che li circondava, collegati a un mondo magico e di rappresentazioni; che recitassero più che non vivessero. Ciò è suggerito non solo dai miti narrati e trascritti nei cieli notturni, ma anche dalle testimonianze lasciate dall'uomo abitante la terra di quelle epoche lontane. L'uomo moderno, quello che gli antropologi classificano come Homo sapiens sapiens, che in ogni tratto è identico all'uomo di oggi, compare in Europa circa 30.000 anni fa. Quasi istantaneamente la nostra cultura stabilisce tutti i suoi concetti basilari. Appaiono l'ago e il filo, gli abiti di pelle, l'ascia di pietra con impugnatura, gli strumenti d'osso, di corno e d'avorio, l'arco e la freccia. Si trovano le prime abitazioni umane, consistenti in tende piantate al suolo. Gli antropologi designano questa epoca come Paleolitico Superiore. Improvvisamente si manifestano il disegno, la pittura e la scultura. Dalle rappresentazioni della figura umana emerge un essere danzante, musicante, cerimoniale e mascherato, vestito e armato, cacciatore, mago e sacerdote. Il culto dei morti e le loro complesse sepolture indicano un uomo che continua la sua esistenza nel percorso misterioso dell'ai di là. L'uomo moderno comparve in Europa dopo millenni

e millenni dalla scomparsa del Neanderthal, in un vasto paese che era a lungo rimasto spopolato. L'irruzione dell'uomo sapiente nel mondo, sotto i nostri cieli, il suo insediamento in un abbandonato Paradiso Terrestre, le sue invenzioni, le sue costruzioni e le sue opere artistiche costituirono il vero assoluto peccato originale, attraverso il quale l'uomo iniziò il suo percorso come uomo. Non si può cominciare a vivere senza rompere il patto con la morte, senza usare violenza a una madre. Forse la più significativa e curiosa opera degli uomini glaciali fu la costruzione di quelle statuine che oggi conosciamo come Veneri aurignaciane 32 . Si tratta di donnine grandi al massimo come un pugno, con seni, ventri e glutei tondeggianti e testa e gambe coniche che danno loro la forma di trottoline. Le braccia sono quasi inesistenti. Il capo di una di queste Veneri sembra un canestro a sette cerchi. Riprodurre la Grande Madre, come fecero gli uomini dell'età del ghiaccio, renderla una statuina tondeggiante, fu certo un atto di culto, ma fu anche staccare il pomo, compiere quel gran processo di astrazione che è la conoscenza. Le piccole Veneri dell'aurignaciano furono 32

Cfr.

Dopo Darwin,

G.

SERMONTI, Il

simbolo

della

Rusconi, Milano 1980, p. 125.

pietra,

in G .

SERMONTI, R .

FONDI,

idoli, cioè piccole idee, bambine estratte dal grande Orco della natura. La pittura rupestre rappresentò anch'essa un'appropriazione indebita, il furto primordiale della forma, catturata nell'oscurità, costretta nell'immobilità della roccia. Se abbiamo documenti di quella prima civiltà è perché le figure riportate nelle grotte furono sottratte al presente e affidate al racconto, rubate alla vita e consegnate all'eternità. L'uomo che compì queste operazioni fu un mago sublime, il primo elaboratore di materia, estrattore di sostanze, preparatore e spalmatore di colori. Fu il più grande dei chimici, il più antico Lavoisier, destinato, come lui, alla ghigliottina della rivoluzione. Le pitture nelle caverne paleolitiche raffigurano animali selvatici, bovini, ovini ed equini, oltre a lupi, orsi e mammouth e altre bestie feroci. Spesso i loro corpi sono trafitti da frecce o lance e gli uomini rappresentati brandiscono armi da caccia. Frequenti sono anche le immagini di pesci e di foche. In quella che fu l'ultima epoca glaciale, l'Europa era popolata di cacciatori e pescatori e di grandi e inopinati artisti che rappresentavano immagini sublimi nell'oscurità delle grotte naturali. Ci si stupisce

che capolavori come quelli istoriati nelle grotte di Altamira 33 o di Lascaux (15.500 anni fa) siano stati compiuti a lume di torcia e lasciati allo scuro, ma forse sono proprio l'oscurità e il silenzio sotterraneo che hanno permesso al mondo della rappresentazione di sorgere come un sogno, lontano dai mille occhi indiscreti della realtà. Quelle meravigliose pitture furono fiabe del sottosuolo. Trentamila anni fa, quando emerse l'uomo moderno, il Polo sostava nella regione delle Orse 54 e il Sole dell'equinozio primaverile si trovava in Ariete. Di quell'epoca di inizio e di fondazione si può cantare con Dante: e '1 sol montava 'n su con quelle stelle ch'eran con lui q u a n d o l'amor divino m o s s e di prima quelle cose belle. [In/. I 38-40]

Furono gli uomini dell'inizio del Paleolitico Superiore a stabilire nei cieli quel fatale «di prima»? O all'inizio dell'Età del Ferro l'uomo riazzerò il suo orologio astronomico? L'Ariete e i Pesci, che immediatamente seguono, rappresentarono l'appressarsi della primavera europea all'inizio dell'ultima glaciazione, quando gli stambecchi ap3 3 L e grotte di Altamira f u r o n o s c o p e r t e nel 1878 d a M a j c e l i n o d e Sautuola. Si narra che sia stata la sua b a m b i n a di nove anni a fargli notare alcune pitture sul s o f f i t t o di una caverna. S a u t u o l a rese p u b b l i c h e le s u e s c o p e r t e nel 1880, p r o p r i o mentre veniva p u b b l i c a t o Descent of Man di D a r w i n . E n t r o il mito dell'uomo-scimmia era inconcepibile p e n s a r e che un u o m o preistorico, valutato al rango di un selvaggio s e m i a n i m a l e s c o , p o t e s s e raggiungere un'arte così elevata. S a u t u o l a fu s o s p e t t a t o di falso, le pitture datate, d a l p a l e o n t o l o g o Harlé, inviato sul p o s t o , a qualche anno prima. N e l frattempo si moltiplicarono scoperte di ulteriore materiale delle caverne, soprattutto in S p a g n a e in Francia. S o l o vent'anni d o p o , nel 1902, d o p o la morte di S a u t u o l a , H a r l é c o n f e s s ò il s u o errore, e il più insigne dei contestatori dell'antichità di Altamira, Charthailac, p u b b l i c ò una ritrattazione d a l titolo Mea culpa d'un sceptique. Altamira vi era attribuita al Paleolitico. E s s a f u considerata la C a p p e l l a Sistina della preistoria. 3 4 L'ipotesi che l'equinozio in Ariete stabilisca, c o m e intende D a n t e , un t e m p o primevo, della creazione o della c o m p a r s a d e l l ' u o m o , ci c o n s e n t e un calcolo di archeologia astronomica. L'Ariete è stato all'equinozio vernale 2 8 . 0 0 0 - 3 0 . 0 0 0 anni fa, e di nuovo 2 - 4 0 0 0 anni f a . Q u e s t e s o n o d u e d a t e per l'origine. L a prima c o r r i s p o n d e alla c o m p a r s a d e l l ' u o m o m o d e r n o in E u r o p a , la s e c o n d a all'inizio dell'Età del F e r r o .

parivano sui picchi montani e i pesci popolavano le acque dei fiumi che si andavano disciogliendo. Alexander Marshack 3 5 ha studiato alcune incisioni di animali su ossa e corna scolpite dall'uomo glaciale e vi ha individuato rappresentazioni stagionali. Su un corno di cervo trovato presso Montgaudier (Magdaleniano Superiore) egli ha riconosciuto uno stambecco, un salmone e una foca. E osserva: O g n i immagine era stagionale e rappresentativa della prima primavera, f o r s e tra metà aprile e maggio dell'Europa dell'Epoca Glaciale... E s s e rappresentavano la nascita del « n u o v o a n n o » . . . « M a g i e » di molti tipi erano certamente implicate nella cultura del Paleolitico Superiore ed erano esercitate con date immagini, alla stagione della comparsa di quelle specie o forme. M a qui c'è certamente qualcosa di più, qualcosa di differente, qualcosa che va al di là dei bisogni alimentari o psicologici 3 6 .

La raffigurazione dello stambecco e del salmone (e 3 5 A . MARSHACK, Exploring the mind G e o g r a p h i c » , 147 (1975), p p . 65-89.

36

Ibid.

of the ice age man,

in « N a t i o n a l

della foca) sul corno di Montgaudier somigliano per dimensione relativa e disposizione a quelle delle figure zodiacali dell'Ariete e dei Pesci (e di Pegaso). Sulla fronte dello stambecco è marcata una croce, che significa il sacrificio dell'animale e forse rappresenta il «sacrificio» della costellazione dell'Ariete compiuto dal Sole nella congiunzione equinoziale dei tempi in cui «l'amor divino mosse di prima quelle cose belle» 37. Poiché le incisioni del corno di Montgaudier sono antiche più di 20.000 anni, e in esse il Sole dell'equinozio primaverile risulta in Ariete, la situazione si riferisce ad una cronologia che non può essere quella dell'Età del Bronzo e che va ricercata un intero giro indietro nell'immenso orologio del Sole, e cioè a una trentina di migliaia di anni fa, allorché l'uomo glaciale si affacciò sulla scena del mondo. Negli inverni di quei tempi primevi (come nei nostri inverni dopo poco più di un ciclo della precessione degli equinozi) una costellazione si levava superba nel cielo al di sotto dello Zodiaco, seguita dallo splendore di a Canis Majoris, Sirio (la stella più luminosa dei nostri cieli): era la costellazione di Orione, il leggendario cacciatore paleolitico con il suo cane fedele. In essa sono stati riconosciuti anche il cacciatore Nemrod, il biblico Sansone, il greco Ercole. Orione è cieco 38 e avviato ad un viaggio infero, seguito dall'accompagnatore di tutti i morti, il ca3 7 DE SANTILLANA e VAN DECHEND (cit., p. 2 9 5 ) d e d u c o n o il t e m p o dell'Età d e l l ' O r o attraverso un calcolo di archeologia astronomica. E s s i p a r t o n o dall'annuncio virgiliano: lam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna ( E c l o g a I V ) . U n s e g n o solstiziale « r i t o m a » ad ogni sua c o m p a r s a su uno dei q u a t t r o coluri ( e q u i n o z i o vernale, solstizio estivo, e q u i n o z i o invernale, solstizio autunnale), cioè ogni 6 0 0 0 anni (un q u a r t o del giro precessionale). L ' E t à d e l l ' O r o ha q u i n d i p r e c e d u t o di 6 0 0 0 anni Virgilio, cioè di 8 0 0 0 anni il t e m p o attuale. Sta f i n e n d o il N e o l i t i c o e si avvicina la prima età dei metalli. L a Vergine a p p a r e all'equinozio autunnale, o p p o s t a ai Pesci che appaiono all'equinozio primaverile. L a Vergine, D e a M a d r e , si presenta c o m e Vergine Maria, m a d r e del P e s c e . 3 8 Anche S a n s o n e è accecato d a i Filistei. N e m r o d ( O r i o n e ) in un'antica leggenda slava ha n o m e Giovanni.

ne. Egli si avvia ad attraversare un fiume che si sviluppa nel cielo come la lunga e tortuosa costellazione di Eridanus. De Santillana e Van Dechend 39 lo descrivono nell'atto di guardare le impetuose correnti del gorgo ai suoi piedi (luogo in cui è destinato a ricomparire), guidato dagli occhi di un Pollicino, seduto sulla sua spalla (Kedalion).

In una mano Orione tiene una clava e nell'altra una pelle di leone. Così abbiamo percorso a ritroso circa 26.000 anni terrestri e celesti e siamo ricaduti nei nostri tempi. Partiti da una polare Ursa Minor, da un primaverile Aries, dall'invernale Orion, siamo tornati sotto le stesse costellazioni. Mentre sulla volta del cielo si alternavano mostri ed eroi, nelle caverne terrestri è trascorsa un'altissima civiltà che dal Paleolitico Superiore è scesa fino all'Età del Ferro. In cielo eroi armati di pietre, di clave, di archi e di spade hanno ucciso il mostro di turno, usurpandone il regno; in terra nuove culture e nuove armi hanno rimosso antiche culture e armi, relegandole nel primitivo. Se il percorso fu dal sacro oro al maledetto ferro, ovvero dall'oscurantismo alla scienza, è questione lessicale. Ogni volta i draghi abbattuti sono divenuti il simbolo del male, dell'ignoranza e dell'oscurità. Ma che cosa è accaduto dell'eroe vincitore? Egli ha tenuto il regno della luce per un tempo lunghissimo, ma è venuto anche per lui il momento in cui un nuovo usurpatore ha cercato il suo posto. Il guerriero che ha sconfitto il Drago è diventato lui il violento, il sanguinario, la forza irrazionale. Ha acquistato tratti animaleschi, è diventato l'orso o il lupo, è apparso sciocco e malaccorto ed è comparso un nuovo Mago, più astuto e più bello, ad usurparne il trono. L'antico Mago è diventato l'Orco e il Mago subentrato si è 3 9

D E SANTILLANA e VAN D E C H E N D c i t . , p . 2 1 4 .

fatto l'eroe della razionalità, con le sue nuove astrazioni e le sue nuove armi. Kronos-Saturno, il sovrano dell'Età dell'Oro, è il primo degli esseri supremi a perdere il suo trono sacrosanto e a ritirarsi nel grigiore della vecchiaia, burlato da un arcaico Pollicino, dal piccolo Giove rimpiattato nell'isola di Aigaion (o Liceo). Saturno, insaziabile divoratore di figli, diviene il prototipo degli Orchi, voraci e gabbati, e finisce, come il lupo di Cappuccetto Rosso, con un pietrone nella pancia. Ogni Drago, e ogni Orco, è un dio decaduto, è un sovrano abbattuto che conserva qualcosa della sua maestà antica. Egli è grandissimo, è celeste ed è immortale. Soprattutto egli vede, vede dovunque, vede tutto. Ha teste numerose e occhi innumerevoli. Gli occhi, luminosi ed inestinguibili, significano la vista sulle cose, privilegio divino e divino tormento: quel dover tutto vedere, sapere, giudicare, un affanno che il Creatore avrebbe voluto risparmiare all'uomo. L'eroe che finalmente uccide il Drago gode invece di un altro misterioso e oscuro privilegio. Egli è cieco: colui che proviene dalle caverne dell'ai di là o che accede al paese degli Inferi o dei Beati, dei trapassati, non vede il mondo 4 0 . Egli non vede con i propri occhi, ma con occhi mistici che gli consentono una visione di sogno, un rapporto con gli archetipi e i significati delle cose, disciolto dall'obbligo dell'ordine logico, dalla trama rigida dello spazio-tempo. L'uomo che s'impossessa del vedere razionale e lo deve sopportare nell'angustia di uno spazio finito e di un tempo crudele, è l'infelice tra le creature, prigioniero, condannato ad essere una divinità senza infinito e senza "10 In N u m e r i 24,3-4; 16-17 così dice il p r o f e t a B a l a a m : « O r a c o l o dell'uomo che ha gli occhi chiusi, o r a c o l o di colui che o d e le p a r o l e di D i o , che è iniziato alla scienza dell'Altissimo, che contempla la visione dell'Onnipotente, di chi c a d e e gli si a p r o n o gli o c c h i » .

eterno 41. Dal guaio in cui si è messo può solo salvarlo la sorte di ridivenire cieco, dopo il suo delittuoso «aver visto». Con la cecità tornerà la saggezza, come al sovrano incestuoso, a Edipo re, che aveva «visto» la madre. E cieco Fineo, che abita il palazzo di Cefeo. Horus è privato di un occhio, su Ercole cadono ombre tenebrose prima che egli possa ascendere al cielo. Sono ciechi l'indovino Tiresia e il poeta Thamiris e Demodoco, cieco è l'autore dell'7««o ad Apollo, e Omero. Spesso divenire cieco è lo stesso che divenire invisibile, essere avvolto da una nube o da un velo, essere coperto da una pelle o da un cappuccio. Ercole è nascosto dalla pelle di leone e Perseo, come Ade, porta il casco di pelle caprina. Mercurio è coperto dal pètaso. Coprire con un velo, nubere, è anche l'atto del matrimonio, e così tutte le fanciulle rapite e portate agli Inferi, Persefone, Andromeda ed Europa, sono anch'esse ammesse a quell'oscurità che è vera luce, a quel vedere ad occhi chiusi che è vedere nell'ai di là. Sono trasportate nel mondo capovolto del sottosuolo, da cui sorgono i sogni e nascono i bambini, nel mondo delle essenze di cui il nostro mondo è solo l'ombra. La prima coppia, Adamo ed Eva, vive nell'Eden insieme agli archetipi e ai nomi di tutti gli esseri, e non in una vera realtà. Essi avevano occhi chiusi e non intrattenevano con le cose un rapporto concreto. Vivevano come sonnambuli, col corpo tra il mondo ma con la mente altrove. Il contatto col frutto li avrebbe destati alla vita e quindi alla morte. Satana lo sa bene e quindi dice alla 4 1 II primo peccato d e l l ' u o m o rimarrà per s e m p r e non il b a s s o istinto, ma la malizia, la studiosità, la falsità con cui si ingegnerà a coprirlo, a contraffarlo e, alla fine, a d i f e n d e r l o razionalmente. N e l p e c c a t o d e l l ' E d e n , non tanto il f u r t o della mela, q u a n t o il m e s c h i n o scaricarsi le responsabilità: « l a d o n n a che tu mi hai p o s t o a c c a n t o . . . » , «il s e r p e n t e . . . » . E q u a n d o C a i n o avrà ucciso Abele, la sua infamia sarà la sua o d i o s a risposta al Signore che gli chiede: « D o v ' è A b e l e , t u o f r a t e l l o ? » « N o n lo so, s o n o f o r s e il g u a r d i a n o di mio fratello?»

donna: «Dio sa che quando voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi» 42. E infatti, quando i due ne mangiarono «...si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi» 4 3 . Nella sua nudità Adamo si vergogna di Dio e si nasconde. «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dall'albero da cui ti avevo comandato di non mangiare?» 4 4 . «Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì.» 45 E i due se ne andarono verso occidente, e indossavano gli abiti dell'uomo dell'Era Glaciale, raminghi nell'Europa 46. La mitologia greca narra di un delicato pastore, in cui si compie il trapasso opposto a quello del primo uomo biblico. Egli è condannato a sempre dormire, a vivere nel sogno, mentre il suo corpo rimane giovane intatto e leggiadro, e nell'antro montano ove è stato nascosto lo va ogni notte a visitare la grande narratrice di fiabe, la Luna. Egli sarà per sempre quello che vive nell'interno del proprio io, Endimione, abitante dei sogni. « Q u a n t o lievi debbono essere i sogni stessi, visto che sono più fini del mero nulla che li genera!» 47

42

G e n e s i 3,5.

43

Ibid. 3,7.

44

Ibid. 3,11.

45

lbtd.

3,21.

II serpente dovrà insidiare la stirpe della d o n n a , che gli schiaccerà la testa: « e tu le insidierai il c a l c a g n o » (ibid. 3,15). Anche E r c o l e avrà p r o b l e m i con il c a l c a g n o , mentre c o m b a t t e r à con un altro serpente, l'Idra di L e m a . S a r à m o r s o d a un granchio e non sarà e p i s o d i o da p o c o . Q u e l granchio sarà catasterizzato e diverrà la costellazione di Cancer, dalla q u a l e per tradizione antica inizia il c a m m i n o sotterraneo d e l l ' u o m o . ( N e l l a precessione degli e q u i n o z i il C a n c r o s e g u e il L e o n e , 10.000 anni f a . ) L a costellazione dell 'Hydra si s t e n d e lunghissima a s u d d e l l o Z o d i a c o , s e g u e n d o Virgo e Leo e t e r m i n a n d o con la testa all'altezza del Granchio. 46

4 7 H o w light / M u s t d r e a m s themselves be, seeing they're m o r e slight / T h a n the mere nothing that e n g e n d e r s them!: J . KEATS, Endymion, vv. 754756 (trad. it. di V. Papetti, B U R , Milano 1988).

A R G E N T O C O L A T O IN C O P P E L L A

Nell'estremità sud-orientale della Sardegna si leva un massiccio montuoso, coperto di fitta boscaglia, che guarda lontano, con le sue cime rocciose, l'azzurra distesa del mare. E noto come il massiccio dei Sette Fratelli. I pastori che s'aggirano con le loro greggi tra quelle montagne, conoscono un'antica leggenda che parla d'una bambina sepolta sotto una roccia. Mentr'ella transitava nella boscaglia, un enorme masso rotolò dalla montagna e la sotterrò. Ma non l'uccise, e nelle notti tempestose si odono i lamenti della candida fanciullina sepolta. Il masso è conosciuto col nome di Perda de Sa Pippìa (Pietra della Bambina) '. Chi è questa bambina fuggitiva per i boschi e rimasta, come una bella addormentata, sotto il nero macigno? Forse la incontreremo ancora. Proseguendo verso il Nord ci si addentra tra le catene montuose del Sarrabus, site tra il Campidano di Cagliari e il Tirreno. Sotto quei monti, verso il mare, giacciono estesi filoni argentiferi, scavati dai cunicoli di miniere abbandonate. Sui contrafforti orientali del Sarrabus, alle spalle dei paesi costieri di Villaputzu, Muravera e Sant'Andrea, fabbriche dirute e cumuli di detriti sassosi ricordano antiche fatiche di oscuri minatori. I vecchi seduti alla sera sulle panchine di pietra del villaggio raccontano dei padri e ' E . LUCCHI, La montagna n. 10, p p . 11-14.

dei Sette

Fratelli,

« M e d i t e r r a n e a » , II (1928),

dei nonni che salivano all'alba verso le montagne e ne discendevano all'imbrunire con i volti bruni segnati dalla fatica. Ripetono i nomi delle miniere d'argento: Baccu Arrodas, S'Aqua Rubia, Monte Narba, Giovanni Bonu, come di campi di antiche sconfitte militari. Addormentato da lunghi millenni, l'argento giace disteso in grandi filoni che si prolungano dal Nord al Sud o trasversalmente dall'Est all'Ovest 2 . Esso non appare alla superficie se non in rari affioramenti che solo i cercatori di metallo sanno distinguere, tra le faglie, nelle ganghe, nelle salbande o nelle cavità delle galene. Fra tutti i metalli l'argento è quello che più sovente si trova allo stato nativo, come riccioli, trucioli, dendriti, fili, lamelle o lanuggini superficiali. In queste forme esso appare di colore scuro, nerastro per le impurezze incrostate alla superficie. L'argento è la vergine tra i metalli, schiva alle combinazioni e alle ossidazioni, pura tra le rocce vili e grevi, intatta nelle inclusioni, nelle impregnazioni e nelle intrusioni. E la materia virtuosa, preziosa, la bianca pietra lunare che emerge immacolata dal contatto col saturnino piombo. Il suo biancore è celato dalla patina della terra e risplende soltanto, luce nascente dalle tenebre, nel forno dei metallurghi. 1 testi di mineralogia e le vetrine dei musei esibiscono l'argento catturato dai suoi nemici, combinato con essi in minerali, nei quali il suo biancore verginale è trasformato in macchia sanguigna, o in nero carbone. Gli «argenti rossi» si presentano in lucidi cristalli di color rosso cupo (pirargirite) o rosso chiaro (proustite) 3 . Sono frequenti nelle miniere della Boemia e della Sasso2 G . B . TRAVERSO, Giacimenti a minerali d'argento del Sarrabus, Genova 1881. C f r . anche G . B . TRAVERSO e S. TRAVERSO, Giacimenti minerari, 1910, p p . 26-38.

' S o n o solfuri di argento complessi, contenenti antimonio, o arsenico, d a l l e formule, rispettivamente, A g , S b S 3 e Ag 5 A s S v

nia e in quelle dell'America del Sud, più rari nel Sarrabus, dove vengono così descritti: I più bei cristalli di argento rosso si e b b e r o sul filone Canale Sigus (vena S u d ) e Monte N a r b a , nonché magnifici e color rosso vivo nella miniera di Baccu Arrodas in galena generalmente povera

Il più diffuso tra i minerali d'argento è l'argentile o argirose, nella quale l'argento è legato allo zolfo (Ag2S). Le forme dell'argentite, filamentose, dendritiche, uncinate, tortuose, ricordano quelle dell'argento nativo; il suo colore è grigio scuro, plumbeo, metallico. Essa è 1'«argento nero». Lo zolfo è unito all'argento non come uno sposo, piuttosto come un princisbecco, che al calore si volatilizza, restituendo all'argento la purezza. Il vero, unico sposo dell'argento è l'oro, che forma con esso una sublime, ambrata lega, l'electron, in cui l'argento non è più attaccabile e alla quale non osano accostarsi plebei corteggiatori. E la congiunzione alchemica del Sole e della Luna. Nei giacimenti argentiferi i minerali d'argento e il metallo nativo si trovano associati a minerali di piombo, di ferro, di zinco, di stagno e di rame. Sono le scorie dell'argento, quelle da cui il metallo dovrà essere liberato nel processo di purificazione. La ganga che raccoglie l'argento è formata soprattutto di galena (solfuro di piombo). Sarà il piombo fuso a includere, scomporre, disciogliere e disvelare l'argento. Il procedimento di estrazione dell'argento si svolge in forni a riverbero entro una conca di marna o d'argilla, chiamata coppella. L'operazione si chiama coppellazione ed è antica di migliaia di anni e per migliaia d'anni è stata ripetuta quasi identica, sino al principio del nostro secolo. Nella ricostruzione storica la coppellazione è rivelata dalla comparsa contemporanea di argento e piombo negli scavi archeologici. In Egitto argento e piombo si 4

G . B . TRAVERSO e S . TRAVERSO c i t .

trovano insieme tra reperti di oltre 5000 anni fa, precedenti il periodo dinastico: in Mesopotamia appaiono nella stessa epoca nel periodo di Uruk III, e magnifici lavori in argento sono stati rinvenuti a Ur e Lagash. Da tavolette cappadociane risulta che Gudea, principe di Lagash, inviò spedizioni per acquistare piombo e argento nelle «montagne dell'argento» dell'Armenia (Anatolia). Mercanti mesopotamici avevano stabilito nel terzo millennio a.C. colonie permanenti nella terra degli Ittiti ove acquistavano argento greggio e affinato, piombo puro e in pani 5 . Dalle montagne dell'Anatolia la voce del mito reca storie di fabbri industriosi dai nomi di Dattili, Cureti, Coribanti, Telchini o Cabiri, servitori della Grande Madre, aiutanti nel parto, metallurghi e incantatori. Essi appaiono a volta come interi popoli primordiali, talvolta come pochi esseri solitari che quasi sempre sono piccoli nani ingegnosi. Su quelle montagne si praticava, da tempo immemorabile, la coppellazione dell'argento. La coppellazione 6 è preceduta da una fusione delle pietre, soprattutto galene (solfuro di piombo), contenenti l'argento nativo e i suoi metalli. Il piombo fuso ha la proprietà di decomporre l'argentite (solfuro d'argento) e di sciogliere l'argento. Il piombo contenente l'argento (piombo d'opera) si carica poi entro la coppella, collocata in un forno a riverbero! La massa plumbea fonde formando un tetro minestrone, alla superficie del quale galleggiano oscure impurità, che sono asportate con ampie cucchiaie di ferro. Nel magma fuso viene insufflata aria con appositi mantici. Ed ecco che il vile piombo si lascia coinvolgere dall'ossigeno gorgogliante e si trasforma in ossido di piombo (PbO) o litargirio. Questo assume l'aspetto di una massa 5 R.J. FORBF.S, Estrazione, fusione e leghe (3: « A r g e n t o e p i o m b o » ) , in Storia della Tecnologia cit., voi. I, p p . 592-594. 6

C f r . Enciclopedia

Italiana,

alla voce Argento,

voi. IV, p p . 2 5 3 - 2 5 6 .

schiumosa e verdastra che tende a tracimare dalla coppella, aiutata dal maestro metallurgo che la trascina con un palo a T. Il nobile argento schiva l'ossigeno e rimane incontaminato, decantando lievemente sul fondo dove forma un deposito bianco, sepolto e compresso sotto la schiuma del litargirio. Intanto il maestro ha praticato, sull'orlo della coppella, un incavo per facilitare il deflusso del piombo ossidato. Mentre parte del litargirio tracima, altra è assorbita dalla cenere e dal fango battuti che coprono il fondo della coppella. Man mano che il bagno si abbassa il litargirio, che prima era verde, assume il suo colore naturale giallo (o rosso). Ridotto a uno strato sottile esso si apre in anelli colorati detti gli occhi dell'argento («argento in fiore»). Quando l'ultima pellicola di litargirio scivola via, il bianco metallo appare con un improvviso splendore, che viene chiamato il lampo dell'argento. Al principio del Cinquecento la coppellazione è così descritta da Giorgio Agricola 7 , che usa il termine «catino» in luogo di coppella. Agricola comincia col descrivere la preparazione della fornace, ...la cui fabbrica è fatta di sassi quadri e di d u e mura di dentro, l'uno dei quali taglia l'altro per traverso: e è anco fatta di un cerchio tondo 8, e d'un coperchio. Il catino [coppella-] si fa di polvere di terra e di cenere. Il cerchio dalla parte dinanzi si farà pendente, a fin che far si p o s s a il canaletto per lo quale andrà giù la schiuma dell'argento. Il coperchio ch'ha forma d'un mezzo tondo, e cuopre il catino, bisogna che fatto sia di cerchi e bastoncelli di ferro, e d'un tetto, o cappello... Il coperchio oltre a ciò abbia tre anelli di ferro... Q u e s t i chiodi d a quella parte leghino e connettino i bastoncelli con il cerchio di mezzo: agli anelli si attaccheranno gli uncini della cathena con la quale si solleva e alza il coperchio: il che si fa quando il maestro alza il catino. Sopra il f o n d o della fornace... mettasi il loto [fango] mescolato ' G . AGRICOLA c i t . , p p . 3 9 8

ss.

I corsivi s o n o miei e r i g u a r d a n o quegli strumenti e procedimenti cui si troveranno poi riferimenti nelle fiabe. 8

con paglia trita, alto tre dita, e bàttasi tanto con un pistel di legno che si sbassi di un dito. [Si passa poi a coprire il letto con cenere battutaI ...la detta cenere il maestro calca ben con le mani e la pareggia e inverso il mezzo fa il catin pendente. All'hora col pistellon detto di sopra, lo va pestando: di poi con due pestelli piccoli pur di legno forma il canaletto, per lo quale esce fuori la schiuma d'argento... fatto questo incontanente se n'entra con le scarpe nel catino, e per tutto lo va calcando co' piedi, nel qual m o d o il catin si ferma e divien pendente... D o p o questo batte il canaletto, per lo quale vien giù la schiuma d'argento 9 .

Dopo altre preparazioni, il maestro pesa il piombo argentifero; dispone il coperchio sul catino, poi vi monta sopra e, attraverso l'apertura del coperchio, dispone nel 9

AGRICOLA c i t . , p . 4 0 0 .

catino i pani di piombo che un garzone gli porge. Poi getta sul piombo un cesto pieno di carboni e chiude il foro superiore del coperchio. Altri carboni sono immessi dai fori laterali e il forno è pronto perché il mattino prossimo si possa di buon'ora iniziare le operazioni: L a m a t t i n a p r i m i e r a m e n t e l ' a r t e f i c e , p i g l i a n d o d u e p a l e d i c a r b o n i acc e s i , gli g e t t a n e l c a t i n o . . . F a t t o q u e s t o , a p r e e a l z a le p o r t e l l e d e la machina

c h e a b b a s s a i t r a v i c e l l i d e i m a n t i c i 1 0 , p e r c h é e l l a si

v o l t a r e : e c o s ì in s p a z i o d ' u n ' h o r a , il m e s c o l a t o p i o m b o si d i s f à

11

possa .

Nel piombo fuso l'artefice immette allora piccoli frammenti di argento (puro) allo stato grezzo, per arricchire il bagno di metallo prezioso. 10 L'aria insufflata dai mantici serve non tanto a mescolare, quanto a separare il p i o m b o dall'argento. Il p i o m b o , ventilato, si ossida in litargirio e si solleva c o m e « s c h i u m a di p i o m b o » ; l'argento, refrattario alla combinazione con l'ossigeno, rimane puro e scende verso il fondo. Una testimonianza dell'uso dei mantici si trova in G e r e m i a 6,29-30 (VII sec. a . C ): « I l mantice soffia con forza, dal f u o c o è c o n s u m a t o il piombo; invano si vuole r a f f i n a r e ad ogni costo: le scorie non si separano. Si chiamano argento di rifiuto, perché J a h v e li ha rigettati». 11

AGRICOLA cit., pp. 403-404.

M a l'argento rozzo puro, o sia di color piombo, o di cenere, o rosso o d'altro, slargato e tagliato minuto e scaldato ne catinetti di ferro, a l'hora si versa e mette dentro nel p i o m b o liquido, ch'ha dell'argento mescolato. Il qual, c o m e sovente ho detto, si chiama stagno: e così quanto v'è dentro di sporco, da quel si separa... Hor, q u a n d o il p i o m b o per lo spazio di due ore così scaldato sia, a l'hora col p a l o uncinato il maestro lo va movendo, perché si scaldi meglio... Alcuni sono che a ciascuna composizione mescolar sogliono una parte di salnitro... L a polvere certamente separa dalla mistura ciò che v'è di impuro. A l'hora col rastrel senza denti per lo canaletto tira fuori una certa scorsa del piombo mescolato con carboni, la qual genera il piomb o nello scaldarsi... di poi, per lo spazio d'un quarto d'hora, il catino si beve il piombo: e in quella che penetra in esso ei salta, e bolle. A l'hora il maestro con un cucchiaio di ferro cava fuori un p o c o di piombo, e lo prova, e da quello conosce quanto argento sia in tutta la mistura. Di poi col palo cava fuori la schiuma dell'argento, la quale si fa del piombo... perciò più rettamente chiamerasi schiuma di piombo che d'argento. Perché a l'hora non è difetto verun nell'argento, ma il p i o m b o (e il rame) da quel si separano. Ma il p i o m b o molto meglio ancora si separa nel catino d e l'altra fornace, dove l'argento purgato si purifica. Già (sendo di ciò autor Plinio) sotto il canaletto del catino, era un altro catino: e la schiuma d e l'argento da quel di sopra correva in quel di sotto... 12

Ed ecco l'operazione giungere al termine. Liberato dalla schiuma di piombo, l'argento appare nella sua bianchezza. H o r , q u a n d o l'argento haverà lo suo naturai colore, a l'hora appariscono alcune lucenti macchie bianche, e quasi che alcuni colori. In un batter d'occhio poi divien candido, incontanente il garzone manda giù le porticciuole, a ciò serrato il canale, la ruota non giri, e i mantici si fermino. Ma il maestro sopra l'argento getta alcuni vasi d'acqua perché si r a f f r e d d i 1 3 . Cavato fuor del catino il pan de l'argento lo mette sopra una pietra... a l'hora con una spazzola fatta di fila d'ottone, e bagnata ne l'acqua, lo va nettando 14 .

12 Ibid., per fare tubi.

p. 405. Q u e s t o p i o m b o , avvolto i n t o m o a un ferro, era u s a t o

13 Ibid., p. 4 0 6 . « A l t r i son che vi versan sopra della cervosa, divenga più b i a n c o . » 14

Ibid.

perché

Il pane d'argento, estratto dal forno e lavato, viene successivamente purgato entro un altro focolare. L'operazione si compie entro una teglia di terracotta, o «testo», che si riempie di ossa polverizzate e cenere. Si aggiunge un po' d'acqua e si mescola con un pestello dentato. Il contenuto della teglia è pareggiato con un coltello e spianato con una pala di legno. Alcuni adoprano un cerchio di ferro in luogo del testo, altri cingono il testo col cerchio di ferro. Il purgatore scalda ora i pani d'argento e poi li spezza con un martello su un tronco di legno durissimo. I frammenti, messi in piedi nella polvere del testo, sono coperti di carboni ardenti. Il mantice soffia e l'argento si liquefa entro la polvere d'ossa e di cenere che ne trae fuori le impurezze.

Il purgator governa il f u o c o e muove l'argento liquefatto con un istromento di ferro lungo nove piedi, e grosso un dito... H o r q u a n d o al maestro pare che l'argento purgato sia, allora con una pala toglie via i carboni del testo: e poco d o p o piglia de l'acqua con un cucchiaio di rame [e]... versandolo sopra l'argento, a poco a poco lo va spengendo... A l'hora, tolto il testo fuori del focolare, con una pala o con una forca lo volta sottosopra, e in questo m o d o l'argento, in forma di una mezza palla cade in terra... e levatolo su di nuovo con una pala, lo mette nel vaso de l'acqua, dove ancora fa grande strepito, e suono... R a f f r e d d a t o che è, con il martello Io batte, a fin che se la polvere gettata nel testo vi si f o s s e attaccata, ch'ella caschi giù. ... Purga eziandio l'argento... con una spazzola fatta di file d'ottone legate insieme, e bagnata sovente nell'acqua, nettandolo: la qual fatica di battere e nettare va rinnovando, finché sia purificato a f f a t t o .

Di poi: mettelo sopra un trepiede, o una grata di ferro... A la fine il sovrastante, e governator delle cose del re, o del principe, o de signori, pone l'argento sopra il tronco, e con lo scalpello ne taglia due pezzuoli, uno dalla parte di sotto, l'altro da quella di sopra, e al f u o c o le pruova, per saper se benissimo purgato sia l'argento, o no, e a che pregio si d e b b a vendere a mercatanti: fatto questo incontanente vi mette su il sigillo del re, o del principe, o de signori, e appresso di se tiene il conto del p e s o

L'estrazione dell'argento dalla galena è di per sé una trama fiabesca. Un sepolto biancore giace sotterra in lunghe vene pietrose. Raggiunte dai minatori, le vene sono picconate, abbattute, trascinate faticosamente alla superficie nelle gerle dei portatori. Le pietre spezzate sono deposte entro rozze scodelle che ricordano pentole di streghe. A lungo la massa plumbea bolle, e sotto la schiuma gorgogliante l'argentea materia si distende come bella-addormentata nel suo letto. La massa scura che la sovrasta, come masso che copra una bambina sepolta, come cumulo che copra la luna, si sposta pian piano. E improvvisamente, dopo aver aperto gli occhi, la bellezza velata si svela con un lampo abbagliante. Raccolta e lavata è disposta su un cataletto, in attesa di appartenere ad un re.

15

Ibtd., pp. 418-419.

ANALISI CHIMICA DI

BIANCANEVE

La fiaba di Cappuccetto Rosso ihizia sulla tonalità rossa del famoso cappuccio. E il rosso del cinabro, della pietra rossa che simboleggia il sangue, il continuamente rigenerato. Biancaneve 1 è ampiamente dipinta di bianco, di pallore lunare, di lividore mortale; pennellata di biacca, spruzzata d'argento. Essa inizia tuttavia da stille di porpora, da gocce di sangue il cui colore spicca vivace sul biancore del fondo. In un paesaggio invernale, innevato, una regina... cucendo e alzando gli occhi per guardare la neve, si punse un dito, e c a d d e r o nella neve tre gocce di sangue. II rosso era così bello su quel candore...

Il passaggio ricorre in fiabe analoghe, come quella, per noi importantissima, de II ginepro 2. ... Una volta, d'inverno, la donna era sotto il ginepro che sbucciava una mela, e sbucciandola si tagliò un dito, e il sangue cadde sulla neve.

Le due donne reagiscono quasi con le stesse parole. La regina: Avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue, e dai capelli neri come il legno della finestra!

La donna del ginepro: 1

GRJMM cit., n. 5 3 , p . 2 2 8 .

GRJMM cit., n. 47, p. 199. Un g r a n d e g i n e p r o (luniperus excelsa) è l'alb e r o con cui si identificava Artemis K e d r e à t i s ( A r t e m i d e del c e d r o o del gin e p r o ) a O r c o m e n o di Arcadia ( U . PESTALOZZA, Eterno femminino mediterraneo, N e r i P o z z a , Venezia 1954, p. 4 8 ) . A r t e m i d e - D i a n a è la L u n a cioè l'argento. 2

Avessi

un

bambino,

rosso

come

il s a n g u e

e bianco

come

la

neve!

In una versione sarda della fiaba, il colore rosso rimane dominante e la bambina invocata si chiamerà Granatina 3. Q u i sono tre semi di rossa melagrana che cadono sulla neve e la donna invoca: A h , v o r r e i u n a f i g l i a b i a n c a c o m e la n e v e e r o s s a c o m e la m e l a grana.

La contrapposizione rosso-bianco, che nella favola di Cappuccetto Rosso corrisponde a cinabro-argento vivo, nella fiaba di Biancaneve richiede un argento rosso contrapposto all'argento metallico bianco, un argento di fuoco contrapposto a un argento di ghiaccio. Conosciamo già l'argento rosso. E una pietra non rara nei giacimenti argentiferi, che appare come macchia lucida di colore sanguigno. E la pirargirite, che letteralmente significa «argento di fuoco». Alchemica porpora, «sangue sputato», «riso delle belle labbra», «fuoco del fuoco» (pur purós), «puro del puro» 4. La sola fiaba di Biancaneve contiene un riferimento al nero: «Avessi una bambina con i capelli neri come l'ebano» 5 . Non faticheremo a trovare un argento nero, perché il più comune dei minerali dell'argento, Xargentite, ha aspetto legnoso e colore nerastro. Tuttavia il nero dei capelli ci riporta a un nero più profondo, l'inizio di tutte le trasformazioni alchemiche, la testa di corvo, il nigrum nigrius nigro, che è la morte e la putrefazione da cui la Grande Opera ha inizio. Per mezzo del fuoco, dal nero 3 L a favola è intitolata 1 tredici banditi. L e stesse p a r o l e si leggono in un'altra f i a b a sarda, La fiaba di Melagranata (in E . DELITALA, Fiabe e leggende nelle tradizioni popolari della Sardegna, D u e D E d i t r i c e M e d i t e r r a n e a , S a s s a r i 1985, p. 4 8 ) . 4

CANSELIET, 1 ) c i t . , p . 3 4 .

E b a n o è il legno della finestra cui è a p p o g g i a t a la regina, N e La fiaba di Melagranata ( E . DELITALA cit.) la futura madre, anch'ella « e r a a f f a c c i a t a a una f i n e s t r a » . 5

emerge la bianchezza verginale. E quand'essa appare, tanto grande... q u a n t o la n e v e d e l l e a l t e m o n t a g n e , s o t t o l o s p l e n d o r e d i u n a

sotti-

lissima cristallinità, [da essa esce] un o d o r e tanto dolce e b u o n o , n o n s e n e t r o v a u n o s i m i l e al m o n d o

6

che

.

Il destino della dolce bianchezza è quello di essere ripetutamente occultata, ritrascinata nella nerezza, nel buio del sonno stregato. Il compito è svolto nella fiaba da una matrigna «superba e prepotente»; ella non sopporta che la si superi in bellezza. Unita alla bambina dalla consuetudine domestica, le è tuttavia estranea e non partecipa della sua natura. E lei l'operatrice delle trasmutazioni dell'argento. Benché sia perfida, è attraverso le sue manipolazioni che Biancaneve raggiunge la purezza e le nozze. La regina-matrigna di Grimm è una cercatrice di affioramenti d'argento, e li ricerca in se stessa, guardandosi in uno specchio.

6 In Trois Traitez de la Philosophie naturelle, Parigi 1618, cit. da CANSELIET, 1) cit., p. 33. Nella fiaba II ginepro (GRIMM cit., n. 47, p. 199), alla q u i n t a luna « l a d o n n a se ne stava s o t t o il g i n e p r o , e l'odor della pianta era così d o l c e che il cuore le scoppiava di gioia, ed ella c a d d e in ginocchio ed era fuori di s é » .

Quando la regina vede l'argento, quando scopre nel suo palazzo la bellezza di Biancaneve, subito le prepara la fine dell'argento nativo, che è quella d'essere incluso e dissolto nella galena che lo contiene. Il pietrame argentifero è fatto a pezzi, gettato in una grande coppa d'argilla, la coppella, e scaldato in un forno a riverbero. Nella poltiglia nerastra e bollente l'argento scompare disciolto, digerito, divorato dal piombo fuso. Il divoramento dell'eroina da parte della matrigna si incontra nella fiaba di Biancaneve e nelle sue varianti. Esso identifica l'argento nel momento in cui è fagocitato, «ingerito», dal piombo, e si presenta come uno strano cerimoniale cannibalesco, come una ouverture macabra della fiaba del candore. In genere l'eroina viene risparmiata e il pranzo antropofago è riservato a un suo sostituto. Nella favola II ginepro 1, dove Biancaneve è rappresentata da un fanciullino, il piccolo è fatto a pezzi, servito in tavola e divorato 8.

7

C f r . nota 6.

N e l l a Biancaneve russa (Lo specchietto fatato, AFANASJEV cit., p. 5 4 ) è il fratello che ha il c o m p i t o di uccidere la ragazza: « m i m a n d a il b a b b i n o con l'ordine di fare a pezzetti il tuo bianco corpo, d ' e s t r a m e il cuore e di portarglielo...» 8

Nella favola dei Grimm, il cacciatore mandato a uccidere la bambina nel bosco si lascia prendere da pietà, risparmia la creatura, e uccide al suo posto un cinghialetto. Quand'egli porta il fegato e i polmoni dell'animale alla regina, ella celebra un inopinato banchetto e divora gli organi che crede della reginetta, cucinati e salati. E siccome proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li p o r t ò alla regina come prova. Il cuoco dovette salarli e cucinarli, e la perfida li mangiò credendo di mangiare i polmoni e il fegato di Biancaneve 9 .

Troviamo la stessa macabra scena in una fiaba sorella di Biancaneve, La Bella addormentata nel bosco di Perrault 10 . Q u i la suocera della reginetta vuol divorare la bambina Aurora e il bambino Sole, che la Bella aveva messi al mondo, e poi la reginetta stessa. Quando il capocuoco va per uccidere Aurora, ella aveva quattro anni; ridendo e saltando gli gettò le braccia al collo e gli chiese uno zuccherino. L u i si mise a piangere, il coltello gli c a d d e di mano, e corse giù nel cortile a sgozzare un agnellino, acc o m p a g n a n d o l o con una salsa così buona, che la sua padrona gli dichiarò di non aver mangiato mai nulla di tanto squisito.

In luogo del bambino e della mamma, le vengono poi serviti un caprettino e un cervo, che la Regina si mangiò per cena, e con lo stesso appetito che se f o s s e stata sua nuora 11.

Ne II ginepro è il vero bambino che viene cannibalescamente divorato dalla matrigna: Prese il b i m b o e lo fece a pezzi, lo mise nella pentola e lo fece bollire nell'aceto. Marilena [la sorella], lì vicino, piangeva e piangeva e le lacrime le cadevano tutte nella pentola e non c'era bisogno di sale 12 . 9

C f r . nota 2.

10

D ' A L N O Y , PERRAULT e t a l . c i t . , p .

11

Ibid., pp. 36-39.

30.

1 2 D u r a n t e la preparazione dell'argento viene aggiunto nella c o p p e l l a salnitro (cfr. p. 135).

Il figlio viene servito come un piatto grande grande pieno di carne in salsa agra

u

,

precisa immagine della coppella ove la ganga argentifera fonde nella massa verdastra della galena. Nella sua qualità di bianco argento incluso nella galena, o disciolto nel piombo d'opera, Biancaneve si colloca nel tipo della «bella-addormentata», della «fanciulla agli inferi». Ella è come una bianca rosa in un roveto, impossibile a cogliersi, vergine irraggiungibile. Il roveto è la galena che divora la bianchezza dell'argento. La Bella addormentata di Perrault giace su un letto ricamato d'oro e d'argento, entro un magnifico palazzo. Ella s'è punto un ditino con un fuso, e dalla goccia di sangue, che certo ne è uscita, inizia la sua avventura. La si descrive con le guance rosa e le labbra color corallo. Intorno al castello, per ordine d'una fata, crebbero alberi grandi e piccoli, sterpaglie e roveti in un intrico tale che né un u o m o né un animale s a r e b b e riuscito ad attraversarlo: non si vedeva più che la punta delle torri del castello, e ancora, bisognava guardarle da una grande distanza 14.

Rosaspina dei Grimm, anch'ella si punge un ditino con un fuso e cadde sul letto che era nella stanza e vi giacque in un sonno profondo. Ma intorno al castello crebbe una siepe di spini, che ogni anno diventava più alta e più fitta e finì col circondarlo e ricoprirlo tutto, cosicché non se ne vide più nulla, neanche la bandiera sul tetto " .

Ne II ginepro, un arbusto irto di spine, un cespuglio impenetrabile accoglie le ossa e gli ossicini del bambino ucciso e divorato, racchiusi dalla sorella in un fazzoletto

13

C f r . nota 10.

14

D ' A L N O Y , PERRAULT e t a l . c i t . , p . 3 3 .

GRIMM cit., n. 50, p. 216. N e l l a saga germanica la bella Walchiria a d d o r m e n t a t a , Brunilde, è circondata da una selva più impenetrabile e più simile all'Inferno e al forno del metallurgo: l'incantesimo del f u o c o . 15

di seta. Miracolosamente, dopo la deposizione, nella pianta arde un fuoco, si leva un uccello al volo e quando fu scomparso, il ginepro tornò come prima e il fazzoletto con le ossa era sparito 16.

Il piombo fuso ha assorbito l'argento e dalla galena si sono levati vapori di zolfo. Biancaneve va a addormentarsi in una modesta Casina. Intorno a questa si stende un gran bosco selvaggio, pietroso e spinoso. La bimba l'attraversa come una piccola Diana cacciatrice e ne rimane intatta. Il forno per la purificazione dell'argento in coppella 16

lbtd., n. 47, p. 202.

è una casetta piccina, circolare, con finestre minute e un tetto conico di ferro. Il muro attorno non è più alto di un metro e il diametro dell'impianto è circa un metro e mezzo. A volerla popolare di inquilini si debbono immaginare piccoli nani, e una ragazza vi entrerebbe, distesa, appena appena. Per Biancaneve è una soglia, al di là della quale sono sonni sempre più profondi, sino all'estremo sonno della morte. La coppella, entro il forno, è un vero giaciglio per l'argento, il luogo in cui esso si distende e si riposa. La fanciulla è avviata agli Inferi, dove giungono tutte le belle-addormentate, in un al di là desolato che le conserva intatte nel lungo riposo. Possono starvi mesi, anni, secoli, finché un Orfeo fortunato non le riporti allo splendore del giorno. Nella casetta dove giunge Biancaneve ci sono, su un tavolo, sette scodelle colme di verdura, dalle quali Biancaneve si serve, portando via solo un po' di contenuto con un cucchiaio, come fanno i minatori che con cucchiaie di ferro tolgono la scoria galleggiante dalle coppelle ardenti. Quest'operazione si trova in altri racconti. Nella fiaba sarda di Melagranata, Maria compie pedantemente il procedimento del maestro metallurgo, quella «schiumatura» che costituisce l'atto peculiare della preparazione dell'argento: C'erano le pentole con la carne, pronte per essere schiumate; ha schiumato il brodo... 17

La fanciulla poi si occulta, si mette sotto, si copre con un mucchio di pelli, come argento sul fondo della coppella, coperto di tanti strati di litargirio. Nella fiaba di Granatina la bambina si rintana sotto un letto. L'occultamento, la scomparsa alla luce, assume in 17

DEUTALA cit., p. 49. Il testo s a r d o usa il termine

ispummare.

Biancaneve il connotato del letargo 18. La fanciulla si addormenta sempre. Prima vinta dalla stanchezza, poi due volte da oggetti applicati al suo corpo (stringa, pettine), e infine, in modo che sembra definitivo, per l'ingestione di un veleno. La trasformazione della materia bianca ha i suoi piccoli operatori. Sono i sette nani, i sette minatori con cui la piccola inizia un periodo di convivenza. Essi sono per lei come fratelli, ed ella coabita con loro in assoluta castità. Benché essi sappiano che Biancaneve è figlia di re, le affidano gli umili lavori della casa. Ella è ancora pietra grezza e dovrà subire tre bagni di litargirio prima d'essere pronta alle nozze regali. Per tre volte la regina, che ha assunto il ruolo del litargirio nella coppella, sprofonda la candida bambina nel sonno. Nell'ultima scena ci troviamo proprio di fronte a Satana che seduce Eva. La strega ha portato con sé

18 II letargo dell'argento è il suo i n a b i s s a m e n t o nel litargirio. E p o s s i b i l e che le d u e p a r o l e a b b i a n o etimologia equivalente. « L i t a r g i r i o » o « l e t a r g i l i o » ( X I V sec.) deriva da lilos (pietra) e drgyros (argento), nel s e n s o di pietra (o t o m b a ? ) dell'argento. L e t a r g o d e r i v e r e b b e d a letum ( m o r t e ) e argós (inerte), nel s e n s o di inerzia mortale. M a pietra e morte (e o b l i o ) h a n n o s e n s o e f o r s e radice c o m u n e , c o m e l'argento (il b i a n c o ) e la p a l l i d a inerzia.

una mela velenosissima; alla vergine è stato proibito di far entrare chiunque: - Prendi, voglio regalartene una. - N o , n o n p o s s o accettare nulla... B i a n c a n e v e m a n g i a v a c o n gli o c c h i la b e l l a m e l a , e q u a n d o v i d e la c o n t a d i n a m o r d e r c i d e n t r o , n o n p o t è p i ù r e s i s t e r e , s t e s e la m a n o e p r e s e la m e l a a v v e l e n a t a . L a r e g i n a l ' o s s e r v ò f e r o c e m e n t e e s c o p p i ò a r i d e r e

19

.

w Cfr. nota 1. Q u i si verifica, d o p o la violazione della pianta, che corrisponde al morso edenico della mela, la rottura della continuità e la vera discesa agli Inferi di Biancaneve. Nella variante II ginepro (cfr. nota 2 ) la morte del b a m b i n o , ucciso dalla matrigna, ha anche un preludio tra mele rosse. Dice la sorellina: « - M a m m a , d a m m i una mela... M a m m a , non ne darai una anche a mio fratello? - Figlio mio, vuoi una mela? - ...Sì, d a m m i una mela. - E q u a n d o il b a m b i n o si chinò, il diavolo la consigliò e p a f f ! ella sbatté il coperchio, così che la testa schizzò via e c a d d e tra le altre mele rosse. Allora ella fu presa d a l l o spavento e pensò: - Potessi allontanare q u e s t o da m e ! »

Che cosa rappresentano, dal punto di vista metallurgico, gli oggetti portati dalla strega alla casa dei nani per uccidere la bambina? A me sembra riconoscervi i pezzetti di minerali d'argento, quelli che Agricola chiama «l'argento rozzo, puro», che si usano gettare nella ganga argentifera fusa in coppella, per arricchirla del metallo 20. Agricola li descrive come di «color piombo, o di cenere, o rosso o altro». Sono argento in combinazione salina con elementi vili, incestuosi composti che il bagno di litargirio discioglie separandone il metallo nobile. Il cuore della fiaba di Biancaneve riposa nell'idea di castità: una castità bianca, intoccabile, che è assenza di passioni, di colori, di vita. La bambina è figlia della neve, di un paesaggio senza odore, senza colore e senza rumore, e vive un'esistenza ultraterrena, lunare, lontana. Non conosce congiunzioni, se non quella con la morte o con il sole. E collocata nell'assoluto e la sua bellezza incomparabile si può guardare solo nello specchio, come quella di una Gorgone. Colore d'alba, verginale e infantile, colore del nulla antecedente all'inizio. A Biancaneve si addice il sonno, l'escludersi dalla realtà per andare ad esistere in un mondo inaccessibile, segreto, mentre il corpo immobile, fresco, incorruttibile, è serbato intatto per le lacrime degli abbandonati. Un dolore lungo, inconsolabile, senza speranza, commenta il suo mantenersi immota sulla soglia della morte, senza mai attraversarla. La sua bara di vetro la separa dalla vita, ma la conserva presente, come la reliquia di una santa. Tutte queste qualità della fanciulla bianca-come-laneve sono proprietà dell'argento, il bianco tra i metalli. 20

strega, la colore, a girite. L a e la terza

S e si vuol fare un esercizio di e q u i p a r a z i o n e chimica, i tre doni della stringa, il pettine, la mela (metà r o s s a ) , rassomigliano, in struttura e tre minerali d'argento: argentite ( A g S ) , cherargirite ( A g C l ) e pirarprima si presenta in f o r m e filamentose, la s e c o n d a ha a s p e t t o corneo ha una superficie lucida, rossa, sanguigna.

Di natura nobilissima, l'argento è alieno alle combinazioni e alle ossidazioni, e si conserva casto e nativo tra rocce vili, tra metalli più bassi, nei gorgoglii dell'aria nel forno. Esso emerge puro dalla coppella in virtù della sua verginità. Tra le pietre e nel forno è l'occultato, il nascosto, il profondo, il pudico. Solo dopo che è stato liberato da cento veli, scopre la sua bianchezza e lo fa con tale fulgore da far girare lo sguardo di chi gli è attorno. L'argento è la bella-addormentata, la bianca giacente, la splendente al risveglio. Contrapposto al bianco è il rosso, colore del fuoco, del sangue, della vita. Colore della forza generosa, dell'ardore, dell'Eros trionfante. E Biancaneve reca nel suo biancore un punto rosso, goccia di sangue, seme di melagrana, piccole labbra di porpora, guance infiammate. Non c'è fiaba di Biancaneve dove manchi il rosso. In Sicilia è bianca-come-nivi-russa-come-focu. In Sardegna è color di granata. Questo tocco di rosso sta come la sottile presenza del contrario ad esaltare e contrastare l'incommensurabilità del candore. Quando i nani trovano la bambina morta, è un piccolo accenno di rosso che attesta la persistenza di un alito vitale nella bianchezza immota del corpo: Poi volevano sotterrarla; ma in ella era ancor fresca, come se seppellirla dentro la nera terra», brava che dormisse, perché era sangue e nera come l'ebano 2 1 .

viso, con le sue belle guance rosse, f o s s e viva. Dissero: « N o n p o s s i a m o e fecero una bara di cristallo... Sembianca c o m e la neve, rossa come il

Bianco, rosso e nero sono i colori di Biancaneve alla nascita e lo sono alla morte. Si avvicina il momento del risveglio. Nella fucina del metallurgo, lo voglio ricordare, si succedono questi procedimenti. La schiuma di piombo tracima e la poltiglia del piombo fuso si va a solidificare sul pavimento, tra 21

C f r . nota 1.

fiamme e fumo. Quando l'operazione è ormai completa, si solleva fragorosamente il coperchio del forno, con i suoi tre cerchi di ferro 2 2 . Nella coppella il litargirio, ridotto a uno strato sottile, si squarcia e si aprono «gli occhi dell'argento». Improvvisamente l'ultimo velo scorre via e l'argento risplende con un biancore abbagliante. E il «lampo dell'argento». La trasformazione è narrata, con verismo impressionante, nella fiaba 11 ginepro. La madre, che ha ammazzato il fanciullo, siede a tavola con il padre e la sorella. Arriva uno stranissimo uccellino, che porta con sé tutti gli strumenti per la purificazione dell'argento: a v e v a n e l l a z a m p a d e s t r a la c a t e n a , n e l l a s i n i s t r a le s c a r p e e a t t o r n o al c o l l o la m a c i n a [la c o p p e l l a ] 2 3 .

Al suo arrivo la mamma assassina grida e, come il litargirio scorre via dal bagno ardente e cade infuocato sul pavimento, così scorrono via gli abiti di dosso alla donna che brucia. « N o , » d i s s e la d o n n a « i o h o t a n t a p a u r a : m i b a t t o n o i d e n t i e mi p a r d ' a v e r e del f u o c o nelle v e n e » . E

si s t r a p p ò

il c o r p e t t o e il

r e s t o . . . S i t a p p ò le o r e c c h i e e c h i u s e gli o c c h i p e r n o n v e d e r e e n o n s e n t i r e , m a n e l l e o r e c c h i e a v e v a il f r a g o r e 2 4 d e l l a t e m p e s t a e i s u o i 2 2 L ' a p e r t u r a del coperchio con i suoi tre robusti anelli di ferro risuona nella strana fiaba con cui i G r i m m a p r o n o i loro Màrchen: Il principe ranocchio ed Enrico di ferro (GRIMM cit., n. 1, p. 5 ) . E la storia di un principe trasformato in ranocchio che cerca la liberazione ad o p e r a d ' u n a principessa (le chiede di « m a n g i a r e nel s u o piattino d ' o r o , b e r e d a l s u o bicchierino, d o r m i r e nel s u o l e t t i n o » ) e la ottiene in m o d o brusco, q u a n d o la fanciulla lo s b a t t e c o n t r o un muro. L a metallurgia dell'argento è richiamata d a l servo Enrico, il vero coperchio della fiaba. Egli si era fatto m e t t e r e tre anelli di ferro i n t o m o al cuore perché non gli s c o p p i a s s e d ' a n g o s c i a . Q u a n d o il p a d r o n e è liberato e d Enrico lo porta in carrozza con la principessa, si o d o n o tre forti schianti. « I l principe p e n s ò che il cocchio a n d a s s e in pezzi, e invece erano soltanto i cerchi che saltavano via d a l cuore del f e d e l e Enrico, p e r c h é il s u o p a d r o n e era l i b e r o e f e l i c e » (ibid.). 23

C f r . nota 2.

L ' o p e r a z i o n e del sollevamento del coperchio è violenta e f r a g o r o s a . La gru con cui si solleva il p e s o « f a u n o strepito e s u o n o , simil a l'abbaiar d e cani, per ciò a p p r e s s o di noi da q u e s t o ha p r e s o il n o m e » (AGRICOLA cit., p. 409). 24

occhi bruciavano e vedevano lampi 2 5 ... « M i par che tremi tutta la casa e che sia in fiamme»... Ma la donna e b b e una gran paura e p i o m b ò lunga distesa nella stanza, e la cuffia le cadde di testa... L a donna stramazzò, come f o s s e morta... saltò in piedi e i capelli le si rizzarono come fiamme. « M i sembra che d e b b a crollare il m o n d o , uscirò anch'io: chissà che non stia meglio!» E q u a n d o oltrepassò la soglia, pac! l'uccello le buttò in testa la macina, che ne fece poltiglia... f u m o e fiamme si sprigionarono dal suolo e, q u a n d o tutto svanì, ecco il fratellino... 2 6

Il litargirio arde, tracima e piomba al suolo come poltiglia; l'argento, con un lampo, si risveglia. Il risveglio di Biancaneve è dolce e sereno: Ella aprì gli occhi, sollevò il coperchio e si rizzò sulla bara. Era tornata in vita 2/ .

La strega non è presente, ma quando la vede andare a nozze riconobbe Biancaneve e impietrì dallo spavento e dall'orrore 2 8 .

Prima d'essere esposta nella bara di vetro, dove un principe si offrirà di acquistarla, Biancaneve è sottoposta alle ultime purificazioni da parte dei piccoli minatori. Essi cercano dapprima di liberarla dal veleno che la tiene ad25

II « l a m p o » dell'argento.

26

Cfr, nota 2.

2/

Cfr. nota 1.

28

Ibid.

dormentata, e poi la preparano per l'estrema deposizione sul letto di morte. La preparazione della salma di Biancaneve segue una procedura curiosa, che vogliamo confrontare con il finale allestimento del pane d'argento. Biancaneve29 :

L'argento 30:

La sollevarono, cercando se mai vi f o s s e qualcosa di velenoso...

Il pane d'argento, levato con la forca, mette sopra l'istrumento... e con il martello lo batte, a fin che se la polvere... vi si f o s s e attaccata, ch'ella caschi giù. purga eziandio l'argento, e... con una spazzola... bagnata sovente nell'acqua, nettandolo. Di poi mettelo sopra un trepiede... A la fine il sovrastante, e governator delle cose del re... pone l'argento sovra il tronco... ... fatto questo, incontanente vi mette su il sigillo del re...

...le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino... ...La misero su un cataletto... Fecero fare una bara di cristallo, perché la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero... ...e vi misero sopra il suo nome a lettere d'oro, e scrissero che era figlia di re 3 1 .

Pronta per il regale acquisto, la bianca fanciulla giace, come lingotto argenteo, in attesa delle uniche nozze che le si confanno, lo sposalizio con l'oro.

29 3 0

ìbid. AGRICOLA c i t . , p . 4 1 9 .

3 1 Gir. noia 1. L a t o m b a di Lancillotto del L a g o ha il coperchio formato da una lastra d'argento. Nel f o n d o della t o m b a , su un m a r m o r o s s o , è scritto che l'eroe è figlio di re.

L A FANCIULLA E I S E T T E FRATELLI

Ogni fiaba cerca la sua terra, perché della terra è l'anima, è la voce. Cerca il bosco, le pietre e i ruscelli, i sentieri, come un'anima perduta va inseguendo un corpo dove continuare la sua esistenza. La piccola Biancaneve ha bisogno d'un bosco dove nascondersi e il bosco ha bisogno della bianca figurina per animarsi, per nutrire il suo gioiello come l'ostrica la sua perla, perché il vento correndo tra gli alberi abbia voce, perché il buio accenda il suo piccolo lume. Ma che tracce può lasciare il piedino d'una piccola fuggitiva, e come trovare le rovine d'una casetta di nani tra i boschi del mondo? La luna narra la storia della fanciulla bianca-come-la-neve, anzi è lei stessa quella fanciulla, ma la luna racconta le sue favole in ogni luogo, e non puoi seguirla perché ti segue, dovunque tu vada. Biancaneve è Diana, è la luna, ed è l'argento. Come argento, giace per millenni sepolta nel sottosuolo. Appunto lì, dove sono state scavate le miniere d'argento e dove i minatori hanno costruito i loro forni, sono stato a cercare le tracce della pallida signorina. Classici filoni argentiferi si stendono nei dintorni di Joachimsthal e di Frieberg nell'Erzgebirge, in Sassonia. Non meno importanti sono i giacimenti del Sarrabus, nel Sud-Est della Sardegna '. Verso questi ultimi mi sono av1 B e n c h é lo s f r u t t a m e n t o minerario intensivo del S a r r a b u s sia recente rispetto a q u e l l o di altre zone argentifere della S a r d e g n a , c o m e l'Iglesiente, l ' a b b o n d a n z a di argento nativo a f f i o r a n t e ha certamente c o n n o t a t o la regione c o m e argentifera sin da tempi antichissimi. A d avviare l'attività mineraria in S a r d e g n a furono, già nell'XI secolo, i tedeschi, s o t t o il d o m i n i o pisano ( M . TANGHERONI, La città dell'argento, Liguori, N a p o l i 1975; e L'argento in Sardegna, Pacini, Pisa 1986).

viato, per iniziare l'esplorazione in paraggi più familiari, convinto anche che i vaghi personaggi delle fiabe non hanno l'obbligo di esser vissuti in un posto solo, e possono essere esistiti in un luogo e in un altro e in nessuno, e in ciascuno esclusivamente. Nel Sarrabus sono stato attratto da una specialissima coincidenza. Alle radici sud della regione si erge un massiccio che prende il nome da sette picchi noti come I Sette Fratelli2. Quei sette picchi eretti sui colli dell'argento sono divenuti per me, come d'incanto, i sette minatori della fiaba. Lo scenario era già costruito, uno scenario da gran finale: sette minatori sui monti montavano la guardia alla cara bambina addormentata tra gli ultimi contrafforti montani. La fiaba di Biancaneve è raccontata in Sardegna in varie versioni. Gli elementi della storia sono quasi i medesimi che nella fiaba dei Grimm. La bimba è bianca come la neve e rossa..., ma il rosso, un rosso granata, rimane il colore dominante. Nelle due versioni che abbiamo citato, il colore che dà il nome alla bambina è quello della melagrana: in una si chiama Melagranata (o Maria), e nell'altra Granatina. Il frutto colto o aperto, rientra nel disegno generale della fiaba, da cui la fanciulla prende il nome, come la rottura iniziale che apre la strada al viaggio sotterraneo. Il fatto che l'eroina conservi il nome e il colore di quel frutto sta a significare che della contrapposizione bianco-rosso, splendore-occultamento, gioia-passione, prevale il secondo termine, come peraltro in Cappuccetto Rosso. Come nella fiaba dei Grimm, l'elemento peculiare delle fiabe sarde è la castità. Una bambina inseguita fi2 L a d e n o m i n a z i o n e di S e t t e Fratelli si trova nella più antica rappresentazione cartografica della S a r d e g n a , disegnata d a Rocco C a p p e l l i n o nel 1577 in varie redazioni. Nella redazione B si trova la dizione Li Sete Frateli, che nella successiva redazione C , poi a d o t t a t a d a l M a g i n i (1620), è segnalata c o m e Li Cinque Fratelli. C f r . L . PILONI, Le carte geografiche della Sardegna, Cagliari 1974.

nisce nella casetta di uomini alla macchia e vi si mantiene pura e intatta per arrivare alfine a nozze regali. La Fiaba di Melagranata (Sa palistoria de Melagranata, Magomadas, Nuoro) 3 comincia con una donna cui cadono sulla neve tre semi di rossa melagrana e invoca: Ah, già vorrei una figlia bianca come la neve e rossa come la melagrana!

Ma la figlia è troppo bella e allora la madre chiede a due venditori di patate di ucciderla e di portarle a riprova una boccetta di sangue: ... e mi portate gli occhi, che me li mangio.

Ancora il cannibalismo, stavolta con riferimento agli «occhi», come i metallurghi chiamano il primo affioramento dell'argento dal litargirio. La bimba è abbandonata nel bosco e arriva alla casa di quaranta banditi. Melagranata (Maria) rimane con i banditi che la trattano come una sorella, anzi, più precisamente, «la trattavano come l'oro». La mamma interroga lo specchio e il diavolo le rivela che Maria è viva: sul tal monte, con quaranta banditi, e la tengono come una sorella.

Manda una strega che regala alla piccola scarpe d'oro. Ella le indossa e muore. I banditi la pongono in una cassa di vetro e poi in una bara e la vanno a gettare in mare. La trova il figlio del re che la porta al castello. Quando le tolgono le scarpe si risveglia e chiede che siano chiamati al castello i quaranta banditi. Questi arrivano, ella esclama: «Ecco quelli sono i miei fratelli». E conclude la fiaba: «Mai, mai, neppure la mano le avevano toccata», che è un modo di comportamento ben conosciuto nel mondo tradizionale sardo per esprimere il riguardo verso una donna rispettata 3

DELITALA cit., p. 48: Sa paltstona

4

Ibid., p. 16.

de Melagranata,

Magomadas (NU).

La fiaba di Granadina

5

comincia così:

Una volta c'era un marito e una moglie che non tenevano figli. E s s a teneva uno specchio a cui ogni giorno domandava: - Specchio mio rotondino, altra bellezza c'è nel m o n d o se non me? - N o - le dice lo specchio. E c c o che si trova gravida, viene a partorire e fa una b a m b i n a bellina quanto mai. D o m a n d a allo specchio, come era solita: - Specchio mio rotondino, altra bellezza c'è nel m o n d o se non me? - Sì, Granadina. - Q u e s t o era il n o m e della bambina.

Granadina è affidata a un servo perché la uccida, ma è risparmiata. Si perde per la campagna e arriva in una casa abitata da tredici banditi. Si serve alla loro mensa, tiene loro in ordine la casa e se ne sta nascosta sotto il letto. I banditi non riescono a trovarla, ma un giorno il loro capo la vede uscire da sotto il letto. Ella gli racconta la sua storia, e il bandito la rassicura: Vai, non avere paura, che tu sarai trattata come una sorella.

E ai banditi che tornano egli impone: Giurate sopra questo Crocefisso che questa ragazza che è venuta qui, la tratterete come una sorella. E giurano tutti.

Arriva una donna che vende a Granadina degli scarpini, ma appena ella li indossa le manca il respiro e si addormenta. La fanciulla è messa in una bara di vetro fuor della porta, passa il figlio del re, volano gli scarpini, la bella si sveglia e «tutti contenti si preparano allo sposalizio». I tredici banditi sono invitati alle nozze regali di Granadina: ... perché l'avevano trattata molto bene al tempo che c'era stata e non se ne poteva dimenticare. 5

1 tredici banditi,

fiaba s a r d a .

Queste fiabe attestano la presenza del motivo, anche se non del nome, di Biancaneve nella terra sarda. La linea narrativa è forse importata, forse autoctona, ma ricalca della fiaba di Biancaneve proprio quegli episodi che ne fanno la fiaba dell'argento. In particolare, nella fiaba di Melagranata si susseguono: - uccisione e divoramento (degli occhi) - schiumatura (del brodo di carne) - soggiorno presso gente alla macchia (quaranta banditi) - rispetto per la vergine («neppure la mano le avevano toccata») - addormentamento per mezzo di un oggetto fatato (scarpe d'oro) - esposizione nella cassa di vetro - risveglio - nozze regali. La fiaba sarda è connessa, quanto Biancaneve, all'argento ma, curiosamente, i riferimenti numerologia più precisi alla regione mineraria a sud del Sarrabus si trovano nella versione dei Grimm, così che proprio questa sembra più «locale» che non le fiabe isolane (che vengono dal Nord della Sardegna). Nella regione a sud delle miniere dell'argento, proprio sotto il massiccio dei Sette Fratelli, tra aspri monti e selvagge foreste, si trova una casetta che serba il nome di Eremo dei Sette Fratelli 6 . Se questo nome gli derivi 6 O g g i r i m a n g o n o le rovine s a s s o s e di una piccola f a b b r i c a di cui s o n o r e s i d u a t e le basi delle mura p e r l'altezza di non più d'un m e t r o . Il c o r p o centrale ha f o r m a rettangolare, circa 3 x 7 metri, ed è a f f i a n c a t o d a d u e piccole ali c h e d a n n o al c o m p l e s s o la f o r m a di una croce. L e mura s o n o c o m p o s t e di g r o s s e pietre locali, con p o c a m a l t a . Il c o n t e A l b e r t d e LA MARMORA (Itinerario dell'Isola di Sardegna, Torino, B o c c a 1860, p. 7 8 ) d i c e di averla visitata nel 1822 e di averla trovata a b b a n d o n a t a m a n o n diruta. N e l 1834 risulta c h e i m o n a c i del S e t t e Fratelli s c e n d e v a n o al p a e s e p e r q u e s t u a r e . N e l 1840 v'era un s o l o r o m i t o ( d a un m a n o s c r i t t o agli atti dell'archivio p a r r o c c h i a l e di Sinnai, citato d a A. ANEDDA, Sinnai e le sue chiese, Cagliari 1982, p . 129). S e c o n d o il L a m a r m o r a (cit.) il m o n t e C e r a x a fu rifugio di b a n d i t i : « I p a e s a n i sardi, che s e m p r e s o g n a n o tesori, c r e d o n o che s o t t o le r o v i n e indicate sulle p u n t e d e ' S e t t e Fratelli siano n a s c o s t e delle r i c c h e z z e » .

da sette abitanti o fondatori, come vuole una leggenda del luogo, o direttamente dai sette picchi, come corregge il La Marmora, è difficile decidere. E comunque stabilito un accostamento letterario tra i sette monti e i sette abitanti di una casetta solitaria «al di là dei monti». Nella fiaba dei Grimm, i compagni della reginetta sono sette e si raccordano con sette montagne. E proprio nella fiaba più famosa che il rapporto è esplicito. In un primo momento è stabilita la relazione dei sette nani con i monti: A buio arrivarono i sette nani che cavavano i minerali dai monti.

Poi si chiarisce che i monti sono proprio sette. Per tre volte la strega-regina, che perseguita la bambina, ... p a s s ò i sette monti fino alla casa dei sette nani '.

Nel massiccio a sud del Sarrabus abbiamo sette monti fratelli e una Casina di sette fratelli 8 . L'Eremo dei Sette Fratelli, fiancheggiato dai sette monti, invoca per sé il titolo di Casetta dei Sette Nani. Esso si trova in una radura mite, tra picchi aspri e folte 7

GRIMM c i t . , n . 5 3 , p . 2 2 8 .

S e t t e e r e m i t i su s e t t e m o n t i , d e d i c a t i alla servitù d e l l a V e r g i n e s o n o r i c o r d a t i p r e s s o F i r e n z e nel m o n t e S e n a r i o . S o n o i s e t t e S a n t i F o n d a t o r i dell ' O r d i n e d e i Servi di M a r i a (la M a d o n n a A d d o l o r a t a ) . L a Legenda de Origine d e l l ' O r d i n e n a r r a c h e i n t o m o al 1240 s e t t e m e r c a n t i f i o r e n t i n i si r i t i r a r o n o in p e n i t e n z a sul m o n t e S e n a r i o e in u n o s p i a z z o tra la b o s c a g l i a e d i f i c a r o n o un m o d e s t i s s i m o c o n v e n t o , e c o s t r u i r o n o un o r a t o r i o d e d i c a t o alla V e r g i n e . L ' e r e m i t i s m o c o m u n i t a r i o si s v i l u p p ò a p a r t i r e d a l s e c o l o X I I c o n g i u n g e n d o l ' a u s t e r i t à c o n la f r a t e r n i t à . E p r o b a b i l e c h e la c i m a f o s s e d e t t a S e n a r i o p e r c h é s o v r a s t a n t e altre sei c i m e (cfr. BENASSI, Diamante a sette facce, Monte Senario e la sua storia, F i r e n z e 1 9 7 7 ) . S e c o n d o d o c u m e n t i risalenti al V I s e c o l o , la M a d r e celeste g i a c q u e m o r t a ( d o r m i t i o Virginis, 15 a g o s t o ) , fu s e p o l t a (depositio), f u pianta d a g l i a p o s t o l i e i n f i n e f u r e s u s c i t a t a e a s s u n t a in c i e l o (adsumptio). L a m o r t e e il r e s u s c i t a m e n t o di B i a n c a n e v e s e g u o n o l'archetipo d e l l ' A s s u n z i o n e . 8

In u n a n o v e l l a n a r r a t a d a M a r i a R o s a r i a C o s s e d d u e p u b b l i c a t a sul mensile d i S a n S a l v a t o r e d a H o r t a a C a g l i a r i ( A n n o 4, n. 12, die. 1 9 6 7 ) l ' E r e m o dei S e t t e F r a t e l l i è d e s c r i t t o c o m e u n ' a n t i c h i s s i m a c o s t r u z i o n e r i s a l e n t e al Trec e n t o , e r e t t a d a s e t t e giovani d e l l a f a m i g l i a dei B u o n a c c o r s i d e l d u c a t o di M o n t e A c u t o , c h e s e g u i v a n o la regola d e l l ' O r d i n e dei Cluniacensi. U n a l e g g e n d a n a r r a c h e a c c a n t o a l l ' e r e m o f o s s e u n a s t a t u a d e l p a t r i a r c a G i u s e p p e (ÀNEDDA c i t . ) .

boscaglie. Vi si sale, provenendo da sud, per una china non troppo erta. Per quell'ascesa ci sembra di vedere la piccola fuggitiva inerpicarsi verso la casetta che da quel lato si lascia scorgere dalla lontananza. Se il palazzo reale era sulla costa, a sud o ad est del massiccio, la casetta si sarebbe trovata a non più di una ventina di chilometri, e la fanciulla poteva esservi giunta dopo aver corso un'intera giornata, tra balze sassose e piante spinose. Si mise a correre, e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male. C o r s e finché le ressero le gambe; era quasi sera, q u a n d o vide una casettina... 9

E ai nanetti racconta che e l l a a v e v a c o r s o t u t t o il g i o r n o , f i n c h é a v e v a t r o v a t o la C a s i n a

l0

.

Se si fosse guardata sulla destra mentre raggiungeva la Casina, avrebbe visto il massiccio roccioso dalle sette punte, colorate di rosa dal sole che tramontava di fronte alle loro torri di granito. Nella toponomastica locale 11 si trova cenno, benché più problematico, dei due altri personaggi della fiaba dei Grimm, la strega e la piccina. Proprio di fronte alla Casetta dei Sette Fratelli si leva un aspro picco, che prende il nome dal diavolo: su Eremigu mannu, «il nemico grande», come gli danno nome in Sardegna. La strega può figurarsi in quel nemico, nel Satana edenico, che cerca di dispensare morte e giunge ad offrire la mela avvelenata alla vergine della foresta. E quand'ella cadde a terra morta, «l'osservò ferocemente e scoppiò a ridere». Biancaneve corona il paesaggio. A poca distanza dalla rocca su Eremigu mannu, tra i picchi dei Sette Fratelli, una vetta più alta porta il nome di sa Ceraxa, sorella 9

10

C f r . nota 7. Ibid.

Carta d'Italia alla scala di 1:25.000, Serie M 8 9 1 , F o g l i o San G r e g o r i o 2 3 4 I N E , E d i z i o n e 5, Istituto G e o g r a f i c o Militare. Dati Europei 1950. 11

emergente entro una compagnia di sette fratelli, cui ella stessa appartiene. Cerassa 12, ovvero «cerussa», color di cera, color di neve, protetta e proteggente, reginetta dei boschi, eccola lassù, Diana, la luna, l'argento. A quelle montagne è salita una vaga leggenda di pastori l3, che fino a qualche anno fa si raccontava presso Sinnai, la cittadina che comprende nel suo territorio il massiccio a sette punte. Essa narra di sei cavalieri e di una dama, una spanna più alta di loro. I sei cavalieri rifiutano le tentazioni del mondo, che si presentano loro sotto forma di sei fate tentatrici. Scacciano le sei chimere, che hanno osato affacciarsi ai loro castelli, e si inchinano alla sorella longilinea. La leggenda termina con nozze celesti. I fratelli si uniscono a sei stelle, la sorella va a nozze con il sole; e tutti e sette divengono eterni assumendo la forma di picchi rocciosi. Così ricostruita, la storia si incentra sul motivo della castità, dapprima praticata dai fratelli e poi da loro dedicata alla fanciulla lunare. Le rocce racchiudono oggi una purezza eterna, immobile e intoccabile. Sotto quelle rocce, si crede sul luogo, si nascondono grandi ricchezze, come belle sepolte. Di Sette fratelli divini narra una stranissima fiaba sarda, che ad essi s'intitola 14. Raccolta a Morgongiori, in 1 2 Nel Dizionario etimologico sardo, M . L . WAGNER riporta la voce cerattsa c o m e termine a d o t t a t o nel S a r r a b u s p e r indicare una capretta color ocra, la capretta bianca. E . Zolla mi ha suggerito la traduzione cerussa (ceruse o whitelead, « p i o m b o b i a n c o » , in inglese). L a cerussa è il c a r b o n a t o di p i o m b o o biacca, e si ottiene dal riscaldamento del litargirio con s o d a . C o s ì ne descrive la p r e p a r a z i o n e il Libro delle Proprietà di GF.BER (cit. in HOLMYARD, Storia dell'Alchimia, Sansoni, Firenze 1972, p. 8 2 ) : « P r e n d i una libbra di litargirio e polverizzala... aggiungi a p o c o a p o c o la soluzione di s o d a a quella di litargirio. Si f o r m a una s o s t a n z a bianca che precipita al f o n d o . D e c a n t a l'acqua soprastante e f a ' essiccare il residuo che diverrà un s a l e bianco c o m e la n e v e » . C o s ì la descrive Plinio: « s o a v i s s i m a tra tutte le c o s e , e al di là del c a n d o r e delle f e m m i n e » (Nat. Hist. X X X I V 3 8 ) . 13

A. ANEDDA, La ballata dei «Sette

Fratelli»,

Tip. Edit. Artigiana, Caglia-

ri 1983. 14

DELITALA cit., p. 4 0 . 1 sette frati divtnusi,

Morgongiori ( O R ) .

provincia di Oristano, essa si localizza evidentemente nelle montagne intorno al massiccio dei Sette Fratelli. Non è una fiaba di Biancaneve, i cui motivi si possono trovare solo sul finale; è, per vari aspetti, la contrapposizione assoluta alla storia della verginella bianca. La fiaba ha inizio da un pidocchio sulla testa della figlia del re. Il re getta il pidocchio in una giara d'olio e il pidocchio si gonfia fino a divenire grande come un maiale e riempire l'intera giara Il re scuoia il pidocchio e nasconde la sua pelle sotto altre cento pelli. Offre sua figlia in moglie a chi riconoscerà quella pelle, e vi riesce solo lui, il diavolo, il nemico (su Eremigu): Bene, in tale giorno verrò a prendere la ragazza per portarla a casa.

Arriva tra lampi di fuoco, con la sua compagnia, alle undici e mezzo di notte: Lui entra, tocca la mano 16; e avevano tutto preparato per la cena, avevano aspettato. « N o , scusino, non p o s s o rimanere; è troppo tardi, ritardiamo troppo e la compagnia sta a s p e t t a n d o » . F a n n o montare a cavallo la ragazza, si congedano e partono. C a m m i n a n o tutta la notte e infine v e d o n o una montagna, lontana lontana, laggiù.

Ai piedi della montagna c'è una roccia. Il diavolo scende da cavallo e apre la roccia, introducendoci al mondo capovolto del sottosuolo, al regno della fiaba. Oltre quella roccia c'era come un altro m o n d o ; c'era un grande palazzo, roba da mangiare, ogni grazia di D i o 17.

La principessa è la padrona, ma c'è una stanzetta cui non può affacciarsi. Un giorno non resiste, guarda dal buco della chiave e vede il marito seduto con le g a m b e aperte nel f u o c o , nell'Inferno. 15

II pidocchio-maialino nella giara simboleggia l'embrione nella matrice.

16

DELITALA cit. (nota 3 qui s o p r a ) .

" lbid. Viva immagine del m o n d o surreale e rovesciato della f i a b a .

Ha sposato il diavolo. La possono riscattare solo i «sette fratelli divini». Mentre piange affacciata a una finestrella dell'Inferno, vede una colombella bianca e le fa portare un messaggio al re. Il re convoca i sette fratelli divini che partono verso l'Inferno. Trovano la fanciulla nel letto col diavolo. Uno dei divini la libera, la porta fuori e la riveste. I sette fratelli fuggono, e il diavolo li insegue. Lo tengono a distanza con la nebbia, il fiume, i vetri, la torre. Infine il diavolo chiede che facciano voltare la ragazza: Ecco che la girano dalla sua parte, lui le dà il s o f f i o e le toglie la vita: morta la ragazza 18 .

La risveglia, come Orfeo, l'ultimo dei divini fratelli, suonandole nell'orecchio una sorta di flauto a tre canne, le launeddas. I fratelli arrivano al castello dove il diavolo li raggiunge, ma è ricacciato all'Inferno da un prete: «con l'acqua santa e tutto». La figlia del re sposa il divino che l'ha liberata dal diavolo. La figlia del re, nella fiaba dei Sette fratelli divini, è l'antipodo di Biancaneve, è la massimamente violata e intrigata, la somma peccatrice nel connubio carnale con il diavolo in persona. Uno dei fratelli, ponendo l'orecchio a terra, così la sorprende: A d e s s o si sono coricati, ma la tiene serrata tra le g a m b e incrociate, le dita e le mani intrecciate. L a tiene stretta stretta, e inoltre ha le trecce in bocca

In essa è realizzata una promiscuità infame con il peggiore dei soggetti, che in termini minerari è la combinazione chimica con il composto vile; la contaminazione più abietta che a nessuna sostanza meno potrebbe addirsi che all'argento. 18

lbid.

19

Ibid.

163

Da questo suo negativo emerge la fanciulla pura, la vergine pronta alle nozze, come la luce emerge dalle tenebre, l'uovo cosmico dal Caos, l'oro dall'assa foetida. Lo libera da quella notte primordiale il primo dei divini: ...uno che sapeva togliere l'uovo dal sedere della gallina senza che questa se ne accorgesse. M a n o leggera! E allora che cosa ha fatto questo divino: le ha liberato le g a m b e piano piano, piano piano, senza che se ne accorgesse. L e ha sganciato le braccia, come ha potuto, senza che se ne accorgesse. Tutte le dita, a una a una, le ha staccato e poi, come ha potuto, le trecce che aveva in bocca; a uno a uno, piano piano, ha tirato i capelli. Prende la ragazza e via. Aveva preso i vestiti in spalla e la vestono f u o r i 2 0 .

Questa straordinaria e meticolosa opera maieutica mette al mondo, come uovo immacolato, la fanciulla prigioniera. «Mano leggera» compie la redenzione, la liberazione dagli intrichi, dagli intrecci, dagli intrugli. La casta innocenza rinasce dalla commistione e dal sangue. Da lì inizia il cammino di Biancaneve. Difesa da sette divini, protetta da un fiume, dai vetri, da una torre, la bianca fanciulla è intoccabile, e il demonio ha il solo potere (come la strega di Biancaneve) di calarla nel sonno verginale. La vicenda di un gruppo di fratelli ha un precedente biblico, che sulle prime sembra remoto dalle vicende di Biancaneve e dalla toponomastica del Sarrabus meridionale. E la vicenda di Giuseppe e dei suoi fratelli. Il racconto non contiene il personaggio femminile, ma lo stesso Giuseppe vi appare come casto e incontaminato. Egli soffre il carcere e la persecuzione per aver resistito alle seduzioni della lubrica moglie del suo ospite Putifar. Nel primo suo sogno Giuseppe vede se stesso come un cumulo che domina su altri cumuli più bassi, come la punta sa Ceraxa sui Sette Fratelli, come la dama della leggenda sinnaese sui sei cavalieri, come Biancaneve sui sette nani. 20

lbid.

... stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand'ecco il mio covone si rizzò e poi restò ritto, ed ecco ancora, i vostri covoni vennero tutti intorno e si prostrarono innanzi al mio c o v o n e 2 1 .

Nel secondo sogno Giuseppe ripete la visione in chiave astrale: Il sole, la luna e undici stelle si prostrarono di fronte a me

22

.

Nella stessa chiave si chiude la leggenda sinnaese. I sogni generano un sentimento che domina nella fiaba di Biancaneve: l'invidia nei confronti di chi è rivelato superiore attraverso la divinazione. Lo specchio della regina corrisponde al sogno di Giuseppe, che ripetutamente rivela alla famiglia la superiorità dell'eroe. E in conseguenza dei sogni che i fratelli progettano di uccidere Giuseppe («quello dei sogni»), come la regina progetta di uccidere Biancaneve (quella dello specchio). L'episodio della mancata uccisione di Giuseppe ha una corrispondenza singolare con quello della rientrata uccisione di Biancaneve. La madre di Giuseppe, Rachele, è morta e quando il padre Giacobbe rimprovera il figlio dei suoi sogni, allude a una matrigna. Così gli dice: C h e s o g n o hai fatto?! C h e proprio si d e b b a venir io e tua madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra innanzi a te? 2 3

Sono i fratelli che covano l'invidia: Essi lo videro da lontano, e prima che f o s s e arrivato vicino si accord a r o n o astutamente per farlo morire. Si dissero: « E c c o quello dei sogni arriva! Adesso, su, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: " U n a bestia feroce lo ha divorato!", cosi vedremo che ne sarà dei suoi sogni!» 2 4 .

Ruben, il maggiore dei fratelli, invita gli altri a non 21

22

G e n e s i 37,7.

Ibid. 37,9.

' Ibid. 37,10.

2

24

Ibid.

37,18-20.

macchiarsi del sangue di Giuseppe, e quindi a venderlo ai mercanti Madianiti. Questi lo cederanno poi a Putifar. Così i fratelli fingono davanti al padre la fine di Giuseppe: Presero allora la tunica di G i u s e p p e , scannarono un capro e intinsero la tunica nel sangue. Poi mandarono al p a d r e la tunica con le maniche lunghe e gliela fecero pervenire con queste parole: « L ' a b b i a m o trovata, guarda se è o no la tunica di tuo f i g l i o » . Egli la riconobbe e disse: « L a tunica di mio figlio! Una bestia feroce lo ha divorato... G i u s e p p e è stato proprio sbranato!» 2 5

Anche Biancaneve sta per essere uccisa, ma il cacciatore incaricato s'impietosisce: « V a ' pure, povera b a m b i n a . » L e bestie feroci faran presto a divorarti, pensava; ma sentiva che si era levato un gran p e s o dal cuore, a non doverla uccidere. E siccome proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto Io sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova 2 6 .

I due uomini incaricati di uccidere Melagranata, anch'essi la lasciano alle bestie feroci: « M e g l i o la lasciamo qui,» ha detto « D i o ce ne liberi dal toccarla, poveretta. Meglio se se la mangiavano le bestie feroci; ma a toccarla, come si f a ? » 2 7

La storia di Giuseppe si può raccontare sulla falsariga di Biancaneve, come la vicenda di un giovane casto, che un incantamento (il sogno) rivela superiore ai suoi familiari. L'invidia lo destina ad essere ucciso e gettato in una cavità. La pietà di un esecutore (Ruben) suggerisce di fingere l'uccisione e di scannare un animaletto domestico (un capro) in luogo del giovane invidiato. La morte del giovanetto è dimostrata al padre con l'esibizione di un oggetto insanguinato che appartiene a lui (la tunica). 37,31-33.

25

Ibid.

26

Cfr. noia 7.

2 / C f r . nota 3. La m a d r e di M e l a g r a n a t a vuole che le riportino una boccetta di sangue a riprova della morte della figlia.

Al giovane, dopo persecuzioni e carcerazioni, arriderà la sorte regale. Il numero 7 entra nella storia di Giuseppe attraverso il sogno faraonico di sette vacche grasse e di sette vacche magre. La benedizione di Israele morente a Giuseppe è solenne come montagna fiabesca custode di tesori: E g l i ti b e n e d i c a ! C o n b e n e d i z i o n i del cielo di s o p r a , benedizioni dell'abisso che giace sotto, benedizioni delle m a m m e l l e e della matrice. L e benedizioni di tuo p a d r e s o n o durature più delle benedizioni dei monti perenni, più delle attrattive dei colli e t e r n i 2 8 .

Trame narrative bibliche ricorrono in moltissime fiabe e forniscono spesso solide chiavi di lettura. Che la leggenda sinnaese si connetta proprio alla storia sacra ebraica si comprende risalendo alle origini della cittadina sarda. Questa è stata fondata, stando a una diffusa interpretazione, da una comunità di ebrei deportati in Sardegna dall'imperatore Tiberio 2 9 . Giunti nel Campidano di Cagliari, su una vasta pianura dominata dal monte Serpeddì, essi vi avrebbero riconosciuto la propria terra. Dalla rassomiglianza di quel monte con il Sinai sarebbe derivato il nome Sinnai della cittadina 30. Quegli ebrei hanno letto, tra le montagne che si levano al di là del Serpeddì, la storia dei fratelli biblici e del casto Giuseppe puro come argento. Sullo stemma araldico della cittadina di Sinnai l'ar28

G e n e s i , 49,25-26.

Scrive P. Salvatore Vidal, nel sec. X V I I , che « è risaputo che Sinnai e M a r a s o n o p o p o l a z i o n i e b r e e » (Annales Sardmiae) 29

3 0 Giovanni S p a n o suggerisce una derivazione d a l fenicio sina (sinonimo di rovo), « l u o g o pieno di sterpi, terreno accidentato, c o m e f u a p p e l l a t o per q u e s t o motivo il celebre m o n t e Sinai nella P a l e s t i n a » . In Vocabolario sardo, geografico, patronimico, Cagliari 1872 (cit. in A. ANF.DDA; nota 13). 3 1 Si dice che l'Eremo dei Sette Fratelli f o s s e stato d e d i c a t o a san G i u s e p p e Patriarca, una statua del q u a l e era eretta lì accanto. Cfr. nota 8.

gento è il colore dominante. Lo stemma è diviso in quattro quarti: il primo e il quarto riproducono una torre ghibellina mattonata al naturale, murata in nero. Il secondo raffigura una fontana d'argento zampillante e il terzo riproduce un monte con sette cime, tutte d'argento, disposte in tre serie: 4-2-1. E il monte dei Sette Fratelli, splendente di luce 32. Nel testo biblico l'argento rappresenta la purezza assoluta, divina, in particolare se collegato al numero 7. Recitano i Salmi: L e parole di J a h v e s o n o p a r o l e pure, a r g e n t o c o l a t o in c o p p e l l a , dalla ganga purgato sette v o l t e 3 ' .

3 2 R i p r o d o t t o in A. ANEDDA cit., pp. 16-17. L e d u e torri rappresentano le d u e antiche ville di « S i n a i » e « S e g o s s i n i » , che nel Q u a t t r o c e n t o si unirono a f o r m a r e l'attuale Sinnai. U n a torre è il b a l u a r d o della principessa nella f i a b a dei Sette fratelli divini (nota 14). 33

S a l m o 12,7.

C E N E R E N T O L A E PROSERPINA

Il terzo personaggio di fiaba cui dedicheremo la nostra analisi è Cenerentola un'orfanella grigia e sudicia cui non compete né la birichineria di Cappuccetto Rosso, né la castità di Biancaneve. Essa passa dall'oscura segregazione di un sottoscala alla bellezza danzante in abiti meravigliosi. A differenza delle fanciulle delle prime due fiabe, ella conosce le malie dell'amore, i corteggiamenti e le fughe, i nascondimenti e le riapparizioni. Cenerentola è l'erede di Proserpina ovvero di KorePersefone 2 : costretta in sepoltura davanti al fuoco ma periodicamente riportata alla luce e rivestita di primavera. Raccontano i Grimm: C o m i n c i a r o n o giorni tristi per la povera figliastra... L e tolsero i bei vestiti, le fecero indossare una vecchia palandrana grigia, e le diedero un paio di zoccoli. « G u a r d a t e la principessa come è agghindata!» esclamarono ridendo e la c o n d u s s e r o in cucina. L à dovette s g o b b a r e da mane a sera, alzarsi prima del giorno, portar l'acqua, accendere il fuoco, cucinare e lavare... La sera, d o p o tante fatiche, non andava a letto, ma si coricava nella cenere, accanto al f o c o l a r e 3 .

Anche la Cenerentola di Perrault, q u a n d o aveva finito le faccende, andava a rifugiarsi in un cantuccio del focolare, e si metteva a sedere nella cenere... 4 1 L a f i a b a di Cenerentola è nota in 3 4 5 varianti (dal 1544 al 1892). U n a d ' e s s e si trova ne 11 cunto de li cunti, di G . B . BASILE, scritto in dialetto napoletano nel 1636 e porta il titolo La Catta Cenerentola. 2 P r o s e r p i n a è la traduzione latina di P e r s e f o n e , la terribile d e a greca degli Inferi. K o r e (fanciulla) è il n o m e di P e r s e f o n e prima del ratto, nel r u o l o di figlia di D e m e t r a (la C e r e r e latina). 3

GRIMM c i t . , n . 2 1 , p .

A

D ' A L N O Y , PF.RRAULT e t a l . c i t . , p . 1 8 .

102.

La segregazion e n o n d u r a a l u n g ° - Aiutata da un uccellino o da una f a t a > fanciulla abbandona il suo nascondiglio e torna alla luce, espressa nei suoi abiti: Allora l'uccello le gettò un abito d'oro e d'argento e scarpette trapunte d ' a r g e n t o e di seta 5 .

Così nella fiaba

de

i Grimm. Più regale l'abbigliamen-

to descritto da Perr0ul t: ...i suoi abiti si m u t a r o n o i n vestiti di b r o c c a t o d ' o r o e d ' a r g e n t o , tutti ricamati con pietre p r e z z i I l a f a t a l l e d i e d e P o i u n P a i o d i s c a r p e t t e di vetro che erano una meraviglia. C o s ì vestita, ella salì in carrozza... 6

Il passaggio da^ a c e n e r e alla veste dorata si ripete più volte come nel ifl i t o Proserpina che passa un terzo di ogni anno agli Inferi e due terzi sotto il cielo. Il periodico morire e r i n ^ s c e r e è la modalità dell'esistenza delle due fanciulle di Proserpina in un mondo arcaico e di Cenerentola in un palazzo della nostra èra. La vicenda dell 3 fanciulla Kore ha un tratto che l'avvicina in modo particolare alla Cenerentola di Perrault. Kore sale su un carro dorato, trascinato da cavalli immortali La bella ¿ l Perrault sale su una berlina «tutta dorata», portata da sei splendidi cavalli. Kore va nel palazzo infernale e C e n e r e n t o ' a n e l palazzo del re. Sull'ambigua natura di q u e s t o palazzo reale torneremo più avanti. Cenerentola si trova al ballo insieme alle sue due sorellastre e il prin c 'P e reale non ha alcuna esitazione nello scegliere lei cotne s u a ballerina. Anche Kore forma, nella danza sui catfP1 f i o r i t i ' u n a t r i a d e c o n d u e sorellastre, Artemide e Atena- Fra le tre vergini è lei che è scelta in isposa dal re degli Inferi. C'è un'altra sce^a fatale fra tre bellezze, nella mitologia classica: è il giudizio di Paride. Questo strano principe dalle belle fattezze ma dal cuore tenebroso («era 5

C f r . nota 3.

6

C f r . nota 4.

odioso a tutti come la Parca nera» dice l'Iliade), deve scegliere la bella tra le tre dee, Afrodite, Era e Atena, e sceglie la fatale dea della bellezza, che gli si presenta (come Cenerentola al ballo) avvolta in una splendida veste, di tutti i colori della primavera, e ornata di una corona di fiori profumati. Afrodite offre a Paride in isposa la prima e la più bella delle donne, Elena, che fugge con l'eroe portando con sé molti tesori della casa reale. Questo viaggio è stato interpretato come discesa agli Inferi e la rocca di Troia come l'Ade 7 . Soffermiamoci ora sul narciso divelto da Kore, che costituisce una connessione forte tra il mito e la fiaba. Tra rose e crochi, violette, iris e giacinti, la dea Gea aveva fatto spuntare una splendida pianta di narciso, per tentare la fanciulla dal volto di bocciolo. Era una pianta meravigliosa, dal profumo dolce e intenso, e alla sua vista il cielo, la terra e l'acqua ridevano. Kore stese ambo le mani verso il fiore tentatore, come verso un tesoro. Improvvisamente la terra si spalancò e sul campo Niseo si aprì una voragine. Ne balzò fuori il terribile dio degli Inferi che trascinò la fanciulla riluttante e piangente sul suo carro verso il regno sotterraneo. Il mito stabilisce l'archetipo di tutte le infrazioni del perno vegetale, dell'albero della vita, àeW'axis mundi. E il peccato originale, provocato dal tentatore, che prende poi possesso del peccatore. Tutti gli orchi, i mostri, i diavoli che compaiono attraverso il foro prodotto dalla pianta divelta, dal fiore reciso o dal rametto staccato, sono manifestazioni del dio degli Inferi. E tutti i castelli incantati in cui la fanciulla delle fiabe è trascinata sono il regno pieno di ricchezze del sovrano Plutone. Nella Cenerentola dei Grimm è un ramo spezzato a fornire la magia che condurrà la fanciulla al palazzo reale. 7

A. SEPPILLI, Poesia e magia, E i n a u d i , Torino 1971, p p . 4 8 0 - 4 8 6 .

Sulla pianta che nascerà dal ramo, un uccellino bianco provvede ai desideri della piccina. Cenerentola incarica il padre di cogliere il ramo: B a b b o , il primo rametto che vi urta il cappello sulla via del ritorno, coglietelo per me 8 .

Il rametto, e la piantina di nocciolo che ne nasce, parrebbero piccola cosa di fronte al narciso, tentatore di Kore, ma in altre fiabe, per vari aspetti appartenenti al tipo di Cenerentola, la rottura che il padre produce spezzando il ramo per incarico della figlia ha il carattere fatale di un preludio infero. Ne La Bella e la Bestia 9 incontriamo tre sorelle, le due maggiori piene di superbia, la minore più bella e più buona. Ella chiede al padre di portarle una rosa, ma quando il brav'uomo compie il gesto, la piccola infrazione produce l'effetto dello strappo di Kore: nel fragore che ne nasce appare un personaggio che ha tutte le fattezze di un dio degli Inferi: Nel mentre passava sotto un pergolato di rose, si ricordò che Bella gliene aveva chiesta una, e prese un ramo dove ve ne erano parecchie 10. A questo punto, udì un orribile fragore e vide venirsi incontro una Bestia così mostruosa ch'egli fu lì lì per svenire 11.

In seguito la Bella si sostituirà al padre nel palazzo della Bestia. La fanciulla è sottratta ad un padre dolorante e obbligata a una dimora estranea e ad una compagnia mostruosa. Questo può configurare un ratto, al modo di quello perpetrato da Ade, ma nella fiaba è assente il legame incestuoso che unisce Kore al rapitore infernale. Kore è una figlia di Zeus 12, e Ade era fratello di 8

C f r . nota 3.

9

D'ALNOY, PERRAULT et al. cit. ( M m e L e Prince de B e a u m o n t ) , p. 519.

10

A n c h e d a l l e radici del narciso di K o r e spuntavano cento fiori.

11

C f r . nota 9.

12 U n a figlia incestuosa che Z e u s aveva generato con la propria madre Rhea.

Zeus, il «re dell'invisibile» rispetto al «re della luce». Ade era quindi zio carnale di Kore, ma ne era in certo senso il padre. Egli era Zeus stesso nella sua manifestazione sotterranea, lo Zeus Katachthónios o Chthónios. L'atto incestuoso ha un valore centrale in alchimia. Poiché tutte le sostanze derivano da una sostanza originaria, tutte sono imparentate, e ogni loro congiunzione corrisponde a un incesto. La volontà incestuosa non compare in Cenerentola, ma è motivo non raro nelle fiabe 13. La troviamo come condizione iniziale in quella che fu la più nota di tutte le fiabe francesi del '700, Peau d'âne (Pelle d'asino) 14 , scritta da Perrault nel 1694. La fiaba termina con questi versi: Pelle d'asino è una storia ben difficile da credere; ma sinché bambini e nonne questo m o n d o ancora avrà r i m a r r à la s u a m e m o r i a .

Pelle d'asino è la variante più cruda e più alchemica del motivo di Cenerentola. Anche qui una vergine vive in un sotterraneo vestita di un abito sudicio, formato da una pelle d'asino 15. Da quel recesso manda messaggi a un principe che infine la scoprirà attraverso un anello d'oro e la sposerà. Nella sua condizione miserevole Pelle d'asino è costretta dal re suo padre, che vuole a tutti i costi sposarla. Per evitare le nozze incestuose la fanciulla pretende prima dal padre abiti impossibili, che questi rie13 N e l l a fiaba p o p o l a r e siciliana il motivo dell'incesto ricorre di frequente. In Pilusedda ( P e l o s i n a ) un re v e d o v o cerca la s p o s a che p o s s a infilarsi l'anello che la prima moglie gli ha lasciato. Per errore se lo infila la figlia, che d e v e travestirsi per fuggire al p a d r e (PrrRÉ, Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani cit., p. 3 8 1 ) . L o s t e s s o equivoco si ripete nella favola Fidi e Cridi (iibid., p. 3 8 8 ) e n e La cerva (ibid., p. 3 9 3 ) . W

D ' A L N O Y , PERRAULT e t a l . c i t . , p . 5 9 .

L a Pelle d'asino siciliana è Pilusedda ( P e l o s i n a ) , e si n a s c o n d e entro una pelle di cavallo. Il reuccio la v e d e e la porta a palazzo. « A pie' della scala c'era una camera e la chiuse là, e c o m i n c i ò a farle portare da m a n g i a r e » (PrrRÉ cit., p. 3 8 1 ) . 15

sce a procurarle, e infine la pelle d'un asino che il re prediligeva sopra ogni cosa. Ma anch'essa le viene concessa. Quando le viene presentata la pelle, e la fanciulla è sull'orlo della disperazione, la fata che la protegge le fa questo strano discorso: C o s a f a i , b i m b a m i a ? e c c o il m o m e n t o p i ù f o r t u n a t o d e l l a t u a

vita!

A v v o l g i t i in q u e s t a p e l l e , e s c i d a l p a l a z z o e c a m m i n a f i n c h é i p i e d i ti p o t r a n n o p o r t a r e . P e r c h i s a c r i f i c a t u t t o a l l a v i r t ù gli d è i h a n n o p r o n t a la l o r o r i c o m p e n s a . V a ' ! 1 6

Come questo destino di sporcizia e di segregazione, analogo a quello di Cenerentola, possa essere fortunato, ce lo spiega soltanto l'alchimia. Pelle d'asino ha raggiunto con la sua trasformazione la condizione primordiale, è divenuta la materia grezza delle trasformazioni filosofiche, ha intrapreso la via dell'elisir, il cui percorso riesce solo quando la sostanza è ridotta alla condizione più vile 17 L'oscurità e l'occultamento rappresentano la dissoluzione filosofica, la corruzione « d a cui è ogni generazione». La fanciulla nella veste spregevole è così sporca e sudicia che nessuno la vuole guardare o le vuole parlare. E come la materia iniziale, che u n i s c e alla n e r e z z a un o d o r e s p i a c e v o l e , s p o r c a le m a n i di c o l o r o c h e la t o c c a n o e, m o l t o s g r a z i a t a , r i u n i s c e in t a l m o d o t u t t o c i ò c h e dispiacere 16

18

può

.

C f r . nota 14.

L a materia grezza, tassa foetida, è rappresentata in alcuni testi alchemici d a escrementi umani. In Sicilia, a Vallelunga, si narrava q u e s t a curiosa novellina ( L u custrieri, Il s a r t o ) . Un sarto, t o r n a n d o a casa, fa i suoi b i s o g n i ('na c o s a tanta) e li « v e s t e » con i ritagli di s t o f f a che ha in tasca. Arrivano d u e f a t e e t r a s f o r m a n o l'opera del sarto in una bellissima giovane, con un d i a m a n t e al dito. P a s s a il re e la vuole s p o s a r e , m a ella non fa che ripetere: « c a c c a , cacca, cacca, cacca, cacca, c a c c a » . Il re non o s a presentarla alla regina m a d r e . U n giorno la fanciulla p e r d e il d i a m a n t e f a t a t o e « p a r l a v a che era una b e l l e z z a » . « C o m e g i u n s e r o a palazzo, la regina vide che quella signora era d a v v e r o bella e non diceva più porcherie. C o s ì il reuccio si maritò con la signora e fecero una gran f e s t a » (PITRÉ cit., p. 4 0 0 ) . 17

18

CANSELIET, 1 ) c i t . , p . 6 4 .

La pelle di cui la principessa è coperta proviene da un asino che defecava oro, simbolo dell'oggetto brutto e fortemente sgraziato, che genera l'opulenza, caricatura grottesca della principessa stessa. M a d r e natura l'aveva formato in m o d o così straordinario che, tutte le mattine, la sua lettiera, invece d'esser piena di sudicerie, era ricoperta a profusione di begli scudi d'oro e di zecchini d'ogni specie, che venivano raccolti appena lui si svegliava 19 .

Avvolgendo la principessa, quella pelle serba qualcosa di prezioso quanto l'oro. Allo svelamento di quest'oro, la principessa giunge attraverso tre colori: il nero-blu, il bianco e il rosso, che sono i tre colori che si spartiscono la fase decisiva della Grande Opera. Scrive Canseliet: 19

Cfr. nota 14.

Si comprenderà sivamente dal re, suo di immensa ricchezza, la seconda color della

meglio che Pelle d'asino abbia preteso succesp a d r e indegno che la voleva in sposa, tre vesti di cui la prima era color del tempo (blu scuro), luna (bianca) e la terza color del sole ( r o s s a ) 2 0 .

Sono gli stessi colori che Pernety riconosce negli oggetti incontrati da Proserpina: la bluastra fonte Ciane, il bianco del narciso, il rosso della melagrana. Pelle d'asino si rivela al principe attraverso un altro simbolo alchemico, la torta che ella prepara. La torta corrisponde alla focaccia del re e rappresenta la sostanza primordiale entro la quale si sviluppa lentamente e pazientemente l'embrione minerale. La fanciulla gettò via la pelle d'asino, si lavò viso e mani, si pettinò i biondi capelli, i n d o s s ò un corpetto di lucido argento, una gonna assortita e si mise a fare la torta tanto desiderata: aveva preso fior di farina, uova e burro freschissimi. Mentre lavorava la pasta, non si sa se per caso o a bella posta, un anello che portava al dito le c a d d e nella pasta e vi rimase dentro. N o n appena la torta fu cotta, infagottandosi di nuovo nell'orribile pelle, ella la diede all'ufficiale... 2 1

Il prezioso anello è il simbolo dell'embrione minerale che si sviluppa nella materia prima. Esso proviene dalla meravigliosa bellezza della principessa che con esso si identifica e a mezzo del quale viene ritrovata. Anche la Dognipelo dei Grimm nasconde un anello nel pancotto del re. Secondo Canseliet, l'anello di Pelle d'asino trova la replica nella minuscola pantofola di vetro di Cenerentola chiamata anche Cucendron, cioè il raggio nella cenere - e che si identifica con la fava della focaccia mangiata nel giorno dei r e 2 2 . D o p o la bianchezza tu non puoi fallire, perché aumentando il fuoco, giungerai alla cenere. Della quale un altro dice: N o n disprezzate la cenere, perché Dio la renderà liquida 2 3 . 2 0

CANSELIET, 1 ) c i t . , p . 6 5 .

21

C f r . nota 14.

2 2

23

p. 38.

CANSELIET, 1 ) c i t . , p . 6 4 .

J . DE MEHUM, Le Miroir

de Alquimie,

C h a r l e s Seveste, Paris

1613,

La cenere che avvolge Cenerentola, e dà il colore alla palandrana grigia (corrispondente alla pelle d'asino) in cui la bella si avvolge, è dunque la materia prima da cui, attraverso ermetiche trasformazioni, salterà fuori la scarpetta di vetro, o d'oro 2 4 . Abbiamo già esaminato il significato della scarpa o sandalo sinistro perduti durante un passaggio. Essi attestano che l'eroe o l'eroina ha percorso il cammino infero. La scarpetta di Cenerentola è lasciata su un infernale lago di pece nera. Ma il principe era ricorso ad una astuzia e aveva fatto spalmare tutta la scala di pece: q u a n d o la fanciulla corse via, la scarpetta sinistra vi rimase appiccicata 2 5 .

Quest'astuzia, non troppo galante, qualifica il principe come signore infernale, come un Paride dalla nera chioma, se non addirittura come un Ade. Abbiamo lasciato in sospeso il problema della natura del palazzo. E una reggia celeste o un luogo infero? Alcuni elementi ci fanno optare per l'Inferno. La sala da ballo non è descritta affatto né dai Grimm né da Perrault. I Grimm si limitano a dire: « e andò a nozze». La descrizione si rivolge solo agli abiti della sposa. La narrazione insiste invece sul luogo dove la fanciulla è segregata. E una cucina, non vi è letto, vi è un focolare e davanti ad esso cenere e cenere. Ma dove si trova questo luogo riposto? La fiaba non fa mai cenno d'un percorso che unisca la cucina al palazzo. Una prima volta dice: In fretta in fretta ella i n d o s s ò l'abito e a n d ò a nozze. Ma le sorelle e la matrigna non la riconobbero 2 6 . 2 4 C e n e r e n t o l a è, all'inizio della fiaba, la cenere d a cui si leva l'eterna rinascente, la Fenice. U n a delle tante C e n e r e n t o l e siciliane è una gazza (La ciaulidda) vestita di p i u m e . Q u a n d o il p a d r o n e brucia le p e n n e che ella s'era tolta, la gazza si trasforma in signorina e il p a d r o n e la p r e n d e per moglie

(PITRE c i t . , p . 3 9 1 ) . 25

26

C f r . nota 3. Ibid.

La seconda volta: «così abbigliata comparve a nozze». La terza volta: «quand'ella comparve a nozze con quell'abito». Il passaggio è immediato. Il percorso di ritorno rende evidente che Cenerentola abita nel piano basso del palazzo. Il re e il principe cercano una prima volta la fanciulla: « E quando tornarono a casa Cenerentola giaceva sulla cenere...». Dopo la seconda fuga, «quando entrarono in cucina, Cenerentola giaceva sulla cenere...». Anche la scena della famosa prova della scarpina si svolge evidentemente a palazzo. Congiunto l'andito della festa col cupo stambugio in un solo abitato, questo si candida come la dimora infera, la cui anticamera è spesse volte sfarzosa e allettante, il cui fondo è sempre triste e misero, e v'arde un fuoco continuo. Abbandoniamo ora palagi e stambugi, e riportiamoci all'aperto, dove ha il suo sfondo il mito di Proserpina, su dolci prati, presso la riva di un lago. Torniamo proprio laggiù, nella Sicilia incantevole, sulle rive del laghetto di Pergusa. Ivi Giuseppe Pitré ha raccolto una leggenda toponomastica col titolo II lago sfondato di Castrogiovanni27 Il lago è quello di Pergusa e Castrogiovanni è il nome antico di Enna. Nella breve leggenda troviamo i principali motivi del mito di Proserpina e delle favole che da esso emanano. C'è il frutto della tentazione, il rapporto amoroso illecito, l'apertura dell'abisso, il precipizio nell'Inferno. C'è inoltre san Giovanni Battista nella veste di un giudice rustico e inesorabile, che Gesù rimprovera e ammansisce 28 . Il frutto è il melone che nella simbologia cristiana corrisponde alla melagrana dei pagani, per la sua qualità di contenere miriadi di semi. Q u i corrisponde sia al nar2 7 G . PITRÉ, Studi di leggende popolari gna, p . 2 4 9 . 28

178

C f r . c. 3, p p . 54-55.

in Sicilia

(1870-1913),

Forni, Bolo-

ciso di Kore, sia alla melagrana di Persefone. L'illecito amoroso è il rapporto tra due compari, padrino e figlioccia, in violazione d'una norma molto severa in Sicilia, che proibisce ogni relazione amorosa tra coloro tra cui intercorre il «comparatico» o, come si dice dal nome del santo che ne è garante, lu San Giuanni. La leggenda del lago sfondato si svolge così: E giorno di està ed una giovane coppia di Caltanissetta salisce in Castrogiovanni. L'arsura che li a f f a n n a e li affatica, li consiglia a prendere riposo all'ombra di un albero, e di rinfrescarsi con un mellone all'uomo seco portato. Si adagiano di fronte e dissetati si guardano con malinconico languore; rimangono in una muta contemplazione, e nello incanto di quel silenzio i loro cuori palpitano, sentono un nuovo e strano affetto, non senza rimorso, perché fra loro vi era lu San Giuanni (il comparatico). Per cui, o n d e scongiurare il minacciato pericolo s'inginocchiano, si volgono verso la regione delle tenebre, stendono le mani, come se vi vedessero il demonio p a u r o s o e seducente; poi le elevano al cielo per implorare ed ottenere la forza alla lotta; quindi si rivoltano verso l'Oriente per dirigersi al Signore; ma l'azione per questo rito non seconda l'idea; precede un contrattempo, sì che l'una si trova in braccio all'altro; ed allora, per ordine del Battista, si apre la terra, ivi s'inabissano, ed ivi emerge quel lago, che si appella: sfunnatu, dalla gente ignara creduto senza f o n d o 2 9 .

La leggenda, carica di moralismo, vuol fornire una versione cristiana del mito pagano di Proserpina. L'avv. P. Vetri, che l'ha riferita al Pitré, si esprime così: Il Cristianesimo, a mio credere, raccogliendo il mito inventato dall'uomo, che nell'infanzia della civiltà non seppe spiegare questo f e n o m e n o [la costanza del volume delle acque del lago], lo rimaneggia, lo impronta del nuovo sistema e così ce lo rappresenta , 0 .

Quasi che il porre un San Giovanni in luogo di Ade e la tentazione carnale alla base di tutto rendesse la leggenda adulta, plausibile e pia. Nella leggenda del lago 2 9 G . PITRÉ, Studi... p p . 2 5 5 ss. ,0

Ibid.

Per il comparatico

cfr. PURE, Usi e costumi...,

voi. II,

sfondato predominano l'irresistibile languore amoroso e la lotta contro la tentazione diabolica, che ricorda quella di san Giovanni Crisostomo nella caverna 31. L'amore è del tutto assente nella versione pagana, ove sembra consumato come un destino tragico. Esso appare, ancorché colpevole, nella rielaborazione cristiana, e si sviluppa, nelle fiabe popolari, entro una vicenda struggevole e civettuola, che porta la fanciullina innamorata dalle tenebre alla luce e termina con splendenti nozze regali. Tra la Proserpina del mito e la Cenerentola della fiaba c'è un tramite cristiano. Mentre la dea pagana è condannata al ciclo interminabile delle rinascite, la santarella cristiana, dopo due ritorni, ascende a un mondo di beatitudine. La melagrana di Proserpina, dalla dolcezza malefica, è sostituita dal mellone di Cenerentola, insipido e sacro, volta celeste, simbolo del mondo 32. Il mellone introduce la leggenda del Lago sfondato, ove il suo succo è filtro d'amore 33. Mentre Proserpina è terribile e superba nell'Ade, Cenerentola in cucina è umile e umiliata, è una suorina dolorosa e laboriosa, una poverella di Dio, ma è anche un'alchimista sottile, e sa che è dalla sua condizione che si comincia. La vera profonda differenza tra le due sotterranee è comunque il gioco d'amore, che Kore ignora e Cenerentola conosce. L'amore irrompe nella fiaba del Lago sfondato: è un amore proibito, peccaminoso, e san Giovanni lo punisce malamente col precipizio agli Inferi. Nella chiusa della leggenda interviene però un dolce Gesù, che rimprovera 31

C f r . c. 3, p p . 55-56.

32

A. CATTABIANI, Erbario,

Rusconi, Milano 1985, p p . 60-64, 169-184,

L a melagrana a d d o l c i s c e l'Amato e la S p o s a (Dio e l'Anima) nel Cantico spirituale di san Giovanni della Croce; cfr. CATTABIANI cit., p. 179. 33

il Battista e, impedendogli di giudicare quella colpa, la perdona e, ammiccando, acconsente. La leggenda diviene, per l'intercessione di Gesù, un apologo di consenso all'amore paesano, alla marachella erotica, che il popolo gode, senza timore: «Godete, non temete, Giuanni dormi» . E l'amore struggente del ballo al castello, che dopo le canoniche pene d'amore conduce alla gioia delle nozze. Ed è proprio per questa tenerezza amorosa che Cenerentola diviene la sostanza delle sublimazioni e fusioni chimiche che ci proponiamo di analizzare.

3

" C f r . c. 3, p p . 54-55.

SOLFARE

Dove, negli altipiani della Sicilia centrale, troviamo il luogo che può corrispondere all'ingresso dell'Inferno? Dove l'oscura caverna al di là della quale è la tenebra, il fuoco, il demoniaco, e altresì le ricchezze di Plutone? Proprio intorno al lago di Pergusa, nell'altopiano di Enna e Caltanissetta, si aprono, da tempo immemorabile, bocche paurose che menano alle profondità della terra, grembo di dolore e di ricchezza: sono gli ingressi delle solfare. I picconieri che nell'antichità vi si calavano a cercare i minerali solfiferi avevano la sensazione di calarsi in un Inferno. Nelle gallerie sotterranee regnava l'acre odore dello zolfo, fetore di diavolo, e si rintanava un fuoco infido, minaccioso, che in ogni istante poteva invadere i camminamenti e colmarli di gas venefico. Le pareti e le volte delle gallerie delle miniere di zolfo appaiono, alla luce delle lampade, di un colore grigio pallido, cinerino. La massa amorfa della ganga calcarea rivela il suo carico di zolfo nel minuscolo luccicare di microcristalli dorati. I picconieri abbattevano le pareti pietrose con monotoni colpi di piccone, e il pietrame caduto a terra era trasferito in ampie gerle sostenute a spalla dai carusi. Le piccole creature, chinate e sofferenti, salivano in pietosi cortei, con gambette tremanti, verso l'esterno attraverso lunghissimi camminamenti, sostenuti da rozzi gradini di legno. In alcune miniere (come quella di Cozzo-Lisi), le pareti sono segnate da nere scolature di bitume, che spiccano tra il grigio del calcare. Talvolta la roccia che si

scopre al cadere della parete esibisce, singoli o in gruppi, squadrati macrocristalli di zolfo, di color miele dorato, con splendide levigate sfaccettature. Infissi come pietre preziose nella massa amorfa del calcare sembrano le alchemiche pietre della focaccia del re. Le miniere di zolfo sono cupe e paurose, ma sono pur sempre un regno, una casa che chiude e protegge, meno terribile dell'oscurità sconfinata della notte Dalle rive del lago di Pergusa (un laghetto di lacrime, come la fonte Ciane) si giunge con poca strada agli ingressi delle miniere, ed è un tragitto che conduce da verdi prati fioriti alla notturna casa sotterranea. Quel percorso dovette compiere il carro di Ade trascinando la vergine rapita, e in quelle profondità ella diventò regina, diventò la bellezza sepolta in attesa di minatori sofferenti e di accorati narratori. I regni bui del mito corrispondono, nella fiaba, alla cucina di Cenerentola, e la tetra condizione del minerale alla palandrana grigia e alla cenere tra cui la piccina giace. L'estrazione e la purificazione della roccia grezza sono il filo conduttore del racconto, che di continuo ad esse si riferisce e fa allusione. Conviene allora approfondire un po' le vicende del minerale solforoso, dall'uscita dalla miniera sino allo spillare dell'elemento puro dal forno a calcara. Estratto dalla miniera, il pietrame viene spezzato e triturato, quindi sottoposto a cernita. In tempi passati questa separazione veniva fatta da pazienti sceglitori, che distinguevano sasso da sasso. Scrive Agricola: 1 C o s i descrive la s o l f a r a Pirandello, nell'immagine di Ciàula, il miserabile c a r u s o della novella Ciàula scopre la luna. « C o s a strana; della tenebra f a n g o s a delle p r o f o n d e caverne, ove dietro ogni svolta stava in a g g u a t o la morte, Ciàula non aveva paura; né paura delle o m b r e m o s t r u o s e , che q u a l c h e lanterna suscitava a sbalzi lungo le gallerie, né del s ù b i t o guizzare di q u a l c h e r i f l e s s o r o s s a s t r o q u a e là in una pozza, in uno stagno d ' a c q u a sulfurea: sapeva s e m p r e dov'era; toccava con la m a n o in cerca di s o s t e g n o le viscere della m o n t a g n a : e ci stava cieco e sicuro c o m e d e n t r o il s u o alvo m a t e r n o . Aveva paura, invece, del b u j o vano della n o t t e » .

Et alcuni di detti sceglitori vanno scegliendo cattive, e separatamente le mettono in diversi vasi2.

le parti buone

dalle

Le pietre contenenti lo zolfo si raccoglievano in grandi mucchi e poi si dava loro fuoco. Parte dello zolfo bruciava, altra colava fuori dal mucchio e veniva raccolta in appositi recipienti. Così riporta Agricola il processo d'estrazione per colatura, non come specifico delle rocce solfifere, ma come applicabile a qualunque minerale: Ma hora vengo a modi de l'abbruciare: e primieramente a quello che è comune a tutte le vene... 3 2

AGRICOLA c i t . , p . 2 3 1 .

3

Ibid., p. 2 3 3 .

e va avanti descrivendo come si prepari: un'aia quadra molto ben grande e dinanzi aperta, sopra la quale s'assettano insieme alcuni legni l'uno a canto a l'altro: e sopra questi legni, degl'altri legni attraverso si p o n g a n o parimenti l'uno a canto a l'altro: il perché alcuni de nostri chiamano grata, questa composizione di legni... a l'hora sopra tai legni ammontati si p o n g a n o i pezzi ben minuzzolati di qualunque specie di vene. In prima si mettano i grossi, di poi i mezzani, e finalmente i più piccoli e così questo ammontamento a p o c o a poco alzandosi fa la forma di piramide... Ma se la pietra viva, o la cadmia, o altra vena partecipante di metallo, haverà più del dover del zolfo, o del bitume, ei bisogna di maniera abbruciarla, che niuna di queste cose si perda: perciò bisogna metterla sopra una piastra di ferro piena di buchi, e gittarvi su molti carboni, e così abbruciarla. Q u e s t a piastra bisogna che da tre muri sostenuta sia, d u e da le teste e il terzo di dietro. S o t t o questa piastra si a c c o m o d a n o alcune pentole nelle quali è dell'acque: nella quale acqua cala il vapore o bituminoso o sulfureo che sia. Cotal grassume sendo giallo mostra che è zolfo, ma se è bitume, egl'è nero a guisa di pece... D e t t o grassume separato da la vena reca qualche utilità a le persone, massime q u a n d o è sulfureo 4 .

Il procedimento di colatura dello zolfo non è descritto separatamente, ma insieme a quello del bitume, il primo rivelandosi come liquido giallo ed il secondo come nero. In Sicilia il materiale solfifero estratto dai picconieri era trattato, sino al 1850, su piani inclinati che si chiamavano calcarelle, appunto simiglianti all'« aia quadra molto ben grande» di Agricola 5. Queste erano fornaci circolari, di 1,5-2 metri di diametro, poco profonde, col suolo inclinato. Il fondo era formato di ciotoli o pietrame minuto. La fornace si riempiva di minerale e al di sopra si faceva un alto cumulo conico o a piramide totalmente scoperta. Compiuta la carica, all'imbrunire, il cumulo era acceso nel terzo superiore, e la calcarella era abbandonata a se stessa. Il mat4

Ibid., pp. 234-236.

M . GATTO, Trattamento S o c i a l e Torinese, Torino 1928. 5

metallurgico

dei minerali

di zolfo,

Tipografia

tino seguente da un foro aperto nella parte bassa della fornace, chiamato morte6, cominciava a colare lo zolfo 7 Verso sera, e talvolta a notte avanzata, la fusione era terminata. Lo zolfo ricavato era poco più di un terzo del totale. Il resto si perdeva ardendo nell'atmosfera allo stato di anidride solforosa (SO2). Questa immensa produzione di gas venefico quasi soffocava gli addetti alle fornaci, o arditoti, che avevano corta vita. 6 Ade significa Morte. L o zolfo che, c o m e vedremo nel prossimo capitolo, è equiparabile a Cenerentola, e quindi a R o s a s p i n a , finisce, attraverso il f u o c o , nell'antro di A d e . 7 E p r o b a b i l e che nella calcara non si abbia alcuna fusione diretta d e l l o z o l f o e che il materiale che cola sia p a s s a t o attraverso lo stadio di vapore, seguito dalla c o n d e n s a z i o n e .

Nel 1850 le calcarelle furono sostituite dai calcaroni. Questi differiscono dalle calcarelle per la copertura del cono emerso, che serve a meglio regolare la combustione e ad evitare l'enorme dispersione di anidride solforosa. I calcaroni sono molto più grandi delle calcarelle e in essi, dall'accensione alla colata dello zolfo, trascorre da una settimana ad un mese. Lo zolfo fuso, scivolando sul piano inclinato della fornace, si va a raccogliere dietro il muretto della «morte». Quando si avverte la presenza dello zolfo liquido, si apre un foro alla base del muro e si colloca davanti ad esso un canaletto di lamiera di ferro (canalone) per dirigere la corrente dello zolfo. Questo, colando rapidamente, si versa in forme di legno (gàvite) appositamente collocate sotto 8 . II liquido che cola nelle forme di legno è color oro splendente, leggermente ambrato, e il suo zampillare, fuori dell'oscuro pietrame e dell'acre fuoco, è il segno più glorioso della purificazione e della rinascita, il segno del riscatto dall'oscurità e dalla morte. Nell'officina del metallurgo rinascimentale lo zolfo veniva estratto dalle acque solforose o dal materiale di miniera (le vene) con un procedimento che tratteneva e utilizzava i vapori di zolfo. Questo si svolgeva in vasi sigillati e consisteva in una prima fase di distillazione e condensazione in storta e in una fase finale di fusione. Il fuoco non era derivato dalla combustione dello zolfo (così che non si produceva anidride solforosa), ma applicato all'esterno dei vasi di distillazione posti sulla fornace, mentre il vaso di fusione era mantenuto tiepido in un 8 Verso il finire d e l l ' O t t o c e n t o si a f f i a n c ò al calcarone una c o s t r u z i o n e in muratura, in più celle, chiamata, d a l n o m e del s u o inventore, f o r n o Gill. B e n c h é di origine cosi tarda rispetto alla nostra favola, il f o m o Gill ci interessa perché riprende i principi adottati dai metallurghi medioevali nelle loro officine. L a c o m b u s t i o n e si compie infatti in ambienti chiusi, nei quali si p u ò regolare l'immissione dell'aria comburente, e il calore p r o d o t t o nelle prime celle, insieme ai gas di combustione, esce dalla loro parte superiore e alimenta la c o m b u s t i o n e nelle celle successive.

letto di terra o di cenere, sulla parte bassa della fornace 9 . Ecco la descrizione di Agricola: Ma il zolfo si fa d'acque sulfuree, di vene, e di cose miste parimenti sulfuree. L ' a c q u e si portan dentro ne le caldaie di piombo, e cuoconsi fin' a tanto che quelle si condensino in zolfo... Ma le vene che quasi sono di zolfo, e terra, ma p o c h e volte d'altre cose, bisogna che si cocano in pentole di terra, le quali siano ben corpacciute... ciascuna pentola sarà alta due piedi, e grossa un dito. Ciascuna sotto la bocca haverà un n a s o lungo, ma stretto: ciascuna haverà il suo coperchio eziandio di terra, perché cuopra la bocca della pentola, e in quella alquanto si serri. O g n i due di queste si fatte pentole bisogna che n'habbiano una de la stessa grandezza, e forma che quelle: ma però senza naso, e con 9 Scrive AGRICOLA (cit., p. 3 7 0 ) a p r o p o s i t o delle pentole per l'estrazione dell'argento vivo: « Q u e l l e di s o t t o si sotterrano in terra, o ne la rena, o ne la cenere».

tre buchi: d u e de quali che saranno sotto la bocca, riceveranno i d u e nasi de le d u e pentole dette: e per lo terzo che sarà d e la parte di dietro a canto il f o n d o , uscirà fuori il zolfo. Ciascuna fornace haverà due di quelle pentole dal naso, e p o s t e che vi siano dentro, le dette fornaci si copriranno con le lor piastre di ferro, con loto g r o s s o due dita, molto ben lutate: e bisogna che siano molto ben serrate, lasciandogli solamente d u e o tre spiragli: le b o c c h e ancora d e le pentole avanzeran di fuori. Fuori di ciascuna fornace a l'un d e lati si metterà la pentola senza naso e ne d u e buchi di quella si mettan dentro i nasi delle d u e dette. E perché questa pentola non si p o s s a muovere, da a m b e d u e i lati fortificherassi. Q u a n d o ne le pentole poste ne le fornaci, saran m e s s e dentro le sulfuree vene, incontanente bisogna coprirle, e dove col coperchio si congiungano, bisogna ben lutarle, a fin che il zolfo non esali. Per questa stessa ragione, le pentole poste di sotto, bisogna eziandio che siano ben coperte, e lutate. Accese le legne, coceransi le vene, infino a tanto che mandato abbiano fuori il zolfo. Il vapore alzatosi, e penetrando per lo naso giù ne la pentola da basso si rassoda in zolfo, il quale cade nel f o n d o a guisa di cera disfatta: del quale quando esce fuori del buco ch'è accanto il f o n d o della pentola, il cocitore ne fa o un pane, o canne, o bastoncelli, o zolfanelli di piccoli e sottili pezzetti di legno intinti dentro. Incontanente poi... apre le due pentole, e votale, cavandone tutte le nettature avanzatevi, ne le quai nettature, se le vene saranno state c o m p o s t e di zolfo e di terra, simili saranno a la cenere da se spenta... D o p o di ciò s'empieranno di nuovo le pentole di vena e farassi c o m e di sopra è detto 10 .

In tal modo lo zolfo, messo tra la cenere, sublima, si condensa, si trasforma in cera fusa e spilla fuor della pentola come zampillo dorato, che si rassoda in forme varie e minute. Lo zolfo è una sostanza dalle numerose forme cristalline e dalle molteplici valenze. Generalmente esso è elemento elettronegativo e si combina facilmente con i metalli formando solfuri, quali la pirite (FeS2), la blenda (ZnS), la galena (PbS), Xargentite (AgS2), la calcopirite (CuS.FeS), il cinabro (HgS) e il realgar (AsS). Esso è un metalloide, appartiene quindi alla categoria degli elementi 10

AGRICOLA cit., pp. 497-498.

opachi, senza splendori metallici, cattivi conduttori, costituenti degli acidi 11 . Aggressore universale dei metalli, prono alle combinazioni chimiche, dissolutore e salificatore, combustibile e acre, lo zolfo è l'elemento maschile per antonomasia. In alchimia 12 era considerato l'elemento attivo, lo sperma minerale, che operando sul «mercurio» inerte lo feconda e l'uccide. Esso è fuoco come il mercurio è acqua, è sole come il mercurio è luna. La designazione «zolfo» era usata dagli alchimisti in un'accezione generale per indicare ciò che oggi chiameremmo metalloide. Luce, sole, oro e fuoco nei corpi, lo zolfo venne a denotare l'egoismo orgoglioso, lo scopo di se stesso, l'essenza luciferina. Aggredendo la materia lo zolfo ne rimane imprigionato, catturato, e da essa deve essere estratto, come embrione dal corpo materno e dal grembo della terra. Il suo simbolo è la Fava nella focaccia del re u , la luce nascosta che attende di essere riportata a splendere. Lo zolfo racchiuso, tetro e sgraziato, che aspira alla luce, corrisponde a tutti gli esseri pelosi e insudiciati che popolano le fiabe, corrisponde alla Bestia che nasconde il cavaliere. A volte l'essere avvolto nell'oscura palandrana o nella sudicia pelle è però una fanciulla. Massima ambiguità del simbolo che include, nella rappresentazione di tutto ciò che è forte, attivo, virile, la grazia delicata delle bimbe. Dunque, questa immacolata verginella, che siamo andati a pescare in una cucina nel sottosuolo di palazzo, questa oscura, dolcissima Cenerentola, corrisponde allo zolfo? Cenerentola non è la pura passività come una Cappuccetto Rosso o, in assoluto, una Biancaneve. Ella è furbetta, rimpiattata e provocante. Fugge, per essere più de" S e c o n d o la definizione d i J . J . B e r z e l i u s . 12

C f r . CANSLLIET, 2 ) c i t . , p .

13

¡bui., 1), pp. 59-68.

144.

siderata, sa ben vestire e calzare per far perdere la testa al suo spasimante. Schiva, restia e vergognosa, sa come infiammare il suo principe e coronare il suo amore. Non sarebbe però esatto concludere che essa è lo zolfo: bisogna dire che ella è compresa nel ruolo dello zolfo, ma è la fiaba che è sulfurea, non lei particolarmente. Ora è lei che cola come zolfo di miniera, ma a palazzo è il figlio del re che si squaglia come zolfo, in un ambiguo scambio delle parti. E lei a truccarsi, come un diavoletto, ma è il principe a usare trucchi luciferini. Alfine, ella risplende come zolfo spillante dalla calcara, e il principe la issa sul cavallo come maschio conquistatore. Se confrontiamo la fiaba di Cenerentola con quella de La Bella e la Bestia, vediamo che esse cominciano nello stesso modo. Tre sorelle, di cui la minore è la più bella e la più buona. Il padre parte per un viaggio e torna con un rametto o un fiore per la terza figlia. Dopo «l'infrazione botanica», le due fiabe prendono un corso opposto. In Cenerentola (e ancor più evidentemente in Pelle d'asino e Dognipelo) è la fanciulla che si nasconde in un gabbano ed è alla fine scoperta da un principe. Ne La Bella e la Bestia è il principe nascosto in un vestito villoso, ed è la fanciulla che lo libera dall'incomodo. Le parti del maschio e della femmina possono a volte invertirsi, e i due possono scambiarsi i ruoli di zolfo e di mercurio. Ciò avviene nel mondo surreale e capovolto della fiaba, che mai sacrifica il suo carattere misterioso e sorprendente alla rigorosa assegnazione delle parti. Le tre sostanze che costituiscono il fondamento delle nostre fiabe, l'argento, il mercurio e lo zolfo, raggiungono la purezza attraverso procedimenti distinti e peculiari, che improntano la vicenda delle nostre tre signorine: Biancaneve, Cappuccetto Rosso e Cenerentola. L'argento si deposita, il mercurio sublima, lo zolfo si strugge.

ANALISI CHIMICA DI

CENERENTOLA

La fiaba di Cenerentola 1 comincia con un mesto viatico. La madre sta morendo e raccomanda all'unica figlioletta di essere docile e buona: «Io ti guiderò dal cielo e ti starò vicina». Cenerentola tornerà spesso sulla tomba della madre, stabilendo un rapporto da questo all'altro mondo, come Kore con Demetra.

La madre è il sole minerale, l'oro nascente, lo zolfo alchemico che discende nella materia e vi genera il minuscolo embrione minerale, l'abitante segreto del sottosuolo. Abbandonata dalla madre, la piccina dovrà penare a lun1

Mi riferirò soprattutto alla versione dei GRIMM (cit., n. 21, p. 102)

go per uscire dalla sua oscura custodia, alchemicamente dalla «focaccia del re». Segregata dal mondo, è, nel racconto dei Grimm, relegata in un sotterraneo, accanto al fuoco, tra la cenere. Ella è come la roccia grezza, che corrisponde, nel quadro che andiamo tracciando, allo zolfo di miniera, rivestita di una palandrana grigia (Grimm) o di poveri abitucci (Perrault) che la pongono nel tipo del giovane ricoperto dal pelo, piuttosto che in quello della bella-addormentata. In effetti lo zolfo di miniera, combinato con vari metalli, svolge la parte dell'elemento attivo, maschile. La bimbetta condannata all'oscurità sotterranea e al duro lavoro ricorda, oltre alla pietra sulfurea trascinata all'aperto, i malcapitati fanciulli che a questo trascinamento erano forzati: i carusi1. Il caruso era un bimbetto, a volte di soli sei o sette anni (mai più di quattordici), il cui compito era quello di caricarsi sulle spalle una gerla contenente decine di chili 3 di roccia abbattuta dal picconiere e trasportarla, con gambette incerte, all'esterno, attraverso lunghi ed oscuri camminamenti. Si alzava presto al mattino e ancora assonnato doveva iniziare il suo calvario che durava ininterrottamente per dodici ore, ripetendo 16-20 volte la stessa strada. Terminata la fatica quotidiana, spesso restava nella miniera, e allora aveva ancora d a provvedere a prendere l'acqua potabile, spaccare la legna, accendere il fuoco, preparare la minestra e sistemare al s u o diretto superiore il giaciglio... 4 ,

e non di rado doveva sopportare i maltrattamenti se non la brutalità del picconiere. La docile Cenerentola viveva come un piccolo perseguitato caruso: 2 P. MONTINI, 11 minatore siciliano r a r i o » , Dir. G e n . Miniere, R o m a 1961.

3

/bui.

4

lbid.

dal 1860 al 1960, « R i v . Servizio Mine-

... dovette s g o b b a r e da mane a sera, alzarsi prima di giorno, portar l'acqua, accendere il fuoco, cucinare e lavare. Per giunta le sorelle gliene facevano di tutti i colori. La sera, d o p o tante fatiche, non andava a letto, ma si coricava nella cenere, accanto al focolare 5 .

Nessuna mansione domestica potrebbe giustificare un lavoro così gravoso. Cenerentola era un piccolo scaricatore di miniera. Q u a n d o la pietra sulfurea era scaricata fuori della miniera, cominciava il lavoro degli «sceglitori» che dovevano distinguere «le parti buone dalle cattive e separatamente metterle in diversi vasi» 6 . A questa operazione erano spesso addette donne e bambini. I Grimm ci presentano una strana incombenza affidata dalla matrigna a Cenerentola, che vuole andare al ballo: Ti ho versato nella cenere un piatto di lenticchie; se in due ore le sceglierai tutte, andrai anche tu 7.

La bambina deve operare una cernita per poter uscire di casa. Benché la matrigna non glielo abbia espressamente comandato e benché le lenticchie siano tutte eguali, la piccina fa una vera selezione, aiutata dagli uccellini del cielo: L e b u o n e nel pentolino le cattive nel gozzino. Pie, pie, pie, e raccolsero tutti i grani buoni nei piatti 8 .

Ecco che la fanciulla grigia è diventata uno «sceglitore» minerario. I materiali selezionati sono a questo punto avviati ai forni o alle pentole per le operazioni di estrazione. Seguiamone il percorso nelle pentole del maestro metallurgo 5

6

194

GRIMM c i t .

7bui.

1

¡bui.

8

Ibid.

cinquecentesco. Ricordiamo che si tratta di tre pentolone. Due sono poste in alto, sui fornelli, e presentano lunghi nasi. In esse il materiale grezzo arde e ribolle e, sgocciolando lungo i nasi, penetra nella pentola inferiore. Questa è poggiata, fuori dal forno, più in basso, su un letto di terra o di cenere. In essa lo zolfo si condensa e da essa scola infine come cera fusa. Nella fiaba ci si presentano due ragazze altezzose, boriose e superbe. Esse trasferiscono acidi ordini e maligne incombenze alla sorellastra, cui ben s'addice il nome di «Culincenere», che la più cattiva delle sorelle attribuisce all'eroina della favola di Perrault 9 . Culincenere raccoglie in sé, addolcisce ed esprime l'elemento puro e dorato. Ci avviamo adesso alla descrizione di processi di separazione e purificazione dello zolfo. In essi distinguiamo 9

I n D ' A L N O Y , PERRAULT e t a l . c i t . , p .

18.

due fasi. Nella prima lo zolfo, per azione del fuoco, si distacca dalla ganga e si solleva, sotto forma di vapore. Nella seconda sgocciola e scola verso il basso come elemento nativo. L'amore corrisponde, in termini chimici, alla combustione, alla sublimazione infuocata. Ecco il ballo al castello e nel ballo la scelta dell'elemento ardente, dell'appassionante, del fervido. Il principe è il fuoco stesso: è colui che trae lo zolfo di fuori dalla ganga, lo elegge, 10 purifica: 11 principe le venne incontro, la prese per mano e ballò con lei. E non volle ballare con nessun'altra: non le lasciò mai la mano, e se un altro la invitava diceva: « E la mia b a l l e r i n a » 10 .

Raggiunto il culmine della storta i vapori di zolfo si condensano, la temperatura cala e l'elemento arricchito ritorna alla sua cenere, in attesa di un'ulteriore purificazione. Cenerentola danzò fino a sera, poi volle andare a casa. M a il principe disse: «Vengo ad accompagnarti», perché voleva vedere da dove venisse la bella fanciulla. Ma ella gli s c a p p ò e b a l z ò nella colombaia 11.

La seconda sera si ripete la stessa scena: L à c'era un bell'albero alto da cui pendevano magnifiche pere; ella si arrampicò tra i rami svelta come uno scoiattolo e il principe non sapeva dove f o s s e sparita 12 .

Tutte e due le volte la fanciulla sfugge verso l'alto, si solleva, si volatilizza. 11 terzo giorno la scena è diversa. Essa si svolge nella terza pentola, quella sita in basso. Lo zolfo ha raggiunto la purezza, dopo due vaporizzazioni, e scola come cera fusa nel fondo del recipiente, per uscire dall'apertura inferiore. La fanciulla si precipita lungo la scala d'uscita. 10

GRIMM cit.

11

¡bùi.

12

Ibid.

Ma ora non è più un vapore fuggevole, è una massa fusa, una sostanza densa che può essere raccolta e catturata. Siamo alla fase finale della preparazione dello zolfo, allorché, come dice Agricola, il vapore p e n e t r a n d o p e r l o n a s o g i ù n e la p e n t o l a d a b a s s o si r a s s o d a in z o l f o , il q u a l e c a d e n e l f o n d o a g u i s a d i c e r a d i s f a t t a [ c h e ] e s c e f u o r i d a l b u c o c h ' è a c c a n t o il f o n d o d e l l a p e n t o l a

13

.

L'elemento prezioso, colato in una forma, è la famosa scarpina dorata che Cenerentola lascia sulla scala cosparsa di pece. La scarpina è lei stessa ed è la «fava nella focaccia del re». E lo zolfo-elemento al termine delle purificazioni. La graduale trasformazione da pietra grezza a sostanza luminosa è rappresentata nella fiaba anche con un'altra metamorfosi, cioè con l'apposizione di vestiti sempre più belli sul corpo della fanciulla. Questi rappresentano le tre fasi della trasformazione alchemica, come abbiamo già visto 14 riguardo agli abiti che Pelle d'asino chiede al padre animato da amore incestuoso. Nella favola di Cenerentola gli abiti sono descritti come sempre più splendenti, ma già alla prima vestizione come d'oro e d'argento. In altre fiabe dei Grimm la progressione cielo-luna-sole è più esplicita. La vera sposa porta con sé tre vestiti, che nasconde sotto una pietra: «uno trapunto di stelle scintillanti, l'altro di argentee lune, il terzo di soli d'oro». La fanciulla de II tamburino, girando un anello magico, fa comparire i vestiti in ordine inverso: prima «un abito splendente come il sole», poi «un abito argenteo come la luna» e infine «un abito scintillante come le stelle». 13

AGRICOLA cit., pp. 997-998.

14

C f r . p. 176. L a serie degli abiti è blu-bianco-rosso, cielo-luna-sole.

La principessa della fiaba II forno, che vive come una sguattera, trova nella sua tasca tre noci 15 che le aveva dato la vecchia regina-rospo. Nella prima c'è un superbo abito regale, nella seconda c'è un abito molto più bello e nella terza «un abito ancora più bello, tutto d'oro». Pelle d'asino possiede una cassetta che la segue sotterra: contiene tre abiti, uno color del cielo, uno color della luna e uno più splendente del sole. Ogni tanto ella se n'adorna in segreto, nascosta in una modesta cameretta. Un principe vide, in un giorno di festa, una porticina chiusa in fondo a un corridoio: L a curiosità lo s p i n s e a m e t t e r l'occhio al b u c o della serratura: q u a l e n o n f u il s u o s t u p o r e n e l v e d e r e la n o s t r a p r i n c i p e s s a , c o s ì b e l l a riccamente vestita!

e

16

La comparsa dell'abito dorato è presentata come l'apparizione, la rivelazione, la luce nelle tenebre. Essa ha almeno tre significati. E la parola di verità, la Toràb, è il metallo lucente che esce dalla pietra, è la sposa che, dopo essersi tolti i miseri abitucci, si veste a nozze. Nelle Dodici chiavi della filosofia Bastio Valentino descrive così la preparazione alchemica alle grandi nozze, l'adornamento prima dell'unione: U n a v e r g i n e , d o v e n d o e s s e r e d a t a in i s p o s a , è d a p p r i m a

magnifica-

15 N e l l a cabala la Toràh è p a r a g o n a t a alla noce, al cui seme, alla rivelazione, si g i u n g e attraverso tre strati. C f r . C . SCHOLEM, La Kaballah e il suo simbolismo, E i n a u d i , T o r i n o 1980, p p . 75-76. N e l l a favola siciliana La jimmurata ( L a g o b b e t t a ) la sorella minore, gobba, riceve dalle fate una nocciolina, una castagna e una noce. Q u a n d o schiaccia la n o c e « t r a un d e t t o e un fatto diventa la d e a Venere in p e r s o n a , vestita più ricca e più bella che mai, che ove passava illuminava la strada c o m e s e f o s s e il s o l e » (PlTRÉ, Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani cit., p. 3 9 6 ) . N e Lu re cavaddu-mortu (ibid., p. 103) una reginetta riceve una noce, una m a n d o r l a e una nocciolina che le servono a penetrare nel p a l a z z o del re, rivelandole l'entrata, l'appartamento, la stanza. 16 C f r . nota 9. In un p a s s o d e l l o Zohàr si legge che la Toràh è c o m e un'amata bella e b e n fatta, che si n a s c o n d e nel s u o p a l a z z o in una cameretta segreta. H a un unico amante n a s c o s t o che si aggira vicino alla porta della sua casa. A p r e un piccolo spiraglio, gli a p p a r e la bella e s u b i t o egli c h i u d e nuovamente. Zohàr II 99a-b; cfr. SCHOLEM cit., p p . 71-73.

m e n t e a d o r n a t a c o n t u t t a u n a v a r i e t à d i p r e z i o s i s s i m i v e s t i t i , in m o d o d a p i a c e r e a l s u o f i d a n z a t o e d i a c c e n d e r e p r o f o n d a m e n t e i n lui, c o n il s u o a s p e t t o , il f u o c o d e l l ' a m o r e

17

La comparsa alla luce della fanciulla-zolfo si trova rappresentata, in metafore di un più evidente segno metallurgico, in una fiaba siciliana, esalante acre sentore di zolfo e profumo nuziale di zagara. Negli assolati altipiani della Sicilia centrale, che hanno conosciuto i piedini di Kore e le ruote del carro di Ade, lo zolfo è estratto in forni all'aperto, le calcare (nella forma più recente, calcaroni). Si tratta, come abbiamo detto, di piccole aie pendenti, circondate da un muretto, sulle quali si accumula una piramide di pietre sulfuree. Nella parte bassa del muretto si lascia una cavità, detta la morte, murata all'esterno. La piramide pietrosa si accende a partire dall'alto, e al calore dello zolfo che arde altro zolfo si fonde e, scorrendo tra i sassi ammucchiati, raggiunge l'aia pendente e va ad accumularsi nella cella della «morte». Quando il minatore sente arrivare lo zolfo fuso pratica un foro nel muretto (trabia) e lo zolfo zampilla all'esterno, ove viene raccolto in forme di legno 18. In una variante siciliana di Cenerentola raccontata al Pitré dalla narratrice analfabeta palermitana Agatuzza Messia, calcara e zolfo fuso fanno da sfondo alla vicenda. Delle tre sorelle di un mercante, Ninetta, la più piccola, è la più bella (ma non la più buona). Il mercante parte per un viaggio ed è preoccupato di lasciar le figlie sole. 17

C f r . CANSELIET, 2 ) c i t . , p .

112.

L ' a n a l o g i a con l'orgasmo maschile è sin t r o p p o ovvia: così c o m e l'anatomia s e s s u a l e maschile è suggerita dal cannello sotto la pancia della pentola inferiore nell'officina del metallurgo (o d a l « c a n a l o n e » della calcara; v. p. 187). Attraverso quel cannello schizza lo z o l f o f u s o che viene raccolto in una f o r m a di legno con evidente riferimento all'organo femminile. Tale è il valore che alcuni a t t r i b u i s c o n o alla scarpina di Cenerentola. 18

1 9 E la favola d i Gràttula-Beddàttuia (PITRÉ, Fiabe... versione italiana si trova in CALVINO cit., p . 511.

cit., p. 3 6 8 ) . U n a

« E vossignoria si c o n f o n d e ? » gli disse la grande. «Vossignoria faccia la provvista per tutto il tempo che avrà da stare lontano, faccia murare le porte con noi dentro e ci vedremo q u a n d o piace a D i o » 2 0 .

Al padre, le due sorelle maggiori commissionano abiti splendenti e la piccina un bel ramo di datteri in un vaso d'argento. Questi datteri danno il nome alla fiaba che appunto si chiama Gràttula-Beddàttula (Dàttero-Beldàttero). In un intermezzo, che manca nella Cenerentola, Ninetta si cala in un pozzo, dal fondo del quale accede ad un magnifico giardino «con ogni sorta di fiori, alberi e frutti». Là il reuzzo del Portogallo la intravede e se ne innamora. Per ritrovarla organizza tre giorni di feste a palazzo invitando tutte le ragazze del reame. Ninetta dice di non voler andare, ma quando le sorelle sono uscite si rivolge al suo ramo di datteri e ne ottiene uno splendido abito d'oro e una carrozza con cui fila a palazzo. Il reuzzo la riconosce e la invita a ballare. Tra i due ballerini si svolge questo strano dialogo-indovinello: -

Signura, comu stati? C o m u 'mmernu. C o m u vi chiamati? Cu lu nnomu. Unn'abitati? N n a la casa cu la porta. N n a quali strata? N n a la vanedda di lu pruvulazzu. Chi siti curi usa! mi faciti mòriri. Putiti cripari! 2 1

Traduce Pitré: 2 0

21

PITRÉ,

Ibid.

Signora come state? C o m e inverno. C o m e vi chiamate? Col nome.

ibid.

- D o v e abitate? - Nella casa colla porta. - In q u a l e via? - N e l l a via d e l p o l v e r a c c i o . - C o m e siete strana! M i fate morire! - (Per me) potete crepare!

Ninetta balla tutta la sera «fino a lasciare il reuzzo senza fiato, mentre lei era fresca come una rosa». Si va chiarendo il gioco delle parti: mentre Ninetta resta imperturbabile come il muretto della calcara, il reuzzo si va fondendo come zolfo infocato. Ciò si ripete per altre due sere: L a terza

sera, tutto c o m e prima.

Nina

andò

a palazzo così bella

e

s p l e n d e n t e c o m e n o n e r a m a i s t a t a . I l r e u z z o b a l l ò c o n lei a n c o r a a l u n g o , e si s q u a g l i a v a d ' a m o r e c o m e u n a c a n d e l a 2 2 .

« A guisa di cera disfatta» dice Agricola dello zolfo fondente. Q u i il re padre chiama Nina al suo cospetto e la rimprovera: - M a cosa ho mai fatto, Maestà? - H a i f a t t o c h e m i o f i g l i o si c o n s u m a p e r t e . N o n c r e d e r e fuggire

23

di

.

L'indomani il reuzzo e Ninetta si sposano nella cappella reale. In questa fiaba manca la scarpetta perduta. Infatti la parte dello zolfo è passata al principe, che la ragazza fa fondere («si squagliava d'amore come una candela») e scolare verso la morte («mi fate morire!») 2 4 . 22

Ibid.

Ibid. U n accenno allo scioglimento del principe lo si incontra nella Cenerentola di Perrault, q u a n d o le sorellastre raccontano: « I l figlio del re si struggeva dalla voglia di s a p e r e chi f o s s e » . 23

2 4 In un'altra fiaba raccolta d a l PrTRÉ (cit., p. 100) la lenta f u s i o n e nella calcarella (carcara) è c o n t r a p p o s t a alle nozze nella cappella reale. D o p o che la reginetta ha narrato d'essere stata ingannata da una schiava... « s e n t e n d o questo, il reuccio l'abbracciò e o r d i n ò per loro la cappella reale, per la schiava una calcarella che la b r u c i a s s e per tre notti e per tre giorni».

Zolfo fuso è anche il miele ambrato del dattero, che trasforma Ninetta in «un pezzo d'oro dalla testa ai piedi». Ardore e fusione, passione e consumazione sono i motivi su cui si gioca questa favoletta d'amore siciliana, che ricorda l'irresistibile innamoramento dei due compari sulle rive del lago di Pergusa in un caldo pomeriggio d'està. La fiaba di Cenerentola termina con la famosa prova della scarpetta. Si tratta di un motivo antichissimo. Ne presenta una versione Eliano, narratore romano del III secolo dopo Cristo. Egli racconta di una graziosa cortigiana egiziana, di nome Rodope, che aveva deposto i sandali accanto alla vasca da bagno ove si lavava, con'la finestra aperta. Entrò in volo un'aquila, rubò il sandalo e lo portò al Faraone. Il sovrano fece cercare la fanciulla capace di calzare la scarpina. Ella fu ritrovata e divenne regina. Alla scarpina di Cenerentola sono stati attribuiti numerosi significati: alchemici 25 , giuridici, psichici, erotici. Per concludere la nostra interpretazione, dovremmo darne anche uno minerario. Sceglieremo il più semplice: la scarpina è il piccolo lingotto, o il cristallo, con cui il minatore può risalire alla fonte, alla vena, al giacimento, al sotterraneo. Da lì la fiaba inizia, nel grigiore, e da lì ci conduce passo passo verso la finale scarpina di luce.

25

Vedi anche p p . 41-43.

LA PIOGGIA D'ORO

La fiaba di Cenerentola è affrescata su un fondo grigio-cenere, dipinto e coperto di pennellate d'oro, che delineano la figurina della più buona delle fanciulle. La pittura aurea su fondo scuro, come in una delicata icona bizantina, rappresenta l'uscita dalla tenebra, la vittoria splendente del sole sulla caverna, del Cielo sugli Inferi, dell'oro alchemico sulla materia infame. Cenerentola all'uscita dall'oscurità è coperta di «un abito d'oro e d'argento» (Grimm) o di «vestiti di broccato d'oro e d'argento» (Perrault). Nella favola dei Grimm, oro e argento piovono dall'alto, come luce, offerti da un uccellino e calanti da una pianta di nocciolo. Grida Cenerentola: Piantina, scuotiti, scrollati, d'oro e d'argento coprimi

Come poteva una piantina piovere polvere d'oro, e convertire una palandrana grigia in un principesco abito dorato? Il rametto che il padre aveva portato a Cenerentola, di ritorno dal suo viaggio, era di nocciolo. La piccina lo aveva piantato presso la tomba della madre e lo aveva annaffiato di lacrime: «Il ramo crebbe e divenne una bella pianta», pronta a soddisfare i desideri della fanciulla virtuosa e pia. Reca il nocciolo fiori femminili in mazzetti di colore rosso vivo. I fiori maschili scendono, alla fine dell'inver' GRIMM c i t . , n . 2 1 , p .

102.

no, come ghirlande di minuscole corolle rosse, come penduli grappoli, che i botanici chiamano amenti o gattini. Quando viene la primavera, si verifica un fenomeno meraviglioso. Gli innumerevoli fiorellini schiudono le loro piccole corolle e si liberano nell'aria nuvole di giallo polline che scendono verso il suolo: botanica pioggia d'oro che copre la fanciulla scendendo dalla piantina scossa e scrollata. Nella fiaba Gràttula-Beddàttula, l'alberello di nocciolo di Cenerentola è sostituito da un ramo di datteri (gràttula). Il dattero produce un dolce liquido miele, dal colore ambrato, che bene configura lo zolfo colante dal calcarone e la pioggia d'oro. Nina si rivolge al suo ramo: Gràttula-Beddàttula Sali su e vesti Nina Falla più bella di com'era prima 2 .

La colatura del dattero è episodio centrale nella fiaba, che dal frutto della palma prende il nome. Il portento 2

PURE

cit.,p.

368.

avviene col tramite di fate portanti vesti e gioielli, e il risultato è che la fanciulla diventa «un pezzo d'oro» dalla testa ai piedi, come una statuetta stampata e pennellata. In una tenue e dolcissima fiaba dei Grimm (La pioggia di stelle >) la fanciulla è rivestita non di dolce succo siciliano, ma di diafana polvere di stelle; si ripete il miracolo della caduta della vestina dall'alto, a coprire la pietà d'una fanciullina, ignuda nella notte. E alla vestina si aggiunge una pioggia di scudi lucenti. E la storia di un'orfanella che non aveva dove abitare ed errava per i campi con un pezzetto di pane. Offre il suo pane a un affamato, il suo berretto a una bambina tremante, il suo giubbetto a una bambina gelata; a un'altra bimba offre la gonnellina, sinché un'ultima le chiede la carnicina: L a b u o n a fanciulla pensò: - E notte fonda, nessuno ti vede, puoi ben dare la tua - . Se la tolse e diede anche la camicia. E mentre se ne stava lì, senza più niente i n d o s s o , d'un tratto caddero le stelle dal cielo, ed erano tanti scudi lucenti: e benché avesse dato via la sua carnicina, ecco che ella ne aveva una nuova, che era di finissimo lino, vi mise dentro gli scudi e fu ricca per tutta la vita

Antica, divina e solenne è la pioggia d'oro che inonda il grembo della principessa Danae. La fanciulla, figlia del re di Argo, è stata rinchiusa dal padre in una cella sotterranea, perché, segregata dal mondo, non possa concepire un bambino. La vergine sarà fecondata da una luce divina calante dall'alto, da una pioggia d'oro schizzante attraverso il tetto della cella sotterranea. Ella raccoglie nella sua vestina la pioggia d'oro e da essa spunta Zeus, il padre degli dèi, con cui la vergine concepisce un figlio quasi divino, Perseo 5. Tutte queste fiabe e leggende richiamano lo sgorgare 3

4

GRIMM c i t . , n . 1 5 3 , p . 6 1 4 .

Ibid.

Simonides Lyricus 27. P e r s e o è allevato nel tempio d ' A t e n a . A n c h e alla nascita d ' A t e n a era c a d u t a d a l cielo una pioggia d ' o r o . 5

dello zolfo fuso dalla cella della morte. In una fiaba tedesca, sempre nei Màrchen dei Grimm, il riferimento si fa palese. Accanto allo zolfo cola dalla porta forata la sua controparte oscura, il bitume. Come lo zolfo è dono e premio per lo zelo e la dolcezza, il bitume è castigo per la pigrizia e lo sgarbo. E la fiaba de La Signora Holle in cui la pioggia d'oro (o di pece) è il motivo centrale verso il quale tende la vicenda e con cui si conclude: U n a vedova aveva due figlie, l'una bella e laboriosa, l'altra brutta e pigra. M a ella preferiva molto quest'ultima, perché era la sua figlia vera, e all'altra toccava tutto il lavoro, come alla Cenerentola di casa 6 .

La prima «pioggia» che la bambina buona riceve, cade da un albero carico di mele, che le grida: « A h , scuòtimi, scuòtimi! N o i mele siamo tutte mature.» Ella s c o s s e l'albero e c a d d e una pioggia di mele

7

E noi sappiamo che le mele mitiche sono pomi d'oro. Giunta alla casa della Signora Holle, il castello (o forno) di questa fiaba, la fanciulla riceve una strana richiesta: Devi soltanto b a d a r e a rifarmi bene il letto e a sprimacciarlo con cura, sì che le piume volino. Allora nevicherà sulla terra. Io sono la Signora H o l l e 8 .

Soave, morbida e bianchissima, questa è la seconda pioggia, di diafano oro bianco. Dopo una lunga permanenza in casa della Signora Holle, la bambina comincia a sognare la sua casetta. La sua urgenza si esprime come lo struggimento dello zolfo che spinge sulla porticina murata per uscire: 6

7

GRIMM cit., n . 2 4 , p . 114.

Ibid.

Ibid. « P e r c i ò in A s s i a » a n n o t a n o i G r i m m « q u a n d o nevica, si dice: - L a signora H o l l e si rifa il l e t t o . » 8

Finalmente disse alla vecchia: « R i m p i a n g o la mia casa; e, benché qui stia bene, non p o s s o più fermarmi, devo tornare dai miei.» L a signora H o l l e disse: « M i piace che tu ti strugga di tornare a casa; e poiché mi hai servito così fedelmente, voglio riportarti su io s t e s s a » . L a prese per mano e la c o n d u s s e davanti a un portone, e mentre la fanciulla era là sotto, c a d d e una gran pioggia d'oro, e l'oro le rimase attaccato e la ricoprì t u t t a 9 .

Siamo sulla porta murata del calcarone da cui spilla come cera disciolta lo zolfo fuso. Lo zolfo è la bambina stessa: prima si strugge nel forno, poi diviene pioggia d'oro e, uscita all'aperto, si converte in bimba d'oro. Il p o r t o n e fu chiuso e la fanciulla si trovò sulla terra, non lontano dalla casa di sua madre; e q u a n d o entrò nel cortile, il gallo sul pozzo strillò: «Chicchirichì! L a nostra bimba d'oro è ancora q u i . » 10

Q u i dobbiamo rammentarci quanto dice Agricola a proposito del grassume che esce dal pietrame combusto: Cotal g r a s s u m e s e n d o giallo mostra che è zolfo, ma se è bitume, egli è nero a guisa di pece " .

Torniamo ora alla sorella cattiva della Cenerentola dorata. Anch'ella si reca alla casa della signora Holle: L a signora H o l l e se ne stancò presto e la licenziò. L a pigraccia era ben contenta e si aspettava la pioggia d'oro; la signora H o l l e c o n d u s s e anche lei al portone, ma q u a n d o la ragazza fu là sotto, invece dell'oro le si rovesciò a d d o s s o un gran paiolo di pece. « Q u e s t o per i tuoi servizi» disse la signora Holle, e chiuse il portone. Allora la pigrona a n d ò a casa, ma era tutta coperta di pece; e il gallo sul pozzo al vederla gridò: «Chicchirichì! La nostra bimba sporca è ancora q u i . »

12

La tintura dorata che bagna di luce icone e dipinti 9 10

Ibtd. ìbid.

11

AGRICOLA c i t . , p . 2 3 6 .

12

Cfr. nota 6.

non è oro puro. È bensì una polvere minerale con cui concluderò, in chiave chimica, le metamorfosi e le splendenti ricadute dell'elemento sulfureo. Questa polvere è nota come orpimento e il suo nome deriva dall'espressione auri pigmentum usata da Plinio. Esso proviene, per trasformazione chimica, dal realgar. Il realgar è un minerale non raro nelle miniere di zolfo. La parola, dall'arabo ràhdjalgàr, significa «polvere delle caverne». E un solfuro di arsenico (AsS), e lo si trova in masse compatte, in granuli, in incrostazioni di colore rosso-aurora o rosso-arancio. Esposto alla luce e all'aria esso si trasforma in un composto ossidato, appunto l'orpimento (AS2S3). Il rosso-aurora si converte nel colore giallo vivo del sole nascente. La roccia gialla è morbida e friabile e all'aria e alla luce si sfalda, e cade in polvere, come una cipria sottile d'oro lucente: minerale pioggia d'oro destinata ad aureole e sontuose copriture 13. 13 II realgar è r a c c o m a n d a t o , dall'alchimia cinese, contro i morsi di serp e n t e (Pau P'u-Tzu, Nei P'ieti, e d . it. in « C o n o s c e n z a R e l i g i o s a » , 1976-3, p. 2 5 8 ) . C o n t r o i morsi di serpente è del pari consigliato il nocciolo. In una storiellina dei GRIMM (cit., Im verga di nocciolo, p. 7 8 7 ) la M a d o n n a , inseguita d a u n a vipera, trova rifugio dietro un c e s p u g l i o di nocciolo: « C o m e oggi la pianta di nocciolo fu un rifugio per me, così lo sarà per altri in f u t u r o » .

La pioggia d'oro è innanzi tutto una precipitazione, un agente fertilizzante disceso dal cielo, un intermediario che collega l'alto col basso, l'empireo col sottosuolo, e che risalendo verso il cielo fa crescere le potenze botaniche della terra. Nell'oro della pioggia è accentuato il carattere solare della donazione celeste: la pioggia è seme e sperma, fecondatore maschile della femminile nerezza terrestre. E la luce rispetto alle tenebre, lo zolfo rispetto al mercurio. La pioggia d'oro esprime la liquefazione della più fissa delle sostanze, il disfacimento, la fusione minerale che è anche struggimento, macerazione d'amore. Ad essa segue la violazione, la fecondazione, la generazione. La pioggia d'oro è il simbolo dello zolfo e di tutta la sulfureità, dell'elemento dorato, autore di tutte le combinazioni, contaminazioni, trasformazioni. Nella sua appassionata focosità essa è accolta, composta, domata dalla ermetica e fredda sapienza del mercurio.

L A STREGA D E L B O S C O

Nella fiaba di Cenerentola e nelle sue numerose varianti, lo zolfo è una dolce fanciulla (o un ragazzo) coperta di abiti tetri, sporchi e maleodoranti che la rendono sgradevole o inavvicinabile. Da quegli abiti o pelli irsute ella si libererà per divenire una principessa dorata. Lo zolfo si presenta nelle fiabe anche come vecchia strega incantatrice, che cattura i bambini e li divora o li chiude in gabbia. L'ingabbiamento è la metafora della chiusura di un metallo entro un minerale, della combinazione chimica che sottrae al metallo la libertà e l'occulta nella materia grezza. Qui lo zolfo non è più sostanza elaborata, ma operatore estraneo e diabolico del processo alchemico. Una Maga potentissima che ingabbia animali e vergini la si trova nella fiaba di ]orinda e Joringhello Questa strega ha tutte le qualità dello zolfo. Come lo zolfo, può trasformarsi in composti fissi e volatili, divenendo gatto o civetta. I suoi occhi sono infocati e il suo colore giallastro, la sua voce è cupa. Ecco avvicinarsi al castello della strega infocata due fanciulli innamorati: sono Jorinda e Joringhello. Jorinda è «più bella di tutte le altre fanciulle». Nel suo canto di morte ella chiama se stessa «colomba», che è il nome alchemico dell'argento. Ella è dunque una Biancaneve che si avvicina alla matrigna e ne rimane stregata, trasformata, diremmo, in un nero solfuro d'argento, usignolo aggran1

GRIMM cit., n . 6 9 , p . 3 1 4 .

fiato dalla civetta. Ella canta disperata un limpido (argentino) chiù, chiù, chiù, mentre la civetta emette un laido sciù, uh, uh, uh. Il bellissimo Joringhello, anch'egli inorridito dall'ansia mortale, possiede tuttavia qualità di mago, che lo rendono inattaccabile. La strega non riesce a imprigionarlo, e quando sul finire gli si scatena contro, il suo spirito corrosivo è assolutamente inefficace: Q u a n d ' e l l a vide Joringhello s'infuriò, imprecò, gli sputò a d d o s s o fiele e veleno, ma a due passi da lui dovette f e r m a r s i 2 .

Questo metallo inattaccabile non può essere che oro, il più nobile e resistente degli elementi, il più fisso di tutti i metalli. A metà della fiaba s'incontra uno strano passo: J o r i n g h e l l o non poteva né parlare né muoversi, l'usignolo era s c o m p a r s o . Finalmente tornò la donna e disse con voce cupa: « S a l u t e , Zachiele; q u a n d o la luna splende nel c e r f o g l i o 3 , sciogli Zachiele, alla b u o n ' o r a » . E Joringhello fu libero' 1 .

Chi è questo Joringhello? Perché è chiamato Zachiele? La fiaba sta percorrendo una vicenda biblica, il racconto, appunto, di Ezechiele. Per un po' di tempo il profeta non può parlare né muoversi: Ti saranno m e s s e a d d o s s o funi, sarai legato con esse e non potrai uscire in mezzo ad essi. Farò aderire la tua lingua al palato e rimarrai muto 5 . 2

Ibid.

II testo tedesco ( G r i m m s Märchen cit., p. 4 9 1 ) dice: Grüss dich, Zachiel, wenns Möndel ins Körbel scheint, bind los, Zachiel, zu guter Stund. Letteralmente 3

suonerebbe: «Salute, Zachiele, quando la luna splende nel corbello [o « g e r l a » dei minatori], liberati, Zachiele, alla b u o n ' o r a » . Cerfoglio è Kerbel. L a luna che splende nella gerla è l'argento raccolto dal minatore. L a strega vuol dire: « M e n t r e J o r i n d a è in gabbia, tu va' p u r e » . 4

C f r . nota 1.

5

Ezechiele 3,25-26.

Identica la sorte del giovane innamorato: J o r i n g h e l l o non poteva muoversi: era là impietrito e non poteva piangere, né parlare, né muovere la mano o il piede 6 .

Jorinda rappresenta il popolo colpevole d'Israele. Ad esso Jahvè predice: E venuta la fine, è venuta la fine, è sorta contro di te, ecco che viene. Il destino è arrivato ormai per te, abitante del paese; è arrivato il tempo, è arrivato il giorno, giorno di terrore... 7

I superstiti fuggiranno «gemendo tutti come le colombe delle valli»: Verrà l'angoscia, cercheranno allora salvezza, ma invano 8 .

La fiaba narra l'ansia, il senso orribile della morte vicina dei due fanciulli fuggitivi: L a tortora gemeva sulle vecchie betulle. O g n i tanto J o r i n d a si fermava al sole e si lamentava, e così Joringhello. Erano sgomenti, quasi dovessero morire... J o r i n d a cantava: « L ' u c c e l l o mio dall'anellino rosso 9 ahi, quanti lai mi canta e mala sorte! alla c o l o m b a canta la sua morte, ai quanti lai! chiù, chiù, chiù» 10 .

Mentre Joringhello-Ezechiele si dissocia come profeta dal destino degli inseguiti, Jorinda, insieme a un popolo di vergini, rimarrà prigioniera nella gabbia della strana maga. Nella fiaba è la fase dell'occultazione. Volano gli uccelli notturni, l'usignolo e la civetta (in ted. Nachtigall e Nachteule). Il sole che prima «brillava fra i tronchi degli alberi, chiaro nel verde cupo del bosco», e che nel perio6

C f r . nota 1.

7

Ezechiele 7,6-7.

8

/bui.

7,25.

E la tortora, protettrice degli innamorati. L a sua iride è una coroncina circolare r o s s a . R i c o r d a le bibliche, gementi « c o l o m b e delle v a l l i » . 9

10

C f r . nota 1.

do dello smarrimento «era già calato per metà dietro il monte», adesso «era tramontato». La strega è una biblica profetessa di menzogna, che nelle sue gabbie cattura le anime come uccelli. S e una vergine entrava in quel cerchio, la strega la t r a s f o r m a v a in uccello, poi la chiudeva in una gabbia, che portava in u n a delle sue stanze 11.

Si ode la voce di Jahvè, contro le false profetesse: E c c o m i contro i vostri lacci, con i quali andate a caccia di anime come di uccelli; li strapperò dalle vostre braccia lasciando andar libere le anime prese da voi come uccelli 1 2 .

Con la liberazione dell'uccellino Jorinda, cioè col ritorno dell'argento allo stato nativo, finisce la fiaba. La strega, toccata da Joringhello con un magico fiore rosso, perde ogni potere d'incantesimo. Il giovane raggiunge la sua amata: E J o r i n d a era là, fra le sue braccia, bella c o m e un t e m p o . E anche tutti gli altri uccelli, grazie a lui, ridiventarono fanciulle 1 3 .

L'oro e l'argento formano una lega nota come elettro. E un oro più chiaro e più splendente dell'oro stesso; in questa lega l'argento diviene inattaccabile. E un fulgore, uno splendore divino, l'estrema luce dell'alchimista in cerca della pietra filosofale. Così descrive Ezechiele l'immagine di Jahvè: D a quelli che sembravano i suoi lombi in su, la vidi [ u n a figura di u o m o ] risplendente come l'elettro 14 .

L'oro e l'argento hanno formato la lega ambrata, divina, incorruttibile. Liberati dalle loro impurezze sono ritornati al primitivo splendore: E d egli tornò a casa con la sua J o r i n d a ; e vissero a l u n g o felici e contenti 1 5 . 11 12

Ibid. Ezechiele 13,20.

13

C f r . nota 1.

14

Ezechiele 1,27.

15

C f r . nota 1.

Da questa fiaba drammatica e fulgida scendiamo verso una narrazione più boschereccia e domestica, dove gli eroi non sono una coppia di bellissimi innamorati, ma due bimbetti miserelli e impauriti. Essi sono avviati in un al di là d o v e li attende un forno sacrificale officiato da una strega pasticciera. Hànsel e Gretel 1 6 erano due fratellini che vivevano in una casa ai margini del bosco, in condizioni di estrema povertà. I genitori decidono di disfarsene abbandonandoli alle fiere nel profondo del bosco. Una prima volta Hànsel si riempie le tasche di sassolini, con i quali segna la strada per il ritorno. La seconda volta la segna con briciole di pane, che gli uccelli del cielo volatilizzano. I fratellini sperduti - guidati da un uccellino bianco - raggiungono una strana casetta, fatta di pane, focaccia e zucchero. Alla finestra compare una strega che li invita a entrare. Essi si sentono felici, ma nella notte la strega cattura Hànsel, 10 chiude in u n a stia e obbliga Gretel a lavori servili. La strega attende che Hànsel ingrassi, ma il piccino la inganna sporgendo dalla stia un ossicino di pollo anziché 11 suo dito. D o p o due settimane, la strega impaziente ordina a Gretel di preparare il forno. Gretel finge di non saperlo fare, l a strega prende il suo posto e mentre sta sporgendosi sulla bocca del forno, la piccola la spinge e ve la precipita dentro. Hànsel è liberato e i bambini, raccolte le pietre preziose che la casetta contiene, tornano felici a casa. La fiaba è ricca di motivi di Biancaneve. L'abbandono nel bosco, l'uccellino bianco che fa da guida, la casetta accogliente, alla quale si affaccia una strega mortifera, là proveniente dall'esterno, qui dall'interno. Un altro motivo, appartenente alla fiaba di Biancaneve e alle sue varianti (Il ginepro, La Bella addormentata nel bosco), è q u i presente in modo ossessivo: è quello 16

Hànsel

e Gretel;

GRIMM cit., n. 15, p. 6 8 .

del cannibalismo, esercitato su cibo umano cotto. Esso configura il divoramento dell'argento ad opera del piombo fuso della galena, l'inclusione dell'argento entro le sue scorie. E l'attività prediletta della strega nella casa del bosco: Q u a n d o un b a m b i n o cadeva nelle sue mani, l'uccideva, lo cucinava e lo mangiava: e per lei quello era giorno di festa. ... e q u a n d o lo vide [Hànsel] riposare così dolcemente, con le gote rosse e tonde, mormorò fra sé: - Diventerà un buon boccone.

... E mentre Gretel era dentro [la bocca del forno], avrebbe chiuso il forno per farla arrostire e mangiarsela anche lei 1 7

Benché i bambini siano troppo modesti e piccini per rappresentare l'argento, la strega manifesta la protervia tipica delle matrigne divoratrici di bianche sposine cucinate, l'avidità del livido schiumoso litargirio. L'inizio della storia vede la miseria caduta sulla casa e i bambini abbandonati e smarriti nel bosco. Il tono non è angoscioso come nella fiaba di Jorinda e Joringhello; è impaurito e piagnucoloso, affaticato, assonnato e sognante. I due, stretti l'uno all'altra, configurano l'originale indeterminato, l'androgino primordiale in cerca di identificazione. I due esserini uniti si potrebbero interpretare come coppia salina, metallo e metalloide congiunti, sale da cucina o cinabro. Tutto è chimica, si potrebbe dire, quindi anche la nostra coppietta. I particolari accadimenti della fiaba aggiungono un po' di sapore a questa lettura salina. Il sale è amaro come la povertà, e amare sono le lacrimucce della piccola Gretel quando sa di essere destinata all'abbandono e alla morte. Nella casa del bosco, la strega dissocia la coppietta ingabbiando il maschietto (come nella favola dell'angoscia è ingabbiata la fanciulla). Si direbbe una separazione a secco, nel crogiuolo. Sul finire della fiaba, Hànsel e Gretel affrontano una idrolisi (cioè una dissociazione umida) in piena regola. Al guado del gran fiume il sale si scompone nei suoi elementi e così si dissolve. A compiere il processo compare un bianco uccellino acquatico, un anatrino: Anatrino, corri! Hànsel e Gretel qui soccorri. N e s s u n ponte p a s s a il fiume, prendici d u n q u e sulle bianche piume. 17

lb,d.

E l'anatrino si avvicinò; Hànsel gli salì sul dorso e disse alla sorellina di sederglisi accanto: « N o , » rispose Gretel « s a r e b b e troppo pesante per l'anatra; ci trasporterà l'uno d o p o l'altro.» C o s ì fece la b u o n a bestiola 18.

E così il sale si idrolizza, per ricomporsi poi all'asciutto. Ritorniamo sui passi dei piccoli smarriti. Li attende la tentazione, cui seguono l'infrazione originaria e la caduta agli Inferi. Ciò che talvolta è appena il cogliere d'un fiore o lo spezzar d'un rametto, qui è autentico pasto della casa vegetale. La tentazione è edenica, ha la forma di un invito appetitoso e ghiotto. La casetta che, dopo tre giorni di cammino, si presenta ai bambini era fatta di pane e coperta di focaccia; ma le finestre erano di zucchero trasparente 19.

I bambini le si gettano sopra voracemente, e subito ne esce l'essere infernale, Satana dietro l'albero del bene e del male, Ade dietro il narciso: Hànsel, a cui il tetto piaceva molto, ne staccò un grosso pezzo, e Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo, sedette in terra e lo succhiò beatamente. Ma d'un tratto la porta si aprì e venne fuori pian piano una vecchia decrepita, che si appoggiava a una gruccia 2 0 .

La casa nella quale i due bambini entrano per mano alla vecchietta rappresenta una dimora infera, ma il suo ingresso, come si conviene, è pieno di ogni delizia e allettamento. I bambini si trovano invitati a una cena di Natale, come se loro stessi fossero il Gesù Bambino nel presepe. Beth-lem significa «casa di pane», ed è a Bethlem che i piccoli sono arrivati. 18

ibid.

19

ibìd.

20

lb,d.

L'aria natalizia risuona nello strano scambio di parole tra la strega e i bambini: « R o d i , rodi, morsicchia, la Casina chi rosicchia?» I bambini risposero: « I l vento, il venticello, il celeste b a m b i n e l l o » 2 1 .

II clima di festa continua nella b u o n a cena, latte e frittelle, mele e noci; poi f u r o n o preparati due bei lettini bianchi, e Hànsel e Gretel si coricarono e credevano di essere in paradiso 2 2 .

Essi sono penetrati nell'asse del mondo attraverso cui si sale ai Superi, ma più facilmente si precipita agli Inferi. La casa-albero ha sulla cima un uccellino bianco («e l'uccellino si posò sul tetto») e alla base la serpe ingannatrice, la strega. Questa spezza improvvisamente l'incantesimo: A f f e r r ò Hànsel con la mano rinsecchita, lo p o r t ò in una stia e lo rinchiuse dietro un'inferriata; e per quanto egli gridasse non gli giovò. Poi essa a n d ò da Gretel, la svegliò con uno s c o s s o n e e gridò: «Alzati, poltrona...» 2 3

Gli elementi che assegnano natura infera alla casa dove i due bambini son capitati sono vari. C'è innanzi tutto l'imprigionamento di Hànsel e l'asservimento di Gretel. Essi sono diventati minerali, pietre grezze, nelle profondità ctonie. Grida e lacrime commentano questa mala sorte. Un altro elemento è il fiume che scorre accanto alla casa, e che i bambini attraversano sulla via del ritorno. Il paese «oltre le acque» è l'Ade, e tutti i trasportati agli Inferi della mitologia devono attraversare una fonte, un fiume, un mare. 21

ibid.

22

ibid.

23

Ib,d.

Altra attestazione infera sono i forzieri pieni di gioielli che compaiono dopo la morte della strega. Come grembo della terra, l'Ade contiene preziosi e il dio che vi regna è dio d'oscurità e di ricchezza. Questo dèmone è rappresentato dalla strega, che si presenta ai bimbi sul soglio natalizio con l'aspetto di una maligna e beffarda befana. Ella somiglia a una dea infera, come Ecate o Lamia, avida di bambini che è pronta a divorare in un sol boccone (potevano riprendersi vivi dal suo ventre 24 ). La capacità di trasformarsi, che Lamia possedeva, si manifesta nella strega di Jorinda e Joringbello. Il centro della dimora oscura della strega è rappresentato dal forno, bocca di fuoco, luogo di calcinazione e trasmutazione, sede dei tormenti estremi. Verso di esso si muovono Hànsel e Gretel. Il destino preparato per i due piccini è il più genuino riferimento minerario della fiaba. Essi sono destinati alla bocca del forno acceso, dove sono scaricate tutte le pietre metallifere, dopo cernita e preparazione. E vero che si tratta, nella nostra fiaba, di un forno di panificazione e non metallurgico, ma il significato dei due forni è lo stesso. Essi sono il grembo ove matura l'embrione, sostanza minerale o impasto vegetale, ove si compiono la combustione e la rinascita, la fusione-estrazione e la cotturalievitazione. « P r i m a di tutto bisogna cuocere il p a n e , » disse la vecchia « h o già s c a l d a t o il forno e impastato.» S p i n s e fuori la povera Gretel, f i n o p r e s s o il forno, da cui già svampavano le fiamme. «Càcciati d e n t r o , » d i s s e la strega « e guarda se è ben caldo, perché p o s s i a m o infornare il p a n e . » E mentre Gretel era dentro, avrebbe chiuso il forno per f a r l a arrostire e mangiarsela anche lei 2 5 .

Q u i avviene un'inversione di parti: non tra maschio e femmina, ma tra preparatore e preparato. E un redde 24

K . K E R E N Y I c i t . , v o i . 1, p . 4 2 .

25

GRIMM cit. (nota 16).

rationem che conosciamo, e che spesso capita all'Orco, quando finisce malamente nel tranello che ha preparato per le sue vittime. « N o n so come f a r e » [disse Gretel]-. « c o m e faccio a entrarci?» « S t u p i d a o c a , » disse la vecchia «l'apertura è abbastanza grande, guarda, potrei entrarci anch'io.» Arrancò fin là e sporse la testa sul forno. Allora Gretel, con un urtone, la spinse dentro, chiuse lo sportello di ferro e tirò il catenaccio. Uh! che urla orribili gettò la strega! Ma Gretel corse via e la maledetta strega dovette miseramente b r u c i a r e 2 6 .

La fiaba di Hànsel e Gretel ha un asse verticale, che è la casa di pane, e un tracciato orizzontale che lo incontra e lo attraversa. Esso è segnato da tre seminagioni, una terrena, una evanescente e una risplendente. Il seminatore è Hànsel, l'ultimo Giovannino sulla nostra strada. Le sue pietruzze raccontano una parabola evangelica, che ripeterò con Marco: «Ascoltate! Ecco il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, parte della semenza c a d d e lungo la via e venuti gli uccelli se la mangiarono. Altra c a d d e in suolo roccioso, dove non c'era molta terra, e subito spuntò, perché non aveva terra in profondità, ma q u a n d o si levò il sole bruciò e per difetto di radice seccò. Altra semenza c a d d e fra le spine e q u a n d o crebbero le spine la s o f f o c a r o n o e così non diede frutto. Altra infine cadde nella terra b u o n a e diede frutto, che crebbe e granì e p r o d u s s e quale il trenta, quale il sessanta, quale il cento.» E diceva: « C h i ha orecchi per intendere intenda!» 2 7

Nella fiaba, la prima seminagione è lucida ma sterile, e serve solo per ritrovare la via verso la casa della povertà. Il «seme» riluce al chiaro di luna, e quando si leva il sole non lo si vede più: 26 lbid. N e l l a fiaba siciliana Tridicinu (PITRE cit., p. 2 9 0 ) si ripete quasi identica la f i n e della strega. Tredicino è catturato d a l d r a g o , c h i u s o in una b o t t e e i n g r a s s a t o a uva p a s s a e fichi. Invitato a m o s t r a r e il ditino, tira fuori la c o d a d'un t o p o l i n o . L a d r a g a porta Tredicino al f o r n o per infornare un agnello: « I h , m a m m a d r a g a , che nera cosa c'è in q u e l l ' a n g o l o del f o r n o ! C h e è ? » L a d r a g a si cala un p o ' e non vedeva niente. « C a l a t e v i a n c o r a » le dice Tredicino « c h e la v e d e t e . » C o m e quella si cala ancora, Tredicino la p r e n d e per i piedi e la getta d e n t r o il forno. A n c h e qui c'è l'inversione tra il « l a v o r a n t e » e l ' « e l a b o r a t o » . L a d r a g a è poi fatta a pezzi e servita a tavola. 27

M a r c o 4,3-8.

Splendeva chiara la luna e i sassolini bianchi davanti alla casa rilucevano c o m e monete nuove di zecca. Hànsel si chinò e ne ficcò nella taschina della giacca quanti potè f a m e entrare. [Andando verso il bosco, Hànsel] aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca. [E al ritorno], q u a n d o sorse la luna piena, prese la sorellina per mano e seguirono le pietruzze, che brillavano come monete nuove di zecca e mostravan loro la via 2 8 .

La seconda semenza «cadde lungo la via e venuti gli uccelli se la mangiarono» 29: Sulla strada del bosco, Hànsel sbriciolò [il pane] in tasca, e s p e s s o si fermava e buttava una briciola in terra... Un p o ' per volta gettò tutte le briciole via... Q u a n d o sorse la luna, si alzarono, ma non trovarono più neanche una briciola: le avevano beccate i mille e mille uccellini, che volano per campi e b o s c h i 3 0 .

L'ultima seminagione è quella che produce frutto e ricchezza. Il suo seme si trova nel profondo degli Inferi. 28

GRIMM cit. (nota 16).

29

M a r c o 4,4.

50

GRIMM cit. (nota 16).

Entrarono nella casa della strega, e dappertutto c'erano forzieri pieni di perle e di pietre preziose. « S o n o ancor meglio dei sassolini!» disse Hànsel, e mise in tasca tutto quello che potè entrarci; e Gretel disse: « A n c h ' i o voglio portarne a casa un p o ' » . E si riempì il grembiulino. [Giunti a casa] Gretel rovesciò il suo grembiulino, sicché le perle e le pietre preziose saltellarono per tutta la stanza e Hànsel vi aggiunse a manciate il contenuto della sua tasca. C o s ì finiron tutti i g u a i . . . 3 1 .

I due bambini, anziché serbare gelosamente le gioie, le gettano al suolo con i gesti tipici dei seminatori. Gli ultimi semi sono quelli raccolti nel profondo del sottosuolo, e sono quelli che valgono di più. Si potrebbe obiettare che essi non sono confrontabili con le pietruzze e le briciole, ma non sarebbe d'accordo Hànsel, che stabilisce subito il confronto: «Sono ancor meglio dei sassolini!»

31

ibid.

Appendice

P R O C E S S O A L L A FIABA

La strega della fiaba di Hànsel e Gretel è uno dei rarissimi personaggi fiabeschi cui è stato dato un nome e cognome, una identità anagrafica, e la cui vera storia è stata ricostruita con sorprendenti particolari Si chiamava Katharina Schraderin, nacque nel Harz, in Germania, nel 1618, settima figlia di un pasticciere di Wernigerode. Cuoca presso un abate dai sedici ai vent'anni, pare abbia fatto la venditrice di focacce sino al 1647, anno in cui scomparve per stabilirsi in una solitaria casetta sull'Engelsberg. Questo risulta da registri parrocchiali, protocolli e atti che il professor Georg Ossegg ha raccolto nei primi anni di quest'ultimo dopoguerra. Georg Ossegg era un ragazzo che credeva alle fiabe come storie vissute. Egli era convinto che le fiabe fossero vicende reali riadattate dai poeti e dai narratori. La storia di Hànsel e Gretel lo aveva affascinato in modo speciale sin da bambino, e il destino lo aveva portato ripetutamente, nel 1945 e nel 1962, ad Aschaffenburg in Baviera. Presso Aschaffenburg c'è un bosco che prende nome dal villaggio dello Spessart e che la gente chiama «bosco della strega». Benché in Germania vi siano forse cento «boschi della strega», Ossegg si convinse che-nel suo bosco doveva essere vissuta la strega giusta, e sulla base di fragili indizi iniziò la ricerca archeologica della «casa di focaccia», dove sarebbe morta la strega della sua fiaba. Il lato incredibile della faccenda è che egli la trovò 1

H a n s TRAXLER, La strega e il pan pepato,

E m m e , Milano 1981.

0 credette di averla trovata. Trovò le fondamenta di pietra di una casetta d'argilla ad unico locale, e accanto ad essa 1 resti di quattro forni. In uno dei forni era lo scheletro di un corpo carbonizzato parzialmente. Analizzato accuratamente da un antropologo, lo scheletro risultò quello di una donna normale, sui trentacinque anni, morta prima di essere stata buttata nel forno. A ridosso della parete orientale della casa, Ossegg trovò una cassettina di ferro dove erano i resti di una focaccia anneriti, arnesi da pasticceria e un fogliettino ripiegato con una ricetta scritta a mano. Su questa si insegnava a preparare il pan pepato di Norimberga, e s'indicava l'uso del bicarbonato d'ammonio. I resti potevano esser fatti risalire al XVII secolo, nel quale visse la pasticciera di Wernigerode. Che la strega della fiaba, Katharina Schraderin, e lo scheletro nel forno fossero la stessa persona non è certo assicurato da questi indizi. Probabilmente tutte queste cose sarebbero state dimenticate come la fantasia di un anziano professore di liceo. Ma ecco che, nel settembre 1962, Ossegg scova, all'interno di un volume nell'archivio comunale di Wernigerode, due paginette manoscritte fitte fitte con questa intestazione:

Máximamente authentica et sommamente accurata descrizione de lo interrogatorio con terribilissimo suplicio della Katharina Schraderin nomata la Strega Pastizzera. Il foglietto è datato 1651. Quattro anni prima, il 15 luglio 1647, a Gelnhausen, Katharina era stata sottoposta a interrogatorio. Che tutto questo fosse collegato allo scheletro nel forno non era certo comprovato, ma la descrizione del processo riportava in modo perentorio e indiscutibile alle pratiche della strega della fiaba impersonata dalla malcapitata Katharina. Il documento è, a dir poco, sorprendente. In esso la fiaba dei Grimm, o meglio la figura della strega nel bosco, non è vagamente accennata, ma precisata in termini così esattamente aderenti alla descrizione fiabesca, da far sospettare che i giudici non fossero a conoscenza di fatti provati e testimoniati, ma di una favola popolare. Le perversità della strega «pastizzera» non emergono dalle ammissioni di Katharina, che nulla concede, ma dalla linea contestativa dei magistrati. Il testo del manoscritto merita di essere registrato letteralmente: Nel tribunale di Gelnhausen fu ultimamente examinata / la pulcella Katharina Schraderin, vulgo «strega pastizzera» / la quale habita in una excentrica magione ne lo S p e s s a r t . Alla dimanda de lo J u d i c e J u s t i n u s D y t h f u r t 2 / se f u s s e la strega nigromante et fatuchiera Katharina / la m e d e s m a risponde in b u o n a maniera / che a lei consta esservi streghe / le quali parlano con li homini et le bestiae / ma per sua salvatione sempre havea optato costumatamente et condotto una vita timorata de D e o . C o m e il membro de lo Collegio Judicante H . J o h a n n i s Sontheymer L i c . 3 le contesta / ella allectare li homini dentro al b o s c o , e il tecto de la magione a cotesta intentione ricoperto havere con pastizeria / c o m e niuno ancora avea veduto mai et / la fenestra historiata d e 2

G i u d i c e inquirente (nota di TRAXLER cit.).

3

G i u d i c e aggiunto (nota di TRAXLER cit.).

zuccaro / senza malitia replica / che la casa sua non è diversa da le altrui / d e argilla impastata e travi / con il tecto coperto di legno. C o m e da se m e d e s m o p u ò vedere / se non si teme del cammino. Il Sontheymer appare fastidiato da tal discurso / et aggredisce l'accusata / [ a f f e r m a n d o ] il testimon haver / descripto exactamente le circumstantiae sub juramento / all'imputata melio si a d d i r e b b e metter da parte l'albagia. L a Katharina al che / risponde non doversi dar retta al n o r i m b e r g h e s e 4 / qual si sia cosa dica ragion ne è l'odio / per che lei lo ha ricusato. L o Judice contradice irato / se anco lei negar volesse d'esser adusa ad approntar li strani dulzi. L o testimonio m e d e s m o avriali gustati e al p r o f o s s o 5 rapportato / essere cotesti dulzi c o m e sterco del diabolo, et a pena li havea mangiati esser caduto / nelle brachia di Morpheo. Sogni dispiacevoli a D e o havea fatto / et bestiali concupiscenze haveanlo assalito. L a delinquente non lascia sé mettere nel sacco et replica / esser questo un contrasenso, coprire il tecto con li dulzi. L a prima pluvia li laverebbe via et tutti sanno / come ne lo Spessart frequentissimamente piove. Poi che il reverendo Canonico non più tanto securo de l'accusazione appare / a lui viene in ajuto lo judice adjunto Sontheymer: / i testimoni haveano affirmato / d o p o haver ella li homini ne la casa allectato / entro una stalla rinserralli et molta cura pone alla lor panza. / Poi, q u a n d o sono ben impinziati, scannali, coceli al forno et mangiaseli tutti fino a lo ultimo boccone. / Per questo iscopo havea allestito cuatro spezialmente ampli forni. / L a Katharina serena [risponde]: / su li forni alcun motto non p u ò profferire. / Q u e l che vi opra cosa è che pertiene all'Imperatore. Et rimane ferma su queste parole / anche cuando lo carnefice le monstra li instrumenti de tortura. Il Canonico ribatte: se risponda al vero / venire ella da Wernigerode, e non dai pressi del [monte] Brocken. Mormorasi che le streghe danzino intorno alla montagna / e vi incontrino Succubus 6 per expletare atti immondi. / [Chiede] se e s s o sia un caso che ella venga dal Brocken. / S e non sia sopraggiunta a cavallo di una scopa. Poi che la povera criatura nulla responde / applicale il carnefice le tenaglie ai pollici / et crudelmente tira con tutta la forza. G e m e la pulzella / se proprio vogliono extorcerle la verità / se forse contenti s a r e b b o n o / q u a n d o lei alfin mentisca. 4

LER cit.).

S ' i n t e n d e il pasticciere di N o r i m b e r g a , H a n s Mettler (nota di TRAX

5

Carceriere.

6

II d i a v o l o

TRAXLER c i t . ) .

inferiore c o n t r a p p o s t o

a incubus,

il s u p e r i o r e

(nota

di

L a notte la Katharina la trascurre entro la cella. Il dì seguente lo judice Dythfurt la admonisce / ancora una volta a non essere obstinata / et lei jura sulla Bibbia. Il Sontheymer insiste che deve dire immantinente / come sia volata fino a lì / et Katharina coraggiosamente: Li homini non p u o t o n o volare si sa / come gli uccelli, i calabroni o anche i maggiolini, / sono per sempre ligati a la terra. / S e pur alcuno pruovare ci vuole / precipitar dovrà come l'Icaro di Ulm 7. / S e il testimone scorta l'ha nel mentre che volava / vuol dire che mentisce / come in tutte le altre cose / che lui dice. Il Sontheymer ancora una volta inquisisce / esortandola alfin a c o n f e s s a r e / qual mai sapore abbia / la carne de li homini. / F o r s e che paragonar si puote a quella d e li catti, / de le pernici, d e li fasiani? / E in qual maniera la si appresta? / Con il cumino? la majorana, il c a r d a m o m o ? O altrimenti alla franzese, con le cepulle? Scuote la testa orripilata la pulcella / et dice di pruovar vergogna ante a li judici / non vedon essi che colui che denunziata l'ha, / havilo fatto solo per di lei si vendicare? E loro / persone eultissime et eruditissime / fin'anco Doctori prestar f e d e p u o t o n o a cotali baggianate, come il tecto di pasta frolla et / la carne de li hommini? Al che li judici lascianla andare libera / per che anco sotto tortura non avea confessato.

Leggendo questo stupefacente manoscritto si nota subito che tra le contestazioni processuali e la fiaba esiste un filo diretto, che non passa per la realtà. Il tetto di dolci e le finestre di zucchero, gli uomini catturati, ingrassati, cotti e mangiati non possono aver fatto parte di una storia vera e quindi richiedono la ricerca di altri riferimenti, di altre origini, sia per la requisitoria che per la fiaba. Katharina sembra subire, difendersi, dibattersi davanti a queste trame narrative che forse neppure conosce e nelle quali è caduta come in un tranello. Il pasticciere rifiutato sembra invece esserne bene al corrente, e anche i giudici la sanno lunga a proposito. Essi cercano di ordire la realtà entro una trama impossibile. Fallita l'impresa, il ' C o s ì era d e t t o un giovane che aveva tentato di volare, ed era malamente precipitato (cfr. TRAXLER cit.).

norimberghese raggiungerà in modo più brutale e meno fiabesco la sua vendetta. Ossegg è riuscito a rintracciare nel «veramente accaduto» anche le figure dei bambini. Si tratta di due fratelli, Hans e Greta Mettler, che negli anni del processo a Katharina avevano 37 e 34 anni. Hans è pasticciere, ed è colui che prima cercò di sposare Katharina, e poi la denunciò come strega. Dopo il fallimento del processo con tortura, Hans avrebbe raggiunto, con la sorella, la casa del bosco e vi avrebbe ucciso la pasticciera per carpirle la ricetta col bicarbonato di ammonio 8 . Delle vicende dei due fratelli non esistono documenti, e Ossegg riferisce tradizioni locali. Un vago ricordo del delitto, e di un processo con assoluzione, è rimasto infatti nella memoria popolare. Andrea Gryphius, al principio di questo secolo, parla, in una poesia melanconica, dell'assoluzione di due marrani che avrebbero ucciso una strega e li nomina Hans e Gretel 9 . Traxler non ha dubbi: la favola di Hànsel e Gretel altro non è che il risultato di un paio di casi criminologici, di un resoconto giudiziario e di qualche ricordo popolare. E la mistificazione sovrapposta alla realtà, un velo moralistico e prude che non fa che occultare il vissuto, lo storico. La fiaba di Hànsel e Gretel ha parallelismi impressionanti con la vicenda di Katharina, ma anche palesi punti di disaccordo. C'è un'evidente inversione di ruoli. Per restare fedeli alle testimonianze, i Grimm avrebbero dovuto raccontare la storia di una bambina nella casetta del 8 II b i c a r b o n a t o di a m m o n i o è uno straordinario lievito inorganico, e s o f f o n d e di magia chimica tutta la f i a b a . N e l f o r n o e s s o sviluppa d u e g a s , a n i d r i d e c a r b o n i c a ( C O 2 ) e a m m o n i a c a ( N H j , che restano intrappolati nelle p a s t e s o t t o f o r m a di bollicine, r e n d e n d o l e v o l u m i n o s e e leggere. Il calore più f o r t e f a poi c o n s o l i d a r e la p a s t a in una specie di schiuma, s o f f i c e materia per dolciumi. Intorno alla formula di q u e s t o c o m p o s t o si s a r e b b e svolto il d r a m m a di K a t h a r i n a , che aveva s c o p e r t o un sale minerale capace di sostituire un lievito vivente. 9

C f r . TRAXLER c i t .

bosco, che preparava squisiti dolcetti (la fava nella focaccia del re?) e d'un Orco che arriva (con la sorella) a farle visita. Per rubarle la ricetta dei suoi dolci la butta nel forno; ma non trova la ricetta. Fugge con la sorella e... qualcuno provveda a recuperare la bimbetta. Scrisse Jacob Grimm al fratello: Q u e s t a storia dei due fratelli mi pare troppo violenta per trovar p o s t o nella nostra raccolta. C h e fare? S e s o l o la giovane strega f o s s e una brutta vecchia con la g o b b a , su cui magari stesse appollaiato un corvo o un gatto, il tutto p o t r e b b e sortire un e f f e t t o altamente istruttivo ed edificante 10.

A questo punto parrebbe che non vi fosse nulla da aggiungere. Stabiliti i fatti e ritrovati i corpi del reato, precisata la contraffazione, non resterebbe che qualche commento marginale e tutto concorrerebbe alla dimostrazione che la fiaba è fandonia, che essa non è che la mascheratura della realtà, e il meglio che se ne possa fare è disfarsene. Si può però far notare che se mistificazione c'è stata nel dramma dello Spessart, essa ha cominciato a operare assai prima dell'accertamento dei fatti e che i testimoni, il pubblico ministero, e forse l'amanuense del processo Schraderin, come si dice, «inventarono favole» piuttosto che attenersi ai fatti. Quella magione con il tetto di pasticceria è la finestra di zucchero che il Sontheymer attribuisce alla strega è certo costruzione della falsa testimonianza del norimberghese. Lo stesso Ossegg troverà una normale casetta, come l'accusata l'aveva descritta, « d e argilla impastata e travi». Anche la testimonianza relativa al sequestro degli uomini, all'impinguamento, alla cottura e al banchetto di carne umana è evidentemente fantasiosa. Dice in chiusura del processo la pulcella: E loro persone eultissime et eruditissime fin'anco Doctori prestar fede 10

ìb,d.

p u o t o n o a cotali baggianate, come il tecto di pasta frolla et la carne d e li hommini? Al che li judici lascianla andare libera per che anco sotto tortura non avea confessato 11.

Se la «favola» è una contraffazione dei fatti, questa ha cominciato ad operare mentre questi si svolgevano. Gli elementi peculiari del racconto, che appaiono anche nella fiaba di Jorinda e Joringhello, sono immessi nella narrazione da quel bugiardino di Hànsel, e le varianti dei Grimm sono al confronto alterazioni minori. Questi ebbero il buon gusto di non fare menzione della strega in arrivo sulla scopa proveniente dal monte Brocken. Il vero enigma si pone a questo punto: in che cosa consiste l'affabulazione? E il frutto della fantasia e della malizia del narratore, o del testimone, o il favoloso ha una provenienza peculiare che lo rende tale? Abbiamo già visto nella fiaba di jorinda e Joringhello che gli elementi favolosi che vi si trovano sono citazioni bibliche. La favola non è l'arbitrio fantastico del narratore, bensì il riferimento a motivi drammatici antichissimi e consolidati. Il tenero Joringhello è il profeta Ezechiele, e così la strega lo chiama per nome. Le trame narrative sono oracoli di Jahvè. Le accuse infamanti, che il pasticciere di Norimberga e altri testimoni rivolgono alla strega pasticciera, sono le invettive che Jahvè scaglia contro Gerusalemme in Ezechiele 16: Katharina è accusata di «approntar li strani dulzi» e di produrre nelle vittime «bestiali concupiscenze». Grida Jahvè: Ma tu, c o n f i d a n d o nella tua bellezza, forte della tua fama, ti prostituisti; colmando della tua fornicazione ogni passante, fosti sua... Offristi loro [alle immagini degli uomini], in soave fragranza, il nutrimento che ti avevo dato, il fiore di farina, miele e olio di cui ti nutrivo - oracolo del signore J a h v è 12 . 11 12

Ibid. Ezechiele 16,15-19.

Incalza il giudice aggiunto: . . . s c a n n a l i , c o c e l i al f o r n o et m a n g i a s e l i t u t t i f i n o a l o u l t i m o b o c c o n e .

Continua Jahvè: H a i s g o z z a t o i m i e i f i g l i e li h a i o f f e r t i a e s s e , b r u c i a n d o l i [ a l l e immagini degli uomini]

13

.

Lungi dal risultare episodi reali, contingenze storiche, rese fiaba da un po' di mistificazione processuale e letteraria, i motivi fiabeschi di Hànsel e Gretel appaiono trame essenziali, parole di Dio, riferimenti archetipici, metafore di processi esistenziali. Abbiamo riferito che Ossegg ritrovò la descrizione dell'interrogatorio di Katharina all'interno di un volume, nell'Archivio comunale di Wernigerode. Si trattava dei libri profetici, da Isaia a Daniele, dei quali il libro di Ezechiele forma parte considerevole. Traxler rileva il fatto, ma non ne trae alcuna conseguenza: A me sembra che ciò stia a confermare che il trascrittore dell'interrogatorio sapesse che le accuse a Katharina erano in Ezechiele e che il raffronto col testo biblico servì a confortarlo sulla verosimiglianza dell'accaduto, laddove il «vero» non era tuttavia la rassomiglianza ad un vissuto storico, ma la possibilità di riferire la storia a un testo sacro, alla sorgente prima, all'inventario originario delle cose vere V'è di più, ed è che l'antica narrazione biblica non si è limitata a fornire motivi per rendere fiabesca una storia di gelosia e di violenza, ma è entrata a determinare 10 svolgimento di quella stessa storia, a influenzare il corso del «realmente accaduto». La maledizione biblica ha 13

Ezechiele 16,21.

Scrive Vittorio SERMONTI: « L a verità non è per noi che una sanzione simbolica, una pericolosa iperbole della realtà. D a n t e e il s u o t e m p o seguivano 11 procedimento inverso. L a realtà non era che una delle possibili manifestazioni simboliche, grazie alle quali l'uomo p u ò intravedere, presentire la verità. Verità che è, in eterno, presente in D i o » : L'Inferno di Dante, Rizzoli, Milano 1988, p.23. M

materializzato i propositi vendicativi di Hans, che forse si è sentito investito di qualche compito sacro nell'accusare la donna che lo aveva rifiutato. Lo stesso spirito egli è riuscito - seppur non sino in fondo - a trasfondere ai magistrati, e quelle accuse lo hanno accompagnato maledicente nel bosco alla ricerca della povera pasticciera. Katharina Schraderin fu uccisa da una fiaba. Abbiamo perso un po' di vista la chiave mineralogica, che è stata la linea conduttrice di questo libro e verso la quale è giusto che si ritorni, mentre esso si avvia a conclusione. La maledizione di Israele, presentata in Ezechiele in termini di adescamento e cannibalismo (che poi divennero le accuse contro Katharina), è espressa, poche pagine oltre, in termini chimici. La purezza contaminata è resa con l'argento e gli agenti contaminanti con le scorie, e l'opera metallurgica per riportare l'argento allo stato puro è descritta come il trasferimento delle pietre nella fornace e poi come fusione e ossidazione della massa fusa. Dopo aver ripetuto gli abomini di Israele, il Signore pone sulle labbra di Ezechiele la metafora mineraria: Figlio dell'uomo, la casa di Israele mi si è mutata in scoria: tutti sono rame e stagno, ferro e piombo, nella fornace; sono scorie d'argento. Perciò, così dice il signore Jahvè: « P o i c h é tutti voi siete scorie, ecco, vi raccolgo dentro Gerusalemme. C o m e si ammucchia argento, rame, ferro, piombo e stagno nella fornace; e si soffia sul fuoco per fonderli, così, nella mia ira e nel mio furore, vi raccoglierò, vi porrò là e vi f o n d e r ò . Vi raccoglierò, soffierò contro di voi sul f u o c o del mio sdegno e sarete fusi in G e r u s a l e m m e . C o m e si f o n d e l'argento nella fornace, così sarete fusi in e s s a »

E voi, streghe, cattive matrigne, orchesse, rappresentanti tutte dell'umana perfidia, voi non siete che scorie 15 Ezechiele 22,18-22. L a versione che riporta le espressioni «soffiare sul f u o c o » è quella della Società biblica britannica e forestiera, R o m a 1931. L'aria insufflata con i mantici nel p i o m b o argentifero f u s o in coppella, consente la s e p a r a z i o n e delle scorie ossidabili dall'argento i n o s s i d a b i l e .

(rame e stagno, ferro e piombo) che contaminate e avvelenate l'argenteo candore della vita. Il vostro destino è nel forno, lo stesso forno che avete allestito per consumare nel fuoco l'innocenza. Lì dentro sarete precipitate, e fuse dalle fiamme eterne, e dal vostro sacrificio riemergerà, come pietra preziosa, il fiore bianco dell'esistenza non vissuta. Ohimè! leggiadre fiabe, di quante innocenti Caterine avete acceso il rogo, quante fresche spose avete rinchiuso in camerette d'ombra, quanti lieti bimbetti avete schernito con orecchio d'asino! Ma io vi manderò assolte, perché voi siete le croniste arcane della materia, le testimoni delle sempiterne permutazioni della roccia, le levatrici delle perle lucenti dal grembo opaco del sottosuolo. I bambini comprendono le vostre storie, sinché continuano a «venire alla luce», e a frequentare il giardino di meraviglie che si trova al di là di una porticina sotterranea.

NOTIZIA

G i u s e p p e Sermonti è nato a Roma nel 1925. D o p o aver diretto l'Istituto di Antropologia e quello di Genetica all'Università di Palermo, dal 1974 al 1986 è stato ordinario di Genetica a Perugia, dove ha diretto l'Istituto di Biologia Cellulare; dirige la «Rivista di Biologia». N o t o studioso nel campo della genetica microbiologica, si è impegnato in una critica radicale alle pretese egemoniche della scienza moderna, pubblicando per l'editore Rusconi II crepuscolo dello scientismo (1971, 1976) e La mela di Adamo e la mela di Newton (1974). H a scritto anche libri di testo, o p e r e divulgative, saggi, elzeviri ed oltre cento articoli scientifici. Nel 1974 pubblica presso M o n d a d o r i un libro di fiabe su trame scientifiche (Il ragno, il filo e la vespa). Nel 1980 pubblica, insieme a R. Fondi, Dopo Darwin. Critica all'evoluzionismo (Rusconi, 1983 5 ), che solleva in Italia vaste discussioni sulla validità delle tesi darwiniane. Nello stesso anno è vice-presidente del X I V C o n g r e s s o Intemazionale di Genetica, a Mosca; nel 1982 partecipa a un Convegno di dodici studiosi presso l'Accademia Pontificia delle Scienze sul tema « L ' E v o l u z i o n e dei Primati». D a l l e riflessioni su quel convegno è nato il libro La Luna nel Bosco (Rusconi, 1985), in cui l'autore sostiene l'originarietà dell'uomo. N e l dicembre 1986 fonda a O s a k a , insieme a biologi e matematici di varie parti del m o n d o , l'Osaka Group for the study of dynamic structure, che fa capo alla «Rivista di Biologia». Nel 1986 esce presso Rusconi la sua prima opera sulla filologia della fiaba, Fiabe di Luna, in cui è o f f e r t a una interpretazione delle fiabe classiche in chiave lunare. Al di là della sua funzione didascalica, la fiaba è vista come espressione di archetipi perenni risultanti in strutture narrative tipiche e ricorrenti. In questo libro le stesse fiabe sono svolte in chiave alchemicomineralogica, a provare che gli archetipi si rinviano l'uno all'altro, costituendo una inesauribile trama di riferimenti.

235

INDICE ANALITICO

A b b a d i a S. Salvatore: 66n, 86. A b e l e : 126n. acido solfidrico (H2S): 46n. A c q u a r i o (Aquarius): 107. A d a m o : 5 3 , 114, 126, 127. A d e : v. I n f e r i - A d e . Ade-Plutone: 23, 39, 42, 79, 99, 126, 171, 172, 173, 177, 179, 183, 186n, 199, 217. AFANASJEV, A . N . : 4 5 n , 5 0 , 5 7 n , 5 9 n , 6 2 n ,

142n. A f r o d i t e : 16, 171. Agelaste: 24. AGRICOLA, G . (BAUER, G . ) : 6 7 s s . , 8 5 S S . ,

132ss., 149, 151n, 183ss., 187, 207. A i g a i o n : 125. alberelli di condensazione: 67, 68, 85. ALCUINO: 8 6 . ALLENI, R . H . :

115n.

Almadén: 66, 87n. ALNOY, M a d a m e d': v. D'ALNOY.

A l t a m i r a : 121. amalgama: 64, 72, 74. Amiata, monte: 66, 67, 75, 86, 89, 93, 98. A m l e t o : 111. ammoniaca ( N H , ) : 46n, 228n. ANASSIMANDRO: 1 1 3 n .

A n d r o m e d a : 116, 117, 126. ANEDDA: 1 5 8 n , 1 5 9 n , 1 6 7 n , 1 6 8 n .

Arpie: 18. A r t e m i d e : 139n, 170. Arth Wawr. 108. Artù: 104ss. Ascalafo: 24. assa foetida: 16, 164, 174n. a s s e d e l m o n d o (Axis mundi): 171. Atamante: 20, 53. A t e n a : 17, 170, 1 7 1 , 2 0 5 n . A t l a n t e : 113. A u r o r a : 143. azoto (N): 46n.

3 9 , 114,

B a l a a m : 125. Baldassarre: 89. Bambina: 34ss. BASILE, G B . : 1 6 9 n .

b a r a d i v e t r o : 4 6 , 4 8 , 149, 152, 158. Bella addormentata: 46, 47, 81, 138, 143, 144,214. Bella e la Bestia: 40, 47, 60, 61, 172, 190, 191. BENASSI, V.: 1 5 9 n . BENEDICENTI, A . : 7 1 n . BENZ, R.: 5 5 n . BERZELIUS, J . J . : 1 9 0 n .

a n e l l o : 6 2 , 176, 197. anidride carbonica ( C 0 2 ) : 228. a n i d r i d e s o l f o r o s a ( S 0 2 ) : 186. A p o l l o : 16n, 126. ARATI: l l l n . Aretusa: 24.

B i a n c a n e v e : 3 6 , 4 4 , 4 5 , 139ss., 154ss., 169, 190, 1 9 1 , 2 1 4 .

argentile (argirose) ( A g 2 S ) DO, 131, 140, 149n, 189. argento (Ag): 86, 87, 128ss., 139ss., 2 3 2 . a r g e n t o n e r o , v. a r g e n t i l e , a r g e n t o r o s s o , v. pirargirite. Argo: 205.

BOSH, J . : 8 9 .

A r g o n a u t i : 16ss., 4 2 , 117. A r i e t e (Anes): 121, 122, 123, 124. Arlecchino: 49, 51.

BIANCUCCI, P :

116N.

bicarbonato di ammonio: 228. b i t u m e : 182, 185, 2 0 6 . b l e n d a ( Z n S ) : 189. Boote: l l l n . Booz: 43n. Brighella: 50. BRUGSCH, H . : 1 1 5 n .

B r u n i l d e : 144n. BURKHARDT, T . :

C a b i r i : 4 5 , 131.

lln.

C a i n o : 111, 126n. calcara (calcarella): 102, 185, 199, 201n. calcinazione: 30. calcarone: 187, 199, 2 0 4 . calcopirite ( C u S . F e S ) : 189. Caldei: 115. Calibi: 19. C a l i p s o : 114. Callias: 66. c a l o m e l a n o ( H g 2 C l 2 ) : 71ss., 76ss., 83. Caltanissetta: 182. CALVINO, I.: 3 7 n , 6 0 n , 8 4 n ,

189.

CAMPO, C . : 27.

Cancro (Cancer, Granchio): 112n, 127n. Canis Major. 123. c a n n i b a l i s m o : 142, 143, 215, 2 3 2 . CANSELIET, E . : 1 5 n , 2 0 , 3 7 n , 5 3 n ,

14In,

civetta: 210, 211, 212. clava: 114, 124. C o b o l d i : 45. c o l o m b a : 186, 212. c o l o n n e d'Ercole: 113n. c o m p a r a t i c o : 179. coppella: 128ss. C o r d e l i a : 60. Coribanti: 45, 131. COSSEDDU, M . R . :

159.

C r i s o m e l l o : 20. Cristo ( G e s ù ) : 13, 51, 54, 87, 88, 89, 178, 180, 217. C r o n o ( K r o n o s ) : 82n, 100, 125. C u c e n d r o n : 176. C u l i n c e n e r e : 195. Cureti: 131.

174n, 175ss., 190n, 199n. CAPPELLINO, R . : 1 5 5 n .

Cappuccetto Rosso: 36, 37n., 63ss., 74ss., 99, 125, 139, 140, 169, 190, 191. cappuccio: 63, 66, 70, 74, 89, 94. capra (capretto): 77, 80, 82, 100, 114, 166. Caput Draconis: 108, 112. C a r a b a s , M a r c h e s e di: 27. c a r b o n i o ( C ) : 46n. cardo: 111. C a r l o M a g n o : 86, 87. C a r u s o : 182, 183n, 193. C a s s i o p e a (Cassiopeia)-. 116, 117. Castrogiovanni: 178. C a t o n e Liciniano: 39. CATTABIANI, A . :

180n.

C a u c a s o : 113n. cecità: 123, 126. C e f e o (Cefeus): 116. cenere: 28,56, 57,62, 69, 71, 136,149,169, 175, 176, 177, 188, 189, 192ss, 203ss. Cenerentola: 36, 38, 40, 42, 54, 60, 169ss., 183, 186n, 2 0 3 s s . , 210. C e r a x a : 158, 160. Cerere: 2 2 s s „ 30, 169. C e r u s s a : 161. Cetus: 116. CHARTHAILAC: 1 2 I n .

chirargirite ( A g CI): 149n. Ciane, fonte-ninfa: 23, 24, 176. Cianee, rocce: 16. Ciàula: 183n. Cibele: 18. CICERONE: 2 3 .

C i g n o (Cignus): 114, 115. cinabro ( H g S ) : 65ss., 83, 84, 85ss., 97, 139, 140, 189.

D ' A L N O Y : 14, 2 7 , 4 0 n , 4 7 n , 5 5 n , 5 8 n , 6 0 n ,

62, 7 6 s s . , 100, 117n, 143n, 169ss. Danae: 205. DANIELE: 5 6 .

DANTE: 115, 121, 2 3 I n . DARWIN, C . :

121n.

Dattili: 45, 131. D E BEAUMONT, M a d a m e le Prince: 47. D e l f i : 113n. DELITALA, E . : 1 4 0 n , 1 4 6 n , DEMEHUM.J.:

161ss.

176n.

D e m e t r a : 39, 169n., 182. D e m o d o c o : 126. Deneb: 114, 115. D E SANTILLANA, G . : I L I , U 4 n , 117n, 1 2 3 ,

124. D E SAUTUOLA, M . :

12In.

D i a n a : 16n, 52, 139n, 145, 154, 161. d i a v o l o : 10, 4 3 , 5 1 , 5 9 , 1 6 3 , 2 2 6 . D i o d o r o : 23. d i s c e s a agli Inferi: 41, 51, 56. D i s p a t e r : 39. D o g n i p e l o : 58, 64, 176, 191. drago (Draco): 19, 40, 64, 71, 72, 77, 85n, 9 9 s s . , 112ss., 220n.; draco mitigatus: 12,11. DRIESEN, O . : 5 1 .

D r u i d i : 115. Ecate: 42, 219. E d e n : 40n, 111, 113, 114, 126,217. E d i p o : 126. Eete: 19, 20. E g e o : 106. Elara: 18. electron: 130, 213.

Elena: 171. Elfi: 45.

GEBER: 161n.

ELIADE, M . : 1 5 n , 6 4 n , 6 6 n .

GEREMIA: 1 3 4 n .

G e a : 171.

Eliano: 2 0 2 . Elio: 20. E l i s a b e t t a I: 43n. E m p e d o c l e : 43n. E n d i m i o n e : 127. E n n a : 23, 178, 182. Enrico: 15 In. E r a Glaciale: 109, 127. E r a Neolitica ( N e o l i t i c o ) : 111. E r c o l e (Hercules): 112, 113n., 114, 123, 126, 127n. Eremigu mannu: 160, 162. Eridanus: 124. Ermete: 97. Erminia: 97. ESPAGNET: 1 9 .

E s p e r i d i : 104, 112n, 113, 114. E t à dei Metalli: 45, 105, 107. E t à del B r o n z o : 111, 123. E t à del F e r r o : 105, 106, 107, 121, 124. E t à della Pietra: 105, 106. E t à d e l l ' O r o : l l l n , 115, 116, 123, 125. Etiopia: 116. E t n a : 106. E u r o p a : 126. Eva: 126, 147. EZECHIELE: 211ss., 2 3 1 , 2 3 2 n . FABRE, P . G . : 8 8 .

Fasis: 19, 20. fata: 47, 170, 174. fava nella focaccia del re: v. focaccia del re. Fenice: 45, 81, 177n. Fenrir: 94, 95. Fineo: 16ss., 116, 117, 126. fiume (corso d'acqua): 37, 79, 216, 218. F L A M E L : 17.

focaccia del re: 176, 190, 197, 2 2 3 . FONDI, R . : 119. FORBES, R . J . : 1 0 8 n ,

131.

forno (fornace): 27, 43, 70, 80, 81, 82, 99, 131, 145, 146, 185, 186, 187n, 193, 195. f o s f o r o ( P ) : 46n.

G e r u s a l e m m e : 230, 2 3 2 . G e s ù : v. Cristo, gatto: 27, 2 0 3 s s . , 210. G i a c o b b e : 165. Gianni: 38, 4 4 , 4 9 , 101. G i a n o : 52. g i a r d i n o dei f i l o s o f i : 20, 22, 23. G i a s o n e : 18ss., 42. giganti: 4 5 , 86. G i l g a m e s : 117n. ginepro: 139, 142ss., 148n, 214. G i o r d a n o : 37. Giovanni ( G i u a n n i ) : 4 9 s s . , 55, 56, 61, 101, 123, 181; v. anche Gianni. Giove: v. Z e u s . G i u s e p p e : 159n, 164ss. G l a u c o : 16. g n o m o : 40, 43, 45. GOSSMANN: 114n.

G r a n a t i n a : 140, 146, 155, 157. G r a n c h i o : v. C a n c r o . G r a n d e M a d r e : 45, l l l n . Gràttula Beddàttula: 199ss., 2 0 4 . Gretel: 214ss., 2 2 3 s s . GRIMM: 2 7 s s . , 38ss., 4 3 s s . , 4 9 s s . , 53n, 59n, 6 3 s s . , 74ss., 86, 100ss., 139ss., 155, 158, 159, 160, 169ss., 192ss. G u d e a : 131. GUÉNON, R.: 52n.

G u g n i r : 45. H a n s ( H à n s e l ) : 50, 214ss., 2 2 3 s s . HARLÉ: 1 2 1 n .

Hercules: v. Ercole. Herlequin (Hennequin): v. Arlecchino. H e r m e s : 36, 97. HrTCHlNG, F.: 108. H o l l e : 2 0 6 , 207. HOLMYARD: 1 5 n , 1 6 1 n .

Homo sapiens sapiens: 118. H o r u s : 115, 126. Hybris: 113. Hydrargirium: 64.

FRAENKEL, E . : 97.

Frieberg: 154. F r i s s o : 19, 2 0 . GABETTI, G . : 7 5 n , 7 6 n , 8 9 n .

galena ( P b S ) : 131, 138,142, 144, 145,189. GATTO, M . :

185n.

Icaro: 227. Idra (Hydra): 112n, 127n. idrolisi: 216, 217. incesto: 14 In, 172ss., 197. incubus: 2 2 5 . India: 116n.

Inferi-Ade (v. anche discesa agli I.): 23ss., 34, 37n, 4 I n , 79, 112n, 117, 125, 126, 170, 171, 1 8 0 , 2 1 8 , 2 1 9 , 2 2 2 . Inferno: 37, 54, 162, 163, 177. infrazione botanica (vegetale): 39, 40, 56, 79, 172, 217. Ino: 2 0 . Iperborei: 113, 116. Ipsipile: 16. Iris: 19. Israele: 43n, 212, 2 3 2 . Jahvè:213, 230, 2 3 1 , 2 3 2 . J o a c h i m s t h a l : 154. Jorinda: 210ss. Joringhello: 210ss. JUNG, C . G . :

38n.

Kabiri: v. Cabiri. Katharina Schraderin: 223ss. KENTS, J . :

127n.

K e d a l i o n : 124. KERÉNYI, K . : 4 2 n , 6 3 n , 1 0 6 n , 1 1 6 n , 2 1 9 n .

Kore: 42n, 99, 169ss., 182, 199. K'ouen-louen: 66, 82. K r o n o s : v. C r o n o . L a d o n e : 112n, 114. Lagash:131. LAMARMORA, A . : 1 5 8 n , 1 5 9 n .

L a m i a : 219. l a m p o (dell'argento): 132, 151, 152. Lancillotto: 153n. L a s c a u t : 121. launeddas: 163.

MARCO: 2 2 0 , 2 2 1 .

Marietta: 84n. Marilena: 144. Mar Nero: 23. MARSHACK, A . :

122.

Marte: 19,21. MARTIN, W . A . : 6 5 n .

M e d e a : 19, 2 2 . M e d u s a : 116. melagrana: 178, 180n. melagranata: 140, 155ss., 166n. melone: 178, 179, 180. mercurio: 19, 6 4 s s , 7 4 s s , 8 5 s s , 190, 208. Mercurio: 18, 19, 27, 6 3 s s , 7 4 s s , 96, 126. metallo: 35, 46, 64, 86, 149. metalloide: 35, 46, 190. m e t a n o ( C H 4 ) : 46n. Mignolino: 45n. Mimir: 95. minio ( P b O j . 2 P b O ) : 66n. monete d'oro (scudi): 55n, 56, 175, 205. monosàndalos: 42. m o n t e di vetro: 31, 32, 82. m o n t e d'oro: 30. M o n t e Senario: 159n. M o u n t g a u d i e r : 122, 123. Morgongiori: 161. «morte»»: 186, 187, 199, 2 0 1 . Mostro: 60, 61, 96, 102, 104, 114, 124, 136. mundus: 39, 112. Muravera: 128. N a b u c o d ò n o s o r : 56. n a n o (nanetto): 4 3 s s . , 146, 147, 159. narciso: 23, 171, 172n,217.

LAVOISIER: 1 2 0 .

N A S I N I , F.: 8 9 .

L e m n o : 16, 18. lenticchie: 193. L e o n e (Leo): l l l n , 127n. Lira: 114. litargirio ( P b O ) : 131, 132, 134n, 146, 147n, 1 5 2 , 2 1 6 .

nazireato: 52, 53. N e f e l e : 20. N e m r o d : 123. N e r e i d i : 116. « n e r i » : 70, 80n. N e t t u n o : 18. neve: 139, 140, 141, 1 6 1 , 2 0 6 . N i b e l u n g h i : 45.

LUCCHI, E . :

128n.

Luna: 16n, 52, 127n, 161, 176, 183, 197, 198, 2 2 1 . L u p o : 63, 7 6 s s „ 9 4 s s . , 99, 100. Madonna: 208n. M a g o : 34ss., 105, 118, 124, 210. M a g o m a d a s : 156. Malvina: 49. m a m m a d r a g a : 101. manna: 88. mantello: 30, 62.

NILLSON, M.P.:

106n.

N i n e t t a ( N i n a ) : 189, 2 0 1 , 2 0 2 , 2 0 4 . nocciolo: 40, 90, 172, 198n, 203ss., 208n. occhi dell'argento: 132, 151. O d i n o ( W o t a n ) : 45, 51, 63, 72n, 84, 88ss., 91ss. O l i m p o : 113. O m e r o : 126. o n d i n a : 32.

orchessa: 103. O r c o : 27, 34ss., 82, 9 9 s s . , 125, 2 2 0 . O r c o m e n o : 139. O r f e o : 146. O r i o n e (Onon): 123, 124. O r l a n d o : 45. oro ( A u ) : 14, 20, 59, 64, 124, 153. orpimento ( A s 2 S J : 2 0 8 . O r s a M a g g i o r e (Ursa Major): 108, 109, 115, 121. O r s a Minore (Ursa Minor): 107ss., 109, 121, 124. O s i r i d e : 114.

P o s e i d o n e : 116. p o z z o : 38, 39, 44, 2 0 0 . precessione degli equinozi: 107. precessione dei poli: 107.

OSSEGG, G . :

q u e r c e (tre): 89, 90, 98.

223ss.

p a d r e d r a g o : 101. Paleolitico Superiore: 118, 121, 122, 124. p a n t o f o l a : 42, 43, 176, 2 0 2 . Paride: 171. PAUPU'TZU: 6 5 , 2 0 8 n .

Peau dane: v. Pelle d ' a s i n o , peccato originale: 39, 40n, 105, 113. pece: 42, 185, 197, 2 0 6 , 207. P e g a s o (Pegasus): 116, 117, 122, 123. Pelle d ' a s i n o (Peau d'ine): 58, 62, 117, 173ss., 191, 197, 198. P e n d r a g o n : 105n, 106, 107. P e r d a d e sa Pippìa: 128. P e r g u s a : 178, 182, 183. PERNETY, D O M A . J . : 1 3 s s . , 1 7 6 . PERRAULT, C . :

14, 4 0 n , 4 7 n , 5 5 n ,

58n,

6 0 n , 62, 6 3 s s . , 7 6 s s . , 100, 103, 117n, 143, 144, 168ss., 192ss., 2 0 3 . P e r s e f o n e : v. P r o s e r p i n a . P e r s e o : 116, 117, 126, 2 0 5 . Pesci (Pisces): 107, 121. PESTALOZZA, V.: 1 3 9 n .

Pierrot: 50. PILONI, L . :

155n.

P i l u s e d d a : 58, 173n. pioggia d'oro: 2 0 3 s s . p i o m b o ( P b ) : 130ss., 2 3 2 . PIRANDELLO, L . :

183n.

pirargirite ( A g , S b S , ) : 129, 149. pirite ( F e S 2 ) : 189. PITRÉ, G . : 2 0 n . , 3 5 , 3 9 n , 4 1 n , 5 8 n ,

101,

173, 178ss., 198n, 199, 2 0 1 , 2 0 4 . PLINIO: 6 6 n s s . , 1 3 5 , 1 6 1 n , 2 0 7 . PLUTARCO: 3 9 .

Plutone: v. Ade-Plutone. Pollicino: 29, 45n, 81n, 100, 102, 103, 124, 125. p o m o d ' o r o : 20, 206. porta solstiziale: 51, 52.

PRINCE

DE

BEAUMONT,

MADAME

LE:

14, 40. P r o m o t e o : 113. P r o s e r p i n a : 2 2 s s . , 34, 39, 41, 78, 116, 126, 168ss. proustite ( A g j A s S j ) : 129. Pulcinella: 51. Putifar: 164, 166.

Rachele: 165. Rachis: 8 6 s s . , 92, 97. Ragnarfkkr: 94. R a p e r o n z o l o : 40n. Rea ( R h e a ) : 18, 172n. realgar ( A s S ) : 1 8 9 , 2 0 8 . REGNART: 5 1 . REINER, R . : 5 1 .

Rodope: 202. R o m o l o : 112n. R o s a r o s s a : 44. R o s a s p i n a : 48, 144, 186n. R o t r u d a : 87. R u b e n : 165, 166. ruggine ( F e [ O H ] 3 ) : 18, 53. R u g g i n o s o : 19, 53, 57. SABBATUCCI, D . : 3 9 n .

salnitro: 135, 143n. sandali: 2 7 , 43. San Giovanni Battista: 51, 52, 54, 55, 178, 179, 181. San Giovanni C r i s o s t o m o : 55, 56, 180. S a n Giovanni della C r o c e : 180n. S a n Giovanni Evangelista: 51. S a n s o n e : 123. S a n t a Fiora: 89. S a n t ' A n d r e a : 128. S a n T o m m a s o : 88. S a r r a b u s : 128ss., 154, 155, 159. sassolini: 214, 2 2 1 , 2 2 2 . S a t a n a : 126, 147,217. S a t u r n o : 16n, 18, l l l n , 125. scarpa (scarpina): 30, 37, 42, 43, 177, 197, 2 0 2 . sceglitore: 184, 193, 194. scettro: 23, 112, 114. SCHOLEM, C . :

188n.

schiuma (di piombo): 134n, 146, 150, 158.

scorie dell'argento: 130, 134n, 232. scudi, v. monete d'oro. seminatore. 2 2 0 s s . SEPPILLI, A . : 3 7 n , 1 7 1 .

Septem triones: 112. SERMONTI, G . :

119.

Tizio: 18. Toante: 16, 17. Toràh: 198. Toson d ' O r o : 1 4 , 2 0 , 2 1 . TRAVERSO, G . B . : 1 2 8 , 1 3 0 . TRAVERSO, S . : 1 2 9 , 1 3 0 .

SERMONTI, V.: 2 3 1 n .

TRAXLER, H . :

serpente: 55n, 71, 112n, 126n, 218.

Tredicino: 220n.

SERVIER, J . : 4 3 n .

TRISMOSIN, S . : 1 4 n , 2 0 n .

Seth (Tifone): 115. Sette Fratelli: 128, 154ss. Sfinge: 116. Sigmund: 72n.

Troia: 171. Turn: 63.

SIMONIDE LYRICUS: 2 0 5 N .

Simpleiadi: 16. Sinnai: 158n, 161, 167, 168n. Sirio: 123. SNORRI: 8 5 n .

sole: 16n, 20, 23, 121, 123, 143, 161, 176, 197, 198. solfare. 182ss. s p a d a nella roccia: 104, 105, 106. SPANO, G . :

167n.

specchio: 31, 43, 141, 165. Spessart: 223, 226. SPIREK, V.: 7 0 n , 8 5 n .

spirito nella bottiglia: 85, 86. STEIN, R . : 6 6 n .

Stella-Capra: 114. strega: 31, 43, 47, 147, 159, 210ss., 220n, 223ss. strega pastizzera: 2 2 5 s s . sublimato corrosivo ( H g C l 2 ) : 71, 72, 77,83,84. sublimazione: 29, 30, 82, 83, 84, 92, 189. succubus: 225. Sudicione: 54, 59. TANGHERONI, M . :

154n.

223ss.

uccellino: 30, 43, 121, 151, 152, 170, 172, 183, 213, 214ss., 221. Ulisse: 114n. Ur: 131. Uruk III: 131. usignolo: 210, 211, 212. Utnapistin: 117n. VALENTINO, B . : 1 9 8 . VAN D E C H E N D , H . : I L I , 1 1 4 n , 1 1 7 ,

123,

124. Vega: 114, 115. Vello d ' O r o : 19ss., 103. Veneri aurignaciane: 119. Vergine (Virgo): l l l n , 123, 127n. vermiglione: 66. V E T R I , P.: 1 7 9 .

Via Lattea: 114. VIDAL, S . :

167n.

Villaputzu: 128. VIRGILIO: 2 2 , 1 2 3 n .

VOLPINI, G.: 66nss., 85n, 86ss., 92n. Vulcano: 18. WAGNER, M . L . :

161n.

Wernigerode: 2 2 3 s s . Wotan: v. O d i n o .

TALLIUS, I . : 1 4 n , 2 5 .

tan-t'ien: 66. Tarocchi: 116n. Telchini: 131. Teseo: 106. testa di corvo: 17, 18, 58n, 140. Testa Grigia: 82, 84. Thamiris: 126. Themis: l l l n . Thor: 106. Tiàmat: 114. Tiberio: 167. Tiresia: 126.

yang. 104 n. Yggdrasill: 87ss., 90ss. yin: 64, 71, 104n. Zani (Zanni): 50, 51, 53, 101. Zeus (Giove): 18, 24, 82n, 106, 125, 172, 173, 205. ZIMMER, H . : 1 0 5 , 1 0 6 .

Zohàr: 198n. Zolfo (S): 46n, 64, 88, 130, 182ss, 192ss., 204ss., 210. ZOLLA, E . : 15n, 112n, 161n.

INDICE

Introduzione

5

1. Alchimia della fiaba

13

2. La Bambina, il Mago e l'Orco

34

3. Giovanni nella pelle d'animale

49

4. Il mercurio della fiaba

63

5. Analisi chimica di Cappuccetto Rosso

74

6. L'albero del mercurio

85

7. L'uccisione del Drago

99

8. Argento colato in coppella

128

9. Analisi chimica di Biancaneve

139

10. La fanciulla e i sette fratelli

154

11. Cenerentola e Proserpina

169

12. Solfare

182

13. Analisi chimica di Cenerentola

192

14. La pioggia d'oro

203

15. La strega del bosco

210

Appendice. Processo alla fiaba.

223

Notizia

235

Indice analitico

237