Enciclopedia Garzanti delle Religioni [PDF]

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Zitiervorschau

L'UNIVERSALE La Grande Enciclopedia Tematica

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Enciclopedia delle Religioni

Titolo originale: Knaurs grosser Religionsfohrer © Droemersche Verlagsanstalt Th. Knaur Nachf., Mtinchen 1986

Ali rights reserved

Edizione Speciale per Il Giornale

©2003,2004, Garzanti Libri S.p.A., Milano

Stampa e legatura Mondadori Printing S.p.A. Stabilimento NSM - Cles (TN)

Supplemento al numero odierno del Giornale Direttore Responsabile: Maurizio Belpietro Società Europea di Edizioni S.p.A. Reg. Trib. Milano n.215 del29/05/1982

Il presente libro deve essere distribuito esclusivamente in abbinamento al quotidiano Il Giornale. Tutti i diritti di copyright sono riservati

il Giornale

L'UNIVERSALE La Grande Enciclopedia Tematica

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in collaborazione con

glearzantzne •

L'UNIVERSALE

la Grande Enciclopedia Tematica

Piano dell'opera l. Enciclopedia Generale vol. 2. Enciclopedia Generale vol. 3. Enciclopedia Generale vol.

4. Letteratura vol. 5. Letteratura vol. 6. Filosofia vol. 7. Filosofia vol.

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12. Musica vol. 13. Musica vol. 14. Cinema vol. 15. Cinema vol.

11 m

21. Citazioni vol. 22. Citazioni vol.

1 11

1 11

23. Fiori e Giardino vol. 24. Fiori e Giardino vol. 25. Diritto vol. 26. Diritto vol.

1 11

27. Finanza

8. Arte vol. 1 9. Arte vol. 11 lO. Scienze vol. 11. Scienze vol.

1

28. Italiano 29. Architettura vol. 30. Architettura vol.

1 11

31. Astronomia

1 11

32. Religioni

1

33. Mitologia

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16. Antichità Classica vol.

17. Antichità Classica vol.

18. Atlante Storico 19. Economia vol. 20. Economia vol.

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34. Simboli 1 11

35. Chimica vol. 36. Chimica vol.

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37. Medicina vol. 38. Medicina vol. 39. Puericultura

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Gerhard J. Bellinger

Religioni

Religioni è stata realizzata dalla Redazione delle Garzantine.

L'opera è stata diretta da Lucio Felici con la consulenza di: Monsignor Guglielmo Guariglia, direttore del Centro ricerche etno-antropologi­ che (Servizio popoli emergenti) e docente di Storia delle religioni presso l'Istitutc superiore di scienze religiose di Milano; Monsignor Gianfranco Ravasi, docente presso la Facoltà Teologica dell'Italia Set­ tentrionale e membro della Pontificia Commissione biblica internazionale. Le appendici sono state curate da Elio Guerriero e da Giorgio La Rosa. Coordinamento generale: Antonella Tarpino. Revisione scientifica: Cristiana Ceci (area sino-nipponica); Guglielmo Guariglia (religioni africane e animiste); Elio Guerriero (area giudeo-cristiana); Giorgio La Rosa (religioni medio-orientali e dell'America Latina); Marco Restelli (religioni in· diane). Revisione delle singole voci: Fabrizio Bagatti, Rossella Daverio, Stefano Re, Fran­ cesco Somaini. Segreteria redazionale: Luciana Da Col. Revisione delle bozze: Fernando Scala • Gino Blasi, Michele Calzona, Silvana Violi. Ricerca iconografica: Loredana Accomero, Stefano Sibella



Gianna Marchesi.

Didascalie: Giorgio La Rosa. Coordinamento tecnico: Angelo Bollini. Impaginazione: Giampiero Scurati



Realizzazione: Adelio Rusconi.

Premessa all'edizione italiana

«O dio Enlil, le tue infinite perfezioni fanno restare attoniti; la loro natura segreta è come matassa ar­ ruffata che nessuno sa dipanare, è arruffio di fili di cui non si vede il bandolo». Questa strofa di una delle più antiche preghiere dell'umanità, tratta da un inno dei Sumeri, esprime simbolicamente la straordinaria complessità dell'avventura spirituale vissuta dalle religioni alla ricerca del mistero divi­ no. E se l'intreccio dei temi sacri presenta nodi in­ numerevoli, altrettanto innumerevoli sono stati i tentativi per dipanarli. È per questo che quando si entra nel mondo della religiosità antica e contem­ poranea, occidentale e orientale, primitiva o evolu­ tiva, è necessario avere tra le mani una guida. N el panorama delle opere - dizionari, trattati, storie e manuali - che hanno cercato di cataloga­ re, di ordinare e di descrivere i vari fenomeni reli­ giosi, questa guida si distingue per una serie di ca­ ratteristiche che la rendono originale e preziosa. In essa c'è, innanzitutto, lo sforzo di coprire l'intero orizzonte della religiosità attraverso un vaglio ca­ pillare e minuzioso di tutte le forme di credenza e di ritualità, anche quelle minime o marginali. Il ventaglio delle forme religiose può essere deli­ neato alfa luce di due prospettive di lettura: l'una spaziale e l'altra temporale. La prima, di natura policentrica, ha permesso di evitare una eccessiva focalizzazione delle culture di area occidentale, suggerendo piuttosto una visione dall'alto, ad am­ pio spettro, che renda conto del vitalissimo e varie­ gato complesso delle religioni senza pregiudiziali etnocentnche. All'interno di questa prospettiva vanno comunque distinti due poli entro cui si di­ spiega il continuum delle forme religiose: da un la­ to le espressioni cultuali e devozionali che hanno potuto sopravvivere soltanto nel loro contesto ori­ ginario, in forme «protette», dove solo uno specifi-

co terreno di coltura ha consentito loro di radicar­ si; dall'altro le religioni capaci di oltrepassare i li­ miti spaziali del loro prilllitivo insediamento e di innervarsi in nuove terre d'elezione, se non di con­ quista. N el grande sistema osmotico delle religioni, dunque, non è possibile sottovalutare, pur nel ri­ spetto della ricchezza e della varietà dei cui ti, i grandi vettori rappresentati dalle religioni sovrana­ zionali: il Cristianesimo,· l'Induismo, l'IsHim, le re­ ligioni cinesi e così via. I fettomeni di contamina­ zione sincretica, di proselitismo, di conversione, di arricchimento o impoverimento del patrimonio et­ nico-religioso dei pop oli, hanno incessantemente rimodellato i confini 1n cui si sono via via afferma­ te le espressioni religiose. Il rispetto e la considera­ zione per le specificità cultuali e rituali delle cultu­ re più perifenc�e (per esempio di quelle dell'Africa equatoriale o della l>olinesia), legate ad ambiti spa­ ziali circoscritti, non va disgiunto dalla consapevo­ lezza dell'alto grado di elaborazione teologica e in­ tellettuale formatasi nei più importanti centri geo­ politici. La prospettiva temporale consente, invece, di inter­ pretare il fenomeno religioso secondo due livelli correlati: limitatamente a ogni singola forma reli­ giosa, e in relazione a un contesto più ampio e ge­ nerale. N el primo caso va sottolineato come molte religioni presentino un'evoluzione storica comples­ sa che ha dato origine a nuove acquisizioni teologi­ che, a ramificazioni eterodosse o scismatiche, ad affinamenti spirituali, ma anche a involuzioni e im­ poverimenti. Nel secondo si può delineare una tra­ Iettoria, senza dubbio frammentata e contradditto­ ria, che riguarda l'intero fenomeno religioso, da primordi ancora oscuri verso orizzonti sempre più articolati e differenziati. Si tratta di un processo che non comporta solo la crescita sempre più fitta di grupP.i, comunità, associazioni e movimenti, ma anche l incessante sforzo di ripensamento e attua­ lizzazione in nuovi contesti. A questo proposito è stata dedicata particolare attenZione alla contem­ poraneità, vale a dire alle forme in cui la reli�osità si è variamente manifestata per adattarsi all epoca in cui viviamo, contrassegnata non di rado da una profonda secolarizzazione.

Tenuto conto di queste prospettive di lettura, il di­ zionario può trasformarsi anche in utile strumento di carattere antropologico e sociologico: il fenome­ no religioso non viene dunque colto in modo astratto e puramente «teologico» ma è considerato come una componente fondamentale e feconda della civiltà umana, negli ambiti più diversi e nelle sue tappe più significative. A questa prima parte dell'enciclopedia, dai caratte­ ri panoramici, segue un'appendice, curata da Elio Guerriero e Giorgio La Rosa, che si articola in tre settori. La prima appendice, ad integrazione delle informa­ zioni presenti nel corpo alfabetico, cerca di cogliere la specificità delle religioni che hanno avuto mag­ giore influsso sul pensiero e sull'agire dei popoli. La seconda propone un lessico dei principali sim­ boli religiosi. A ognuno di qu�sti è nservata un'ap­ posita scheda dotata di un ampio e selezionato cor­ redo iconografico. Testo e immagine si fondono così a presentare i principali «archetipi» del pensie­ ro religioso che tanto hanno influenzato la produ­ zione letteraria e artistica nel corso della storia. La terza è costituita da un glossario della mitologia classica, nella consapevolezza che il mito, lungi da essere un'espressione «povera» della religiosità po­ polare, è in realtà una formulazione allegorica della teologia e del pensiero religioso, formulazione che per secoli ha alimentato il pensiero e l'immaginario o_ell'Occidente, anche dopo l'avvento del Cristiane­ srmo. Sono queste le caratteristiche che fanno dell'Enci­ clopedia delle religioni Garzanti uno strumento am­ pio eppure lineare, minuzioso eppure semplice, de­ stinato ad usi immediati di consultazione (a livello scolastico, informativo, giornalistico, catechetico) senza peraltro rinunciare al rigore scientifico. GIANFRANCO RAVASI

Introduzione

Fin dai primordi, l'uomo non ha smesso di interrogarsi sulla propria sorte. L'origine della vita, il destino, la malattia e la morte inconoscibile, la necessità del dolore e l'impulso alla feli­ cità, le energie e le forze che trascendono l'intelligenza e la vo­ lontà, il bene e il male: gli uomini del nostro tempo come i loro antenati hanno incessantemente cercato risposte a questi dub­ bi, a queste «esperienze del limite». Le risposte hanno dato vita a sistemi, visioni, concezioni del mondo - spesso imperniate su di un unico principio fondante - nel tentativo di racchiude­ re e ordinare conoscenze, norme e valori. Nel momento in cui l'uomo trae motivazioni e indicazioni al proprio agire da una concezione del mondo, quando un sistema di valori e finalità riesce a dettare norme per la conoscenza, per l'azione e per il giudizio e, al tempo stesso, assumendo un ca­ rattere di non sostituibilità, allora si può cominciare a parlare di atteggiamento religioso. Le espressioni impiegate nelle diverse lingue per definire il fe­ nomeno religioso permettono di coglierne alcuni interessanti aspetti. La parola latina religio (la cui radice si ritrova in tutte le nuove lingue europee) significa, secondo Cicerone, «Scrupo­ losa preoccupazione per qualcosa di grande importanza» e, in­ direttamente, adempimento nei confronti del divino. In lingua greca viene impiegato il termine eusebeia («timore reverenziale della divinità», «devozione»); in arabo e neopersiano dim, che sottolinea l'aspetto relativo alla «giustizia»; il termine sanscrito dharma (o dhamma, in lingua pali) designa la «norma», la c> Sculture rituali, votive, associate al gioco della palla: l Ascia antropomorfa, che rappresenta simbolicamente la testa decapitata dei giocatori. 2 Marcadores, o segnapunti, a forma di testa di guacamaya (pappagallo). 3 Giogo, riproduzione della cintura indossata dai giocatori. Città di Messico, Museo Nazionale di Antropologia.

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no, venissero celebrate grandi festività, ma soprattutto richiedeva che, per assi­ curare il giro del sole nella sua orbita giornaliera si offrisse durante tali ceri­ monie, del sangue umano alle divinità solari. Senza questi sacrifici, gli Aztechi ritene­ vano che la vita sulla terra si sarebbe estinta. Al sacrificio umano erano generalmente deputati i prigionieri di guerra, e di conseguenza, per procurars1 sempre nuove vittime, gli Aztechi intraprende­ vano continue campagne militari contro i loro vicini, imponendo loro regolari tributi umani, attraverso la pratica del­ lo xochiyaoyotl ( « guerra dei fiori » ) . Le forme d i sacrificio del corpo umano erano varie. In primo luogo figurava la cerimonia dell'offerta del cuore, che ve-

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4 Palma, amuleto di protezione che i contendenti portavano sul petto. Jalapa, Museo de llniversidad Veracruzana.

niva strappato dal corpo vivo della vit­ tima. Vi erano poi cerimonie di immo­ lazione col fuoco, nonché sacrifici gla­ diatori. Infine vi erano pratiche di scor­ ticamento durante le quali alle vittime veniva levata la pelle mentre erano an­ cora in vita. Tra i sacrifici incruenti era­ no molto apprezzate le offerte di fiori, di incenso o di frutti vari. Un valore rituale aveva anche il gioco della palla o/lama, disputato nei pressi dei templi. A esso era attribuito un si­ gnificato simbolico, in rapporto al moto del sole. Nella gerarchia sociale, articolata in sa­ cerdoti, nobili, liberi, servi della gleba e schiavi, il vertice era costituito, oltre che dal re, dai due sacerdoti di maggio­ re dignità, che si occupavano, rispetti­ vamente del tempio di H uitzilopochtli

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57 e del tempio di Tlaloc, e che godevano entrambi del titolo di Quetzalcoatl. I centri cultuali erano detti teocalli ( « Ca­ sa divina » ), e comprendevano tutta l'a­ rea del tempio piramidale, il calmecatl ( « casa dei sacerdoti >> ), le abitazioni dei giovani nobili, e i luoghi destinati al gioco sacro della palla. "' Il tempio piramidale, a gradoni, si erge­ va su un alto basamento. Sulla sua som-

rnità si trovavano per lo più due sacrari, generalmente con le facciate rivolte ver­ so occidente, nonché il cippo sacrifica­ le. Spesso, due scaloni paralleli, estre-­ mamente ripidi, conducevano alla som­ mità della piramide. Nei sacrari vi erano due stanze: una an­ teriore, per i sacerdoti, e una posteriore, che custodiva l'immagine della divi­ nità.

BABILONESI, RELIGIONE DEI Di origine semitica, i Babilonesi abita­ vano la pianura famosa per la sua ferti­ lità, situata in Mesopotamia fra il basso corso del Tigri e dell' Eufrate: essa ave­ va per centro la città di Babilonia o Ba­ bele (così chiamata dall'espressione Babilu, Porta del Dio). La religione babilonese appartiene dun­ que al ceppo delle religioni � semitiche e rientra nel novero delle religioni � mesopotamiche. La prima dinastia di Babilonia si costi­ tuì dopo che, in tomo al 2000 a. C., si erano riversate sulla Mesopotamia allora dominata dai � Sumeri e dagli Accadi (� accadica, religione) - le po­ polazioni semitiche degli Amorriti o Amorrei. Il sesto re di Babilonia fu il celebre Hammurabi ( 1 728- 1 686 a.C.). All'inizio del suo regno la supremazia sulla regione mesopotamica era contesa tra sei potenze rivali, e cioè Larsa, Esunna, Babilonia, Qanta, Jamsad (Aleppo) e Assur: la vittoria arrise a Babilonia. Hammurabi devastò infatti la vicina città-stato di Mari, sull'Eufrate, con il suo famoso archivio in tavolette di ar­ gilla, e quindi fondò un regno unitario sotto l'egemonia babilonese. Egli fece anche ricostruire i santuari distrutti nel corso delle varie guerre, ed elevò Mar­ duk, il dio della città di Babilonia, al rango di divinità protettrice dell'intero

regno. Sotto di lui fu redatto il cosid­ detto Codice di Hammurabi, una rac­ colta di leggi valide per tutto lo stato, scritta in idioma accadico, che egli ave­ va elevato a lingua ufficiale. Questo ce­ lebre testo, inciso su una stele di diorite, venne rinvenuto nel 1 90 1 - 1 902 dagli ar­ cheologi che lavoravano agli scavi di Susa, in Persia. Ii N uovo Regno babilonese fu fondato più di mille anni dopo la morte di Hammurabi per opera di un capo dei Caldei, Nabopolassar (625-605 a.C.). Sotto il suo successore, N abucodono­ sor (605-562 a.C.), il regno si estese poi sull'intera pianura della Mezzaluna Fertile, vivendo il suo maggiore e ulti­ mo periodo di splendore, durante il quale Babilonia divenne in effetti una metropoli mondiale. Sotto N abucodonosor vennero ad esempio e,retti nella capitale la grande porta di Ishtar, e la grande strada pro­ cessionale che conduceva ad essa (una volta larga 22 metri e lunga 200, fian­ cheggiata da ciascun lato da rilievi su mattoni smaltati policromi, raffiguranti centoventi leoni). Inoltre egli fece innal­ zare il santuario di Esagila ( c il tempio dall'alto tetto»), sede del principale cul­ to di Babilonia, con la grande ziqqurat ( torre a scalini) di Etemenanki ( c dimo­ ra del fondamento del cielo e della ter­ ra» ), dell'altezza di 9 1 metri, alla quale

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Divinità babilonesi l Kudurru con i simboli del pantheon babilonese. In alto le tre divinità astrali: la falce lunare di Sin, il disco solare di Shamash e la stella a otto raggi ( Venere) di Isthar. Più sotto è riconoscibile il drago a squame, emblema di Marduk. Londra, British Museum.

Scena d'adorazione di Sin, in un 'impronta di sigillo. New York, Metropolitan Museum. 2

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si rifà l'immagine biblica della celebre « torre di Babel e » . Come reazione all'alleanza tra lo stato meridionale della Giudea e l'Egitto, N abucodonosor, nel 598, procedette fra l'altro all'occupazione di Gerusalemme. Si ebbe cosi la prima deportazione degli Ebrei a Babilonia, cui, dopo che il re babilonese ebbe distrutto Gerusalemme e il tempio nel 5 87, segui la seconda. Con queste deportazioni iniziò dunque la cosiddetta « Cattività babilonese» de­ gli Ebrei (� israelitica, religione e � Giudaismo).

L'ultimo re di Babilonia fu invece N a­ bonide (556-539 a.C.), figlio di una sa­ cerdotessa del dio della luna di Harran (in Siria). Essendo un convinto sostenitore di que­ sta divinità, N abonide venne in grave dissenso con i sacerdoti del dio di Babi­ lonia Marduk, al punto che si vide alla fine costretto ad associare al trono suo figlio Baldassarre (o Belsazzar) (549539). Sconfitto il padre dai Persiani di Ciro, Baldassarre fu ucciso quando i vincitori, nel 539, conquistarono la cit­ tà, ponendo fine al Nuovo Regno babi-

59 lonese, l'ultima formazione statale della Mesopotamia antica. Dal punto di vista religioso, i Babilone­ si assimilarono numerose divinità dai Sumeri e dagli Accadi. La maggioranza degli dei venerati in Babilonia era cen­ trata infatti su due triadi più antiche, intorno alle quali si raggruppavano al­ tre divinità della terra e degli inferi. La triade «cosmica» comprendeva i tre grandi dominatorÌ dell'universo, diviso nelle tre parti del cielo, dello spazio ae­ reo (comprendente la terra) e delle ac­ que, simboleggiate anche dai numeri sa­ cri 60, 50 e 40. Il dio del cielo era Anu, padre e re degli dei, sposo di Ishtar. Signore dello spa­ zio aereo e della terra, che sorgeva C'-'me un monte sopra il cerchio delle acque, era invece Enlil ( « signore dell'alito di vento » ), il cui epiteto principale, presso i Semi ti, era semplicemente Bel ( « signo­ re»). Enlil era sposo di Ninlil, e il suo simbolo era la corona di corno. Il dio delle acque, delle acque sott�rranee e delle sorgenti era infine Ea, fra l'altro anche dio della saggezza e delle arti. Egli era lo sposo di Damkina (o Damga­ lunna) e il padre di Marduk. La seconda triade era quella « astrale », e come tale comprendeva i signori dei tre grandi astri (la luna, il sole e il pianeta Venere), simboleggiati dai numeri sacri 30, 20 e 1 5. Supremo dio degli astri era il dio della luna Sin: egli era figlio di Enlil e padre di Ishtar e del dio del sole Shamash. La penisola del Sinai, e l'omonimo monte, sacro per le tradizioni ebraiche, deriva­ no il loro nome dal dio Sin, il quale, ne­ gli inni, veniva pregato con vivacità co­ me «il frutto che si rinnova da sé» e co­ me «il grembo che genera tutto » . Egli era rappresentato con la figura di un giovane toro, accoppiato ad Ishtar, in forma di mucca, e il suo simbolo era la falce lunare. Il dio del sole era invece Shamash, che nel suo percorso giornaliero attraverso

Babilonesi, religione dei la volta celeste vedeva tutto, e perciò era onnisciente, custode della verità, del diritto e della giustizia. Egli puniva éon la cecità coloro che trasgredivano le leg- . gi, ma concedeva anche vita, salute e f� li ci tà. Shamash era figlio di Sin e fratel­ lo di Ishtar: dalle sue mani Hammurabi ricevette il « libro delle leggi » (il già ri­ cordato Codice di Hammurabi), e il cul­ to di questo dio, nel vn secolo, penetrò persino nel tempio di Gerusalemme, nel cui atrio si trovavano infatti raffigurati i cavalli e il carro di Shamash (vedi An­

tico Testamento, 2 Re, 23, 1 1 ).

Di fronte alle divinità maschili, quelle femminili erano in generale notevol­ mente subordinate, a eccezione di Isthar, terza figura della triade « astrale» e dea della stella mattutina e della stella della sera (il pianeta Venere). Questo pianeta ben simboleggiava il carattere doppio della dea, che era a un tempo si­ gnora del cielo e degli inferi, dea madre e dea dell'amore, divinità della fertilità e della voluttà. Essa era figlia di Sin e sorella di Shamash, nonché ancella di Anu, che la prese come sua sposa. La porta di Ishtar, eretta in Babilonia in . suo onore, si trovava all'inizio della già citata grande strada processionale. I mi­ ti babilonesi raccontavano anche di una sua discesa agli inferi, nel «paese senza ritorno» (� mesopotamiche, religio­ ni), e il suo simbolo era il leone o la mucca. Dio della città di Babilonia era invece Marduk (dal sumerico A mar-ke, «vitello del Sole » , « figlio del Sole» ), che in se­ guito, sotto Hammurabi, divenne la di­ vinità del regno; una motivazione teolo­ gica di questa estensione dei poteri divi­ ni è contenuta nel poema cosmologico Enuma Elish. Originariamente dio del­ l'agricoltura della primavera e del sole primaverile, questa figura divina assun­ se successivamente il ruolo di creatore e reggi tore del mondo e di padrone del destino. M arduk era figlio di Ea, sposo di Sarpanitum ( colei che crea i semi c

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Pianta dè/la città di Babilonia l Tempio delle Festività di capodanno 2 Via delle processioni 3 Porta di Ishtar 4 Tempio. di lshtar 5 Ziqqurat « Torre di Babele» 6 Santuario 7 Tempio di Marduk 8 Tempio di Ninur 9 Tempio di Guta I O Tempio di Shamash 1 1 Tempio di Belit-M.na 1 2 Portone- di Lugalgirra 1 3 Palazzo meridionale con «giardini pensili» «COlei che brilla come argento» ) e padre di Nabo. La sua duplice funzione di signore dei mondi e datore di vita veniva simboleg­ giata da un doppio volto. Il suo emble­ ma era il drago a squame, oppure il ser­ pente cornuto, e il suo attributo era la vanga appuntita (marru). Il suo pianeta era Giove, mentre il suo santuario cen­ trale a Babilonia era il tempio Esagila, vicino al quale sorgeva la possente torre Etemenanki. In suo onore si festeggiava il nuovo anno. Dio della saggezza e dell'arte dello scri­ vere era invece Nabo ( « l'esperto», « l'an­ nunciatore» , « l'araldo» ), chiamato nella Bibbia Nebo. Egli portava le « tavole del destino•, ed era figlio di M arduk e spo­ so di Tsamet. I l suo pianeta era Mercu-

rio e il suo emblema lo stilo. Il suo prin­ cipale luogo di culto era il tempio di Ezida ( « casa legittima » ) a Borsippa; il monte Nebo, dove morì Mosè, era un altro suo luogo di culto, che da lui pren­ deva nome. Il nome Nabo era inoltre contenuto in una serie di nomi di re ba­ bilonesi quali N abopolassar, Nabuco­ donosor e N abonide. Dio degli inferi era invece Nergal, il quale era anche dio del sole mattutino che brucia e del « Sole di mezzanotte » . N ella mitologia, N ergal era descritto come il sole che viaggia di notte negli inferi, dove avrebbe vinto la dea Eresh­ k.igal, diventandone lo sposo. Il suo principale luogo di culto si trovava a Kutha vicino a Kis, dove sorgeva il san­ tuario di Emeslam.

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1 4 Palazzo

principale (e Museo) 1 5 Porta di Marduk 16 Palazzo d'estate di Nabucodonosor Il.

La porta di Isthar, da Babilonia. Berlino, Vorderasiatisches Museum. I 282 paragrafi del Codice di Hammu­ rabi spiegano i concetti morali e giuridi­ ci della vita babilonese. Questa legge puniva l'oltraggio nei confronti della di­ vinità, i danni ingiustificati alla vita e alla proprietà altrui, nonché le colpe commesse nella propria famiglia, e of­ friva un diritto di ritorsione commisu­ rato ai vari gruppi sociali, ma comun­ que ispirato al principio del « taglione » ( « occhio per occhio, dente per dente » ). « Se u n patrizio strappa un occhio a un al­ tro, allora gli sarà strappato un occhio; se egli rompe un osso a un altro, allora gli sarà rotto un osso; se egli strappa un oc­ chio o rompe un osso a �n plebeo, paghe­ rà allora una moneta d'argento».

I l Codice di Hammurabi, del XVIII seco­ lo a.C., mostra grandi punti di contatto con la parte giuridica (di diritto penale e civile) del libro biblico dell'Alleanza

(Antico Testamento, Esodo, 20, 22-23, 33).

Le prescrizioni etiche, che facevano ri­ ferimento al timore reverenziale del­ l'uomo di fronte alla divinità e alla sua osservanza dell'ordinamento giuridico e dei precetti rituali, erano considerate come obblighi nei confronti del dio del sole Shamash. I cosiddetti « Specchi penitenziali babi­ lonesi» erano invece dei testi di peniten­ za, consigliati in particolare agli amma­ lati per un esame di coscienza. I n uno di questi testi, il sacerdote pone le seguenti domande:

Babilonesi, religione dei c Ha peccato contro Dio? Ha disprezzato il padre o la madre? Si è impossessato della casa del vicino? Ha avuto rapporti con la moglie d'altri? Ha sparso il sangue del suo prossimo? Gli ha rubato gli abiti? Dice «SÌ» con le labbra e «nO» con il cuo­ re?» .

Per quanto concerne il culto ufficiale, esso raggiungeva il suo momento culmi­ nante con la festa del nuovo anno, detta A kitu, celebrata a partire dall'equinozio di primavera: si trattava di una solenni­ tà della durata di 1 2 giorni, dedicata completamente, durante la prima setti­ mana, al. proposito della penitenza e dell'espiazione delle mancanze com­ messe nell'anno appena concluso. In questa fase veniva anche sacrificato un • capro espiatorio » , il cui sangue veniva spruzzato sul tempio. Il cadavere del capro veniva poi gettato nel fiume e la sua testa portata nel deserto (Antico Te­ stamento, Levitico, 16). In seguito il rito proseguiva con l'automortificazione del re - in rappresentanza di tutto il popo­ lo - mediante uno schiaffo datogli dal sommo sacerdote di Marduk. Il sovrano poi pronunziava una confessione, a se­ guito della quale otteneva l'assoluzione. Dall'ottavo al decimo giorno della so­ lennità si passava quindi alla celebra­ zione della lotta e della vittoria di Mar­ duk, rappresentate scenicamente. Così, nell'ottavo giorno la statua di Marduk veniva portata dal re, in solenne proces­ sione, fino alla « Casa trionfale» al di fuori della città, dove il sovrano e l'im­ magine divina trascorrevano i successivi tre giorni in una stanza sotterranea: ciò simboleggiava il loro viaggio nella notte del regno dei defunti per combattere le forze della morte. All'undicesimo gior­ no, quindi, il risorto Marduk ritornava come vincitore nella sua città di Babilo­ nia, alla testa di un corteo che passava per la grande strada processionale della città. Da ultimo, seguiva la rappresen­ tazione dell'ascensione del dio, che con-

62 sisteva nel portare l'immagine divina sulla torre Etemenanki, al cui vertice, sulla piattaforma terminale dello ziqqu­ rat, si trovava il sacrario supremo, in cui venivano celebrati simbolicamente l'intronizzazione del dio, il matrimonio divino e la determinazione del destino. Venivano così assicurati per il nuovo anno fortuna e salute. Presso i Babilonesi il sacerdozio era suddiviso in 30 differenti classi, cui se ne aggiungevano 20 di sacerdotesse ad­ dette ai templi. Il sommo sacerdote era detto urigallu, mentre la principale ierodula, la sacer­ dotessa che simboleggiava la sposa divi­ na, era chiamata entu. Oltre alle sacer­ dotesse, obbligate alla castità, vi erano poi, a U ruk, diverse serve del tempio. A Babilonia, accanto al clero ufficiale, proliferava un diffuso profetismo. La città di Babilonia era costruita su un asse rituale da nord a est, che era sim­ bolo della sua divinità principale Mar­ duk. La grande strada processionale partiva dalla «Casa trionfale» o « casa solenne » , al di fuori della città, e arrivava alle mura presso la torre di Ishtar. Da qui la strada conduceva poi alla zona del tem­ pio EsagiJa di Marduk, il cui ingresso era formato da una porta con due torri. Attraverso un vestibolo si entrava quin­ di in un grande cortile pavimentato, con al centro una fontana (apsu). Il cor­ tile era circondato su tutti i lati dalle abitazioni destinate ai sacerdoti e dai magazzini per le offerte. Di fronte al ve­ stibolo vi era invece la cella, la cui porta appariva tra due sporgenze articolate a guisa di torre. La cella era di forma ret­ tangolare: sul lato più stretto, di fronte alla porta d'entrata, si trovava 'di solito l'inunagine di Marduk. La disposizione del tempio corrispon­ deva simbolicamente alla rappresenta­ zione del mondo, diviso in tre parti: il

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Babilonesi, religione dei

Shamash che sorge tra Isthar, Ea, dio delle acque, e altre divinità minori: impronta di sigillo. Londra, British Museum. cortile esterno del tempio, con la fontana, corrispondeva infatti al mondo delle acque, il tempio simboleggiava la terra con lo spazio aereo, e la cella, con il simulacro divino, rappresentava il cielo. La costruzione più imponente della zona del tempio era comunque la ziqqurat ( torre del tempio). Tali torri venivano edificate sulla base d i due modelli : i l tipo a 2, a 3, o per lo più a 7 terrazze, dove una rampa di scale conduceva alla sommità, e il tipo in cui la via per salire si snodava a forma di spirale intorno al­ le torre. Sulla piattaforma più alta della ziqqurat si trovava poi un tempio più piccolo di quello che si trovava alla ba­ se, detto tempio alto. La ziqqurat era insieme un'immagine della montagna cosmica del mondo e della montagna degli dei, e come tale era anche la « terra del centro» , che met­ teva in contatto la sfera divina con quella· terrena. La ziqqurat più famosa è la citata Ete­ menanki ( « casa del fondamento del cie­ lo e della terra » ) cui la narrazione bibli­ ca (Genesi, I l) della «Torre di Babele» e della confusione delle lingue si riallac­ cia storicamente. Le sue fondamenta sono state riportate alla luce, tra il 1 899 e il 1 9 1 7, da una spedizione archeologi­ ca tedesca. Della torre, comunque, oggi

non si conserva che la base della costru­ Zione. Nell'angolo nordorientale della città, al di sopra di quattordici camere a volta, si trovavano i cosiddetti « giardini pen­ sili di Semirami de » , probabilmente fat­ ti costruire da N abucodonosor. Tali giardini, irrigati artificialmente con u n complicato sistema idraulico, venivano considerati una delle sette meraviglie del mondo. I l testo mitico babilonese, che celebrava la festività dell'anno nuovo, era il cosid­ detto Enuma Elish « Quando in alto» . Si tratta di un'epopea della creazione e dell'ordinamento del mondo, il cui tito­ lo è composto dalle due parole iniziali dell'opera. Il testo - conservato su 7 tavolette i n scrittura cuneiforme, ognuna delle quali contiene un canto di circa 1 60 versi - è opera di autore ignoto e celebra la vit­ toria e l'avvento al trono del giovane dio Marduk. Da un punto di vista cosmogonico, es­ so descrive la vittoria degli dei più gio­ vani del cielo sulle divinità più anzia­ ne della terra e dell'acqua. All'inizio della creazione del mondo vi erano il principio femminile, la madre comune Tiamat ( « mare » ) - l'acqua salata che

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Babismo circonda la terra - e il principio ma­ schile, Apsii, che rappresenta l'acqua dolce sotto terra. Quando gli dei venne­ ro creati si scatenò una lotta tra la luce e l'oscurità, in cui Apsu e Kingu, il figlio di Tiàrnat, rimasero uccisi. A quel punto M arduk, figlio del Sole, venne incaricato di uccidere Tiamat, spaccandone in due metà il corpo a for-

ma di conchiglia. Con una metà egli formò quindi la volta celeste, con le stelle, e con l'altra la terra con gli inferi. Dal sangue di Kingu vennero invece creati gli uomini con la funzione di prendersi cura ritualmente degli dei (si noti che Tiamat compare anche nella pagina biblica della creazione con il no­ me di Telom, Genesi, l ,2).

BABISMO Il Babismo è un movimento religioso, derivato dall'Islam sciita (� lslam), fondato dal persiano Mirza 'Ali Mu­ l:tammad ( 1820- 18 50), il quale, dal 1844, si è attribuito l'epiteto di bab, che in arabo significa «porta » . I seguaci del Babismo (cioè del bab) so­ no chiamati Babi o Babisti. La loro im­ portanza è oggi nùnore rispetto al pas­ sato, anche se i principi babisti hanno trovato un successivo sviluppo nella re­ ligione baha'i (� Baha'ismo ). Mirza 'Ali Mul)ammad, il bab, nacque il 26 marzo del 1820 a Shiraz, in Iran, da una famiglia di commercianti. Rimasto orfano precocemente, egli crebbe sotto la tutela di uno zio materno che lo av­ viò al mestiere paterno. Ancora giova­ ne, egli aderì al movimento Saykhi, una setta sciita fondata in Persia nel 1800 dallo sceicco arabo Ahm ad al-Ahsai ( 1752- 1826). Questa setta onorava 12 imam come se fossero ipostasi divine; il dodicesimo e u1timo di essi doveva tornare come mahdi o ka'im. Il 23 marzo 1844, 'Ali Mul;lammad, durante l'interpretazione della dodicesima Sura del Corano, la Sura di Yusuf, visse un'esperienza mi­ stica decisiva, che lo portò, da allora, ad assumere il nome di bab, e ad attribuirsi il compito di rivelare al mondo la vo­ lontà dell'imam •occulto » . Inizialmente egli s i definì soltanto come bab ( • la porta verso ciò che è nasco-

sto » ), vale a dire come precursore del mahdi ancora celato; più tardi tuttavia prese a considerarsi come mahdi stesso, cioè come il 12(1 mahdi ritornato dopo l 000 anni di segretezza ( l 000 anni del­ l'era islamica, dal 260 al 1260, cqrri­ spondenti all' 874- 18 44 d.C.). Inoltre egli si considerò come nuqtiyula («il primo punto» ) tra la prima lettera del Corano e la lettera « B » di Basmillah, dove si trova racchiuso l'intero signifi­ cato del Corano stesso. Egli si sentiva perciò l'ultimo nella serie dei profeti. Dopo la decisiva esperienza del 23 mar­ zo 1844 - data che Babisti e Baha'isti hanno fissato come punto di partenza per il loro computo del tempo - 'Ali Mul)ammad cominciò a radunare intor­ no a sé una schiera di seguaci. Dopodi­ ché avviò un'intensa attività predicato­ ria nella quale esprimeva critiche nei confronti della religione nazionale per­ siana, invitando i Musulmani scii ti e i mullah ad aderire al suo progetto di ri­ forma religiosa. Non essendo tuttavia riuscito nel suo intento, nel 1848 an­ nunciò la completa rottura con l'lslam e di conseguenza venne accusato dal go­ verno persiano di manovre rivoluziona­ rie e mandato più volte in esilio, per poi essere imprigionato nelle fortezze di Moh-ku e Chihriq. Infine, il 9 luglio 18 50, venne fucilato sulla torre della ca­ serma di Tabriz, mentre i suoi seguaci, dopo un attentato compiuto contro lo

Babismo

65 scià nel 1 8 52, vennero sottoposti a vio­ lente persecuzioni, nel corso delle quali furono barbaramente trucidati circa 20.000 Babisti, tra cui la famosa poetes­ sa Tahira Kurrat al' Ain. L'opinione pubblica restò sconvolta da questo massacro; intanto i seguaci del bab prelevarono il cadavere del fonda­ tore dalla fossa comune della fortezza, trasferendolo i n una località segreta fuori Tabriz. Qui la salma rimase na­ scosta per anni, finché, nel 1 909, non venne seppellita ad Haifa, in Palestina Il mausoleo circondato da giardini di H ai ­ fa - oggi territorio israeliano - è dive­ nuto il centro religioso del -;) Baha'ismo. Frattanto, il movimento babista, di­ spersi in esilio gran parte dei seguaci ed oggetto di feroci persecuzioni, si venne scindendo in diversi gruppi, tra cui quello fondato a Famagosta (Cipro) da Mirza-Jahya Nuri (detto Subh-i-Azal) ( 1 830- 1 9 1 2), e quello fondato dal fratel­ lastro di quest'ultimo Mirza l:lusain > ideali La formazione del brahmano si svolge­ va attraverso quattro differenti « Stadi di vita » , chiamati iishrama. Il primo stadio era quello del brahma­ ciirin ( « allievo del brahmano» ), corri­ spondente al periodo di tirocinio che il giovane doveva trascorrere nella casa del proprio maestro, dedicandosi allo studio dei Veda. Il secondo stadio era quello del griha­ stha ( « padre della casa »), in cui il futu­ ro brahmano doveva formare una fami­ glia e nel contempo perfezionarsi nel cui t o dei sacrifici.

A !tare a forma di uccello per il sacrificio del fuoco (XX sec. a. C). Paiijal, Keriila.

Nel terzo stadio, che segnava l'inizio della maturità, il brahmano, avendo adempiuto ai propri doveri (procreazio­ ne ed offerta del sacrificio), poteva la­ sciare la casa e la famiglia, ritirandosi nella solitudine del bosco - talora ac­ compagnato dalla sposa - per dedicar­ si ad una vita di soli t udine e di ascesi. Era questo lo stadio del viinaprastha ( « eremita dei bosch i » ), al quale segui­ va, come quarto ed ultimo stadio, quello di sannyiisin ( « mendicante senza patria » )� corrispondente alla vecchiaia avanzata, in cui il brahmano poteva va­ gare come un pellegrino nullatenente. Secondo l'ideale della religione brahma­ nica, la vita del brahmano avrebbe do­ vuto attenersi a questi quattro iishrama ideali, o modellarsi su di essi il più pos­ sibile.

I rituali V n a caratteristica peculiare del Brah­

manesimo era l'estrema complessità dei rituali, mediante i quali i brahmani po­ tevano disporre delle forze della natura, e addirittura vincolare gli stessi dei a esaudire le loro preghiere. I n tal senso grande importanza era riposta nei riti sacrificati (yajfia), che possedevano un valore cosmico fondante. Lo stesso or­ dine del cosmo era infatti determinato dal rituale, al punto che « il sole al mat-

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Brahmanesimo

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11

r. t.

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Statuetta rituale d'uso domestico che ricorda l'usanza del sacrificio di cavalli da parte dei brahmani. tino non sorgerebbe più, se dal brahma­ no non venisse offerto il sacrificio» . Con il sacrificio, in sostanza, si raggiun­ gevano gli dei in cielo e si bandivano i demoni. Nel sacrificio si riponeva il « tUttO » . . Rituali caratteristici erano quelli che si officiavano in relazione al ciclo lunare - in occasione della luna piena o del

sorgere della luna nuova - e consisten­ ti nell'offrire agli dei cibi sacrificali . Of­ ferte d'orzo venivano q�indi tributate alle divinità nel primo sacrificio di pri­ mavera, e di riso nel sacrificio autunna­ le. Con la stagione delle piogge vi era poi il sacrificio del quadrimestre, che serviva ad aumentare la propria ric­ chezza in bestiame. Tutte le varie offerte venivano presen­ tate agli dei in un fuoco sacrificate. Il fuoco giirhapatya era il primo dei tre fuochi del sacrificio, e corrispondeva al valore della terra. Come si legge nel S..g ­ veda, esso ardeva in un'ara chiusa e ro­ tonda, e serviva a cucinare le offerte. Il secondo fuoco sacrificate era quindi il anviihiiryapacana, corrispondente allo spazio aereo. Nello Yajurveda si prescri­ ve che esso venisse acceso su di un'ara a forma di mezza luna, e la sua funzione era quella di respingere i demoni. Il ter­ zo fuoco era infine l'iihavanfya e corri­ spondeva al cielo. Esso - come affer­ mava il Samaveda doveva ardere presso un altare quadrangolare e veniva acceso dal giirhapatya (il primo fuoco), che successivamente veniva spento. A -

Grafico delle dodici divisioni zodiacali riferito allep ratiche di culto. Inchiostro e colori su carta (XVIII sec. ca).

Brahmanesimo

83

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La sillaba OM. 2 Astrogrammi utilizzati per Cf!�colare il temp o . . prop 1zw per 1 ntuali: inchiostro e colori su carta (XVIII sec. ca). l

2

quel punto si procedeva a presentare, sull'altare del terzo fuoco, l'offerta tri­ butata agli dei, e durante questa fase si recitavano le preghiere, dette yajya, ov­ vero «Canti di accompagnamento» . L'efficacia dei sacrifici era strettamente dipendente da un'esecuzione il più pos­ sibile esatta del rituale e di tutte le ceri­ monie che esso comportava. Queste ul­ time dovevano, per esempio, essere ac­ compagnate da una formula sacrificale detta yajus, mentre le preghiere doveva­ no precedere le formule con le quali si invitavano gli dei a scendere nel luogo del. sacrificio. Il rito, infine, doveva terminare pro­ nunciando la sillaba mistica OM. Tale sillaba, che risulta dalla combinazione dei tre suoni A - U - M (dalla triade al­ l'unità), significava «Ciò che è stato, è, e sarà » , ed aveva, per coloro che si dedi­ cavano alla meditazione, una forza ad un tempo magica e religiosa:

« Come un ragno, arrampicandosi sui fili si libera da ogni legame, così, in verità, colui che medita arriva alla libertà, salen­ do in alto mediante l'esclamazione devo­ ta OM ! » .

Letteratura del Brahmanesimo I testi letterari del Brahmanesimo sono costituiti, oltre che dai Veda (� Vedi­ smo), anche dai Brahma1Ja, dalle Aran­ yaka e dalle Upani�ad. I Brahmal')a (Testi sacerdotali) si legano alle quattro raccolte dei � cui costituiscono l'esegesi ed il mento. Essi furono composti tra · 700 a.C. per opera di zioni di brahmani, ,..,4� verse scuole antica dogmatica �Q.U·�.u�.&.&v, e sono redatti in tagliato in un'asciutta prosa �O.U..&�"' Essi con ten-

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Brahmanesimo gono dei precetti (vidhi) estremamente puntuali, inerenti le modalità dei riti sa­ crificati, il loro significato simbolico (arthaviida), e il senso delle antiche sa­ ghe e leggende vediche. U n tipico pre­ cetto dei Briihmaf)a è, per esempio, que­ sto: « L'anima di tutti gli esseri, di tutti gli dei è questa, il sacrificio» . Sempre nei Briihmaf)a si trovano poi anche spe­ culazioni sulla nascita. del mondo. Le Aranyaka (Testi della foresta) sono invece raccolte di trattati mistico-ritua­ li, redatti da sacerdoti eremiti, ed ag­ giunti ai Briihmaf)a. Esse sono general­ mente destinate a eremiti che si rivolgo­ no all'ascesi e alla meditazione, e con­ tengono esposizioni di determinati riti sacri, con spiegazioni della loro simbo­ logia. Solo colui che è chiamato alla so­ litudine della foresta (iiranya), come ad esempio il viinaprastha ( « eremita dei boschi » ), può accedere a questi testi. Le Upani�ad ( « dottrina segreta» , lette­ ralmente « Sedersi accanto» , riferito al­ l'allievo presso il maestro) sono invece chiamate, nel loro insieme, anche Ve­ danta ( La fine dei Veda). Esse costitui­ scono, in generale, i capitoli conclusivi dei Briihmaf)a, e sono inserite, o aggiun­ te, alle Aranyaka. La loro composizione ebbe luogo a partire dall'800 a.C., per opera di autori di diverse epoche e con­ dizioni. In sostanza si tratta di trattati mistico-filosofici, contenenti dottrine esoteriche. Esse erano destinate agli al­ lievi dei brahmani, per le « Sedute segre­ te» che essi tenevano insieme ai loro in­ segnanti nelle comunità di meditazione (ashram), quando appunto l'allievo si sedeva accanto» al maestro ( Upani­ c

�ad).

Generalmente le Upani�ad riferiscono le esperienze individuali dei mistici, le lo­ ro meditazioni e le loro visioni. Si occu­ pano perciò dei problemi della migra­ zione delle anime e di quanto accade dopo la morte, e forniscono risposte al­ le domande sul senso dell'esistenza, in­ vitando ad una mistica di liberazione

Pagina delle Upani�ad (XVII sec.). profonda. In questi testi, di fatto, si as­ siste a un progressivo superamento del­ la mera mistica del sacrificio tipica BriihmafJa (che infatti vengono conside­ rati una forma di conoscenza inferiore), e al decisivo riconoscimento, per con­ tro, dell'identità tra anima individuale (iitman) e anima del tutto (brahman), in una forma di conoscenza che viene con­ siderata suprema. Il numero esatto delle Upani�ad è incer­ to, in quanto esistono dubbi sull'auten­ ticità di alcuni testi iniziali, mentre altri sono delle aggiunte di epoche successi­ ve. Generalmente, comunque, si con­ corda nel ritenere che le Upani�ad au­ tentiche siano 1 08. Quelle più antiche

(Brihadiiranyaka, Chiindogya, Taittiri'ya, Aitareya, Kau.Sitiiky, Kena) sono preva­

lentemente redatte in prosa con l'ag­ giunta di pochi versi, e nella lingua e nello stile - ma non nel contenuto sono molto simili ai Briihma!Ja. Un se­ condo gruppo (Kiiusitaka, /siivasya,

Svetasvatara, Mundaka, Mahiiniiraya-

Buddhismo

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na) è costituito da testi completamente in prosa, che non presentano più nes­ suna analogia formale con i Briihmal]a. Un terzo gruppo (che comprende Pra­ sna, Maitrayana e Miindukyii) è com­ posto anch'esso da testi totalmente re­ datti in prosa, ma che dal punto di vi

CRONOLOGIA

1000/ 900-800 / 700 a.C. Composizione dei Briihmal]a (Testi sacerdotali). 800 500 circa Composizione delle Upa­ ni�ad (o Vedanta) v n secolo Guru U ddalaka Aruni. 680-583 Guru Yajnavalkya Vajasa­ neya. 563-483 Gautama ( Buddha), riforma-

sta contenutlstlco rivelano già un no­ tevole allineamento alle correnti di epoca post-vedica. Tutte le altre

Upani�ad ( Sannyiisa, Yoga, Siimanya, Vedanta, Vaisnava, Saiva, Sakta ecc. )

vengono

infine

A tharvaveda.

annoverate

tra

le

tore religioso avversario del Brahmane­ Simo. 539-467 M ahavira, fondatore del Giai­ nismo, riformatore religioso avversario del Brahmanesimo. 513 La regione dell'lodo viene conqui­ stata dall'Impero Persiano per opera di Dario 1 ( 5 2 1 -485). 500 circa a.C. Nell'area tra l'Indo e il Golfo del Bengala si sviluppano i regni anan1.

BUDDHISMO Il termine Buddhismo deriva dal titolo onorifico del Buddha (sanscrito « il ri­ svegliato » ), attribuito al principe Sid­ dharta Gautama (563-483 a.C. circa) originario di Kapilavastu, nella regione himalayana. Il Buddhismo ebbe origine in India in alternativa al Brahmanesimo ma è dive­ nuto col tempo una delle grandi religio­ ni mondiali .

Attuale diffusione I Buddhisti costituiscono la quarta co­ munità religiosa del mondo dopo Cri­ stiani, I slamici e Induisti. Sono attual­ mente 295.57 1 .000, cioè il 6,2% della comunità mondiale. Il 5 1 % vive nell'A­ sia Meridionale e il 48,5% nell'Asia Orientale. Il Buddhismo è diffuso in 84 paesi e in alcuni di essi - Giappone, Thai­ landia, Birmania, Vietnam, Sri Lan­ ka, Cambogia, Laos e Bhutan - è la

religione principale. È religione di stato in Thailandia nella forma hinayiina e in Bhutan in quella lamaista dei « berretti fOSSI » . M a anche dove è minoritario (Cina Popolare? Taiwan, Corea del Sud e In­ dia), il B uddhismo esercita una forte in­ fluenza spirituale; si veda il caso limite del Sikkim dove tradizionalmente è la religione ufficiale, nonostante gli ade­ renti al Buddhismo lamaista dei « ber­ retti rossi » siano solo il 27% contro il 65% di lnduisti. Spostandoci in Europa, sono 1 2 1 .000 i Buddhisti che vivono in Gran Breta­ gna e 29.000 in Francia. In Germania le comunità buddhiste sono riunite in un'associazione con sede ad Ambur­ go, la Deutschen Buddhistischen Union, che a sua volta aderisce al World Fel/owship of Buddhists con sede centra­ le a Bangkok.

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Buddhismo V ITA DI SIDDH A RTA GAUTAMA, IL BU DDHA La vita di Siddharta Gautama Buddha si presenta attraverso un mosaico di no­ tizie storiche e racconti leggendari. Si

suddivide tradizionalmente in quattro fasi principali - nascita e infanzia, cammino verso l'illuminazione, anni di predicazione, fine della vita terrena e parinirviif)a ognuna delle quali è se­ gnata da un evento centrale. -

Episodi della vita del Buddha 1 // sogno di Miiyii: rilievo (II sec. a. C.). Calcutta, Indian Museum. 2 L 'albero di fico sotto il quale il Buddha ebbe l'illuminazione: rilievo (II -I sec. a. C.). Calcutta, Indian Museum. 3 La nascita del Buddha: altorilievo (Il-III sec. d. C.). New Delhi, Nationa/ Museum.

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La nascita e l'infanzia

Buddhismo passeggiando fuori del palazzo paterno, si sia imbattuto prima in un vecchio sofferente, poi in un ammalato, infine in un morto. Un successivo incontro con un eremita segnerà la svolta defini­ tiva: Siddharta, alla ricerca del senso più autentico dell'esistenza, scosso dal confronto fra la vacuità della vita con­ dotta fino a quel momento e la presenza del dolore nel mondo, abbandona il lus­ so e gli agi, lascia il palazzo e tutti gli affetti, si rade il capo e indossa la veste gialla dell'asceta itinerante. N ella « notte della grande rinunci a » , quando esce d i casa « per andare errante verso l'illuminazione » , Gautama ha ventinove anni.

Siddharta Gautama (sanscrito; pali : Siddhattha Gotama) nasce probabil­ mente nel 563 a.C. a Kapilavastu (san­ sento; pali : Kapilavatthu) in una regio­ ne himalayana oggi compresa fra il Ne­ pal Meridionale e l'estremo nord del­ l'India. Oltre al patronimico di Gauta­ ma, egli riceve il ti tolo di principe Sid­ dharta ( « colui che ha raggiunto il suo scopo » ). Il padre Suddhodana (sanscri­ to; pali: Suddhodana) è investito della carica di re (rajan) con la quale tuttavia non si designa un monarca in senso mo­ derno, bensì un ricco proprietario ter­ riero, una sorta di primus inter pares, posto a capo di una comunità retta da­ gli aristocratici Sakya ( « i potent i » ), clan ario di casta guerriera (k�atriya). In Il cammino verso l'illuminazione quanto membro di questa stirpe di no­ I l lungo vagare condurrà Siddharta da bili, Siddharta diverrà in seguito noto due famosi brahmani e maestri di yoga, anche con l'appellativo di Sakyamuni Aradhakalama e Udraka Ramaputra. ( « asceta degli Sakya» ). Sua madre Trascorso un anno sotto la loro guida Maya ( « illusione » ) muore solo sette spirituale senza tuttavia riuscire a pla­ giorni dopo averlo dato alla luce, e sarà care il suo animo inquieto, si reca da la zia materna Mahaprajapati ( « grande cinque grandi asceti e con loro, nella fo­ procreatrice» ), che più tardi andrà in resta, intraprende una rigidissima ascesi sposa al padre, a prendersi cura del pic­ nel corso della quale, secondo la tradi­ colo. Godendo dei privilegi tradizionali zione, si nutre per sei anni solo di un dei nobili, il principe Siddharta riceve chicco di riso o di sesamo al giorno, fiun'educazione adeguata al suo rango. . no allo stremo delle forze. Ma neppure Trascorre questi anni fra gli aristocrati­ in questo modo sente di poter arrivare ci che governano la comunità, ·e può alla saggezza. Constatata l'inutilità dei dunque acquisire quelle nozioni di legi­ suoi sforzi, Siddharta Gautama decide slazione e amministrazione che gli sa­ di seguire un'altra via, la « Via interme­ ranno utili al momento di fondare gli dia» fra il godimento sfrenato dell'ab­ ordini monastici. All'età di sedici anni bondanza e la rinuncia totale alla vita: al principe Siddharta viene data in spo­ meditazione e distacco dal mondo. sa una principessa Sakya, sua cugina Ormai trentacinquenne, giunge a Uru­ Yasodhara, e il figlio che nascerà dalla vela (forse l'attuale Urel, vicino a Bodh loro unione verrà chiamato Rahula Gaya); qui si ferma sotto un albero di ( « legame » ). Anche dopo il matrimonio fico, o pfpal, sulla sponda del ruscello il principe continua a vivere nel lusso N erajara. Siede nella posizione cosid­ della vita di corte; ma lentamente si in­ detta del loto, a gambe incrociate, rivol­ sinuano in lui i primi dubbi. Le sue ini­ to verso oriente, e contemplando immo­ ziali riflessioni sulla vanità della propria bile osserva il placido sovrapporsi delle condizione verranno rinforzate dall'in­ onde. In profondo stato di meditazione, contro con un'umanità sofferente. Nar­ attraversa i quattro stadi dell'ill umin a­ ra infatti la leggenda che il principe, zione: concentrazione, lievità dell'ani-

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Buddhismo

Il Buddha in meditazione. Bombay, Prince of Wa/es Museum of Western India. mo, abbandono, imperturbabilità asso­ luta non offuscata da gioia o dolore. Per il raggiungimento di questa fase fi­ nale, nel corso della notte Siddharta ha una triplice visione. Nella prima rivede le sue nascite prece­ denti, le trasmigrazioni attraverso mol­ teplici esistenze, epoche ed esperienze di dolore, e le ripercorre tutte nelle tap­ pe fondamentali della nascita, morte e reincamazione. Comprende perciò che il ciclo delle rinascite è in fini t o. Nella seconda visione notturna, Sid­ dharta vede la condizione attuale del mondo, le continue trasmigrazioni di tutti gli esseri, destinati a salire in mon­ di luminosi o a discendere in abissi pro­ fondi in base alle azioni compiute. Comprende dunque che la condizione

attuale di ognuno è il risultato delle azioni nelle sue vite precedenti. Nella terza visione, all'alba, comprende che il dolore deriva da questa incessan­ te concatenazione di causa ed effetto. Siddharta giunge allora a cogliere le quattro verità fondamental i : non può esservi esistenza senza dolore, la causa del dolore è il desiderio, l'eliminazione del desiderio porta la cessazione del do­ lore, esiste la via che conduce all'elimi­ nazione del desiderio e dunque del do­ lore. Queste « quattro nobili verità» ver­ ranno rivelate al mondo nel celebre « sermone di Benares » , che sarà il primo pronunciato dal Buddha. Siddharta ha ora raggiunto la bodhi ( « illuminazio­ ne » ), la suprema illuminazione (samma sarrzbodhi); l'albero di fico a Bodh Gaya d'ora in avanti sarà chiamato « l'albero della bodhi » . Siddharta ha attinto allo stadio del nirviirJa, al quale non possono più esistere morte e rinascita. Nella not­ te « Santa» in cui ha intuito e dominato la legge che incatena gli esseri viventi al ciclo delle continue reincarnazioni, è giunto alla condizione di Buddha, l'Illu­ minato (sanscrito; cinese: fo; tibetano sansrpyas; giapponese: butsu).

Gli anni di predicazione I l Buddha ha dei dubbi circa l'opportu­ nità di rivelare all'umanità la propria il­ luminazione e la via per raggiungerla. Si chiede infatti se gli uomini, schiavi co­ me sono dei loro desideri terreni, siano in grado di riconoscere la veri tà della concatenazione causa e effetto. A que­ sto punto, secondo la tradizione, al Buddha appare il tentatore Mara per indurlo a stticidarsi, in modo da poter subito raggiungere il parinirviirJa. Ma il Buddha resiste alla tentazione e decide di comunicare al mondo la grande espe­ rienza di liberazione da lui vissuta. I l settimo giorno s i mette in cammino fino a raggiungere il parco delle gazzelle a I sipatana (pii/i), l'at tuale Sarnath, nei pressi di Benares. Qui. al co petto dei

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Buddhismo

cinque asceti che un tempo erano stati suoi maestri, pronuncia il suo primo sermone annunciando le « q uattro nobili verità » . Insegna inoltre la « via di mez­ ZO », il giusto equilibrio tra gli estremi, tra una vita cioè dedita alle gioie e ai piaceri terreni e l'umiliazione fisica di un'ascesi troppo severa. Solo questa -via infatti condurrà alla pace, alla libera­ zione suprema, all'illuminazione. Il pri­ mo sermone del Buddha è noto anche come « discorso sulla messa in moto del­ la ruota della legge» (pii/i: Dhammacak­

kappavattanasutta ).

I cinque asceti chiedono quindi i voti monastici, che il Buddha non esita a concedere. In questo modo, dopo il Buddha e la legge (sanscrito: dharma; pii/i : dhamma), vede la luce i l « terzo gioiello» del Buddhismo, cioè la comu­ nità dei monaci (sahgha, letteralmente: « assemblea » ). Questi tre elementi es­ senziali del Buddhismo sono noti come i « tre gioielli » (triratna). Sull'esempio dei cinque asceti, numerose si susseguo­ no le conversioni e la nuova comunità religiosa vede crescere, accanto all'ordi­ ne monastico, il numero dei seguaci lai­ ci; tra questi i sovrani Prasenajit del Kosala, Bimbisara del Magadha e altri monarchi. Dopo soli tre mesi i seguaci sono già sessanta e il Buddha decide di mandarli a diffondere la nuova dottrina: « Andate, o monaci, a predicare nel mon­ do la legge. Agi te sempre nel vostro e nel­ l'altrui interesse ... Portate a tutti questo messaggio di gioia e ricordate: neppure due di voi prendano la stessa direzione» .

Tra i novizi (sanscrito: sriivaka; pii/i : siivaka) vanno citati in particolare S ari­ pu tra, uno dei maggiori discepoli del Buddha e grande erudito, A nanda, il prediletto, e il suo fratellastro Upali, primo maestro delle regole dell'ordine, Rahula, l'unico figlio del Buddha, e De­ vadatta, suo cugino. Tra i seguaci laici

La prima predica del Buddha a Benares: affresco tibetano (XV-XVI sec.). erano numerose anche le donne, fra cui la moglie e la madre di Y asa, un giova­ ne adepto molto ricco. Ma il Buddha ha anche dei nemici, pri­ mi fra tutti brahmani e asceti. Il suo acerrimo oppositore è tuttavia proprio suo cugino, Devadatta, che in numerose occasioni tenterà di ucciderlo. Si narra, a questo proposito, che una volta Deva­ datta abbia condotto un elefante in uno strettissimo vicolo per spingerlo contro il Buddha e che quest'ultimo abbia fat­ to inginocchiare l'animale di fronte a sé con la forza del proprio amore. Questo è uno dei numerosissinù miracoli che la tradizione attribuisce al Buddha. Fra i più citati è anche il prodigio del mango: dinanzi a sette asceti che nella città di Sravasti lo contestavano, il Buddha

Buddhismo

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l Il Buddha pranza assieme ai suoi monaci: altorilievo (arte del Gandhiira). Collezione privata. 2 Il Buddha fa visita a un asceta, seduto davanti alla sua capanna: frammento di altorilievo (I -lI sec.). Torino, Galleria Civica d'Arte Moderna.

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mangiò un frutto di mango spargendo­ ne poi il seme in terra e subito crebbe un immenso albero di mango, rigoglio­ so e fiorito, che si piegò davanti a lui. Il Buddha è stato un grande maestro spirituale che ha saputo comunicare profonde verità usando immagilli e alle­ gorie semplici e tuttavia di grande effet­ to. Nei quarantacinque anni trascorsi a

di ffondere la sua dottrina, egli predica senza sosta nell'India Occidentale per­ correndola in lungo e in largo negli otto mesi all'anno senza piogge, a volte ac­ compagnato da oltre cinquecento allie­ vi, mentre si rifugia nei mesi monsonici nelle pansala (capanne) di un boschetto presso Rajagriha, dono del sovrano Bimbisara.

91 « Questa, o monaci, la nobile verità sul dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore; l'unione con ciò che non si ama è dolore, la separazione da ciò che si ama è dolore. Dolore è non raggiungere ciò che si desidera. I cinque legami (skandha) so­ no dolore. Questa, o monaci, la nobile ve­ rità sull'origine del dolore: la bramosia che si rinnova a ogni rinascita, la ricerca del piacere nelle cose terrene e l'avidità, la bramosia del divenire e dell'essere, la bramosia dell'impermanenza. Questa, o monaci, la nobile verità sulla cessazione del dolore: l'eliminazione della bramosia attraverso l'annullamento dei desideri, la rinuncia totale al desiderio, il distacco as­ soluto da tutto ciò che si desidera. Que­ sta, o monaci, la nobile verità sulla cessa­ zione del dolore: il nobile ottuplice sen­ tiero - retta visione, retta risoluzione, retto parlare, retto agire, retto modo di sostentarsi, retto sforzo, retta concentra­ zione, retta meditazione» .

Fine della vita terrena e parinirval)a Il Buddha trascorre gli ultimi anni di vi­ ta in un monastero a Sravasti. Quando è ormai ottantenne, convoca i suoi mo­ naci e tre mesi più tardi, terminato il monsone, parte alla volta di Kusinaga­ ra. Nel corso del cammino fa sosta nel bosco di mango nei pressi di Pava, dove mangia dei funghi offertigli dal figlio del fabbro del luogo, Cunda. Forse per avvelenamento da funghi o forse per il riàcutizzarsi di un male che già lo aveva assalito in passato, egli viene colto da febbri altissime. Decide comunque di rimettersi in viaggio, ma la malattia lo costringe a fermarsi in un boschetto di alberi sala, alle porte di Kusinagara. È qui che si accomiata dai fedeli : « Dopo la mia morte, insegnate il bene, fate del bene, operate nel bene. Se così agirete, io sarò sempre al vostro fianco » . Si fa dunque preparare il giaciglio da Anan­ da, il discepolo prediletto, vicino al fiu­ me Hiranyanvati e sotto due alberi sala in fiore, e si corica sul fianco destro con

Buddhismo il capo rivolto a occidente. Le ultime sue parole sono: « Monaci, io vi dico: tutto trascorre e perisce. Ma il vostro compito è di cercare la verità e mirare alla salvezza eterna». Poi spira entran­ do nell'estasi e risalendo i quattro livelli della meditazione e i cinque stadi della liberazione fino a raggiungere la sfera suprema, la non distinzione fra coscien­ za e incoscienza. Ridiscende quindi at­ traverso i nove livelli fino a tornare al primo stadio della meditazione, per poi ripercorrere nuovamente le quattro sfe­ re : il tathagata ( « il perfetto» ) raggiunge così il mahaparinirvii11a (sanscrito; pali: mahaparinibbana, il nirva11a finale, l'il­ luminazione suprema). In quell'istante la terra prende a tremare e roboanti tuoni si scatenano in cielo. I nobili di Kusinagara celebrano per sette giorni le esequie. I l sesto e il setti­ mo giorno il corpo del Buddha viene avvolto in cinquecento vesti, asperso di unguenti e posto sulla pira funeraria dove viene cremato. M a subito si accen­ de la disputa per la spartizione delle re­ liquie, infine divise tra i nove regni in cui il Buddha aveva predicato la sua · dottrina. Tra gli altri, anche gli Sakya di Kapilavastu ricevono la loro urna con­ tenente le ceneri del Buddha. I nove regni fanno edificare altrettanti tumuli funebri (sanscrito: stupa; pali: thupa) sulle urne che contenevano le re­ liquie. In seguito si sviluppò il culto delle reliquie del Buddha e molti altri tumuli vennero eretti nei luoghi sacri del Bud­ dhismo senza tuttavia contenere l'um funeraria, a differenza dei primi s

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I l Buddha non nominò �.-'�-..:: sore, limitandosi a s_>> . Ed è in questa forma che il Buddlllsmo si avvia a diventare dal 1 secolo in poi una grande religione mondiale.

Buddhismo

95 Dall'interpretazione dei sutra del Ma­ hayana del I secolo d.C. si delinea una prima corrente, quella dei Mahasailghi­ ka ( « membri della grande comunità » ). Questa scuola aveva avuto origine dal­ l'alveo dello Hinayana a partire dal ter­ zo concilio nel IV secolo a.C., quando il monaco indiano Mahadeva enunciò cinque proposizioni rivoluzionarie, pro­ vocando uno scisma dagli Sthavira. Le cinque proposizioni riguardavano gli ideali della vita monastica e lo arhat ( « santo » ), figura centrale nello Hina­ yana. La scuola dei Madhyamika ( « seguaci della via di mezzo » ) è una delle più im­ portanti del Buddhismo Mahayana in­ diano. Deriva dalla scuola dei Mahasailghika e fu fondata da Nagarjuna (circa 1 00- 165 d.C.), celeber­ rimo pensatore indiano. Altri importan­ ti rappresentanti di questa corrente fu­ rono A ryadeva (11-III secolo), Candra­ kirti (vi secolo) e Santideva (vii secolo). È chiamata «dottrina della via di mez­ ZO» poiché si collocava in una posizione intermedia fra le dottrine dell'essere e del non essere. Questi concetti non han­ no alcun senso - sostiene la scuola dei Madhyamika - poiché tutto è relativo. e quindi non esistono un vero e un fai-

so, un essere e un non essere. La realtà è di per sé indefinibile e vuota di ogni definizione; ad essa ci si può riferire soltanto negativamente come « vuoto assoluto» (sunyata). Questa scuola viene infatti chiamata, a volte, dei Siinyavadin. Secondo la formula usata da Nagarjuna, la realtà assoluta non è né A né non A, né la negazione di en­ trambi. In questo senso l'illuminazione consiste nel riconoscere che, pur essen­ done inconsapevoli, si è tutti già fin dal­ l'inizio in uno stato di nirvaf)a. Questa scuola si è diffusa in seguito in Cina, con il nome di Sanlongzong e in Giappone come Sanronshu. 11 Vijiianavada ( « scuola degli assertori del pensiero» ) o Cittamatrata ( « dottri­ na della mente come unica realtà )) ) è la corrente filosofica che più ha influenza­ to i seguaci dell'idealismo buddhista noti come yogacara ( « Osservanti lo yo­ ga)) ). I suoi più importanti rappresen­ tanti sono Asailga (Iv-v secolo d.C.), autore del Mahayanasutralalflkara, il suo maestro Maitreyanatha (Iv secolo d.C.) e il fratello di Asanga, Vasubandhu. Questa scuola nasce in contrapposizio­ ne a quella dei Madhyamika, con cui tuttavia condivide la concezione della realtà empirica come illusione e dell' as-

l Il Bodhisattva Padmapani: scultura ( VIII sec.) del monastero di Ratuagiri neii'Orissa (India). 2 Il Bodhisattva A valokitesvara ha assunto nella devozione popolare cinese anche un aspetto femminile ed è chiamato Guanyin: statua cinese in legno dorato d'epoca Tang. Chicago, Art Institute.

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Buddhismo soluto come entità da attingere attra­ verso l'intuizione mistica. L'assoluto viene invece definito non più in termini negativi bensì mediante il concetto po­ sitivo di tathatii, la coscienza universale, assolutamente pura, immutabile, che non conosce distinzione fra soggetto e oggetto. La grande illusione universale deriva dal fatto che si percepisce il mondo esterno come altro da sé, mentre è solo emanazione della coscienza. La tathatii è dunque la realtà assoluta e il mondo oggettivo così come viene speri­ mentato dall'lo è solo una realtà imma­ ginata. Tutto esiste soltanto nella men­ te, nella coscienza, anche quei processi che ci sembrano esterni ed empirici. Per la « dottrina della mente come unica realtà» tutto l'esistente non è che illu­ sione dei sensi e, per i suoi seguaci, lo yoga costituisce una possibilità di dive­ nire Bodhisattva. La scuola buddhista giapponese nota come Hossoshu appartiene alla tradi­ zione degli Y ogacara, che il Giappone conobbe attraverso la Cina con Xuan Zang. Fondata da Dòshò (629-700) in­ torno al 653-57, fu una delle « Sette di N ara» ed ebbe oltre 270.000 seguaci. Anche la scuola cinese Tiantai si inne­ sta nella tradizione degli Y ogacara. Fondata intorno all'anno 580, prese il nome dal monastero situato sul monte Tiantai. I suoi seguaci praticavano una forma intermedia di ascesi tra lo studio e la meditazione e la scrittura principale a cui faceva riferimento era il Saddhar­ mapufJ4arfkasutra, il «Sutra del Loto deUa buona legge» . Venne introdotta in Giappone nell'80S dal monaco Saichò (767-822), noto anche come Dengyo Daishi (giapponese: « il gr_ande maestro che trasmette la dottrina» ), e si chiamò scuola Tendai. Suo centro divenne l'En­ ryakuji, uno dei monasteri edificati sul monte Hiei. Dal Tendaishii ( giappone­ se : « Scuola tendai » ) si svilupparono nel periodo Kamakura ( 1 1 86- 1 333) il Ni­ chirenshii e il Jòdoshu.

96 Il Nichirenshii, con i suoi dodici milioni di seguaci, è attualmente la seconda scuola buddhista giapponese. Fu fonda­ ta nel 1 253 da Nichiren ( 1 222-82) - da cui il nome - il quale, dopo aver stu­ diato le varie correnti di pensiero bud­ dhista, giunse alla conclusione che il punto centrale della dottrina impartita dal Buddha stesse proprio nel « Sutra del Loto della buona legge » . Per questo la scuola da lui fondata viene talvolta denominata anche Hokkeshii (giappo­ nese: « Scuola del Loto » ). Nel 1 253 Ni­ chiren salì sulla cima del monte Kiyo­ zumi dove recitò solennemente, per die­ ci volte consecutive, la formula namu myohorengekyo (giapponese: «Onore al Su tra del Loto della buona legge » ) che esprimeva la verità da diffondere. La dottrina della scuola fondata da Nichi­ ren può riassumersi in cinque punti : l . kyo: il « Su tra del Loto» è l'unica e in­ confutabile dottrina nell'epoca di dege­ nerazione della legge buddhista (map­ pa); 2. ki: gli uomini che vivono in que­ sta epoca devono conformarsi à tale dottrina; 3. )i: l'unica preghiera adegua­ ta è la formula del sutra; 4. koku: il Giappone è la nazione eletta, deposita­ ria della legge buddhista; 5. jo: il Nichi­ renshii è ·l'unica scuola buddhista nell'e­ poca di degenerazione della legge e tut­ te le altre non hanno alcuna legittima­ zione. I principi teorizzati da N ichiren gli co­ starono per due volte l'esilio e perfino una minaccia di condanna a morte. Tra le nuove religioni che ripropongono temi analoghi sono il Reiyukai, il Soka gakkai e il Rissho koseikai, o religioni del « Sutra del Loto », in quanto auspi­ cano la risoluzione dei problemi etico­ sociali attraverso la lettura e l'interpre­ tazione dell'antico sutra. Il termine Amidismo si riferisce a varie correnti del Buddhismo giapponese, tutte incentrate sulla figura del Buddha Amida. Per ottenere la salvezza, i segua­ ci di queste scuole devono meditare con

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97 sincerità e devozione su Amida ripeten­ do la formula Namu Amida Butsu (glo­ ria al Buddha Amida) e per questo ven­ gono definite anche scuole Nenbutsu (giapponese: « meditazione sul Bud­ dha » ). L' Amidismo si rifà alla scuola ci­ nese Jingtuzong (cinese: « Scuola della



l Il Buddha a are al monaco giapponese Kobo Daishi, ondatore del rimo m_onaste�o de la setta budd sta Shingon: pzttura gzapponese su carta (XV-XV[ sec.). Collezione privata. 2 Il monaco Zemmui, figura eminente della setta giapponese Tendai: dipinto su seta (XII sec.). Hyogo, Tempio di lchi.Jo.

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terra pura » ) fondata intorno al 400 da Huiyuan (333-4 1 6) e i cui più illustri maestri furono Danlun (476-542) e Shandao (6 1 3-68 1 ). Centrale nei culti amidisti è la credenza che il Buddha Amida, vissuto in un'era remota personificato nel monaco Dhar-

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Il •paradiso• del Buddha Amita (Amitiibha in sanscrito e A mida in giapponese): pittura cinese su carta ( Vl I sec.). Londra, British Museum.

99 makara, abbia fatto voto di rinuncia al nirval'}a affinché tutti gli esseri viventi possano entrare nella sua « terra pura », nel paradiso d'occidente (sanscrito : su­ khavati) di cui egli è unico sovrano; a li­ vello popolare, si ritiene che, per rag­ giungere questa meta, essi dovranno in­ vocare dieci volte con totale sincerità il suo nome (Namu A mida Butsu). L'im­ mensa rillsericordia di Amida pervade tutti gli esseri viventi e l'uomo non do­ vrà far altro che affidarsi alla sua grazia attraverso il nenbutsu. Scuole amidiste sono il Jodoshu, il Jodoshinshu, il Jishu e il Nenbutsushu. Il Jodoshu (giapponese: « Scuola della terra pura») ha oggi quattro milioni e mezzo di seguaci. Fu introdotto in Giappone nel 1 1 75 da Honen Shonin ( 1 1 3 3- 1 2 1 2) e uno dei suoi più illustri diffusori fu il monaco Genshin, che operava all'interno della scuola tendai. La scrittura fondamentale a cui faceva riferimento questa corrente era il Su­ khiivativyuha dove il concetto di nirval'}a veniva sostituito dall'immagine della « terra pura », il Paradiso d'occidente nel quale regna A mitabha (nome sanscrito del Buddha da cui deriva la forma giap­ ponese A�da). L'invocazione ad Ami­ tabha era inizialmente legata a pratiche devozionali e orazioni mentali : in segui­ to, si passò a credere che la sola invoca­ zione garantisse di per sé la salvezza e la rinascita nel paradiso. I seguaci devono così invocare Amida almeno una volta nella vita ripetendo la formula Namu A mida Butsu. La tradizione vuole che invece lo stesso Honen abbia recitato questa invocazione settantamila volte in un sol giorno. In seguito, intorno al 1 1 24, il monaco Shinran ( 1 1 73- 1 263) discepolo di Honen fondò il Jodoshinshii (giappone­ se: « Vera scuola della terra pura»), setta buddhista oggi assai diffusa in Giappo­ ne con centro ideale in un tempio di Kyoto, il Nishihonganji. Shinran insiste sull'efficacia assoluta

Buddhismo della fede dell'adepto, a prescindere dalle azioni compiute. Auspica dunque l'uguaglianza fra monaco e laico e fra uomo e donna. Per dimostrare con maggior incisività il proprio pensiero ­ la salvezza elargita da Amida non ha re­ lazione alcuna con le regole monastiche (ad esempio. il digiuno e il celibato) si sposa nel 1 203 e diventa padre di set­ te figli. La sua opera principale, Kyogyoshinsho (giapponese: « dottrina, pratica, fede, risultato » ) fu redatta nel 1 224. Un'altra figura illustre del Jodo­ shinshii fu il monaco Rennyo ( 1 4 1 51 499), che tradusse dal cinese i testi principali di questa scuola. Il Buddhismo Zen (giapponese: « medi­ tazione» ; sanscrito: dhyana; cinese: chan) ha attualmente in Giappone oltre nove milioni di seguaci. Lo Zen giappo­ nese riprende il Chanzong cinese ( « Scuola della . meditazione»), un inse­ gnamento a sua volta giunto in Cina dall'India con Bodhidhanna (498-56 1 ), considerato il ventottesimo patriarca del Buddhismo indiano e primo patriar­ ca del Chan cinese, da lui fondato nel­ l'anno 526 d.C. Secondo la tradizione, egli sedette immobile in meditazione per nove anni prima di raggiungere l'il­ luminazione. · In seguito fu Huineng (637-7 1 3), il sesto patriarca cinese, a conferire al Buddhismo Zen una mag­ giore sistematicità. Altre grandi figure di maestri furono il quarto e il quinto patriarca, Daoxin (giapponese: Doshin) e Hongren (giapponese: Gumn ). Questa forma di Buddhismo venne m­ trodotta in Giappone all'inizio del pe­ riodo Kamakura ( 1 1 85 - 1 333) dai mona­ ci Eisai ( 1 1 4 1 - 1 2 1 5) e Dogen ( 1 200.: 1 250). Il primo fondò nel 1 202 la scuola di Buddhismo Zen Rinzai, che oggi ha circa tre milioni di seguaci e il suo cen­ tro principale a Kyoto; il secondo la scuola Soto nel 1 228, che attualmente vanta circa sette milio� di adepti e ha la sua sede spirituale nello Eiheiji, un tempio nella provincia di Echizen fon-

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Discepolo del Buddha nelle sembianze del padre del sacerdote Zen Zensai (XV sec.). Nare, Museo Yamato Bunkakan. dato appunto da Dògen. Nell'opera maggiore di Dògen, Shobogenzo, vengo­ no delineati tra l'altro alcuni dei princi­ pi fondamentali della filosofia e della pratica Zen. U na terza scuola, seppur di minore importanza e diffusione, fu fon­ data nel 1 654 da Ingen ( 1 592- 1 673) : si tratta della scuola Obaku il cui tempio principale è il Manpukuji. La meditazione nella posizione detta del loto, ovvero seduti in un certo modo (giapponese: zazen; sanscrito: padmiisa­ na), è un elemento centrale della pratica Zen. È attraverso la meditazione infatti che l'uomo giunge a riconoscere l'unità intrinseca dell' Essere, che contiene in sé umiltà e nobiltà, sacro e profano, in una totalità che non conosce opposizioni. Nell'ultimo secolo l'afflato mistico delle scuole Zen ha conosciuto una notevole fortuna anche. in occidente, in partico­ lare in Europa e negli Stati Uniti.

Vajrayina

Il Vajrayana (c veicolo di diamante » ) o

1 00 Mantrayana ( « veicolo delle formule magiche » ) è la terza grande corrente del Buddhismo e ha a tutt'oggi 20.000.000 e più di seguaci. Viene denominato anche Tantrayana (da tan tra : « trama e ordi­ to», termine riferito a testi indiani sia buddhisti sia induistici). È il veicolo esoterico per giungere al nirwifJ.a, grazie agli insegnamenti segreti che come un filo teso legano il maestro e il discepolo. Questa forma di Buddhismo è diffusa nelle regioni himalayane, in particolare in Tibet. Si sviluppò a partire dal VI-VII secolo d.C., conferendo particolare im­ portanza a formule sacre (mantra), la cui ripetizione in funzione meditativa poteva conferire l'illuminazione, insie­ me alla meditazione su diagrammi ( maf)qala), o su particolari posizioni della mano (mudrii), ricche di espressi­ vità simbolica. Il Vajrayana si diffuse anche in Nepal, Cina e Giappone. Lo Shingonshii (giapponese : « Scuola della vera parola »), o scuola dei mantra,

Lohan, l'uomo che con le sue sole forze ha raggiunto il Nirvana: terracotta (X-XI sec.). Filadelfia, University Museum.

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Particolare di un maf}cjala, diagramma simbolico utilizzato come ausilio alla meditazione nella corrente Vajrayana: pittura su stoffa (thanka) tibetana. Collezione privata.

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Buddhismo venne introdotto i n Giappone nell'806 dal monaco Kiikai (774-845), a cui ven­ ne attribuito il nome postumo di Kobo Daishi (giapponese: « il grande maestro che predica la legge» ). Lo Shingonshii ha il suo corrispettivo cinese nel Mi­ zong (cinese: « scuola dei misteri » ) fon­ dato nel 720 da Shan Wuwei . (637-735). I n Giappone questa scuola ha oggi oltre dieci milioni di seguaci. Centro dell'at­ tività di Kukai - celebre anche come poeta, calligrafo, pittore, scultore e ar­ chitetto - fu il Kongobunji, un tempio che egli stesso fece erigere sul monte Koya, a circa 1 00 km dall'odierna Tokyo. Il Dainichikyo (giapponese: « Sutra della saggezza suprema» o del « Sole centrale» ; sanscrito: Mahiivairo­ canasutra), è la scrittura principale a cui fa riferimento questa scuola.

Vajrayana in Tibet (o Lamaismo) Tutte le forme di Buddhismo Vajrayàna sviluppatesi in Tibet sono state chiama­ te dai primi orientalisti, con termine im­ proprio, Lamaismo, da Lama (tibetano: bla-ma, « maestro »). Tale dottrina è dif­ fusa anche in Bhutan, Ladakh, Manciu­ ria, Mongolia, N epal, Cina del N ord e Sikkim. Diffusore del Vajrayàna in Tibet fu il monaco indiano Padmasambhava, ivi giunto al tempo del re Ral-pa-can (mor­ to ne11'836), agli inizi dell'viii secolo. Padmasambhava fondò la scuola rNin­ ma-pa (tibetano: « antica scuola» o «an­ tico ordine » ) e da quel momento venne venerato dai tibetani come rinpo-tse, il «prezioso» : la sua immagine, affiancata da quella delle due mogli, campeggia nei templi di questa scuola. Nel 747 fe-

l Ritratto di Da/ai Lama; le impronte delle mani e dei piedi con il simbolo della ruota rappresentano la nuova incarnazione del Buddha: pittura tibetana moderna. Parigi, Musée Guimet. 2 Il Buddha attorniato dai lama della scuola dei « berretti gialli». Coli. priv.

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l'imperatore mongolo Qubilai Khan. I l successivo crollo della dominazione mongola coincise con l'inizio della de.. cadenza dei « berretti rossi ». La scuola dGe-lugs-pa o dei «berretti gialli», dal colore dei copricapi e delle vesti 'indossate dai suoi Lama, arrestò il processo di declino del Vajrayana. I due centri dell'ordine furono il monastero di Lhasa, dove risiedeva il Dalai Lama, e il monastero di Tashilumpo, vicino· Shigatse, residenza del Panchen Lama. La scuola dei « berretti gialli» fu fonda­ ta nel 1 407 da Tson-kha-pa ( 1 3571 4 1 9), il più grande riformatore del Buddhismo tibetano. Egli intraprese in­ fatti una strenua lotta per il rinnova­ mento della dottrina e dell'etica bud­ dhista in Tibet e, fra l'altro, reintrodus­ se il celibato. Col tempo, i «berretti gialli » hanno sostituito i « berretti rossi» Il monastero Pota/a a Lhasa: pittura tibetana (X VIII sec.). Parigi, Musée Guimet. in quasi tutti i centri nevralgici del paese. Nei templi di questa scuola, la statua di ce edificare il primo monastero del Ti­ Tson-kha-pa occupa sempre un posto bet e intorno al 770 fondò il monastero centrale. Secondo la tradizione il Lama ascese al cielo dinanzi al suo popolo, af­ bSam-yas, a circa 80 km da Lhasa. L'ordine più noto in Occidente tuttavia fiancato dai suoi discepoli prediletti, è il b Ka'-brgy-ud-pa, istituito nell'xi se­ dGe-'dun-grub ( 1 39 1 - 1 475), il primo colo dall'asceta Mar-pa ( 1 0 1 2- 1 096). Dalai Lama, e m.Khas-grub-rje ( 1 385Seguace di questa scuola fu anche il ce­ 1 438), il primo Panchen Lama. Da que­ lebre poeta e asceta Milarepa ( tibetano: sto momento in poi la successione non Mi-la-ras-pa, l 040- 1 1 23), discepolo di sarà più di padre in figlio, ma seguirà il Mar-pa e autore di alcuni dei Centomila principio della reincarnazione. Secondo canti: in quest'opera, solo in seguito tale dottrina, i Lama viventi non sono riorganizzata come raccolta di versi, altro che la manifestazione in terra di egli rievoca la propria vita, creando un Buddha e Bodhisattva. Dopo la loro grandioso affresco epico assai popolare morte dunque, un Buddha o un Bodhi­ sattva si reincama in un bambino appe­ in Tibet. L'ordine Sa-skya-pa prende il nome dal na nato, che verrà riconosciuto in base monastero fondato nel l 073 nel Tibet ad alcuni segni particolari e subito rico­ Occidentale, appunto il Sa-Skya, dove nosciuto guida spirituale e temporale fiorì questa scuola. E poiché i seguaci della comunità. Con questo criterio di indossano vestiti e berretti rossi, sono successione, la scuola dei «berretti gial­ anche chiamati « berretti rossi » . I Lama li» ha istituito una doppia gerarchia ba­ · che si avvicendarono alla guida del mo­ sata sulle figure del Dalai Lama e del nastero di Sa-Skya dall'xi fino alla metà Panchen Lama. E Dalai Lama (Da/ai in del XIV secolo costituirono una vera e lingua mongola significa « grande ocea­ propria dinastia investita anche del po­ no» , Lama, in tibetano scritto bla-ma, tere temporale, grazie all'intervento del- « maestro » , quindi Oceanico Maestro) è

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Buddhismo dal 1 578 il ti tolo più alto della gerarchia ecclesiastica tibetana. Egli risiedeva nel monastero di Lhasa, capo supremo del­ l'ordine. reincarnazione del Bodhi sattva Avalokitesvara che continuerà a mani­ festarsi in terra all'infinito attraverso i . suo1 successon. L'attuale Dalai Lama, il ql!attordicesi­ mo, risiedeva anch'egli nel palazzo Po­ tala di Lhasa. Ma, nel 1 95 1 , il Tibet venne occupato dai Cinesi; nel 1 959, dopo una rivolta contro le nuove auto­ rità, egli venne costretto all'esilio in In­ dia. Il Dalai Lama infatti è anche un capo politico, al contrario del Panchen Lama, investito del solo potere spiritua­ le. Per i Buddhisti tibetani la città di Lhasa ( tibetano: « terra delle divinità») è dunque il luogo sacro per eccellenza anche perché ospita la residenza del Dalai Lama. Panchen Lama (tibetano: panchen-rinpo-che, « gioiello del dotto » ) è invece il titolo conferito al Lama posto a capo del monastero di Tashilumpo, presso Shigatse, a circa 200 km a ovest di Lha­ sa. Il Panchen Lama è considerato una reincamazione del Buddha Amitabha. Al contrario del Dalai Lama, che radu­ na in sé sia il potere spirituale sia il po­ tere temporale, il Panchen Lama ha un ruolo esclusivamente religioso. Tale dif­ ferenziazione di poteri ha implicato un contrasto di tipo politico, che nell'ulti­ mo secolo si è concretizzato nelle sim­ patie del Panchen Lama per la Cina e del Dalai Lama per l'India. Fu così che nel 1 923 il Panchen Lama riparò in Ci­ na, dove morì nel 1 937; e sempre in Ci­ na venne proclamato nel 1 944 il suo successore, che soltanto nel 1 95 1 - 1 952 poté far ritorno in Tibet. Viceversa, do­ po l'occl!pazione cinese, il quattordice­ simo e attuale Dalai Lama è stato co­ stretto all'esilio in India, dove vive tut­ tora nella città di Dharamsala. Il Pan­ chen Lama, rimasto in patria, ha ap­ poggiato invece fino alla morte la poli­ tica della Cina Popolare. .

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LA DOTTRI NA DEL B U DDHA : I L DHARMA

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t re elemen t i fond a mç n ta l i JL· l B u J J h i ­

smo originario sono: i l Buddha, i l dhar­ ma, e il sahgha. I nsieme formano il tri­ ratna ( « le tre gemme » ) che Gautama espose ai primi discepol i : « lo mi rifugio nel Buddha, nel dharma (la sua dottri­ na), nel sahgha (la sua comunità) » . Re­ citare per tre volte la formula delle « tre gemme» implica il riconoscimento della dottrina del Buddha. Nelle riunioni di laici e monaci buddhisti o dinanzi ai re­ liquari, questa formula viene infatti re­ ci tat a dai devoti per tre voi te consecutive.

Il Buddha e la divinità Il Buddha non ha mai risposto alla dQ­ manda sull'esistenza di Dio, non cons1derandola fondamentale ai fini della salvezza. Quando gli viene chiesto se esista una divinità trascendente, egli si limita a indicare come unica via la stra­ da che conduce gli esseri umani alla li­ berazione. Un'antica parabola buddhi­ sta narra di un uomo che scopre all'im­ provviso, celato dalla foresta vergine, il sentiero che conduce in città: metafora del Buddha, che sa riconoscere e indica­ re al mpndo l'origine del dolore, celata dalla realtà, e la via per liberarsene. Secondo lo Hinayana, il Buddha è l'es­ sere più saggio, più nobile e più benevo­ lo dell'attuale era cosmica ed egli stesso non si considera una divinità, bensì semplicemente colui che indica la via della salvezza. Per questa corrente del Buddhismo Gautama è solo l'ultimo in ordine di tempo dei Buddha comparsi nelle varie epoche della storia dell'uma­ nità. Il Buddhismo Mahayana considera Gautama la manifestazione visibile di un Buddha ultraterreno dalla triplice essenza (trikaya, i « tre corpi » del Bud­ dha). La prima, il « corpo della creazio­ ne» (nirmarJakaya), è legata al tempo e allo spazio, e corrisponde al Buddha

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Buddhismo

storico; il Buddha come essere umano è però solo un'ombra del « terzo corpo» : ciò che conta è la sua dottrina. Il secon­ do kaya è il « corpo di godimento» (san:zbhogakaya) con cui il Buddha si manifesta ai soli Bodhisattva con le trentadue caratteristiche dell'uomo co­ smico, e rappresenta l'aspetto della bea-

titudine, oltre il tempo e lo spazio, di cui il Buddha gode nel suo paradiso ce­ leste. I n questa fase il « corpo» del Bud­ dha ha la stessa centralità della dottrina da lui predicata. N el suo terzo aspetto, il dharmakaya ( «corpo della legge »), il Buddha coincide con l'Assoluto. E pura essenza, illuminazione suprema, è la

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Simboli buddhisti l La «ruota della legge» (dharmacakra); simbolo della dottrina del Buddha, la ruota si richiama, nella tradizione indiana, al sole, il cui dio, Surya, siede in basso: scultura ( VI- VII sec.). Bangkok, Museo Nazionale. 2 L'adorazione del « Triratna», il Buddha, il suo insegnamento e il suo ordine, rappresentati da tre ruote: bassorilievo (Il sec.). Calcutta, lndian Museum. 3 La «trikaya »: scultura in bronzo dorato ( VII sec.). Nara-Ken (Giappone), Tempio di Horyu.

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Buddhismo

1 06 Gli dei induisti Brahmii (a sinistra) e Jndra invitano il Buddha, seduto sotto l'albero dell'illuminazione, a comunicare agli altri esseri la sua esperienza di liberazione: anche le divinità, infatti, essendo inserite nel ciclo delle trasmigrazioni, sono interessate alla sua predicazione: rilievo (Il sec.). Roma, Museo Nazionale d'Arte Orientale.

buddhità» presente nella dimensione più profonda di tutti gli esseri e di tutte le cose. In questa fase il Buddha non è più né personificazione, né manifesta­ zione di alcunché, è l'anima vitale del mondo, la buddhi tà del cosmo. I tre corpi o essenze del Buddha vengo­ no concepiti nel corso della storia come emanazioni di un « Buddha originario» ( Adibuddha). L'Adibuddha è essenza del vuoto co­ smico (sunya), la sua condizione è quel­ la del nirva1Ja, ed è pura luce. Attraver­ so cinque meditazioni su se stesso crea i cinque Dhyanibuddha ( « Buddha della meditazione » ). Cinque perché altrettan­ ti sono i sensi di cui l'uomo è dotato, cinque le virtù, i colori e le regioni del mondo sulle quali regnano i Dhyani­ buddha. Contemporaneamente simbo­ leggiano, con le posizioni del corpo (iisana) e delle mani (mudra), i cinque episodi centrali della vita del Buddha storico, Gautama: quattro incentrati sulla sua illuminazione, uno sul sermo­ ne di Benares. ·I cinque Dhyanibuddha sono: Vairoca­ na, Aksobhya, Ratnasarpbhava, Ami­ tabha, Amoghasiddhi. Il più popolare è senza dubbio Amitabha (sanscrito: cdu­ ce infini ta » ; cinese: Amita; giapponese : «

A mida; tibetano: Oddpag-med). Egli re­ gna in un punto cardinale indefinito corrispondente all'occidente, nel suo paradiso o « terra pura» (sukhavati) do­ ve accoglie chiunque invochi il suo no­ me con fede e devozione sincera. Nell'i­ conografia è rappresentato in rosso, con le mani in grembo nella posizione di meditazione del Buddha Gautama. Ma i cinque Dhyanibuddha, essendo dharmakaya, pura essenza, non possono rendere partecipi l'uomo del loro nir­ va1Ja, né manifestarsi in terra. Per que­ sto, attraverso la meditazione, vengono creati anche i cinque Dhyanibodhisat­ tva ( Bodhisattva della meditazione) che in forza del loro «Corpo di godimento» (sarrzbhogakaya) possono operare nel mondo. I cinque Dhyanibodhisattva sono: Sa­ mantabhadra, VajrapaJ)i, Ratnapal)i, Avalokitesvara e Visvapani, i creatori dei mondi che si susseguono l'uno dopo l'altro nel corso delle ere cosmiche (kal­ pa). Tre kalpa sono ormai trastorsi nel momento in cui Avalokitesvara, protet­ to dal Dhyanibuddha Amithaba, crea l'attuale mondo nella quarta era cosmi­ ca. Avalokitesvara ( « Colui che guarda compassionevole dall'alto») è nel Ma­ hayana il Bodhisattva più celebrato,

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1 07 1 Uno degli « inferni» in cui i peccatori scontano la punizione secondo la corrente Mahiiyiina: pittura giapponese su carta. Tokyo, Museo Nazionale. 2 Dee con teste animali che, secondo la corrente Vajrayiina, appaiono, nel tempo intermedio tra la morte e la rinascita, agli uomini lontani dalla liberazione: « thanka» tibetano. A msterdam, Museum van Aziatische Kunst. 3 Il Buddha scende sulla terra: miniatura da un manoscritto birmano. Londra, British Library.

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emanazione di Amithaba. Al « corpo della legge» (dharmakiiya) del Dhyani­ buddha Amithaba corrisponde dunque il « Corpo di godimento» (sarrzbhogakii­ ya) del Dhyanibodhisattva Avalokites­ vara, il quale ha fatto sì che si manife­ stasse in terra il Manu�ibuddha ( « Bud­ dha umano» ) Gautama con il suo «Cor­ po della creazione» (nirmiitJakiiya). I n quanto Bodhisattva, Avalokitesvara

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rinuncia al nirvii1Ja, e dunque a divenire un Buddha, per far sì che tutta l'umani­ tà possa conseguire l'illuminazione. A rappresentare il suo spirito universali­ stico, l'iconografia lo dipinge con dieci volti rivolti in tutte le direzioni. Egli è l'essenza stessa della misericordia e del­ la compassione ed uno dei suoi attributi principali è il rosario. In Cina Avalokitesvara è venerato in un

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1 08 1 l cinque « Buddha della meditazione» (Dhyiinibuddha), creati attraverso la meditazione dal « Buddha orjginario» (A dibuddha): sculture giapponesi (lX sec.). Kyoto, Tempio di A njo. 2 Cinque Bodhisattva: sculture giapponesi in legno dipinto (lX sec.). Kyoto, Tempio di fingo.

aspetto femminile, la dea della miseri­ Lama stesso è considerato un'incar­ cordia Guanyin, invocata dai devoti per nazione di Avalokitesvara (tibetano: ottenere la sua grazia. È presente nel­ sPyan -rassz ips ). l'arte in un'infinità di rappresentazioni, I Dhyanibodhisattva tuttavia non pos­ figura versatile come nessun'altra nel sono rivelarsi direttamente all'uomo e Buddhismo cinese. Anche in Giappone non abbandonano mai il loro palazzo di A valok.i tesvara viene celebrato in forma cristallo nella quinta regione del cielo. femminile, con il nome di Kannon, dea Perciò ai cinque Dhyànibodhisattva che i pellegrirll onorano recandosi ai corrispondono cinque Manu�ibuddha, trentatré templi ad essa dedicati nel o « Buddha uman i » , manifestazione in Giappone Occidentale e al grande san­ terra dei Bodhisattva: Krakucchanda, tuario nel parco Asakusa di Tokyo. Kanakamuni, Kasyapa, Sakyamuni Nell'iconografia giapponese viene rap­ (Gautama) e Maitreya. I più celebrati presentata con molteplici mani e volti, sono Gautama e il Buddha Maitreya ad indicare la sua infinita misericordia. (sanscrito; pii/i : Metteya; cinese: Miluo­ A volte è raffigurata con un bambino, fu; giapponese: Miroku), il Buddha venin un modo che ricorda la figura cristia­ turo, colui che nella prossima era co­ na della Madonna. In Tibet, il Dalai smica indicherà agli uomini il cammino,

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come Gautama Buddha ha fatto nel mondo attuale. Nel frattempo, in attesa di rivelarsi, dimora nel cielo dei Tu�i ta. Le immagini di questo Bodhisattva so­ no molto popolari e venera te, oggetto di attesa messianica da parte dei devoti. La figura saggia e compassio�evole del Bodhisattva che rinuncia al nirviirJa per il bene dell'umanità è centrale nel Bud­ dhismo M ahayana e i Bodhisattva ve­ nerati nei vari paesi dell'Asia sono alcu­ ne centinaia. Oltre ad Avalokitesvara, sono celebrati �itigarbha (sanscrito; cinese: Dizang; giapponese: Jizo), pro­ tettore dei bambini, delle donne gravide e dei pellegrini, e Maiijusri ( « colui che è di una bellezza affascinante » ). Quest'ul­ timo è patrono della scienza e il suo scopo è quello di combattere l'ignoran­ za; nell'iconografia viene perciò rappre­ sentato con una spada e un libro. Nel Buddhismo cinese, accanto a Bud­ dha e Bodhisattva è presente una terza classe di divinità, i Louhan (cinese; giapponese: Rakan ), fra cui Burlai, il « Buddha panciuto » .

Nel Buddhismo Hinayana invece l'uni­ co vero Bodhisattva è considerato Mai­ treya, il Buddha del futuro che attende nel cielo dei Tu�ita il momento per ma­ nifestarsi sulla terra; in questo stesso mondo celeste Siddharta Gautama di­ morò per trentamila anni prima di rive­ larsi all'umanità. Il pantheon del Vajrayana è particolar­ mente ricco e ruota intorno a una triade di divinità composta da Avalokitesvara, Maiijusri e Vajrapat;U. Il Buddhismo Vajrayana conta numerose divinità femminili fra le quali Prajiiapiramita e Tara, quest'ultima particolarmente im­ portante nella sua qualità di consorte di AvaJokitesvara e simbolo di saggezza e di grazia. Nell'iconografia di ispirazione tantrica è rappresentata come sakti bianca (sakti, «potenza» , « energia» e per estensione l'aspetto femminile della divinità che la incarna), nell'abbraccio amoroso con il suo consorte, raffigurato in blu nella forma di un Adibuddha in meditazione. L'immagine dell'unione sessuale simboleggia il congiungimento

Il Buddha futuro, Maitreya: scultura ( VII sec.). Seui, Toksu Palace Museum of Fine A rts. 2 11 /Jodhisattva A valokitesvara: bronzo dorato (XIX sec.). Leida, Rijksmuseum voor Volkenkunde. 3 La dea Prajnaparamita: scultura (XIII sec.). Leida, Rijksmuseum voor Volkenkunde. l

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Una • ruota della vita» tibetana, che rappresenta il perpetuo ciclo delle nascite e delle morti nell'infinità circolare del tempo. A l centro, i tre animali simboleggiano ignoranza, desiderio ed ira, i peccati che tengono gli esseri prigionier: della ruota. Nel cerchio successivo, a destra, la discesa verso forme di vita inferiori; a sinistra, verso stadi superiori. Le sei sezioni rappresentano i modi dell'esistenza. /{cerchio esterno raffigura i dodici anelli (o cause) della catena della vita. Dato che il ciclo delle trasmigrazioni è segnato dalle continue nuove morti, sulla ruota domina la figitra di Yama, signore dell'Oltretomba. New York, American Museum of Natura/ History.

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Il Buddha seduto in trono (a sinistra) e il Buddha in piedi adorato da un devoto (a destra). In entrambe le scene è p resente il dio VajrapdJJi: frammento di fregio (l-II sec.). Torino, Galleria Civica d'Arte Moderna. del principio maschile dell'assoluto tra­ scendente con il principio femminile dell'energia rigeneratrice. Simbolo del maiJi (lett. «gioiello » , membro maschi­ le) è il vajra ( « diamante » ); in opposizio­ ne a esso la yoni (sanscrito: « pube » ) è simboleggiata dal padma ( « fiore di lo­ to» ). Dhyanibuddha e Bodhisattva sono rap­ presentati nell'iconografia del Vajra­ yana in unione amorosa con le loro sak­ ti: le figure simboleggiano per i devoti l'unione intima dello yab-yum (tibeta­ no), il dualismo fondamentale dell'uni­ verso manifesto. Simboleggiano altresi l'identità di nirvaf}a e sarrzsara che per talune scuole di pensiero sono la mede­ sima cosa osservata da due punti di vi­ sta diversi. Secondo il Saktismo, né la sola cono­ scenza, né la sola intuizione possono se­ paratamente condurre alla liberazione; la completezza è data dalla sintesi di entrambe, come dall'unione di uomo e donna. Anche la sakti Tara abbraccia il « corpo della beatitudine» (anandakaya) del Tathagata. Tara riveste un ruolo particolare fra i Bodhisattva femminili. La tradizione vuole infatti che nel VII

secolo d.C. il re tibetano Srong-b tsan sgampo sposasse due principesse bud­ dhiste nate l'una in Cina e l'altra in Ne­ pal, che convertirono il re e il paese in­ tero al Buddhismo. Le due regine furo­ no allora venerate rispettivamente come Tara bianca e Tara verde e considerate le divinità protettrici del Tibet. Alla lo­ ro morte cadde sulla terra una lacrima dell'occhio centrale del -;Bodhisattva Avalokitesvara, per dimostrare agli U9mini che entrambe le donne erano in­ carnazioni della dea Tara. I l Vajrayana comprende nel proprio pantheon anche bdud (tibetano: « demo­ ni » ) ed al tre di vini tà terrifiche.

La cosmologia buddhista La cosmologia buddhista descrive u.n macrocosmo composto da infiniti uni­ versi attigui che fluttuano nello « spa­ zio» (akasa), sostanza primordiale. Ognuno di questi universi presenta una superficie, un centro, una zona inferiore e una superiore. I n quella inferiore si trovano gli inferi, nei quali i vari esseri subiscono delle pene temporanee in ba­ se alle loro azioni. Al di sopra si erge il disco terrestre con il monte Meru al

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Buddhismo centro, dal quale si dipartono i quattro continenti lambiti dai mari. Sulla super­ ficie vivono ammali, uomini, spiriti e demoni. Intorno al monte Meru ruota­ no il sole, la luna e le stelle nella zona superiore al « mondo dell'avidità » , nella regione della «pura forma» o della « non forma» , dimorano gli dei. Tutti i mondi sono soggetti al ciclo con­ tinuo delle nascite e delle morti. Infiniti universi sono già esistiti e periti in pas­ sato, quelli attuali sono ugualmente de­ stinati a scomparire fra molti «eoni » , nuovi ne sorgeranno nel futuro. Ogni mondo esiste per un periodo di tempo denominato mahakalpa, corrispondente a venti ka/pa ( « periodo » ). Un kalpa equivale a molti milioni di anni, il cui numero esatto e la cui periodizzazione interna variano secondo le scuole e i testi. Esistono due categorie di mahakalpa: il mahakalpa della sfera del vuoto in cui non si matùfestano Buddha o Bodhisat­ tva e il mahakalpa della sfera del Bud­ dha, diviso in cinque periodi corrispon­ denti ad altrettante manifestazioni in terra di un Buddha. L'attuale mahaka/­ pa è del secondo tipo: quattro Buddha si sono. già rivelati, l'ultimo in ordine di tempo è stato Gautama, mentre il quin­ to, Maitreya, attende nel cielo dei Tu�i­ ta il momento del suo avvento fra tren­ tamila antù. Il tempo non ha itùzio e non ha fine e tutti gli esseri viventi sono soggetti a un ciclo continuo di morti e rinascite, in un costante mutare della loro natura. Que­ sto ciclo cosmico della morte e della ri­ nascita è il sarrzsara, da cui si esce sol­ tanto attraverso il raggiungimento del

nzrvaT)a.

La ragione di questa ruota del divenire sta nel principio dei nidana (pali: « anel­ li • ). I dodici n idana sono infatti la legge stessa della causalità, secondo la quale ogni elemento è effetto del precedente e causa del successivo. Il primo « anello» della catena, svelatosi al Buddha nel momento dell'illuminazione, è l'igno-

ranza (sanscrito: avidya; pali: avijja) causa prima di un'esistenza vissuta �l dolore, inizio di una catena di errori che porta a infinite sofferenze, alla vecchia­ ia e alla morte. Ne deriva che solo con l'eliminazione dell'ignoranza si potrà porre fine alla catena della causalità, dunque alla morte e alle successive rein­ carnaztoni. La legge della causalità per cui a ogtù azione nella vita presente corrisponde un effetto adeguato in quella successiva è definita dal termine karma (sanscri­ to; pali: kamma, lett. « azione» ). Il desti­ no di ogni essere è quindi legato al com­ portamento tenuto nelle precedenti esi­ stenze e da questo dipenderà la forma della successiva reincarnazione: come demone, animale, spirito, uomo o divi­ nità. La dottrina del karma rende con­ to della diversità dei destini umani e delle vite del singolo mediante una logi­ ca ngorosa. Nell'iconografia tibetana, il principio delle concause è visualizzato nel bhava­ cakra (sanscrito; tibetano: soid-pa khar­ lo, «ruota del divenire » ) : un gigantesco mostro, simbolo della legge karmica, tiene fra le fauci una ruota dai dodici raggi che mostrano altrettante rappre­ sentazioni di forme di esistenza, uomini o dei, spiriti, demoni o animali.

L'uomo e la liberazione

Sarrzsara, nidana e karma costituiscono

la premessa per la dottrina buddhista della liberazione. La ruota delle diverse forme di esistenza continuerà il suo mo­ to perpetuo finché gli uomini rimarran­ no nell'ignoranza, intesa come non rico­ noscimento deli' esistenza come dolore. La dottrina del «dolore » (sanscrito: du}J.kha; pali: dukka) è infatti alla base delle quattro « nobili verità» (sanscrito: arya satyani; pali: ariya sacctini) enun­ ciate per la prima volta da Gautama Buddha ai suoi discepoli nel sermone di Benares. l . « L'esistenza è dolore » .

1 13 Un essere umano, così come anche un mondo, è la risultante delrunione di va­ ri « elementi » (sanscrito: dharma; pali: dhamma) che fluiscono di continuo in un gioco di associazione e dissociazio­ ne, determinando individui e mondi. Questi « elementi » sono riuniti a forma­ re cinque skandha (sanscrito; pali: khandha, « aggregati » ) : rupa cioè forma e materia, vedana cioè sensazione, sa­ rrzjfia (sanscrito; pali: safifia) cioè idee, sarrzskara (sanscrito; pali: sahkhara) cioè impressioni ed emozioni, vijfiana (sanscrito; pali: vififiana) cioè coscienza, principi presenti in ogni forma di vita e attivi nelruomo. Quando un individuo muore o cessa il mondo da lui percepi­ to, si dissolvono i dharma che compon­ gono i cinque skandha, che si ricompor­ ranno nuovamente al momento della ri­ nascita. Ma poiché gli skandha com­ pongono sia rio fenomenico, sia il mondo dalrlo percepito, viene in defi­ nitiva negato il concetto di individualità e di « Ì O » come entità eterna e assoluta. Il Buddhismo non asserisce dunque una « trasmigrazione delle anime» di tipo in­ duista, bensì la reincarnazione di un principio individuale instabile, tran­ seunte e sempre mutevole, legato alla legge del karma e composto da diversi

dharma.

Questa « Originazione dipendente» (san­ sento: pratftya samutpada; pali: pa(icca samuppada) è come una fiamma che mai si estingue, ma solo apparentemen­ , te resta immutabile. L origine del dolo­ re umano risiede proprio nel fatto che il presente è causa del futuro mentre nello stess·o tempo il fu turo non implica con­ tinuità con il presente. L'eliminazione del dolore coincide dun­ que con l'interruzione del flusso conti­ nuo dei mutamenti. Ma per poter rag­ giungere tale scopo, l'uomo deve rico­ noscere la causa del mutamento, che gli di svelerà l'origine del dolore. 2. « L'origine del dolore è il desiderio» . La causa prima del dolore risiede nella

Buddhismo « Sete » (sanscrito: tt:�IJa; pali: tal]hii): se­ te di persistenza dell'esistenza indivi­ duale, desiderio carnale, attaccamento ai beni materiali, aspirazione all'eternità. 3. « L'eliminazione del desiderio porta alla cessazione del dolore» . Liberarsi dall'istinto del desiderio e del­ la bramosia significa liberarsi dal dolo­ re dell'esistenza. 4. « La via che conduce alla rimozione del dolore è il nobile ottuplice sentiero,. . S i elimina il desiderio, l a sete d i essere e di avere, e di conseguenza si interrompe la ruota delle reincarnazioni, imboccan­ do la « via di mezzo» tra ricerca del pia­ cere e mortificazione della carne, nel modo indicato dall' « Ottuplice sentiero» .

Il nirvil)a come liberazione Riconoscere le quattro « nobili verità» implica già il superamento del dolore, percorrere il « nobile ottuplice sentiero» è raggiungere la salvezza finale, attinge­ re il nirvaf)a (sanscrito; pali: nibbana « e­ stinzione» ). Ciò implica l'eliminazione della « Sete» , i l non riconoscersi nell'esistenza indivi­ duale ed effimera, e quindi la cessazio­ ne della legge di causalità che regola il ciclo delle rinascite. Nel senso positivo attribuitogli da alcune scuole, il nirvaf)a è uno stato di pace totale e di gioia as­ soluta, è la verità ultima che solo gli il­ luminati riescono a scorgere. Si può raggiungerlo in vita, prima del nirvaf)a totale (sanscrito: parinirvaf)a; pali: pari­ nibbana) che coincide con la morte fisi­ ca. Secondo lo Hinayana il nirvaf)a è l'antitesi del sarrzsara, ed è condizione che sfugge ad ogni definizione. Nel Ma­ hayana invece sarrzsara e nirvaf}a non sono che due aspetti di una stessa real­ tà, l' « essenza del vuoto » . I l Buddhismo Mahayana h a anche un paradiso vero e proprio, luogo di beati­ tudine suprema (sukhavati), la « terra pura» legata a molti culti popolari in Cina e in Giappone. Il Buddha Ami tabha, che vi regna, promette ai fe-

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Buddhismo deli gioia incontaminata e l'esaudimen­ to di ogni desiderio. E mentre la via del­ la salvezza assoluta è unica, cioè il « no­ bile ottuplice sentiero » , le vie che con­ ducono alla beatitudine celeste sono in­ finite, come infiniti sono secondo il Ma­ hayana i tipi di salvezza. I devoti del Buddha Amida, ad esempio, devono s�­ lo invocarlo con fede profonda per gua­ dagnarsi il suo paradiso. Il monaco giapponese Honen teorizzò infatti che l'invocazione Namu Amida Butsu ( giap­ ponese : « gloria al Buddha Amida » ) fos­ se più efficace della lettura dei sutra. N elle « nuove religioni» del Giappone (shinkoshukyo) fra cui il Soka gakkai e il Risshokoseikai, la via della salvezza è invece la ripetizione del Sutra del Loto.

La donna nel Buddhismo Nella vita del Buddha storico così come la tradizione ce l'ha tramandata, un'im­ portanza rilevante rivestono alcune fi­ gure femminili. l n nanzitutto sua madre Maya, in seguito divenuta oggetto di culto come Maha Maya, e la zia mater­ na nonché madre adottiva, Mahapra­ japati Gotami, la prima monaca bud­ dhista della storia. Si narra inoltre che tra i seguaci di Gautama Buddha ci fos­ sero anche dieci donne, fra cui Sujata, la prima donna a convertirsi alla dottri­ na del Buddha. Nonostante la mancanza di attributi sessuali nelle divinità del pantheon buddhista non vajrayanico, a livello di culto esistono tuttavia, come si è visto, alcuni Bodhisattva femminili, primo fra tutti la dea Guanyin (cinese; giappone­ se : Kannon ). Guanyin in Cina e Kannon in Giappo­ ne sono divinità della misericordia e della compassione, figure assai popolari e celebrate, accanto a quella del Bud­ dha Amitabha. Per quanto concerne ie scritture bud­ dhiste, in esse si trova un passo aperta­ mente ostile alle donne, che tuttavia venne attribuito al Buddha solo a po-

steriori : « L'atto sessuale e ' il parto: è di questo che muore la femmina, senza provarne vergogna » . Riflesso della vo­ lontà dei monaci di escludere le donne dall'ordine, piuttosto che risultato di una corretta analisi della vita e del pen­ siero del Buddha storico è pure la nar­ razione nella quale Gautama avrebbe esitato a lungo prima di accogliere le donne nell'ordine, considerandole inca­ paci di attenersi alle regole monastiche, continuamente tentate dalla carne, dal desiderio di maternità e di gioia terrena. In realtà la dottrina del Buddha non fa distinzione alcuna fra caste, ceti sociali, razze, religioni ed età, e neppure tra i due sessi. Il concetto fondamentale, al di là del­ le divisioni arbitrarie poste fra gli uo­ mini, è che essi percorrano il « nobile ot­ tuplice sentiero» per giungere ad elimi­ nare la « Sete » di essere, ed attingere co­ sì il nirvana.

Salvatori e salvati Secondo lo Hinayana, il modello ideale a cui devono mirare i monaci per giun­ gere al nirvafJa è l'arhat (sanscrito; pali: arahat, « Santo » ), un asceta che, percor­ rendo il « nobile ottuplice sentiero» e tutti i livelli di meditazione, ha elimina­ to ogni tipo di legame e ha raggiunto il più elevato stadio di spiritualità. Esistono due tipi di arhat. L'uno, di «Ordine inferiore» (sukka vipassaka), ha vinto le passioni e l'attaccamento alla cose terrene, ma non ha ancora rag­ giunto il livello supremo di saggezza, mentre l' arhat di «Ordine superiore» (samathyanika) ha raggiunto la visione intuitiva, la saggezza assoluta. Mentre per lo Hinayana la salvezza è concessa solo ai monaci, nel Mahayana tutti possono aspirare alla perfezione (paramita), purché devoti ai salvatori, Buddha e Bodhisat tv a. Il Bodhisattva (sanscrito; pali: Bodhi­ satta) è colui che ha percorso i dieci gra­ di di perfezione o bhumi ( sanscri to e

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Il Buddha tentato dalle figlie del demone della morte, Mara: illustrazione da un manoscritto giapponese a inchiostro e colori su carta ( VII sec.). Collezione privata. pii/i : lett. « terra» ) nel corso di infini te ·gran parte dalla leggenda, in particolare esistenze e il cui essere (sattva) è « illu­ per quanto concerne la sua manifesta­ minazione » , percezione della « verità» (bodhi). È dunque un futuro Buddha. Lo stesso Gautama è passato dalla con­ dizione di Bodhisattva a quella di Bud­ dha nel momento della grande intuizio­ ne della verità sotto l'albero pipa/. Nel Buddhismo Mahayana tutti posso­ no aspirare a raggiungere lo stadio di Bodhisattva proprio grazie alla compas­ sione dei Bodhisattva che sulla soglia del nirviif]a vi rinunciano per aiutare l'umanità a raggiungere l� completa li­ berazione. Fin quando tutti gli esseri sofferenti non sararino liberati, il Bo­ dhisattva non entrerà nel nirviifJa e nep­ pure la sua salvezza sarà dunque com­ pleta.

Il Buddha: salvato e salvatore

Nel Mahayana, Siddharta Gautama viene celebrato come salvatore. Molti sono gli appellativi con cui ci si riferisce al Buddha storico: bhagavat, il «beato» , jina, i l «vittorioso» , tathiigata, « colui che detiene la verità » , Sakyamuni, « a­ sceta degli Saky a » . La vita del Buddha storico è avvolta in •

zione in terra, la nascita e l'infanzia. Negli Jiitaka (pii/i: « le nascite» ), raccol­ te di testi che godettero di grande fortu­ na, si racconta come Siddharta Gauta­ ma, sottoposto come tutti gli esseri al ciclo continuo delle rinascite, abbia vis­ suto attraverso molteplici esistenze, in forma umana, animale e divina. Prima della sua ultima rinas.c ita come Bodhi­ sattva, il futuro Buddha avrebbe dimo­ rato nei cieli dei Tu�ita, dei «beati » . Anche la storia del suo concepimento si colora di tinte fantastiche e di eventi so­ prannaturali: Siddharta avrebbe consa­ pevolmente deciso dj scendere fra gli uomini scegliendo la forma di un ele­ fante bianco per penetrare nel grembo virginale della regina Maya. Al concepimento miracoloso se�e un'altrettanto straordinaria nascita nel parco di Lumbini presso Kapilavastu. La regina Maya dà infatti alla luce un bambino dotato dei trentadue segni maggiori e degli ottanta segni minori che denotano la « buddhità» di un nuo­ vo nato. Sono questi segni distintivi che porteranno il vecchio veggente Asita a

Buddhismo profetizzare al re Suddhodana e alla sua consorte Maya la futura grandezza del neonato. In seguito, quando Siddharta ha già in­ trapreso il suo cammin o verso l'illumi­ nazione, il tentatore Mara, dio dell'a­ more e della morte - il « diavolo» del Buddhismo - cercherà di distoglierlo dalla ret ta via servendosi delle sue tre seducenti figlie: Raga ( «passione » ), Arati ( « inquietudine» ) e Tr�l)a ( « desi­ derio»). Ma Siddharta riuscirà a vincere ogni tentazione. La dottrina del Buddha è vista come veicolo di salvezza. Se il devoto abbrac­ cerà il dharma del Buddha potrà avva­ lersene (che sia il « piccolo veicolo» , il « grande veicolo» o il «Veicolo di dia­ mante» ) per attraversare il mare della vita passando dalla sponda dell'igno­ ranza, dell'attaccamento e del dolore, alla sponda del sereno distacco, della saggezza e infine dell'illuminazione. I diversi «veicoli » , le varie scuole e inter­ pretazioni, sono tutti altrettanto validi purché si possa raggiungere lo scopo fi­ nale, cioè la salvezza eterna dal ciclo delle rinascite. E a questo punto la liberazicne totale implicherà anche il superamen to della stessa dottrina.

« È forse saggio colui che - sono le paro­ le del Buddha - ormai approdato sull'al­ tra sponda, per una sorta di gratitudine nei confronti della zattera che lo ha sal­ vato dalla corrente, resta ad essa attacca­ to e sempre la porta con sé sulle spalle? Così il veicolo della dottrina: esso deve essere gettato via e abband'onato una vol­ ta raggiunta la sponda dell'illuminazione » .

Condotta e disdplina Il termine sila ( sanscri to e pali: « pre­ scrizione•, •comportamento» , « Caratte­ re• , •condotta morale» ) indica le virtù che l'adepto deve seguire nei suoi primi

1 16 passi verso la liberazione. Nel cammi­ no soteriologico buddhista, a questa si aggiungono jfiana ( « Conoscenza») e dhyana ( « meditazione»). Il «nobile ottuplice sentiero» (pali: ariyo atthangiko maggo) è l'ultima delle quat­ tro « nobili verità» annunciate da Gau­ tama Buddha nel sermone di Benares. Mentre le prime tre proposizioni riguar­ davano l'origine del dolore umano, � quarta verità fornisce indicazioni circa il suo superamento, mostrando in otto « elementi costitutivi» la condotta da te­ nere per raggiungere tale scopo. Li elen­ chiamo in lingua pali (a tale proposito si veda il paragrafo successivo dedicato al canone pali). l . samma ditthi, « retta visione » : il rico­ noscimento del dolore e della via che porta alla sua cessazione; 2. samma sankappa, « retta risoluzione» o « retto proposito» o anche « retto at­ teggiamento mentale » : una condizione mentale scevra da avidità, violenza e desiderio del male; 3. samma vaca, « retto parlare » : un par­ lare che non contempli menzogne e ca­ lunnie; 4. samma kammanta, « retto agire» : non cedere alla lussuria e all'avarizia, non commettere furti e atti violenti ; 5. samma ajfva, « retto modo di sosten­ tarsi » : l'esercizio di attività e mestieri virtuosi in cui non rientrano il commer­ cio di carne e di bevande alcoliche, di veleni e di esseri viventi (uomini o ani­ mali), o di armi (quindi pescatori, cac­ ciatori, macellai, boia, banditi ecc.); 6. samma vayama, « Tetto sforZO» : im­ piego di tutte le proprie capacità al fine di ricacciare i moti funesti e malvagi dell'animo, se già insorti, e di evitare il loro nuovo insorgere; l'adoperarsi al massimo per portare alla luce i moti po­ sitivi dell'animo e per perfezionare quelli già esistenti; 7. samma sati, «retta concentrazione » :

1 17 il dominio totale di sé stessi, delle pro­ prie sensazioni e del proprio pensare; 8. samma samadhi, « retta meditazione » : concentrazione assoluta attraverso gli esercizi spirituali fino al raggiungimen­ to della beatitudine. Il canone di testi noto come Vinaya pi­ taka ( « Canestro della disciplina » ) ha sottolineato l'importanza del nucleo centrale di queste disposizioni, dalla terza alla sesta, viste come elementi fondanti dell'etica buddhista.

I precetti

Per tutti i credenti buddhisti valgono come codice di comportamento i panca­ sila (pali: « Cinque precetti » ), che posso­ no essere paragonati mutatis mutandis alla seconda tavola del decalogo ebrai­ co e cristiano. I « cinque precetti » ven­ gono recitati dai devoti in templi e mo­ nasteri ( vihiira) come preghiera :

1 . Osservo il precetto di non uccidere

nessun essere vivente; 2. osservo il precetto di non rubare; 3. osservo il precetto di non abbandonar­ mi alla lussuria; 4. osservo il precetto di non mentire o in­ gannare il prossimo; 5. osservo il precetto di non far uso di so­ stanze inebrianti.

In tali precetti ritroviamo lo spirito di alcune proposizioni già presenti nel « nobile ottuplice sentiero » ; il primo precetto in particolare è importante co­ me espressione di uno dei fondamenti dell'etica buddhista: l'assoluta « non violenza» (ahi�?Zsa). Vi sono poi altri due più impegnativi li­ velli sulla via del perfezionamento mo­ rale : il devoto può arrivare a seguire ot­ to precetti, oppure dieci. Negli «Otto precetti» (pii/i: atthanga sila), ai cinque . già elencati vengono aggiunti tre am­ monimenti la cui osservanza è solo con-

Buddhismo sigliata ai devoti laici, mentre è obbliga­ toria per i monaci :

6. òsservo il precetto di non mangiare ci­

bi fuori stagione; 7. osservo il precetto di non partecipare a eventi mondani - balli, canti o feste - e non fare uso di ghirlande di fiori, profu­ mi, spezie, cosmetici, unguenti e gioielli; 8. osservo il precetto di non dormire su letti sontuosi.

I devoti laici sono soli ti astenersi dai comportamenti sconsigliati da questi tre precetti nei giorni di uposatha (pali: lett. « digiuno» ) e cioè nei giorni ottavo, quattordicesimo e quindicesimo di ogni mese. Nei dasa sila (pali: «dieci precetti » ) ven­ gono infine aggiunte altre due prescri­ zioni, ai quali possono scegliere di atte­ nersi i laici, non così i monaci che devo­ no necessariamente rispettarli: 9. osservo il precetto di astenermi da onori e cariche; 1 O. osservo il precetto di non possedere oro e argento.

Gli appartenenti agli ordini monastiCI fanno inoltre voto di castità e di pover­ tà e da quel momento devono possedere esclusivamente lo stretto necessario per vivere. Per gli aspetti della vita monasti­ ca, si veda il paragrafo successivo. I n caso di mancanza a qualche regola, il monaco deve confessarsi seguendo il « formulario di confessione» (pii/i: pii(i­

mokkha). Virtù

La virtù principale è per il Buddhismo - specie quello mahayanico - la mai­ tri (sanscrito; pali: metta) cioè la bene­ volenza, la fratellanza e l'amore: Il Bud­ dhismo non conosce differenza alcuna fra gli uomini - di casta o di classe, di

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Buddhismo religione o di razza, di sesso - accomu­ nati tutti dalla fratellanza universale. Ed è proprio Maitreya il compassione­ vole, il cui nome deriva appunto dal ter­ mine maitri, il Buddha del futuro evo cosmico. Se nello Hinayana il concetto di benevolenza ha un'importanza più li­ mitata, nel Mahayana è invece la sintesi di tutto il suo sistema etico. Maitri è per la scuola del « grande veicolo» amore verso il prossimo; riconoscimento del proprio dolore in quello degli altri, in un dolore universale che tutti accomu­ na; disposizione ad essere benevoli, a portare aiuto a tutte le forme di vita, siano esse formiche o uomini. L'altra virtù fondamentale è la mahaka­ rul')a (sanscrito: « grande compassione» o «grande pietà» ), la solidarietà che le­ ga tutti gli esseri della terra prigionieri di un medesimo dolore, senza distinzio­ ni di sorta. Anche questo concetto nello Hinayana ha sfumature diverse, in quanto «Compassione» è intesa in senso più distaccato di quanto non lo sia nel Mahayana. «N el profondo di ogni esse­ re è la natura del Buddha; tutti sono potenzialmente Buddha perfetti » , è il pensiero del monaco giapponese Saicho (o Dengyo Daishi, 767-822) che ben esprime un concetto centrale di tutto il Buddhismo Mahayana. Le due virtù della «benevolenza» e della •compassione» fanno del Buddhismo, da un punto di vista cronologico, il pri­ mo sistema religioso del mondo incen­ trato sull'amore e la fratellanza. Colui che le esercita al meglio è un arya (san­ sento; pali: ariya), un meritevole, un es­ sere dalla nobile condotta. N arra a que­ sto proposito la leggenda che Siddharta, in una delle vite precedenti in forma di coniglio, fosse saltato su una fascina di legno ardente, sacrificandosi per sfama­ re un brahmano. È in questo modo che un arya può scegliere l'autosacrificio per il bene del prossimo, come hanno dimostrato nella storia recente i monaci che si sono dati fuoco in Vietnam.

LA COMUN ITÀ BU DDHISTA : I L SANGHA

·

Con il termine sangha ( « COmunità», «Ordine » , « assemblea ») si intende anzi­ tutto l'ordine monastico fondato dal Buddha storico. I membri maschi sono denominati bhik�u (sanscrito; pali: bhikkhu), le donne bhikkhuni (pali). Nel Buddhismo tibetano i monaci sono i la­ ma (in tibetano scritto bla-ma) mentre in Giappone ci si riferisce ai monaci buddhisti con il termine di bonzo (bosan). Due momenti centrali della vita mona­ stica sono l'ingresso nella comunità e l'ordinazione. Per potersi sottoporre a tonsura e indossare l'abito monacale giallo ocra, l'aspirante novizio (pali: samal')era) doveva aver raggiunto il quindicesimo anno di età. La cerimonia di ammissione al noviziato prevede la triplice ripetizione da parte del neofita della formula delle « tre gemme» (trirat­ na) - « IO mi rifugio nel Buddha, nella .sua dottrina, nel suo ordine» - nonché la recitazione dei dieci precetti. Dopo questi due rituali il novizio può consi­ derarsi ammesso nella comunità mona­ cale e da quel momento in poi il suo cammino spirituale sarà seguito da un guru, il « maestro» assegnatogli al mo­ mento dell'ammissione. Al termine del periodo di noviziato, non prima del ventesimo anno di età, l'aspirante monaco può ricevere l'ordi­ nazione. La cerimonia si svolge al co­ spetto di dieci monaci : il candidato chiede per tre volte di seguito l'ordina­ zione, tenendo in mano la ciotola delle elemosine e sul braccio le tre vesti mo­ nacali, e viene poi sottoposto ad inter­ rogatorio per verificare che non esista­ no impedimenti all'ordinazione. Guer­ rieri, disertori, assassini, lussuriosi e la­ dri, ma anche epilettici, non possono infatti accedere alla comunità. Se il ri­ sultato dell'interrogatorio è positivo, si procede alla consacrazione a monaco del novizio (pali: 1:1pasampada, let t. « ar-

Buddhismo

1 19 rivo » ), mediante aspersione, definitiva sanzione di rinuncia al mondo (sanscri­ to: pravrajya; pali: pabbajja, lett. « par­ tenza » ). Nel Vajrayana tibetano · vari sono gli stadi della gerarchia monacale : disce­ polo, candidato, novizio (gets'u{), mo­ naco (gelong), monaco superiore o pre­ cettore spirituale (gese) e monaco mae­ stro (khompo, o Lama). Sia nel Buddhismo Hinayana che in quello Mahayana, per il monaco valgo­ no le parole del Buddha storico secondo le quali «il saggio deve purificare il pro­ prio essere da ogni impurità, stadio do­ po stadio, ora dopo ora, come un bravo fabbro raffina l'argento » . Monaci e monache devono rigorosa­ mente attenersi a tre regole fondamen­ tali : l . assoluta povertà, 2 . non essere mai causa di dolore per nessun essere vivente, 3. astensione totale da rapporti sessuali. Devono vivere all'insegna della massima semplicità, non potendo pos­ sedere altro se non gli otto oggetti del-

Due giovani asceti con la ciotola per l'elemosina: altorilievo (lIl sec.). Roma, Museo Nazionale d'Arte Orientale.

l'asceta: due sottovesti e una tunica, una spilla, un rasoio con cui radersi il capo, una cintura simile a un rosario che è anche uno strumento di preghiera, composta da centootto grani infilati in un cordone, un colino, con il quale fil­ trare l'acqua potabile liberandola dagli insetti in modo da non farli soffrire, e una ciotola per l'elemosina. Possono mangiare una sola volta al giorno, tra l'alba e il mezzogiorno, nutrendosi esclusivamente delle offerte fatte loro dai devoti laici. L'elemosina a un mona­ co costituisce per il laico un privilegio particolare e sarà accompagnata da un sentito ringraziamento. La dieta dei monaci è di tipo vegetariano, ma, essen­ do per principio vincolati a nutrirsi del­ le sole offerte, possono anche cibarsi di carne purché non siano loro stessi ad uccidere l'animale o non ne siano stati precedentemente messi al corren te. Il monaco è dunque un viandante a conti­ nuo contatto con il prossimo e con la natura, tranne nei tre mesi monsonici durante i quali non gli è consentito la­ sciare il monastero; in questo periodo infatti è proibito qualsiasi pellegrinag­ gio poiché implicherebbe calpestare i nuovi germogli e la miriade di esseri ap­ pena nati. Uno dei riti più importanti nella vita monastica è il pa(imokkha (pali; sanscri­ to: pratimok�a), una «confessione» col­ lettiva che coincide con i giorni di « di­ giuno» ( uposatha), ricorrenti ad ogni plenilunio e novilunio. Il superiore del monastero pronuncia dapprima un di­ scorso introduttivo ed inaugurale, pas­ sando poi a presentare il pa{ · cioè le duecentoventisette formule confessione secondo le quali mancanza corrisponde una penitenza. La mancanze principali, o....,..l4!1Ri!l� rapporti sessuali, ha -.-.·o;.a.; l'espulsione a vita ....r� ... tà monastica, mentre a ,,WW.,�,. � evi quali la custodia in cella di di lusso o ·

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Buddhismo l'onanismo, segue un allontanamento solo temporaneo. In generale comun­ que ognuno è libero di lasciare l'ordine in qualsiasi momento. Chiunque al di fuori degli ordini mona­ stici viva come un eremita o pellegrino solitario alla ricerca dell'illuminazione viene denominato pratyékabuddha. Sebbene la maggioranza dei devoti bud­ dhisti sia rappresentata dalla comunità dei laici, i veri successori del Buddha sono soltanto i monaci, cioè coloro i quali si attengono strettamente alle « tre gemme» : il Buddha, il dharma (la « leg­ ge» ) e il sahgha (la « Comunità» ). I devo­ ti laici sono chiamati upasaka gli uomi­ ni, upasika le donne. Il laico buddhista si sforza di osservare i «Cinque precet­ ti» , che deve recitare al cospetto di un membro dell'ordine monastico, e di se­ guire il « nobile ottuplice sentiero » . Nel­ lo Hinayana una grande importanza ri­ veste la venerazione delle reliquie del Buddha. I laici non sono tenuti a osser­ vare le rigide regole dei monaci, ma hanno l'obbligo di provvedere al loro sostentamento attraverso le elemosine. Qualora trasgrediscano qualche precet­ to fondamentale della dottrina buddhi­ sta, il monaco capovolgerà la ciotola di­ nanzi a loro rifiutando da quel momen­ to in poi qualsiasi elemosina. I membri degli ordini monastici devono costituire agli occhi dei laici l'esempio più alto dell'etica buddhista, predicare la dottrina e confortare i sofferenti. Si adoperano attivamente per la celebra­ zione di riti, feste religiose e funzioni funebri, si occupano dell'educazione spirituale dei giovani. In Thailandia e in Birmania, a esempio, tutti i giovani tra­ scorrono nei monasteri un periodo di tempo che può durare da poche setti­ mane ad alcuni anni. La permanenza nei monasteri è considerata in questi paesi parte fondamentale dell'educazio­ ne e dell'istruzione dei ragazzi, che qui imparano a leggere e a scrivere. Un lai­ co può anche scegliere di rimanere tutta

la vita fra i monaci, senza che per que­ sto gli venga negata la libertà di tornare nel mondo qualora lo çlesideri.

Il calendario e le festività L'inizio dell'era buddhista coincide con il momento in cui il Buddha storico giunse al parinirva!Ja. Nello Hinayana (Ceylon e Indocina) questo evento vie­ ne collocato 543-544 anni prima della nascita di Cristo, data che tuttavia non coincide con quella a cui storicamente si fa risalire la morte del Buddha, il 483 a.C. Nonostante queste incongruenze storiche, il 2. 500esimo anniversario del­ la morte del Buddha è stato festeggiato in tutti i paesi buddhisti nel 1 956 dell'e­ ra cristiana. Nei vari paesi di ispirazione buddhista non esiste tuttavia un'uniformità di ca­ lendario; ciascuna nazione tiene infatti conto anche di scansioni del tempo e di riti indigeni e prebuddhisti, degli avven­ ti al trono. di re o imperatori e così via. Il calendario delle festività buddhiste segue l'anno lunare e non quello solare ovunque tranne in Giappone, con la conseguenza che i giorni festivi sono va­ riabili. Le festività collegate con la vita del Buddha - nascita, illuminazione, primo sermone, morte e parinirvii!Ja vengono dunque celebrate in giorni di­ versi nelle varie nazioni. E poiché cia­ scuna di queste ricorrenze cade in un plenilunio, in Birmania a esempio ven­ gono festeggiate tutte nello stesso gior­ no, che coincide con la grande festa del­ la luna piena, detta vesak ( vesiikha, « se­ sto mese » ), in aprile-maggio. In ciascuna nazione inoltre si celebrano le « feste dei santi», cioè gli anniversari della morte di grandi figure del Buddhi­ smo, come fondatori di scuole o missio­ nari, e alcune di queste sono feste na­ zionali. Festività annuali sono anche il Capodanno, la ricorrenza della consa­ crazione di templi o monasteri, le gior­ nate in onore dei defunti. Parallelamen­ te si celebrano molte feste stagionali, -

Buddhismo

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l L'immagine più carattetistica del

Buddha, seduto in meditazione, nella galleria dei Buddha nel Vat P o» di Bangkok. 2 Il Buddha in meditazione in una scultura coreana ( VIII sec.). Kyongju, Tempio di Sokkuram. «

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partièolarmente sentite quelle nei mesi monsonici, periodo di riflessione e me­ di tazione per eccellenza in quanto rion è consenti to ai monaci, e sconsigliato ai laici, di uscire per non ostacolare il len­ to rinascere della natura.

Meditazione La

meditazione (sanscrito: dhyana; pali: jhana) è il momento finale del « no-

bile ottuplice sentiero» e svolge un ruo­ lo fondamentale nel raggiungimento della salvezza. È concentrazione assolu­ ta della mente che all'apice della beati­ tudine acquista poteri occulti (pali: id­ dhi; sanscrito: rddhi) e conoscenze tra­ scendentali. Secondo lo Hinayan� la meditazione procede per quattro stadi, gli stessi ai quali Siddharta Gautama ascese la notte dell'illuminazione. Il pri-

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Buddhismo

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l Asceta «yogin» che ha acquisito f?Oteri sovrannaturali, come denota la veste di. lino

bianco: pittura tibetana su stoffa (XVIII sec.). Coli. priv. 2 Un «kakemono», ti corrispondente giapponese di un «mal'}qala», basato sulla figura simbolica di un loto a otto petali. Venezia, Museo d'A rte Orientale. mo stadio è caratterizzato dalla rifles­ sione razionale su un oggetto religioso e dalla profonda compenetrazione nel suo significato; nel secondo cessa ogni attività, compresa quella del pensiero, e si passa alla contemplazione; nel terzo perdono forma tutti i. sentimenti, di gio­ ia e di dolore, condizione indispensabile per passare al quarto stadio, quello del­ l'imperturbabilità assoluta, della non presenza e non assenza del mondo em­ pirico, delle passioni e della coscienza di sé. La condizione raggiunta attraver­ so gli stadi della meditazione coincide con il samiidhi (pii/i). « illuminazione in­ teriore» attraverso la quale si elimina ogni dualismo, primo fra tutti quello tra me n te e oggetto. Il Mahayana aspira, attraverso la medi­ tazione, alla perfetta unità con il «Cor­ po• del Buddha, con il dharma. Una forma molto elevata di meditazione buddhista è quella elaborata dalla scuo­

la Zen.

Le tre condizioni della meditazione Zen coincidono con la sostanza stessa del pensiero di questa scuola, che teorizza come unica via appunto il compimento degli esercizi spirituali. l . Star seduti correttamente: la posizio­ ne canonica del loto a gambe incrociate o la posizione seduta sui talloni, se as­ sunte perfettamente, consentono per circa quaranta minuti l'immobilità tota­ le del corpo a cui corrisponde l'immobi­ lità interiore. 2. Respirare correttamente: si intende la respirazione diaframmatica o addo­ minale. Il controllo della respirazione aiuta la concentrazione e permette di spostare l'energia dalla regione della te­ sta e dell'intelletto al centro del corpo, situato nel ventre. 3. Corretta disposizione: la coscienza non deve essere rivolta a nessun oggetto né mirare al raggiungimento di uno sco­ po. Nello Zen non c'è meta o meglio l'eser-

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Buddhismo

ci zio spiri tual e, cioè la via, coincide con al Buddha Amida >> ) con la quale i se­ guaci dell'Amidismo implorano la gra­ la meta. Zen è penetrazione intuitiva della realtà zia di Amida. ultima attraverso la sua negazione, è il Nel Buddhismo tibetano la recitazione metodo pratico per giungere alla condi­ delle formule sacre può essere sostituita zione di samadhi, all'unità armoniosa dalle « ruote della preghiera >> (sanscrito: con il tutto; è uno stato di pace ed equi­ cakra; tibetano: khorlo), cilindri metal­ librio assoluti. U no dei tipici esercizi lici ruotanti su cui sono riportati mantra Zen è il koan, una pratica che risale al o brani delle scritture, in particolare la periodo cinese Tang (vni-XI secolo). formula om maY)i padme hum (sanscrito: Nello Zen giapponese si tratta di una « onore al gioiello del loto » ). Le ruote tecnica finalizzata alla concentrazione della preghiera ripetono a ogni giro il mediante l'uso di aneddoti paradossali loro messaggio. Om maY)i padme hum ri­ che, contraddicendo e vanificando tutte manda alla simbologia sessuale del le categorie intellettuali abituali e la lo­ Tantrismo in quanto il termine maYJi si­ gica comune, creano uno stato di vuoto gnifica letteralmente «gioiello» e sta a mentale. Meditazione e tecniche di con­ indicare, come si è già accennato, il centrazione come il koan mirano al rag­ membro maschile, mentre padme è il giungimento del satori (giapponese : « il­ < doto » e denota il sesso femminile. L'in­ luminazione», « risveglio»), la presa di tera formula denota anche una unità coscienza immediata e intuitiva dell'u­ sessuale che è rappresentazione simbo­ nità tra il sé e il mondo e della coinci­ lica della congiunzione universale degli denza di tutti gli altri apparenti dualismi. opposti. Lo spirito Zen permea di sé molte atti­ In genere le ruote di preghiera conten­ vità della vita quotidiana dei Giappone­ gono dodici strisce di carta con quaran­ si come la disposizione dei fiori, il tiro tuno righe di testo su ognuna; su cia­ con l'arco, le arti marziali, la scherma, scuna riga è scritta per sessanta volte la la cerimonia del tè, la pittura a inchio­ formula om maY)i padme hum che com­ stro. Zen è infatti identificazione asso­ pare dunque 1 2 x 4 1 x 60 volte, per un luta tra l'uomo e il fiore, l'uomo e la totale di 29.520 volte. E poiché la ruota spada, l'uomo e la freccia. può compiere 1 20 giri al minuto, è co­ Per il Buddhismo tantrico la via della li­ me se la formula venisse ripetuta berazione passa invece attraverso i sensi 3.542.400 volte in un minuto. Le ruote e la meditazione si avvale di mezzi cor­ di preghiera si trovano spesso fuori dai porei, magici ed esoterici. Tra questi ul­ monasteri dei lama, dove vengono giratimi, la recitazione di un alfabeto sacro . te dai passanti; oppure sono collocate (bija) e di formule magiche (mantra o sopra i focolari domestici in modo che dharaYJi). Dal termine mantra deriva pu­ il fumo le faccia muovere, o esposte al re una delle donominazioni di questa vento e all'acqua di ruscelli e cascate. corrente, e cioè Mantrayana ( « Veicolo Nel Buddhismo tantrico, mantra e delle formule magiche » ). dhiiraYJi vengono generalmente recitati Secondo il Mantrayana, la ripetizione dinanzi ai maYJ4ala (sanscrito: lett. « cer­ di determinati suoni crea delle vibrazio­ chi magici » ), diagrammi che rappresen­ ni a livello coscienziale che mettono tano il centro e le quattro direzioni dei l'uomo in contatto con l'immateriale. cieli governate da Buddha e Bodhisat­ Uno dei mantra inizia con la sillaba sa­ tva, proiezioni grafiche del cosmo bud­ cra om. dhista. Nello yantra, una sorta di para­ Un dharani è invece l'invocazione Na­ digma lineare del maYJ4ala, il centro è mu A mida Butsu (giapponese: « gloria generalmente occupato da fiori di loto,

Buddhismo simbolo di beatitudine. I cerchi o i ri­ quadri che compongono i mafJc!ala sono diagrammi mistici concepiti come sussi­ di per la meditazione. In Giappone i seguaci del Soka gakkai recitano la formula namu myohorenge­ kyo (giapponese : « gloria al Su tra del Loto della buona legge » ) dinanzi ai

mafJc!ala. Le mùdrii sono posizioni delle mani che

esprimono e sottolineano ritualmente il processo della meditazione. Nell'icono­ grafia il Buddha viene rappresentato in numerose diverse mudrii. Nella piijii ( « venerazione» , e per esten­ sione il rito attraverso cui ·essa si espri­ me) di carattere tantrico, i devoti, se­ condo il principio per cui il compiere con distacco un'azione porta al suo su­ peramento, concludono l'atto rituale con un completo rapporto sessuale. I principi mahayanici del vuoto (Siinyatii) e della saggezza (prajfiii) vengono messi in relazione a livello simbolico con l'u­ nione sessuale del dio Siva e della dea Durga, sua sakti: l'unione dei due ele­ menti rimanda all'unità cosmica. La congiunzione divina funge perciò da modello a questa forma di meditazione veicolata dall'energia sessuale e finaliz­ zata all'unione con l'assoluto e quindi alla liberazione. Un concetto non diver­ so esprime la formula om maf]i padme

hum.

ARTE E LETTERATURA

L'architettura buddhista Le prime opere architettoniche buddhi­ ste sono gli stiipa (sanscrito; nella lin­ gua di Ceylon : daqoba, « reliquiario» ), sorta di sepolcri a tumulo, luoghi di cul­ to per lo più - ma inizialmente non so­ lo - buddhi�Jti in cui si tramanda siano conservate reliquie del Buddha storico o dei suoi discepoli. Dall' India si diffu­ sero in tutta l'Asia buddhista. Uno stiipa è costituito da un corpo cen-

1 24 trale massiCCIO di forma emisferica (afJc!a, « uovo » ) che contiene il reliquia­ rio; dalla cupola si diparte un'edicola cubica (harmikii) sulla quale si erge un « Ombrello» (yasti o yupa) costituito da un palo attraversato da cerchi che rap­ presentano i « Tre Gioielli » . Il basamen­ to originario (medhi) può essere quadra­ to o circolare e talvolta vi sono state poi aggiunte delle « scale» (sopiina) legate a una simbologia temporale. Come i templi buddhisti, lo stupa è cir­ condato da una balaustra in pietra (vedikii) e in pietra sono pure i quattro portali (torafJa), costituiti da pilastri (stambha) e traverse decorate che li col­ legano l'uno con l'altro. U no stupa può essere di diverse grandezze e varia da piccole pietre . tombali a grossi tu muli (come a Borobudur). · Quelli di Saiici e Sarnath risalgono al 1 1 1 secolo, mentre a Kathmandu è rimasto intatto uno dei due stiipa attribuiti all'imperatore Asoka. Stiipa dalla forma particolare sono i chorten tibetani e gli tsedi in Bir­ mania, mentre stupa con le campane si trovano un po' in tutta l'Asia, come le pagode Shwe Zigon a Pagan e Shwe Dagon a Rangoon. Gli stupa sono per lo più dedicati al Buddha storico e come reliquiari stanno a simboleggiare la sua entrata nel pari­ nirviifJa. I devoti vi rendono omaggi (pujii) a Gautama Buddha ed eseguono il rito della deambulazione rotatoria (pradak.sirJii), percorrendo lo spazio tra l'edificio e la balaustra in senso orario e tenendo lo stupa sempre alla propria de­ stra. Oltre che da questo rito, la .conce­ zione dello stiipa come « Centro» è ulte­ riormente sottolineata dai quattro por­ tali edificati in corrispondenza dei quat­ tro punti cardinali che coincidono con le quattro direzioni dei cieli. Per un Buddhista lo stupa è la rappresentazio­ ne simbolica dell'universo. Dinanzi allo stupa si ergono i pilastri (stambha), colonne commemorative di episodi della vita del Buddha. Sui pila-

Buddhismo

1 25 stri del periodo di Asoka giunti fino a noi sono ancora leggibili le iscrizioni che l'imperatore vi fece incidere, oggi documenti di estremo interesse per la storia del Buddhismo. La colonna più celebre è quella di Sarnath, il luogo do­ ve il Buddha tenne il suo primo sermo­ ne, con i suoi venti metri di altezza e il capitello coronato da quattro leoni in atteggiamento ieratico e sormontato dalla ruota simbolo del dharma. Dallo stupa indiano deriva- l'edificio della pagoda in Asia Orientale. Lo stupa in Cina si fonde con l'architettura autoctona trasformandosi in pagoda al­ l'epoca delle Sei dinastie ( 440-588). La struttura tipica della pagoda- è costituita da più gradoni e piani che si ergono verso l'alto, chiusi dapprima da sempli­ ci cornicioni, successivamente da tetti: in questo modo lo stupa perde la sua ca­ ratteristica forma emisferica. I piani va­ riano da tre a tredici - quasi sempre comunque un numero dispari - mentre gli elementi poligonali seguono sempre i numeri pari (4, 8, 1 2, 1 6). Lo stupa a forma di pagoda può essere una sorta di santuario isolato o far parte di un com­ plesso comprendente più templi. Quando l'ormai vasta comunità bud­ dhista si trovò di fronte alla necessità di più ampi spazi per riunioni e convivi, si spinse verso le colline e iniziò a edifica­ re nella roccia. I templi scavati nella roccia vengono denominati caitya e so­ no edifici a tre navate; la navata centra­ le destinata alle assemblee dei monaci presenta una volta a botte e un'abside semicircolare con al centro il reliquiario (stupa o daboqa). Le due navate laterali, coperte da volte a botte, erano invece concepite per la comunità dei laici e se­ parate dalla navata centrale mediante abbaini che circondavano l'abside. L'u­ nica fonte di luce era costituita da una grande finestra. I l caitya più celebre e maestoso, nonché uno dei più antichi, è quello di Karli, presso Bombay, che presenta 1 200 antri e risale al 50 a.C.

Con i termini vihiira o sahqhiiriima si in­ dicano invece i veri e propri monasteri, edifici con una sala quadrata sulla qua­ le si aprono le celle dei monaci. I mona­ steri possono essere anche a più piani e costruiti a ridosso della roccia. I complessi religiosi del Giappone si presentano come un ricco raggruppa­ mento di edifici nel quale quelli princi­ pali seguono un asse ideale che corre da nord a sud e sono cinti simmetricamen­ te dalle costruzioni secondarie. I n gene­ re sull'asse principale si trova l'entrata, il grande portale meridionale, da cui si accede al portale centrale, quindi alla sala dorata e al salone dei sermoni. Alla sala dorata, già presente in Cina, si ac­ cede da un'entrata laterale. L'immagine del Buddha è collocata al centro del sa­ lone del tempio, posta su un piedistallo a ridosso della parete di fondo e contor­ nata da altre statue. Queste sale sono supportate da pilastri di legno con so­ stegni sia esterni sia in terni che consen­ tono la deambulazione intorno al santuario. I templi buddhisti giapponesi sono stati costruiti inizialmente sul mo­ dello di quelli cinesi, come lo Horyiiji di Nara (607) che contiene alcuni dei più antichi edifici in legno del mondo. I l tempio buddhista giapponese è deno­ minato tera, mentre tipica del Buddhi­ smo Zen è l' « architettura a giardino » . N el giardino Zen i monaci, indipenden­ temente dalle stagioni, come pure incu­ ranti del passare del tempo, dispongono con minuziosa cura pietre, ghiaia e mu­ schi in una sorta di riproduzione in mi­ niatura dell'universo. In questo modo anche il giardino diventa un oggetto di meditazione.

Scultura e pittura Inizialmente non fu permessa alcuna raffigurazione del Buddha per evitare di dare forma visibile proprio a colui che aveva predicato il distacco dalla caduci­ tà delle forme. L'iconografia più antica si avvale dunque di simboli: il loto per

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Buddhismo

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Struttura dei templi buddhisti l Schema fondamentale {A) di uno s11"1pa (Safic1: India: Grande Stupa): l tumulo a cupola emisferica (an da),· 2 camera delle reliquie,· 3 costruzione quadrata (harmika),· 4 asta (yasti); 5 parasole (chattra),· 6 deambulatorio,· 7 scale (sopana); 8 balaustrata (vedika),· 9 porte (toraf}.a). B Stupa come montagna cosmica (Giava, Indonesia, Borobudur). C Tempio rupestre (Karli, India): l vestibolo,· 2 navata centrale,· 3 navate laterali; 4 stupa; 5 grande finestra. . 2 Il tempio giapponese di Kasagi a Nara, e la statua colossale di Miroku: dip into giapponese su seta (XII sec.). Nara, Museo Yamato Bunkakan. 3 Pagoda e sala dei mille Buddha nella provincia cinese del Kiangsu: pittura (XVI sec.). Cleveland, Museum of Arts.

Buddhismo

1 27 Edifici sacri del Buddhismo l Il « Grande Stupa» di Saficf (III sec. a. C. l sec.), dalla caratteristica forma a tumulo e sormontato da/ triplice parasole, simbolo dei « Tre Gioielli» buddhisti. 2 Santuario di Borobudur, nell'isola di Giava ( VIII sec.), la cui pianta richiama un diagramma simbolico, un «maf]c/ala». 3 Tempio scavato in una grotta («chaitya») ad Ajanta, in India ( VII sec.); da notare che il Buddha scolpito sullo stupa di fondo è seduto all'occidenta le. -

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del Buddha l Il Buddha raffigurato con la svastica sopra il petto. ra svastica, simbolo del cerchio solare presente nella tradizione indiana di ascendenza aria, è divenuta anche un attributo del Buddha: scultura cinese (XVIll sec.). Coli. privata. 2-3-4 Tre immagini dell'« u�ni�ii» del Buddha: statua thailandese in bronzo (XV sec.). Bangkok, Monastero del Quinto Re (fig. 2); statua cambogiana (fig. 3),· statua cinese di epoca Tang. Museo di Shangai (fig. 4).

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la nascita del Buddha, l'albero della bo­ dhi per la sua illuminazione, la ruota del dharma a simboleggiare la dottrina e uno stiipa a rappresentarne la morte e l'entrata nel parinirvtii'Ja. Solo in epoche successive si prese a raffigurare episodi della vita del Buddha che la tradizione attribuiva agli illuminati, mentre risal­ gono all'inizio dell'era cristiana le prime rappresentazioni del Buddha in forma umana nell'arte indiano-ellenistica del Gandhara e a Mathura.

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Nel Buddhismo Mahayana il Buddha storico- è sostituito dall'inviato celeste, con attributi divini e circondato da Bo­ dhisattva, in una graduale « disumaniz­ zazione » della sua figura. Già dal III secolo, ma con più insistenza dal v all'viii, viene rappresentato nell'i­ conografia il complesso pantheon costi­ tuito dal Buddha ongmario, dai Dhyanibuddha e Dhyanibodhisattva e dalle loro sakti femminili , in particolare le dee Tara e Prajflaparamita, quest'ul-

Buddhismo

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Due immq.gini del Buddha in cui è visibile sulla fronte !'« urna»: dipinto giapponese su seta� XI sec. (fig. 5), Kyoto, Tempio di Choho; affresco, VI sec. (fig. 6), New Delhi, National Museum. 5-6

tima, incarnazione delle sacre scritture che portano lo stesso nome. Dal vn se­ colo il Tantrismo aggiungerà formule e sillabe magiche all'immagine del Bud­ dha. Ricorrenti in tutta l'iconografia buddhi­ sta sono alcune caratteristiche del Bud­ dha: l'urna, una piccola protuberanza tra gli occhi che in seguito diverrà un punto splendente e che rappresenta il terzo occhio della visione spirituale, i lobi delle orecchie allungati a sottoli­ nearne la nobile origine, nonché simbo­ lo di sovranità sui domini spirituali e terrestri, l'u�!Ji.sa, una protuberanza sul­ la sominità della testa che rappresenta l'illuminazione. L'u.s!Ji.sa è rappresentata come una sorta di crocchia emisferica nell'arte del Gan­ dhara, un cono in Cambogia, una strut­ tura a punta o una fiamma nell'arte thailandese. I capelli sono in genere raccolti o aderi­ scono alla testa formando delle ondula­ Zioru.

Tutte le rappresentazioni del Buddha appaiono legate al tema centrale del si­ lenzio, e tutte suggeriscono meditazione e pace. I l Tantrismo inoltre attribuisce poteri magici e occulti al possesso di immagini raffiguranti Buddha e Bodhi­ sattva.

Il Canone «pali» La letteratura buddhista copre un terri­ torio sterminato e può dividersi, se­ guendo un criterio linguistico, in lette­ ratura pali e sanscrita. Il complesso dei testi raccolti nel Cano­ ne pali costituisce il Tipi{aka (sanscrito: Tripi{aka, « tre canestri » ), così denomi­ nato perché suddiviso appunto in tre raccolte o « Canestri» (pitaka). Il primo è il Vinaya pi{aka o « canestro della disci­ plina monastica» che tratta delle regole e delle norme di comportamento mora­ le che tutti i monaci devono seguire. È a sua volta suddiviso in tre parti, in cui vengono fra l'altro definite le regole del pa{imokkha, lo « specchio della confes-

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Buddhismo

Pagine miniate dal «Prajfiiipiiramitii», importante testo (sutra) della corrente Mahiiyiina sione » , e le 227 sanzioni disciplinari o punizioni in corrispondenza di altret­ tante mancanze. Nel Mahiivagga o « grande collezione» si illustrano la bio­ grafia del Buddha e la storia dei primi due concili. Il secondo «Canestro» è il Sutta pi(aka o « Canestro delle predi­ che » , una raccolta dei sermoni del Bud­ dha e di oltre quattromila dialoghi con i discepoli. Questa seconda parte del Ca­ none si divide in cinque « collezioni » (Nikiiya) : discorsi lunghi, di media lun­ ghezza, disposti in gruppo, raccolti in serie numerica e brevi. Il secondo «Ca­ nestro» è il più importante dal punto di vista dottrinale e anche il più interes­ sante dal punto di vista letterario; viene custodito con particolare cura nelle stanze più sacre dei monasteri e alcune sue parti sono recitate nel corso di varie cerimonie. La prima raccolta, il Dlgha nikiiya («Collezione dei discorsi lun­ ghi » ), comprende il celebre Mahiipari­ nibbaniisutta, il «grande dialogo del completo nirviil'}a» , il sedicesimo sutra che narra degli ultimi avvenimenti della vita del Buddha, dei suoi viaggi e degli insegnamenti impartiti ai discepoli. La seconda raccolta, il Majjhima nikiiya o •collezione di discorsi di media lun­ ghezza» , tratta principalmente delle pratiche ascetiche e della via per giun­ gere all'illuminazione, mentre la terza, il Sarrzyutta nikiiya o « Collezione dei di­ scorsi disposti in gruppo» contiene nel­ l'ultimo gruppo (sarrzyutta) il sermone di Benares, l'undicesimo sutra (Dham-

macakkappavattanasutta). Alla quarta raccolta, denominata A hguttara nikiiya

o « collezione disposta in serie numeri­ ca» segue la quinta ed ultima, il Khud­ daka nikiiya, «Collezione di discorsi bre­ vi » . Questa quinta parte comprende an­ che il celebre Dhammapada ( « versi sulla Legge », costituito da 423 sentenze e da. raccolte di poemetti donominate The­ riigiithii e Therlgiithii, « Canti dei mona­ ci » e « Canti delle monache», dall'indi­ scutibile valore letterario. E sempre nel­ la quinta collezione compare anche la raccolta delle « nascite» (Jiitaka): 547 racconti sulle vicende vissute dal Bud­ dha attraverso molteplici esistenze e sulle sue rinascite di volta in volta in forme superiori grazie all'esercizio gra­ duale delle dieci virtù buddhiste - ge­ nerosità, integrità morale, spirito di sa­ crificio, saggezza, energia, pazienza, amore della verità, fermezza, gentilezza, imperturbabilità). È proprio dal Khud­ daka nikiiya che l'arte buddhista ha tro­ vato una delle sue maggiori fonti di tsprraztone. La terza parte del Canone pii/i, nonché la più recente, è costituita dall Abhi­ dhamma pi(aka, il «Canestro della meta­ fisica e della legge » ed è divisa in sette trattati di morale e di filosofia. Il Canone pii/i giunto fino a noi è quello redatto dalla scuola dei Theravadin, se­ guaci della dottrina «Ortodossa» del Buddha e dei suoi diretti discepoli, ed è considerato la scrittura fondamentale dai buddhisti Hinayana. .

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(X-XI sec.). Collezione privata. primi secoli dell'era cristiana, sono stati Sulla scia del Canone pii/i sorgono un composti dalle varie scuole e in seguito gran numero di commentari e trattazio­ variamente utilizzati ed interpretati. ni in pii/i o in altre lingue dell'area in­ Nel « Sutra del loto della buona legge» diana, il più importante dei quali è il (SaddharmapufJ.4arikasiitra), del Bud­ Milindapafiha (pii/i: « le domande del re dha veniva esaltato in termini enfatici Milinda» ). Si tratta di una serie di que­ l'aspetto di salvatore e protettore dell'u­ siti sulla dottrina buddhista che il re in­ manità: esso costituì la principale scrit­ do-ellenico Milinda ( Menandro, 1 66- tura a cui in seguito fecero riferimento 1 45 a.C. circa) porge al monaco Naga­ le scuole giapponesi Nichiren e Tendai sena e delle relative risposte. Fra i com­ e le cosiddette « scuole del loto» , sorte mentari posteriori particolare attenzio­ più di recente. I n questo stesso sutra ne merita il Visuddhimagga ( « il cammi­ compare la « descrizione della terra pu­ no della purificazione » ) redatto da mo­ ra» - nella sezione denominata Su­ khiivativyiiha -, il paradiso d'occidente naci theraviidin singalesi. Se il pii/i può essere definito come la dove il Buddha Amitabha accoglie tutti lingua dello Hinayana, il sanscrito lo è i devoti. I sutra più importanti da un invece del Mahayana. In generale infat­ punto di vista filosofico sono le ti, con le dovute eccezioni, la letteratura Prajfiiipiiramitii ( «perfezione della sa­ in sanscrito è legata a doppio filo alle pienza » ). Trattano delle sei « perfezio­ varie scuole mahayana. Fra le opere più ni » (piiramitii) di un Bodhisattva, in importanti vanno citati il Mahiivastu particolare della « Sapienza» (prajfia). (sanscrito: « libro dei grandi avvenimen­ Per i sarviistiviidin, Vasubandhu (Iv se­ ti » ), una biografia romanzata del Bud­ colo d.C.) compose l'Abhidharmakosa, dha storico, e il Lalitavistara (sanscrito: fondamentale testo dottrinale. «dettagliato racconto del gioco»), che Fra i testi più importanti del Buddhi­ ripercorre le tappe della vicenda umana · smo tibetano sono quelli tradotti dal del Buddha, descritta appunto come un sanscrito dal grande erudito e scrittore « gioco » . Di Asvagho�a (n secolo d.C.), tibetano Bu-s ton ( 1 289- 1 364), autore una delle figure più illustri di tutta la delle due raccolte Kandschur e Tand­ letteratura buddb.ista, è il Buddhacarita schur. La prima (tibetano: « parola tra­ o « Storia del Buddha » . Di grande im­ dotta» ) è una raccolta di 689 opere riu­ portanza anche i trattati attribuiti a nite in 1 08 volumi in cui ai « tre cane­ N agarjuna, vissuto sul finire del n seco­ stri» del Canone pii/i ne vi"ene aggiunto lo, in particolare il Miidhyamikakiirikii un quarto, il Tantra, l'aspetto esoterico o Miidhyamikasutra. del Buddhismo. I l Tandschur (tibetano: I sutra del Mahayana, che risalgono ai « dottrina tradotta») è composto da 225

Altre opere

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Buddhismo

volunù che trattano temi religiosi e eso­ terici e viene in pratica considerato un commentario della traduzione prece­ dente. l/ libro tibetano dei morti (tibeta­ no: Bar-do-t'os-sgrol) viene usato dai la­ ma nei riti funebri o recitato al cospetto dei morituri in modo da prepararli al viaggio che li attende. Per la scuola giapponese Shingon la scrittura principale è il Dainichikyo (sanscrito: Mahiivairocanasutra, «Sutra del Buddha centrale»). La tipica forma di letteratura buddhista è dunque quella del sutra, termine che inizialmente indicava i sermoni del Buddha, ma che ora è semplicemente si­ nonimo di « testo». Caratteristiche del sutra sono una notevole lunghezza, un ritmo linguistico che procede per ripeti­ zioni di medesimi suoni, il ricorrere continuo di _analoghi concetti e dogmi; tutti elementi questi che hanno reso as­ sai difficile l'apprezzamento della lette­ ratura buddhista da parte di non cre­ denti e occidentali. Eppure il rito uni­ forme, il periodare che . .si snoda attraverso nnrume vanaz.toru progressive a livello di concetti, azioni e vocaboli, hanno un fascino particolarissimo e mi­ rano a condurre il lettore a uno stato di profonda meditazione. La lingua dei su­ tra lascia nel lettore un'impronta di ab­ bandono, è una continua sollecitazione all' «estinguersi» , fedele riflesso delJa We/tanschauung buddhista del continuo divenire e svanire. .

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IL BUDDHISMO N ELL'ETÀ MODERNA I movimenti di ispirazione buddhista sorti in molti paesi orientali in quest'ul­ timo secolo sono un aspetto delJa cre­ scente autocoscienza politica e spiritua­ le dei popoli asiatici. Le potenze colo­ niali occidentali hanno per secoli re­ spinto la cultura buddhista ed è quindi naturale che talora certe comunità bud-

dhiste abbiano assunto posizioni nazio­ naliste. Un esempio è quello dei monaci vietnamiti che si davano fuoco. Il Bud­ dhismo rappresenta inoltre per certi.po­ poli una grande forza trainante nelJa vi­ ta sociale e, talvolta, la loro stessa iden­ tità (si veda la riaffermazione della pro­ pria cultura buddhista operata dai Ti­ betani nei confronti degli occupanti ci­ nesi). Per molti Buddhisti male e dolore si esprimono anche nello sfruttamento ca­ pitalistico. Di contro, hanno elaborato un ideale di società senza classi, libera dal colonialismo e dal capitalismo, nu­ trita da una forte tensione etica. Soprat­ tutto a partire dalla fine delJa Seconda guerra mondiale, queste spinte si sono concretizzate in varie attività all'inse­ gna del rinnovamento missionario e della reinterpretazione delJ'eredità bud­ dhista. Il Wor/d Fellowship of Buddhists (Comu­ nità mondiale dei Buddhisti), fondato nel 1 950 a Ceylon dallo studioso Mala­ lasekera, mira all'unione di tutti i popo­ li che si riconoscono nella dottrina del Buddha. A tal fine sono stati promossi una serie di «meeting» a livello mondia­ le ( 1 952, 1 954) in cui Buddhisti delle scuole Hinayana e Mahayana hanno di­ battuto sulla possibilità di fare della lo­ ro religione un fattore attivo e determi­ nante della società moderna. Dal 1 956 questa comunità si è ulteriormente or­ ganizzata in commissioni che coordina­ no l'istruzione dei giovani, l'assistenza sociale e l'attività missionaria nell'Est e in Occidente. Della spinta missionaria e delle crescenti attività in campo sociale si è discusso in particolare nel grande concilio buddhista di Rangoon, nel 1 954. In questa stessa sede venne anche proposta la pubblicazione in lingua in­ glese di una sin tesi del Canone pii/i. Pochi anni dopo, a cavallo fra il 1 956 e il 1 957, tutto il mondo buddhista ha ce­ lebrato solennemente il venticinquesi­ mo secolo della morte del Buddha

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Buddhismo

La cerimonia d'ingresso di due aspiranti novizi nell'ordine «sahgha», in Thailandia. e il primo progetto del Parsifal. In que­ st'opera ( 1 882), alla negazione schopen­ viirJa. Il World Buddhists Sangha Organisa­ haueriana della volontà, W agner asso­ tion, fondato a Colombo nel 1 966, si n­ cia il proprio desiderio di redenzione, propone, fra le varie attività, la tradu­ elaborando in questo modo una perso­ zione di tutti i testi pii/i in sanscrito e vi- . nale dottrina della compassione per cer­ ti versi accostabile a quella buddhista. ceversa. Con il termine N eobuddhismo si indica Il concetto verrà meglio sistematizzato quel movimento sorto di recente in Eu­ nel suo saggio Religione e arte ( Religion ropa e in America che considera il Bud­ und Kunst) del 1 88 1 . dhismo il sistema religioso più confor­ Studi sul Buddhismo e traduzioni i n lin­ me allo spirito dell'uomo moderno. Ma gue occidentali della letteratura bud­ già nel XIX secolo il Buddhismo aveva dhista hanno ormai raggiunto un vasto influenzato alcuni intellettuali e artisti pubblico. Nel campo artistico europeò, europei. Fra essi il musicista R. Wagner dove il pensiero buddhista ha esercitato ( 1 8 1 3- 1 883) che, attraverso la lettura un discreto fascino, merita una citazio­ delle opere del filosofo Schopenhauer, ne particolare lo scrittore Herman Hes­ vede confermata la sua concezione pes­ se ( 1 877- 1 962), l'autore di Siddharta simistica del mondo. In questa fase del ( 1 922), opera in cui ripropone la leggen­ suo pensiero, inizia dal 1 856 a prepara­ da di Barlaam e Josaphat, da un roman­ re un'opera sulla vita del Buddha, di cui zo greco anonimo del 600 d.C., e che al­ arriva anche a immaginare il titolo: «il tro non è se non una variazione della vi­ vincitore» (Der Sieger). Al suo posto, ta del Buddha storico, che ha conosciu­ vedranno la luce Tristano e /sotta ( 1 859) to grande fortuna nell'Europa cristiana. storico e della sua entrata nel parinir­

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Buddhismo

IV-V

CRONOLOGIA

secolo Asanga fonda la scuola degli

yogiiciira.

420-424 Gunavarnam introduce il Bud­ Era precristiana 563-483 circa Vita del principe Sid­ dhismo a Giava. 420-452 I l Buddhismo si diffonde in dharta Gautama, il Buddha storico. 543-544 Inizio dell'era buddhista secon­ Birmania. do la tradizione singalese, che colloca in v secolo « La Via della purezza » di Bud­ questa data la morte e l'entrata nel pari­ dhaghosa. nirvaf)a del Buddha, piuttosto che nel­ VI secolo Costruzione della pagoda sul l'anno 483, data tuttavia storicamente monte Song, in Cina. 518 Viene compilato il più antico Cano­ più probabile. 480 I concilio dei Buddhisti a Rajagri­ ne buddhista cinese. 526 Bodhidharma (498-56 1 ), fondatore ha. del Chan (giapponese: Zen ), arriva in 380-370 Concilio di V aisali. Cina. 272-231 Regno dell'imperatore Asoka. 253 Mahinda i ntroduce il Buddhismo a 552 Il Buddhismo si diffonde in Giap­ pone. Ceylon. 251 III concilio di Pataliputra; scisma VI secolo Grotte di Yunkang e Long­ men in Cina; stupa Dhamek a Sarnath tra Sarvastivadin e Sthaviravadin. 200 Prajfiaparamita, la scrittura più an­ (India). tica. VI-VII secolo Architettura rupestre e zo­ u-1 secolo Stupa di Saiici. na dei monasteri ad Ajanta (India); nel­ 166- 145 circa Menandro (Milinda) di­ le zone himalayane nasce il Buddhismo venta un protettore del Buddhismo; Vajrayiina. Milindapafiha ( « le domande del re Mi­ 629-645 Xuan Zang, pellegrino cinese, linda » ). viaggia per tutti i paesi buddhisti. 80-35 circa Vengono redatti il Canone 634 Pagoda di Punhwang-sa a Kyong­ pali e i sutra del Mahayana. gju (Corea). 640 Un re tibetano sposa una principes­ Era cristiana sa di fede buddhista che introduce il 65 Compare per la prima volta il Bud- Buddhismo in Tibet. dhismo in Cina. 671 -695 Pellegrinaggio di Yizing dalla dal 1 20 Monasteri scavati nella roccia a Cina fino a Palembang (Sumatra). Karli (India). VII secolo Costruzione dell' Horyiiji nei 120-165 Nagarjuna ( 1 00- 1 65) fonda la dintorni di N ara (Giappone). scuola dei Madhyamika; i monaci dif­ 700-800 Il Buddhismo Mahayana si dif­ fondono il Buddhismo in Vietnam. fonde in Indocina (Birmania, Thailan­ n secolo Buddhacarita ( « Storia del Bud­ dia). dha» ) di Asvaghosa. V I I-VI I I secolo Santuari rupestri ad Ello­ 280 Saddharmapuf)t/arfkasiitra ( « Su tra ra (India). del Loto della buona legge»). Inizio V I I I secolo Todaij i a Nara (Giap­ 372 Il Buddhismo penetra in Corea del pone). Nord. 747 Il monaco indiano Padmasambha­ IV secolo Vasubandhu compone l'Abhi­ va arriva in Tibet, diffondendo il Vajra­ dharmako.Sa. yana. · 400 TI Buddhismo Hinayana arriva in 750 Inizio della costruzione del Thailandia. Toshodaij i a N ara (Giappone). ·

Buddhismo

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VIli

e

IX

secolo Santuario di Borobodur

a Giava ( I ndonesia). 805 Tendaisht1 fondato da Dengyo Dai­ shi (767-822) in Giappone. 806 Shingonshu introdotto da Kobo Daishi (774-835) in Giappone. 845 Persecuzione del Buddhismo in Ci­ na ad opera di W uzang. Metà del IX secolo Fo guang si, padi­ glione principale sul monte Wutai (Cina). . 1000- 1 200 Il Buddhismo scompare dal­ l'India per opera dei Musulmani. Inizio del X l i secolo Chusonji, il salone d'oro, nei dintorni della città di Kyoto (Giappone). 1 1 75 J6dosht1, introdotto in Giappone da Honen Shonin ( 1 1 33- 1 2 1 2). 1202 Rinzaishu, introdotto in Giappone da Eisai ( 1 1 4 1 - 1 2 1 5 ). 1224 Jodoshinsht1 fondato in Giappone da Shinran Shonin ( 1 1 73- 1 263). 1228 S6t6sht1 fondato da Dogen ( 1 2001 250) in Giappone. 1253 Nichirensht1, fondato da Nichiren ( 1 222- 1 282) in Giappone. 1260-94 Qubilai Khan favorisce il Bud­ dhismo. X l i i secolo Engakuji a Kamakura (Giap­ pone). 1340- 1350 Il Buddhismo è introdotto nel Laos. Fine X IV secolo Kinkakuji a Kyoto (Giappone). 1400- 1 500 Il Buddhismo è soppiantato a Giava dall'Induismo e Sumatra dall'I­ s1am. 1407 d_Ge-1ugs-pa, i « berretti gialli » , or­ dine fondato in Tibet da Tson-kha-pa ( 1 357- 1 4 1 9). 1414- 1428 Persecuzioni dei Buddhisti in Vietnam.

dal 1545 Costruzione del Potala a Lhasa

(Tibet). 1 642 Il quinto Dalai Lama diventa, in qualità di capo dei monaci, sovrano del Tibe t. 1654 Obakushu, fondato da Ingen ( 1 592- 1 673) in Giappone. 1782 IV concilio dei Theravadin in Thailandia. X V I I I secolo Tempio dei 1 0.000 Buddha a Pechino (Cina). 1871 v concilio dei Buddhisti della cor­ rente Hinayana a Mandalay ( Birmania). 1 882 Fondazione della Pali Text Society a Londra. 1891 Fondazione della Maha Bodhi So­ ciety a Cey1on per opera di Anagarika Dharma-pala ( 1 864- 1 933). 1925 Reiyukai, fondato da Kotani Kimi ( 1 884- 1 924) in Giappone. 1938 Risshokoseikai, fondato da Mioko Naganuma ( 1 889- 1 957) e Nikkio Niwa­ no ( 1 906) in Giappone. 1945 Sokagak.kai fondato in Giappone. 1950 1 conferenza mondiale buddhista a Kandy (çeylon); World Fellowship of Buddhists fondata da G.P. Malalasekera con centro a Bangkok. 1952 II conferenza mondiale buddhista a Tokyo (Giappone). 1954 III conferenza mondiale buddhista a Rangoon : illustri rappresentanti Hinayana e Mahayana entrano a far parte del World Fellowship of Buddhists; VI concilio buddhista a Rangoon. 1956-57 2500° anniversario dell�anno di morte di Buddha e IV conferenza mon­ diale buddhista in Nepal. 1959 Il quattordicesimo Dalai Lama fugge dal Tibet in India.

1966 World Buddhist Sangha Organisa­

tion fondata a Colombo (Ceylon).

CANANEI, RELIGIONE DEI Per religioni cananee si intendono le re­ ligioni delle genti semitiche nordocci­ dentali di stirpe non aramaica, che abi­ tavano appunto la terra detta di Cana­ an, in un'area attualmente compresa tra i territori della Siria, del Libano, di Israele e della Giordania. Le religioni cananee, dunque, compren­ dono la religione dei � Fenici, quella dei � Cartaginesi, quella ugari tica (� U garit) e quella dei � Moabiti e anche la religione degli Ebrei (� israeli ti ca, religione; � Giudaismo). Tali religioni, poi, rientrano a loro volta nella più ampia famiglia delle religioni � semit�che. I Cananei, che trasmisero la scrittura alfabetica al mondo occidentale e ai po­ poli dell'Asia Anteriore, vengono anno­ verati dalla Tavola dei popoli (A ntico Testamento, Genesi l 0,6 e 1 5-20), fra le stirpi camitiche. Inizialmente essi furo­ no soggetti alla dominazione babilone­ se, quindi a quella ittita e infine a quella egizia, al tempo della XVIII dinastia. A quest'ultimo periodo risalgono i testi di Amarna, che comprendono fra l'altro la corrispondenza dei governatori di Ca­ naan e della Siria con il faraone d'Egit­ to. Intorno al 1 400 a.C. i Cananei pas­ sarono sotto la dominazione assira, che si protrasse fino al x n secolo a. C., quando alcuni principi cananei riusciro­ no a riguadagnare una certa autonomia. Tale stato d'indipendenza fu peraltro di breve durata, perché Canaan dovette subire le invasioni di altri popoli con­ quistatori, tra i quali anche quelle degli Ebrei. Durante questo tormentato periodo, le città reali di Ai, Arad e Megiddo furono centri di una certa importanza, e Beer­ sheba divenne famosa come centro reli­ giOSo. Le forme religiose delle popolazioni di

Canaan avevano caratteri legati essen­ zialmente all'agricoltura, i quali non mancarono di esercitare la propria in­ fluenza sugli Ebrei. I miti cananei contenevano soprattutto riferimenti alla pioggia e alla siccità, vi­ ste come manifestazioni della vita e del­ la morte degli dei e degli eroi o anche come segni della loro salute o della loro malattia. Alla testa della gerarchia delle divinità stava El, padre degli dei e degli uomini e creatore del cielo e della terra. Il no­ me El (che significa generalmente Dio) sarebbe divenuto più tardi uno degli ap­ pellativi del Dio degli Ebrei Jhwh. Sposa di El era Ashera, genitrice di set­ tanta divinità. Altro dio di notevole importanza era Baal ( « signore » ), che faceva sentire la propria voce nel tuono e dispensava la pioggia. Egh era detto anche Adon o Melek, cioè « signore» o « re » . Nel nome

Stele raffigurante una scena di offerta al dio supremo El (XI V sec. a. C.). Aleppo, Museo A rcheologico Nazionale.

Cananei, religione dei

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2

3

Divinità cananee di diversa origine e provenienza: sembrano connesse ai miti della fertilità e dei fenomeni atmosferici. Nella statuetta della fig. 3 alcune fonti riconoscono il dio Baal. 1 -3

di Melkisedek, re-sacerdote della Geru­ salemme pre-israelitica, veniva certa­ mente ricordato il nome di questa divi­ nità cananea. Altre figure importanti del pantheon cananeo erano le dee Anath e Astarte. Generalmente gli dei venivano venerati allo scopo di allontanare dalla terra di Canaan siccità, sterilità e carestie. La vita religiosa aveva il suo culmine in alcune feste dei campi e del vino, evoca­ te anche dalla Bibbia (Giudici 9,27 e l

Re 1 8;28).

Su diverse colline del territorio di Ca­ naan sono state rinvenute vestigia di templi e altari dedicati a varie divinità: nel tempio di Geser si trova un altare scolpito nella roccia, che presenta una sorta di apertura, di forma ovale, desti­ nata al sacrificio; intorno all'altare vi è poi una scanalatura per il deflusso del sangue dalla vittima.

Le vittime sacrificati, presso i Cananei, erano generalmente uccelli o animali domestici e le offerte più comuni era­ no quelle effettuate in occasione di un parto o della costruzione di una nuo­ va casa. Accanto agli altari si sono rinvenute so­ vente delle pietre che delimitavano l'a­ rea consacrata ed erano ritenute i seggi degli dei: per questo motivo godevano di grande venerazione. N ella lingua ara­ maica e in quella fenicia, così come la Bibbia ebraica, esse vengono · · con il nome di m asseba ( « Ciò che è zato» ). La religione cananea presen elementi di contatto con gli Ebrei. Alcuni motivi cananea sono infat · m racconti biblici, il A=� pensare a un'antica comune a ­ tutte le tribù e ai ...,� '"-''"'' semiti.

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CAODAISMO Il Caodaismo (dal termine cao-dai, in lingua annamitica « il grande palazzo» ) è la religione istituita nel 1 926 dal viet­ namita Le-Van-Trung e divenuta in breve tempo uno dei movimenti religio­ si più importanti e influenti del Viet­ nam e dell'intera Penisola lndocinese. Esso vanta circa due milioni di fedeli, prevalentemente in Vietnam e Cambo­ gia; numerosi sono peraltro i Cao-dai nelle comunità indocinesi di Francia e Stati Uniti. I l centro principale del mo­ vimento è Long-Tahn, nel Vietnam Me­ ridionale (Cocincina). Il Cao-dai si presenta come una sorta di integrazione di tre antiche e importanti religioni asiatiche, il � Buddhismo, il � Taoismo e il � Confucianesimo, con l'apporto però di elementi derivati dal � Cristianesimo. Si tratta dunque di una delle � nuove religioni dell'Asia Orientale continentale.

la gerarchia del Cristianesimo cattolico, Le-V an-Trung venne proclamato « papa terreno» (giao-tong) del Caodaismo. Al­ la morte di questi, avvenuta nel 1 934, un concilio caodaista designò come suo successore nel ruolo di capo del movi­ mento Pham-Cong-Tac. La rapida espansione del Caodaismo fu resa possibile grazie a una solida orga­ nizzazione economica e a un'efficace struttura ammini strativa, e, inoltre, gra­ zie a un vero e proprio esercito privato, che i Cao-dai organizzarono a partire dal 1 943, nel quadro della lotta contro gli invasori giapponesi. In tal modo, il Caodaismo poté diventare in breve tempo una delle religioni più importanti del Vietnam. Questa rapida affermazione non mancò peraltro di far nascere dissidi sempre più gravi con le autorità politiche del nuovo stato del Vietnam del Sud, sorto dopo la fine della seconda guerra mon­ Le origini storiche del Caodaismo sono diale e durante. la guerra d'indipenden­ da collegare all'esperienza di N go-V an­ za contro la Francia. In particolare, nel 1 956 il dittatore Ngo Din-Diem, di reli­ Chieu, funzionario del governo colonia­ le francese, di religione taoista ma di gione cattolica, ordinò lo scioglimento educazione confuciana, nato nei pressi dell'esercito dei Cao-dai e fece mandare di Saigon nel 1 878. Nel 1 902, egli sentì in esilio il cosiddetto « papa» Pham­ la «Chiamata» degli « alti spiriti» e si Cong-Tac. diede a raccogliere attorno a sé dei gio­ Un aspetto caratteristico della religiosi­ vani seguaci, anch'essi provenienti dalle là del Caodaismo sono le cosiddette file dell'ammini strazione coloniale. Nel « tre amnistie» (tan-ky-pho-do), accorda­ 1 925 egli ebbe la rivelazione del nome te agli uomini dal dio Cao-dai, e cioè le Cao-dai, e Dio stesso gli ordinò di dare sue progressive rivelazioni e le manife­ vita a una nuova comunità religiosa e di stazioni della sua misericordia nel corso affidarne la guida al ricco Le-Van­ della storia. Seguendo tale concezione Trung, nato nel 1 876 e anch'egli funzio­ teologica, la storia stessa avrebbe infatti nario del governo coloniale. un andamento ciclico, in cui ogni epo­ La nuova religione venne dunque fon­ ca, apertasi con una rivelazione divina, data ufficialmente a opera dello stesso tende progressivamente verso un inevi­ Le-Van-Trung, il 7 ottobre 1 926; la se­ tabile declino. Durante questa decaden­ de, inizialmente fissata a Saigon, venne,. za, grazie all' « amnistia», si apre un pochi mesi dopo, spostata nella provin­ nuovo ciclo. cia di Tay-Nihn, nel centro attuale. Qui, Dopo le due « amnistie» orientali - di con un rituale parzialmente ripreso dal- cui sarebbero state espressione le figure ·

1 39 del Buddha e di Lao-tzu - e dopo le due occidentali - espresse dalle figure di Mosè e Gesù Cristo - si sarebbe ora aperto il ciclo della « terza e ultima am­ nistia del Dio » , della quale sarebbe ap­ p un to espressione il Caodaismo. In base a questa dottrina, Cao-Tiep­ Dao, «il Signore dello zodiaco» , ha espresso il ruolo del Caodaismo con il seguente paragone:

« La dottrina di Mosè è il bocciolo e la dottrina di Cristo il fiore. Tuttavia il frut­ to è la dottrina di Cao-dai. Il fiore non distrugge il bocciolo e il frutto non di­ strugge il fiore. Al contrario, ogni stadio successivo nello sviluppo della pianta co­ stituisce il perfezionamento di quello pre­ cedente» .

Riguardo alla figura dell'uomo, lo stes­ so autore dice:

« Frutti di un solo albero, fiori di un solo giardino sono gli uomini, figli amati di un solo padre, il cui nome è amore. L'uo­ mo deve dunque amare la luce, non im­ porta a quale orizzonte essa appaia. Egli deve cercare la verità, da qualsiasi fonte essa sgorghi ».

Il Caodaismo si considera fondamental­ mente come Buddhismo ritrovato e in­ tende colmare quelle che esso ritiene due gravi lacune del Buddhismo tradi­ zionale, e cioè, da un lato, le sue caren­ ze sul piano etico e, dall'altro, il proble­ ma délla mancanza di gerarchie. I Cao-dai sostengono la necessità di un'etica fondata sul principio della fra­ tellanza di tutti gli uomini e su quello della misericordia nei confronti di tutti gli esseri viventi, siano essi uomini o animali, in conformità, del resto, con la dottrina della trasmigrazione delle ani­ me (� Buddhismo e � Induismo ). Per questo motivo, tra l'altro, i monaci cao-

Caodaismo daisti hanno l'obbligo di essere vegeta­ riani, pratica questa che viene consiglia­ ta anche ai fedeli laici. Sulla base del principio della fratellan­ za, inoltre, il Caodaismo ritiene neces­ saria la battaglia per l'estensione dell'i­ struzione e per l'introduzione dell'ob­ bligo scolastico. Altro fondamento del movimento è l'accettazione dello spiritismo che deve condurre gli uomini al di là delle appa­ renze colte affidandosi unicamente ai sensi. Lo spiritismo, infatti, dà la cer­ tezza della sopravvivenza dell'anima dopo la morte fisica, così come la possi­ bilità di stabilire un contatto tra il mon­ do dei vivi e quello dei morti, grazie al tramite delle manifestazioni mediani­ che. Tra gli « alti spiriti» del Caodaismo si annoverano quelli del poeta cinese Li Tai Po (70 1 -762), dell'uomo politico e fondatore della Repubblica cinese Sun Yatsen ( 1 866- 1 925), di Giovanna d'Ar­ co ( 1 4 1 2- 1 43 1 ) e del poeta francese Vic­ tor Hugo ( 1 802- 1 885). Punto essenziale del culto celebrato nei templi caodaisti è la preghiera comuni­ taria, la quale ha come fine la medita­ zione: non a caso, nel corso di tale pre­ ghiera si fa largo ricorso all'incenso. Per quanto concerne la struttura gerar­ chica, si può dire, facendo uso della ter­ minologia cattolica, che la massima au­ torità del Caodaismo è lo ho-phap (il « papa» ), cui si affiancano tre cuongphap ( « Cardinali » ), otto dan-sus ( « arci­ vescovi » ), trentotto phoi-sus ( « Vesco­ vi »), una settantina di giao-sus ( «preti superiori )) ) e tre migliaia di semplici sa­ cerdoti. Ogni grado della gerarchia - ad ecce­ zione del « pontificato» - è aperto an­ che alle donne. Il Caodaismo ha eretto templi in quasi tutte le maggiori località del Vietnam e della Cambogia: a Long-Tahn, centro del movimento, il grande tempio era stato costruito delle dimensioni di una

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Cargo, culti del cattedrale. Sempre qui avevano sede i vertici della gerarchia ecclesiastica, un cospicuo apparato, inoltre, di scuole, biblioteche, laboratori di artigianato re­ ligioso e tipografie. Tutti questi dati so­ no ora difficilmente verificabili, essen­ do attualmente il Vietnam e la Cambo-

gia retti da regimi di stretta osservanza comunista. Nei santuari e sugli altari dei templi si trova sempre il simbolo sacro del dio Cao-dai : un occhio aperto, che abbrac­ cia con lo sguardo l'intero globo terre­ stre.

CARGO, CULTI DEL Con la definizione di culti del Cargo, o « Culti del carico», si è soliti indicare le pratiche religiose di alcuni movimenti salvifici, sorti dal confronto spirituale tra gli indigeni delle isole melanesiane - in particolare della Nuova Guinea - e i colonizzatori europei. A tali culti, infatti, fanno capo diversi movimenti religiosi che auspicano la salvezza e la libertà della Melanesia, tra i quali, ad esempio, � Tuka, � Mam­ bu e � Paliau, nonché la religione Taro. Il termine cargo (che in inglese significa « merce » , «Carico» ) sottolinea il fatto che questi movimenti sono strettamente collegati all'aspettativa di « Carichi » e di • spedizioni di merce» , che arrivano nel­ le isole per via marittima o aerea. Il cul­ to del carico esprime infatti la speranza della gente indigena di colore di parte­ cipare ai beni della civiltà dei bianchi, ricchi di benessere, felicità e libertà.

Al centro della profezia che sta alla ba­ se di queste pratiche religiose si trovano infatti gli auspicati beni materiali della civiltà occidentale. In base alla loro tra­ dizionale venerazione degli antenati, i Melanesiani ritengono che, in realtà, ta­ li ricchezze siano state create dagli ante­ nati stessi per il bene dei loro discen­ denti. I ricchi colonizzatori bianchi, in tal sen­ so, avrebbero defraudato le genti di co­ lore di tali tesori. Un giorno tuttavia, secondo le profezie cargo, questa frode dovrà venire alla lu­ ce, e gli avi faranno in modo che agli in­ digeni giungano navi cariche di tutti quei beni che finora sono stati goduti soltanto dai bianchi. In vista del sicuro arrivo di questi car­ go, direttamente inviati dagli antenati, le scorte attualmente disponibili debbo­ no essere tutte consumate.

CARTAGINESI, RELIGIONE DEI Si intende il culto del popolo dell'antica città di Cartagine, situata nelle vicinan­ ze dell'attuale Tunisi. I Cartaginesi o Punici provenivano dal­ la Fenicia (� Fenici, religione dei), ma la loro città si sviluppò in maniera auto­ noma dalla madrepatria, l'importante centro fenicio di Tiro. Lo stato cartagi­ nese sorse nel IX secolo a. C. (lo storico greco Timeo fa risalire la fondazione

della città all' 8 1 4 a.C.), e durò fino al­ l'anno 1 46 a.C., quando Cartagine ven­ ne distrutta dai Romani.La religione cartaginese fa dunque par­ te delle antiche religioni africane, ma, in ragione delle ascendenze fenicie dei Punici, rientra anche nel gruppo delle religioni dei � Cananei, in quello delle religioni � semitiche e delle religioni dell'� Asia Anteriore.

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Cartaginesi, religione dei

Il «segno.di Tanit», nel pavimento musivo di un forno di ceramica, a Kerkouane.

Fondato come « nuova città» (tale è in­ fatti il significato etimologico del suo nome), il centro nordafricano di Carta­ gine conobbe nei secoli successivi un progressivo sviluppo, fino a divenire una delle importanti città commerciali dell'Antichità. N el periodo della massima espansione, il suo territorio si estendeva a est fino alla Grande Sirte e a ovest fino all'A­ tlantico. Nel 1 1 1 secolo a.C. Cartagine venne in urto con Roma, l'altra grande potenza in ascesa del Mediterraneo Occiden­ tale. Le tre guerre puniche (264-24 1 a.C. ; 2 1 8-20 1 a.C. ; 1 49- 1 46 a.C.) furono il ri­ sultato della lotta tra Roma e Cartagine per l'egemonia su questa parte dello scacchiere mediterraneo e si conclusero solo quando, nel 1 46 a.C., Scipione Emiliano ebbe conquistato e raso al suolo la città rivale. Dopo di allora, il territorio di Cartagine venne incorpora­ to nella provincia romana dell'Africa. Le divinità ' venerate dai Cartaginesi so­ no citate dal famoso condottiero Anni­ bale (il suo nome significa « Baal è mi-

sericordioso») nel giuramento con il quale siglò, nel 2 1 5 a.C., un accordo di alleanza con Filippo v di Macedonia. Nella versione greca del documento, tutte queste divinità puniche sono state tradotte dallo storico Polibio con i no­ mi delle corrispondenti divinità greche (ad esempio Zeus, H era ecc.). Alla testa del p an theon cartaginese figura dunque Baai-Hammon ( « Baal del calore » ), che viene equiparato a Zeus. È interessante notare la somiglianza del nome di que­ sta divinità. con quello del dio egizio Ammone, anch'esso identificato dai Greci con Zeus. Di origine decisamente nordafricana è la dea Tanit o Tinnit, vergine e madre allo stesso tempo. La spiga, la melagra­ na e l'uva ne sono i simboli e gli attributi. Sulle stele essa era spesso rappresentata con un cerchio sovrapposto a un trian­ golo, a sua volta generalmente cir­ condato da una mezza luna. Infatti Tanit, che nel suddetto documento vie­ ne equiparata a Era, era anche dea della luna. Altre divinità, provenienti dalla patria fenicia, erano poi Melkart e Eshmun, il cui culto documenta il passaggio dalle

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Cartaginesi, religione dei

2

3

l Stele con sacerdote davanti a un bruciaprofumi e simboli religiosi (III- li sec. a. C.). Palermo, Museo A rcheologico Nazionale. 2 Stele votiva con mano aperta, «segno di Tanit» e ariete (II sec. a. C). Parigi, Bibliothèque Nationale. 3 Stele con simboli astrali, «segno di Tanit» e idolo­ bottiglia (I V sec. a. C.). Tunisi, Museo del Bardo. 4 Stele con sacerdote che regge un bambino, forse votato al sacrificio (I V sec. a. C.). Tunisi, Museo del Bardo.

4

divinità della vegetazione alle divinità urbane. A Cartagine era in uso la pratica di sa­ crifici umani, in particolare di bambini. Si ritiene che i bambini venissero ada­ giati tra le mani della statua di Baàl­ H ammon, dalie quali cadevano poi in una fossa, ove ardeva un fuoco sacro. Secondo lo storico Diodoro Siculo (20, 1 4), durante l'assedio di Cartagine da parte dell'agrigentino Agatocle ven-

nero sacrificati in questo modo ben duecento fanciulli di nobile lignaggio. Un'interpretazione recente ipotizza che i resti dei bambini, collocati in aree par­ ticolari che hanno fatto pensare ad aree sacrificati, fossero in realtà morti per al­ tre ragioni. In casi particolari, tuttavia, l'infanticidio rituale era senza dubbio praticato, anche se la sostituzione del bambino con un animale era talvolta possibile.

CELTICA, RELIGIONE È la religione dell'antica popolazione indoeuropea dei Celti (� indoeuropee,

religioni), stabilitasi in varie aree del­ l'Europa in un periodo compreso tra il VI e il III secolo a. C. I Celti insulari abitavano· nelle isole bri­ tanniche, mentre i Celti continentali erano presenti in varie zone, dalla Gal­ lia alla Penisola I berica, all'I tali a Set­ tentrionale, ai Balcani, fino alla Peniso­ la Anatolica. La comparsa dei Celti nelle aree centra­ li dell'Europa risale al VI secolo a.C. In­ torno al 550 a.C., essi arrivarono nella Penisola Iberica, e nel 387-386 dilagaro­ no in I talia, dove raggiunsero e saccheg­ giarono Roma. Altre tribù celtiche, i Galati, si stabilirono invece in Asia Mi­ nore intorno al III secolo a.C. A partire dal 300 a.C., essi dovettero subire l'espansionismo cartaginese in Spagna, e dal 1 93 a.C. quello romano in I talia. Tra il 5 8 e il 5 1 a.C. Giulio Cesare pro­ cedette poi alla sottomissione delle po­ polazioni celtiche degli Elvezi e dei Gal-

li, che abitavano negli attuali territori della Svizzera, della Francia e del Belgio. Altre sconfitte furono poi subite per opera dei Germani, che incalzavano i Celti nell'Europa Centrale, sicché, sotto la duplice pressione della romanizzazio­ ne e delle migrazioni germaniche, i Celti videro progressivamente ridursi l'area da loro autonomamente controllata. Dopo il crollo dell'Impero Romano, sotto l'urto delle popolazioni germani­ che, i Celti riuscirono a tenere viva la loro tradizione culturale solo in alcune zone periferiche dell'Europa, quali l'Ir­ landa, il Galles, la Scozia, la Cornova­ glia e la Bretagna. Attualmente, le lingue parlate in queste regioni, e cioè le lingue gaeliche dell'Ir­ landa e della Scozia, il cimrico del Gal­ les e della Cornovaglia e il bretone della Bretagna, sono le sole lingue celtiche sopravvissute in Eurppa. Le divinità celtiche erano a un tempo dei della vegetazione e della guerra, e, insieme, divinità tutelari. I n virtù di questa loro triplice funzione, esse erano

Cernunnus, signore di tutti gli esseri viventi: rilievo dal Paiolo di Gundestrup (I sec. Copenaghen, National Museet.

a.

C.).

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celtica, religione

Taranis, con l'emblema della ruota: rilievo dal Paiolo di Gundestrup (I sec. a. C.). Copenaghen, National Museet. spesso raffigurate con tre teste o con tre volti, oppure con tre identiche figure. Gli dei erano in genere chiamati A es Si­ de, cioè « Gente della collina di Sid » e anche dopo la cristianizzazione queste figure non scomparvero dalla devozione popolare: si riteneva che gli dei celtici si fossero semplicemente ritirati e che continuassero a vivere sulle colline o sulle alture. Tra le divinità dei Celti insulari, Dana (o Ana) era la dea della terra e della fer­ tilità. I suoi discendenti, erano i Tua­ tha Dé Danann, ovvero le «Genti di Dana» . Dagda ( Buon Dio) era invece un dio della terra, che influiva sul grano e sul latte. Egli veniva chiamato anche con il nome di Eochaid Ollathair, cioè «grande padre dell'universo» . Come nume del­ l'alimentazione, egli possedeva un paio­ lo contenente vivande inesauribili e inoltre disponeva di alberi sempre cari­ chi di frutta. Sua figlia, nota come Brigit bainfile ( Brigit la sublime, «la potente » , «la splenden te» ), era la dea protettrice del­ l'arte poetica, della divinazione, dell'ar­ te medica e della metallurgia. I Romani

la paragonarono a Vittoria, mentre la Santa Brigitta del Cristianesimo raccol­ se la sua eredità, e non a caso essa gode tuttora di una grande devozione nelle regioni di tradizione cel ti ca. Figlio di Brigit era Ogma (i Galli lo chiamavano Ogmios ) , dio della cultura e dell'eloquenza dei bardi - i poeti, in lingua celtica - e inventore della scrit­ tura celtica, costituita da un sistema di linee e punti. Goibniu, Luchtaine e Creidne costitui­ vano invece una triade di dei artigia­ ni ed erano rispettivamente protettore dei fabbri e degli artisti, dei carpen­ tieri e degli artigiani del rame e del bronzo. Infine, Morrigan ( « grande dea » ), Ne­ maiu ( « panico » , « furia » ) e Badb Catha ( « Cornacchia » ) erano divinità della guerra. Presso i Celti continentali, la divinità principale era il dio del temporale Tara­ nis, paragonato allo Juppiter romano. Egli aveva diversi altri nonù e i suoi em­ blenù erano la ruota e la folgore. Cer­ nunnus, un dio cornuto (cernu significa­ va infatti «Como » ), era invece il Signore di tutti gli esseri viventi, ed era quindi

celtica, religione

1 45 Cernunnus tra Apollo e Mercurio: altare di età gallo-romana (II sec.) da Reims. Reims, Musée Historique et Lapidaire.

un dio della fertilità. I n genere veniva rappresentato seduto con le gambe in­ crociate (a mo' .del Buddha), e sul capo portava delle corna simili a quelle di un cervo. Nel cosiddetto « paiolo di Gun­ destrup» lo si vede raffigurato assieme a numerosi animali, mentre su un altare rinvenuto nei pressi di Reims appare nell'atto di rovesciare un sacco di grano per nutrire un toro e un cervo. Il culto più diffuso era comunque quel­ lo di Belanus (bel voleva dire « Chiaro » ,

« luminoso » ) , un dio della luce che pre­ sentava caratteri non troppo distanti da quelli dell'Apollo romano. La sua com­ pagna era Belisama (il nome risultava composto dalle parole bel e sama, cioè « Simile» ), anch'essa dea della luce e del fuoco e paragonata dai Romani a Mi­ nerva. Lungo il corso dei fiumi si solevano ve­ nerare delle figure divine femminili, per i Romani simili a « matrone» , general­ mente raggruppate in triadi, raffigurate

1 -2 Belanus, tra i dioscuri celti e la grande dea madre con i suoi due sposi, Taranis e Cernunnus: rilievi dal Paiolo di Gundestrup (I sec. a. C.). Copenaghen, National Museet.

2

celtica, religione con una cornucopia e con dei frutti sul gr�mbo. Sembra che esse venissero con­ siderate a un tempo delle divinità madri e · delle dee della vegetazione, e il fiume Marna, nella Francia settentrionale, de­ ve probabilmente il suo nome alla for­ ma singolare di matrona. Raffigurata in modo simile alle matrone è anche Epo­ na ( « grande cavalla » ) che era appunto la dea dei cavalli e la protettrice dei ca­ valieri. Lugus chiamato Lug presso gli Irlan­ desi - era invece il signore dell'abilità artistica e l'inventore di tutte le arti, e lo si conosceva anche con l'epiteto di Samildanach ( « esperto in molte arti »). Il suo nome - generalmente associato alla parola dun ( « luogo fortificato » ) improntò la toponomastica di numero­ se città e villaggi dei Celti, chiamati ap­ punto Lugudunon ( « Cittadella di Lu­ gus» ), come ci è del resto attestato dalle città di Lione, Londra, Laon, Leida e Liegnitz, i cui nomi costituiscono, se­ condo alcuni, delle evoluzioni di questo comune toponimo originario. Un altro dio dei Celti continentali era Ogmios, corrispondente all'Ogma irlan­ dese, dio dell'erudizione. Esus ( « mae-

Sacrificio di un toro: rilievo dal Paiolo di Gun àestrup (I sec. a. C.). Copenaghen, National Museet.

1 46 stro » ) era invece dio del commercio, ol­ tre che del cielo, del sole e del fuoco. Egli era conosciuto anche con altri no­ mi, e su un lato dell'altare della catte­ drale di Notre-Dame, a Parigi, lo si tro­ va raffigurato come un uomo barbuto vestito con un abito corto e impegnato ad abbattere un albero con una scure. Compagna di Esus era la divinità del cielo Rosmerta, mentre Damona era la dea della salute e Grannus il dio della salvezza. Un dio guerriero, tipicamente tribale, era invece Teutates (teuta signi­ ficava « trib ù » ), conosciuto anche con altri nomi, e paragonato dai Romani a M arte. Sempre come di vini tà guerriera figurava poi Nemetona. Presso i Cel ti, alcune pian te e animali erano considerati sacri. Tali ad esempio erano i cavalli, i cervi, gli orsi, i tori e le cornacchie. Il toro veniva spesso raffi­ gurato con tre teste; il corvo era consi­ derato uccello della profezia e della guerra, mentre il cinghiale era simbolo della ferocia. Non mancavano poi i mo­ stri marini, come Afanc, che può forse essere considerato una sorta di precur­ sore del mostro di Loch Ness. Tra le piante, la quercia e il tasso erano rite­ nuti alberi sacri, e avevano grande im­ portanza per l'arte della divinazione e nel culto dei morti. Per quanto concerne la concezione del­ l' aldilà, i Celti se lo raffiguravano come un luogo senza morte e senza inverno. In Galles tale luogo veniva indicato col nome di annwn ( « non mondo» ), mentre i Celti irlandesi ritenevano che l' avalon, il loro aldilà paradisiaco, fosse una sor­ ta di isola dei beati (nel latino medieva­ le sarebbe stata chiamata insula avallo­ nis), in cui i defunti avrebbero cono­ sciuto una nuova vita, dominata da luce e colori, e caratterizzata da musica, danze, lauti banchetti e piaceri sen­ suali. Secondo il calendario celtico l'anno si divideva in due sole stagioni, quella in­ vernale, chiamata geimredh, e quella

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celtica, religione

Carro bronzeo con figura femminile reggente un bacile, probabilmente una sacerdotessa, attorno alla qua(e si celebra il sacrificio dei cervi; da una tomba a urna presso Stuttweg (Stiria, A ustria, VII sec. a. C.). Graz, Steiermorkisches Landesmuseum Joanneum.

estiva, detta samradh. L'anno iniziava in novembre con una delle quattro feste principali, il Semain, nel corso della quale si procedeva all'accensione del nuovo fuoco sacro e al sacrificio di al­ cuni animali. Le altre feste celtiche era­ no l'Imbole (celebrata il I di febbraio), il Beltine, festeggiata all'inizio di mag­ gio in occasione della transumanza del bestiame verso i pascoli estivi, e il Lugnasad ( « le nozze di Lug» ), celebrata il I di agosto come festa di ringrazia­ mento per il raccolto. Una grande im­ portanza avevano i riti sacrificati, consi­ stenti generalmente in sacrifici di ani­ mali, ma talora anche in offerte di oro e di argento, e perfino in sacrifici umani. Questi riti, così come i banchetti festivi e i riti divinatori, venivano sempre offi­ ciati in presenza di un paiolo sacrale. I centri di culto si trovavano solitamen­ te nei boschi o nelle radure, sulla cima di colline, o in prossimità di laghi o di fiumi. Particolarmente venerati erano i boschi sacri, dove si trovavano anche numerosi altari. Solo in epoca recente sembra che si sia conùnciato a costruire dei veri e propri templi, di forma ret­ tangolare o circolare. In precedenza, infatti, le funzioni reli-

giose avvenivano sempre all'aperto, ma­ gari nel nemeton, il bosco sacro. A offi­ ciarle erano i caratteristici sacerdoti cel­ tici, chiamati druidi (il termine drui, nel­ la lingua celtica degli Irlandesi signifi­ cava « Colui che vive intensamente»). Essi erano gli esponenti di una classe sacerdotale che aveva l'esplicito compi­ to di celebrare gli uffici divini, -offrire i sacrifici, giudicare, assegnare punizioni o ricompense e istruire i giovani. N elle notti di luna piena, secondo quanto ri­ ferito da Plinio, i druidi, vestiti di bian­ co, si recavano nei boschi per raccoglie­ re rami di vischio dalle querce: al vi­ schio, infatti, veniva attribuita una for­ za miracolosa. I l corrispettivo femmini­ le dei druidi erano le dryades, cui si ri­ conoscevano grandi doti di tipo visio­ nario-profetico. I gutuatri (così chiamati dalla parola gu­ tu che significava « Voce») erano invece le guide locali della comunità, incaricati di cantare e di intonare le preghiere, in quanto si riteneva che solo essi fossero in grado di parlare agli dei. Infine i filid ( « Vati » ) erano coloro che divinavano il futuro dal volo degli uccelli e dalle vitti­ me sacrificati, mentre le banfathi erano delle profetesse.

CHIESA DI DIO Le Churches of God (Chiese di Dio) so­ no un movimento che raggruppa più di 200 differenti comunità religiose sorte negli Stati Uniti a partire dal 1 830, in collegamento e sotto l'influenza dei due più ampi gruppi del Movimento Pente­ costale e del Movimento della Santifi­ cazione Personale. Tra le varie Chiese di Dio si possono ad esempio ricordare la Generai Eldership o Chiesa di Dio del N ordamerica, fon­ data nel 1 830, la Chiesa di Dio N ew Dankers, fondata nel 1 848, e la Chiesa di Dio A nderson, fondata nell'Indiana nel 1 880. Di tendenza più spiccatamen­ te avventista vi sono poi la Chiesa di Dio Adventists, fondata nel 1 865, la Chiesa di Dio in Gesù Cristo, sorta in Oregon nel 1 888, e la Chiesa di Dio del Settimo Giorno, istituita nel 1 933. Le­ gate al Movimento Pentecostale sono invece la Chiesa · di Dio Originai, sorta nel 1 8 1 7, la Chiesa di Dio Queens Vii­ /age, fondata nel 1 943, e soprattutto la Chiesa della Santità (Holiness Church), costituitasi nel 1 892 e ribattezzatasi Chiesa di Dio Cleveland nel 1 909. La comunità più interessante e signifi­ cativa, fra le varie Chiese di Dio, è tut­ tavia il Movimento religioso d' Ameri­ ca, fondato nel 1 934 da Herbert W. Armstrong, e originariamente chiamato Radio-Church of God, vale a dire Chie­ sa-Radio di Dio. Il Movimento religioso americano, che dal 1 968 è noto anche con il nome di Chiesa Internazionale di Dio, conta og­ gi circa centomila seguaci e possiede de­ gli A mbassadors colleges a Pasadena (California), Dallas (Texas) e, per l' Eu­ ropa, a Londra. Il fondatore del movimento, Herbert W. Annstrong, nacque a Des Moines in Louisiana, nel 1 893, e svolse dapprima

l'attività di pubblicitario. Nel 1 927, per­ suaso dalla moglie, si convertì e divenne pastore nella Church of God Oregon, una Chiesa di Dio di ispirazione avven­ tista. Dopo qualche tempo, a causa di contrasti con i confratelli, venne allon­ tanato dalla comunità e nel 1 934 fondò quindi una propria chiesa, la Radio­ Church of God, iniziando la predicazio­ ne dai microfoni di una radio locale. Tra gli assunti della sua dottrina vi è la convinzione che, a partire dalla distru­ zione di Gerusalemme nel 70 d.C., si sia predicato tra le genti un vangelo am­ morbidito ed edulcorato e che sia quin­ di necessario rifondare la vera Chiesa. La chiesa da lui istituita sarebbe appun­ to questa Vera Chiesa, la cui diffusione coincide con l'inizio delle trasmissioni del programma radiofonico The world tomorrow (Il mondo domani), da lui ideato e condotto nel 1 934. Successivamente, Armstrong passò an­ che a una predicazione scritta attraver­ so le pubblicazioni della rivista da lui fondata: The plain truth» ( La piena verità). N el 1 968, la Chiesa- Radio di Dio as­ sunse, come si è detto, la nuova deno­ minazione di Chiesa Internazionale di Dio e si venne configurando come un movimento di notevole diffusione. Nel 1 973, ad esempio, la sua rivista ufficiale arrivò a vendere circa due milioni di co­ pie, e la trasmissione Il mondo domani fu mandata in onda da più di quattro­ cento emittenti radiofoniche e televisi­ ve. Tra il 1 953 e il 1 973, attraverso le tra­ smissioni di Radio Lussemburgo e Ra­ dio Montecarlo, la predicazione dei se­ guaci di Armstrong ha cominciato a dif­ fondersi anche nei paesi europei. «

Caratteristica della Chiesa Internazio­ nale di Dio è la convinzione di un'or-

cinesi, religioni

1 49 mai imminente « fine del mondo » , con guerre, carestie e catastrofi. Armstrong, il fondatore, ne aveva anche profetizza­

I seguaci della Chiesa Internazionale di Dio praticano il Battesimo degli adulti, mediante immersione.

venendo

Come festività si attengono al calenda­

peraltro smentito dai fatti. Un altro aspe t to del movimento di

bato come giorno di riposo settimanale.

to la data (il

1 972

o il

1 977),

rio liturgico ebraico e considerano il sa­

Armstrong è l'identificazione dei popoli

Essi celebrano poi la festa di Passah (la

anglosassoni con i discendenti delle an­

Pasqua ebraica) e osservano le regole

tiche tribù ebraiche di Efraim e di Ma­

ebraiche anche per quanto riguarda l'a­

nasse.

limentazione.

CINESI, RELIGIONI Sotto la generale definizione di religioni

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cinesi, si annoverano tanto le religioni

caratteristiche decisamente cinesi.

locali, sorte autonomamente in Cina,

particolare esso venne rielaborato da diverse scuole locali come la San­

quanto quelle giunte nel paese dall'e­ sterno e poi sviluppatesi con peculiari caratteri cinesi. I Cinesi, popolazione appartenente alla razza mongolica, concepiscono la loro terra come il centro del mondo, così co­ me è attestato dall'etimologia della stes­ sa parola Cina, derivante dall'espressio­ ne cinese Chongguo: « Regno del Cen­ tro » . La civiltà cinese, oltre a essere l a più antica tuttora esistente, si è rivelata an­ che particolarmente feconda nel campo della storia delle religioni. Infatti, nel millenario sviluppo di questa civiltà, tre sono le religioni che ha�o avuto gran­ de peso nel suo cammino, a loro volta precedute dalla più antica religione del luogo (� Universismo). Esse sono il � Taoismo, il � Confucianesimo e il Buddhismo Mahayana (� Buddhismo). Delle · tre, il Taoismo è la forma religio­ sa locale più antica, mentre il Confucia­ nesimo costituisce in un certo senso un'evoluzione e una codificazione del­ l'antichissima religione tradizionale. Il Buddhismo Mahayana, invece, è una religione di provenienza indiana: esso penetrò in Cina durante il regno della dinastia imperiale degli Han (206 a.C.-

d.C.) e col tempo assunse tratti e In

400 d.C.), la Fazianzong (sorta nel 650), la Hua­ yanzong (fondata nel 630), la Tiantai­ zong (risalente al 580), la Chingtuzong (costituitasi nel 400), la Luzong (del 650), la Chanzong (del 526) e la Mizong (fondata nel 720). Tutte queste scuole longzong (fondata intorno al

buddhiste di origine cinese trovarono successivamente un loro corrispettivo nelle scuole che, sul loro esempio e, tal­ volta, su loro derivazione, vennero fon­ date dal Buddhismo giapponese (� giapponesi, religioni). Altre religioni dell'area culturale cinese sono poi riconducibili al più generale contesto delle � asiatiche, religioni tri­ bali. Tra le religioni più recenti, formatesi in Cina negli ultimi due secoli, si debbono invece annoverare la religione � Tai P'ing, risalente al 1 847, la Daoyuan (Società del cammino), sorta a cavallo degli anni Venti del xx secolo, la Tungshanshi (Società per il bene comu­ ne), fondata a Pechino nel 1 9 1 8 per opera di W ang Chaozong, e infine la Wushanshi (Società per il risveglio della rettitudine), istituita nel 1 9 1 5 da Tang Huanzang.

CONFUCIANESIMO È il termine occidentale che designa

. una scuola di pensiero cinese, con rile­ vanti risvolti religiosi, chiamata in Cina Rujia, « scuola dei letterati » : essa fa per­ no attorno all'opera del filosofo e stati­ sta Kong fuzi, ovvero Maestro Kong (55 1 -479 a.C.), nome latinizzato dagli europei in Confucius, da cui l'italiano Confucio. Questi non è il fondatore di una religio­ ne - come il Cristo o il Buddha - : egli e i suoi discepoli hanno salvato, riordi­ nato e arricchito il vasto patrimonio dell'antica religione tradizionale (� Y niversismo), riproponendola come compiuto sistema rituale e come dottri­ na etico-sociale, capace di porre rime­ dio alla disgregazione spirituale e mora­ le della Cina del tempo. Il Confucianesimo ha poi assunto uno specifico ruolo tra le religioni � cinesi dal momento che ha quasi sempre go­ duto, durante l'Impero cinese unificato (22 1 a.C.- 1 9 1 1 d.C.), dell' appoggio uffi­ ciale dello stato. ·

I l sistema filosofico-religioso di Confu­ cio ha comunque trovato adepti anche in aree influenzate dalla civiltà cinese: nella Repubblica della Corea del Sud, ad esempio, dove il Confucianesimo viene designato col termine locale di Yukyò, vivono oggi circa cinque milioni di seguaci di questa religione, cioè quasi il 1 3% della popolazione deli 'in tero pae­ se.

La vita di Confucio Il filosofo è vissuto nel periodo della storia cinese detto delle Primavere e Autunni (Chunqiu, 770-454 a.C.), così chiamato dal titolo di un'opera attribui­ ta a Confucio stesso. Caratteristica di questa fase della civiltà cinese sono il progressivo indebolimen­ to politico dei re della dinastia Zhou (xi secolo-249 a.C.), ai quali rimane solo l'autorità religiosa, e l'affermazione di un sistema feudale che frantuma il po­ tere tra vari principi e nobili in lotta fra loro.

Incontro di Confucio e di Laozi: stampa del XIX sec. Parigi, Bibliothèque Nationale.

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1 -2 Confucio e Mencio: illustrazioni da «Ritratti di cinesi celebri» (XVII-XVIII sec.). Parigi, Bibliothèque Nationale. Confucio nasce nel 55 1 a.C. nell'odier­ na località di Zhufou ( Kuoli) nel picco­ lo principato di Lu, situabile nella pro­ vincia dello Shandong: egli è il secon­ dogenito del settantenne Kong Qiu Liangho, morto nel 548 a.C., e della sua seconda moglie Chengzai, morta nel 525 a.C., appartenente alla famiglia Yen. Tradizioni posteriori, sicuramente leggendarie, presentano la famiglia di Confucio come discendente dalla dina­ stia reale Shang (xvi-XI sec. a.C.), alla quale era succeduta quella Zhou. Con­ fucio appartiene, invece, a quella classe di nobili o sacerdoti decaduti (ru), che all'epoca svolgevano generalmente fun­ zioni di esecutori di riti e cerimonieri al­ le corti dei signori feudali. Dopo la morte del padre, trascorse una giovinez­ za in precarie condizioni economiche; all'età di diciannove anni prese moglie (532 a.C.) e l'anno successivo ebbe un figlio, al quale vennero dati i nomi di Li e Boyu. In un primo tempo Confucio si pose al servizio della famiglia feudale di Qi, in qualità di sovrintendente dei granai, dei campi e delle greggi pubbliche. A ventidue anni, invece, diventò inse­ gnante e raccolse in torno a sé ragazzi di

tutte le condizioni sociali, ai quali inse­ gnò a scrivere e far di conto. N el 5 1 8 a. C. in traprese un viaggio a Luoyi (attuale L uoyang, capitale dei re Zhou), dove compì ricerche negli archi­ vi. In questa città sarebbe avvenuto l'in­ contro - del quale narra Zhuangze nel­ la sua opera Il vero libro del Paese dei Fiori del sud - tra Confucio e l'archivi­ sta Laozi, fondatore del � Taoismo. Il filosofo tornò infine a Lu ormai come saggio stimato: ma, quando nel 5 1 7 a.C. scoppiarono dei disordini e il principe fuggì nel vicino feudo di Qi, Confucio lo raggiunse. Dopo due anni tornò dal­ l'esilio e di nuovo si dedicò all'insegna­ mento, questa volta con intenti di rifor­ ma religiosa e politica: Confucio era convinto di vivere in un'epoca di pro­ fonda decadenza morale e di declino politico, causato dalla lotta per il potere tra i vari signori feudali. Egli voleva dunque cambiare la società insegnando agli uomini il /i ( « il retto comportamen­ to» ) : nel far ciò, cercò, tramite la rein­ terpretazione e la codificazione dell'ere­ dità religiosa, spirituale e morale del passato, di trovare e proporre delle nor­ me di comportamento valide anche per il presente.

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mente nel 483 a.C. egli tornò a Lu, dove però condusse vita appartata e si appli­ cò allo studio dei riti, della storia, della musica e della letteratura. Si dedicò dunque alla raccolta e conservazione delle testimonianze e delle memorie del­ l' Antichità: la tradizione tramanda che egli sarebbe l'autore degli Annali di Pri­ mavere e A utunni (Chunqiu), narrazione della storia del principato di Lu dal 722 al 48 1 a.C., nonché il compilatore e il revisore del Libro dei documenti (Shujing), del Libro delle odi (Shijing), delle Memorie sui riti (Liji) e del Libro della Musica ( Yuejing, perduto); Confucio sarebbe pure l'autore delle Appendici del basilare Libro dei Mutamenti ( Yijing). Questi testi, denominati per ec­ cellenza « classici» (jing, � U niversi­ smo), diventeranno pilastri fondamen­ tali della cultura religiosa e politica ci­ nese per quasi due nùllenni. Con la pubblicazione di queste opere, Confu­ cio intendeva presentare agli uomini politici del suo tempo le condizioni del­ la mitica Cina antica come modello per il presente. Nel 482 a.C. morirono suo figlio Li e il discepolo prediletto Yen Hui; nel 479 a.C. morì anche Confucio, ormai set­ Confucio e i settantadue letterati: stampa tan tenne, e venne seppellì to nel bosco popolare moderna. sepolcrale della sua famiglia a Zhufou, dove ancor oggi è conservata la sua Nel 501. a.C., a cinquant'anni, Confucio tomba. venne nominato dal principe Ding di Lu governatore del territorio di Zhung­ Pensatori confuciani du, nel 499 a.C. assistente ministro dei Il primo continuatore del pensiero con­ lavori pubblici e infine, nel 498 a.C., fuciano fu Mengzi (372-289 a.ç.), dive­ ministro della giustizia. Dopo quattro nuto in italiano Mencio attraverso la anni di attività pubblica, forse vittima forma latinizzata Mencius. Egli perfe­ degli intrighi del principe di Qi, Confu­ zionò, in varie opere scritte in forma di cio cadde in disgrazia presso il suo si­ dialogo, il Confucianesimo dal punto di gnore e fu. costretto ad abbandonare i vista dialettico. suoi incarichi e insieme anche il paese Secondo questo pensatore, fondamen­ natale. talmente ottimista, l'uomo è buono per Iniziò così un periodo di quattordici an­ natura: questa innata bontà, per venire ni (497-483 a.C.), durante il quale il fi­ alla luce in ogni uomo, ha bisogno solo losofo viaggiò attraverso tutta la Cina, di una corretta educazione culturale ed accompagnato dai suoi discepoli. Sola- etica.

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153 « Amo la vita e amo l l a giustizia; l ma se non le potessi conservare entrambe, allo­ ra l rinuncerei alla vita e resterei fedele alla giustizia >> .

L'opera di Mencio, assieme ai Lunyu (Dialoghi) e a due capitoli tratti dalle ci­ tate Memorie sui riti, forma i Quattro Libri (Sishu), utilizzati a un certo punto come base per lo studio del Confuciane­ simo preferendoli ai più complessi Cin­ que Classici ( Wujing) di cui si è detto sopra. Altro rappresentante dell'antico Confu­ cianesimo fu Xunzi ( 3 1 2-238 a.C.): se­ condo il pensiero, tendenzialmente pes­ simista, di questo filosofo, l'uomo è fondamentalmente cattivo e può com­ portarsi bene solo grazie a una severa educazione e a un'impegnativa discipli­ na morale. Zhou Dunyi ( 1 0 1 7- 1 073) è considerato l'iniziatore del Neoconfucianesimo, che, all'epoca della dinastia Song (960- 1 2 80) è portato al suo massimo splendore da Zhu Xi ( 1 1 30- 1 200): questi è considera­ to il pensatore più sistematico della fi­ losofia cinese e il padre della «Ortodos­ sia» confuciana. Della corrente « mo­ derna» del Confucianesimo fanno parte Kang Yowei ( 1 858- 1 927), che lo inter­ preta in senso più strettamente religio­ so, e Liang Qichao ( 1 873- 1 929), che ne sottolinea invece l'aspetto politico-so­ ciale ma in senso repubblicano.

L'etica confuciana Confucio è convinto che la riforma del­ la coll�ttività sia possibile solo attraver­ so la riforma della famiglia e dell'indivi­ duo. Gli uomini dell'Antichità - egli sostiene -

«Che volevano organizzare lo stato, rego­ lavano prima il loro ambito familiare; co­ loro che volevano regolare il loro ambito �

Rappresentazione del tempio di Confucio: stampa popolare moderna.

familiare, miravano prima a sviluppare la propria personalità; coloro che volevano sviluppare la personalità, prima rendeva­ no nobili i loro cuori; coloro che voleva­ no nobilitare il proprio cuore, rendevano prima veritiero il loro pensiero; coloro che volevano rendere veri tiero il loro pensiero, perfezionavano prima il loro .sa­ pere » .

Secondo Confucio, l a virtù è una ric­ chezza interiore che ognuno può acqui­ sire, dato che la natura umana non è né buona né malvagia in se stessa: perciò, ogni uomo ha la possibilità di diventare

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Confucianesimo un saggio oppure di comportarsi come uno stolto. Confucio divide gli uomini in tre gruppi : l ) gli uomini perfetti (sheng) ovvero i saggi, coloro che rap­ presentano il modello da seguire, aven­ do raggiunto il più alto grado di perfe­ zìonamento, come, ad esempio, gli im­ peratori dell'antica Cina; 2) i nobili ov­ vero gli uomini superiori (junzi); 3) gli uomini comuni che costituiscono la massa. Il fine dell'etica confuciana è la · nobiltà spirituale: da un nobile, da un uomo superiore ci si aspetta che segua il

li.

Il termine li rappresenta un concetto assai complesso, che può definirsi come armonizzazione dell'uomo con l'ordine generale del mondo in tutti gli aspetti della vita, dall'osservanza dei riti reli­ giosi statali e familiari alle regole di comportamento del vivere sociale. Li è dunque la forza ordinatrice che deve guidare l'uomo nei suoi doveri sia verso gli altri uomini (il rispetto, la cor­ tesia, il tatto, il decoro, l'autocontrol­ lo), che verso gli esseri spirituali supe­ riori (il corretto culto reso al mondo

Il tempio di Confucio, a Zhufou. divino e agli antenati). Li è insieme la forza cosmica che dà forma e ordine allo stato e alla famiglia e che trova il suo modello classico nel fichi (� U ni­ versismo). L'intero essere viene influenzato dal­ la potenza ordinatrice del li, che si ri­ percuote anche sulla natura dell'uomo

Le virtù confuciane: rotolo cinese (XVI sec.). Taiwan, Musée du Palais.

155 (xing): d a ciò i l termine di dottrina del­ lo xingli. Dal li dipendono le virtù (de), di cui

cinque sono quelle fondamentali : fra di esse occupa un posto di grande rilievo il ren, che si può rendere come « umani­ tà » , intendendo con ciò la benevolenza che un uomo deve mostrare verso i suoi simili, ma in misura proporzionata a una precisa gerarchia di legami politici e familiari. Accanto al /i e al ren, Confucio ha asse­ gnato anche alla musica un ruolo molto importante, in quanto manifestazione di ordine e armonia, ed espressione di sentimenti nobili ed elevati. La musica classica confuciana, con i suoi strumen­ ti, fra i quali il litofono, è sopravvissuta, nell'ambito dell'Asia Orientale, quasi solo in Corea.

«Tempii della letteratura)) e letteratura canonica Dall'epoca in cui il Confucianesimo di­ venne religione di stato in Cina sotto la dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), in ogni città che fosse centro amministra-

Confucianesimo tivo esisteva un tempio di Confucio, nel quale i funzionari statali dovevano pre­ siedere regolarmente cerimonie in suo onore. Le sale in cui venivano onorati Confucio e i suoi discepoli si chiamano wenmiao ( « templi della letteratura» ) : in tali edifici era .collocato semplicemente un tavolo, davanti al quale il funziona­ rio locale effettuava le sue genuflessioni rituali. A questi templi era spesso an­ nessa una biblioteca, dove i « funzionari di letteratura» discutevano sui testi classici. Famosi templi di Confuèio si trovano a Zhufou, nella provincia dello Shandong, luogo di nascita di Confu­ cio, e a Tainfu - sempre nello Shan­ dong - : quest'ultimo è costituito da un atrio, un cortile d'onore, un altro cortile con la sala principale del culto, un cor­ tile trasversale e uno interno nel quale si trovano edifici d'abitazione e scola­ stici. Nonostante il bando ufficiale del culto di Confucio ( 1 9 1 2), il filosofo gode, an­ cor oggi, di grandissima venerazione in Cina. Dei nove scritti canonici del Confucia-

La predicazione di Confucio: rotolo cinese (XVI sec.). Taiwan, Musée du Palais.

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Confucianesimo nesimo fanno parte i cinque jing (classi­ ci) e i quattro shu (libri). Di questi ulti­ mi fa parte il testo chiamato Lunyu (Dialoghi): questa raccolta contiene, in venti capitoli suddivisi in 499 brevi par­ ti, varie massime di Confucio, general­ mente di contenuto etico, espresse nella forma di risposte a domande di suoi di­ scepoli o uomini politici. Dei Quattro li­ bri, oltre ai Lunyu e al Libro di Mencio, fanno parte il Daxue e lo Zhongyong, entrambi capitoli tratti dalle Memorie

sui riti. Il Daxue (Il grande insegnamento) è un breve trattato politico-filosofico, secon-

do il quale il fondamento dello stato or­ ganizzato è rappresentato dalla cultura personale del singolo, che è raggiungibi­ le però solo attraverso la conoscenza approfondita dell'universale armonia che regna tra l'uomo e il cosmo. L'altro trattato è lo Zhongyong (Il giusto mezzo): questo giusto mezzo rappresen­ ta l'equilibrio interiore dell'animo, nel quale gli affetti e le emozioni si armo­ rozzano. L'ordine morale e fisico dell'universo si basa sulla relazione necessaria che in­ tercorre tra equilibrio interiore e armo. rua cosnuca. .

Due eruditi si dilettano a suonare: particolare da un rotolo cinese del XVI sec. Taiwan, Musée du Palais. 2 Il «genio» della Letteratura: acquerello su carta. Parma, Museo d'Arte Cinese. l

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COREANE, RELIGIONI Il termine comprende sia le religioni sorte autonomamente in Corea, la peni­ sola montuosa dell'Asia Orientale, sia quelle provenien ti daJl'esterno, e che so­ no state poi rielaborate in senso corea­ no. Già prima della formazione dei tre re­ gni di Silla (57 a.C.-935 d.C.), di Ko-gu­ ryò ( 3 7 a.C.-668 d.C.) e di Paek-che ( 1 8-660 d.C.), tra la popolazione corea­ na - che etnologicamente è da collega­ re alla razza mongolica - dominava la forma religiosa dello � Sciamanesimo: esso era destinato a contrastare e, in parte, a influenzare le religioni che si af­ fermarono successivamente nel paese. Dalla Cina, invece, giunse in Corea già in epoca precristiana il � Confuciane­ simo, che dominerà a lungo la vita pub­ blica raccogliendo adepti soprattutto tra i funzionari. Sotto la dinastia Ko­ ryò ( 9 1 8- 1 392 d.C.), che dal 935 regnò su tutta la Penisola Coreana, il � Bud­ dhismo, penetrato sempre dalla Cina intorno ai secoli I v-v d.C., conobbe una notevole espansione, controbilanciata però dal controllo esercitato sui suoi monaci dalla burocrazia statale, di for­ mazione confuciana. Nel 1 040 uscì in Corea una edizione a stampa del Tripi­ (aka ( « Le tre ceste » ), il canone buddhi­ sta: le lastre dell'edizione si conservano nel monastero di Hainsa, mentre un esemplare dell'opera, che consta di 6500 pagine, si trova presso la bibliote­ ca di stato di Tokyo. Durante le dinastie Yi, l, Li e Ri ( 1 3 92- 1 9 1 0), il N eoconfucianesimo (� Confucianesimo) della scuola del filoso­ fo cinese Zhu Xi ( 1 1 30- 1 200) trovò lar­ ghissimo seguito presso i letterati e i funzionari e, in coincidenza col declino del Buddhismo, riuscì a influenzare sempre più ampi strati della popolazio­ ne: nella Repubblica della Corea del

Sud vivono, ancor oggi, Clfca cmque milioni di Confuciani. Il � Cristianesimo è presente dal 1 784 in Corea con la formazione di una co­ munità, guardata con sospetto e talvol­ ta perseguitata dalle autorità: questa re­ ligione viene infatti chiamata, con ter­ mine spregiativo, sohak ( « dottrina occi­ dentale » ). A partire dalla metà del XIX secolo, sor­ gono in Corea nuove correnti religiose, che talvolta si rifanno a concezioni lo­ cali antiche: a esse appartengono, fra le altre, il � Tonghak ( « dottrina orienta­ le » ), movimento di opposizione al Cri­ stianesimo «Occidental e » , fondato nel 1 860-6 1 , e la Tankunkyò, nata agli i nizi del xx secolo, oltre alla Chiesa Riunita, fondata nel 1 954. Secondo l'antica religione popolare, che appartiene alle religioni tribali � asiati­ che, la divinità suprema del cielo si chiama Hanalim: egli sorveglia la vita del mondo e vigila sulla moralità degli uomini, premiandoli e punendoli secon­ do i meriti. Suo figlio Ung giunge sulla terra nei pressi del Paektusan, il monte più alto della Corea (m 2744) e si unisce a una donna mortale, generando così, ai piedi di un albero di sandalo, Tan-gun. Tan­ gun o Tan-kun (in lingua coreana, « Si­ gnore del sandalo bianco » ) è vene�ato come capostipite di origine divina del popolo coreano e mitico fondatore del regno detto Cho-son-kuk ( « paese del fresco mattino » ) da cui il nome di Co­ rea. I Coreani si considerano, quindi, di­ scendenti da un nipote del dio del cielo, Hanalim. Ancor oggi viene invocata la protezione di Hanalim e i n primavera e autunno gli vengono offerti in sacrificio vari animali. Il dio del Sole Palk incarna il principio

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cretese-micenea, religione luminoso e positivo, mentre Kud, il dio delle tenebre, rappresenta l'oscurità e il male. Pali e colonne di pietra (sontol) assurgono a simbolo di spiriti della na­ tura che, a volte, non hanno neppure un nome. Quando, in primavera, si coltiva­ no i campi di riso, gli spiri ti della terra devono essere propiziati con antichi canti, che ancora oggi vengono tenuti in alta considerazione. La festa nazionale dell'anno viene celebrata come «il gior­ no in cui si apre il cielo» in ricordo del mito della discesa di Ung, il figlio del dio del cielo. Nel culto degli antenati, pratica dove maggiormente si può vede­ re l'influenza confuciana, tutti gli avi fi-

no al quinto grado ricevono offerte di cibi. All'epoca del grande regno di Silla (668-935 d.C.), quando questi riuscì praticamente a unificare tutta la Corea, risalgono le prime pagode in pietra (vii sec.), mentre nei dintorni di Kyòng-gju, l'antica capitale di Silla, si sono conser­ vate varie costruzioni a destinazione re­ ligiosa, tra le quali spicca il famoso tempio di Pulguksa (viii sec.), l'edificio più antico di tutta l'Asia Orientale. Sempre in Corea si trovano le celebri campane di bronzo, note in tutto l'O­ riente, che raggiungono un'altezza di quattro metri (viii sec.).

CRETESE-MICENEA, RELIGIONE La definizione comprende tanto la reli­ gione degli antichi Cretesi, quanto quel­ la dei Micenei. Si tratta di forme reli­ giose sorte nell'area del Mar Egeo al­ l'incirca tra il I I e il I millennio a.C. In particolare la civiltà cretese, detta

anche minoica, dal nome del mitico re Minosse, fiorì tra il xxvii secolo e il 1 425 a.C . : durante questo periodo Cre­ ta rappresentò in effetti il centro cul­ turale di tutti i popoli che si affacciava­ no sul mare Egeo, al punto che la reli-

Sacerdoti minoici nelle vesti di ministri del culto: particolare da un sarcofago dipinto del periodo tardo-minoico proveniente da Hagia Triada.

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cretese-micenea, religione

l Ascia cretese bipenne con ricca decorazione, dal palazzo di Zakro (XV sec. a. C.). 2 Otre dipinto con motivi floreali e asce bipenni (XV sec. a. C.), dal palazzo di Cnosso. Iraklion, Museo.

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gione cretese si impose come una vera e propria « religione egea » . N el cosiddetto periodo minoico medio, compreso all'incirca tra il 2000 e il 1 570 a.C., e caratterizzato fra l'altro dalla co­ struzione del più antico palazzo reale di Cnosso, i Cretesi veneravano in primo luogo delle divinità femminili, al vertice delle quali troviamo una dea, madre della terra, Signora degli animali e dea dei serpenti. Una nota raffigurazione è poi quella dell'« uomo toro» (Minotau­ ro), che può far pensare a una venera­ zione cultuale del toro. L'ascia bipenne (labrys), il simbolo principale nella religione cretese, era in­ vece lo strumento utilizzato per le ucci­ sioni rituali. Siamo anche a conoscenza dell'esistenza di culti estatici, che veni­ vano celebrati in santuari naturali o in grotte sacre, tra le quali è famosa la grotta di Psychro. Al periodo tardo minoico ( 1 570- 1 425 a.C.) · risale invece il secondo palazzo reale di Cnosso (il cosiddetto Labirin­ to), che taluni hanno voluto identificare con il labirinto di Minosse di cui parla la mitologia greca. In alcuni punti del palazzo si sono rinvenute delle piccole cappelle, derivate probabilmente da ori­ ginari luoghi di culto rupestri. I mpor­ tante doveva essere anche il culto dei morti, come ci è attestato dal rinveni-

mento di diversi tipi di tombe: a came­ ra, scavate nella roccia, o . a cupola e di forma circolare. Intorno al 1 425 a.C. il palazzo di Cnos­ so venne distrutto dai Micenei, e l'inte­ ra civiltà cretese scomparve. I Micenei debbono il loro nome alla cit­ tà di Micene, situata su una collina del Peloponneso Nordorientale (Argolide). La città fu il centro principale della ci-

La signora degli animali e dea dei serpenti:

terracotta policroma (XVI sec. a. C.). Iraklion, Museo.

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cretese-micenea, religione

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1 -2-3 Idoli micenei (XII sec. a. C.).

4-5 Monete cretesi sulle cui facce sono rappresentati il Minotauro e il celebre labirinto di Cnosso. viltà alla quale gli Achei dettero vita, che infatti viene comunemente indicata come civiltà micenea. Di tale civiltà - che raggiunse la sua massima espansione intorno al 1 1 80 a.C. con la distruzione di Troia - ci è offerta un'interessante testimonianza dai poemi di Omero (� omerica, reli­ gione), i quali, benché scritti in un'epo­ ca successiva, trasmisero ai Greci l'im­ magine del periodo acheo come di un periodo eroico. . Sulla religione micenea attualmente

non si hanno grandi notizie. N el perio­ do miceneo medio (xv secolo a.C.) le tombe a forma di cupola, derivate cer­ tamente dalla civiltà minoica, venivano utilizzate come sedi per il culto degli antenati dei re o degli esponenti del ce­ to aristocratico. Nell'età successiva, cioè nel periodo tar­ domiceneo ( 1 400- 1 1 50 a. C.) sorsero in­ vece i palazzi-fortezza di Micene e Ti­ rinto, gravitanti intorno a una sala prin­ cipale (il megaron o sala degli uomini), di forma rettangolare, circondata da co-

Cristiana, Scienza

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Ingresso al monumentale « Tesoro d'Atreo», tipico esempio di tomba a tumulo (XIII sec. a. C.).

lonne e con un focolare circolare nel centro. Di questo periodo è anche la famosa Porta dei leoni di Micene: due leonesse, ritte sulle zampe posteriori, appoggiano quelle anteriori sulla base di una colon­ na, e sorvegliano l'ingresso nella citta­ della. Grazie soprattutto agli scavi compiuti da Heinrich Schliemann ( 1 822- 1 890) lo scopritore delle rovine di Troia, Mi­ cene e Tirinto - sono stati riportati al­ la luce degli idoli, rappresentanti figu­ re di sesso generalmente femminile, e sicuramente utilizzati come oggetti di culto. Famose sono soprattutto le statuette a forma di violino, nelle quali vengono

volutamente evidenziate le curve del ba­ cino e del petto. La spiccata fede nell'aldilà è sottolinea­ ta da grandiose costruzioni sepolcrali. Famose sono le tombe a pozzo o a cu­ pola risalenti a quest'epoca. Tra quelle a cupola, la tomba più famosa è la co­ siddetta tomba di Atreo di Micene, che presenta un'ampia sala, adibita proba­ bilmente alla duplice funzione di sepol­ cro e di luogo per sacrifici. Con il xn se­ colo, la civiltà micenea ebbe improvvi­ samente termine. Proprio durante la sua massima espansione, infatti, crollò improvvisamente sotto rurto dell'inva­ sione dorica. La roccaforte di Micene venne distrutta intorno al 1 1 50 a. C.

CRISTIANA, SCIENZA Scienza Cristiana è un movimento reli­ gioso fondato nel 1 879 dall'americana Mary Baker Eddy ( 1 82 1 - 1 9 1 0), e da lei nuovamente riorganizzato nel 1 892, a Boston, con il nome di The First Church of Christ Scientist (La Prima Chiesa di Cristo Sapiente). Legata per molti aspetti alle tendenze

congregazionaliste del Cristianesimo americano, la Christian Science può es­ sere annoverata tra le � nuove religioni del Nordamerica. Il movimento conta attualmente circa due milioni di fedeli, sparsi in 60 paesi del mondo e organizzati in più di 3500 chiese affiliate. La chiesa madre di Bo­ ston, negli Stati Uniti, mantiene il ruolo

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Cristiana, Scienza e la funzione di centro propulsore del­ l'intero movimento. Mary Baker Eddy - la fondatrice della Scienza Cristiana - nacque a Bow, presso Concord, nel N ew Hampshire, il 1 6 luglio 1 82 1 , da una famiglia di agri­ coltori di fede congregazionalista. A 1 7 anni entrò nella comunità congregazio­ nalista di Tilton. L'esperienza religiosa che la spinse alla fondazione del movi­ mento avvenne nel 1 866. Dopo essere stata abbandonata dal se­ condo marito, sposato dopo una prima vedovanza, Mary Baker, il 1 ° febbraio del 1 866, subì una lesione alla spina dorsale a seguito di una brutta caduta. L'inciden te veniva ad aggravare uno stato di salute precario che l'aveva già portata sull'orlo della paralisi, e per il quale la Baker aveva avuto contatti con il guaritore Phineas P. Quinby, fondato­ re del movimento dello Spirito Nuovo e sostenitore di particolari tecniche tera­ peutiche, fondate sul rifiuto di ogni me­ dicamento e sull'instaurazione di un rapporto fiduciario tra medico e pazien­ te. Dopo la drammatica caduta, la sua paralisi venne giudicata assolutamente inguaribile, ma la Baker riuscì a supe­ rarla attraverso la propria esperienza « Sovrumana » . A soli tre giorni dall'inci­ dente, infatti, leggendo nel Vangelo il passo della guarigione del paralitico (Matteo 9, 1 -8), ricevette dalla voce di Dio l'ordine di alzarsi, e levatasi in pie­ di si trovò improvvisamente guarita dalla paralisi. A partire da quell'istante, essa si formò il convincimento che non fosse la medi­ cina a portare la guarigione agli amma­ lati, bensi la fede, e che ogni malattia, avendo in ultima analisi le proprie radi­ ci nell'intimo dello spirito umano, fosse in realtà dominabile senza ricorso a in­ terventi esterni. Questa convinzione si tradusse per la Baker nell'impegno a diffondere fra tutti gli uomini il messag­ gio divino rivelato dalla sua esperienza. Nel 1 87 5 essa pubblicò dunque la sua ·

opera principale, Science and Health (Scienza e Salute), e nel 1 876 dette vita, con sei seguaci, alla Christian Science Association (Associazione della Scienza Cristiana). N el 1 8 77 si sposò in terze nozze con Asa Gilber Eddy, uno dei suoi allievi più zelanti (che morì nel 1 882) e da al­ lora divenne nota come Mary Baker Eddy. Frattanto - mossa dall'esaltante aspirazione di pervenire alla « perfetta armonia » - essa diede vita, nel 1 879, a una vera e propria chiesa, la Church of Christ Scientist, di cui si fece ordinare pastore nel 1 88 1 . Tra gli scopi della nuova chiesa vi era, in primo luogo, quello di rivalutare la componente mi­ racolistica del Cristianesimo delle origi­ ni, e in tal senso la Baker Eddy, oltre a organizzare conferenze e seminari, co­ minciò ad avvicinare molti pazienti al fine di sperimentare le sue doti di guari­ trice. Essa si dedicò anche a un'intensa attività di studio, mentre l'opera di pro­ seti tismo riceve tte grande impulso in se­ guito alla fondazione di tre riviste, tra cui il quotidiano internazionale « Chris­ tian Science Monitor » . Nel 1 892, essa, trasferitasi a Boston, riorganizzò in questa città il proprio movimento, n­ fondandolo con il nome di The First Church of Christ Scientist. Da allora la chiesa madre di Boston, che fra l'altro dal 1 895 dispone di un tempio in grado di accogliere più di cinquemila fedeli, si è imposto come il centro propulsore di tutto il movimento, e questo anche do­ po la morte della Baker Eddy, avvenuta il 3 dicembre 1 920. Da Boston la propa­ ganda della Christian Science si è nel frattempo diffusa a molti paesi occiden­ tali. Quando ancora la fondatrice era in vita il movimento si era già largamente propagato al di fuori degli Stati Uniti. N el 1 94 1 , ad esempio, una legge della Germania nazista rivolta contro i « gua­ ritori sovrumani » , venne varata proprio con l'intento di mettere al bando il mo­ vimento della Scienza Cristiana.

Cristiana, Scienza

1 63 Alla base del pensiero di questa corren­ te religiosa vi è il principio dell'identifi­ cazione di Dio con lo spirito. In questo senso gli uomini e il mondo non sono che il riflesso di Dio, e rappresentano l' « evidenziarsi dell'Essere spirituale in­ finitamente cosciente » . Dio, il principio infinito, è, dunque, spi­ rito e anima; vita, verità e amore sono i tre principi trinitari che lo pervadono. Peraltro Dio è « tutto in tutto» (pantei­ smo ) , è il « principio divino di tutto ciò che è reale» , e come tale è armonico, perfetto ed eterno. Ma siccome Dio è l'unica verità e l'uni­ co principio di tutto ciò che esiste, non ci può essere qualcosa che gli si oppon­ ga. Perciò la materia, e tutto ciò che a essa è connesso, come la malattia, il do­ lore, la morte, il male e il pecca to, non hanno sostanza, ma sono solamente mera illusione, la « nullità dell'errore », che esiste solo come suggestione, come prodotto aberrante della nostra imma­ ginazione. L'uomo perciò, se lo vuole, può venirsi a trovare nell'impossibilità di ammalarsi e morire. « Il corpo non può morire, perché la ma­ teria non può perdere la vita che non possiede » . Pertanto, una volta che l'uo­ mo si è liberato dalle proprie illusioni, raggiunge la salvezza. :.0 "' .., "'

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ALBERO GENEALOGICO DELLE CHIESE E CONFESSIONI

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Cristianesimo

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guaci, sono un « movimento libero» sor­ to in Inghilterra nel 1 640, che propugna in particolare il Battesimo degli adulti attraverso l'immersione. I Disciples of Christ, chiama ti anche Campbelliti, sono una comunità batti­ sta fondata negli Stati Uni ti nel 1 8 1 1 dal parroco Alexander Thomas Camp­ bell ( 1 788- 1 866); resisi autonomi nel 1 827, oggi contano più di 8.000.000 di membri. I Quaccheri (inglese: quakers, « Coloro che tremano» ) è originariamente un no­ mignolo dato ai soci della Society of Friends - fondata negli anni 1 660/70 da George Fox - a causa delle loro esperienze mistiche. Per sfuggire alla re­ pressione in Inghilterra, i Quaccheri emigrarono in N ordamerica dove fon-

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