Elementi di risonanza magnetica: Dal protone alle sequenze per le principali applicazioni diagnostiche 978-88-470-5640-4, 978-88-470-5641-1 [PDF]

Questo manuale si propone di colmare alcune lacune nella letteratura in lingua italiana sulla risonanza magnetica nuclea

140 28 18MB

Italian Pages XV, 300 pagg. [310] Year 2014

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Table of contents :

Content:
Front Matter....Pages i-xv
Principi fisici di base e grandezze misurabili....Pages 1-26
Le basi del contrasto in RM....Pages 27-54
La formazione dell’immagine....Pages 55-88
Le sequenze RM: tecniche fondamentali....Pages 89-128
Sequenze RM: tecniche avanzate....Pages 129-166
Considerazioni su parametri e qualit`dell’immagine....Pages 167-182
Applicazioni cliniche della RM in neuroradiologia....Pages 183-226
Applicazioni della RM in radiologia generale....Pages 227-255
Gli artefatti in RM....Pages 257-280
La sicurezza in RM....Pages 281-293
Back Matter....Pages 295-300
Papiere empfehlen

Elementi di risonanza magnetica: Dal protone alle sequenze per le principali applicazioni diagnostiche
 978-88-470-5640-4, 978-88-470-5641-1 [PDF]

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Elementi di risonanza magnetica

Mario Coriasco · Osvaldo Rampado · Gianni Boris Bradac (a cura di)

Elementi di risonanza magnetica Dal protone alle sequenze per le principali applicazioni diagnostiche

a cura di Mario Coriasco Laureato in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia, svolge la sua attività presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino

Gianni Boris Bradac Professore Emerito di Neuroradiologia presso l’Università di Torino, già direttore della Cattedra di Neuroradiologia dell’Università di Torino

Osvaldo Rampado Laureato in Fisica con specializzazione in Fisica Sanitaria, svolge la sua attività presso l’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino

ISSN 2239-2017 ISBN 978-88-470-5640-4

ISBN 978-88-470-5641-1 (eBook)

DOI 10.1007/978-88-470-5641-1 © Springer-Verlag Italia 2014 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore e la sua riproduzione anche parziale è ammessa esclusivamente nei limiti della stessa. Tutti i diritti, in particolare i diritti di traduzione, ristampa, riutilizzo di illustrazioni, recitazione, trasmissione radiotelevisiva, riproduzione su microfilm o altri supporti, inclusione in database o software, adattamento elettronico, o con altri mezzi oggi conosciuti o sviluppati in futuro, rimangono riservati. Sono esclusi brevi stralci utilizzati a fini didattici e materiale fornito ad uso esclusivo dell’acquirente dell’opera per utilizzazione su computer. I permessi di riproduzione devono essere autorizzati da Springer e possono essere richiesti attraverso RightsLink (Copyright Clearance Center). La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dalla legge, mentre quelle per finalità di carattere professionale, economico o commerciale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org. L’utilizzo in questa pubblicazione di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati, ecc. anche se non specificatamente identificati, non implica che tali denominazioni o marchi non siano protetti dalle relative leggi e regolamenti. Le informazioni contenute nel libro sono da ritenersi veritiere ed esatte al momento della pubblicazione; tuttavia, gli autori, i curatori e l’editore declinano ogni responsabilità legale per qualsiasi involontario errore od omissione. L’editore non può quindi fornire alcuna garanzia circa i contenuti dell’opera. 9 8 7 6 5 4 3 2 1 Layout copertina: Ikona S.r.l., Milano Impaginazione: C & G di Cerri e Galassi, Cremona Stampa: Grafiche Porpora, Segrate (MI)

Springer-Verlag Italia S.r.l., Via Decembrio 28, I-20137 Milano Springer fa parte di Springer Science+Business Media (www.springer.com)

Acknowledgements

Un lavoro come quello svolto nel presente testo è frutto di anni di esperienze, sperimentazioni, valutazioni e discussioni scientifiche con un numero molto elevato di persone, e non è possibile ringraziare nominalmente tutti. Tuttavia, alcuni meritano specifica menzione. La dott.ssa Luciana Gennari, tecnico di radiologia medica presso l’osp. Niguarda – Cà Granda, e l’ing. Marcello Cadioli - Philips Medical Systems Italia, per il gentile supporto fornito nella generazione dell’esempio in figura 4.15. Il prof. David Moratal, dell’Università Politecnica di Valencia (Spagna), per la concessione del software-laboratorio con il quale si sono creati alcuni esempi degli effetti prodotti sull’immagine dalle modifiche del k-spazio. I suoi graditi apprezzamenti sono stati di stimolo a continuare la trattazione divulgativa di un argomento così complesso con uno stile semplificato. La dott.ssa Patrizia Cesana e la dott.ssa Tiziana Spandonari per l’indispensabile e preziosa opera di revisione del capitolo 10. Tutto Il team editoriale Springer – Verlag Italia, in particolare Antonella Cerri, Paola Capponi, Juliette Kleemann e Corinna Parravicini, per la competenza (e la pazienza!) mostrata nel seguire passo per passo il lavoro durante la sua preparazione.

v

Prefazione

Lo scopo di questo lavoro non è aggiungere un testo sovrapponibile alla già ricca letteratura sulla risonanza magnetica, i suoi principi fisici, le tecnologie e le sue applicazioni cliniche. A essa si rimanda, per ciascuna specifica necessità di approfondimento, nelle letture consigliate. Piuttosto, si è cercato di comprendere sinteticamente in un unico volume gli aspetti fondamentali, in modo da renderli rapidamente consultabili anche nella pratica quotidiana. Il percorso, mediato da un lessico diretto e accessibile, conduce il lettore ai fondamenti teorici della metodica, riducendo al minimo i requisiti della sua formazione di base nell’acquisire consapevolezza sui fenomeni coinvolti nella realizzazione dell’immagine di risonanza magnetica. In seguito, il percorso porta a considerare le sequenze più tradizionali e le evoluzioni più recenti, descrivendone gli impieghi clinici più frequenti per le principali, fino ad arrivare alle conseguenze delle scelte operative sulla qualità dell’immagine, sull’insorgenza di artefatti e sulla sicurezza. Il testo pertanto si rivolge a chiunque desideri o abbia necessità di conoscere i tratti principali della metodica RM, in particolare ai tecnici di radiologia. Essi sono coinvolti come i medici in questo progressivo sviluppo tecnologico, sempre più complesso e rapido, che se da un lato aumenta le possibilità di conoscenza del funzionamento dei vari organi del corpo umano e dei loro aspetti patologici, dall’altro richiede un costante impegno di aggiornamento. Con queste premesse, crediamo che una stretta collaborazione tra medico, tecnico e fisico, integrando conoscenze, esperienze e approcci differenti, non possa che andare a supporto di un sempre più proficuo utilizzo della metodica, ottimizzando i risultati con essa ottenuti. Gianni Boris Bradac Mario Coriasco Osvaldo Rampado

vii

Indice

1

Principi fisici di base e grandezze misurabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Osvaldo Rampado, Mario Coriasco 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Generalità sui fenomeni magnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I protoni e le loro proprietà magnetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Campo statico e vettore di magnetizzazione longitudinale . . . . . . . . . . . . . . . Il fenomeno della risonanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Impulso di radiofrequenza (RF) e vettore di magnetizzazione trasversale . . . Fenomeni di rilassamento e grandezze misurabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caratteristiche dei tempi di rilassamento T1 e T2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8.1 Le interazioni spin-spin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8.2 Le interazioni spin-reticolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sintesi e considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 2 5 6 11 11 16 17 17 20 21 22 23

Le basi del contrasto in RM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Gianni Boris Bradac

27

2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6

27 27 28 32 35 40 43 45 48 49 49 50 51

1.9

2

1

2.7

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I contrasti fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Contrasto dipendente dalla densità protonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La sequenza spin-echo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.1 Definizione di tempo di eco (TE) e tempo di ripetizione (TR) . . . . . . 2.6.2 Azione dei mezzi di contrasto sui tempi di rilassamento . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.1 Considerazioni sul TR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.2 Considerazioni sul TE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

ix

x

Indice 3

La formazione dell’immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Sergio Rabellino

55

3.1 3.2 3.3 3.4

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ricostruzione dell’immagine RM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La trasformata di Fourier: relazioni con la risonanza magnetica . . . . . . . . . . . I gradienti di campo magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Il gradiente di selezione dello strato (Gs) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.2 Il gradiente di lettura o di codifica di frequenza (Gl) . . . . . . . . . . . . . 3.4.3 Il gradiente di codifica di fase (Gf) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lo spazio k e le sue proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tecniche di riempimento del k-spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.1 Tecnica della matrice di fase ridotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.2 Tecnica del campo di vista rettangolare (Rectangular FOV) . . . . . . . . 3.6.3 Tecniche Half-Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tipologie di acquisizione spaziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.1 La tecnica multislice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tecniche di imaging parallelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8.1 Phased-array . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8.2 Profili di sensibilità degli elementi delle bobine . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8.3 Imaging parallelo nello spazio immagine: la tecnica SENSE . . . . . . . 3.8.4 La tecnica mSENSE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8.5 Imaging parallelo nel k-spazio: la tecnica SMASH . . . . . . . . . . . . . . . 3.8.6 Ricostruzione immagine con metodo proiettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sistemi di acquisizione non cartesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

55 56 59 60 60 62 63 67 71 71 71 72 73 74 75 76 77 78 80 80 80 83 84 85

Le sequenze RM: tecniche fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Osvaldo Rampado, Mario Coriasco, Gianni Boris Bradac

89

3.5 3.6

3.7 3.8

3.9

4

4.1 4.2 4.3

4.4

4.5

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sequenze spin-echo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 Sequenze spin-echo a doppio eco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sequenze TSE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.1 Sequenze DIET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.2 Sequenze TSE a doppio eco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.3 Sequenze single-shot TSE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.4 Sequenze driven equilibrium (o con impulso di flip-back) . . . . . . . . . Sequenze a eco di gradiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.1 Sequenze ultrafast gradient-echo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.2 Sequenze gradient-echo “spoiled” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.3 Sequenze gradient-echo “unspoiled” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.4 Sequenze con preparazione della magnetizzazione . . . . . . . . . . . . . . . Sequenze Inversion Recovery . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5.1 Sequenze STIR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5.2 Sequenze FLAIR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5.3 Sequenze SPIR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5.4 Sequenze DIR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

89 90 91 94 98 99 99 100 104 107 107 107 110 110 111 112 112 112

Indice

xi 4.6

Sequenze ibride (EPI e turbo gradient spin echo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6.1 Sequenze EPI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6.2 Sequenze turbo gradient spin echo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sequenze Angio-RM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.7.1 Sequenze TOF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.7.2 Sequenze PC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.7.3 Sequenze Angio-RM contrast-enhanced . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

114 115 117 118 118 122 124 124 125

Sequenze RM: tecniche avanzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Federico D’Agata, Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Marina Corsico, Gianni Boris Bradac

129

5.1

Sequenze Perfusion-Weighted (PWI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.1.1 Dynamic Susceptibility Contrast MRI (DSC-MRI) . . . . . . . . . . . . . . . 5.1.2 Dynamic Contrast-Enhanced MRI (DCE-MRI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.1.3 Arterial Spin Labelling (ASL) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sequenze Susceptibility-Weighted (SWI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sequenze Diffusion-Weighted (DWI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.1 Diffusione e anisotropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.2 Mean diffusity e fractional anisotrophy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.4 Tracciamento delle fibre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.5 Prospettive della metodica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La spettroscopia RM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.1 Chemical shift . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.2 Multipletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.3 FFT e rappresentazione spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.4 Soppressione del segnale dell’acqua e dei lipidi, shimming . . . . . . . . 5.4.5 Metaboliti più comunemente rilevati nel cervello umano in vivo . . . . 5.4.6 Sequenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.7 STEAM e PRESS a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.8 Le tecniche single- e multi-voxel a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.9 Effetto del tempo di eco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.10 Editing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.11 Artefatti 1H-MRS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.12 Elaborazione dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.13 Differenze tra 1,5 T e 3 T . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.14 Scelta dei protocolli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

129 131 134 135 136 137 142 143 145 146 147 148 148 149 150 151 152 153 155 155 158 158 160 161 161 162 163

Considerazioni su parametri e qualità dell’immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Federico D’Agata

167

6.1

168 168 168 168 169

4.7

5

5.2 5.3

5.4

6

Indicatori della qualità dell’immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.1.1 Rapporto segnale-rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.1.2 Il contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.1.3 Rapporto contrasto-rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.1.4 La risoluzione spaziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

xii

Indice 6.2

7

Influenza dei parametri di definizione della sequenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.1 Effetti del TE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.2 Effetti del TR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.3 Effetti del flip-angle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.4 Effetti della variazione di spessore della sezione . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.5 Effetti della distanza tra sezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.6 Effetti della modifica del FOV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.7 Effetti del cambio di dimensione della matrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.8 Effetti del cambio nell’averaging (NEX, NSA, ACQ, ecc.) . . . . . . . . 6.2.9 Tecniche Half-Fourier (HF) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

169 169 170 172 173 174 175 175 175 177 178 179

Applicazioni cliniche della RM in neuroradiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gianni Boris Bradac, Andrea Boghi, Marina Corsico, Maria Federica Ferrio, Paola Caroppo, Mario Coriasco

183

7.1

Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.1.1 Il mezzo di contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’encefalo: tecniche particolari nelle patologie encefaliche . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.1 Microadenomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.2 Microneurinomi dell’angolo ponto-cerebellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.3 Malformazioni dell’orecchio interno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.4 Alterazioni del parenchima cerebrale a livello dell’ippocampo . . . . . . 7.2.5 Utilizzo della tecnica double inversion recovery . . . . . . . . . . . . . . . . . L’encefalo: tecniche di studio avanzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.1 La RM pesata in diffusione: aspetti di tecnica e applicazioni cliniche 7.3.2 La RM pesata in perfusione: aspetti tecnici e applicazioni cliniche . . La colonna vertebrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La spettroscopia RM (1H-MRS) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.1 Principali metaboliti valutabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.2 Aspetti patologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La risonanza magnetica funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.2 Accoppiamento neurovascolare e contrasto BOLD . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.3 Tecniche di studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.4 Funzioni valutate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le tecniche angiografiche in risonanza magnetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.7.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.7.2 Applicazioni cliniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

183 185 186 186 187 188 188 189 189 190 199 207 210 210 212 214 214 215 216 217 220 220 221 223 224 225

Applicazioni della RM in radiologia generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Riccardo Faletti, Giacomo Battisti, Camilla Bogetti, Luca Romano

227

8.1

227 227 227

7.2

7.3

7.4 7.5

7.6

7.7

7.8

8

Studio RM cardiovascolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.1.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.1.2 Preparazione del paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Indice

xiii 8.1.3 Tecniche di esecuzione dell’esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.1.4 Utilità clinica delle sequenze utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.1.5 Considerazioni finali e pitfalls . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Studio RM addominale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2.2 Preparazione del paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2.3 Tecniche di esecuzione dell’esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2.4 Utilità clinica delle sequenze utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2.5 Mezzi di contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2.6 Considerazioni finali e pitfalls . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Studio RM osteoarticolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.2 Preparazione del paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.3 Tecnica di esecuzione dell’esame della spalla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.4 Tecnica di esecuzione dell’esame del gomito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.5 Tecnica di esecuzione dell’esame del polso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.6 Tecnica di esecuzione dell’esame del bacino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.7 Tecnica di esecuzione dell’esame del ginocchio . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.8 Tecnica di esecuzione dell’esame della caviglia . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.9 Utilità clinica delle sequenze utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.10 Sequenze base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.11 Considerazioni finali e pitfalls . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

229 233 236 236 236 236 236 237 240 241 242 242 243 243 244 246 247 248 249 250 250 255 252 253

Gli artefatti in RM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Coriasco

257

9.1 9.2 9.3

257 258 258 259 261 264 264 264 267 268 268 269 272 273 274 276 276 277 277 278 279

8.2

8.3

9

9.4 9.5

9.6 9.7 9.8 9.9 9.10 9.11

9.12

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Artefatti da movimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.3.1 Strategie per la riduzione degli artefatti da movimento . . . . . . . . . . . . Artefatti da chemical shift . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.4.1 Strategie per la riduzione degli artefatti da chemical shift . . . . . . . . . Artefatti da troncamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.5.1 Descrizione matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.5.2 Strategie per la riduzione degli artefatti da troncamento . . . . . . . . . . . Artefatti da interferenza tra gli strati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Artefatti da radiofrequenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Artefatti da suscettività magnetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.8.1 Strategie per la riduzione degli artefatti da suscettività magnetica . . . Artefatti da ribaltamento (o aliasing) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’artefatto N/2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Artefatti causati dal circuito di rivelazione RF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.11.1 Artefatti da componente continua nel circuito RF . . . . . . . . . . . . . . . . 9.11.2 Artefatti da quadratura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Artefatto da “Magic Angle” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

xiv

Indice 10

La sicurezza in RM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Osvaldo Rampado

281

10.1 10.2

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Effetti legati all’esposizione al campo magnetico statico . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2.1 Effetti biologici del campo magnetico statico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2.2 Interferenza con dispositivi elettronici e impianti metallici . . . . . . . . . 10.2.3 Effetto proiettile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2.4 Protezione dai rischi del campo magnetico statico . . . . . . . . . . . . . . . Effetti legati all’esposizione ai gradienti di campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Effetti associati alle radiofrequenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.1 Effetti a breve termine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.2 Effetti a lungo termine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4.3 Protezione dai rischi associati alle radiofrequenze . . . . . . . . . . . . . . . . Problematiche legate al rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Problematiche legate ai liquidi criogeni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.1 Modalità di fuoriuscita dei liquidi criogeni e rischi conseguenti . . . . . 10.6.2 Protezione dai rischi legati ai liquidi criogeni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

281 282 282 283 284 285 285 286 287 288 288 289 289 289 289 290 291

Soluzioni esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

295

Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

299

10.3 10.4

10.5 10.6

Elenco degli Autori

Dott. Giacomo Battisti Università di Torino – Dipartimento di Scienze Radiologiche

Dott. Federico D’Agata Università di Torino – Dipartimento di Neuroscienze

Dott. Camilla Bogetti Università di Torino – Dipartimento di Scienze Radiologiche

Dott. Riccardo Faletti Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino – Radiologia

Dott. Andrea Boghi Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo – Neuroradiologia

Dott. Maria Federica Ferrio Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino – Neuroradiologia

Prof. Gianni Boris Bradac Università di Torino – Dipartimento di Neuroscienze

Ing. Sergio Rabellino Università di Torino – Dipartimento di Informatica

Dott. Paola Caroppo Università di Torino – Dipartimento di Neuroscienze

Dott. Osvaldo Rampado Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino – Fisica Sanitaria

Dott. Marina Corsico Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino – Neuroradiologia

Dott. Luca Romano Università di Torino – Dipartimento di Scienze Radiologiche

Dott. Mario Coriasco Università di Torino – Dipartimento di Neuroscienze

xv

Principi fisici di base e grandezze misurabili

1

Osvaldo Rampado, Mario Coriasco

Indice dei contenuti 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9

Introduzione Generalità sui fenomeni magnetici I protoni e le loro proprietà magnetiche Campo statico e vettore di magnetizzazione longitudinale Il fenomeno della risonanza Impulso di radiofrequenza (RF) e vettore di magnetizzazione trasversale Fenomeni di rilassamento e grandezze misurabili Caratteristiche dei tempi di rilassamento T1 e T2 Sintesi e considerazioni finali

1.1 Introduzione Per comprendere i meccanismi alla base della metodica di risonanza magnetica, occorre necessariamente considerare i principi fisici su cui essa si fonda. La denominazione stessa deriva dalla natura dei fenomeni coinvolti, relativi alle teorie dell’elettromagnetismo e al concetto di risonanza. Il termine “nucleare”, utilizzato in passato, data la natura magnetica dei nuclei atomici che genera il segnale, è oggi evitato perché evocativo di rischi e situazioni di pericolo inesistenti. Il protone, nucleo dell’atomo di idrogeno, è in effetti il protagonista della generazione del segnale necessario per la formazione dell’immagine e nella trattazione seguente si vedrà come esso può subire eccitazione e rilasciare energia in forma di campi elettromagnetici, misurabile con opportuni dispositivi. Poiché tutto questo avviene con intensità e tempi diversi per i diversi tessuti biologici, si viene a creare l’opportunità di ottenere un’informazione utile ai fini diagnostici. Elementi di risonanza magnetica. Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Gianni Boris Bradac (a cura di) DOI: 10.1007/978-88-470-5641-1_1 © Springer-Verlag Italia 2014

1

2

O. Rampado, M. Coriasco

La descrizione dei fenomeni è stata sviluppata nel modo più semplice possibile, limitando l’uso del formalismo matematico per favorire l’apprendimento anche da parte di chi non lo conosce a fondo e concentrando l’attenzione sui passaggi fondamentali per comprendere e poter padroneggiare in modo più consapevole la metodica anche nei suoi aspetti più pratici. La terminologia è stata tuttavia mantenuta rigorosa e completa: ricordando Einstein, “tutto dovrebbe essere reso il più semplice possibile, ma non più semplice”!

1.2 Generalità sui fenomeni magnetici È noto che la prima forma di interazione magnetica osservata dall’uomo è relativa alle proprietà di alcuni materiali di esercitare una forza attrattiva nei confronti di altri materiali ferrosi. Si parla di campo magnetico proprio per descrivere le proprietà dello spazio circostante a un oggetto che è in grado di esercitare una forza magnetica, la quale avrà una data intensità e direzione specifica in ciascun punto. In particolare, si osservò che un oggetto a forma di ago costituito da materiale magnetico era in grado di orientarsi in direzione parallela a quella del campo magnetico presente nel punto in cui era collocato. Questa proprietà fu sfruttata nella bussola per orientarsi nella navigazione grazie all’azione del campo magnetico terrestre, ma fino all’inizio del diciannovesimo secolo gli effetti legati all’elettricità e al magnetismo furono studiati separatamente come fenomeni indipendenti. In seguito, tre esperimenti posero le basi dello sviluppo delle teorie dell’elettromagnetismo. Nel 1820, Hans Cristian Oersted (1777–1851), evidenziò come un conduttore percorso da una corrente sia in grado di provocare la deviazione di un ago magnetico, mostrando come fenomeni elettrici e magnetici siano connessi. Poco dopo, saputi i risultati di Oersted, André-Marie Ampère (1775–1836) mostrò che due fili percorsi da corrente si attraggono o respingono vicendevolmente a seconda se i versi delle loro correnti siano concordi o discordi. L’anno seguente, Michael Faraday (1791–1867) mostrò come un filo percorso da una corrente elettrica sia soggetto a una forza se immerso in un campo magnetico. Analizzando i punti in comune di queste esperienze si comprese che un campo magnetico è sempre generato da una carica elettrica in movimento. A sua volta, una carica elettrica in movimento è soggetta a forze quando si trovi immersa in un campo magnetico (Fig. 1.1). Questo è vero anche nel caso dei materiali ferromagnetici, che devono le loro proprietà al moto degli elettroni degli atomi che li costituiscono, simili a microscopici circuiti elettrici. Il fatto di poter osservare la generazione di un campo magnetico a livello atomico non implica l’osservazione del fenomeno per il materiale nel suo insieme, condizione che avviene solo se le singole sorgenti atomiche presentano un orientamento comune in modo da sommare i propri effetti. Per la maggior parte dei materiali ciò non accade e in essi non è apprezzabile alcun comportamento magnetico. Per i materiali ferromagnetici si ha invece una struttura particolare che porta a una situazione di ordine relativo e di somma dei singoli effetti magnetici prodotti a livello atomico (Fig. 1.2).

1 Principi fisici di base e grandezze misurabili

3

Fig. 1.1 Prime esperienze che hanno posto le basi della teoria dell’elettromagnetismo

a

b

c

Fig. 1.2 Una configurazione disordinata dei moti elettronici (a) non produce magnetismo macroscopico. Quando la disposizione dei moti degli elettroni assume una configurazione particolarmente ordinata (b) in direzione e verso, i piccoli contributi si sommano determinando un campo magnetico risultante non nullo (c)

Nei materiali diamagnetici o paramagnetici intervengono fenomeni simili, ma con un’intensità molto minore e con un effetto temporalmente limitato all’azione di un campo esterno. In particolare, i materiali diamagnetici sottoposti a un campo esterno presentano una debole magnetizzazione in verso opposto al campo applicato, mentre i paramagnetici in verso concorde. A livello di circuiti elettrici è invece importante considerare i campi magnetici generati da una “spira” (filo conduttore disposto in modo da generare un percorso chiuso) oppure da un solenoide (filo avvolto a spirale), come mostrato in Figura 1.3. In entrambi i casi, il campo magnetico generato (indicato con la lettera B) ha delle linee di

4

O. Rampado, M. Coriasco a

b

Fig. 1.3 Rappresentazione delle linee di forza di campi magnetici generati da una spira (a) e da un solenoide (b). In entrambi i casi si notano le linee di forza rettilinee in prossimità dell’asse del circuito

campo coassiali con la disposizione circuitale che tendono poi a divergere alle estremità del solenoide o allontanandosi dall’asse della spira. Detta i la corrente circolante nel conduttore, si osservi la sua diretta proporzionalità con il campo magnetico B da essa generato, nel caso della spira secondo l’inverso del suo diametro D, nel caso del solenoide secondo il rapporto tra il suo numero di spire N e la sua lunghezza l. La grandezza 0 è la permeabilità magnetica, che dipende dal contenuto e dalle proprietà magnetiche dello spazio che si sta considerando. Il secondo dei due casi è di particolare interesse, perché la geometria a solenoide è quella utilizzata per generare i campi nelle apparecchiature RM a superconduttore. Una differenza importante da evidenziare rispetto ai fenomeni puramente elettrici è che per l’elettrostatica è possibile avere una sorgente di campo elettrico costituita da una singola carica positiva o negativa, mentre nel caso dei campi magnetici ciò non è possibile e si parla quindi sempre di sorgenti costituite da dipoli magnetici. Ciò è vero sia nel caso di aghi o barrette magnetiche, dove è intuitiva la posizione dei due poli alle estremità dell’oggetto, sia nel caso di una spira che mostra comunque un campo generato analogo a quello di un aghetto magnetico (Fig. 1.3). Per ogni dipolo magnetico è possibile definire una grandezza fisica chiamata momento magnetico, utile per calcolare con un criterio comune sia il campo magnetico generato sia le forze cui è soggetto il dipolo alla presenza di un campo magnetico esterno. Il momento magnetico avrà direzione e verso analogo a quello del dipolo relativo, mentre l’intensità dipenderà dalle sue dimensioni geometriche e dalle intensità di corrente o caratteristiche del materiale costituente.

1 Principi fisici di base e grandezze misurabili

1.3 I protoni e le loro proprietà magnetiche Consideriamo ora il nucleo dell’atomo di idrogeno, costituito nella forma isotopica fondamentale da un solo protone. Il protone è una particella di massa circa 1,67 × 10–27 kg e un raggio classico di 1,5 × 10–18 m. Nella descrizione e trattazione di fenomeni fisici, quando si passa dal mondo macroscopico a quello atomico e nucleare, occorre tener presente che esistono molteplici modelli per spiegare le interazioni possibili e il comportamento delle grandezze d’interesse. Storicamente si è utilizzato inizialmente un approccio classico, che considera le leggi della fisica applicabili agli oggetti macroscopici osservabili nel quotidiano, per poi individuare una serie di limiti in particolare, messi in luce da alcuni esperimenti del secolo scorso. Si è quindi passati a un approccio quantistico, che prevede un diverso formalismo matematico e tutta una serie di regole particolari. Nel seguito saranno utilizzati in parte entrambi gli approcci, sfruttandone la diversa efficacia per creare un modello interpretativo delle modalità di formazione del segnale RM e delle possibilità di contrasto. Da un punto di vista classico, si può immaginare un protone come una sfera rotante intorno a un proprio asse, come avviene per il nostro pianeta (Fig. 1.5a). Inoltre, il protone è una particella dotata di carica elettrica positiva e, come visto nel paragrafo precedente, un suo moto provocherà la generazione di un campo magnetico. Tale movimento è detto di spin, termine inglese che significa “girare intorno”. Agli estremi dell’asse di “rotazione” si potranno associare due poli magnetici, Nord e Sud, e la loro posizione sarà determinata dal senso di rotazione, orario o antiorario. Da questo punto di vista un protone si comporta pertanto come un piccolissimo dipolo magnetico. Considerando, sempre da un punto di vista classico, una “popolazione” di protoni, vale a dire l’insieme dei nuclei d’idrogeno contenuti in una porzione di tessuto, tutti gli orientamenti degli spin e quindi dei dipoli magnetici saranno possibili ed equiprobabili, per cui complessivamente la somma dei loro effetti porterà a un vettore di magnetizzazione nullo. Dal punto di vista quantistico, invece, si osserva che le componenti di uno spin nucleare lungo gli assi di un sistema di riferimento sono quantizzate, cioè i loro valori non variano con continuità, ma possono assumere solo valori discreti, multipli semi-interi di h/2π (), dove h rappresenta la costante di Planck. Nel caso particolare di un solo protone nel nucleo, le componenti possono assumere soltanto valore di 1/2 o 1/2. Di conseguenza, il momento magnetico associato può essere descritto come in Figura 1.4, nella quale si evidenzia che, scelta una direzione di riferimento lungo un asse z, sono possibili due orientamenti della componente relativa z. Un altro elemento fondamentale del modello basato sulla meccanica quantistica è che non è possibile misurare contemporaneamente le tre componenti dello spin e una loro valutazione è possibile solo in termini probabilistici. Le altre due componenti lungo gli assi x e y risultano indeterminate, e quindi rappresentate lungo la superficie di un cono di indeterminazione. Anche in questo caso, considerando una popolazione di protoni, i due orientamenti possibili di z saranno comunque equiprobabili e quindi avremo statisticamente metà protoni con un’orientazione verso l’alto e metà con un’orientazione verso il basso. La

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Fig. 1.4 Convenzione grafica. Il vettore in azzurro rappresenta il momento magnetico del protone, il vettore in verde la sua proiezione lungo l’asse z e quello rosso la sua proiezione sul piano trasversale xy. A destra, rappresentazione dei momenti magnetici nucleari secondo il modello quantistico, con le due orientazioni possibili di z, parallela e antiparallela alla direzione di riferimento z. Si nota l’indeterminazione delle componenti lungo x e y, che tuttavia possono assumere solo valori ½ o ½. Pur sussistendo incertezza sulla posizione del vettore, esso giace sulla superficie di un cono, la cui altezza ha valore z

somma dei relativi contributi determinerà anche in questo caso un vettore di magnetizzazione totale nullo.

1.4 Campo statico e vettore di magnetizzazione longitudinale La situazione illustrata in Figura 1.5 è perturbata in modo sensibile nel momento in cui i momenti magnetici protonici dei tessuti del paziente sono introdotti nel campo magnetico statico dell’apparecchiatura RM. Quando un dipolo magnetico è sottoposto all’azione di un campo magnetico, su di esso agiranno delle forze che lo porteranno ad assumere una direzione parallela al campo stesso. Ciò è vero sia nel caso di un ago magnetico che nel caso di una spira. Si potrebbe quindi pensare a un comportamento analogo anche per il dipolo magnetico generato dallo spin protonico. In realtà il fenomeno osservabile in questa situazione è diverso, perché l’applicazione del campo esterno sul protone, visto come sfera carica in rotazione intorno al proprio asse, determinerà la nascita di un moto di precessione (Fig. 1.5b). È una situazione paragonabile a quella di una forza esterna applicata all’asse di rotazione di una trottola che, perturbato nel suo moto, comincia a ruotare intorno all’asse gravitazionale terrestre. Lo spin e il momento magnetico del protone si trovano quindi a ruotare sulla superficie di un cono, con una velocità angolare che è direttamente proporzionale al campo applicato secondo la legge di Larmor:   B0. Dal punto di vista globale della popolazione di protoni assisteremo alla nascita di un vettore di magnetizzazione non nullo con direzione e verso pari a quelli del campo magnetico esterno, mentre la ma-

1 Principi fisici di base e grandezze misurabili a

7 b

gnetizzazione trasversale nel piano xy risulterà complessivamente nulla, in quanto le componenti dei momenti magnetici nucleari lungo tale piano, che possiamo indicare con μxy, ruotano con fasi diverse e complessivamente si annulleranno vicendevolmente. Dal punto di vista quantistico, si è visto che, in assenza di campo esterno, i due orientamenti del momento magnetico nucleare lungo la direzione di riferimento sono equiprobabili. In termini di energia, non esiste alcuna differenza tra i due orientamenti, pertanto il passaggio da uno stato all’altro può avvenire senza assorbimento o cessione di energia. L’applicazione di un campo magnetico statico lungo la direzione considerata modifica la situazione. L’orientamento antiparallelo avrà un’energia superiore rispetto a quello parallelo, per opporsi all’azione di allineamento esercitata dal campo esterno. I due orientamenti non saranno più equiprobabili e si avrà una prevalenza numerica di protoni nello stato energetico inferiore, quindi con orientamento del momento magnetico parallelo al campo statico. La differenza di energia tra i due stati e di conseguenza la differenza numerica tra le due popolazioni di protoni sarà proporzionale all’intensità del campo esterno. Si tratta di un equilibrio dinamico, con continue transizioni da uno stato energetico all’altro, ma in ogni istante, sul totale degli spin, vi sarà una lieve prevalenza numerica di quelli con momento magnetico parallelo al campo esterno. La differenza di energia prima indicata è molto piccola rispetto ad altre forme di energia che contribuiscono a rendere possibili entrambi gli orientamenti, come per esempio l’energia termica. Indicando

Fig. 1.5 Rappresentazione del comportamento del protone secondo il modello classico. a Moto di spin e momento magnetico nucleare; b introduzione di campo magnetico esterno B0 e conseguente moto di precessione intorno alla sua direzione da parte del vettore momento magnetico. Il moto di precessione può avvenire in modo parallelo (protone in verde) o antiparallelo (protone in rosso) al campo magnetico esterno. Al livello UP corrisponde maggior energia rispetto al livello DOWN

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Fig. 1.6 Separazione dei livelli energetici per applicazione del campo esterno B0 e rappresentazione del vettore di magnetizzazione macroscopico. La popolazione di spin sul livello inferiore è lievemente più numerosa dell’altra, e gli spin in sovrannumero, non trovando un corrispondente che ne annulla gli effetti, sommano i loro contributi lungo la direzione del campo e creano il vettore di magnetizzazione longitudinale (VML)

con N1 il numero di spin antiparalleli al campo esterno e con N2 il numero di quelli paralleli, si ha N2/N1  e–2B/kT dove k è la costante di Boltzmann e T la temperatura assoluta, espressa in gradi Kelvin, del sistema di spin. Per esempio, a temperatura ambiente e con valori di campo come quelli usati in RM, la prevalenza di spin paralleli è di alcune unità per milione. Questo squilibrio, sebbene molto lieve, è comunque sufficiente per far nascere un vettore di magnetizzazione nella direzione del campo esterno, dato dal vettore risultante dei momenti magnetici nucleari, come già spiegato illustrando il modello classico (Fig. 1.6, Box 1.1). All’inserimento del paziente nel campo statico dell’apparecchiatura RM consegue, dunque, la generazione di un vettore di magnetizzazione non nullo parallelo al campo esterno, detto vettore di magnetizzazione longitudinale. Considerando che la densità di protoni varia per i diversi tessuti, anche la magnetizzazione nucleare totale sarà proporzionalmente diversa, pertanto si dispone di una grandezza fisica potenzialmente in grado di generare informazioni cliniche. La misura diretta di tale vettore è tuttavia complicata dal fatto che la sua intensità è inferiore di diversi ordini di grandezza rispetto al campo principale. Tentare di misurare il vettore di magnetizzazione in tali condizioni sarebbe come cercare di osservare l’accensione di una candela mentre si è accecati da un potente faro acceso: la variazione di luminosità dovuta all’accensione sarebbe diversa da zero, ma certo non apprezzabile data l’esiguità dell’intensità luminosa della candela rispetto al faro. Bisogna dunque ricorrere a sistemi particolari. Nei seguenti paragrafi saranno descritti i meccanismi coinvolti nella valutazione dell’intensità di tale vettore, ma è comunque da rilevare che la magnetizzazione longitudinale è proporzionale al campo applicato e questo è il motivo per il quale macchine con campi magnetici più intensi permettono di generare segnali più elevati, con immagini caratterizzate da un miglior rapporto segnale-rumore e possibilità di abbreviare i tempi di acquisizione.

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Box 1.1 Principali elementi di un’apparecchiatura RM per uso clinico • Magnete • Sistema di gradienti • Sistema di ricetrasmissione RF • Sistema di controllo • Gabbia di Faraday • Schermatura magnetica • Tavolo portapaziente Il sistema è dotato di una consolle con video terminale per permettere all’operatore di impostare i parametri e controllare il sistema. In passato era presente anche una stampante in grado di fornire le immagini delle sezioni analizzate in forma di pellicola o altro, oggi si trovano solitamente soltanto appositi PC che permettono di memorizzare i risultati dell’esame su supporto ottico (CD o altro). Poiché molte indagini RM necessitano di post-elaborazione, di solito la consolle principale si trova collegata a una o più consolle secondarie, dotate di appositi software di post-elaborazione e che provvedono esse stesse a memorizzare le immagini degli esami e i risultati delle elaborazioni su apposito supporto. Le strutture di schermatura, necessarie per motivi di sicurezza e per il corretto funzionamento del tomografo, implicano una particolare preparazione del locale che lo deve ospitare: si tratta di costruzioni che incidono in maniera non trascurabile sul costo complessivo dell’impianto (Fig. 1.7).

Fig. 1.7 Schema a blocchi di un’apparecchiatura RM

Box 1.2 I magneti Il magnete è una parte dell’apparecchiatura che ne influenza molto le prestazioni e il costo finale: a valori più elevati dell’intensità di campo prodotta corrispondono generalmente tecnologie più critiche e costose. I valori più in uso al momento per scopi clinici vanno da circa 0,3 T a 3 T, sebbene già oggi si utilizzino per scopi di ricerca campi da 7 T, ed esistono prototipi di apparecchiature con campi da 9,4 T e 11 T. Per avere idea dell’enormità di tali valori, si pensi che 7 T equivale, nel vecchio sistema CGS, a 70.000 Gauss, valore di cinque ordini di grandezza superiore al campo magnetico terrestre, che non supera il valore di 1 Gauss in nessun punto del pianeta. Altra caratteristica fondamentale del campo magnetico è la sua uniformità, che dovrà essere il più possibile conservata all’interno del volume utile per eseguire l’indagine: i sistemi di lettura del segnale sono legati al valore del campo magnetico statico, e una sua irregolarità nel volume utilizzato per l’acquisizione è fonte di molti problemi e artefatti.

continua

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O. Rampado, M. Coriasco I magneti permanenti Un tempo realizzati con materiali ferromagnetici sottoposti a particolari procedimenti per la loro magnetizzazione, sono in seguito stati costruiti utilizzando leghe speciali a base di neodimio e samario. Hanno lo svantaggio di produrre campi relativamente deboli (non oltre 0,3 T) e non molto omogenei, ma non richiedono alimentazione elettrica per mantenere il campo; inoltre in tali magneti è più semplice anche la schermatura per abbassare l’entità del campo nei pressi dell’apparecchiatura. Essi hanno, dunque, costi di produzione relativamente ridotti, per quanto alcuni modelli di grande dimensione e peso impongano costose modifiche strutturali al sito dell’installazione. La particolare geometria del campo magnetico da essi prodotto permette di utilizzare per l’acquisizione bobine RF solenoidali, caratterizzate da un alto rapporto segnale-rumore. Gli elettromagneti resistivi Costruttivamente i più semplici, sono stati i primi a essere utilizzati per la RM e sono caratterizzati da intensità di campo relativamente basse, anche inferiori a quelle raggiungibili con un magnete permanente. Sono realizzati con un certo numero di bobine disposte in serie: facendo scorrere in esse una corrente continua si genera il campo magnetico. I costi di produzione sono contenuti, ma vi sono elevati costi di gestione legati al grande consumo di corrente elettrica e alla necessità di circuiti di raffreddamento ad acqua per dissipare l’enorme quantità di calore prodotta dalla grande potenza elettrica impiegata, anche alcune centinaia di kW. Inoltre, influenze dall’esterno e imperfezioni costruttive alterano l’omogeneità del campo: controllando opportunamente la corrente in apposite bobine di taratura (shim coils), è possibile produrre campi magnetici addizionali che compensano le disomogeneità. Un altro svantaggio è l’eccessiva sensibilità del campo alle variazioni termiche. I magneti ibridi Associano caratteristiche dei magneti permanenti e dei resistivi, con il vantaggio di presentare un basso valore di dispersione del campo e di avere anch’essi geometrie del campo compatibili con l’utilizzo per l’acquisizione di bobine RF solenoidali. L’intensità di campo ottenibile non è molto elevata e si attesta intorno agli 0,5 Tesla. Inoltre, anche tale tecnologia richiede alimentazione elettrica e raffreddamento ad acqua, e produce un campo sensibile alle variazioni di temperatura. Gli elettromagneti superconduttivi Sono costruiti avvolgendo a spire solenoidali un conduttore costituito da una lega speciale, niobio-titanio drogato con rame. A temperature molto basse, corrispondenti allo stato liquido dell’elio e cioè di 4°K (circa -269°C) il reticolo cristallino di questo materiale diviene quasi immobile e annulla la resistività del materiale stesso, grazie alla creazione di percorsi conduttivi particolarmente efficienti (fenomeno della superconduttività). In una bobina così realizzata, la circolazione della corrente non è ostacolata dalla resistenza elettrica e resta permanente, senza che vi sia necessità di alimentazione elettrica e senza calore dissipato per effetto Joule. La necessità di mantenere il conduttore responsabile del campo magnetico a bassa temperatura costante, impone di realizzare il magnete con una struttura a vaso di Dewar. La spirale di filo superconduttore si trova nella zona più interna, immersa nell’elio liquido, mentre più esternamente un altro contenitore, sfruttando criogeni come azoto liquido (o elio allo stato gassoso) costituisce un isolamento aggiuntivo e contribuisce al mantenimento delle basse temperature necessarie per la superconduttività. Con tali magneti sono raggiungibili valori elevati di intensità e omogeneità di campo, ma la necessità di mantenere permanentemente la superconduzione aumenta i problemi gestionali. L’evoluzione della tecnologia ha limitato molto il consumo di criogeni, e le costose necessità di rabbocco sono ormai molto scarse o nulle (Fig. 1.8).

Fig. 1.8 Caratteristiche principali dei magneti

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1.5 Il fenomeno della risonanza Dopo aver trattato i fondamenti del magnetismo utili alla comprensione dei fenomeni coinvolti nella RM, affrontiamo qui il significato fisico della parola “risonanza”, l’altro termine che identifica questa tecnica diagnostica. Il fenomeno della risonanza è piuttosto diffuso in natura, si trova alla base del funzionamento di molti strumenti musicali, causa rumori nelle macchine e può avere effetti indesiderati distruttivi. Esso è definibile come quel fenomeno capace di “amplificare” le oscillazioni periodiche di un sistema, aumentandone l’ampiezza tramite la somministrazione di energia sotto forma di impulsi periodici applicati a una frequenza di oscillazione propria del sistema e derivante dalle sue caratteristiche. Gli impulsi, anche se di minima intensità, applicati per un tempo sufficientemente lungo, sono in grado di produrre notevoli effetti, in particolare quando il sistema risonante non sia abbastanza elastico da poter assorbire tutta l’energia da essi proveniente. In tali casi, il sistema va incontro alla distruzione, come succede quando un bicchiere di cristallo va in frantumi sotto l’effetto della nota emessa da un cantante. Per comprendere il fenomeno della risonanza, è utile pensare ai movimenti di un’altalena, un tipico sistema oscillante. Anche se inizialmente ferma, essa rappresenta un sistema dotato di una certa frequenza di oscillazione legata alla sua lunghezza. Quando spingendola una prima volta si somministra il primo impulso (spinta), essa si mette in movimento, oscillando. Il secondo impulso e i successivi dovranno essere sincronizzati con il moto oscillatorio, per ottenere il massimo aumento di ampiezza. Nel caso, invece, di somministrazione di spinte con una periodicità diversa da quella di oscillazione del sistema, non si otterrà alcun effetto. In altri termini, se la frequenza degli impulsi è pari a quella di oscillazione, l’assorbimento dell’energia delle spinte sarà ottimizzato e ciò si tradurrà in un aumento progressivo dell’escursione rispetto alla posizione stazionaria di partenza. Si dice, pertanto, che il sistema oscillante (altalena) è “entrato in risonanza” con la frequenza di applicazione degli impulsi di energia. Nel caso in cui il sistema risonante non sia caratterizzato da una sufficiente elasticità meccanica, l’assorbimento di energia avrà un limite oltre il quale si manifesteranno fenomeni distruttivi. È ciò che accade a un bicchiere che risuona sotto l’effetto di un suono di opportuna frequenza: le oscillazioni meccaniche di cui è capace il vetro del bicchiere hanno un’ampiezza relativamente limitata. Se si continua a fornire energia meccanica al bicchiere sotto forma di onde di pressione acustica, esso continuerà ad assorbire energia (cioè ad aumentare l’ampiezza delle sue oscillazioni) fino al livello massimo concesso dall’elasticità meccanica del vetro, poi si romperà liberando così tutta l’energia accumulata fino a quel momento.

1.6 Impulso di radiofrequenza (RF) e vettore di magnetizzazione trasversale Come descritto in precedenza, abbiamo necessità di misurare un segnale connesso alle proprietà dei momenti magnetici nucleari generati dal campo magnetico principale.

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Fig. 1.9 Interpretazione della traiettoria del vettore momento magnetico secondo il modello semi-classico. Il vettore descrive una traiettoria a spirale ruotando alla frequenza di Larmor, inclinandosi sempre di più, fino ad arrivare a ruotare sul piano trasversale

Si noti che è più semplice misurare una variazione di flusso magnetico in luogo di un campo magnetico statico, peraltro molto esiguo se paragonato all’entità del campo esterno B0. Si vogliono dunque indurre delle oscillazioni controllate del sistema di spin in modo da generare un flusso magnetico variabile, misurabile attraverso delle bobine per effetto di un’induzione elettromagnetica. Un’onda RF che investe i tessuti da sottoporre a indagine raggiunge lo scopo: se la frequenza dell’onda irradiata è la stessa della frequenza di precessione degli spin, il sistema entra in risonanza con l’onda applicata e da essa comincia ad assorbire energia. Da un punto di vista classico, il fenomeno che si può descrivere è quello di un vettore di magnetizzazione che prosegue nel suo moto di precessione, riducendo la componente parallela al campo esterno e aumentando invece quella sul piano trasversale. È come se la magnetizzazione longitudinale venisse “ribaltata” sul piano trasversale, mantenendo comunque il moto rotatorio precedente (Fig. 1.9). Osservando invece il fenomeno del punto di vista quantistico, si ha un assorbimento dell’energia dell’onda RF da parte del sistema solo se ogni quanto di energia è pari alla differenza tra i due stati di spin parallelo e antiparallelo al campo esterno. Se ciò avviene, un numero crescente di protoni tenderà a orientare lo spin nel verso antiparallelo, e anche in questo modello l’effetto complessivo è la riduzione d’intensità del vettore di magnetizzazione longitudinale (Fig. 1.10, a destra); contemporaneamente, i contributi delle magnetizzazioni trasversali degli spin, messe in coeren-

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Fig. 1.10 Effetti dell'impulso RF a 90°. Progressivo rispristino dell’equilibrio delle popolazioni protoniche sui due livelli energetici, con conseguente scomparsa del VML e generazione di un vettore di magnetizzazione rotante sul piano xy, il VMT. In a la situazione iniziale, in b una situazione intermedia e in c la situazione al momento ti al termine dell’impulso

za di fase dall’impulso RF, provocheranno la comparsa della magnetizzazione trasversale rotante. La durata dell’attivazione del segnale RF è molto breve, dell’ordine dei millisecondi, motivo per cui si parla di “impulsi a radiofrequenza”. In questo caso, poiché l’effetto complessivo dei due fenomeni citati è un apparente ribaltamento del VML sul piano trasversale xy, esso è indicato come “impulso a 90°”. Secondo le necessità, può tuttavia essere utile ruotare la magnetizzazione anche di angoli diversi da 90°: nel seguito sarà meglio illustrata l’utilità di impiegare angoli di ribaltamento diversi da 90° nelle varie sequenze impiegate. Detta B1 l’ampiezza e ti la durata dell’impulso RF, si dimostra che il valore dell’angolo di deviazione θ (flip angle) è dato dalla relazione dove  è la costante giromagnetica già descritta. θ  B1ti

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Fig. 1.11 Impulsi RF di pari effetto. a Per ottenere lo stesso effetto di un dato impulso (curva in rosso) di cui si è raddoppiata la durata, si deve dimezzarne l’intensità (curva in verde). Viceversa, se la durata dimezza, è necessario raddoppiarne l’intensità. In b lo stesso concetto è illustrato con la simbologia che schematizza ampiezza e durata degli impulsi, spesso utilizzata nei manuali d'uso delle apparecchiature

È possibile dunque variare l’angolo di deviazione agendo su uno dei due parametri. È evidente la proporzionalità inversa che lega le due grandezze: un impulso di metà ampiezza e durata doppia produrrà la stessa deviazione di uno di ampiezza doppia che duri la metà (Fig. 1.11). L’effetto dell’onda RF è quello di generare un segnale misurabile: dopo l’impulso a 90° si ha un vettore oscillante e ortogonale al campo magnetico statico, rilevabile con un opportuno sistema captante, per esempio una spira di una bobina. La rotazione della magnetizzazione farà variare il flusso concatenato con la spira e indurrà in essa una corrente elettrica proporzionale all’intensità del segnale RF ottenuto in risposta dal sistema sollecitato. Il sistema è paragonabile all’antenna che capta le emissioni radiofoniche: esse trasmettono energia a distanza utilizzando un’onda elettromagnetica a una frequenza stabilita, e inducono una d.d.p. in un materiale conduttore opportunamente sagomato (antenna) e tarato per ricevere quella determinata gamma di frequenze. Si ricordi che l’effetto descritto si ottiene se e solo se la frequenza dell’onda RF è pari a quella della frequenza di precessione, data dalla legge di Larmor. L’uso di una frequenza diversa non produce sui tessuti alcun effetto, perché non vi è risonanza tra il sistema di spin e l’onda RF.

1 Principi fisici di base e grandezze misurabili Box 1.3 La gabbia di Faraday La costante  vale per l’idrogeno 42,6 MHz/T. Un’apparecchiatura da 1,5 T provocherà la risonanza degli spin a circa 63 MHz, mentre a 3 T la frequenza assumerà il valore di 127,8 MHz. Come si può osservare, si ricade in ogni caso nell’ambito delle radiofrequenze, alcune delle quali utilizzate specificamente a scopi commerciali o per servizi di radioassistenza: la frequenza di risonanza di un’apparecchiatura a 3 T ricade in piena banda aeronautica, mentre a 43 MHz operano le apparecchiature in dotazione alla protezione civile. Alla luce di queste considerazioni assume particolare rilevanza l’utilizzo della gabbia di Faraday per la schermatura. Essa dovrà essere realizzata in modo da impedire l’ingresso di qualsiasi RF dall’esterno e per impedire la fuga dall’interno della RF usata per l’eccitazione. Poiché è necessaria la comunicazione tra l’interno e l’esterno, nella gabbia di Faraday sono ricavate opportune guide d’onda che, senza interrompere la schermatura, permettono di far passare al loro interno i cavi elettrici di comunicazione, fibre ottiche, e quanto necessario per occasionali esigenze. Box 1.4 Sistema di ricetrasmissione RF Gli elementi base di questo sistema sono il trasmettitore e il ricevitore di onde RF (vedi Fig. 1.12). Il trasmettitore deve avere grandi potenze di uscita (dell’ordine dei kW) e genera l’onda RF alla frequenza opportuna per fare entrare in risonanza, il ricevitore deve rilevare e convertire in segnale elettrico il debole segnale proveniente dagli spin protonici del tessuto in esame e deve quindi essere caratterizzato da un’elevata sensibilità (dell’ordine dei mW). Le operazioni di trasmissione e di ricezione sono mediate da particolari tipi di antenne, le bobine di accoppiamento, che in rapporto alla regione anatomica per cui sono progettate si presentano molto diverse tra loro per forma e dimensione. Le antenne, per funzionare in modo ottimale, devono essere anch’esse risonanti alla frequenza di Larmor. Poiché esse sono costituite da elementi induttivi e capacitivi, detto C il valore di capacità e L il valore dell’induttanza, la frequenza di risonanza ν, in un circuito formato da una spira di materiale conduttore, sarà data da: 000010000  2 兹莥莥 LC Ogni circuito risonante è caratterizzato da una specifica larghezza di banda entro la quale il fenomeno della risonanza può avvenire. Ponendo all’interno del circuito (bobina) l’elemento che s’intende analizzare, si introduce una perturbazione nella frequenza di risonanza dipendente dalla conduttività e costante dielettrica dell’elemento stesso. Se la variazione eccede la larghezza di banda utile per la risonanza degli spin del tessuto analizzato, l’antenna non riuscirà a generare la corretta magnetizzazione trasversale con l’angolo desiderato: il vettore di magnetizzazione trasversale sarà dunque meno intenso, con conseguente peggioramento del rapporto segnale-rumore (SNR), e anche la ricezione non sarà ottimale. Per esami in zone circoscritte del corpo, possono essere usate in ricezione bobine dette “di superficie”, che garantiscono alta risoluzione con buon SNR. La bobina utilizzata per la trasmissione non è solitamente visibile perché incorporata nel tunnel del magnete stesso. I sistemi di trasmissione e ricezione sono controllati dal calcolatore e sono schematizzati nella Figura 1.12. Un aspetto critico del sistema di ricezione è la possibilità di introdurre rumore aggiuntivo che vada a degradare il SNR dell’immagine, in particolare durante l’amplificazione. Nei sistemi più recenti, l’informazione è trattata in forma digitale, risultando così meno sensibile al rumore.

Fig. 1.12 Schema della catena di trasmissione e di ricezione di un sistema RM

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1.7 Fenomeni di rilassamento e grandezze misurabili Al termine dell’impulso a 90°, il sistema di spin protonici si trova in una configurazione diversa da quella di equilibrio conseguente all’applicazione del campo magnetico statico. Tuttavia, appena cessato l’impulso RF, tale configurazione tende a essere raggiunta nuovamente con il coinvolgimento di una serie di fenomeni detti di rilassamento. Le conseguenze di tali fenomeni sono la progressiva scomparsa del vettore di magnetizzazione trasversale nel piano xy e il ritorno al valore iniziale della magnetizzazione longitudinale lungo la direzione z. Gli andamenti temporali delle intensità di tali vettori seguono leggi esponenziali, con tempi caratteristici che, come vedremo, dipendono dalla natura dei tessuti esaminati e sono pertanto fondamentali nella produzione di immagini diagnostiche. In particolare, si definisce il tempo T1 come il tempo necessario al vettore di magnetizzazione longitudinale Mz per raggiungere un valore pari al 63% di quello iniziale; in altri termini, una frazione (1-1/e), dove e è il numero di Nepero (Fig. 1.13). Analogamente, si definisce il tempo T2 come il tempo impiegato dal vettore di magnetizzazione trasversale per ridursi al 37% del valore iniziale (cioè a una frazione 1/e), in presenza di un campo statico esterno completamente omogeneo. Nelle condizioni reali di non perfetta omogeneità di campo esterno si definisce anche il tempo T2* (T2 star) il cui significato sarà chiarito nel paragrafo successivo (Fig. 1.14). Oltre a questi tempi caratteristici, non bisogna dimenticare che l’intensità del segnale misurato, generato dalla risultante dei momenti magnetici nucleari, sarà proporzionale alla densità di nuclei di idrogeno (o protoni) per unità di volume. Tale grandezza è appunto indicata con il termine di densità protonica o densità di spin. La dipendenza del segnale misurabile dalle grandezze presentate, tradotta in livelli di grigio, costituisce la base per la definizione dei diversi contrasti nelle immagini diagnostiche in RM.

Fig. 1.13 Andamento temporale della magnetizzazione longitudinale dopo l’impulso a 90°

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Fig. 1.14 Andamento temporale della magnetizzazione trasversale dopo l’impulso a 90°

1.8 Caratteristiche dei tempi di rilassamento T1 e T2 A livello microscopico, il rilassamento e il ritorno alla situazione di equilibrio dopo l’applicazione di un impulso RF coinvolge diversi fenomeni di interazione degli spin protonici. In particolare, si distinguono i fenomeni che coinvolgono scambi di energia tra spin vicini che non modificano l’energia del macrosistema (interazioni spin-spin) da quelli in cui, invece, sono coinvolti scambi di energia con esso (interazioni spinreticolo).

1.8.1 Le interazioni spin-spin

Nella diminuzione progressiva e perdita della magnetizzazione trasversale sono coinvolti principalmente fenomeni di interazione spin-spin: il vettore Mxy riduce la sua intensità per il progressivo sfasamento (perdita di coerenza di fase) dei moti di precessione degli spin. Infatti, subito dopo l’impulso RF, i singoli moti di precessione risultano tra loro coerenti e, pertanto, la somma dei campi da loro prodotti risulta apprezzabile. Col passare del tempo, i fenomeni qui descritti contribuiscono a variare questo stato di ordine e i moti risulteranno non più in fase tra loro. La somma dei loro effetti si ridurrà fino ad annullarsi (Fig. 1.15). Le interazioni spin-spin sono dovute agli effetti dei campi magnetici generati da uno spin nucleare su quelli circostanti. Per esempio, la componente z del momento magnetico di un protone altera sensibilmente il valore del campo esterno in una limitata regione di spazio ad esso prossima, all’interno della quale gli altri protoni risentiranno di tale variazione con una modifica della velocità angolare di precessione che, a sua volta, può provocare uno sfasamento. Il moto di precessione costituisce, inoltre, una sor-

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Fig. 1.15 Dopo l’impulso RF un gran numero delle componenti xy degli spin dei protoni ruota in coerenza di fase. Terminato l’impulso, con il passare del tempo fenomeni di interazione spin-spin o disomogeneità nel campo magnetico provocano la diminuzione della coerenza di fase, diminuisce dunque anche il modulo del vettore somma

gente di campo RF per i protoni circostanti ed è in grado di indurre inversioni reciproche di orientamento tra spin appaiati, che non modificano la distribuzione generale di stati ma contribuiscono, ancora una volta, alla perdita di coerenza di fase. Tali interazioni sono tanto più frequenti quanto più la posizione reciproca di protoni vicini non varia considerevolmente nel tempo. Di conseguenza, in prima approssimazione, il tempo T2 delle strutture solide o liquide ad alta viscosità sarà più basso; al contrario, sarà più alto per liquidi a bassa viscosità. Oltre ai fenomeni propri della struttura del tessuto e delle interazioni tra spin, lo sfasamento al termine del segnale RF è causato anche dall’impossibilità di ottenere una perfetta omogeneità del campo esterno nello spazio occupato dal soggetto in esame. Pic-

1 Principi fisici di base e grandezze misurabili

Fig. 1.16 Le disomogeneità nel campo magnetico portano gli spin a defasare in un tempo inferiore a quello che impiegherebbero con un campo perfettamente uniforme. Gli spin in rosso, sottoposti a un campo magnetico superiore a B0, ruotano con frequenza maggiore, quelli in blu, sottoposti esattamente a B0, ruotano alla frequenza di Larmor, quelli in verde, sottoposti a un campo inferiore a B0, ruotano a minor frequenza

cole differenze di campo provocano differenti velocità angolari di precessione che, col passare del tempo, determinano lo sfasamento delle magnetizzazioni nucleari più rapidamente di quanto avverrebbe per le interazioni proprie degli spin (Fig. 1.16). Per tale motivo, la misura diretta del tempo durante il quale scompare la magnetizzazione Mxy non fornisce una grandezza esclusivamente caratteristica della materia costituente l’oggetto dello studio, ma è influenzata anche dalle eventuali proprietà magnetiche atomiche dei tessuti (paramagnetismo o diamagnetismo locale) oppure dall’omogeneità di campo dell’apparecchiatura. Il tempo caratteristico così misurato è indicato con T2*, per distinguerlo dal T2 definito in precedenza. Per ottenere una dipendenza del contrasto esclusivamente legata al tempo di rilassamento proprio del tessuto esaminato è stata ideata una combinazione di impulsi RF, descritta nel capitolo successivo, in grado di recuperare la coerenza di fase persa per disomogeneità di campo e procedere quindi alla misura del T2 effettivo. Il tempo T2* è sempre inferiore al T2 effettivo, giacché comprende tutte le possibili cause di perdita della coerenza di fase. La relazione matematica che li lega è la seguente: 1 1 1 1 = + + T*2 T2 T2 M T2 MS

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dove T2M e T2MS rappresentano, rispettivamente, il contributo delle disomogeneità di campo esterno e quello delle disomogeneità di campo legate alle componenti del tessuto considerato.

1.8.2 Le interazioni spin-reticolo

Le interazioni che invece favoriscono il recupero della magnetizzazione longitudinale Mz sono di tipo spin-reticolo. In particolare, occorre considerare che le molecole cui appartengono i nuclei di idrogeno, prevalentemente di acqua, sono in continuo movimento nei tessuti che le contengono. Rispetto a un protone, un movimento molecolare in un campo esterno ha lo stesso effetto dell’applicazione di un campo variabile nel tempo. Quando i moti molecolari sono tali da essere costituiti da componenti variabili nel tempo con frequenze pari a quella di risonanza dei protoni, si ottiene lo stesso effetto degli impulsi RF e vengono, quindi, stimolate le transizioni tra i due stati energetici associati alle orientazioni di z. Ciò avviene in misura ridotta nelle strutture solide che, infatti, presentano tempi di rilassamento T1 molto lunghi, ma anche nei liquidi a bassa viscosità, per i quali la grande mobilità delle molecole determina un’ampia distribuzione delle frequenze dei moti associati e, quindi, una bassa presenza di moti alla frequenza di risonanza. Il minimo valore di T1 è quindi ottenuto per strutture con viscosità intermedia. La Figura 1.17 riporta alcuni esempi dei valori di T1 e T2 per diversi tessuti biologici.

Fig. 1.17 Esempi di valori di tempi di rilassamento T1, T2 e densità protonica

1 Principi fisici di base e grandezze misurabili

1.9 Sintesi e considerazioni finali I protoni (spin) sottoposti a un campo magnetico esterno, eseguono un moto di precessione a una frequenza proporzionale all’entità del campo (frequenza di Larmor). • Nascita del VML: dal punto di vista quantistico, gli spin sono divisi quasi equamente in due popolazioni (stati energetici): una è orientata in senso parallelo al campo magnetico, l’altra in senso antiparallelo. L’equilibrio è dinamico: avvengono costantemente transizioni da uno stato all’altro. Tuttavia, lo stato energetico inferiore è lievemente più probabile dello stato a maggiore energia, di conseguenza la popolazione sullo stato energetico inferiore è lievemente più numerosa. Gli spin in soprannumero sullo stato energetico inferiore sommano i loro contributi lungo il campo magnetico, che può essere sintetizzato da un vettore detto di magnetizzazione longitudinale (VML). L’intensità del VML è proporzionale alla concentrazione di protoni per unità di volume (densità protonica). Somministrando un’opportuna quantità di energia RF alla giusta frequenza (Larmor) i protoni entrano in risonanza con l’impulso RF e assorbono energia, provocando contemporaneamente due fenomeni distinti: l’annullamento del VML e la nascita del VMT. • Annullamento del VML: le due popolazioni di protoni ora si equivalgono numericamente, annullando vicendevolmente i loro effetti: il vettore di magnetizzazione longitudinale si annulla. • Nascita del VMT: i moti di precessione dei momenti magnetici dei protoni, prima disordinati, acquisiscono progressivamente coerenza di fase, e le loro proiezioni sul piano trasversale sommano i loro effetti in un’unica direzione, che ruota alla frequenza

Fig. 1.18 Schema con l’andamento dei vettori di magnetizzazione longitudinale e trasversale durante la somministrazione dell’impulso RF a 90°. Al tempo t  0, la magnetizzazione longitudinale dei tessuti immersi nel campo magnetico è proporzionale alla loro densità protonica, la magnetizzazione trasversale ha valore nullo. La situazione è invertita al termine dell’impulso RF

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di Larmor, il VMT. L’andamento temporale dei due fenomeni è riassunto nella Figura 1.18. Cessato l’impulso RF, il sistema tende a ritornare alle condizioni iniziali e cominciano i fenomeni di rilassamento: a causa delle interazioni dette spin-spin, il VMT tende progressivamente a spegnersi; a causa delle interazioni dette spin-reticolo, il VML tende progressivamente a ricostituirsi verso l’intensità che possedeva inizialmente. È definito T2 il tempo necessario al VMT per diminuire del 63% l’intensità raggiunta al termine dell’impulso RF. È definito T1 il tempo necessario al VML per recuperare il 63% del valore che possedeva inizialmente. Ogni tessuto possiede caratteristiche chimico-fisiche che gli conferiscono tempi di rilassamento diversi. È possibile interrogare il sistema somministrando gli impulsi e ricevendo il segnale in ritorno con un’opportuna tempistica, in modo da ottenere segnali proporzionali alle tre grandezze viste: T1, T2 e densità protonica. Nel successivo capitolo sarà introdotta una tecnica adeguata per raggiungere questo obiettivo.

Letture consigliate Allen PS (1992) Medical physics monograph No. 21: The physics of MRI. AAPM Summer School Proceedings, American Institute of Physics Bloch F (1946) Nuclear induction. Phys Rev 70:460-474 Bloembergen, Purcell EM, Pound RV (1948) Relaxation effects in nuclear magnetic resonance absorption. Phys Rev 73:679-712 Canese R, Podo F (1994) Introduzione alla risonanza magnetica ad uso clinico. Principi fisici e strumentazione. Ann Ist Super Sanità 30(1):7-29 Curry TS, Dowdey JE, Murry RE (1990) Introduction to the physics of diagnostic radiology. Lea & Febiger, Philadelphia Haacke EM, Brown RW, Thompson MR, Venkatesan R (1999) Magnetic resonance imaging: physical principles and sequence design. Wiley, New York Rinck P (1993) Magnetic resonance in medicine: the basic textbook of the European Magnetic Resonance Forum, 3rd eds. Blackwell Scientific Publications, Oxford, UK Stark DD, Bradley WG (1999) Magnetic resonance imaging. Mosby, St Louis

ESERCIZI

Esercizi 1) Indicare tra le seguenti la corretta definizione di spin: a) rotazione di una particella elementare attorno a un asse dello spazio b) rotazione di un atomo, in senso orario se positivo, antiorario se negativo c) momento magnetico di un nucleo atomico, con il verso legato al senso di rotazione d) momento magnetico dei protoni di una molecola d’acqua 2) Scegliere tra le seguenti la corretta definizione del tempo di rilassamento longitudinale T1: a) tempo necessario al vettore di magnetizzazione trasversale Mxy per raggiungere un valore pari al 63% di quello iniziale dopo un impulso a 90° b) tempo impiegato dal vettore di magnetizzazione trasversale per ridursi al 37% del valore iniziale, dopo l’impulso a 90° c) tempo necessario al vettore di magnetizzazione longitudinale Mz per raggiungere un valore pari al 63% di quello iniziale dopo un impulso a 90° d) tempo necessario al vettore di magnetizzazione longitudinale Mz per ridursi a un valore pari al 63% di quello iniziale dopo un impulso a 90° 3) Qual è l’effetto di un impulso RF a 90° su un soggetto in equilibrio in un campo statico longitudinale? a) azzerare la magnetizzazione trasversale e generare una magnetizzazione longitudinale variabile b) azzerare la magnetizzazione longitudinale e generare una magnetizzazione trasversale rotante c) aumentare la magnetizzazione longitudinale d) aumentare la magnetizzazione trasversale 4) Il valore della costante giromagnetica per l’idrogeno è di 42,57 MHz/T. Nel caso di un campo da 3 T la frequenza di risonanza sarà di: a) 63,9 MHz b) 85,2 MHz/T c) 63,9 T d) 127,71 MHz 5) Scegliere tra le seguenti la corretta definizione del tempo di rilassamento trasversale T2: a) tempo necessario al vettore di magnetizzazione trasversale Mxy per raggiungere un valore pari al 63% di quello iniziale dopo un impulso a 90° b) tempo impiegato dal vettore di magnetizzazione trasversale per ridursi al 37% del valore iniziale, dopo l’impulso a 90° c) tempo necessario al vettore di magnetizzazione longitudinale Mz per raggiungere un valore pari al 63% di quello iniziale dopo un impulso a 90°

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d) tempo necessario al vettore di magnetizzazione longitudinale Mz per ridursi a un valore pari al 63% di quello iniziale dopo un impulso a 90° 6) Scegliere tra le seguenti la corretta definizione di densità protonica di un tessuto: a) numero assoluto di spin per mm3 b) numero di protoni di acqua libera / numero di protoni di acqua legata c) numero di spin rotanti in senso orario / numero di spin rotanti in senso antiorario d) numero assoluto di spin protonici per unità di volume 7) Rispetto al T2, il tempo di rilassamento trasversale T2* è: a) sempre minore, a causa della più precoce perdita di coerenza di fase dovuta alle disomogeneità di campo magnetico b) sempre maggiore, a causa della più lenta perdita di coerenza di fase dovuta alla mancata azione delle disomogeneità di campo magnetico c) dipende dal tessuto considerato d) nessuna delle precedenti 8) Indicare quale tra i seguenti valori possono essere assunti dalla componente del momento magnetico di spin di un protone lungo l’asse z (z): a) multipli interi di h/2 : sono ammessi tutti i valori positivi da 0 in avanti b) multipli semi-interi di h/2 : sono ammessi tutti i valori

n h * con n pari 2 2

c) multipli interi di h/2 : sono ammessi tutti i valori positivi e negativi di n*(h/2 ), con n intero d) sono ammessi valori ½  9) Indicare tra le seguenti quale affermazione è quella scorretta: a) la frequenza di Larmor raddoppia se si raddoppia l’intensità del campo magnetico esterno b) la frequenza di Larmor è legata al campo magnetico esterno a meno di una costante c) la frequenza di Larmor è quella a cui avviene il moto di precessione dei nuclei nel campo esterno B0 d) la frequenza di Larmor raddoppia dimezzando l’intensità del campo magnetico esterno 10) Indicare tra le seguenti quale affermazione riguardante il segnale ottenibile in RM è quella corretta: a) ha entità proporzionale allo squilibrio numerico tra la popolazione di spin nello stato parallelo (DOWN) e quella nello stato antiparallelo (UP) b) NON varia in base alla temperatura esterna c) è inversamente proporzionale all’entità del vettore di magnetizzazione longitudinale d) è inversamente proporzionale all’entità del vettore di magnetizzazione trasversale

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11) Indicare tra le seguenti quale affermazione riguardante la gabbia di Faraday è quella scorretta: a) ha lo scopo di impedire l’ingresso di RF all’interno dello scanner b) ha lo scopo di impedire la fuga di RF all’esterno dello scanner c) può essere perforata da guide d’onda per permettere scambi tra l’esterno e l’interno d) contribuisce alla stabilità del campo esterno B0 impedendo l’ingresso del magnetismo terrestre 12) A quanto equivale il valore di 3 T nel vecchio sistema di misura CGS? a) a 15.000 Gauss b) a circa 5.000 volte il valore del campo magnetico terrestre c) a circa 100 volte il valore del campo magnetico terrestre d) a 30.000 Gauss 13) Perché in RM è importante l’uniformità del campo magnetico? a) per garantire la costanza del valore della frequenza di Larmor in ogni punto del volume interessato b) per garantire che in ogni punto del volume interessato non cambi la temperatura durante l’esame c) non è vero che l’uniformità del campo abbia particolare importanza, il campo dev’essere solamente mantenuto su un valore sufficientemente elevato a garantire la risonanza d) un campo non uniforme può provocare artefatti da flusso, a causa del ferromagnetismo della molecola di emoglobina 14) L’entità del segnale RM dipende dallo squilibrio numerico tra le popolazioni di spin distribuite su due livelli energetici, il quale è: a) cresce con l’aumentare della temperatura ed è inversamente proporzionale al campo magnetico b) diminuisce con l’aumentare della temperatura ed è inversamente proporzionale al campo magnetico c) diminuisce con l’aumentare della temperatura ed è direttamente proporzionale al campo magnetico d) aumenta con l’aumentare della temperatura ed è direttamente proporzionale al campo magnetico 15) Nelle apparecchiature a magnete superconduttivo, il fenomeno della superconduzione avviene: a) a temperature sotto lo zero assoluto b) a temperature prossime a 0°C c) a temperature pari a 0°K d) a temperature superiori di alcuni gradi K allo zero assoluto

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16) L’impulso RF a 90° crea un vettore di magnetizzazione trasversale di entità: a) superiore a quella del vettore di magnetizzazione longitudinale b) inferiore a quella del vettore di magnetizzazione longitudinale c) pari a quella del vettore di magnetizzazione longitudinale d) proporzionale all’energia RF accumulata dalla popolazione di spin risonanti 17) Il flip angle ha un valore: a) direttamente proporzionale all’ampiezza dell’impulso RF e inversamente alla sua durata b) inversamente proporzionale all’ampiezza dell’impulso RF e direttamente alla sua durata c) direttamente proporzionale all’ampiezza e alla durata dell’impulso RF d) inversamente proporzionale all’ampiezza e alla durata dell’impulso RF 18) In generale, nella diminuzione progressiva e perdita della magnetizzazione trasversale sono coinvolti principalmente: a) fenomeni di interazione spin-reticolo associati alle disomogeneità di campo magnetico b) fenomeni di interazione spin-spin associati alle disomogeneità di campo magnetico c) soltanto fenomeni di perdita di coerenza di fase dovuti a interazioni tra gli spin d) fenomeni legati a trasferimenti energetici tra gli spin e l’ambiente circostante 19) Il tempo T2*: a) è sempre superiore al T2 effettivo, perché non risente delle disomogeneità di campo magnetico b) è sempre inferiore al T2 effettivo, perché non risente delle disomogeneità di campo magnetico c) è sempre superiore al T2 effettivo, perché risente delle disomogeneità di campo magnetico d) è sempre inferiore al T2 effettivo, perché risente delle disomogeneità di campo magnetico 20) Il tempo di rilassamento trasversale: a) non dipende mai dagli effetti delle disomogeneità di campo magnetico b) dipende sempre dagli effetti delle disomogeneità di campo magnetico c) non dipende dagli effetti delle disomogeneità di campo magnetico se si utilizzano particolari combinazioni di opportuni impulsi RF in grado di recuperare i loro effetti d) dipende dagli effetti delle disomogeneità di campo magnetico solo utilizzando particolari combinazioni di impulsi RF in grado di annullare i loro effetti

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Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Gianni Boris Bradac

Indice dei contenuti 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7

Introduzione I contrasti fondamentali Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T2 Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T1 Contrasto dipendente dalla densità protonica La sequenza spin-echo Conclusioni

2.1 Introduzione A differenza di altre metodiche radiologiche come la tomografia computerizzata (TC), la risonanza magnetica offre molteplici possibilità di contrasto. La produzione dei diversi contrasti è resa possibile grazie alla scelta opportuna dei tempi con cui si somministrano gli impulsi di eccitazione e di quelli in cui il segnale è raccolto. Si descriveranno gli effetti associati alle variazioni di questi parametri di acquisizione nella sequenza fondamentale spin-echo, utili a comprendere le conseguenze delle varie possibilità di impostazione nell’apparecchiatura RM anche nelle sequenze più complesse che si incontreranno nel seguito.

2.2 I contrasti fondamentali Le immagini risultanti da uno studio di risonanza magnetica sono digitali: ai pixel che le compongono è attribuita una gradazione di grigio proporzionale all’intensità di segnale Elementi di risonanza magnetica. Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Gianni Boris Bradac (a cura di) DOI: 10.1007/978-88-470-5641-1_2 © Springer-Verlag Italia 2014

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proveniente dai corrispondenti voxel. Per rappresentare i tessuti biologici contenuti nel campo di vista con un determinato contrasto, è necessario che i tessuti in esame rispondano in maniera diversa agli impulsi a radiofrequenza loro somministrati e producano segnali RM di intensità differenti, legate alle loro specifiche caratteristiche fisiche e biologiche. Alla base della generazione del contrasto tra i diversi tessuti nelle immagini RM vi sono principalmente la concentrazione di nuclei di idrogeno (DP) e le modalità di rilassamento longitudinali (T1) e trasversali (T2 o T2*) descritte in precedenza: nel presente capitolo verranno illustrate le tecniche fondamentali per ottenere immagini con un contrasto dipendente da tali grandezze. La novità introdotta dalla risonanza magnetica rispetto ad altre metodiche è proprio il fatto di essere multiparametrica: in radiologia tradizionale o in TC, l’unica caratteristica che può influenzare il contrasto tra i vari tessuti è il loro diverso coefficiente di assorbimento della radiazione X (la densità), e sono quindi metodiche monoparametriche. In esse, tessuti con caratteristiche biologiche pur molto diverse ma con densità simili saranno rappresentati con uno scarso contrasto, perché i livelli di grigio ad essi attribuiti, proporzionali alla densità, risulteranno a loro volta simili. L’innovazione derivante dalle caratteristiche multiparametriche della RM consiste nel poter utilizzare più grandezze diverse per rappresentare le immagini, ampliando le possibilità di contrasto con cui rappresentare le regioni anatomiche indagate e dunque aumentando l’efficacia diagnostica. Tale possibilità, ottenuta variando opportunamente le modalità di eccitazione e di raccolta dei segnali, verrà spiegata in dettaglio nel resto del presente capitolo e ulteriormente chiarita nel Capitolo 4, introducendo e caratterizzando, in particolare, la sequenza spin-echo, i suoi parametri e le possibilità di ottenere contrasti DP-, T1- e T2-dipendenti. Altri tipi di grandezze dalle quali è possibile far dipendere il contrasto delle immagini, quali la suscettività magnetica o la capacità diffusiva delle molecole d’acqua, saranno trattati nel capitolo 5.

2.3 Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T2 Dal capitolo precedente si è appreso che l’energia proveniente dall’impulso a radiofrequenza è ceduta ai protoni risonanti producendo due effetti, quello di farli “orientare” sullo stato energetico più elevato, antiparallelo al verso del campo magnetico esterno, e quello di mettere in fase i loro moti di precessione. Il primo fenomeno è quello che provoca una progressiva diminuzione di intensità del vettore di magnetizzazione longitudinale fino ad annullarla, il secondo provoca la nascita del vettore di magnetizzazione traversale, vettore risultante di tutti i minuscoli vettori di magnetizzazione dei protoni, il cui moto di precessione è stato messo in sincronia di fase e dunque sommano i loro piccolissimi contributi in modulo nella stessa direzione e verso: l’effetto complessivo dei due fenomeni è quello di un ribaltamento del VML sul piano trasversale con traiettoria spirale, ruotando alla frequenza di Larmor. Il vettore di magnetizzazione trasversale avrà quindi un’intensità misurabile, sarà cioè in grado di indurre in un’antenna ricevente (la bobina RF) una corrente non nulla con

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andamento proporzionale all’interazione tempo-variante del magnetismo del VMT con il conduttore elettrico utilizzato come antenna ricevente. Cessato l’impulso, le interazioni spin-spin e le disomogeneità di campo causeranno la progressiva perdita di coerenza di fase tra i protoni e produrranno quindi i fenomeni di rilassamento trasversale, durante i quali il VMT si riduce progressivamente di intensità fino ad annullarsi quando la perdita di coerenza di fase è totale (Fig. 1.15). Nel precedente capitolo è stato definito il T2, o tempo di rilassamento traversale, come il tempo necessario al VMT per decrescere fino al 37% dell’intensità massima raggiunta al termine dell’impulso RF. Come si ricorderà, esso è caratteristico di ciascun tessuto, perché dipende dalle probabilità di interazione tra gli spin, prima causa della loro perdita di coerenza di fase. In base alle diverse strutture molecolari dei diversi tessuti, le probabilità di interazione e, quindi, di scambio energetico tra gli spin saranno in generale diverse; il diverso T2 dei tessuti sarà pertanto condizionato dalla maggiore o minore probabilità di interazione degli spin ad essi appartenenti. Nell’esempio riportato nel grafico di Figura 2.1, è possibile raffrontare i diversi tempi di rilassamento T2 della sostanza bianca, della materia grigia e del liquido cerebrospinale dopo l’impulso a 90°. In ordinata sono state rappresentate le entità delle rispettive magnetizzazioni trasversali prodotte al termine dell’impulso a 90°, espresse in unità arbitrarie da 0 a 1. Esse decrescono progressivamente con il trascorrere del tempo, rappresentato in ascissa, con legge esponenziale inversa: è evidente che il segnale indotto nella bobina dalla sostanza bianca decade più rapidamente di quello del liquido, il suo tempo di rilassamento T2 è quindi più breve. Si osservi come per valori di tempo molto brevi il segnale è elevato, ma vi sia scarsa differenza tra materia bianca e materia grigia. Per tempi relativa-

Fig. 2.1 Andamento temporale della magnetizzazione trasversale dopo l’impulso a 90° per tre diversi tessuti

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mente molto elevati, oltre i 200 ms, le loro curve tornano a essere molto simili, e anche il loro segnale relativo è divenuto molto scarso diminuendo, pertanto, anche il SNR e il rapporto contrasto/rumore. Il valore ottimale è collocabile tra i 100 e i 150 ms, perché è l’intervallo entro al quale tutte e tre le curve maggiormente differiscono tra loro. Si ponga ora l’attenzione su quale sia il momento più favorevole per la lettura del segnale. Per ottenere sufficiente contrasto, è necessario leggere il segnale indotto nella bobina in un momento scelto in maniera opportuna: i protoni del tessuto che defasano con maggiore rapidità (cioè quelli del tessuto a T2 più breve) devono trovarsi in uno stato di defasamento avanzato in modo da dare un segnale basso, mentre i protoni dei tessuti a T2 più lunghi devono essere ancora in fase in modo da avere un segnale relativamente più forte. Si osservi l’andamento delle tre curve rappresentate nel grafico in Figura 2.2: per tempi fino a 100 ms, la differenza in termini di magnetizzazione (e quindi di segnale indotto in antenna) tra il liquor e le sostanze bianca e grigia tende ad aumentare, raggiungendo poi un valore massimo tra 100 e 150 ms. Decresce poi gradualmente ma definitivamente per valori di tempo superiori ai 200 ms. Valori intorno ai 50 ms consentirebbero un buon contrasto tra le materie grigia e bianca e il liquido cerebrospinale, ma il contrasto reciproco tra sostanza grigia e sostanza bianca, già intrinsecamente debole a causa dei loro tempi di rilassamento trasversale molto simili, sarebbe molto scarso (Fig. 2.2a). Lo stesso tipo di fenomeno si osserva con tempi oltre i 250 ms, e non solo i segnali ottenibili dalle sostanze grigia e bianca sono molto simili e quindi con uno scarso contrasto, ma sono ormai decaduti fino a valori prossimi allo zero e quindi caratterizzati da un insufficiente rapporto segnale-rumore (Fig. 2.2c). Per ottenere tra i due tipi di tessuto il massimo contrasto dovrà essere scelto un valore all’interno di quest’intervallo, ad esempio, per l’encefalo, un valore adeguato è intorno ai 110 ms (Fig. 2.2b). Prima e dopo questo intervallo le differenze in contrasto tra i due tipi di tessuto saranno più scarse. Si noti che per TE molto più brevi (meno di 25 ms, per esempio) le differenze di contrasto saranno “appiattite” verso il bianco, perché entrambi i tipi di tessuto hanno ancora un elevato valore di magnetizzazione traversa, mentre per TE molto elevati (superiori a 500 ms) le differenze in contrasto tra i due tipi di tessuto verranno “appiattite” verso la gradazione nera, ciò a testimonianza di un segnale ormai molto basso per entrambi i tipi di tessuto. In un’immagine di questo tipo, il rapporto contrasto-rumore è ormai così basso da condizionarne pesantemente l’utilità. Facendo riferimento alla sequenza spin-echo, ciò equivale a scegliere opportunamente il tempo al quale si legge l’entità delle magnetizzazioni trasversali in modo tale da massimizzare la differenza di segnale generato. Un’ulteriore importante considerazione riguarda il recupero delle magnetizzazioni locali dei voxel dei tessuti che, al termine dell’impulso RF, sono state abbattute fino a un valore nullo. Poiché l’immagine, per motivi che saranno chiariti nel corso del testo, non è ottenibile con una sola eccitazione, ma sono necessarie numerose eccitazioni prima di poter somministrare la successiva, è necessario attendere che il VML abbia recuperato a sufficienza. Ricordando che nel contrasto di immagine si desidera rappresentare un contrasto dipendente dal T2, se il tempo atteso tra un’eccitazione e la successiva non è sufficiente,

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a

b

c

Fig. 2.2 L’asse verticale rappresenta il tempo al quale è raccolto il segnale. La curva di decadimento della magnetizzazione trasversale ha un andamento esponenziale inverso ed è diversa per i tre tessuti rappresentati, che hanno un diverso T2. A destra sono schematizzati i rispettivi voxel nel parenchima cerebrale per evidenziarne meglio il contrasto. a Il segnale raccolto a 44 ms è ancora forte, ma il contrasto è buono soltanto tra le sostanze grigia e bianca e il liquor, mentre tra la sostanza bianca e la grigia il contrasto è ancora scarso; c il segnale è raccolto a 216 secondi, e non soltanto il contrasto è scarso ma anche il segnale è ormai troppo caduto per produrre una buona immagine; b il segnale è raccolto a 110 ms che, come si vede dal grafico, è anche l’istante nel quale le tre curve differiscono maggiormente tra loro, e quindi producono il massimo contrasto

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si ritroverà nell’immagine anche un contrasto legato al recupero longitudinale, vale a dire T1-dipendente. Il tempo atteso tra un’eccitazione e la successiva dovrà essere pertanto mantenuto il più lungo possibile, per rappresentare nell’immagine gradazioni di grigio che abbiano la minore correlazione possibile con il rilassamento longitudinale. Intuitivamente, il tempo ottimale dovrebbe essere infinito, poiché i recuperi T1-dipendenti avvengono in maniera asintotica (non esiste un tempo al quale essi assumano nuovamente il valore iniziale, ma tendono ad esso con valori via via sempre più vicini). Tuttavia, anche un tempo sufficientemente “lungo” è in grado di rendere trascurabili i contributi in contrasto T1-dipendenti, poiché la stragrande maggioranza dei tessuti, dopo tempi dell’ordine di qualche migliaia di millisecondi, ha già subito recuperi della magnetizzazione longitudinale di entità molto elevata, quindi non più correlabile al suo tempo di rilassamento T1. In sintesi, per rappresentare un’immagine con contrasto dipendente dal rilassamento trasversale (immagine T2-pesata, o immagine T2-dipendente, o ponderata in T2, tutti modi diversi per definire lo stesso fenomeno) è necessario: • leggere il segnale dopo un tempo relativamente lungo, affinché i fenomeni di rilassamento trasversale T2-dipendenti possano entrare in gioco. Il tempo non deve tuttavia essere eccessivo per non abbassare troppo il rapporto segnale-rumore; • attendere un tempo lungo tra un’eccitazione e la successiva, per concedere tempo sufficiente alle magnetizzazioni longitudinali di recuperare e limitare così il più possibile la dipendenza del contrasto di immagine dai fenomeni T1-dipendenti.

2.4 Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T1 L’energia ceduta ai protoni risonanti dall’impulso radiofrequenza produce due effetti: farli “orientare” sullo stato energetico più elevato (antiparallelo al campo magnetico esterno) e mettere in fase i loro moti di precessione. Se l’impulso RF ha un’intensità e una durata opportune, la composizione di questi due effetti può essere rappresentata come un ribaltamento di 90° del vettore di magnetizzazione longitudinale sul piano trasversale, perché alla progressiva scomparsa del vettore di magnetizzazione longitudinale (VML) si accompagna la contemporanea nascita del VMT. Il T1 di un materiale è definito come il tempo necessario al recupero del 63% della magnetizzazione longitudinale presente prima dell’impulso RF: per attribuire all’immagine un contrasto basato sul tempo di rilassamento longitudinale dei tessuti, si deve dunque valutare la velocità con la quale i vari tessuti recuperano la magnetizzazione longitudinale. Tale operazione non può essere compiuta direttamente come avviene per il T2: il VML è diretto secondo le linee di campo magnetico principale, superiore in intensità di svariati ordini di grandezza, e ne impedirebbe in ogni caso la misura. Si ricorre dunque nuovamente a un ribaltamento del VML sul piano trasversale: in tal modo è possibile trasformare l’entità sotto forma di segnale RF indotto nell’antenna ricevente esattamente come si è visto per le immagini T2-pesate.

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Scegliendo opportunamente tempi di lettura e tra eccitazioni successive, per evitare il contributo T2-dipendente, si potrà generare un segnale in base al tempo di rilassamento T1, in modo che esso sia più forte quando provenga da tessuti a T1 più breve, e via via meno intenso se proviene da tessuti con T1 progressivamente più lungo. Si ricordi che l’intensità del VMT ottenuto sul piano trasversale dopo l’impulso a 90° è identica all’intensità del VML, al punto che si parla di impulso di ribaltamento. Il parametro che diventa quindi più influente allo scopo di valutare il T1 è il tempo intercorrente tra un impulso RF e il successivo, che dovrà essere mantenuto sufficientemente breve. Infatti, dopo ogni impulso RF a 90° la magnetizzazione longitudinale è annullata, e appena l’impulso è terminato essa comincia a recuperare in virtù dei fenomeni di rilassamento longitudinale (Figg. 2.3, 2.4). Se l’impulso successivo è dato dopo un tempo eccessivamente lungo, la magnetizzazione longitudinale dei tessuti avrà avuto troppo tempo per recuperare (indipendentemente dai loro tempi di rilassamento trasversali), e nell’immagine finale il contrasto non rifletterà più il T1 dei tessuti. Se però l’impulso è dato dopo un tempo inferiore al tempo di rilassamento longitudinale del tessuto a T1 più breve, nessuno dei tessuti avrà il tempo necessario a recuperare la sua magnetizzazione longitudinale fino al valore iniziale, e nell’immagine finale il contrasto dipenderà dall’entità del recupero longitudinale avvenuto fino a quel momento. Inoltre, in modo opposto al caso della pesatura T2, il segnale del vettore ribaltato andrà letto il più presto possibile, in modo da limitare al minimo l’intervento dei fenomeni di rilassamento trasversale che conferirebbero all’immagine un contrasto tanto più T2-dipendente quanto più si concedesse loro tempo di agire. Di conseguenza, si presenteranno con maggiore intensità di segnale (iperintensi, colorazione verso il bianco) i tessuti il cui T1 è più breve (cioè quelli che recuperano più in fretta la magnetizzazione longitudinale) e minore intensità di segnale (ipointensi, colorazione verso il nero) i tessuti che hanno un T1 più lungo.

Fig. 2.3 Andamento temporale della magnetizzazione longitudinale dopo l’impulso a 90° per tre diversi tessuti. Il valore ottimale per ottenere un buon contrasto, per un magnete da 1 T, si colloca tra i 500 e i 600 ms, perché garantisce una buona differenziazione nel segnale dei tre tessuti

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a

b

c

Fig. 2.4 L’asse verticale rappresenta il tempo che separa gli impulsi di eccitazione che ribaltano la magnetizzazione sul piano trasversale. La curva di recupero della magnetizzazione longitudinale ha andamento caratteristico ed è diversa per i tre tessuti, che hanno diverso T1. A destra sono rappresentati i rispettivi voxel di parenchima cerebrale, per evidenziarne meglio il contrato. A un maggiore tempo di attesa corrisponde maggior recupero: valori bassi danno scarso segnale con scarso contrasto (a), valori troppo elevati restituiscono un elevato segnale, ma con scarso contrasto (c). In questo esempio è evidente che il maggior contrasto si ha in prossimità del valore 600 ms (b). Si osservi anche che, per ottenere questo contrasto, l’intervallo di tempo è scelto in un momento in cui il segnale di tutti e tre i tessuti è sceso di una certa entità, cosa che riduce il rapporto segnale-rumore complessivo dell’immagine

2 Le basi del contrasto in RM

Nel grafico in Figura 2.3 è raffigurato l’andamento temporale della magnetizzazione longitudinale (ML) dopo l’impulso a 90° per tre diversi tessuti. In ordinata sono rappresentate le entità delle rispettive magnetizzazioni trasversali durante il recupero, espresse in unità arbitrarie da 0 a 1. È immediato osservare come i tempi T1 della materia bianca e grigia siano simili, mentre vi è grande differenza con il T1 del liquor, prossimo ai 2000 ms. I valori di ML inizialmente crescono in modo rapido, per poi avvicinarsi asintoticamente a un valore stabile (quello di magnetizzazione iniziale). Si osservi come per valori di tempo molto brevi (100–150 ms) le entità delle magnetizzazioni siano scarse, come lo è la differenza tra le rispettive magnetizzazioni di materia bianca e materia grigia. Per tempi relativamente più elevati, oltre i 1500 ms, le loro curve tornano a essere molto simili, e il loro segnale relativo è divenuto molto elevato, “appiattendo” le loro intensità verso una gradazione bianca. Il valore ottimale è quello in grado di garantire la massima differenza di segnale tra tutte e tre le curve, e per un magnete esterno da 1 Tesla è situato tra i 500 e i 600 ms. Scegliendo tempi prossimi al T1 dei protoni dei tessuti più veloci a recuperare, i protoni del materiale a più breve T1 saranno eccitati dall’impulso RF quando il recupero della loro ML sarà quasi completo e daranno un elevato segnale in risposta, mentre i protoni dei tessuti a T1 più lunghi avranno avuto poco tempo per recuperare e proporzionalmente più basso sarà, dunque, il loro segnale. Ad esempio, utilizzando un tempo opportunamente breve di 600 ms, il liquor avrà recuperato soltanto il 30% della magnetizzazione longitudinale, mentre la materia grigia avrà recuperato oltre il 60% e la bianca oltre il 70%. Scegliendo un tempo tra impulsi più elevato (per esempio oltre i 3000 ms), le differenze in contrasto tra i tessuti rappresentati nel grafico saranno ormai diventate minime, giacché tutti e tre hanno avuto il tempo di recuperare la loro ML. Nell’immagine, si avranno dunque colorazioni più scure per il liquor (che infatti apparirà ipointenso) e gradazioni più chiare per le materie bianca e grigia. In sintesi, per rappresentare un’immagine il cui contrasto rifletta i tempi di rilassamento longitudinale dei tessuti (immagine T1-pesata, o immagine T1-dipendente, o ponderata in T1) è necessario: • leggere il segnale dopo un tempo breve per rendere trascurabili gli effetti dei fenomeni di rilassamento trasversale T2-dipendenti. Più breve è tenuto tale tempo, minori saranno gli effetti nell’immagine dei fenomeni di rilassamento trasversale; • attendere un tempo relativamente breve tra un’eccitazione e la successiva, per conferire all’immagine un contrasto legato ai fenomeni di rilassamento longitudinali T1dipendenti. È opportuno commisurarlo al tempo di recupero longitudinale del tessuto a più breve T1.

2.5 Contrasto dipendente dalla densità protonica La densità protonica (DP), detta anche densità di spin o spin-density, è una grandezza che esprime la quantità di nuclei idrogeno per unità di volume. La situazione è sche-

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matizzata nella Figura 2.5, nella quale si prendono in considerazione tre voxel di tessuti con tre diverse densità protoniche. È evidente come a una maggiore concentrazione di spin per unità di volume corrisponda un valore più elevato di magnetizzazione locale Mz: in ciascuno dei voxel essa è direttamente proporzionale alla DP. Nella Figura 2.6 sono rappresentate le curve di recupero delle magnetizzazioni longitudinali dei tre tessuti considerati, materia bianca, materia grigia e liquido cerebrospinale. Più trascorre il tempo, maggiore è l’entità dei loro recuperi. In Figura sono rappresentate le situazioni corrispondenti a tre tempi successivi: nella prima si sono concessi per il recupero longitudinale 1500 ms, nella seconda 2100 ms e nella terza 2800 ms. Nella Figura 2.6a, la componente di pesatura T1 è ancora evidente: come si può vedere dal grafico, per i tempi di rilassamento dei tessuti considerati, 1500 ms sono ancora troppo pochi, le magnetizzazioni longitudinali si trovano ancora in fase di recupero e se il ribaltamento per la loro lettura avviene in questo momento, l’immagine risentirà ancora di un contrasto legato ai loro tempi di recupero. Nella 2.6b i

Fig. 2.5 A densità protoniche maggiori corrisponde un valore superiore di magnetizzazione locale. Essa è direttamente proporzionale alla densità protonica. A scopo didattico ai voxel sono stati attribuiti livelli di grigio proporzionali alla loro magnetizzazione locale

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Fig. 2.6 Schematizzazione dei recuperi delle magnetizzazioni longitudinali per evidenziare nell’immagine un contrasto dipendente dalla densità protonica. a Il tempo scelto per il ribaltamento è ancora troppo breve, e introduce nell’immagine un contrasto che dipende ancora dal recupero longitudinale (quindi dal T1) dei tessuti; b il tempo scelto riduce il contrasto tra sostanza bianca e grigia, e lo sposta verso la DP, ma è ancora troppo breve poiché il CSF appare ancora ipointenso, perché dopo poco più di 2 secondi è ancora in fase di recupero della sua magnetizzazione longitudinale; c il tempo scelto è più vicino alla pesatura di contrasto in DP per quanto, per avere esclusivamente tale pesatura, il tempo dovrebbe essere, al limite, infinito

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recuperi si sono ulteriormente avvicinati al valore di densità protonica, e in 2.6c, a 2800 ms: la componente T1 si è già molto ridotta, testimoniata ormai solo dalla blanda ipointensità dei voxel del liquido cerebrospinale (cerebrospinal fluid, CSF). La sostanza bianca e la sostanza grigia si trovano già a un livello molto vicino a quello massimo. Valori adeguati per escludere anche quest’ultima componente legata al lento recupero longitudinale del liquor si attestano intono agli 8000–10000 ms, per quanto già valori intorno ai 4000–5000 ms siano più che sufficienti perché le magnetizzazioni longitudinali dei tre tessuti considerati abbiano recuperato fino a valori prossimi alla loro DP. Relativamente ai tempi di lettura, per ottenere il valore più prossimo alla DP, dovrà trascorrere il minor tempo possibile dopo il ribaltamento della magnetizzazione, per minimizzare l’effetto dei fenomeni di rilassamento trasversale indesiderati. Un tempo di attesa nullo garantirebbe la lettura di un vettore di intensità esattamente uguale alla DP. Con un tempo di lettura nullo e un tempo di attesa infinito, il contrasto di immagine non risentirebbe più degli effetti T1- o T2-dipendenti, e dipenderebbe quindi soltanto dalla densità protonica. Nella pratica, i valori indicati non sono utilizzabili e sono evidenziati solo a scopo didattico: in ogni caso, come già visto in precedenza, anche in questo caso l’influenza del tempo di rilassamento longitudinale T1 nel contrasto dell’immagine finale sarà tanto più scarsa quanto più sarà tenuto lungo il tempo di attesa tra un impulso RF e il successivo. L’influenza del T2 sarà tanto più scarsa quanto sarà tenuto breve il tempo di attesa prima di leggere il valore del vettore dopo il suo ribaltamento su piano trasversale. Nel primo caso perché il lungo tempo concesso al recupero longitudinale avrà riportato la situazione delle magnetizzazioni dei voxel verso valori prossimi a quella iniziale, nel secondo caso perché lo scarso intervallo atteso per leggere il segnale avrà dato poco tempo ai fenomeni di rilassamento trasversale di entrare in azione. Si osservi, quindi, come le immagini DP-pesate in realtà risentano sempre anche di un minimo contrasto T1- e T2-dipendente, sebbene di fatto trascurabile e non apprezzabile visivamente: il tempo di attesa tra un impulso e il successivo, per quanto mantenuto lungo, non potrà essere infinito e il tempo di attesa per la lettura, per quanto piccolo, sarà comunque necessariamente diverso da zero. In ogni caso, le tecniche per ottenerle sono volte a minimizzare i contributi del T1 e T2 tissutali nel contrasto delle immagini. Un tipo di sequenza adatto per ottenere immagini pesate in densità protonica è la spinecho (in particolare, le sequenze dette “a doppio eco”, che con una sola acquisizione permettono di ottenere due serie di immagini, T2- e DP-pesate). Meno adatte sono le sequenze a eco di gradiente, nelle quali è più difficile eliminare il contrasto dovuto al decadimento T2* e al chemical-shift. In generale, si tratta di immagini con un SNR più alto rispetto alle T1- e T2-pesate, perché la raccolta del segnale viene effettuata quando la ML è massimizzata e il decadimento della MT è minimizzato, e possono essere pertanto utili a rappresentare strutture anatomiche con segnali RM intrinsecamente bassi, come le ossa e i tessuti fibrosi, oltre che alla rappresentazione delle strutture tronco-encefaliche, dell’apparato muscoloscheletrico e le strutture della colonna vertebrale.

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Fig. 2.7 Immagine RM ottenuta rappresentando un contrasto dipendente dal tempo di rilassamento trasversale T1 (a sinistra), dalla DP (al centro) e dal tempo di rilassamento trasversale T2 (a destra). Si può osservare che nell’immagine DP-pesata il CSF ha ancora segnale relativamente debole: questo è dovuto al TR non molto elevato (2500 ms), che introduce nell’immagine una residua componente di pesatura T1. Per ottenere un’esclusiva pesatura in densità protonica, il TR dovrebbe essere infinito, ma già valori di una decina di secondi sono sufficienti a rendere trascurabile la pesatura T1

In Figura 2.7 sono visibili tre immagini RM, rispettivamente ottenute rappresentando un contrasto dipendente dal tempo di rilassamento longitudinale T1 (a sinistra), dalla DP (al centro) e dal tempo di rilassamento trasversale T2 (a destra). Nell’immagine T2-pesata è apprezzabile un discreto contrasto tra materia grigia e materia bianca mentre, come si poteva intuire osservando il grafico dei tempi di rilassamento, il CSF è rappresentato con un’intensità di grigio molto elevata, quasi bianco, poiché al momento della lettura la sua magnetizzazione trasversale possiede ancora un’intensità piuttosto elevata, a causa del suo tempo di decadimento (T2) più lungo. Nell’immagine T1-pesata, è ancora apprezzabile un certo contrasto tra materia grigia e materia bianca mentre, come si poteva intuire osservando il grafico dei tempi di rilassamento, il CSF è rappresentato con un’intensità di grigio molto bassa, quasi nera, poiché al momento della lettura la sua magnetizzazione longitudinale possiede ancora un’intensità piuttosto scarsa, per il suo tempo di rilassamento longitudinale (T1) più lungo. Nell’immagine pesata in densità protonica, i contrasti dipendono dal contenuto idrico dei tessuti, e nel caso del parenchima cerebrale le differenze non sono molto elevate. Si può in ogni caso apprezzare un certo contrasto tra sostanza bianca e grigia, il cui contenuto idrico differisce per circa il 20% in favore della grigia. Si può notare, inoltre, come in questo caso il parametro utilizzato evidenzi una residua componente T1-pesata che rende non ancora molto elevato il segnale del tessuto a più lungo T1, il CSF. In Figura 2.8 sono schematizzati i tempi con cui devono essere scelti i vari parametri per spostare la pesatura di contrasto dell’immagine da una grandezza all’altra.

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Fig. 2.8 Quadro riassuntivo di correlazione tra tempi di somministrazione degli impulsi RF, tempi di lettura del segnale e pesatura del contrasto delle immagini

2.6 La sequenza spin-echo Come si è appena visto, per ottenere nell’immagine un certo qual tipo di contrasto è necessario agire sulle modalità di eccitazione e di raccolta del segnale secondo una temporizzazione particolare. La sequenza più adatta a questo scopo è la sequenza spin-echo, che è stata anche tra le prime sequenze a essere utilizzate per scopi clinici. Essa, oltre a fornire importanti spunti per comprendere le basi del contrasto in RM, permette di introdurre i due parametri più importanti: il tempo di eco (TE) e il tempo di ripetizione (TR). I parametri che definiscono la sequenza di acquisizione sono talvolta indicati come parametri estrinseci, poiché non sono legati alle caratteristiche dei tessuti e sono modificabili dall’operatore. Tra tutti ricordiamo il TE, il TR, il flip angle (FA), il campo di vista o field of view (FOV), lo spessore della sezione, la dimensione della matrice. Ve ne sono inoltre alcuni altri, che sono specifici e caratterizzano alcune sequenze, come il tempo di inversione (TI) per le sequenze inversion recovery. Simmetricamente, i parametri che invece caratterizzano i tessuti, e in quanto legati alla loro struttura molecolare e composizione chimica permettono di differenziarli, sono detti “parametri intrinseci”. Tra essi ricordiamo i tempi di rilassamento T1 e T2, la densità di spin, la DP e la velocità di movimento dei protoni. Variando i parametri estrinseci in maniera opportuna è possibile ottenere un’immagine condizionata prevalentemente da uno dei parametri intrinseci; si parla, in questo caso, di contrasto “pesato” o “valutato” in T1, in T2 o in densità protonica, descritti di seguito in dettaglio.

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La principale caratteristica di una sequenza spin-echo è la sua capacità di conferire alle immagini con contrasto legato al rilassamento trasversale un reale contrasto T2-dipendente, perché essa è strutturata in modo da eliminare i contributi che determinano un rilassamento trasversale T2*. Si introdurranno ora alcuni concetti fondamentali per chiarire questo importante aspetto. Come si può vedere nello schema in Figura 2.9, la sequenza parte con un impulso che provoca il “ribaltamento” della ML sul piano trasversale (effetti congiunti dell’azzeramento del VML e della creazione del VMT) e che per questa sua caratteristica è denominato impulso a 90°. Dopo un certo tempo si nota la comparsa di un nuovo impulso RF, di intensità doppia rispetto al precedente, e dopo un pari intervallo di tempo la comparsa di un segnale RF. La sequenza si ripete poi identicamente un certo numero di volte. La presenza di questo impulso RF aggiuntivo dopo di quello di ribaltamento a 90° è la chiave per comprendere il motivo per cui una sequenza a eco di spin è in grado di recuperare gli effetti delle disomogeneità di campo magnetico citate nel capitolo precedente, responsabili di un decadimento trasversale più precoce definito T2*. Tale impulso, detto impulso a 180°, perché di intensità doppia rispetto a quello appena descritto, è detto anche impulso di eco perché, oltre a ribaltare la magnetizzazione longitudinale di 180°, è in grado di rifocalizzare gli spin che nel frattempo avevano defasato a causa delle disomogeneità locali di campo magnetico, facendo sì che gli spin più veloci, che si sono portati in vantaggio rispetto a quelli più lenti, vengano invertiti di posizione (Fig. 2.10). In tal modo, esisterà nuovamente un tempo al quale gli spin più veloci torneranno a sovrapporsi a quelli più lenti, ritornando per breve tempo ad avere fasi identiche o molto simili, e generando così di nuovo un segnale misurabile, detto “eco del segnale di free induction decay (FID)”. Il procedimento si può ripetere ancora, somministrando un nuovo impulso e generando un’ulteriore eco di segnale.

Fig. 2.9 Diagramma temporale parziale di sequenza a eco di spin. Il tempo al quale è somministrato l’impulso di rifocalizzazione a 180° decide il TE. La distanza temporale tra gli impulsi di eccitazione a 90° stabilisce il TR

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Fig. 2.10 Rifocalizzazione degli spin. La presenza dell’impulso a 180° nella sequenza a eco di spin è in grado di recuperare gli effetti delle disomogeneità di campo magnetico, generando un’eco del segnale FID. L’intensità dell’eco di segnale sarà comunque inferiore a quella del FID, perché le interazioni spin-spin, responsabili dei diversi tempi di rilassamento delle magnetizzazioni trasversali dei vari tessuti, hanno continuato ad agire e a provocare perdite di coerenza di fase, a prescindere dagli effetti delle disomogeneità di campo recuperati dall’impulso a 180°

L’interpolazione tra questi picchi di segnale ottenuti per mezzo dell’impulso di eco traccia una nuova curva di decadimento del segnale trasversale. Essa ha un andamento verso lo zero meno “ripido” dell’altra, perché l’impulso di rifocalizzazione la rende indipendente dalle disomogeneità locali del campo magnetico, i cui effetti sono “recuperati” dalla rimessa in fase degli spin (Fig. 2.11). Il pur meno accentuato effetto di decadimento del segnale ancora presente è dovuto alla presenza delle interazioni spin-spin, e la curva presenta quindi comunque un andamento di decrescita verso zero, ma non più dipendente dal T2*, bensì dal T2 reale dei tessuti, come se non vi fossero disomogeneità locali nel campo magnetico. Il risultato finale è quello di una sequenza che, per la presenza dell’impulso di rifocalizzazione, possiede l’intrinseca capacità di rappresentare nelle immagini un segnale a prescindere dalle disomogeneità locali del campo magnetico, sempre presenti ma i cui effetti sono recuperati dall’impulso di rifocalizzazione. Nelle sequenze così strutturate, ove l’eco di segnale sia generato dalla presenza di un impulso RF di rifocalizzazione, il segnale ottenuto darà nell’immagine un contrasto T2pesato.

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Fig. 2.11 Il segnale FID immediatamente creatosi al termine dell’impulso RF decade con legge T2*. Gli echi raccolti in virtù dell’impulso di rifocalizzazione forniscono, invece, un segnale T2. Interpolando i picchi degli echi creati con gli impulsi di rifocalizzazione, si ricostruisce una curva di decadimento che non risente delle disomogeneità di campo magnetico, quindi T2-pesata

2.6.1 Definizione di tempo di eco (TE) e tempo di ripetizione (TR)

Si è parlato finora di tempo intercorrente tra un impulso e il successivo, o tra un impulso RF e la raccolta di segnale, senza caratterizzare ulteriormente queste due grandezze. Nella sequenza spin-echo, l’intervallo tra un impulso RF a 90° e il successivo è definito “tempo di ripetizione” (TR), quello intercorrente tra un impulso a 90° e la generazione dell’eco di segnale è detto “tempo di eco” (TE). Questi due parametri permettono di ottenere nell’immagine finale un contrasto dipendente dalle tre grandezze principali finora viste, tempo di rilassamento T1, T2 e la densità protonica dei tessuti indagati. Nella Figura 2.12 è riportata una sintesi della correlazione tra i parametri estrinseci del contrasto, definiti nell’impostazione della sequenza di acquisizione, e la pesatura del contrasto nei confronti dei parametri intrinseci, caratteristici dei tessuti esaminati. La correlazione tra i vari parametri fin qui descritta sarà ripresa in dettaglio nel trattare le diverse sequenze. Questa è una caratteristica importante di questo tipo di sequenze, direttamente legata alla presenza dell’impulso di rifocalizzazione. Una delle conseguenze è che simili sequenze sono meno adatte a studiare quelle situazioni nelle quali sia invece importante valutare proprio le disomogeneità locali di campo magnetico, come quelle provocate da depositi metallici intratissutali o prodotti di degradazione del sangue. Il tempo al quale è generata l’eco (TE) influenza la dipendenza del segnale dal rilassamento trasversale e la rende in misura maggiore o minore dipendente dal T2. Un TE più breve concederà poco tempo ai fenomeni di rilassamento trasversale T2-dipendenti di manifestarsi, mentre un TE più lungo permetterà un rilassamento trasversale di entità a esso proporzionale.

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Il TR, se sufficientemente lungo, eliminerà dall’immagine i contributi di segnale dipendenti dal rilassamento longitudinale, poiché il tempo concesso sarà sufficiente per un recupero molto elevato delle magnetizzazioni longitudinali di tutti i tessuti che, quindi, al momento del ribaltamento su piano trasversale avranno un’entità proporzionale molto più alla DP che al T1. Al contrario, un TR sufficientemente breve, quantificabile come il tempo T1 del tessuto a T1 più breve di tutti, conferirà all’immagine un contrasto T1-dipendente: le magnetizzazioni dei tessuti a T1 più breve, caratterizzate da un più veloce recupero longitudinale, avranno il tempo di recuperare la loro Mz verso valori molto elevati e restituendo un segnale molto elevato saranno rappresentate con gradazioni molto chiare; le magnetizzazioni locali Mz dei tessuti a T1 via via più lungo, invece, caratterizzate da leggi di recupero “più lente”, daranno come risposta segnali via via più bassi fino ai segnali provenienti dai tessuti a T1 più lungo di tutti, che saranno rappresentati con segnali scarsi o nulli e quindi con gradazioni di grigio tendenti al nero. È evidente che la tipologia di contrasto in un’immagine proveniente da una sequenza strutturata come descritto non è mai totalmente dipendente da una sola grandezza, ma si passa ad avere maggiore o minore contributo di una grandezza rispetto a un’altra variando opportunamente i parametri.

Fig. 2.12 Transizioni da una pesatura di contrasto all’altra, secondo la variazione dei parametri estrinseci TE e TR. Valori bassi di TR e di TE portano a un’immagine il cui contrasto è dipendente in larga misura dal T1; valori elevati di TR e bassi di TE, portano a un’immagine DP-pesata; valori elevati di entrambi i parametri portano a un’immagine T2-pesata

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Le situazioni di dipendenza “totale” da uno dei parametri, ottenibili con TE nullo (nessun contributo T2-dipendente) o TR infinito (nessun contributo T1-dipendente), sono qui ricordate solo per motivi teorici ma non sono ottenibili nel tipo di sequenza appena descritta. Nella Figura 2.12 è possibile osservare le transizioni da una pesatura di contrasto all’altra, secondo la variazione dei parametri estrinseci TE e TR. Valori bassi di TR e di TE portano a un’immagine il cui contrasto è dipendente in larga misura dal T1: un TE pari o inferiore a 20 ms non dà tempo ai fenomeni di rilassamento trasversale T2-dipendenti di manifestarsi, e un TR dell’ordine di 500 ms conferisce al segnale una dipendenza dai fenomeni di rilassamento longitudinale, T1-dipendenti. A parità di TE, l’aumento del TR conferisce una sempre minor dipendenza del contrasto di immagine dal rilassamento longitudinale, e sposta il contrasto verso la DP: un TR superiore a 2500 ms concede elevato recupero alle magnetizzazioni longitudinali di pressoché tutti i tessuti, impedendo di vedere nell’immagine finale differenze nelle modalità di recupero. Se a parità di TR si aumenta anche il tempo di eco, la pesatura di segnale si va spostando verso il T2, poiché si concede ai fenomeni di rilassamento trasversale tempo di intervenire. L’ultima possibilità con TE lungo e TR breve non è utile ai fini pratici con la sequenza spin-echo: il TR di 200 ms, molto ridotto, ribalta sul piano trasversale una magnetizzazione inizialmente già piccola, il TE di 100 ms, piuttosto elevato, ne attende ulteriormente lo spegnimento, l’immagine risultante ha uno scarsissimo SNR e il suo contrasto, che sarebbe dipendente da T1/T2, non è apprezzabile.

2.6.2 Azione dei mezzi di contrasto sui tempi di rilassamento

I contrasti ottenibili sono soggetti a cambiare per la presenza di varie sostanze, alcune inserite volontariamente tramite iniezione, altre semplicemente presenti nell’organismo in quantità variabili e la cui valutazione può essere utile per la diagnosi di alcune patologie o misurazioni di funzionalità cerebrale. Si parla dunque di agenti di contrasto: alcuni di essi sono definibili endogeni, giacché presenti nei tessuti in condizioni normali o patologiche, altri sono definiti esogeni, poiché sono iniettati volontariamente per alterare il contrasto ottenibile in condizioni basali. In questo caso, si parla più specificamente di mezzi di contrasto (mdc). Di essi e dei loro meccanismi di azione sui tessuti si daranno cenni più approfonditi in seguito. È opportuno tuttavia introdurre qui alcuni aspetti che riguardano l’influenza del mdc sui tempi rilassamento. Si è visto finora come ottenere un certo tipo di contrasto nell’immagine in base ai vari parametri, commisurati ai tempi di rilassamento longitudinali e trasversali, rispettivamente denominati T1 e T2. Gli agenti di contrasto sono in grado di accelerare i trasferimenti energetici alla base di entrambi i fenomeni di rilassamento menzionati nel capitolo 1 (interazioni spin-reticolo per il T1 e spin-spin per il T2). Essi abbreviano dunque i suddetti tempi di rilassamento e possono essere suddivisi in agenti di contrasto T1 e T2: tra i primi si possono ricordare il gadolinio (esogeno), il manganese e la metaemoglobina, tra i secondi elementi come il disprosio, il ferro e i suoi

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derivati come l’emosiderina, l’emoglobina de-ossigenata e, ad alte concentrazioni, lo stesso gadolinio (Figg. 2.13, 2.14). Consideriamo qui, ad esempio, il mezzo di contrasto utilizzato per scopi diagnostici, che sfrutta come agente il gadolinio: conseguenza principale della sua iniezione, come si è detto, è abbreviare i suddetti tempi di rilassamento. Nella Figura 2.14 è evidenziato l’accorciamento del T1 in un tessuto patologico dopo iniezione di mdc. In questo caso l’effetto di aumento di segnale è particolarmente evidente, conseguenza dell’elevato accumulo di mezzo di contrasto in seguito all’alterata barriera emato-encefalica (capitolo 7.1.1). Nello schema è utilizzato per il secondo impulso di ribaltamento (TR) un tempo di circa 600 ms, con il TE, non evidenziato, supposto il più breve possibile. Il contrasto è dunque T1-dipendente. Con tale parametrizzazione, la curva di rilassamento del tessuto considerato, rappresentata in blu, evidenzia un segnale di valore Mz(t). Nella curva in rosso, che rappresenta l’andamento del rilassamento longitudinale dello stesso tessuto in presenza di mezzo di contrasto, si può osservare che tale valore risulta quasi triplicato: i tessuti interessati dalla presenza di mezzo di contrasto, in questo esempio, aumenteranno di quasi tre volte il loro segnale nell’immagine finale T1-pesata (questo fenomeno è detto anche enhancement, o arricchimento contrastografico, si veda anche il capitolo 7.1.1). Anche l’accorciamento del tempo di rilassamento trasversale influenza il contrasto tra i vari tessuti nelle immagini T2*-pesate. Nell’esempio di Figura 2.15, è rappresentato il decadimento della magnetizzazione trasversale di un generico tessuto. La raccolta del segnale, stabilita dal tempo di eco, avviene nell’esempio a circa 140 ms. La curva in verde rappresenta l’andamento della magnetizzazione trasversale del tessuto in condizioni basali, quella in rosso dopo iniezione di mezzo di contrasto paramagnetico. È evidente come l’accorciamento del tempo di rilassamento trasversale, molto più breve, provoca un abbattimento della magnetizzazione Mxy(t) a circa un quarto del valore ottenuto in condizioni basali. Nelle immagini T2*-pesate, al contrario del caso del T1, vi sarà un abbattimento del segnale ottenuto in condizioni basali. Questo fatto è sfruttato in alcuni tipi di sequenze, in RM perfusionale (Fig. 2.16) o in risonanza magnetica funzionale, ove si sfruttano le proprietà paramagnetiche dell’emoglobina desossigenata per evidenziare le aree cerebrali in cui varia il consumo di ossigeno in virtù dell’attivazione di una funzione specifica (si vedano anche i capitoli 6.3.2 e 6.6).

2.7 Conclusioni Un modo per ottenere immagini in cui il contrasto dipende da una delle grandezze descritte, è quello di utilizzare la sequenza spin-echo, che ha come elementi caratterizzanti un primo impulso RF a 90° (detto di ribaltamento) che trasferisce la magnetizzazione longitudinale sul piano trasversale e la rende capace di generare un segnale RF a essa proporzionale (FID). Un altro impulso, a 180°, recuperando gli effetti delle disomogeneità di campo magnetico rimette in fase gli spin e genera un’eco del segnale FID. Dal punto di vista del contrasto, devono dunque essere considerati:

2 Le basi del contrasto in RM

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Fig. 2.13 Esempio dell’azione di mdc paramagnetico sul T1 di un generico tessuto. Il recupero più rapido della curva in rosso rispetto a quella blu evidenzia come in un’immagine T1-pesata il segnale sia quasi triplicato dopo l’iniezione di mdc rispetto alle condizioni basali

a

b

Fig. 2.14 Esempio di accorciamento del T1 dopo iniezione di mezzo di contrasto. a Immagine T1-pesata (TR  600 ms, TE  15 ms, matrice quadrata da 512, sezione da 4 mm); b stessa sezione, studiata con la stessa tecnica precedente dopo iniezione di mezzo di contrasto paramagnetico. Evidente il sensibile aumento di segnale che differenzia la regione patologica di accumulo di mdc dai tessuti circostanti

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Fig. 2.15 Esempio dell’azione di mezzo di contrasto paramagnetico sul T2* di un generico tessuto. Il decadimento più rapido della curva in rosso rispetto a quella in verde evidenzia come, in un’immagine T2*-pesata, il segnale rilevato dopo l’iniezione di mdc sia poco più della quarta parte di quello rilevabile in condizioni basali

Fig. 2.16 a Immagine ottenuta con sequenza perfusionale (TR  1500 ms; TE  40 ms; matrice 128 128, per velocizzare l’acquisizione e aumentare la risoluzione temporale della metodica; in b è possibile osservare la caduta di segnale, conseguenza dell’accorciamento del T2* durante il transito di mdc paramagnetico evidenziante le strutture vascolari all’interno delle quali transita

a

b

2 Le basi del contrasto in RM

• la distanza tra gli impulsi RF (TR), che definisce il tempo “concesso” alle magnetizzazioni longitudinali per recuperare; • il tempo al quale è creata l’eco di segnale (TE) che definisce il tempo concesso alla magnetizzazione trasversale per attenuarsi. Scegliendo opportunamente i valori di TE e TR, è possibile realizzare l’immagine finale il cui contrasto dipenda in misura maggiore o minore da T1, T2 o DP.

2.7.1 Considerazioni sul TR

A un più lungo TR corrisponde un più elevato recupero della magnetizzazione longitudinale. Pertanto, più il TR è tenuto lungo, meno il contrasto delle immagini dipenderà dal tempo di rilassamento longitudinale T1-dipendente. Al contrario, un TR tenuto opportunamente breve, farà sì che i tessuti con T1 più lungo abbiano poco tempo per recuperare la magnetizzazione longitudinale rispetto a quelli a T1 più breve, che la recuperano più rapidamente: al momento del ribaltamento delle loro magnetizzazioni longitudinali sul piano trasversale, essi differiranno proprio in virtù del loro diverso tempo T1, e il contrasto sarà dunque T1-dipendente, con i tessuti a T1 lungo ipointensi rispetto ai tessuti a T1 breve.

2.7.2 Considerazioni sul TE

Il TE definisce invece il tempo concesso alle magnetizzazioni trasversali, create dall’impulso di ribaltamento a 90°, per ridurre la loro entità in virtù dei fenomeni di rilassamento T2-dipendenti. Un valore elevato di TE permetterà di valutare con quanta rapidità si “spengono” le magnetizzazioni trasversali dei rispettivi tessuti, e l’immagine avrà un contrasto T2-dipendente. Per evitare invece nell’immagine un contrasto T2, è necessario tenere il TE il più breve possibile, non lasciando tempo di intervenire ai fenomeni di rilassamento trasversale: in questo caso il contrasto sarà deciso dal TR, T1dipendente con TR piuttosto breve, DP-dipendente con TR piuttosto lungo. Un tempo di eco troppo lungo permetterà alle magnetizzazioni di spegnersi quasi totalmente e produrrà immagini con rapporto segnale-rumore molto scarso. Con la tecnica spin-echo, un TR breve e un TE lungo portano a ottenere immagini caratterizzate da un rapporto segnale-rumore molto basso, al punto da non poter essere impiegate in pratica (Fig. 2.12). Utilizzando un tempo di acquisizione molto lungo, per acquisire il numero di misure sufficiente a rendere accettabile il rapporto segnale-rumore, si potrebbe comunque osservare un contrasto dipendente sia dal T1 sia dal T2 (rapporto T1/T2).

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Letture consigliate Cittadini G (ed) (1985) Quaderni di tomografia a risonanza magnetica, n. 1. Ecig, Genova Plewes DB (1994) The AAPM/RSNA physics tutorial for residents. Contrast mechanisms in spinecho MR imaging. Radiographics 14(6):1389-1404 McRobbie DW, Moore EA, Graves MJ, Prince MR (2006) MRI from picture to proton. Cambridge University Press, Cambridge Mitchell DG, Cohen MS (2003) Principles of MRI. Elsevier Science, Philadelphia, PA

ESERCIZI

Esercizi 1) Nella seguente figura, associare i parametri corretti alle rispettive immagini e scrivere nel riquadro che tipo di pesatura di contrasto è rappresentato:

2) In una sequenza spin-echo su apparecchiatura con campo statico da 1,5 T, indicare quale coppia di parametri conferisce all’immagine un contrasto maggiormente T1-dipendente: a) TE  30 ms, TR  8500 ms b) TE  120 ms, TR  5000 ms c) TE  15 ms, TR  650 ms d) TE  180 ms, TR  300 ms 3) In una sequenza spin-echo su apparecchiatura con campo statico da 1,5 T, indicare quale coppia di parametri conferisce all’immagine un contrasto maggiormente DP-dipendente: a) TE  10 ms, TR  4500 ms b) TE  120 ms, TR  5000 ms c) TE  5 ms, TR  450 ms d) TE  180 ms, TR  300 ms 4) In una sequenza spin-echo su apparecchiatura con campo statico da 1,5 T, indicare quale coppia di parametri conferisce all’immagine un contrasto maggiormente T2-dipendente: a) TE  25 ms, TR  2000 ms b) TE  120 ms, TR  7000 ms c) TE  8 ms, TR  755 ms d) TE  180 ms, TR  650 ms

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ESERCIZI

5) In una sequenza spin-echo su apparecchiatura con campo statico da 1,5 T, indicare quale coppia di parametri conferisce all’immagine il più basso rapporto segnale-rumore: a) TE  100 ms, TR  120 ms b) TE  180 ms, TR  5000 ms c) TE  190 ms, TR  2500 ms d) TE  190 ms, TR  300 ms 6) Indicare tra le seguenti una definizione che nella sequenza spin-echo identifichi il TE: a) tempo intercorrente tra l’impulso a 90° e quello a 180° b) tempo intercorrente tra un impulso a 90° e il successivo c) doppio del tempo intercorrente tra l’impulso a 90° e quello a 180° d) tempo intercorrente tra l’impulso a 180° e la generazione dell’eco 7) Indicare tra le seguenti una definizione che nella sequenza spin-echo identifichi il TR: a) tempo intercorrente tra l’impulso a 90° e quello a 180° b) tempo intercorrente tra un impulso a 90° e il successivo c) doppio del tempo intercorrente tra l’impulso a 90° e quello a 180° d) tempo intercorrente tra l’impulso a 90° e la generazione dell’eco 8) Leggendo il segnale RF quasi subito dopo il ribaltamento, esso risentirà: a) poco dei fenomeni di rilassamento trasversale T2-dipendenti b) molto dei fenomeni di rilassamento trasversale T2-dipendenti c) poco dei fenomeni di rilassamento longitudinale DP-dipendenti d) molto dei fenomeni di rilassamento longitudinale T1-dipendenti 9) Se tra un impulso RF e il successivo trascorre molto tempo (sufficiente a che tutti i tessuti abbiano recuperato in gran parte la loro magnetizzazione longitudinale): a) il contrasto dell’immagine non sarà leggibile causa basso SNR b) il contrasto dell’immagine dipenderà solo dal T2 c) il contrasto dell’immagine dipenderà dal T2 o dalla DP, secondo il valore del TE d) il contrasto dell’immagine dipenderà dal T1 o dal T2, secondo il valore del TR 10) Se tra un impulso RF e il successivo trascorre poco tempo (e comunque commisurato al materiale che recupera più rapidamente la magnetizzazione longitudinale): a) il contrasto dell’immagine non sarà leggibile causa basso SNR se il TE è troppo breve b) il contrasto dell’immagine dipenderà solo dal T1, a prescindere dal TE c) il contrasto dell’immagine dipenderà dal T2 o dal T1, secondo il valore del TR d) il contrasto dell’immagine dipenderà dal T1 se il TE è sufficientemente breve 11) Che cosa definisce il tempo di ripetizione nella sequenza a eco di spin? a) la distanza temporale tra gli impulsi di eccitazione a 90° b) il tempo che trascorre tra l’impulso di ribaltamento e la lettura del segnale c) il tempo che trascorre tra la lettura del segnale e l’impulso successivo a 90° d) il tempo al quale viene ripetuto l’impulso di ribaltamento a 180°

ESERCIZI

12) Che cosa definisce il tempo di eco nella sequenza a eco di spin? a) la distanza temporale tra un impulso e il successivo b) il tempo che trascorre tra l’impulso di ribaltamento e la lettura del segnale c) il tempo che trascorre tra la lettura del segnale e l’impulso successivo a 90° d) il tempo al quale viene ripetuto l’impulso di ribaltamento a 180° 13) Indicare tra le seguenti l’affermazione corretta: a) il TR breve e il TE breve portano a un contrasto di immagine T1-dipendente b) il TR lungo e il TE lungo portano a un contrasto di immagine DP-dipendente c) il TR breve e il TE lungo portano a un contrasto di immagine T2-dipendente d) il TR lungo e il TE breve portano a un troppo scarso SNR e l’immagine non è utilizzabile 14) Indicare tra le seguenti l’affermazione scorretta: a) il TR breve e il TE breve portano a un contrasto di immagine T1-dipendente b) Il TR lungo e il TE lungo portano a un contrasto di immagine T2-dipendente c) il TR breve e il TE lungo portano a un contrasto di immagine T2-dipendente d) il TR breve e il TE lungo portano a un troppo scarso SNR e l’immagine non è utilizzabile 15) Quali sono i parametri definibili come estrinseci? a) tutti quelli non legati alle caratteristiche dei tessuti, solitamente modificabili dall’operatore per ottenere un determinato effetto b) tutti quelli legati alle caratteristiche dei tessuti, solitamente non modificabili dall’operatore per ottenere un determinato effetto (T1, T2 e DP) c) TE, TR e flip angle d) tutti i parametri che influiscono sul tempo di esame 16) Quali sono i parametri definibili come intrinseci? a) tutti quelli non legati alle caratteristiche dei tessuti, solitamente modificabili dall’operatore per ottenere un determinato effetto b) tutti quelli non modificabili dall’operatore, perché legati alle caratteristiche dei tessuti, come T1, T2, DP o altri, che conferiscono ai tessuti un determinato comportamento c) TE, TR e flip angle d) tutti i parametri che influiscono sul tempo di esame 17) Nel caso della sequenza a eco di spin, per pesare il contrasto in T1, il TE andrebbe scelto: a) comunque il più breve possibile b) con un valore intermedio, che permetta di ottenere un buon contrasto tra i tessuti c) piuttosto lungo, per abbassare l’altissimo SNR d) con un valore multiplo intero del T1, per evitare di abbassare troppo il contrasto

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ESERCIZI

18) Nel caso della sequenza a eco di spin, per pesare il contrasto in T2, il TR andrebbe scelto: a) comunque il più lungo possibile, tenendo conto della sua influenza sul tempo di esame b) con un valore intermedio, che permetta di ottenere un buon contrasto tra i tessuti c) piuttosto lungo, per abbassare l’altissimo SNR d) con un valore multiplo intero del T2, per evitare di abbassare troppo il contrasto 19) Qual è la funzione dell’impulso a 180° nella sequenza a eco di spin? a) rifocalizzare gli spin, generando un’eco di segnale di intensità proporzionale rilassamento trasversale dipendente dal T2 e non dal T2* b) rifocalizzare gli spin, generando un’eco di segnale di intensità proporzionale rilassamento trasversale dipendente dal T1 e non dal T2* c) rifocalizzare gli spin, generando un’eco di segnale di intensità proporzionale rilassamento trasversale dipendente dalla DP e non dal T2* d) aumentare il SAR per riscaldare localmente di qualche grado il paziente, se temperatura in sala magnete è troppo bassa 20) Come agiscono i mezzi di contrasto? a) rendono più breve il tempo di rilassamento T1 e allungano il T2* b) rendono più lungo il tempo di rilassamento T1 e accorciano il T2 c) rendono più brevi i tempi di rilassamento T1 e T2* d) rendono più lunghi i tempi di rilassamento T1 e T2

al al al la

La formazione dell’immagine

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Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Sergio Rabellino

Indice dei contenuti 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9

Introduzione La ricostruzione dell’immagine RM La trasformata di Fourier: relazioni con la risonanza magnetica I gradienti di campo magnetico Lo spazio k e le sue proprietà Tecniche di riempimento del k-spazio Tipologie di acquisizione spaziale Tecniche di imaging parallelo Sistemi di acquisizione non cartesiani

3.1 Introduzione Non è ancora stato finora affrontato il tema della formazione dell’immagine, che si basa su concetti esclusivi e totalmente differenti da quelli di altre metodiche radiologiche. Il segnale proveniente dai tessuti sotto forma di radiofrequenze non è associato a un’informazione di tipo spaziale, come avviene in radiologia o in tomografia computerizzata (TC) dove il fascio radiogeno primario segue traiettorie rettilinee dalla sorgente al rivelatore. Le onde RF si propagano in ogni direzione dello spazio e sono rilevate dalle bobine, le quali misurano un segnale a prescindere dalla sua provenienza. In questo capitolo si affrontano alcune tecniche per conferire al segnale informazioni di tipo spaziale. Per ricostruire l’immagine occorre eccitare in modo selettivo uno strato o un volume definito di tessuto e, al suo interno, attribuire al segnale proveniente da diverse regioni un’opportuna “codifica”, ovvero una differenziazione secondo un criterio prestabilito e con la possibilità di “decodifica” successivamente all’acquisizione. Quest’operazione è resa possibile grazie all’azione di campi magnetici aggiuntivi, denominati gradienti, che permettono di alterare la frequenza e la fase dei segnali prodotti Elementi di risonanza magnetica. Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Gianni Boris Bradac (a cura di) DOI: 10.1007/978-88-470-5641-1_3 © Springer-Verlag Italia 2014

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in modo controllato. Il “codice” utilizzato si basa su un potente strumento matematico nell’ambito dell’elaborazione di immagini: la trasformata di Fourier.

3.2 La ricostruzione dell’immagine RM Dal capitolo precedente si è appreso con quale temporizzazione devono essere somministrati gli impulsi di eccitazione (TR) e raccolti gli echi (TE) per provocare l’emissione di un segnale RF contenente l’informazione di contrasto desiderata da parte del volume sollecitato. Variando tali parametri si può far dipendere il contrasto dell’immagine finale da una delle tre grandezze fondamentali (T1, T2 o DP), limitando al minimo il contributo delle altre due. Tuttavia, affinché sia possibile produrre una matrice di pixel con i corretti valori di grigio corrispondente alla sezione da rappresentare, al segnale deve essere conferita un’altra importante informazione: quella riguardante la sua provenienza nello spazio. Finora si è chiarito come il segnale provenga dai tessuti e sia rilevato da una bobina che si comporta come un’antenna. Le onde elettromagnetiche però non possiedono una direzione di propagazione specifica, ma si dirigono indifferentemente in tutte le direzioni. Come nel caso di un’emittente radio, è possibile ascoltare la sua emissione audio, musicale o parlata, ma non è possibile stabilire dove essa si trovi geograficamente. Le immagini di risonanza magnetica sono digitali, quindi riconducibili a una matrice bidimensionale di pixel: ciascuno di essi è caratterizzato da un dato numerico, dipendente dalle caratteristiche chimico-fisiche del tessuto contenuto nel volumetto di spazio retrostante (voxel) in base al parametro desiderato. L’immagine RM è dunque una distribuzione di livelli di grigio corrispondente alla distribuzione geometrica del parametro stesso nel volume indagato. È quindi necessario stabilire da quale regione dello spazio considerato trae origine ciascuna componente del segnale, con la sua specifica informazione di contrasto, in modo da poter associare l’intensità del segnale rilevato in antenna alla posizione dello specifico volumetto elementare di spazio (voxel) che lo ha emesso. Per questo scopo, durante l’applicazione degli impulsi RF e la raccolta dei segnali secondo le modalità viste nel precedente capitolo, è necessario ricorrere a tecniche aggiuntive che conferiscano al segnale registrato anche informazioni relative alle dimensioni e alla posizione del voxel a cui il segnale stesso fa riferimento. Tali operazioni sono denominate anche tecniche di localizzazione spaziale o codifica spaziale. Esistono svariati modi per raggiungere lo scopo, dipendenti anche dalla tecnica scelta (2D o 3D, ad esempio). In accordo a quanto visto nel capitolo precedente, sarà qui trattato il caso elementare della sequenza spin-echo con la tecnica 2DFT, che costituisce un ottimale punto di partenza per chiarire parametrizzazioni e tecniche di acquisizione più complesse. In questo tipo di tecnica, per definire e contemporaneamente localizzare correttamente un voxel, sono necessarie tre operazioni (Fig. 3.1): 1. individuare la sezione alla quale appartiene il voxel di cui registra il segnale; 2. individuare a quale colonna della sezione stessa appartiene il voxel (ascissa); 3. individuare a che livello si trova il voxel sulla colonna individuata (ordinata).

3 La formazione dell’immagine a

a

b

c

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c

Fig. 3.1 Le tre operazioni necessarie per la localizzazione spaziale di un segnale RM nella tecnica 2DFT. a Selezione dello strato e del suo spessore fisico per opera del gradiente di selezione strato (GSS); b individuazione della colonna della matrice per opera del gradiente di codifica di frequenza; c individuazione della riga della matrice per opera del gradiente di codifica di fase. Il voxel resta in tal modo univocamente determinato

Fig. 3.2 Definizione e schema di funzionamento di gradiente di campo magnetico

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Fig. 3.3 Schema degli effetti dell’applicazione di un gradiente di campo magnetico. A sinistra, la presenza del solo campo statico B0 conferisce ai nuclei di tutto il volume identica frequenza di precessione, data dall’equazione di Larmor. Applicando un gradiente di campo magnetico, la frequenza subisce un incremento proporzionale lungo l’asse di applicazione x. Il null point del gradiente in questo esempio è stato fatto coincidere con l’asse delle ordinate

Queste operazioni sono compiute tramite variazioni lineari del campo magnetico lungo una specifica direzione dello spazio cartesiano (gradienti di campo magnetico) che, pur applicati in modo diverso in base al particolare scopo per cui sono impiegati, hanno una comune caratteristica: quella di poter variare il campo magnetico in modo controllato, sommando o sottraendo al campo magnetico statico fornito dal magnete dell’apparecchiatura una determinata quantità di magnetismo nella regione di spazio desiderata (Fig. 3.2, 3.3). Essi sono dunque in grado di variare la frequenza di precessione dei protoni in una certa porzione del volume d’interesse secondo la già illustrata legge di Larmor, in accordo alla seguente relazione:

 ( BG * x) dove è l’incremento di frequenza di precessione dei nuclei, la costante giromagnetica, BG il valore del campo magnetico creato localmente dal gradiente nella posizione x lungo l’asse di applicazione. Dalla relazione precedente emerge in modo evidente la dipendenza lineare della frequenza di precessione dei nuclei dalla posizione lungo l’asse x, data una certa intensità del gradiente di campo magnetico BG. La quantità espressa dalla relazione precedente deve essere sommata a quella del campo magnetico principale, per ottenere, in base al-

3 La formazione dell’immagine

59 Fig. 3.4 Il teorema di Fourier è applicabile solo a segnali periodici. È possibile tuttavia applicarlo a qualsiasi segnale che si manifesti in un intervallo finito, replicando il segnale stesso a destra e a sinistra dell’asse temporale e trasformandolo così in un segnale periodico

l’equazione di Larmor, la frequenza di precessione dei nuclei in base alla loro posizione lungo l’asse di applicazione del gradiente: Larmor  B0   ( BG * x).

3.3 La trasformata di Fourier: relazioni con la risonanza magnetica Il teorema di Fourier afferma che “un segnale periodico, comunque complicato, può essere rappresentato come somma di funzioni sinusoidali, di frequenza e fase opportuna e a meno di un dato fattore moltiplicativo, che ne definisce l’ampiezza”. L’individuazione dell’ampiezza e della fase delle componenti sinusoidali avviene attraverso uno strumento matematico chiamato trasformata di Fourier. Il fatto che nell’enunciato del teorema si parli di segnale periodico non costituisce una limitazione, perché osservato in un determinato suo sotto-intervallo qualsiasi segnale può essere visto come un segnale periodico, replicando identicamente a destra e a sinistra il segnale stesso (Fig. 3.4). In tal modo, si ricade nelle condizioni di applicabilità del teorema. In altri termini, se si considera un segnale ottenuto sommando diversi segnali sinusoidali, attraverso la trasformata di Fourier sarà possibile individuare i singoli contributi all’interno della sommatoria. Uno strumento matematico di questo tipo offre la possibilità di risolvere il problema della localizzazione spaziale in risonanza magnetica, attraverso la differenziazione in termini di fase e di frequenza del segnale proveniente da regioni diverse. I contributi di segnale così alterati si sommeranno tra di loro in un unico segnale che verrà misurato dalle bobine e successivamente, attraverso la trasformata di Fourier, verranno nuovamente distinti con un’informazione codificata in termini di fase e di frequenza per risalire alla provenienza spaziale. Esistono poi altre applicazioni della trasformata di Fourier nell’imaging RM, come ad esempio nel caso dello spettro di frequenze ottenuto dalla spettroscopia RM (capitoli 5.4 e 7.5, Figg. 5.20, 7.29), nel quale l’ampiezza dei picchi a determinate specifiche frequenze corrisponde alla concentrazione di determinati metaboliti nella regione analizzata (region of interest, ROI), ciascuno di essi essendo caratterizzato da un leggero spostamento rispetto alla frequenza di risonanza teorica prevista a causa dello specifico contesto molecolare nel quale sono inseriti i nuclei risonanti.

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3.4 I gradienti di campo magnetico 3.4.1 Il gradiente di selezione dello strato (Gs)

L’applicazione del gradiente conferisce al campo magnetico sperimentato lungo quest’asse valori dipendenti in modo lineare dalla coordinata spaziale lungo la quale è applicato (x, y o z; Fig. 3.1). Ad esempio, applicando un gradiente lungo l’asse longitudinale del magnete (identificabile con l’asse z di un sistema coordinato cartesiano), si ottengono lungo la direzione di applicazione valori di campo magnetico crescenti da un minimo a un massimo. In corrispondenza del punto nel quale il gradiente assume valore nullo (null point) il campo magnetico, mancando il contributo del gradiente, tornerà ad assumere il valore del solo campo statico B0 (Fig. 3.5a). L’applicazione di un impulso RF alla frequenza di Larmor ecciterà, dunque, soltanto i nuclei sottoposti a un valore di campo per cui si ha la condizione di risonanza, cioè quelli localizzati sulla sezione trasversale del soggetto esaminato in corrispondenza del punto nullo del gradiente. Di conseguenza, il segnale prodotto corrisponderà alla sezione voluta, stabilita dalle coordinate relative al punto nullo del gradiente (Fig. 3.5b). Lo spessore dello strato, in teoria infinitesimale, ha in realtà una dimensione fisica ben precisa stabilita a priori: l’impulso di eccitazione RF non è composto soltanto dalla sola frequenza di risonanza, ma da una più o meno larga distribuzione (banda) di fre-

a

b

Fig. 3.5 a Sotto l’azione del solo campo magnetico statico, tutti gli spin sono risonanti alla stessa frequenza: non vi sono informazioni di tipo spaziale; b l’effetto del gradiente di selezione di strato è rendere risonanti soltanto i protoni appartenenti allo strato corrispondente al null point del gradiente: solo essi sono sottoposti al valore di campo B  B0 e saranno interessati dall’impulso RF alla frequenza di Larmor; l’impulso di eccitazione in realtà non è formato da un’unica frequenza, ma distribuisce i valori di frequenza all’interno di un certo range detto larghezza di banda. Lo spessore della sezione dipende dalla larghezza di banda dell’impulso associato alla pendenza del gradiente

3 La formazione dell’immagine

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a

Fig. 3.6 a-c Fattori che influenzano lo spessore dello strato. Per aumentare o diminuire lo spessore dello strato, si deve rispettivamente aumentare o diminuire la pendenza del gradiente (b) e/o la larghezza di banda del segnale RF (c). Nel rettangolo giallo si trovano i protoni resi risonanti dall’impulso RF alla frequenza di Larmor

b

c

quenze intorno al valore di Larmor (Fig. 3.6a). La “pendenza” del gradiente (Fig. 3.6b) e la larghezza della banda RF di eccitazione (Fig. 3.6c) stabiliscono quindi lo spessore della sezione.

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3.4.2 Il gradiente di lettura o di codifica di frequenza (Gl)

Dopo la stimolazione dei nuclei di una determinata sezione da parte dell’impulso RF, durante la ricezione del segnale (lettura), è applicato un gradiente di campo nella direzione x. Di conseguenza ai diversi valori del campo magnetico lungo la direzione x corrisponderanno diverse frequenze di precessione, e il segnale prodotto durante il rilassamento sarà costituito dalla somma dei segnali associati alle diverse frequenze, ricevuti simultaneamente (Fig. 3.7). Per valutare le ampiezze dei segnali corrispondenti a “linee di nuclei” ortogonali all’asse x, dovranno essere individuate in questo segnale tutte le singole componenti di diversa frequenza che lo avevano generato. Si noti, in ogni caso, che tutte le forme d’onda che costituiscono il segnale così ricevuto sono sinusoidali. Fig. 3.7 Schema di funzionamento del gradiente di codifica di frequenza. Procedendo nella direzione x, le frequenze di precessione dei nuclei subiscono un incremento proporzionale al campo magnetico da essi sperimentato. Il segnale somma ricevuto dalla bobina di ricezione sarà dunque composto dalla somma di tutte le frequenze. Si osservi che si tratta comunque di un segnale composto da forme d’onda sinusoidali

3 La formazione dell’immagine

63

3.4.3 Il gradiente di codifica di fase (Gf)

Successivamente all’eccitazione dei nuclei di una sezione e prima del gradiente di lettura, viene applicato un gradiente di campo lungo una direzione (per esempio l’asse y) che determinerà una frequenza di precessione diversa per i nuclei disposti lungo linee perpendicolari alla direzione di gradiente, come già visto per il gradiente a codifica di frequenza. Durante l’attivazione del gradiente, gli spin assumeranno una frequenza di precessione maggiore dove il gradiente è più intenso, e minore ove il gradiente è meno intenso (Figg. 3.8, 3.9). Questo conferirà agli spin uno spostamento di fase di un certo angolo stabilito, proporzionale al tempo di accensione del gradiente e alla sua pendenza. Esso è poi disattivato, ritornando alla situazione di campo uniforme. A questo punto, i moti di precessione torneranno ad avere la stessa frequenza, ma avranno acquisito diversa fase lungo la direzione y. Per individuare la posizione di ciascuna riga in base alla diversa fase acquisita sarà necessario discriminare le diverse componenti di fase presenti nel segnale somma (Box 3.1). A questo punto interviene il gradiente a codifica di frequenze nella direzione y perpendicolare a quella del gradiente a codifica di fase. In tal modo (Fig. 3.11, a sinistra) ogni elemento della sezione sarà diverso dagli altri o per la fase (direzione x) o per la frequenza (direzione y). Ripetendo l’acquisizione n volte, dove n è il numero di righe della matrice immagine, ed elaborando con la trasformata di Fourier sarà possibile Fig. 3.8 Schema di funzionamento del gradiente di codifica di fase. Attivando per un tempo determinato il gradiente di codifica di fase, gli spin subiscono un aumento proporzionale della loro frequenza di precessione, ma solo per il tempo di attivazione. Allo spegnimento del gradiente, gli spin torneranno ad avere identica frequenza di precessione, ma avranno subito uno sfasamento proporzionale al tempo di applicazione del gradiente

64 Fig. 3.9 Schema di funzionamento del sistema dei gradienti nell’acquisizione 2DFT e schematizzazione di diagramma temporale con modalità, tempi di applicazione di impulsi RF e gradienti e raccolta del segnale

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3 La formazione dell’immagine Box 3.1 Tecnologia del sistema dei gradienti I gradienti di campo magnetico sono generati da sistemi di bobine, disposti all’interno della cavità del magnete secondo un’opportuna geometria. In Figura 3.10 è visibile un esempio di geometria dei gradienti impiegata in un magnete a tunnel, in cui l’asse z è orientato longitudinalmente: un opportuno sistema di controllo della corrente circolante in ciascuna bobina permette di applicare un gradiente di campo magnetico lungo una qualsiasi direzione. I gradienti non sono utilizzati con continuità, ma con una specifica cadenza temporale secondo le necessità. Essi sono utilizzati dunque in forma di impulso, con rapide variazioni delle correnti applicate che inducono rapide variazioni di campo magnetico. Il campo magnetico statico che circonda le bobine esercita su di esse forze enormi durante le variazioni di corrente, e sono inevitabili forti vibrazioni meccaniche, udibili a ogni applicazione del gradiente. In particolare, è molto forte il rumore prodotto in magneti ad alto campo e, sebbene siano state sviluppate alcune strategie per la sua riduzione, come l’annegamento delle bobine in particolari resine fonoassorbenti, esso raggiunge livelli tali da costituire un problema di sicurezza. In questi casi, sono irrinunciabili opportuni accorgimenti, quali dotare il paziente di una cuffia antinfortunistica (del tipo utilizzato dagli operatori aeroportuali) associata a tappi per orecchie. La qualità delle immagini ottenibili dal sistema dipende strettamente dalle caratteristiche di linearità, stabilità e di precisione nella commutazione dei gradienti. La qualità di un gradiente è valutata in base all’efficienza con cui esso è in grado di variare l’intensità del campo magnetico locale: più intensa e rapida è la variazione, migliore è valutata la prestazione del gradiente. I due parametri associati alla prestazione del gradiente sono quindi la massima intensità raggiungibile e il tempo impiegato a raggiungere il picco massimo o una sua frazione, per esempio i 2/3. Secondo quanto detto, la potenza dei gradienti è esprimibile in milliTesla al metro [mT/m] con un tempo di salita espresso in millisecondi [ms]. Nella pratica, si fa uso di un parametro che le comprende entrambe, lo slew-rate. Esso è dato dal rapporto tra il valore del picco di intensità raggiungibile e il tempo necessario a raggiungerlo. Un valore tipico di potenza dei gradienti di una buona apparecchiatura ad alto campo oggi utilizzata nella pratica clinica è 40 mT/m. Recenti tecnologie hanno portano a valori apparenti di 80 mT/m, dove in realtà agiscono accoppiati due gradienti di metà valore. Lo slew-rate può variare tra valori di 15 mT/m/s a 120 mT/m/s: valori elevati sono fondamentali per le sequenze di acquisizione veloci, in particolare quelle utilizzate nell’fMRI ove la risoluzione temporale è un parametro importante. Si osservi, tuttavia, che esiste una soglia limite per la potenza impiegabile, oltre la quale avviene la stimolazione nervosa periferica.

Fig. 3.10 Schema dell'andamento della magnetizzazione dopo l'applicazione di un generico gradiente nelle tre direzioni dello spazio. Le “rampe” colorate mostrano come procedendo lungo la direzione interessata, la magnetizzazione si incrementi

localizzare la provenienza dei diversi segnali e produrre un’immagine in scala di grigi come rappresentazione delle intensità delle grandezze misurate. Le direzioni qui indicate con z, x e y possono essere commutate tra loro e inclinate nel modo voluto; per questo motivo la tecnica di risonanza magnetica permette di produrre immagini direttamente acquisite su qualunque piano anatomico desiderato, senza necessità di elaborazioni MPR come accade in TC. I dati grezzi formati dai segnali di ritorno, prodotti a seguito degli impulsi RF di eccitazione, sono raccolti in matrici numeriche che costituiscono una rappresentazione del cosiddetto spazio k, o k-spazio. Esso

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Fig. 3.11 Gradienti a codifica di fase e di frequenza. A sinistra: rappresentazione di una matrice 7 7 di spin nel piano xy e degli effetti dei due gradienti; lungo le colonne, gli spin precedono con uguale fase ma frequenza diversa, mentre lungo le righe hanno fase diversa. A destra: diagramma temporale di un’acquisizione elementare. Il segnale sulla prima riga (RF in) rappresenta l’impulso a radiofrequenza, fornito contemporaneamente al gradiente di selezione della sezione Gz. Successivamente viene attivato per qualche istante il gradiente a codifica di fase Gx lungo la direzione x. Al termine è attivato il gradiente a codifica di frequenza Gy lungo la direzione y e, contemporaneamente, è registrato ed elaborato il segnale prodotto dal soggetto esaminato. Questi ultimi due gradienti, che individuano rispettivamente ordinata e ascissa della matrice, sono dunque tra loro interscambiabili

Fig. 3.12 Formazione del k-spazio. Ogni linea del k-spazio corrisponde a un determinato valore di codifica di fase, da -180° a +180° (valori eccedenti sarebbero ribaltati all’interno, per fenomeni di aliasing: ad esempio, le fasi tra 180° e 190° non sono distinguibili da quelle tra –170° e –180°, cfr. capitolo 9 su artefatti da ribaltamento). A ogni applicazione del gradiente di codifica di fase con una certa intensità, corrisponde l’applicazione del gradiente di codifica di frequenza durante la raccolta del segnale RF. In tal modo, a ogni linea del k-spazio corrisponde un determinato valore di codifica di fase

3 La formazione dell’immagine

Fig. 3.13 Diagramma temporale di acquisizione di un k-spazio composto da 7 linee. Il diagramma temporale concentra spesso in una sola immagine l’applicazione di tutte le codifiche necessarie allo riempimento completo del k-spazio. In questo caso, nel diagramma temporale a sinistra, il gradiente di codifica di fase è applicato con 7 valori diversi, tra cui quello nullo. Ogni applicazione va a completare una linea del k-spazio

è, in pratica, un sistema di coordinate, dove le ascisse (direzione x) e le ordinate (direzione y) sono associate ai dati raccolti applicando i gradienti di frequenza e di fase, quindi i due assi cartesiani prendono il nome delle codifiche associate. La Figura 3.11, a destra, schematizza anche il diagramma temporale di una sequenza 2DFT in base all’applicazione dei tre gradienti: sulla prima riga, è somministrato l’impulso a 90° sullo strato deciso dal gradiente Gz, visibile sulla riga sottostante. Di seguito, procedendo verso destra, è acceso e subito spento il gradiente di codifica di fase Gx che, in base alla sua intensità e durata, seleziona la linea di k-spazio che sarà riempita con i valori campionati dal segnale RF misurato (Fig. 3.12). Ancora di seguito, è applicato per tutta la durata dell’emissione del segnale il gradiente di codifica di frequenza (detto anche di lettura) che provvede a “spazzolare” la riga di k-spazio selezionata dal gradiente di codifica di fase. Questa sequenza, come schematizzato nella Figura 3.13, va ripetuta con codifiche di fase diverse n volte, dove n rappresenta la risoluzione lungo l’asse di codifica di fase dell’immagine ricostruita.

3.5 Lo spazio k e le sue proprietà Il k-spazio è formato da numeri complessi ma è possibile rappresentare in livelli di grigio il valore della loro parte reale, ottenendo l’immagine di Figura 3.14. Sebbene le apparecchiature RM ne permettano l’analisi per scopi manutentivi, in caso di malfunzionamenti dell’hardware, il k-spazio non è di solito visibile all’utilizzatore finale. Per scopi didattici, in seguito saranno date svariate rappresentazioni della sua parte reale, al fine di chiarire le sue particolari proprietà. Come avviene per i dati dosimetrici della tomografia computerizzata, anche i dati che costituiscono il k-spazio sono definiti dati grezzi.

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Fig. 3.14 Effetti della ricostruzione di un’immagine da uno spazio k completo o incompleto. Si osservi come le regioni periferiche, corrispondenti alle alte frequenze, contengano informazioni riguardanti le zone di confine tra strutture a diverso segnale (bordi) e una loro mancanza porti a ricostruire un’immagine che conserva in larga misura i contrasti originari ma con un effetto di sfocatura (blurring). Al contrario, preservando le regioni periferiche ma escludendo quelle centrali, a più bassa frequenza, l’immagine ricostruita conterrà scarse informazioni sul contrasto ma elevata informazione concernente le zone di transizione tra grigi (i contorni, o bordi delle immagini)

Tuttavia, l’aspetto più importante riguarda le attuali tecniche di ricostruzione immagine: sottoponendo i dati del k-spazio (dati grezzi) alla trasformata di Fourier è possibile ricostruire l’immagine RM. Per le modalità con cui opera tale strumento matematico è possibile osservare che l’intensità di ogni pixel dello spazio k rappresenta una frequenza spaziale presente in tutta l’immagine associata. La costruzione del k-spazio, nel modo di acquisizione più sopra spiegato, avviene linea per linea. La codifica di frequenza, la cui precisione è stabilita dal numero di campionamenti effettuati nell’intervallo temporale di lettura (il rettangolo verde nel diagramma temporale di Figura 3.13) costruisce la linea, “percorrendo” il k-spazio da sinistra verso destra. La codifica di fase permette lo spostamento dell’acquisizione sulla linea successiva: l’accensione temporizzata del gradiente di codifica di fase provoca un defasamento “controllato” dei segnali e permette di collocare i dati provenienti dalla successiva acquisizione sulla linea di k-spazio desiderata. L’asse verticale del k-spazio è da interpretare come uno sviluppo di un angolo di 360°: ad esempio, se la matrice di ricostruzione immagine ha il lato di 360 pixel, il defasa-

3 La formazione dell’immagine

Fig. 3.15 Esempio di frequenze spaziali sommate a un’immagine corretta. Si noti come nella situazione a sinistra, la bassa frequenza sovrapposta all’immagine si traduca nel k-spazio sotto forma di “spike” e si trovi in prossimità del centro, in accordo con le caratteristiche del k-spazio, che concentra le basse frequenze nelle sue regioni centrali. Una frequenza spaziale più alta, come visibile al centro, corrisponde a degli spike collocati in zone più periferiche. Nella situazione a destra, le due frequenze sono state entrambe sovrapposte all’immagine nel dominio temporale, e nel k-spazio (dominio delle frequenze) si evidenziano singolarmente con i loro relativi spike

mento richiesto per passare da una linea all’altra sarà di 1 grado ogni volta, quindi la prima applicazione del gradiente dovrà defasare di 180°, la seconda 179°, e via di seguito, fino al defasamento 180°, passando per il defasamento nullo che corrisponde alla linea centrale del k-spazio. Nello spazio k le frequenze spaziali più basse dell’immagine sono codificate verso le regioni centrali, mentre spostandosi verso la periferia le frequenze divengono via via più alte. In Figura 3.15 sono rappresentati tre esempi di ricostruzione dell’immagine per evidenziare questa caratteristica: a sinistra è visibile il risultato dell’applicazione della trasformata di Fourier sul k-spazio completo, al centro è stato applicato al k-spazio un filtro passa-basso, e alle sue parti periferiche è stato attribuito valore nullo: l’immagine ricostruita ha contorni sfumati e non ben definiti, cioè perde risoluzione spaziale. A destra, la trasformata di Fourier è stata applicata al k-spazio dopo applicazione di un filtro di tipo passa-alto (ai valori della parte verso il centro è stato attribuito valore nullo): si perdono le informazioni sul contrasto e restano visibili soltanto i contorni dell’oggetto analizzato. Un altro esempio di quanto affermato è visibile in Figura 3.16: si è “sporcata” artificialmente un’immagine di sezione sagittale di colonna vertebrale con due diverse fre-

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Fig. 3.16 Rappresentazione dell’immagine di uno spazio k e dei due assi corrispondenti alla direzione di codifica di fase e di frequenza. Sulla destra è schematizzato l’avanzamento nelle righe, dato dalla codifica di fase (freccia in rosso) e l’avanzamento nel senso delle righe, dato dalla codifica di frequenza (freccia in verde). Per le modalità di generazione e raccolta del segnale, l’insieme di dati così raccolti concentra le frequenze più basse nelle regioni centrali, e le alte frequenze nelle regioni periferiche (cfr. Figura 3.15). Questo può essere sfruttato per numerose applicazioni di elaborazione dell’immagine già a questo livello (dominio trasformato, prima cioè dell’applicazione della trasformata di Fourier e della ricostruzione immagine nel dominio del tempo)

quenze spaziali, una più bassa (Fig. 3.16, a sinistra) e una più elevata (Fig. 3.16, al centro). Esse si mettono in mostra sotto forma di “spike” nel k-spazio, mostrando chiaramente sia che le frequenze più basse si concentrano verso le regioni centrali, e quelle più alte verso la periferia, sia le proprietà di simmetria centrale del k-spazio. In Figura 3.16, a destra, entrambe le frequenze spaziali sono state sovrapposte all’immagine, situazione ben visibile nel relativo k-spazio che evidenzia entrambe le coppie di spike. Nella sequenza SE tradizionale, ad ogni ripetizione dell’impulso RF di eccitazione è acquisita una sola eco di segnale, i cui dati costituiscono una riga del k-spazio. Ognuna di queste ripetizioni è eseguita con un valore diverso del gradiente di codifica di fase, passa da un massimo di intensità in un verso della direzione y (ad esempio positivo) al massimo nel verso opposto (ad esempio negativo). Tali valori estremi acquisiranno rispettivamente i dati che si riferiscono alla prima e ultima riga della matrice dello spazio k, valori intermedi del gradiente acquisiranno le linee del k-spazio intermedie: il valore nullo, in particolare, corrisponderà alla riga centrale. Utilizzando questo metodo, il tempo necessario per l’acquisizione di una singola immagine è dato dal prodotto del tempo di ripetizione (TR) moltiplicato per le codifiche di fase necessarie ad acquisire tutte le righe della matrice, pari dunque alla sua dimensione (M). Per migliorare SNR e qualità immagine, si possono mediare i valori provenienti da multiple acquisizioni di ogni linea del k-spazio. L’acquisizione di ciascuna linea è ripetuta n volte, parametro solitamente controllabile dall’operatore e definito in modo diverso dai costruttori (NEX, ACQ, NSA o comunemente detto “numero di medie”). Il tempo totale di acquisizione (TA) è dunque dato dalla seguente relazione: TA  Tr M N

3 La formazione dell’immagine

Se si vuole acquisire un’immagine con matrice 128 128, con un TR di 1000 ms e un NEX pari a 2 occorrerà un tempo di 128 1000 2  256000 ms  256 s  4,2 min.

3.6 Tecniche di riempimento del k-spazio Alcune proprietà dello spazio k possono essere sfruttate per ridurre il tempo di acquisizione. Per esempio, è possibile ridurre il numero di linee di codifica di fase mantenendo le informazioni di maggior interesse e riducendo uno dei parametri di qualità dell’immagine non determinante nello studio diagnostico in atto. Si hanno principalmente tre possibilità: tecnica della matrice di fase ridotta, del campo di vista rettangolare (rectangular FOV) e Half-Fourier. In alcune apparecchiature per la tecnica della matrice di fase ridotta si trova anche la denominazione scan percentage.

3.6.1 Tecnica della matrice di fase ridotta

In questa tecnica, il gradiente di codifica di fase varia tra due estremi simmetrici rispetto al valore nullo, ma di intensità ridotta rispetto al caso dell’acquisizione tradizionale completa. In questo modo, è acquisito un numero limitato di righe dello spazio k nella zona centrale, con il mantenimento delle informazioni relative al contrasto e la perdita di parte delle informazioni relative alla risoluzione (alte frequenze spaziali). L’immagine ricostruita avrà un numero di pixel ridotto: se in origine si aveva una matrice quadrata di 128 128, utilizzando soltanto 90 codifiche di fase in luogo di 128 l’immagine finale sarà costituita da una matrice di 90 128 pixel. Le dimensioni fisiche della regione riprodotta nell’immagine rimangono però le stesse; di conseguenza, si ha un aumento di una delle dimensioni del pixel che non sarà più quadrato, ma rettangolare (Fig. 3.17a). L’aumento delle dimensioni del pixel ha tuttavia come conseguenza un aumento del rapporto segnale-rumore.

3.6.2 Tecnica del campo di vista rettangolare (Rectangular FOV)

Il gradiente di codifica di fase varia tra i due estremi simmetrici rispetto al valore nullo, della stessa intensità rispetto al caso dell’acquisizione tradizionale completa, ma con un numero inferiore di passi intermedi. Di conseguenza è acquisito un numero limitato di linee dello spazio k, distanziate tra di loro in modo da ricoprirlo interamente. L’immagine prodotta in questo caso avrà tutte le informazioni relative alla risoluzione (tutte le frequenze spaziali), che verrà quindi mantenuta, ma avrà un campo di vista rettangolare, in quanto comunque le dimensioni delle due matrici (quella dello spazio k e quella dell’immagine) sono uguali.

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Fig. 3.17 Modalità particolari di riempimento del k-spazio per ridurre il tempo di acquisizione. a Rappresentazione schematica della ricostruzione immagine con tecnica della matrice di fase ridotta; b rappresentazione schematica della ricostruzione dell’immagine con campo di vista rettangolare; c rappresentazione schematica della ricostruzione dell’immagine con tecnica Half-Fourier nella direzione di codifica delle fasi; d rappresentazione schematica della ricostruzione dell’immagine con tecnica Half-Fourier nella direzione di codifica delle frequenze

3.6.3 Tecniche Half-Fourier

Sfruttano le proprietà simmetriche del k-spazio. Il gradiente di codifica di fase varia da uno dei due estremi fino ai valori poco oltre il valore nullo; di conseguenza, vengono acquisite poco più della metà delle righe della matrice nello spazio k. Il tempo di acquisizione ne risulta quasi dimezzato, la risoluzione spaziale è mantenuta pagando, tut-

3 La formazione dell’immagine

tavia, in termini di diminuzione del rapporto segnale-rumore. Nell’acquisizione completa, infatti, le due metà del k-spazio risentono in modo identico del contributo del rumore, con valori casuali di deviazione rispetto ai valori attesi. Punti simmetrici del k-spazio saranno affetti dalle oscillazioni del rumore con contributi casuali e quindi in generale differenti. Gli effetti del rumore sono ridotti poiché l’immagine è ricostruita utilizzando un valore medio tra i valori omologhi misurati. Con la tecnica Half-Fourier sono acquisiti solo i dati relativi a una delle due metà e il contributo del rumore, non potendo essere mediato con l’acquisizione simmetrica dei valori omologhi, sarà dunque superiore. Un’altra osservazione interessante riguarda la necessità di acquisire “poco più della metà” del k-spazio, invece della sua precisa metà. Le regioni centrali del k-spazio, corrispondenti alle basse frequenze spaziali, contengono informazioni che condizionano fortemente il contrasto delle immagini ricostruite, mentre le regioni via via più periferiche contengono informazioni relative a frequenze spaziali dell’immagine progressivamente più elevate mentre ci si sposta dal centro verso la periferia (Fig. 3.11). I dati che si riferiscono alle basse frequenze spaziali sono quindi quelli che risentono in modo più importante delle oscillazioni statistiche dovute al rumore; ridurre l’entità del rumore in tali regioni è dunque irrinunciabile, perché imprecisioni importanti nelle misure dei valori centrali del k-spazio portano inevitabilmente a falsare le informazioni di contrasto dell’immagine. Il contributo del rumore sulle alte frequenze è percentualmente meno importante e rende quindi possibile l’applicazione delle tecniche Half-Fourier. La tecnica Half-Fourier può essere applicata anche alla direzione di codifica di frequenza, acquisendo la metà sinistra dello spazio k. Questo viene realizzato mantenendo tutte le codifiche di fase, ma riducendo il tempo di lettura a quello necessario per acquisire metà del segnale di eco. In tal modo non viene ridotto il tempo necessario per realizzare una singola immagine ma, come vedremo nel paragrafo successivo trattando l’acquisizione multislice, la diminuzione del tempo di lettura consente di incrementare il numero di sezioni realizzate contemporaneamente e permette quindi di diminuire il tempo totale per la realizzazione di uno studio. La modalità con cui viene riempita la matrice dello spazio k che è stata descritta finora è quella delle sequenze SE convenzionali, dove ad ogni nuovo valore del gradiente di fase si ha l’acquisizione di una riga, sequenzialmente. I gradienti di fase e di frequenza in altre sequenze di acquisizione possono variare in modo più complesso e, conseguentemente, si avrà un modo diverso di riempire i dati dello spazio k. In tal senso si parla di traiettorie nello spazio k, che saranno indicate nel seguito durante la descrizione delle diverse sequenze. La correlazione tra l’andamento dei gradienti e l’ordine temporale di riempimento della matrice dello spazio k può essere in questi casi anche molto complessa.

3.7 Tipologie di acquisizione spaziale Le immagini in risonanza possono essere acquisite lungo sezioni separate (acquisizione 2D, Fig. 3.18) o come un unico volume (acquisizione 3D, Figg. 3.18b, 3.18c).

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a

b

c

Fig. 3.18 Distribuzione delle sezioni nelle tecniche di acquisizione 2D (a), 3D (b) e 3D multislab (c)

Nell’acquisizione 3D si utilizza un gradiente di codifica di fase addizionale, applicato lungo la terza dimensione (per esempio nel caso di sezioni assiali lungo l’asse z) che permette, tramite la codifica dei dati raccolti, la ricostruzione di una serie di sezioni contigue. Queste sezioni possono anche essere indicate con il termine “partizioni”, per distinguerle dalle sezioni acquisite tramite una tecnica 2D standard. I vantaggi dell’acquisizione 3D risiedono nella possibilità di acquisire sezioni più sottili e perfettamente contigue, con un orientamento che può essere definito e variato nella fase di postprocessing dei dati acquisiti. Inoltre, a parità degli altri parametri di definizione della sequenza, le sequenze 3D presentano un miglior rapporto segnale rumore (Fig. 3.18b). Il tempo necessario per un’acquisizione 3D è dato da: TA  TR M1 M2 NEX dove TR e N sono gli stessi parametri dell’acquisizione 2D, M1 rappresenta il numero di codifiche di fase in una direzione (per esempio, quella del piano della sezione, legato alla risoluzione dell’immagine) e M2 il numero di codifiche nell’altra direzione (quella perpendicolare al piano delle sezioni, legato al numero di immagini prodotte). Esiste anche una metodica di acquisizione ibrida, chiamata 3D multislab, per mezzo della quale vengono acquisiti più volumi tra loro separati, ciascuno costituito da una serie di partizioni contigue ottenute con una tecnica 3D (Fig. 3.25c). La metodica 3D basata su di un unico volume è talvolta indicata come 3D single-slab per distinguerla da quest’ultima.

3.7.1 La tecnica multislice

La metodica 2D può essere a sua volta suddivisa in due categorie: single-slice (acquisizione sequenziale) o multislice. Nell’acquisizione a singola slice, o sequenziale, tutti i dati necessari per ricostruire l’immagine sono raccolti prima di passare alla sezione successiva (cioè tutte le righe del k-spazio). Nell’acquisizione multislice, invece, viene raccolta soltanto una parte dell’immagine da ricostruire, costituita da una o più linee dello spazio

3 La formazione dell’immagine

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k, prima di passare alla corrispondente parte di una sezione successiva. Il processo è ripetuto fino a quando non sia stata ultimata la raccolta dei dati per tutte le sezioni. La metodica multislice consente di ridurre i tempi di acquisizione sfruttando in modo proficuo il tempo che intercorre tra un impulso di eccitazione e il successivo (TR) e utilizzandolo per l’eccitazione e l’acquisizione di linee di altre sezioni. Il tempo necessario per la produzione di una singola immagine non cambia ed è quindi sempre dato dall’equazione indicata in precedenza ma, contemporaneamente, è acquisito un numero di sezioni pari a: N

TR TE  c

dove TR è il tempo di ripetizione, TE il tempo di eco e c è un tempo caratteristico di alcune decine di ms (è in pratica l’intervallo di tempo in cui l’eco di segnale si attenua fino ad annullarsi). È inoltre importante l’ordine temporale con il quale vengono raccolti i dati per le sezioni successive. Si parla, in questo senso, di acquisizione consecutiva o interallacciata, nel caso in cui si raccolgano i dati di sezioni in posizioni non consecutive, per esempio prima tutte quelle di posizioni pari e poi quelle di posizioni dispari. La scelta tra i due ordini temporali di acquisizione può essere importante per ridurre i problemi legati al flusso di sangue perpendicolare alle sezioni o all’interferenza tra le eccitazioni delle sezioni vicine. Esistono anche altre metodiche di acquisizione oltre a quelle 2D e 3D, meno frequentemente utilizzate. Per esempio, una linea di tessuto può essere rappresentata da un’immagine ottenuta utilizzando due impulsi RF in grado di eccitare due piani che si intersecano in tale linea. Applicazioni di questa metodica si trovano nello studio di funzioni cardiache e nelle immagini di diffusione.

3.8 Tecniche di imaging parallelo Sotto la dizione “imaging parallelo” si collocano alcune relativamente nuove tecniche di acquisizione e di ricostruzione immagine che hanno lo specifico scopo di diminuire i tempi di acquisizione necessari a produrre le immagini. Non riguardano quindi sequenze specifiche, che ciascun costruttore implementa con nomi diversi, ma innovative modalità di acquisizione e ricostruzione immagine, nelle quali i singoli elementi di ricezione delle bobine lavorano “in parallelo”, acquisendo ciascuna una determinata parte “sottocampionata” del k-spazio. L’immagine è ricostruita, dunque, a partire da insiemi di dati provenienti dai diversi elementi. La diffusione di tali tecniche si deve principalmente al fatto che l’incremento di prestazioni dei gradienti, a parte i problemi di tipo tecnologico, non può procedere indefinitamente nell’ambito degli studi su soggetto vivente a causa di limiti imposti dalla fisiologia. Tra gli effetti biologici conseguenti a un repentino aumento di campo magnetico va considerata la possibilità di indurre stimolazione dei nervi periferici. Come mostrato in Figura 3.19, per dimezzare il tempo necessario all’applicazione del gradiente lo slew-

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Fig. 3.19 A parità di risoluzione e di FOV, per dimezzare il tempo di acquisizione T l’intensità del gradiente dev’essere raddoppiata e il suo slew-rate quadruplicato

rate dev’essere quadruplicato: sebbene dal punto di vista tecnologico non vi sia un limite teorico alla potenza dei gradienti che è possibile costruire, dal punto di vista della fisiologia esiste invece una soglia di potenza oltre la quale la stimolazione nervosa è certa e inevitabile. La necessità di fissare un limite di sicurezza inferiore alla soglia, impone di considerare metodi alternativi all'aumento dello slew-rate per ridurre il tempo di scansione. Lo sviluppo delle tecniche di imaging parallelo è legato al tentativo di acquisire le immagini in tempi sempre più rapidi senza, tuttavia, utilizzare potenze dei gradienti di campo troppo elevate. A giocare un ruolo importante per comprendere il funzionamento dell’imaging parallelo sono i concetti di phased-array e di codifica di fase. Queste infatti, applicabili a tutti i tipi di sequenza, sono rese possibili dalla tecnologia phased-array e riducono i passi di codifica di fase necessari per ricostruire l’immagine completa. Il risultato è una diminuzione del tempo di acquisizione di un fattore R, accettando qualche compromesso relativamente alla qualità immagine.

3.8.1 Phased-array

Le bobine phased-array hanno come scopo quello di ottenere un maggior SNR. Ciascun elemento dell’array è sensibile a un minore volume di tessuto di una bobina equivalente più grande. Il rumore di accoppiamento induttivo, che domina di solito il pro-

3 La formazione dell’immagine a

77 b

Fig. 3.20 Schema di funzionamento della riduzione del rumore induttivo nelle bobine phased-array. La quantità di rumore induttivo (linee con freccia) registrato con il segnale da un’unica bobina, schematizzato in a, è superiore alla quantità di rumore registrato da un solo elemento di una bobina a quattro elementi, come visibile in b. L’adeguata copertura del segnale è garantita dall’accoppiamento di più elementi di bobina

cesso di formazione del rumore, dipende dall’entità del volume di tessuto interessato dalla bobina. Gli elementi di matrice più piccoli sono quindi caratterizzati da una quantità di rumore inferiore a quello di grandi bobine (Fig. 3.20), e poiché ciascun elemento dell’array sfrutta un canale di ricezione autonomo, le bobine phased-array possono combinare sorgenti di rumore non correlate, offrendo lo stesso tipo di vantaggio reso dalle bobine in quadratura rispetto alle bobine lineari. Per ogni elemento della matrice sono effettuate ricostruzioni separate e l’immagine finale è il risultato di una combinazione tra queste. L’aumentato SNR può essere sfruttato per ottenere una risoluzione più alta, tempi di scansione più brevi, maggiore copertura anatomica o una combinazione di tutti e tre i fattori. In particolare, nell’imaging parallelo l’aumento del SNR viene utilizzato per ridurre i tempi di acquisizione.

3.8.2 Profili di sensibilità degli elementi delle bobine

Nell’uso convenzionale delle bobine phased-array, le immagini prodotte da ciascun elemento sono combinate per formare l’immagine finale. Le variazioni spaziali inerenti alla sensibilità di ciascun singolo elemento di bobina sono combinate. I profili di sensibilità di ciascun singolo elemento differiscono tra loro poiché ricevono il segnale da regioni diverse dello spazio. Due aspetti essenziali nell’imaging parallelo sono rappresentati proprio dalla determinazione del profilo di sensibilità per ciascun elemento dell’array (operazione detta “mappatura”) e la combinazione lineare dei segnali provenienti dagli elementi dell’array. Al tempo complessivo richiesto per l’esame si deve aggiungere il tempo necessario a compiere l’operazione di mappatura. È possibile raggruppare le tecniche di imaging parallelo in due tipi principali: SMASH, che opera nell’ambito del k-spazio, prima delle operazioni di ricostruzione immagine ad opera della trasformazione di Fourier, e SENSE, che opera nel dominio spaziotemporale, a immagini già ricostruite.

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Nell’imaging parallelo la scansione è più veloce poiché si acquisiscono un numero minore di linee di k-spazio rispetto al numero necessario per completare la matrice-immagine: sfruttando la conoscenza dei profili di sensibilità degli elementi delle bobine phased-array, è possibile generare le linee mancanti del k-spazio (tecnica SMASH) o eliminare i ribaltamenti nelle immagini affette da aliasing a causa della riduzione delle dimensioni del FOV determinata dalla mancata acquisizione di linee alterne di k-spazio (tecnica SENSE). In entrambi i metodi il tempo di scansione diminuisce di un fattore di riduzione R: NSA TR NPE Scan time2D  R ETL dove NPE è la dimensione completa (non ridotta) della matrice di codifica di fase, ETL è l’echo-train-length (o turbo factor) se del caso, per una scansione 2D. Per una scansione 3D vale l’equazione: NSA TR NPE NSS Scan time2D  RPE RSS ETL dove RPE e RSS sono fattori di riduzione per ogni direzione di codifica di fase.

3.8.3 Imaging parallelo nello spazio immagine: la tecnica SENSE

La tecnica SENSitivity Encoding (SENSE) utilizzata negli scanner Philips è stata la prima tecnica di imaging parallelo immessa in commercio. Sostanzialmente simili sono la ASSET, disponibile negli scanner General Electric, e la SPEEDER di Toshiba. Nella tecnica SENSE è acquisito un k-spazio ridotto, usando un numero inferiore di passi di gradiente di codifica di fase, con una bobina di acquisizione phased-array. La ricostruzione immagine nella tecnica SENSE è effettuata dopo l’operazione di trasformazione di Fourier sui dati acquisiti. In un’acquisizione di tipo convenzionale, se si omettono di acquisire i passi di codifica di fase in posizione pari, si dimezza il tempo di scansione. Il FOV è però dimezzato anch’esso nella direzione della codifica di fase, e l’immagine è affetta da aliasing (Figg. 3.17b, 5.7): le regioni anatomiche esterne al FOV sono rappresentate ribaltate all’interno, con i segnali affetti da aliasing sovrapposti al segnale reale. Tuttavia, noto il campo di vista, la posizione dei contributi di segnale affetto da aliasing nell’immagine risultante è conoscibile, anche se non è nota la loro intensità. Nella tecnica SENSE si sfrutta la conoscenza dei profili di sensibilità dei singoli elementi di bobina per calcolare in ciascun punto l’entità del contributo di segnale affetto da aliasing, allo scopo di rimuoverlo. Un esempio con un fattore di riduzione di 2 e due elementi di bobina è mostrato in Figura 3.21, dove il punto P nell’immagine affetta da aliasing può essere visto come risultato della composizione dei segnali provenienti da due diverse posizioni: S(y) dalla posizione reale e S(y Y) dalla posizione affetta da aliasing. Purché siano note le singole sensibilità degli elementi di bobina, possiamo calcolare sia la componente del segnale reale che di quello localizzato scorrettamente, e quindi diventa possibile con una

3 La formazione dell’immagine

79 Fig. 3.21 Schema di ricostruzione immagine nella tecnica SENSE. Nell’esempio è considerato un fattore SENSE di due, quindi con due elementi coinvolti: la conoscenza preventiva dei profili di sensibilità di ciascun singolo elemento permette di rimuovere la sovrapposizione dei ribaltamenti delle regioni esterne al FOV

semplice operazione aritmetica riposizionare nella sua posizione corretta il segnale ribaltato all’interno del FOV per causa dell’aliasing. Nella pratica, dunque, è generata una mappa di sensibilità di ciascun elemento di bobina tramite una scansione di calibrazione a bassa risoluzione; è ricostruita per ciascun

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elemento un’immagine a FOV ridotto, quindi affetta da aliasing, per poi essere utilizzata per ricostruire l’immagine finale con la tecnica SENSE, utilizzando i risultati della ricostruzione immagine provenienti da altri elementi di bobina. Affinché la tecnica SENSE funzioni, ci deve essere una variazione di sensibilità della bobina lungo la direzione di codifica di fase. Di fatto, la tecnica funziona tanto meglio quanto più differiscono tra loro i profili di sensibilità delle bobine, e quindi producano immagini della stessa regione anatomica con diverse distribuzioni del segnale. Peraltro, array di bobine con geometria appropriata permettono di applicare la tecnica SENSE nelle tecniche di acquisizione 3DFT, in entrambe le direzioni di codifica di fase, aumentando ulteriormente il fattore di riduzione. Un’altra caratteristica di SENSE è che il fattore di riduzione può assumere qualsiasi valore tra 1 e il numero di elementi di cui è composta la bobina, e non soltanto valori interi. Eseguendo una scansione con tecnica SENSE, la dimensione del FOV dovrà essere opportunamente scelta in modo da comprendere tutta la regione di spazio da cui proviene segnale: diversamente, le parti esterne al FOV verranno ribaltate all’interno, a partire dalla mezzeria dell’immagine, e si sovrapporranno all’informazione corretta rendendola illeggibile. Mentre nelle tecniche più tradizionali il ribaltamento di solito avviene ai lati del campo di vista, e talvolta può essere accettabile perché non disturba la lettura dell’immagine, in questa tecnica il ribaltamento avviene al centro del FOV, sovrapponendosi e disturbando l’immagine ricostruita in modo non accettabile.

3.8.4 La tecnica mSENSE

La tecnica SENSE modificata (mSENSE) differisce da quella appena descritta perché non richiede una calibrazione aggiuntiva separata. Anche nella mSENSE si costruiscono per ciascun singolo elemento di bobina immagini a bassa risoluzione non affette da aliasing, allo scopo di generare per essi i relativi profili di sensibilità. Queste immagini sono però generate durante l’acquisizione, utilizzando le linee centrali contigue del k-spazio. In essa, le immagini a bassa risoluzione necessarie per generare la mappa di sensibilità degli elementi della bobina sono ottenute acquisendo linee aggiuntive delle regioni centrali del k-spazio durante l’acquisizione stessa. Disponendo dei profili di sensibilità degli elementi, l’applicazione successiva di un algoritmo di ricostruzione SENSE permetterà di eliminare l’aliasing dalle immagini ricostruite ottenendo correttamente l’immagine finale. Si osservi che la necessità di acquisire tali linee centrali di k-spazio aggiuntive, in questo caso, non permette di ottenere il risparmio di tempo teorico previsto dal fattore R.

3.8.5 Imaging parallelo nel k-spazio: la tecnica SMASH

La tecnica di acquisizione simultanea di armoniche spaziali (SiMultaneous Acquisition of Spatial Harmonics, SMASH): acquisizione simultanea di armoniche spaziali) è sta-

3 La formazione dell’immagine

ta la prima tecnica di imaging parallelo. Con il termine “armoniche spaziali” ci si riferisce alle frequenze spaziali: la tecnica SMASH opera infatti a livello del k-spazio, e utilizza delle combinazioni di sensibilità dei singoli elementi di bobina per creare una codifica di fase “virtuale”. In linea di principio, si può applicare questa tecnica a qualsiasi tipo di sequenza. Come la SENSE, essa permette una riduzione di tempo di un fattore “R” perché riduce il numero di passi di codifica di fase necessari per ogni scansione. Il principio alla base della tecnica SMASH è generare una codifica di fase utilizzando la risposta spaziale del sistema di ricezione RF. In pratica, questo significa usare degli array di elementi combinando i dati da essi provenienti per ottenere le necessarie variazioni sinusoidali in risposta nello spazio. Da un’appropriata combinazione “pesata” di segnali provenienti da diversi elementi di bobina è possibile ottenere varie distribuzioni spaziali dei segnali che possono dare come risultato le frequenze spaziali necessarie al completamento del k-spazio e alla ricostruzione immagine. La trattazione di questi argomenti è molto complessa e richiederebbe molto più spazio per essere esaustiva, ma si vuole evidenziare che l’utilizzo di queste tecniche di ricezione del segnale piuttosto diverse dalle tradizionali e che permettono di ottenere informazioni di tipo spaziale sfruttando i soli profili di sensibilità degli elementi riceventi, apre prospettive molto interessanti in merito all’acquisizione RM senza alcun uso di gradienti di codifica di fase. Al momento, il livello ingegneristico richiesto per produrre una bobina phased-array sufficientemente complessa è troppo elevato, perché per ottenere un k-spazio di 128 linee la bobina richiederebbe almeno 128 elementi, disposti lungo la direzione della codifica di fase. Anche se non si può escludere che in futuro l’evoluzione tecnologica possa portare con sé queste possibilità, al momento simili soluzioni tecniche appaiono ancora lontane, quindi la tecnica SMASH fa ancora uso di una combinazione tra la codifica di fase virtuale (ottenuta tramite l’array di bobine come descritto) e quella ottenuta tramite l’applicazione di gradienti. Senza scendere in ulteriori particolari, con tale tecnica è possibile, ad esempio, generare con la metà di acquisizioni reali ottenute tramite codifica di fase il doppio delle linee del k-spazio, associandovi le informazioni di codifica di fase virtuale prodotte con il sistema RF. In questo esempio, è possibile dimezzare il numero di passi di codifica di fase necessari, dimezzare il numero di eccitazioni richieste e dunque dimezzare il tempo necessario per la scansione. In questo caso il fattore di riduzione R è, pertanto, uguale a 2.

3.8.6 Ricostruzione immagine con metodo proiettivo

Il metodo proiettivo fu il metodo utilizzato da Lauterbur (e descritto in un articolo pubblicato su Nature nel 1973) per ricostruire una delle prime immagini RM (due tubi di acqua, come rappresentato in Figura 3.22). Tale metodo di acquisizione dei dati del kspazio può essere definito non-cartesiano, data la particolare traiettoria di riempimento.

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Fig. 3.22 Rappresentazione a tre dimensioni dell’esperimento di Lauterbur con il quale fu possibile ottenere la prima immagine di sezione RM: due cilindri di acqua come in Figura, dei quali si rappresentano i profili secondo quattro prospettive diverse (modificata da Lauterbur, 1973 con autorizzazione)

È molto simile al metodo utilizzato in TC, nel quale i dati acquisiti ad ogni profilo di attenuazione vengono retro-proiettati per ricostruire l’immagine finale, e per recuperare gli effetti di sfocatura delle immagini, si esegue una filtrazione matematica (filtered back projection). Nei vecchi apparecchi, la non perfetta linearità dei gradienti e le disomogeneità di campo enfatizzavano l’effetto di sfocatura, e questa tecnica fu sostituita dal metodo 2DFT (trasformata di Fourier bidimensionale, o tecnica spin-warp) descritta in precedenza. Nel metodo proiettivo, il gradiente di codifica di frequenza è applicato allo strato selezionato lungo una certa direzione, ad esempio l’asse orizzontale (asse x), ottenendo un “profilo” bidimensionale di intensità di segnale (Figg. 3.22, 3.23) corrispondente alla somma dei segnali provenienti dalle colonne ortogonali all’asse, aventi diversa frequenza di precessione a causa del gradiente applicato. Applicando nuovamente il gradiente nelle stesse condizioni, ma ruotandone di un certo angolo l’asse di applicazione, si ricaverà un nuovo e in generale diverso profilo di intensità di segnale, e tale operazione può essere ripetuta per tutto l’angolo giro, ottenendo un elevato numero di profili. In rapporto al sistema 2DFT, sono dunque previste l’applicazione del gradiente di selezione dello strato e di codifica di frequenza, ma non è prevista codifica di fase. Associando le informazioni provenienti da tutti i profili tramite opportuni algoritmi di retroproiezione, potrà essere ricostruita l’immagine della sezione e, come mostrato in Figura 3.23, maggiore è il numero di profili ricavati, maggiore sarà la precisione con la quale si riesce a ricostruire la sezione indagata. Oggi questo sistema di ricostruzione è stato abbandonato. È qui tuttavia ricordato non solo per ragioni storiche: le recenti tecniche di imaging parallelo prevedono schemi di acquisizione non-cartesiani, e hanno riportato in uso alcuni aspetti di questo sistema, anche se per ricostruire l’immagi-

3 La formazione dell’immagine

Fig. 3.23 Metodo della retroproiezione applicato alla ricostruzione della sezione in RM. In alto è rappresentato un esempio di rappresentazione grafica di tre diversi profili, secondo tre angolazioni diverse. Proseguendo con l’acquisizione di ulteriori profili secondo ulteriori proiezioni, migliora la precisione con cui è possibile rappresentare l’oggetto

ne i dati così acquisiti non vengono più retroproiettati ma ricollocati in una matrice bidimensionale tipo k-spazio e sottoposti a trasformazione di Fourier.

3.9 Sistemi di acquisizione non cartesiani Esistono numerose tecniche di riempimento del k-spazio non cartesiane, che sfruttano le possibilità delle attuali apparecchiature divenute ormai molto potenti e precise nell’applicazione dei gradienti. A tal proposito si parla, ormai, di “traiettorie” di riempi-

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Fig. 3.24 Tipologia di acquisizione non cartesiana del k-spazio. Utilizzata in alcune tecniche, produce un FOV circolare, e le eventuali regioni esterne non subiscono un semplice ribaltamento all’interno come nelle acquisizioni lineari, ma subiscono una delocalizzazione più complessa

mento del k-spazio, proprio perché è possibile tracciare delle direzioni anche molto complesse lungo le quali effettuare l’acquisizione. Alcune di esse producono un campionamento con traiettorie a spirale (al punto che in passato si parlò per un certo tempo di spiral-MR, in analogia con la TC spirale), altre producono un sovracampionamento delle regioni centrali del k-spazio per limitare alcuni tipi di artefatto. Nell’esempio illustrato nella Figura 3.24 è riportata un’acquisizione a “bande”, facendo ruotare un gruppo di 7 linee parallele passanti per il centro del k-spazio. Il FOV ottenuto è in questo caso circolare.

Letture consigliate Coriasco M, Rampado O, Balossino N, Rabellino S (2013) L’immagine digitale in diagnostica per immagini. Springer, Milano Gallagher TA, Nemeth AJ, Hacein-Bey L (2008) An introduction to the Fourier Transform: relationship to MRI. AJR 190:1396–1405 Lauterbur PC (1973) Image formation by induced local interactions: examples employing nuclear magnetic resonance. Nature 242:190 McRobbie DW, Moore EA, Graves MJ, Prince MR (2006) MRI from picture to proton. Cambridge University Press Moratal D, Valles-Luch a, Marti-Bonmati L, Brummers ME (2008) K-Space tutorial: an MRI educational tool for a better understanding of k-space. Biomed Imaging Interv J 2008 4(1) Schoenberg SO, Dietrich O, Reiser MF (2007) Parallel imaging in clinical MR applications. Springer, Berlin Thomas SR, Dixon RL (1986) NMR in medicine, the instrumentation and clinical applications. AAPM, New York

ESERCIZI

Esercizi 1) Indicare tra le seguenti la corretta definizione di gradiente di campo magnetico: a) un’inclinazione della direzione del campo magnetico statico rispetto all’asse z longitudinale b) un campo magnetico aggiuntivo che assume sempre valori oscillanti nel tempo c) una variazione lineare dei valori dell’intensità del campo magnetico lungo una specifica direzione d) una variazione lineare dei valori dell’intensità del campo magnetico lungo l’asse x 2) Lo spazio k è: a) l’insieme dei dati grezzi raccolti dalle bobine di ricezione e disposti in una matrice n×n b) l’insieme di fasi, intensità e frequenze provenienti dal dominio trasformato c) la trasformata di Fourier dei dati grezzi d) l’insieme di fasi, intensità e frequenze provenienti dal segnale RF ricevuto dallo scanner 3) L’utilizzo del gradiente di codifica di fase è irrinunciabile per ricostruire un’immagine RM? a) no, il concetto di codifica di fase è utilizzato nella 2DFT, ma esistono altri sistemi di ricostruzione b) sì, il concetto di codifica di fase è utilizzato nella 2DFT, non esistono altri sistemi di ricostruzione c) dipende se si utilizza in associazione al gradiente di codifica di frequenza oppure no d) non è irrinunciabile, ma è fortemente consigliato per ottenere immagini stabili 4) Qual è l’importante caratteristica di un segnale periodico descritta dal teorema di Fourier? a) il teorema di Fourier non tratta in generale di segnali periodici ma solo sinusoidali b) quella di poter essere descritto come somma di funzioni sinusoidali, di frequenza e fase opportuna e a meno di un dato fattore moltiplicativo, che ne definisce l’ampiezza c) quella di poter essere descritto come somma di funzioni periodiche a onda quadra, di frequenza e fase opportuna e a meno di un dato fattore moltiplicativo, che ne definisce l’ampiezza d) nessuna delle precedenti risposte è corretta 5) Un segnale qualsiasi può essere trasformato in un segnale periodico? a) sì, ma solo rendendolo sinusoidale b) sì, replicando identicamente la sua forma d’onda a destra e a sinistra dell’asse temporale c) no, mai d) in RM non vi è motivo di trasformare un segnale generico in uno periodico

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ESERCIZI

6) Che caratteristica conferisce al campo magnetico l’applicazione di un gradiente lungo una certa direzione? a) gli attribuisce una valore dipendente in modo lineare dalla coordinata spaziale lungo la quale è applicato (x, y o z) b) gli attribuisce una valore dipendente in modo logaritmico dalla coordinata spaziale lungo la quale è applicato (x, y o z) c) gli attribuisce una valore dipendente in modo esponenziale dalla coordinata spaziale lungo la quale è applicato (x, y o z) d) in RM non viene mai applicato un gradiente lungo una sola direzione 7) Come può essere selezionato uno strato in sezione trasversale? a) variando la posizione del null-point del gradiente applicato sull’asse orizzontale b) variando la posizione del null-point del gradiente applicato sull’asse verticale c) variando la posizione del null-point del gradiente applicato sull’asse trasversale d) variando la posizione del null-point del gradiente applicato sull’asse longitudinale 8) Quali parametri sono in grado di influenzare lo spessore della sezione selezionata da un gradiente applicato lungo l’asse longitudinale? a) posizione del null-point del gradiente applicato e dimensione della matrice b) pendenza dell’impulso RF e dimensione del voxel c) pendenza del gradiente e larghezza di banda dell’impulso RF d) pendenza di banda e larghezza del gradiente dell’impulso RF 9) Qual è la funzione del gradiente di codifica di frequenza nella sequenza a eco di spin? a) variare opportunamente la frequenza di precessione dei nuclei durante la lettura del segnale b) “spazzolare” verticalmente il k-spazio durante la lettura del segnale RF c) preparare la magnetizzazione residua d) distruggere la magnetizzazione longitudinale residua 10) Qual è la funzione del gradiente di codifica di fase nella sequenza a eco di spin? a) “spazzolare” orizzontalmente il k-spazio durante la lettura del segnale RF b) selezionare la riga (o la colonna) del k-spazio che verrà riempita dai dati della successiva lettura di segnale c) selezionare la fase corretta per l’emissione del segnale nel k-spazio d) distruggere la magnetizzazione longitudinale nelle sequenze spin-echo 11) La codifica di fase: a) va sempre tarata perfettamente con un apposito cacciavite cerca-fase b) è compiuta da applicazioni successive di un gradiente con pendenze variabili, fino alla completa copertura del k-spazio c) seleziona la fase corretta per l’emissione del segnale nel k-spazio d) distrugge la magnetizzazione longitudinale nelle sequenze spin-echo

ESERCIZI

12) La codifica di frequenza: a) va sempre tarata perfettamente con un apposito cacciavite cerca-frequenza b) è compiuta ad opera di un gradiente (detto anche gradiente di lettura) durante la lettura del segnale c) seleziona la fase corretta per l’emissione del segnale nel k-spazio d) distrugge la magnetizzazione longitudinale nelle sequenze spin-echo 13) Indicare quale tra le seguenti affermazioni sul k-spazio è quella corretta: a) concentra le basse frequenze spaziali nelle sue regioni periferiche b) concentra le alte frequenze spaziali nelle sue regioni con più segnale c) concentra le alte frequenze spaziali nelle sue regioni centrali d) concentra le basse frequenze spaziali nelle sue regioni centrali 14) Indicare quale tra le seguenti affermazioni sul k-spazio è quella scorretta: a) concentra le alte frequenze spaziali nelle sue regioni periferiche b) è realizzato ad opera di due gradienti durante la lettura del segnale c) è caratterizzato da una doppia simmetria assiale d) concentra le basse frequenze spaziali nelle sue regioni centrali 15) Indicare quale affermazione sulla tecnica a matrice di fase ridotta è scorretta: a) si perdono informazioni sulla risoluzione, preservando quelle sul contrasto b) si perdono informazioni sul contrasto, preservando quelle sulla risoluzione c) i pixel divengono rettangolari d) aumenta il rapporto segnale-rumore dell’immagine 16) Indicare tra le seguenti quale affermazione sulla tecnica a campo di vista rettangolare (Rectangular FOV) è corretta: a) si perdono informazioni sulla risoluzione, preservando quelle sul contrasto b) si perdono informazioni sul contrasto, preservando quelle sulla risoluzione c) i pixel divengono rettangolari d) la risoluzione spaziale è mantenuta, ma le dimensioni del FOV diminuiscono di una quantità proporzionale al numero di linee del k-spazio che non sono acquisite 17) Lo slew-rate (vale a dire la prestazione di un gradiente): a) può aumentare indefinitamente, è solo un problema tecnologico b) non può essere raggiunto da tutti i gradienti c) causa sempre una stimolazione nervosa periferica d) è definito dal rapporto tra il valore del picco di intensità raggiungibile e il tempo necessario a raggiungerlo 18) Indicare quale affermazione riguardante le tecniche di acquisizione multislice è quella scorretta: a) permettono di acquisire più sezioni a parità di tempo rispetto alle single-slice b) permettono di acquisire la stessa quantità di sezioni ottenibile con una tecnica a singola slice, ma con un tempo lievemente maggiore

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c) permettono di sfruttare il tempo morto all’interno di un tempo di ripetizione d) devono acquisire sezioni non contigue, ad evitare artefatti da flusso o da interferenza tra strati 19) Il metodo della retroproiezione utilizzato in TC può essere applicabile anche alla RM? a) sì, ma solo se filtrata ad opera di un operatore convolutivo b) no, mai c) dipende dalla potenza dei gradienti e dalla natura della materia analizzata d) sì, fu il primo sistema utilizzato da Lauterbur nel 1973 per acquisire e ricostruire l’immagine 20) Indicare quale tra le seguenti affermazioni sulla tecnica m-SENSE è quella scorretta: a) rispetto alla SENSE, richiede una calibrazione aggiuntiva separata b) rispetto alla SENSE, non richiede una calibrazione aggiuntiva separata c) i profili di sensibilità a bassa risoluzione, sono ricavati durante l’acquisizione stessa, sfruttando i dati provenienti dalle linee centrali del k-spazio d) il tempo di acquisizione aumenta perché devono essere acquisiti più dati relativi alle regioni centrali del k-spazio per ottenere i profili di sensibilità a bassa risoluzione

Le sequenze RM: tecniche fondamentali

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Osvaldo Rampado, Mario Coriasco, Gianni Boris Bradac

Indice dei contenuti 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7

Introduzione Sequenze spin-echo Sequenze TSE Sequenze a eco di gradiente Sequenze Inversion Recovery Sequenze ibride (EPI e turbo gradient spin echo) Sequenze Angio-RM

4.1 Introduzione Per indicare un protocollo di acquisizione in risonanza magnetica è utilizzato il termine sequenza. Il termine sta a indicare che l’azione dei diversi campi magnetici utilizzati, in particolare gli impulsi a radiofrequenza e dei gradienti, deve avvenire “in sequenza”, con tempi e durate specifiche per il tipo di contrasto che si desidera ottenere. Gli obiettivi comuni a tutte le sequenze sono quelli descritti nei capitoli precedenti: produrre un segnale misurabile attraverso la creazione di una magnetizzazione trasversale, la definizione di una codifica spaziale per la ricostruzione dell’immagine e la generazione di un’opportuna tipologia di contrasto. Le possibilità con cui ottenere questi obiettivi e generare forme di contrasto diverse sono numerosissime; esse sono state oggetto di grande sviluppo negli ultimi anni e tuttora si continua a perfezionare e a ideare nuove tipologie di sequenze. Il funzionamento di ciascuna sequenza può essere analizzato utilizzando il diagramma temporale, mostrando l’azione reciproca dei gradienti e impulsi RF con la generazione e raccolta del segnale. Esistono diversi tipi di parametri che possono concorrere Elementi di risonanza magnetica. Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Gianni Boris Bradac (a cura di) DOI: 10.1007/978-88-470-5641-1_4 © Springer-Verlag Italia 2014

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alla definizione di una sequenza, come il TE, il TR o l’angolo di ribaltamento FA che, a differenza di quanto visto finora può anche essere diverso da 90° e in alcune modalità può assumere valori di pochi gradi. Per ciascuna sequenza si analizzerà, in particolare, il ruolo dei suoi peculiari parametri estrinseci. La nomenclatura utilizzata per denominare le diverse sequenze non è standard, e solitamente si riferisce ad acronimi ideati e proprietari delle diverse ditte produttrici. Questo è spesso fonte di confusione per gli operatori che intendono confrontarsi sui risultati ottenibili su apparecchiature diverse, anche perché non è sempre agevole la variazione di uno stesso parametro in apparecchiature prodotte da costruttori diversi. Talvolta sono utilizzati nomi diversi per identificare lo stesso parametro, sia quelli spaziali, sia quelli estrinseci. Al termine del capitolo è quindi riportata una tabella di confronto tra denominazioni associate allo stesso tipo di sequenza da parte di ditte diverse.

4.2 Sequenze spin-echo Nella trattazione degli argomenti precedenti sono state introdotte le sequenze spin-echo (SE), tra le prime sequenze utilizzate a scopi clinici e fondamentali per comprendere alcuni elementi essenziali della correlazione tra i parametri estrinseci e quelli intrinseci. Questi elementi saranno utili in seguito anche per considerazioni riguardanti le altre sequenze. Tra questi, giova ricordare il doppio ruolo svolto dall’impulso di rifocalizzazione a 180°: 1. recuperare gli effetti delle disomogeneità di campo magnetico, responsabili di un decadimento T2* della magnetizzazione trasversale, grazie a una inversione di posizione tra gli spin più “lenti” e quelli più “veloci”; 2. invertire le magnetizzazioni longitudinali dei voxel, creandone una di identica intensità, con identico punto di applicazione ma di verso opposto. Il primo dei due effetti influisce sul tipo di rilassamento trasversale che caratterizza la sequenza, conferendole un contrasto T2- o T2*-pesato. Il secondo influisce sul rilassamento longitudinale, e ha importanza in tutte le sequenze nelle quali è necessario “preparare” la magnetizzazione longitudinale su cui poi si eseguirà il ribaltamento su piano trasversale per compierne la lettura, ad esempio le sequenze Inversion Recovery (IR). Nelle tecniche SE più rapide, è possibile acquisire più linee del k-spazio dopo un solo impulso di eccitazione, ma il risparmio di tempo è generalmente pagato sotto forma di degrado della qualità immagine, comparsa o accentuazione di artefatti. Con “sequenze SE convenzionali” si intendono sequenze spin-echo nelle quali ad ogni impulso somministrato viene acquisita una sola linea. Esse sono ancora utilizzate, pur con sempre minor frequenza, per le loro caratteristiche di definizione del contrasto e perché limitano alcuni tipi di artefatto e sono comunemente abbinate a una tecnica di acquisizione multislice, con un riempimento dello spazio k sequenziale, una linea per volta. L’impulso di eccitazione utile a creare la magnetizzazione trasversale che genera il segnale misurabile è solitamente un impulso a 90° ma, per svariati motivi, è anche possibile usare angoli minori. Per esempio, in sequenze T1-pesate a singolo eco può essere utile adottare un angolo minore per aumentare il contrasto T1 tra le strutture, in particolare nel-

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

Fig. 4.1 Valori tipici di TE e TR per ottenere immagini con la tipologia di contrasto indicata in una sequenza SE

le apparecchiature in cui un sempre più alto campo magnetico aumenta proporzionalmente anche i tempi di rilassamento longitudinali dei tessuti e, di conseguenza, la possibilità di ottenere tra di essi un buon contrasto. Si ricordi, in ogni caso, che maggiore è la differenza del flip-angle (FA) dall’angolo retto, peggiore diventa il rapporto segnale-rumore (SNR) a causa della minore entità della magnetizzazione trasversale prodotta per generare il segnale. I tipi di contrasto generalmente ottenibili con le sequenze SE convenzionali sono quelli T1, T2 e DP. La pesatura T1 può essere aumentata riducendo entro certi limiti il TR, mentre la pesatura in T2 può essere aumentata incrementando il TE, come sintetizzato in Figura 4.1.

4.2.1 Sequenze spin-echo a doppio eco

In Figura 4.2 è mostrato il diagramma temporale di una sequenza SE convenzionale un tempo molto utilizzata, la “doppio eco”. Come si ricorderà (cfr. capitolo 2), per limitare nelle immagini T2- o DP-pesate la presenza di contrasto T1-dipendente, legato al diverso tempo impiegato dai tessuti a recuperare la propria magnetizzazione longitudinale, è necessario concedere a quest’ultima un lungo tempo per il rilassamento, prima di ribaltarla sul piano trasversale per una nuova lettura: dopo il ribaltamento, soltanto il tempo atteso per la lettura del segnale attribuisce il contrasto delle immagini. Esso risulta DP-pesato se, dopo il ribaltamento, il segnale è letto rapidamente e non si concede tempo ai fenomeni di rilassamento trasversale di far sentire i loro effetti, oppure T2pesato, se prima di leggere il segnale si attende che le magnetizzazioni trasversali decadano più o meno rapidamente in base alle caratteristiche fisico-chimiche dei tessuti. Nella sequenza a doppio eco si sfruttano queste caratteristiche: si mantiene opportunamente lungo il tempo intercorrente tra le ripetizioni degli impulsi a 90°, in modo da minimizzare i contributi di contrasto T1-dipendenti, e si generano due echi distinti con due impulsi a 180°: il primo è generato precocemente, pertanto non è condizionato dai fenomeni di rilassamento trasversale e risulta dunque DP-pesato, quello più tardivo genera invece proprio un segnale legato al rilassamento trasversale ed è dunque T2-pesato.

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Fig. 4.2 Diagramma temporale di una sequenza spin-echo a doppio eco. Nella riga RFin è rappresentata rispettivamente la temporizzazione degli impulsi di eccitazione (90°) e di rifasamento (180°). Nelle righe sottostanti è rappresentata la temporizzazione di applicazione dei gradienti di selezione della sezione (Gz), di codifica di fase (Gx) e di lettura o di codifica di frequenza (Gz). Nell’ultima riga (RFout) i segnali di eco prodotti

Anche qui sono utilizzabili flip-angle diversi da 90°, per esempio in una sequenza a doppio eco pesata in T2, l’angolo dell’impulso di eccitazione può essere diminuito lasciando invariato il contrasto rispetto al caso dell’impulso a 90°, allo scopo di ridurre il TR e, quindi, il tempo totale di acquisizione. Osservando il diagramma temporale, si nota che l’applicazione dei gradienti di selezione strato e di codifica di fase è identica per i due echi successivi. Vi è tuttavia un’importante differenza riguardante l’applicazione del gradiente di lettura (riquadro verde): sulla seconda eco, esso è applicato per un tempo maggiore. La prima eco, usata per avere un TE breve, è generata quando la magnetizzazione trasversale, appena ribaltata, è ancora di entità rilevante ed è capace di generare un segnale di buona intensità. Il secondo dei due echi è invece generato volutamente dopo un TE lungo, per ottenere la pesatura in T2, ma proprio per questa esigenza di dover attendere che la magnetizzazione trasversale si riduca; in questo caso, il segnale è di minore entità, dunque diminuisce anche il rapporto segnale-rumore. Per compensare questa differenza, si ricorre dunque all’aumento del tempo di campionamento del secondo segnale. Tecniche in cui le sequenze hanno periodi di campionamento di diversa durata vengono denominate tecniche variable bandwith o mixed bandwith. Le più comuni tra le implementazioni delle sequenze SE convenzionali sono: • la sequenza SE a eco singolo con TR breve per la generazione di immagini pesate in T1; • la sequenza SE a eco doppio con un lungo TR e due impulsi di eco con TE breve per il primo e lungo per il secondo, in modo da ottenere contemporaneamente un’immagine DP-pesata e una pesata in T2.

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

Fig. 4.3 Indicazioni sull’apparenza dei tessuti per le diverse tipologie di contrasto in base ai loro parametri intrinseci

Fig. 4.4 Indicazioni e confronti dell’intensità di segnale per diversi tessuti nei vari tipi di contrasto

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Uno o più impulsi RF possono essere utilizzati prima dell’impulso di eccitazione a ogni ripetizione per ottenere un diverso controllo del contrasto, ad esempio nelle IR. Questi “pre-impulsi” sono comunemente usati per uno dei seguenti scopi: • ottenere una saturazione del segnale del grasso (fat-sat o chem-sat); • raggiungere una soppressione selettiva spazialmente di tessuti in movimento (per ridurre gli artefatti da movimento); • ottenere una soppressione di segnale selettiva rispetto a una precisa frequenza. Le sequenze più note che fanno uso di un impulso RF prima di quello di eccitazione sono le IR, trattate in seguito. Riassumendo, i principali vantaggi delle sequenze SE convenzionali sono costituiti da un SNR relativamente alto, un’ampia varietà di contrasti ottenibili, una bassa sensibilità ad artefatti provocati da sorgenti di segnale indesiderate e anche agli artefatti legati a malfunzionamenti dell’apparecchiatura come distorsioni dei gradienti o imprecisioni nell’ampiezza degli impulsi RF. Le limitazioni maggiori di queste sequenze sono legate ai tempi relativamente lunghi di acquisizione e, di conseguenza, alla sensibilità agli artefatti da movimento (Figg. 4.3, 4.4).

4.3 Sequenze TSE Nell’evoluzione delle tecniche RM, uno degli obiettivi principali riguarda la riduzione dei tempi necessari per l’acquisizione. Prima dello sviluppo in tempi più recenti di tecniche di imaging parallelo (vedi capitolo 3), uno dei più importanti progressi in questa direzione è stato lo sviluppo di tecniche “veloci” denominate turbo spin-echo (TSE) o anche fast spin-echo (FSE). Come si comprende dal nome, sono sequenze a eco di spin che riducono sensibilmente i tempi necessari alla realizzazione delle immagini RM. Questo tipo di sequenza fu proposto da Hennig nel 1986, e l'acronimo RARE è tuttora utilizzato per indicarla. Loro caratteristica fondamentale è che la codifica di fase è unica per una serie di impulsi di eco all’interno di un TR, invece che per un solo eco (o una coppia) come avviene nella SE convenzionale. Gli impulsi di eco successivi e i segnali di eco prodotti sono utilizzati per riempire più linee dello spazio k, sfruttando un unico impulso di eccitazione. Nel diagramma temporale in Figura 4.5 è possibile vedere l’impulso di eccitazione, solitamente a 90°, seguito da numerosi impulsi di rifocalizzazione (sette, nell’esempio). Il gradiente di codifica di fase assume il valore appropriato, associato cioè alla linea dello spazio k da riempire, prima della lettura del segnale di eco. In seguito, appena terminata la fase di lettura, è applicato un gradiente di codifica di fase di uguale ampiezza e verso opposto, con l’obiettivo di annullare l’effetto del precedente gradiente. In questo modo, gli echi generati dagli impulsi di rifocalizzazione successivi saranno tutti codificati in modo equivalente, senza effetti di memoria degli sfasamenti provocati dai gradienti precedenti che potrebbero generare la presenza di artefatti sotto forma di segnali ghost o bande di intensità.

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

95 Fig. 4.5 Diagramma temporale di una sequenza turbo spin echo a doppio eco con ETL = 7. Rf in, impulsi di eccitazione (90°) e di rifasamento (180°); Gz, tempo di intervento del gradiente di selezione strato; Gx, tempo di intervento del gradiente di codifica di fase; Gy, tempo di intervento del gradiente di lettura o di codifica di frequenza; Rf out, produzione dei segnali di eco

Si osservi che per utilizzare un maggior numero di impulsi RF di rifocalizzazione, in particolare nel caso di acquisizione multislice, senza che il SAR raggiunga valori eccessivi, l’angolo di deflessione può essere ridotto a un valore inferiore a 180°, in particolare su apparecchiature ad alti valori di campo (maggiori di 1,5 T). Un impulso a 150° cede ai tessuti una quantità di RF sensibilmente inferiore rispetto a un impulso a 180°, ma produce un’eco di intensità inferiore del 31%. Il numero di eco generate all’interno di un TR è denominato echo train length o turbo factor (ETL o TF). A prima vista potrebbe sembrare che il tempo di acquisizione di una TSE sia ridotto di un fattore 1/ETL rispetto a una sequenza SE convenzionale; in realtà, a causa della durata del treno di echi, il TR richiesto per una sequenza TSE è maggiore di quello utilizzato nelle sequenze convenzionali. Il risparmio di tempo è comunque rilevante, grazie al più rapido riempimento dello spazio k. Un altro parametro caratterizzante delle sequenze TSE l’echo spacing (ESP). Esso rappresenta l’intervallo tra un impulso di rifocalizzazione e il successivo. Le caratteristiche dei contrasti ottenibili sono analoghe a quelle già descritte per le SE: possono essere a contrasto singolo (T1, T2 o DP) oppure a “doppio contrasto” (DPT2) come nella SE a doppio eco. Si osservi, tuttavia, che esistono importanti differenze tra le sequenze SE convenzionali e le TSE. In particolare, in queste ultime, il ruolo fondamentale nella determinazione del contrasto è svolto dal gradiente di codifica di fase e dall’ordine di riempimento del k-spazio. Si consideri la mappa del k-spazio mostrata in Figura 4.6, nella quale è schematizzato l’ordine temporale con cui le linee sono riempite. L’ampiezza degli echi successivi generati non è costante: essa, per effetto dei fenomeni connessi con il rilassamento

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Fig. 4.6 Rappresentazione schematica di alcune possibili mappature dello spazio k in sequenze TSE. In alto è indicata la curva di decadimento della magnetizzazione trasversale: il tempo a cui si genera il segnale ne decide anche l’intensità. L’intensità del segnale generato a 120 ms (E6), è più bassa dell’intensità del segnale E2, generato a 40 ms. Nell’esempio in basso, un k-spazio formato da 7 echi. Si ricordi che le regioni centrali del k-spazio sono quelle in cui è concentrata maggiormente l’informazione riguardante il contrasto dell’immagine, mentre in quelle periferiche si concentra maggiormente l’informazione sulla definizione dell’immagine. Acquisendo con un’opportuna codifica di fase la riga centrale del k-spazio al tempo voluto, si attribuirà all’immagine un contrasto da esso dipendente. a Tempo di eco efficace  80 ms; b  20 ms; c  140 ms

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

trasversale, è decrescente (Fig. 4.6, in alto). Come descritto nel terzo capitolo, si ricordi che le informazioni sul contrasto d’immagine sono contenute in maggior misura nelle basse frequenze, che si concentrano nelle regioni centrali del k-spazio (Fig. 3.15). Nell’esempio, per semplicità, è stato considerato un k-spazio molto limitato, composto di sole 7 righe. In esso, la riga centrale è la quarta: l’eco che riempirà quella linea deciderà il tipo di contrasto dell’immagine finale. Un’eco precoce concederà ai fenomeni di rilassamento trasversale T2-dipendenti poco tempo di intervenire, e conferirà all’immagine un contrasto T1 o DP-dipendente, in base al TR impiegato. Al contrario, se a riempire la riga centrale è un’eco tardiva, concederà ai diversi tessuti più tempo per l’intervento dei fenomeni di rilassamento trasversale, e il contrasto dell’immagine finale si sposterà verso una maggiore dipendenza dal T2: più scuri saranno i tessuti con magnetizzazione trasversale a decrescita più rapida, più chiari i tessuti la cui magnetizzazione trasversale si conserva per tempi più lunghi. Secondo quanto detto, va introdotto dunque un altro parametro, il tempo di eco efficace (TEeff): esso è l’intervallo di tempo tra l’impulso di eccitazione e la lettura dell’eco corrispondente alle linee centrali del k-spazio, che influenzano il contrasto dell’immagine finale. Nell’esempio in Figura 4.6a, l’ESP vale 20 ms e il TEeff avrà un valore di 80 ms: il contrasto dell’immagine sarà dunque T2-pesato. Si osservi che vi sono svariate possibilità di mappatura del k-spazio, di cui in Figura 4.6 vi sono altri esempi: in 4.6b la porzione centrale dello spazio k corrisponde al primo degli echi (E1) e dunque TEeff  20 ms, tempo breve compatibile con un contrasto d’immagine pesato in T1 o DP. In 4.6c, è l’ultimo degli echi (E7) a corrispondere alla parte centrale dello spazio k, dunque si ha TEeff  140 ms, tempo lungo, come richiesto da un’immagine T2-pesata. Altre considerazioni rilevanti riguardano la risoluzione spaziale: nel capitolo 3 si è visto che le informazioni sulla risoluzione spaziale dell’immagine si concentrano verso le regioni periferiche del k-spazio. L’ordine con cui sono acquisite le linee dello spazio k diventa quindi decisivo per stabilire la qualità dell’immagine in termini di risoluzione. Nell’esempio in Figura 4.6b le linee periferiche sono acquisite per ultime, i segnali che riempiono tali linee avranno ampiezza ridotta, e la risoluzione dell’immagine sarà di conseguenza inferiore. Per limitare gli effetti di questo fenomeno, nelle acquisizioni pesate in T1 o DP, si riduce il più possibile l’ETL: il treno di echi sarà generato in minor tempo e l’ampiezza degli ultimi echi, che andranno a riempire le linee periferiche del k-spazio, sarà maggiormente conservata. Nell’esempio in Figura 4.6c le linee periferiche sono acquisite per prime, quando cioè il segnale è ancora elevato, e questo conferirà all’immagine una maggior risoluzione spaziale, le linee centrali per ultime. Tuttavia, anche se si potrebbe pensare a un’influenza dello scarso segnale sulle informazioni di contrasto, poiché le righe centrali del k-spazio sono caratterizzate intrinsecamente da segnali più elevati, gli effetti sulle immagini non sono rilevabili. È da rilevare che, per ottenere una pesatura di contrasto T1-dipendente, come nel caso delle sequenze SE, il TR dev’essere opportunamente breve. Il numero di echi (ETL) che è possibile generare all’interno del TR è dunque più basso; per generare l’immagine sarà necessario un maggior numero di treni di echi ma di durata inferiore: il tempo totale di sequenza per i due tipi di contrasto, quindi, non differirà in modo significativo.

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Un’altra importante considerazione riguarda la visibilità di conseguenze di micro-eventi emorragici: in altre sequenze, essi sono rilevabili come caduta di segnale, in virtù delle proprietà paramagnetiche dei prodotti di degradazione del sangue. Nelle sequenze TSE la presenza dei molteplici impulsi di rifocalizzazione, che recuperano gli effetti delle disomogeneità di campo magnetico create dai micro-sanguinamenti, può abbatterne o annullarne il segnale. Questa caratteristica le rende dunque inadatte in questo genere di indagini. Un altro tipo di mappatura dello spazio k prevede la produzione di più immagini con la condivisione di alcune linee di acquisizione e la diversificazione delle linee dominanti nel contrasto. Questa tecnica è un’estensione delle sequenze TSE a doppio eco, perché anch’essa permette con un’unica acquisizione di produrre immagini con diverse pesature di contrasto. Nelle sue implementazioni più comuni, la tecnica TSE è utilizzata con acquisizione multislice, ma è possibile abbinarla anche alla single-slab o multi-slab 3D. Riassumendo, si può dire che le sequenze TSE possiedono molte delle caratteristiche delle SE, ma presentano il grande vantaggio di ridurre notevolmente il tempo di acquisizione, in una misura che dipende dalla risoluzione desiderata. Per esempio, l’impiego delle TSE è particolarmente vantaggioso se si desidera ottenere delle immagini ad alta risoluzione con matrice 512 512. I vantaggi ottenuti da tale tipo di sequenze trovano largo impiego, ad esempio, nelle acquisizioni rapide di immagini pesate in T2 da acquisire in apnea o immagini neurologiche T1- o T2-pesate con matrici ad alta risoluzione. È da rilevare, inoltre, che l’impiego commerciale di sequenze TSE efficienti richiese la realizzazione di apparecchiature con standard tecnici qualitativi piuttosto elevati, in particolare per la parte concernente la generazione degli impulsi RF e di controllo dei gradienti.

4.3.1 Sequenze DIET

Un’altra importante differenza tra immagini SE e TSE che riguarda il contrasto delle immagini è rilevabile nei tessuti a contenuto lipidico: essi, nelle sequenze TSE, sono rappresentati con un’intensità di segnale molto più elevata rispetto alle corrispondenti sequenze a eco di spin T1- o T2-pesate. Tale rappresentazione artefattuale dipende da una perturbazione introdotta dall’utilizzo della sequenza TSE che, per le sue caratteristiche, influenza il tempo di rilassamento caratteristico dei tessuti lipidici, e i suoi effetti sono tanto più evidenti quanto più breve è l’ESP. Questo comportamento può essere attribuito a una riduzione dei fenomeni di accoppiamento tra molecole (J-coupling) che solitamente, nelle sequenze SE, conferisce ai tessuti adiposi segnale più basso: nelle sequenze TSE la veloce ripetizione degli impulsi a 180° tende a inibire i fenomeni di accoppiamento; di conseguenza, i lipidi appaiono con segnale più elevato. Allo scopo di limitare il fenomeno sono state ideate le sequenze FSE dette Delayed (o Dual) Interval Echo Train (DIET), nelle quali è aumentato il tempo tra l’impulso a 90° e quello a 180° che genera il primo eco di segnale: con 40 ms, l’emissione della

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

99 Fig. 4.7 Diagramma temporale di sequenza turbo spin-echo DIET

prima eco (1) avverrà a 80 ms, concedendo tempo sufficiente per intervenire ai fenomeni di J-coupling. Come nella sequenza SE, essi ora provocheranno un defasamento più precoce, con conseguente caduta del segnale, che continuerà a mantenersi anche durante l’emissione del successivo treno di echi con intervallo (ESP) invariato (nell’esempio in Figura 4.7, 2 vale circa 30 ms). Il segnale dei tessuti adiposi torna così a essere simile a quello delle sequenze SE.

4.3.2 Sequenze TSE a doppio eco

Esistono svariate denominazioni per questo tipo di sequenza, come Double Fast Spin Echo (DFSE), Double Turbo Spin Echo (DTSE/DE-TSE), Dual Echo Fast Acquisition Interleaved Spin Echo (DEFAISE), ma lo scopo è comune: generare contemporaneamente immagini pesate in T2 e in DP, come la sequenza SE a doppio eco.

4.3.3 Sequenze single-shot TSE

Fin dalle prime implementazioni delle sequenze RARE con echi multipli si è pensato alla possibilità di acquisire un’intera immagine a seguito di un unico impulso di eccitazione (single shot). Il problema era legato ai tempi di echo spacing, non inferiori a 20 ms, per cui la durata del treno di echi risultava pari a diversi secondi per dimensioni tipiche della matrice di acquisizione. Di conseguenza, le prime applica-

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zioni di tali tecniche erano limitate allo studio di tessuti con T2 molto lunghi, vale a dire i fluidi, come per esempio nella mielografia o nell’urografia MR. L’evoluzione della tecnologia ha permesso il raggiungimento di echo spacing dell’ordine di 5 ms, con durata del treno di echi molto al di sotto di 1 sec. Un altro passo in avanti è stato reso possibile dalla combinazione della modalità di acquisizione dello spazio k denominata Half-Fourier, descritta in precedenza, con queste sequenze single shot, formando la tecnica denominata Half-Fourier Acquisition Turbo Spin Echo (HASTE). In essa, il treno di echi ha una durata inferiore a 0,5 s e si ha quindi la possibilità di acquisire immagini con un TEeff inferiore a 100 ms, mantenendo a un livello accettabile la degradazione della qualità dell’immagine dovuta al rilassamento durante il treno di echi. Le applicazioni di queste tecniche single shot con TE bassi o medi includono la diagnostica addominale, cardiaca e fetale. Le applicazioni legate a TE più lunghi rimangono di interesse, specialmente con i recenti sviluppi della colangiografia del pancreas RM (CPRM), che consente una rappresentazione non invasiva delle vie biliari e dei dotti pancreatici. Il diagramma temporale di una sequenza single shot TSE è essenzialmente lo stesso di quello mostrato per le sequenze TSE, con un numero di echi sufficiente ad acquisire un’intera immagine. Per la mappatura dello spazio k vengono adottati schemi simili a quelli descritti nel paragrafo precedente, per ottenere il TEeff desiderato. Per le HASTE, la codifica di fase inizia con alcune (tipicamente 8) linee centrali dello spazio k e procede sequenzialmente dal centro verso le linee che contengono le informazioni relative alle frequenze spaziali più alte. La tipologia di contrasto tipicamente utilizzata con questo tipo di sequenze è di tipo T2. Poiché si tratta di una tecnica single shot, il TR è praticamente infinito, di conseguenza è totalmente assente la pesatura in T1. Questo tipo di contrasto può essere ottenuto solo introducendo degli impulsi di preparazione, come avviene nelle sequenze IR. Riassumendo, le sequenze single shot TSE sono in grado di produrre immagini di alta qualità e alto SNR, con tempi di acquisizione di poche centinaia di millisecondi. Queste tecniche sono sufficientemente rapide da permettere di rappresentare senza “sfocature” gli organi in movimento come il cuore. La principale limitazione di questa tecnica è legata al potenziale blurring dei tessuti con T2 relativamente brevi. Con TE relativamente brevi, la tecnica Half Fourier, la riduzione dell’echo-spacing o della dimensione della matrice immagine possono efficacemente contribuire a ridurre l'entità del fenomeno.

4.3.4 Sequenze driven equilibrium (o con impulso di flip-back)

Implementate dai costruttori con svariati nomi (DRIVE, RESTORE, Fast Recovery FSE, T2 Pulse FSE, Driven Equilibrium FSE), si tratta di un tipo di sequenza che, al termine di un treno di echi turbo spin echo, possiede un impulso RF a 90° (detto impulso di flip-back). Esso, somministrato al termine dell’ultimo impulso di rifocalizzazione a 180° di una sequenza TSE, ripristina artificialmente la magnetizzazione longitudinale, accelerando così il normale tempo di rilassamento dei tessuti. In tal modo, la magnetizza-

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Fig. 4.8 Diagramma temporale sequenza driven equilibrium. Nell’esempio, all’istante t8, dopo avere acquisito le 7 linee del k-spazio, è somministrato l’impulso a 90°, che riporta la magnetizzazione trasversale residua sull’asse longitudinale. Lo schema si ripete poi identicamente. Quest’operazione, accelerando artificialmente il recupero longitudinale, permette di utilizzare TR più brevi del normale senza perdita di segnale da parte del CSF

Fig. 4.9 Schema di funzionamento della sequenza driven equilibrium

zione trasversale residua del liquido cerebrospinale, che a causa del suo T2 lungo è ancora cospicua, è convertita in magnetizzazione longitudinale (Figg. 4.8, 4.9). Il tempo di rilassamento longitudinale influisce in modo sensibile sul tempo di acquisizione, poiché spesso, per ottenere un sufficiente ripristino della magnetizzazione longitudinale, il TR dev’essere impostato su valori piuttosto elevati, in particolare nelle sequenze nelle quali si voglia evitare il più possibile il contrasto T1-dipendente. Questo metodo di recupero artificiale della magnetizzazione longitudinale, indotto dall’impulso di ribaltamento a 90°, permette di utilizzare valori di TR più brevi a favore di un minor tempo di acquisizione, e riesce a compensare efficacemente la conseguente perdita di segnale del liquor, accelerando il recupero della sua magnetizzazione longitudinale,

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a

b

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Fig. 4.10 Esempio di variazione del contrasto ottenibile con sequenza drive paragonata a una sequenza TSE tradizionale: in a TR = 500 ms. Il guadagno di segnale sul CSF è cospicuo nella sequenza con flip-back (in basso). La differenza è progressivamente meno evidente in b, ove TR  1500 ms, e in c, con TR  4000 ms

ripristinando un buon effetto mielografico. La possibilità di utilizzo di un breve TR, inoltre, limita gli inevitabili artefatti da movimento endo-canalare del liquor, tipici di TR più elevati che concedono più tempo al liquor per cambiare posizione. Aumentando l’intensità di campo esterno B0, aumentano proporzionalmente i tempi di rilassamento longitudinali dei tessuti (da 1,5 a 3 T si ha un incremento di quasi il 20%). L’impulso di flip-back, che si aggiunge al treno di impulsi a 180° della sequenza TSE, aumenta dunque in modo non trascurabile l’ETL (la durata dell’impulso è legata al tempo necessario per abbattere la magnetizzazione longitudinale, proporzionale al campo esterno, cfr. capitolo 1). Inoltre, ogni volta che si somministra un impulso a 180°, si arresta temporaneamente il recupero delle magnetizzazioni longitudinali; dunque, basarsi sul solo recupero “naturale” delle magnetizzazioni longitudinali per ottenere un buon effetto mielografico, costringerebbe a utilizzare TR molto elevati, quindi tempi di acquisizione molto lunghi. Gli effetti dell’impulso aggiuntivo sull’immagine a diversi valori di TR rispetto a una normale sequenza TSE sono visibili in Figura 4.10: l’incremento di segnale nel pannello 4.10a rispetto alla TSE, ottenuto abbreviando progressivamente il TR fino a 500 ms, è piuttosto evidente.

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

103 Fig. 4.11 Esempio di sequenza con impulso flip-back applicata all’orecchio interno

Si osservi che le immagini ottenute con l’impulso di “equilibrio guidato” non sono caratterizzate da un contrasto totalmente equivalente alle immagini T2-pesate standard: alcune lesioni midollari, a TR molto bassi, potrebbero essere rappresentate con contrasto non sufficiente. Alcuni autori riportano 2000 ms come valore minimo per la corretta rappresentazione di lesioni midollari a lungo tempo di rilassamento trasversale. Le sequenze driven equilibrium forniscono, in sintesi, un contrasto tra il liquor e le strutture nervose che le rende particolarmente adatte a studi 3D T2-pesati sulla colonna cervicale e sull’orecchio interno (Fig. 4.11).

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4.4 Sequenze a eco di gradiente È possibile sfasare e riportare in fase i nuclei senza applicare un impulso a radiofrequenza. L’equazione di Larmor indica che la frequenza di precessione è proporzionale all’intensità del campo magnetico; dunque, variando il campo magnetico locale in un modo prestabilito, è possibile rendere il moto di precessione dei nuclei più veloce o più lento, variando la differenza di fase tra essi. Questo è il principio alla base del funzionamento delle sequenze a eco di gradiente (GRE, Fig. 4.12). I gradienti di campo nelle tre direzioni sono applicati in modo che il campo vari linearmente, lasciando il valore del campo statico esterno nel punto centrale della direzione considerata. Il punto centrale dei tre gradienti (null-point) è quindi l’unico a mantenere il valore inalterato a seguito dell’accensione delle bobine associate ai gradienti ed è chiamato isocentro. Si ricordi che, a seguito dell’impulso a 90°, il momento magnetico dei nuclei viene ruotato di 90° e si allinea con il piano trasverso. Contemporaneamente, il loro moto di precessione che giace su tale piano risulta in fase, producendo una corrente nelle bobine di ricezione. L’intensità di tale corrente diminuisce col passare del tempo per due ragioni:

Fig. 4.12 Diagramma temporale di una sequenza a eco di gradiente. Sulla riga RFin gli impulsi di eccitazione, in Gz il gradiente di selezione della sezione, in Gx il gradiente di codifica di fase e in Gy il gradiente di lettura o di codifica di frequenza. Sulla riga RFout la temporizzazione dei segnali di eco prodotti

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

1. i nuclei recuperano la loro magnetizzazione longitudinale (recupero T1-dipendente); 2. vi è una perdita di coerenza di fase nei moti di precessione per le disomogeneità locali del campo (decadimento T2*). Una sequenza GRE utilizza un gradiente di campo magnetico (quello di codifica di frequenza) per defasare in un primo tempo i moti di precessione dei nuclei e riportarli successivamente in fase, con un’applicazione opposta che recuperi gli effetti della prima. Il segnale che torna a formarsi come conseguenza del rifasamento costituisce l’eco di gradiente. Con questa tecnica è possibile sfruttare il segnale di free induction decay (FID) che non viene utilizzato nelle sequenze ad eco di spin. Il gradiente di lettura ha qui la duplice funzione di applicare la codifica di frequenza e di creare in corrispondenza del periodo di acquisizione un’eco di segnale. Riportare in fase attraverso l’uso dei gradienti di campo magnetico è un’operazione più rapida rispetto a quella basata sull’utilizzo degli impulsi a 180° nelle sequenze spinecho. È quindi possibile minimizzare il TE e, di conseguenza, il TR. In generale, le sequenze gradient-echo necessitano di un minor tempo di scansione. Un TE molto breve può essere utile per rappresentare sostanze con un tempo di rilassamento T2 basso o per minimizzare (cfr. capitolo 9) gli artefatti da movimento o da flusso. Il TR breve può invece essere sfruttato per diminuire il tempo di acquisizione. A causa dei brevi TR utilizzati, è possibile giungere alla saturazione dei tessuti con un rapido treno di impulsi. Perciò, le sequenze a eco di gradiente utilizzano impulsi RF con angoli di deflessione (flip-angle) minori, tipicamente da 10 a 80 gradi, in modo da ridurre il tempo di recupero longitudinale. L’assenza dell’impulso di rifocalizzazione e l’uso di impulsi di eccitazione con angoli minori di 90° determinano in questo tipo di sequenze un SAR più basso (cfr. capitolo 10). Un’altra sostanziale differenza rispetto alla tecnica SE è costituita dal fatto che nelle sequenze GRE non si usano accorgimenti per recuperare lo sfasamento causato dalle disomogeneità di campo che abbreviano il tempo di rilassamento trasversale. In tali sequenze, le immagini che valutano il rilassamento trasversale sono dunque T2*pesate. Le sorgenti di disomogeneità di campo includono le disomogeneità di campo esterno, la diversa suscettività magnetica dei tessuti e la presenza di elementi metallici. Tra queste, il peso decisivo è certamente attribuibile alle differenze di suscettività magnetica. Quando due materiali adiacenti hanno diversa suscettività magnetica, come avviene in prossimità delle interfacce aria-tessuti, o delle clips metalliche circondate da tessuto, tale differenza è assimilabile a un gradiente locale di suscettività magnetica lungo una direzione, che produce localmente un gradiente campo magnetico in grado di mandare fuori fase la magnetizzazione trasversale degli spin. In particolare, la presenza di materiali ferromagnetici, di natura biologica (emorragie croniche, depositi ferrosi nei tessuti) o non biologica (protesi dentali, clips chirurgiche), produce distorsioni del campo magnetico. Gli effetti di queste disomogeneità di campo nelle immagini GRE si manifestano sotto forma di cadute di segnale e distorsioni geometriche, la cui entità è tanto maggiore quanto più lungo è il tempo che si concede loro per manifestarsi prima di leggere il segnale (TE). Le distorsioni geometriche sono provocate da uno spostamento della corretta localizzazione di un segnale, e si evidenziano come aumento o diminuzione di segnale nelle interfacce tra sostanze diverse: un caso molto importante è quello del fenomeno del chemical shift, che si

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Fig. 4.13 Valori tipici di TE e TR per ottenere in una sequenza gradient-echo immagini con il contrasto indicato

presenta alle interfacce tra acqua e grasso responsabile di caratteristici artefatti (cfr. paragrafi 9.5 e 9.6). La sensibilità alla disomogeneità di campo è per questi aspetti uno svantaggio delle tecniche GRE, ma per alcune applicazioni può essere sfruttata in modo vantaggioso. Per esempio, è decisiva nelle sequenze di perfusione e in quelle funzionali in cui, alla base dell’informazione diagnostica, vi è la diversa suscettività magnetica del sangue arterioso e venoso (cfr. capitolo 7). I criteri da prendere in considerazione per la definizione dei parametri delle sequenze in rapporto al tipo di immagine desiderata, riassunti nella Figura 4.13, sono i seguenti: • contrasto T1-pesato: per massimizzare le differenze di tempo T1 tra il grasso e l’acqua, si utilizza un ampio angolo di deflessione accoppiato a un breve TR. L’ampio angolo assicura un tempo di recupero della magnetizzazione longitudinale elevato, durante il quale si possono sfruttare le differenze di comportamento dei diversi tessuti. Per minimizzare l’effetto dei tempi T2 si utilizza un TE breve, in modo da produrre il segnale misurabile prima che il decadimento della magnetizzazione trasversale sia troppo elevato; • contrasto T2*-pesato: per minimizzare le differenze provocate dai diversi T1, sono utilizzati piccoli angoli di deflessione e relativamente lunghi tempi TR (comunque notevolmente inferiori a quelli utilizzati nelle sequenze spin-echo), per permettere il recupero totale della magnetizzazione longitudinale in tutti i tessuti. Per evidenziare le differenze dei tempi T2* è invece aumentato il TE; • contrasto DP-pesato: sono combinate le tecniche descritte in precedenza per ridurre le differenze legate ai diversi tempi di rilassamento, con angoli minori e tempi TR relativamente lunghi per ridurre l’effetto del tempo T1 e viene utilizzato un TE breve in modo da minimizzare l’effetto T2*. Riassumendo, le principali differenze tra la struttura delle sequenze GRE rispetto alle SE sono: • assenza dell’impulso 180° di rifocalizzazione; • impulso RF con angolo prodotto inferiore a 90°; • tempi minori di scansione, a spese del SNR e di possibili artefatti.

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

4.4.1 Sequenze ultrafast gradient-echo

Si tratta di un nuovo gruppo di sequenze GRE nate con la possibilità di utilizzare TR inferiori a 30 ms e ridotti FA. Nelle apparecchiature si trovano anche come Fast GRE o Turbo Flash. Con l’attuale sviluppo della tecnologia è oggi possibile raggiungere una risoluzione di 1 mm con TR di 5 ms. Un TR intermedio di 15 ms permette di ottenere un’immagine con 128 linee di codifica di fase in 1,9 s e un’immagine 3D con 128 192 linee di codifica in 6,1 minuti. Le sequenze Fast GRE possono essere di tipo steady state, segmentate o a single shot, con acquisizione sequenziale 2D o 3D. Questi valori di TR indicati sono più brevi della maggior parte dei tempi di rilassamento trasversali dei tessuti biologici. La magnetizzazione trasversale prodotta da un impulso di eccitazione è ancora dunque in parte presente quando è applicato l’impulso successivo. Di conseguenza, sono state sviluppate due tecniche di acquisizione GRE, una delle quali si propone di eliminare la magnetizzazione trasversale residua a ogni ripetizione, mentre l’altra utilizza la magnetizzazione residua degli impulsi di eccitazione precedenti come parte integrante del segnale con cui le immagini sono prodotte. 4.4.2 Sequenze gradient-echo “spoiled”

La prima categoria di sequenze costituisce il gruppo delle spoiled GRE, nelle quali si ha l’azione di un gradiente o di un impulso RF al termine della lettura del segnale, che ha lo scopo di distruggere la magnetizzazione trasversale residua. Gli impulsi di gradiente che hanno questo effetto sono detti impulsi di spoiling. Tra queste rientrano le FLASH, le SPGR e le RF fast. I meccanismi che regolano il contrasto nelle sequenze spoiled sono gli stessi già indicati nella Figura 4.13 per le generiche sequenze GRE. 4.4.3 Sequenze gradient-echo “unspoiled”

Nelle sequenze unspoiled, invece, la coerenza di fase di Mxy è mantenuta da una ripetizione da una sequenza all’altra; continuerà, quindi, a contribuire alla formazione del segnale. Non solo la magnetizzazione longitudinale, ma l’intero vettore di magnetizzazione si trova in uno steady state per impulsi successivi. Il gradiente di fase è applicato con polarità opposta prima e dopo la lettura del segnale, in modo da azzerare il suo effetto a ogni ripetizione. Questo tipo di sequenze è spesso definito Steady State Free Precession (SSFP). Una differenza sostanziale rispetto alle spoiled risiede nel fatto che la presenza della magnetizzazione residua determina la nascita di impulsi di eco provocati dagli impulsi di eccitazione successivi tra loro ravvicinati. Infatti, non soltanto gli impulsi di rifocalizzazione a 180° della SE sono in grado di produrre segnali di eco, ma anche impulsi RF di angoli minori, tra cui anche quelli a 90°. Il meccanismo è rappresentato nel diagramma di Figura 4.14.

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Fig. 4.14 Esempio di sequenza SSFP. Evidente la sovrapposizione tra l’eco di segnale prodotto dal primo impulso e dal secondo impulso con il FID del terzo e del quarto impulso

Si può notare che ogni impulso a 90° produce il suo segnale di FID. Il secondo impulso a 90° è tuttavia in grado di produrre anche un segnale di eco del FID del primo impulso, che si presenterà in corrispondenza del terzo impulso a 90°, e così via. Tale eco è quindi assente dopo il primo impulso RF e successivamente si presenta con un TE pari a circa 2 TR. Si parla, quindi, di due componenti del segnale utilizzato nelle sequenze unspoiled: una componente di tipo FID e una componente di tipo echo. Le immagini potranno essere formate prevalentemente dalla componente FID del segnale e si parlerà in tal senso di SSFP-FID, o prevalentemente dalla componente echo con sequenze di tipo SSFP-ECHO, o ancora da una combinazione delle due componenti. Operativamente, la differenziazione è realizzata campionando il segnale successivamente all’impulso RF (se si vuole privilegiare la componente FID) oppure appena prima del successivo impulso RF (se si vuole privilegiare la componente di echo). In queste sequenze, in generale, i meccanismi che determinano il contrasto sono piuttosto complessi a causa della sovrapposizione delle due tipologie di segnali. Tuttavia, è possibile fare alcune considerazioni riguardanti le sequenze SSFP-FID: • per brevi TR e ampi FA si ha una pesatura del contrasto che dipende dal rapporto T1/T2; • con brevi TE e piccoli FA si ha una pesatura in DP; • con lunghi TE e piccoli FA si ha una pesatura in T2*. Per quanto riguarda le SSFP-ECHO si può dire, invece, che tali immagini appaiono simili alle SE fortemente pesate in T2 per brevi TR e medi FA. Il contributo della magnetizzazione trasversale residua nelle sequenze SSFP-FID è incrementato all’aumentare del FA, al diminuire del TR o, in generale, per tessuti con lunghi tempi di rilassamento T2. Un esempio può essere fornito da una sezione assiale dell’encefalo a livello dei ventricoli. A parità di TR (50 ms), TE (7 ms) e FA (90°), il CSF a livello dei ventricoli apparirà con segnale quasi nullo nelle sequenze spoiled (Fig. 4.15a, immagine spoiled), in

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a

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b

Fig. 4.15 Sezioni trasversali ottenute con sequenze gradient-echo spoiled e unspoiled SSFP-FID (a,b, a destra). I valori di TE (7 ms) e TR (50 ms) sono comuni a tutte le immagini. In a, il FA  90° conferisce all’immagine una pesatura in T1; se viene eliminato il contributo della magnetizzazione residua (immagine spoiled), il CSF appare ipointenso e la sostanza bianca appare con un segnale maggiore della grigia. Nella unspoiled, il mantenimento della magnetizzazione trasversale residua contribuisce al segnale, rende il CSF iperintenso e inverte il contrasto tra la sostanza bianca e la grigia. In b, l’utilizzo di un flip-angle ridotto (FA  5°) sposta la pesatura di contrasto verso il T2* nell’immagine spoiled, e rende trascurabile la differenza di contrasto con l’immagine unspoiled

accordo con le immagini T1-pesate, mentre avrà elevato segnale nelle SSFP-FID (Fig. 4.15a, immagine unspoiled), in modo da apparire molto brillante. Impostando TR relativamente elevati rispetto ai tempi di rilassamento o FA molto piccoli, si riduce al minimo il contributo della magnetizzazione traversa residua: nel primo caso perché le si concede tempo sufficiente per “spegnersi”, nel secondo caso perché la deviazione con un angolo piccolo produce una magnetizzazione trasversale di entità già molto piccola all’inizio. Mancando il contributo della magnetizzazione trasversale residua, le immagini SSFP-FID e spoiled avranno dunque un aspetto molto simile (Fig. 4.15b). I concetti esposti per la magnetizzazione trasversale residua sono enfatizzati se applicati alle sequenze SSFP-ECHO. In tali sequenze, utilizzando piccoli FA, lunghi TR o in presenza di brevi tempi di rilassamento T2, il segnale risultante sarà molto scarso e inutilizzabile ai fini diagnostici. È possibile realizzare sequenze SSFP anche con una combinazione dei segnali di tipo FID e di tipo echo. I potenziali vantaggi di quest’approccio includono un miglioramento del SNR, nuove forme di contrasto e una minor sensibilità al movimento. Sono state realizzate diverse sequenze che si possono suddividere, in base al modo in cui raccolgono il segnale, in: • raccolta di più segnali sovrapposti all’interno di un periodo di lettura (true-FISP); • raccolta di più segnali separati all’interno di un periodo di lettura (DESS); • determinazione delle componenti individuali del segnale SSFP da due o più distinte acquisizioni in cui i segnali sono sovrapposti (CISS).

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In particolare, le sequenze CISS sono utilizzate elettivamente per gli studi nei quali si necessiti di un elevato contrasto tra liquidi e tessuti circostanti, per esempio nell’imaging dell’orecchio interno, nell’imaging cardiaco o negli studi dei nervi cranici.

4.4.4 Sequenze con preparazione della magnetizzazione

Un’altra categoria di immagini di sequenze gradient-echo è quella che va sotto il nome di magnetisation prepared (MP-GRE). In esse, il contrasto primario dell’immagine è generato separatamente dall’acquisizione dell’immagine stessa. In altri termini, si ha una preparazione della magnetizzazione, costituita da una serie di impulsi (o RF o di gradiente), che è in grado di modificare la magnetizzazione longitudinale in modo da ottenere una pesatura in contrasto prestabilita, che può essere di tipo T1, T2 o anche di diffusione. In generale, la pesatura in T1 del contrasto si ottiene con un impulso RF seguito da un tempo di attesa (cfr. più avanti capitolo 4.7). Utilizzando uno schema di impulsi di preparazione come il seguente: impulso 90° – tempo di attesa – impulso a 180° – tempo di attesa – impulso a 90°, è possibile ottenere una magnetizzazione longitudinale che contiene informazioni relative al tempo T2 (si noti, infatti, che non è altro che l’inizio di una sequenza a eco di spin, nella quale il primo “tempo di attesa” viene scelto opportunamente lungo per pesare l’immagine in T2, creando il vettore di magnetizzazione trasversale, il quale viene poi ribaltato ulteriormente di 90° dall’ultimo impulso, quindi longitudinalmente). Collocando due impulsi di gradiente simmetricamente rispetto all’impulso di preparazione a 180°, è possibile ottenere una pesatura del contrasto in “flusso”, o “diffusione”. I principali vantaggi delle immagini MP-GRE sono legati ai rapidi tempi di acquisizione di immagini con un qualunque tipo di “pesatura”. I parametri vanno però scelti in maniera oculata per evitare artefatti o eccessive perdite di qualità di immagine dovute al basso SNR.

4.5 Sequenze Inversion Recovery L’Inversion Recovery (IR) è una tecnica utilizzata in svariate applicazioni di sequenze, che hanno in comune la caratteristica di utilizzare all’interno della sequenza una fase di preparazione della magnetizzazione, durante la quale si può selezionare il particolare tipo di contrasto che si intende conferire alle immagini. È utilizzabile in associazione alle tecniche a eco di spin e a eco di gradiente. Nelle sequenze IR, un primo impulso a 180° inverte la magnetizzazione Mz seguito, dopo un certo tempo detto tempo di inversione (TI), da un secondo impulso RF. Durante il TI, i protoni appartenenti ai diversi tessuti seguono il processo di rilassamento con i loro tempi T1 caratteristici, la magnetizzazione longitudinale Mz cresce gradualmente dal valore minimo Mz(0), raggiunto dopo l’impulso a 180°, verso il valore Mz(0), che si ha in presenza del solo campo esterno statico. L’impulso successivo al tempo TI

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

Fig. 4.16 Andamento del recupero della magnetizzazione longitudinale dopo un impulso di inversione a 180° per due tessuti

sarà un impulso finalizzato a produrre un ribaltamento della magnetizzazione longitudinale sul piano trasversale. L’entità di quest’ultima, responsabile del segnale, dipenderà dunque in modo diretto dal valore di TI scelto: un opportuno valore di TI può selettivamente ridurre fino ad annullare il segnale proveniente da alcuni tipi di tessuto, come descritto nei paragrafi successivi.

4.5.1 Sequenze STIR

Il tessuto adiposo, trascorsi circa 150 ms dall’impulso di inversione a 180°, annulla la sua magnetizzazione longitudinale (è il momento di passaggio per lo zero durante il suo recupero verso il valore positivo iniziale). Questo è appunto il valore di tempo di inversione scelto per le sequenze Short Tau Inversion Recovery (STIR, sequenze IR a breve tempo d’inversione), nelle quali i tessuti grassi (Fig. 4.16) presentano un segnale scarso o nullo. Si noti che l’effetto di un impulso a 90° sarà identico nel caso di due tessuti aventi magnetizzazione longitudinale di pari intensità ma di verso opposto, in altre parole con magnetizzazione concorde o discorde con il campo esterno: il ribaltamento sul piano trasversale, da sotto o da sopra, di due magnetizzazioni di pari intensità produrrà la stessa intensità di segnale nell’immagine finale. Si osservi, altresì, che questa tecnica ha l’importante svantaggio di abbattere anche i segnali di tessuti con tempi di rilassamento longitudinali prossimi a quelli dei

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tessuti lipidici, e l’entità dell’abbattimento è proporzionale alla vicinanza temporale tra il T1 dei tessuti a quello del grasso. Per questo motivo, le sequenze STIR sono incompatibili con l’uso di mezzo di contrasto al gadolinio: poiché l’effetto di quest’ultimo è accorciare il T1 dei tessuti, portandolo vicino a quello del grasso, si rischierebbe di abbattere il segnale proprio dei tessuti dei quali, invece, si desidera enfatizzare il segnale. Le sequenze IR presentano, quindi, il vantaggio della possibilità di ottenere un elevato contrasto tra tessuti aventi differenti tempi di rilassamento T1. Il principale svantaggio è dato dal più elevato tempo di acquisizione dovuto all’inserimento della fase di preparazione della magnetizzazione di durata TI, oltre che all’inevitabile abbassamento del SNR dei tessuti con tempi di inversione prossimi a quelli di cui si vuole abbattere il segnale.

4.5.2 Sequenze FLAIR

Nelle sequenze FLuid Attenuation Inversion Recovery (FLAIR), l’ampiezza dell’impulso RF e il tempo di inversione sono scelti in modo che il segnale dei fluidi come il CSF sia notevolmente attenuato, per lo stesso principio illustrato nelle STIR per i tessuti adiposi. Si osservi che, in questo caso, il TI (circa 2500 ms a 1 T) è piuttosto lontano dai TI dei tessuti parenchimali cerebrali; pertanto, il loro segnale sarà influenzato in modo trascurabile nelle immagini finali. La sequenza FLAIR permette, dunque, di realizzare immagini T2 in cui i segnali provenienti dal CSF e da altri liquidi a bassa viscosità sono soppressi (vedi figura 4.18a, 7.7b e 7.12a).

4.5.3 Sequenze SPIR

Nelle sequenze Selective Pulse (o Partial) Inversion Recovery (SPIR) si sfrutta la differenza di frequenza di risonanza tra il grasso e gli altri tessuti (chemical shift) per fornire un impulso selettivo a 180° (detto anche impulso spettrale) per i protoni contenuti nel grasso. Le magnetizzazioni degli altri tessuti non vengono dunque ribaltate. Dopo un tempo di circa 150 ms, tempo di inversione del grasso, sarà dato l’impulso a 90°: il segnale del tessuto adiposo risulterà scarso o nullo, ma sarà preservato il segnale proveniente dagli altri tessuti, la cui magnetizzazione longitudinale non è stata ribaltata dal primo impulso selettivo a 180°.

4.5.4 Sequenze DIR

Le sequenze Double (o Dual) Inversion Recovery (DIR, Fig. 4.17) sono frequentemente utilizzate negli studi encefalici, ma possono trovare impiego anche in altri ambiti, co-

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

Fig. 4.17 Schema di funzionamento di una sequenza DIR, in questo caso per la soppressione selettiva del segnale proveniente dalla materia bianca e dal liquido cerebrospinale. Spesso tali sequenze sono anche associate a un impulso di pre-saturazione per i tessuti lipidici, in modo da ottenere il contrasto dipendente dal solo tessuto scelto. Nell’esempio si tratta di una sequenza GM-only

me quello cardiaco o osteoarticolare. Sono sequenze in cui gli impulsi a 180° di inversione della magnetizzazione sono due. Si definiscono, dunque, i due parametri TI1 e TI2, che stabiliscono il valore assunto dai due tempi di inversione: entrambi, in base al valore assunto, svolgono un ruolo di “saturazione” del segnale di un particolare tipo di tessuto, abbattendolo. Per quanto sia possibile attribuire a tali parametri qualsiasi valore compatibile con l’hardware e la sequenza, esistono alcuni valori che prevalgono largamente nell’uso clinico poiché in grado di evidenziare al meglio alcuni tipi di lesione. Ad esempio, in un’apparecchiatura con campo da 1,5 T, una DIR nella quale si voglia sopprimere il segnale del grasso e contemporaneamente il segnale dei liquidi dovrà avere valori dei parametri TI1 e TI2 impostati sui loro tempi di inversione, quindi circa 180 ms per i tessuti adiposi e circa 2800 ms per il liquor. Si osservi che, come in tutte le sequenze IR, i valori dei due parametri aggiungono al già lungo TR un altro intervallo che aumenta il tempo di acquisizione. Le sequenze DIR sono utilizzate per enfatizzare il contrasto della sostanza bianca o grigia. In esse si sopprime selettivamente il segnale proveniente dagli altri tessuti dei quali si intende minimizzare il segnale: in una grey matter only è necessario sopprimere il segnale della materia bianca, del liquido cerebrospinale e del grasso; pertanto, in tali sequenze si utilizzano due impulsi di inversione, per la materia bianca e il liquido, quindi TI1  2800 ms abbatte il segnale del liquido cerebrospinale, TI2  520 ms sopprime il segnale della materia bianca; inoltre, si utilizza un impulso di saturazione selettivo per il grasso sfruttando il suo chemical shift, come nella tecnica SPIR (Fig. 4.18b).

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c

Fig. 4.18 In a, è visibile un esempio di sequenza FLAIR. Si osservi come il segnale del liquido cerebro-sinale appaia ipointenso. In b e c, esempio di sequenza DIR per la soppressione selettiva del segnale della materia grigia e della materia bianca, liquor e lipidi. In b, l’immagine presenta un contrasto sbilanciato verso la materia grigia (immagine grey matter only); in c, verso la materia bianca (white matter only). Gli altri tessuti sono soppressi dalla presenza di due impulsi di inversione e da un impulso di saturazione spettrale per il grasso

La stessa cosa avviene nelle sequenze DIR capaci di privilegiare il segnale proveniente dalla materia bianca (white matter only). In esse, valori di TI1 intorno ai 3500 ms, associati a valori del TI2 intorno ai 320 ms, saturano in modo selettivo rispettivamente il segnale del liquido cerebrospinale e della materia grigia. Anche in esse, un impulso di inversione a frequenza specifica provvede a saturare anche il segnale del grasso, e il segnale con cui verrà rappresentata l’immagine finale apparterrà quasi esclusivamente alla materia bianca (Fig. 4.18a). Tra i vantaggi di questo tipo di immagini si può citare la possibilità di segmentazione delle strutture altrimenti ottenibile solo con software specifici e la rappresentazione ottimale delle lesioni di alcune patologie, poco o per nulla visibili in altri tipi di sequenze.

4.6 Sequenze ibride (EPI e turbo gradient spin echo) Alcune sequenze utilizzano una combinazione delle tecniche a eco di spin e a eco di gradiente. Rientrano in questa categoria le sequenze Echo Planar Imaging (EPI), descritte da Mansfield nel 1977 ma rese disponibili alla pratica clinica solo in tempi più recenti a causa dell’alto livello di prestazioni richiesto all’hardware. Sequenze ibride sono anche le turbo gradient spin echo, frutto dell’associazione della tecnica eco planare con la turbo spin echo. Il loro obiettivo è l’ottenimento di un buon compromesso tra rapidità e qualità immagine (la rapidità delle EPI associata alla superiore qualità delle immagini TSE).

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

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4.6.1 Sequenze EPI

Il diagramma temporale di una sequenza EPI è mostrato nelle Figure 4.19 e 4.20, la prima a eco di spin, riconoscibile dall’impulso di rifocalizzazione a 180° responsabile dell’eco, la seconda a eco di gradiente, ove si nota l’assenza dell’impulso a 180° e l’eco di segnale è creata con un primo impulso di gradiente di codifica di frequenza negativo e una successiva riapplicazione, temporalmente molto più breve, di un impulso positivo. Fig. 4.19 Diagramma temporale di una sequenza EPI a eco di spin. L’EPI factor vale 32 (32 echi di segnale con una singola eccitazione). Si osservi la presenza dell’impulso di rifocalizzazione a 180° che conferisce alla sequenza un contrasto insensibile alle disomogeneità di campo (T2-pesato)

Fig. 4.20 Diagramma temporale di una sequenza EPIgradient-echo. Si osservi l’assenza dell’impulso a 180°, che conferisce alla sequenza il tipico decadimento T2* dell’ampiezza degli echi (contrasto T2*-pesato). Anche in questo esempio l’EPI factor vale 32

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Fig. 4.21 Schema di traiettoria di acquisizione del k-spazio oscillatoria tipica delle sequenze EPI

La parte concernente gli impulsi RF è analoga a quella vista per le sequenze SE a singolo impulso. Caratteristica fondamentale e comune a entrambe è la rapida oscillazione del gradiente di lettura che raccoglie echi di gradiente ripetuti. Ciascuna eco di gradiente possiede una diversa codifica di fase, ottenuta utilizzando tipicamente un gradiente di codifica di fase di bassa intensità e costante oppure costituito da una serie di impulsi periodici (impulsi detti di blip). Si può quindi parlare di una traiettoria seguita nella raccolta dei dati nel k-spazio di tipo oscillatorio (Fig. 4.21, nell’esempio l’EPI-factor vale 8). In questo modo, è possibile ottenere un campionamento dell’intero k-spazio dopo un unico impulso di eccitazione RF tipicamente in meno di 100 ms. Il principio Half-Fourier può essere incorporato nella sequenza EPI per ottenere un più rapido tempo di campionamento a una data risoluzione spaziale, o un aumento di risoluzione spaziale a un dato tempo di campionamento. Come nelle sequenze SE convenzionali, la pesatura in contrasto di tipo T2 è controllata dal TE. Poiché l’EPI è una tecnica di tipo single shot, il TR è da considerarsi infinito, e non vi è pesatura in T1, che quindi può essere ottenuta solo con una preparazione del contrasto. È possibile anche realizzare sequenze di tipo EPI con un’acquisizione della matrice del k-spazio in più ripetizioni. A ogni ripetizione vengono acquisite soltanto alcune linee del k-spazio, aumentando il tempo totale necessario per produrre le immagini, ma riducendo la sensibilità ad alcune tipologie di artefatti. Per questo tipo di sequenze si parla di interleaved EPI, segmented EPI o simply EPI. Con il solo termine EPI si vuole intendere, tuttavia, la tecnica single-shot.

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

In sintesi: le sequenze EPI offrono tempi di acquisizione molto brevi, quindi adatte a studi dinamici e funzionali; tuttavia, esse richiedono un hardware con elevate prestazioni, e sono più soggette ad artefatti sostanziali provocati dalle disomogeneità di campo, gradienti di suscettività alle interfacce e chemical shift del grasso.

4.6.2 Sequenze turbo gradient spin echo

La strategia di queste sequenze (denominate nelle implementazioni anche GRadient And Spin Echo, GRASE, TurboGSE o TGSE) è produrre echi di spin successivi, con più impulsi di rifocalizzazione, e per ognuno di essi un piccolo numero di echi di gradiente, come mostrato in Figura 4.22. Dopo ogni impulso di rifocalizzazione sono quindi acquisite numerose linee del kspazio, attraverso le rapide oscillazioni del gradiente di lettura, in un modo simile a quanto già visto per le EPI. Per quanto riguarda il gradiente di codifica di fase, si può notare che anch’esso varia come nel diagramma temporale delle EPI, ma con l’aggiunta di alcuni impulsi con polarità opposta, in modo da ottenere l’azzeramento dell’effetto di defasamento come già descritto per le TSE. Il comportamento del contrasto ottenibile con le sequenze GRASE è in generale analogo a quello visto per le sequenze TSE, anche se è presente una maggior predisposizione ad alcuni tipi di artefatto (es. ghost), che dev’essere limitata da una raccolta dei dati nel k-spazio ottimizzata in modo specifico. In conclusione, le sequenze GRASE sono essenzialmente un ibrido delle tecniche echoplanar e turbo-spin-echo, finalizzate a raggiungere un compromesso bilanciabile tra la rapidità delle EPI e la qualità superiore d’immagine delle TSE. L’intervallo di tempo tra

Fig. 4.22 Diagramma temporale di una sequenza GRASE

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i successivi impulsi di rifocalizzazione è maggiore di quello che si ha nelle TSE classiche, quindi il SAR è più basso. Le sequenze GRASE rappresentano una buona alternativa alle EPI, e un metodo alternativo per l’imaging 3D ad alta risoluzione e ad alta qualità.

4.7 Sequenze Angio-RM In generale, si osserva che le strutture in movimento possono comportare insorgenza di artefatti nelle immagini RM; tuttavia, allo stesso tempo, offrono la possibilità di ottenere informazioni funzionali sfruttando il diverso effetto che hanno gli impulsi RF e i gradienti di campo quando gli spin protonici si muovono nel corso dell’acquisizione. In particolare, per quanto riguarda la rappresentazione del flusso ematico nelle strutture vascolari si utilizzano principalmente tre diverse metodiche: 1. le sequenze Time Of Flight (TOF) sfruttano l’effetto del raggiungimento di un diverso steady state della magnetizzazione longitudinale per strutture immobili e per strutture in movimento; 2. le sequenze Phase Contrast (PC) considerano il diverso effetto del gradiente di lettura delle sequenze gradient-echo, che prevede sequenzialmente un defasamento e rifasamento degli spin eccitati e che risulta pienamente efficace solo se essi rimangono in una posizione invariante durante l’acquisizione; 3. le sequenze Contrast-Enhanced Magnetic Resonance Acquisition (CE-MRA) che, a differenza delle precedenti, prevedono l’iniezione di un mezzo di contrasto, con la sottrazione delle immagini acquisite prima e dopo.

4.7.1 Sequenze TOF

Analizzando le sequenze gradient-echo, si è visto che i valori di TR normalmente utilizzati sono di poche decine di ms, ampiamente inferiori ai valori di T1 dei diversi tessuti. Di conseguenza, la magnetizzazione longitudinale avrà poco tempo a disposizione per recuperare il suo valore originale tra un impulso RF e il successivo. Nel caso di un impulso a 90°, la magnetizzazione longitudinale è azzerata completamente e il valore raggiunto in seguito dipende esclusivamente dal rapporto TR/T1. La Figura 4.23 mostra un esempio di valori raggiungibili per sangue, muscolo e grasso utilizzando un TR di 40 ms. I valori sono stati calcolati dall’equazione esponenziale di recupero della magnetizzazione longitudinale: per valori piccoli di rapporto TR/T1, la percentuale di segnale misurabile e tale rapporto mostrano valori numericamente simili. Le sequenze GRE utilizzano spesso valori di FA diversi da 90°, proprio per non abbattere eccessivamente la magnetizzazione longitudinale. In questo caso, si ha una situazione per cui nei primi impulsi somministrati c’è differenza tra la riduzione della magnetizzazione conseguente all’impulso RF e il recupero effettuato nel TR a disposizione.

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

Fig. 4.23 Valori di T1 e percentuale di segnale misurabile dopo un impulso RF a 90° e un tempo TR di 40 ms

Fig. 4.24 Andamento temporale della magnetizzazione longitudinale dei tre tessuti indicati, con impulsi RF a 45° somministrati con un TR di 40 ms

Dopo un certo numero di impulsi verrà invece raggiunta una situazione di equilibrio (steady state), per cui la riduzione dovuta alla radiofrequenza e il recupero successivo si equivalgono. Considerando, ad esempio, un TR di 40 ms e un FA di 45°, si avrà la situazione descritta in Figura 4.24. Si può osservare come, per ciascuno dei tre tessuti, ad ogni impulso RF (ogni 40 ms) si ha una brusca diminuzione della magnetizzazione longitudinale (di circa il 30% pari a 1cos(30°)). Nell’intervallo prima del successivo impulso RF i tessuti con T1 più breve avranno un recupero maggiore di magnetizzazione, mentre quelli con T1 più elevato, come nel caso del sangue, avranno un recupero inferiore. Per il grasso, la situazione stabile per cui la diminuzione della magnetizzazione conseguente all’impulso RF è compensata dal recupero di segnale, avviene dopo circa 6–7 impulsi, mentre per il sangue, supponendo che esso sia fermo, servono una decina di impulsi. Tutto questo è valido per i tessuti stazionari, ma il sangue, in realtà, è in movimento all’interno dei vasi. Consideriamo per semplicità una situazione in cui il sangue scorre perpendicolarmente alla sezione tomografica in acquisizione, con una velocità sufficiente a rinnovarsi completamente tra un impulso di eccitazione e il successivo (TR). In questo

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Fig. 4.25 Rappresentazione dell’effetto inflow. In alto a sinistra è rappresentata schematicamente una sezione attraversata da un vaso, con flusso perpendicolare al piano della sezione. In alto a destra si osserva una colonna di voxel di diversa composizione con al centro quello corrispondente al vaso. Il flusso è tale per cui la velocità v è maggiore del rapporto tra la dimensione del voxel e il tempo TR, per cui ad ogni impulso RF il voxel si trova occupato da sangue non precedentemente eccitato. In basso si nota l’effetto progressivo dei diversi impulsi RF, per cui si ha una diminuzione del segnale dei tessuti stazionari e si preserva, invece, quello sottoposto al flusso ematico

caso, non avviene una progressiva diminuzione (saturazione) della magnetizzazione longitudinale del sangue nel corso della somministrazione dei successivi impulsi, perché il sangue che ha ricevuto l’impulso, prima dell’arrivo del successivo impulso esce dallo strato, e altro sangue non saturato prende il suo posto con il massimo valore di magnetizzazione longitudinale (effetto detto inflow, Fig. 4.25). Per indicare il fenomeno descritto si parla di effetto inflow (flusso di sangue con segnale non saturato nella sezione in acquisizione). Affinché questo avvenga con un alto contrasto sono importanti le seguenti condizioni: • il piano di acquisizione deve essere perpendicolare al flusso; • si utilizzano FA alti (da 30° a 60°) e TR brevi (< 50 ms) per mantenere la saturazione degli spin stazionari; • anche il TE va mantenuto breve per mantenere al massimo il segnale.

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

121 Fig. 4.26 Ricostruzione MIP da partizioni di sequenza angiografica 3D-TOF. Nel cerchio tratteggiato è visibile un’alterazione di segnale dovuta a deposito di materiale ematico, che appare iperintenso a causa del suo breve tempo T1

Nella pratica, il flusso può essere orientato in ogni direzione rispetto alla sezione in acquisizione e il contrasto ottenuto dipenderà dal valore medio delle componenti della velocità perpendicolari alla sezione. Se, per esempio, in un voxel la velocità del flusso è tale per cui l’attraversamento viene compiuto in un tempo pari al doppio del TR, ad ogni acquisizione metà del voxel avrà subito due eccitazioni e l’altra metà una sola eccitazione, per cui l’intensità risultante sarà data dal valore medio dei due segnali. Nel caso in cui il flusso sia parallelo al piano di acquisizione, il contrasto sarà molto ridotto giacché gli impulsi successivi agiranno come nel caso della situazione stazionaria. Le sequenze Angio-RM TOF, in base alla tecnica di ricostruzione immagini selezionata, possono essere distinte nelle seguenti categorie: • 2D TOF: le singole scansioni vengono acquisite rapidamente e si ha la massimizzazione del contrasto per gli effetti precedentemente descritti di attraversamento veloce della sezione da parte del flusso ematico; • 3D TOF: consentono di aumentare il SNR e la risoluzione spaziale grazie alle caratteristiche dell’acquisizione 3D ma, d’altra parte, possono comportare una parziale saturazione, in particolare nel caso di flussi lenti o con orientamenti variabili, con peggioramento del contrasto angiografico; • 3D TOF multislab: la tecnica multislab rappresenta un compromesso tra le due modalità precedenti, con la possibilità di avere una buona risoluzione spaziale e SNR, preservando maggiormente il contrasto angiografico. Un aspetto critico nelle sequenze TOF può essere la presenza di tessuti a basso T1 che caratterizza, ad esempio, i versamenti ematici intraparenchimali in fase subacuta, precoce o tardiva. Per essi, il basso valore del tempo T1 farà sì che il recupero tra impulsi successivi sarà consistente e lo steady state raggiunto avrà valore elevato; di conseguenza, potrebbero avere intensità di segnale comparabile con quello dei flussi ematici e comunque fastidiosa nella ricostruzione MIP (Fig. 4.26).

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4.7.2 Sequenze PC

Nella descrizione delle sequenze gradient-echo è stata analizzata la modalità di lavoro del gradiente di codifica di lettura, che viene applicato prima in una direzione provocando un defasamento e, successivamente, in direzione opposta in modo da avere gli spin protonici in fase durante l’acquisizione. Anche in questo caso, occorre osservare che questo processo avviene nel caso in cui gli spin appartengano a tessuti stazionari, mentre nel caso di tessuti in movimento l’intensità dei gradienti nelle due direzioni in istanti successivi potrà essere diversa, per cui non si avrà un totale recupero di fase (Fig. 4.27). È possibile compensare questo diverso defasamento anche sui liquidi in movimento attraverso la successione di tre orientamenti del gradiente di lettura, come mostrato in Figura 4.28. Per realizzare le immagini phase contrast si sfruttano le proprietà descritte e si opera nel seguente modo: • si acquisiscono le immagini applicando gradienti in grado di compensare gli effetti del flusso; • si acquisiscono immagini sensibili al flusso grazie all’azione di opportuni gradienti bipolari; • si effettua una sottrazione di immagini tra le prime due acquisizioni in modo da evidenziare soltanto le parti in moto e quindi i flussi.

Fig. 4.27 Effetto del gradiente di codifica di frequenza in sequenze gradient echo su tessuti stazionari e flussi ematici. L’effetto delle due orientazioni dei gradienti comporta un rifasamento sui tessuti sani e non su quelli in movimento

4 Le sequenze RM: tecniche fondamentali

123 Fig. 4.28 Utilizzo di tre orientazioni alternate di gradiente per consentire il rifasamento anche dei tessuti in movimento in una data direzione

Si ottengono, quindi, immagini la cui intensità di segnale è dipendente dalla velocità degli spin appartenenti ai flussi ematici. L’intensità e il verso dei gradienti accentueranno la visualizzazione dei flussi di diverse velocità e direzioni. È possibile quindi ottenere immagini che dipendono dal flusso in una specifica direzione oppure comporre immagini relative ai diversi orientamenti per avere un contrasto angiografico indipendente dalla direzione. Per evitare la sovrapposizione di flussi arteriosi e venosi è possibile utilizzare bande di saturazione poste a un’estremità del volume da acquisire, in modo da saturare il segnale proveniente da quella direzione con una serie di impulsi a radiofrequenza. Nelle sequenze PC è possibile parametrizzare la massima velocità che si vuole rappresentare nell’immagine. Questo parametro può essere indicato con il termine VENC, che sta per velocity encoding. È importante sottolineare che una velocità maggiore del VENC non verrà rappresentata correttamente in quanto si verificherà un fenomeno di aliasing: Velocità apparente  VENC  velocità reale Se, per esempio, si ha una velocità massima di 40 cm/s e un VENC di 30 cm/s, la velocità apparente associata sarà di: Velocità apparente  30  40  10 cm/s e il flusso associato sarà indistinguibile da un flusso in senso opposto di 10 cm/s. Valori di VENC piccoli sono più appropriati per flussi lenti o di piccoli vasi, ma possono creare artefatti. Per flussi arteriosi più veloci è meglio scegliere valori di VENC alti. A volte può essere conveniente acquisire due serie di immagini con due VENC diversi. Rispetto alle sequenze TOF, le PC permettono di eliminare completamente i tessuti stazionari, essendo generate attraverso una sottrazione di immagini. In particolare, anche i tessuti a basso valore di T1 che, come visto prima, possono fornire un segnale indesiderato nelle TOF vengono completamente annullati. Anche per le PC è possibile

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utilizzare tecniche di acquisizione 2D e 3D con le caratteristiche associate. Lo spessore di strato deve essere impostato tenendo conto delle possibili sovrapposizioni di strutture diverse e del valore di VENC scelto per ottenere una buona compensazione.

4.7.3 Sequenze Angio-RM contrast-enhanced

Nelle sequenze contrast-enhanced (CE) si sfrutta il processo angiografico classico con iniezione di mezzi di contrasto e sottrazione delle immagini acquisite prima. Il sangue con mezzo di contrasto riduce il tempo T1 da oltre 1 s a valori anche dell’ordine di 50 ms. Le sequenze utilizzate sono quindi gradient-echo T1-pesate, con TR e TE minimi e con flip-angle dell’ordine di 25–40°. L’acquisizione in grado di massimizzare il flusso può essere effettuata in due modi: 1. con acquisizione sincrona al passaggio del bolo, ottenuta dopo il calcolo del tempo di circolo attraverso l’esecuzione di sequenze bolus test; 2. con acquisizioni multiple a intervalli di tempo regolari e scelta a posteriori delle immagini in cui è meglio rappresentato il flusso desiderato. L’istante a cui viene riferita l’immagine è quello in prossimità del quale vengono acquisite le linee centrali dello spazio k, in particolare 1/3 di esso, dove si raccolgono le informazioni relative al contrasto. La CE non fornisce informazioni direzionali del flusso, aspetto che in alcuni casi può anche essere vantaggioso, in quanto il contrasto non risente di flussi lenti o turbolenti. Tra i vantaggi della CE rispetto alle altre modalità angiografiche illustrate possiamo indicare la rapidità di acquisizione e la possibilità di ottenere immagini con buon SNR e buona risoluzione spaziale, anche con campi di vista e volumi di acquisizione estesi.

Letture consigliate Bernstein MA, King KF, Zhou XJ (2004) Handbook of MRI pulse sequences. Elsevier Academic Press Fellner F, Fellner C, Held P, Schmitt R (1997) Comparison of spin-echo MR pulse sequences for imaging of the brain. AJNR Am J Neuroradiol 18(9):1617-1625 Haacke EM, Brown RW, Thompson MR, Venkatesan R (1999) Magnetic resonance imaging: physical principles and sequence design. Wiley & Sons, New York Hennig J, Nauerth A, Friedburg H (1986) RARE imaging: a fast imaging for clinical MR. Magnetic Resonance in Medicine 3:823-833 Jackson EHF, Ginsberg LE, Schomel DF, Leed NE (1997) A review of MRI pulse sequences and techniques in neuroimaging. Surg Neurol 47(2):185-99 Jung BA, Weigel M (2013) Spin echo magnetic resonance imaging. J Magn Reson Imaging 37(4):805-17 Markl M, Leupold J (2012) Gradient echo imaging. J Magn Reson Imaging 35(6):1274-89 Mugler JP (1999) Overview of MR imaging pulse sequences. Magn Reson Imaging Clin N Am 7(4):661-97 Saloner D (1995) The AAPM/RSNA physics tutorial for residents. An introduction to MR angiography. Radiographics 15(2):453-6

ESERCIZI

Esercizi 1) In una sequenza SE, quale tra i seguenti parametri non influenza direttamente il SNR di un’immagine? a) il tempo di eco b) il flip angle c) il tempo di ripetizione d) lo slew rate dei gradienti utilizzati 2) In una sequenza SE, quale tra le seguenti operazioni produce una riduzione del SRN nell’immagine? a) aumentare il flip angle nel range tra 0 e 90° b) aumentare il flip angle nel range tra 45 e 90° c) diminuire il flip angle nel range tra 0 e 90° d) diminuire il flip angle nel range tra 90 e 180° 3) In una sequenza SE, quale tra le seguenti operazioni produce un aumento del SRN nell’immagine? a) aumentare il TR e ridurre il TE b) aumentare il TR e il TE c) ridurre il TR e il TE d) ridurre il TR e aumentare il TE 4) In una sequenza SE, quale tra le seguenti operazioni produce una diminuzione del SRN nell’immagine? a) aumentare il TR e ridurre il TE b) aumentare il TR e il TE c) ridurre il TR e il TE d) ridurre il TR e aumentare il TE 5) Nella sequenza SE a doppio eco, l’immagine generata dal secondo eco, rispetto a quella generata dal primo, ha un SNR: a) più alto, perché sposta il contrasto verso la pesatura T2 b) più basso, se si utilizza in associazione a un gradiente di tipo “crusher” c) più alto, perché sposta il contrasto verso la pesatura DP d) più basso, per il maggior tempo concesso ai fenomeni di rilassamento trasversale per manifestare i loro effetti 6) La sequenza spin-echo detta “a doppio eco”, sfruttando adeguatamente i tempi di sequenza, permette di ottenere nelle immagini due diversi tipi di pesatura di contrasto. Quali? a) immagini T1-pesate e DP-pesate b) immagini T2-pesate e DP-pesate c) immagini T1-pesate e T2-pesate d) immagini “grey matter only” e “white matter only”

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ESERCIZI

7) In cosa consiste la tecnica variable o mixed bandwidth? a) nell’utilizzare durante la lettura del segnale un periodo di campionamento più lungo per compensare le disomogeneità di campo magnetico b) nell’utilizzare nelle sequenze a doppio eco un periodo di campionamento più lungo durante la lettura del segnale per compensarne la riduzione dovuta ai fenomeni di rilassamento trasversale c) nel variare la larghezza di banda dell’impulso RF a 180° in una sequenza a doppio eco, per influenzare il SAR d) nel variare l’ampiezza dell’impulso RF a 90° allo scopo di ottenere con minore energia variazioni più ampie di flip angle, ma solo nelle sequenze spin-echo 8) Le sequenze Double Inversion Recovery (DIR), sfruttando adeguatamente i tempi di inversione, permettono di ottenere nelle immagini due diversi tipi di pesatura di contrasto. Quali? a) immagini T1-pesate e DP-pesate b) immagini T2-pesate e DP-pesate c) immagini T1-pesate e T2-pesate d) immagini “grey matter only” e “white matter only” 9) Le sequenze TSE sono caratterizzate da un SAR più elevato rispetto alle SE? a) no, mai, il SAR è comunque sempre identico in entrambe b) generalmente no, a patto di mantenere il TE il più basso possibile c) generalmente sì, a causa dei numerosi impulsi RF a 180° per la rifocalizzazione degli spin d) nessuna delle precedenti 10) Quale tra le seguenti non è una finalità di utilizzare nelle sequenze spin-echo uno o più impulsi RF prima dell’impulso di eccitazione a ogni ripetizione per ottenere un diverso controllo del contrasto? a) ottenere una saturazione del segnale del grasso b) raggiungere una soppressione selettiva di tessuti in movimento per ridurre gli artefatti c) ottenere una soppressione di segnale selettiva dei segnali con una determinata frequenza d) preparare la magnetizzazione per renderla più rapida nei recuperi trasversali 11) Qual è il più importante tra i parametri estrinseci che caratterizzano le sequenze Inversion Recovery? a) il FA, perché permette di cambiare l’angolo di provenienza del segnale nella bobina b) l’echo-spacing, perché condiziona pesantemente il tempo con cui la sequenza è eseguita c) il TI che, scelto opportunamente, permette di attenuare selettivamente il segnale di alcuni tessuti d) il TE, perché se scelto troppo breve introduce una pesatura T2 nell’immagine

ESERCIZI

12) Quale tra le seguenti sequenze permette di rappresentare al meglio tessuti con diversa suscettività magnetica? a) una sequenza IR, perché migliora il recupero trasversale dei magneti permanenti b) una sequenza gradient-echo spoiled, perché non dispone di impulsi a 180° per recuperare gli effetti delle disomogeneità locali di campo magnetico c) una sequenza TSE, perché con uno stesso impulso di eccitazione permette di ricavare più segnali di eco d) una sequenza SWI, perché ai vantaggi delle sequenza GE aggiunge la sensibilità alla fase degli spin 13) Tra la sequenza STIR e la SPIR, quale e per quale motivo è caratterizzata da una più omogenea soppressione del segnale del grasso? a) la STIR, perché utilizza un impulso spettrale per sopprimere il segnale del grasso b) la SPIR, perché utilizza per la soppressione del grasso anche un gradiente tipo “crusher” c) la SPIR, perché si basa sulla frequenza di risonanza del grasso (chemical shift) d) la STIR, perché la SPIR si basa sul chemical shift e anche la minima disomogeneità di campo può alterare una corretta soppressione del segnale lipidico 14) Le sequenze SE e le TSE sono sempre sovrapponibili dal punto di vista della generazione dei segnali T1 o T2 pesati? a) sì, sempre b) no, mai c) no, nelle TSE il segnale dei lipidi è enfatizzato perché i fenomeni di J-coupling non hanno il tempo di intervenire d) sì, anche se nelle sequenze SE il segnale dei lipidi risulta enfatizzato perché mancano gli impulsi di rifocalizzazione a 180° 15) Qual è la ragione dell’impulso di flip-back in una sequenza DRIVE? a) riportare sul piano trasversale la magnetizzazione longitudinale b) riportare la magnetizzazione longitudinale deviata sull’asse longitudinale esatto c) accelerare i fenomeni di recupero longitudinale, in particolare le CSF, convertendo la sua magnetizzazione trasversale residua in magnetizzazione longitudinale d) vedere meglio le strutture nervose 16) Perché la sequenza DRIVE è meno interessata dagli artefatti da movimento del liquor? a) perché utilizza un elevato FA b) perché abbatte selettivamente il suo segnale c) perché il rallentamento artificiale del decadere della magnetizzazione trasversale permette di utilizzare un più lungo TE d) perché l’accelerazione artificiale del recupero della magnetizzazione longitudinale permette di utilizzare un più breve TR

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17) Perché le sequenze GRE sono in generale caratterizzate da un SAR più basso rispetto alle SE? a) perché utilizzano un elevato FA b) perché utilizzano un ridotto TR c) per l’assenza dell’impulso a 180° associata a più piccoli FA d) per la presenza dell’impulso di gradiente associata a più elevati FA 18) Perché le sequenze unspoiled e spoiled presentano maggior differenza a FA elevati rispetto a FA ridotti? a) perché, rispettivamente, sfruttano oppure no la magnetizzazione residua, la cui entità è trascurabile a FA ridotti mentre è significativa a FA elevati b) Perché, rispettivamente, sfruttano oppure no la magnetizzazione residua, la cui entità è significativa a FA ridotti mentre è significativa a FA elevati c) per l’assenza dell’impulso a 180° associata a più piccoli FA d) per la presenza dell’impulso di gradiente associata a più elevati FA 19) Cosa si intende con “effetto inflow”? a) l’ingresso nella sezione studiata di sangue il cui segnale non è stato saturato b) l’ingresso nella sezione studiata di sangue con segnale saturato c) andamento temporale della magnetizzazione non saturata d) nessuna delle precedenti 20) In cosa differiscono le sequenze SPIR dalle STIR? a) le SPIR sopprimono il segnale dell’acqua, le STIR quello del grasso b) entrambe saturano il segnale del grasso, ma la prima utilizza un impulso selettivo (detto spettrale) mentre la seconda un impulso RF di inversione a 180°, quindi ha un più basso SNR c) entrambe saturano il segnale del liquido, ma la prima utilizza un impulso selettivo (detto spettrale) mentre la seconda un impulso RF di inversione a 180°, quindi ha un più basso SNR d) la SPIR è una Inversion Recovery, la STIR è una gradient-echo

Sequenze RM: tecniche avanzate

5

Federico D’Agata, Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Marina Corsico, Gianni Boris Bradac

Indice dei contenuti 5.1 5.2 5.3 5.4

Sequenze Perfusion-Weighted (PWI) Sequenze Susceptibility-Weighted (SWI) Sequenze Diffusion-Weighted (DWI) La spettroscopia RM

5.1 Sequenze Perfusion-Weighted (PWI) Con il termine “perfusione” ci si riferisce al rifornimento di ossigeno e sostanze nutrienti ai tessuti tramite il flusso sanguigno. Esso rappresenta, dunque, uno dei più importanti parametri fisiologici: disturbi nella perfusione si trovano tra le principali cause di disabilità e mortalità. Solitamente utilizzate per la loro capacità diagnostica nella diagnosi diretta di alterazioni vascolari, le misurazioni perfusionali possono essere utili anche come marker per un più ampio ventaglio di funzioni, fisiologiche o fisiopatologiche. La stretta relazione tra funzioni metaboliche e flusso sanguigno cerebrale permette anche la valutazione di funzioni cerebrali, tramite misurazioni di perfusione loco-regionali (fMRI), e l’aumentato grado di vascolarizzazione che avviene in alcune neoplasie permette di utilizzare la perfusione nel dare una misura del grado di aggressività del tumore e per valutare la sua risposta alle terapie. La classica perfusione tissutale è misurabile tramite un tracciante vascolare, del quale può essere valutata la diffusione tra compartimento intravascolare e tessuti. La misurazione è quantificabile come quantità di flusso di sangue (in millilitri) per grammo di tessuto nell’unità di tempo (ml/g/min). A causa della relativa facilità di associare la funzione emodinamica al passaggio di un tracciante intravascolare, il termine “perfusione” è applicabile anche alle misure di parametri correlati alla perfusione quali il tempo di transito medio e il cerebral blood volume. Nell’ambito della RM, solitamente si Elementi di risonanza magnetica. Mario Coriasco, Osvaldo Rampado, Gianni Boris Bradac (a cura di) DOI: 10.1007/978-88-470-5641-1_5 © Springer-Verlag Italia 2014

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Fig. 5.1 Tecniche utilizzate per la RM perfusionale

associa il concetto di imaging perfusionale all’utilizzo di un mezzo di contrasto esogeno, sfruttando le variazioni nella suscettività magnetica provocate dal suo passaggio. Esistono, tuttavia, diversi altri metodi per la misurazione della perfusione tissutale classica con la risonanza magnetica. I principali sono: la Dynamic Susceptibility Contrast MRI (DSC-MRI), la Dynamic Contrast-Enhanced MRI (DCE-MRI) e la Arterial Spin Labelling (ASL) (Fig. 5.1). Le prime due tecniche sfruttano le alterazioni indotte da un mezzo di contrasto sui tempi di rilassamento dei vari tessuti, rispettivamente sul T2* per la DSC-MRI e sul T1 per la DCE-MRI. L’iniezione del mezzo di contrasto dev’essere eseguita “a bolo”, poiché le immagini corrispondenti alle sezioni studiate sono acquisite molto rapidamente e, per valutare l’enhancement o la caduta di segnale durante il transito del MDC nei vasi, è necessario che il mezzo di contrasto sia sufficientemente concentrato e separato dal resto del sangue nel torrente circolatorio. La terza metodica non fa uso di mezzo di contrasto esogeno, ma sfrutta una tecnica di marcatura degli spin in movimento nel flusso di sangue che permette la loro discriminazione da quelli dei tessuti stazionari. L’interesse verso le metodiche perfusionali riguarda la possibilità di valutare direttamente o indirettamente alcuni importanti parametri emodinamici, dopo avere tracciato sulla sezione considerata una regione di interesse (ROI), all’interno della quale si eseguono le valutazioni: • Cerebral Blood Flow (CBF): entità del volume ematico che transita nell’unità di tempo nella ROI; • Cerebral Blood Volume (CBV): volume ematico assoluto presente a un dato istante nella ROI; • Mean Transit Time (MTT): tempo medio impiegato dal sangue a transitare nella ROI; • Time to Peak (TP): tempo impiegato per raggiungere la massima concentrazione di sangue nella ROI. La maggior parte dei software di elaborazione capaci di misurare i suddetti parametri forniscono inoltre anche il T0, vale a dire il tempo al quale comincia la variazione del segnale in conseguenza all’arrivo locoregionale del mezzo di contrasto. La valutazione dei parametri emodinamici, affiancata alle tecniche di imaging tradizionali, può essere un utile complemento alle tecniche tradizionali nelle diagnosi differenziali di svariate patologie e nei sospetti di ipoperfusione (Fig. 5.2).

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

Fig. 5.2 Esempio di parametri emodinamici valutabili con le tecniche perfusionali

5.1.1 Dynamic Susceptibility Contrast MRI (DSC-MRI)

Alla base di questo metodo vi è l’effetto di accorciamento del tempo di rilassamento trasversale dei tessuti (T2*) in presenza di sostanze paramagnetiche. Queste ultime inducono un defasamento precoce locoregionale negli spin che hanno acquisito coerenza di fase al termine dell’impulso di eccitazione RF, conseguenza della variazione di suscettività magnetica da esse indotta. Il T2* diventa dunque più breve e il segnale, nelle immagini T2*-pesate, diminuisce. Poiché il transito del sangue dai vasi arteriosi a quelli venosi avviene piuttosto velocemente, le sequenze utilizzate devono possedere sufficiente risoluzione temporale, non oltre i 2 secondi, associata alla miglior risoluzione spaziale possibile: spesso queste indagini hanno lo scopo di quantificare l’entità di perfusione di una lesione, dove spesso un aumentato flusso a livello capillare è indice di neo-angiogenesi e quindi utilizzabile come indice di proliferazione; la risoluzione spaziale è, dunque, un parametro non trascurabile. La necessità di mediare tra queste due caratteristiche orienta verso l’utilizzo di sequenze veloci tipo EPI, a eco di gradiente e con tempi di eco sufficientemente lunghi da poter rilevare il T2* più breve. Utilizzando tali sequenze, sensibili al T2*, il transito del mezzo di contrasto produce una caduta e una ripresa del segnale nel parenchima cerebrale che, analizzando una ROI su una specifica regione encefalica, traccia una curva caratteristica. La curva evidenzia una più o meno accentuata caduta di segnale, in proporzione alla vascolarizzazione delle strutture contenute nella regione di interesse selezionata (un aspetto tipico nelle apparecchiature è rappresentato nelle Figure 7.20, 7.22, 7.24 e 7.25). Nella sequenza denominata PRinciples of Echo Shifting with a Train of Observation (PRESTO), rappresentata nell’esempio in Figura 5.3, si nota la particolarità del tempo di eco maggiore del tempo di ripetizione. A ogni TR sono acquisiti quattro echi di gradiente. Il treno di questi quattro echi è “shiftato” della lunghezza di un TR, come si

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Fig. 5.3 Sequenza di tipo PRESTO. Si tratta di una sequenza ecoplanare GRE multi-shot, con treno di echi breve. Nell’esempio, il treno è formato da quattro echi. Si possono osservare i quattro impulsi di blip che generano quattro echi per ciascun TR; pertanto, in quest’esempio ad ogni TR sono acquisite quattro linee del k-spazio

Fig. 5.4 Traiettoria di acquisizione del k-spazio della sequenza nella figura precedente

evince dal diagramma temporale nella riga RFout. Il gradiente di selezione dello strato è seguito da un gradiente invertito della stessa lunghezza, allo scopo di non introdurre un defasamento degli spin eccitati nel precedente TR. Il gradiente positivo più piccolo al termine di un TR ha la funzione di rimettere in fase gli spin eccitati all’interno del TR stesso.

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

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Anche il gradiente di codifica di frequenza Gx possiede la stessa struttura di defasamento/rifasamento per mantenere nullo il defasamento netto: questo tipo di struttura assicura che gli spin subiscano la rimessa in fase esattamente a metà del periodo di lettura del segnale. Il gradiente di codifica di fase fornisce un impulso negativo (blip) al termine di ogni impulso RF, che ha la funzione di decidere da quale punto del k-spazio cominci il riempimento delle sue linee (ad esempio la linea 1, in Figura 5.4). Per il primo degli echi si utilizza il massimo valore negativo di codifica di fase, che viene incrementato di valore per spostare l’acquisizione su un’altra linea del k-spazio (ad esempio, la linea 5 in Figura 5.4). A tali impulsi seguono nello schema quattro passi di codifica di fase, ciascuno di essi aumentando di un quarto la fase rispetto al k-spazio completo, cosa che porta ad acquisire quattro linee di k-spazio per ciascun TR (linee colorate tratteggiate in Figura 5.4). Al termine del TR si trova un ulteriore impulso di codifica di fase (rewinder) con la funzione di riportare in fase gli spin prima del successivo impulso RF. Con tale tecnica, il k-spazio risulta diviso in quattro blocchi lungo l’asse di fase, con il primo di essi campionato dal primo eco, il secondo campionato dal secondo eco e così via. I vantaggi della tecnica PRESTO sono, quindi, la maggior risoluzione temporale a parità di risoluzione spaziale con un contrasto T2*-pesato, che la rende adatta agli studi di perfusione (Figg. 5.5 e 5.6).

Fig. 5.5 Sezione encefalica acquisita con sequenza PRESTO. Si evidenzia il transito di mdc sotto forma di caduta di segnale. Si osservi come nell’immagine in alto a destra si apprezza un iniziale effetto di annerimento delle strutture vascolari, che prosegue nella riga sotto e man mano si attenua fino a che il segnale torna ai valori originari. La valutazione quantitativa di questo fenomeno nella regione di interesse permette di valutare indirettamente importanti parametri emodinamici, come il tempo di picco, il CBV o il CBF

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Fig. 5.6 Esempio di mappe a colori fornite dai software di post-elaborazione per la rappresentazione qualitativa dei parametri emodinamici. Il colore, raffrontato con la scala dinamica sulla sinistra, permette di identificare sulla mappa grossolane alterazioni del parametro. Valutazioni più accurate di alterazioni non visibili sulle mappe devono essere eseguite posizionando le ROI in regioni adeguate (ad esempio, quelle ove si verifichi enhancement contrastografico) e raffrontando i risultati numerici delle misure, ad esempio tra la zona sana e quella ritenuta patologica

5.1.2 Dynamic Contrast-Enhanced MRI (DCE-MRI)

È una tecnica perfusionale che basa il suo funzionamento sull’effetto di enhancement contrastografico su immagini T1-pesate durante il transito nei vasi sanguigni di mezzo di contrasto paramagnetico. Consente una valutazione del grado di aggressività di un tumore, basandosi sulla sua maggiore o minore angiogenesi. In ambito cerebrale, il mezzo di contrasto è solitamente

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

trattenuto nei vasi sanguigni per la presenza della barriera emato-encefalica. Ove quest’ultima sia alterata, come nel caso dei tumori, il mezzo di contrasto può liberamente passare nei vasi sanguigni che riforniscono il tumore. In tal modo, è possibile utilizzare immagini T1-pesate per quantificare dinamicamente la concentrazione di mezzo di contrasto all’interno delle lesioni durante le varie fasi di transito vascolare. Il mezzo di contrasto utilizzato, a base di gadolinio, è iniettato in dosi di circa 0,1 mmol/kg e agisce sui tempi di rilassamento longitudinali secondo i meccanismi descritti nel capitolo 2.6.2, Figura 2.14. Prima dell’iniezione di mezzo di contrasto sono eseguite scansioni T1-pesate in condizioni basali, per valutare l’effetto di enhancement contrastografico e identificare un tessuto interessato dal tumore. Se nel tessuto sopravvivono un elevato numero di cellule sane, il mezzo di contrasto transita nei vasi senza fuoriuscirne; se, al contrario, il tessuto è interessato da un elevato numero di cellule tumorali a scapito di quelle sane, il mezzo di contrasto fuoriesce, si accumula negli spazi extracellulari e viene drenato dai vasi sanguigni molto più lentamente. Software analoghi a quelli utilizzati nella tecnica DSC-MRI consentono l’analisi della concentrazione di MDC durante il transito vascolare e, una volta identificate le regioni di interesse, permettono di tracciare curve che esprimono la concentrazione di MDC in ciascun istante di acquisizione e mappe dei vari parametri emodinamici già descritti. È evidente che, anche in questo caso, sia la risoluzione spaziale che la risoluzione temporale, cioè la quantità di sezioni (o interi volumi encefalici) acquisibili nell’unità di tempo, assumono particolare rilevanza per descrivere i fenomeni emodinamici con sufficiente precisione. Per questa esigenza si sono rivelate utili sequenze T1-pesate di tipo turbo gradient echo.

5.1.3 Arterial Spin Labelling (ASL)

A differenza delle prime due, è una tecnica che non fa uso di mezzo di contrasto esogeno, ma sfrutta una tecnica di “marcatura” degli spin protonici dell’acqua contenuta nel sangue per identificare il movimento, e quindi il flusso, all’interno dei vasi. Per fare questo, si opera sulla magnetizzazione longitudinale dell’acqua, in modo da renderla differente da quella degli altri tessuti. Paragonando la pur piccola differenza tra le immagini ottenute senza marcature e quelle ottenute con ASL, è possibile ricavare indirettamente informazioni di flusso all’interno di ciascun voxel considerato. Per ricavare informazioni di tipo emodinamico dai dati registrati sui voxel tramite marcatura degli spin, devono essere noti alcuni parametri che ne permettano il calcolo indiretto, quali il tempo di rilassamento T1 del sangue, l’efficienza di marcatura degli spin o il tempo di transito del sangue nelle arterie. La tecnica ASL, in teoria, fornisce, in associazione a qualunque sequenza capace di fornire immagini, un flusso di dati completamente indipendente dai parametri di scansione, che rende la metodica ASL l’unica completamente compresa nei suoi meccanismi fisiologici di funzionamento, a differenza di altri metodi perfusionali. In realtà, la

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maggior parte delle indagini effettuate con ASL necessitano di compromessi che rendono la misurazione meno precisa. Per quanto la tecnica sia utilizzabile negli organi di svariati distretti corporei, come cuore, reni o muscoli, essa ha trovato la massima applicazione a livello encefalico, ove la perfusione di sangue è elevata e nota. Le due tecniche ASL più comuni sono la Pulsed Arterial Spin Labelling (PASL) e la Continuous Arterial Spin Labelling (CASL): nella prima è somministrato un impulso di marcatura in modo selettivo sul volume considerato; nella seconda, la marcatura è effettuata in modo continuo sugli spin che fluiscono attraverso un piano selezionato in sezione ortogonale. Il principale svantaggio nelle tecniche ASL è dato dal rapporto segnale/rumore molto basso: la differenza in termini di segnale tra le immagini ottenute in condizioni “basali” e quelli con gli spin marcati è piuttosto scarsa e rende, dunque, spesso preferibili tecniche che fanno uso di mezzo di contrasto esogeno, più invasive ma con un più alto SNR.

5.2 Sequenze Susceptibility-Weighted (SWI) Le SWI, dette talvolta anche BOLD venographic imaging, sono sequenze che producono anch’esse nell’immagine un contrasto piuttosto diverso da quelli tradizionali, T1-, T2- o DP-pesati. L’innovazione da loro introdotta è la capacità di rappresentare le differenze di suscettività magnetica tra i tessuti in un contrasto di immagine. Fino a tempi piuttosto recenti, le informazioni di fase ricavate dal segnale erano scartate come non utili nell’ambito dell’imaging RM, se si eccettuano la quantificazione del flusso nei grossi vasi o le Inversion Recovery, e si utilizzavano soltanto le informazioni di ampiezza per costruire le immagini. Tuttavia, per motivi già più sopra esposti, le informazioni di fase sono ricche di informazioni anche sulle disomogeneità di campo magnetico causate dalle differenze di suscettività tra i tessuti, che contribuiscono ad accelerare i fenomeni di perdita di coerenza di fase responsabili del rilassamento trasversale. L’immagine SWI è un’immagine che, oltre alle informazioni di intensità, tiene conto anche delle informazioni relative alla fase. Il sangue venoso, le emorragie e i depositi ferrosi all’interno dei tessuti in alcune patologie alterano localmente la suscettività magnetica dei tessuti circostanti, poiché per motivi diversi essi rappresentano delle disomogeneità locali di campo magnetico. Utilizzando congiuntamente i dati RM di ampiezza e fase, è possibile produrre immagini particolarmente sensibili alla suscettività magnetica. La rappresentazione del sangue venoso con la sequenza SWI (Fig. 5.7c) sfrutta l’effetto BOLD, descritto nel capitolo sulla risonanza magnetica funzionale, e basa il suo funzionamento sulle proprietà paramagnetiche dell’emoglobina nel suo stato de-ossigenato, presente con elevata concentrazione nel sangue venoso (motivo per il quale alcuni costruttori chiamano la sequenza venous-BOLD o simili). Grazie a questo particolare tipo di sensibilità, le SWI possono essere utilizzate con successo nelle lesioni cerebrali traumatiche, ove si possono verificare micro-sanguinamenti altrimenti difficilmente o non rilevabili in altre sequenze, o anche per rappresentare ad alta risoluzione mappe del circolo venoso intracranico. Vi sono, tuttavia, molte altre applicazioni cliniche,

5 Sequenze RM: tecniche avanzate a

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c

Fig. 5.7 Immagine pesata in suscettività magnetica (c) a paragone con immagini T1 senza (a) e con contrasto (b). La precisa rappresentazione dei vasi venosi, particolarmente ricchi di emoglobina deossigenata, messa in evidenza nelle SWI per le sue proprietà paramagnetiche, permette di evidenziare nella sequenza SWI la presenza di un piccolo convoluto venoso (teleangectasia) in prossimità della testa del nucleo caudato di sinistra, non evidente nella sequenza T1-basale e minimamente evidenziata nell’immagine T1 dopo mdc

generalmente legate a patologie nelle quali vi possano essere delle modifiche nella suscettività magnetica locale dei tessuti indagati.

5.3 Sequenze Diffusion-Weighted (DWI) Le sequenze Diffusion-Weighted (DWI) sono in grado di fornire un contrasto dipendente dal moto delle molecole di acqua nei tessuti, il quale può alterarsi in modo significativo in alcune patologie, ad esempio nell’ambito dello stroke ischemico a livello cerebrale. La tecnica è stata introdotta nella pratica clinica verso la metà degli anni ’90 ma, a causa delle elevate prestazioni tecniche richieste per la sua esecuzione (in particolare la precisione e la rapidità di variazione dei gradienti), il suo uso ha avuto un’ampia diffusione solo negli anni recenti. Poiché le sequenze DWI utilizzano una tecnica simile a quella delle sequenze EPI, esse sono poco sensibili agli artefatti da movimento del paziente e i tempi di acquisizione sono molto brevi. Di conseguenza, le immagini DWI hanno assunto un ruolo essenziale nella diagnosi in acuto dell’infarto cerebrale e nella diagnosi differenziale dell’ictus ischemico da altre patologie. Il contrasto dipendente dal moto delle molecole di acqua nei tessuti è ottenuto attraverso l’uso di due impulsi di gradiente applicati in successione, uguali in intensità e direzione ma con verso opposto. Per esempio, se si vuole misurare il movimento delle molecole nella direzione x, questi due gradienti sono applicati con uguale intensità, ma con verso opposto, in tutti i punti con la stessa coordinata x. Per questo motivo, se un voxel di tessuto contiene acqua che non si muove lungo la direzione x, gli effetti dei due gradienti applicati si annulleranno vicendevolmente.

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Fig. 5.8 Sequenza di Stejskal e Tanner. Proposta nel 1965, dovette attendere decenni prima di essere implementata nelle apparecchiature per uso clinico, a causa dell’alto livello di prestazioni richiesto all’hardware per il funzionamento, dovuto alla rapidità dei fenomeni analizzati

Se, invece, vi sono delle molecole di acqua che presentano un movimento lungo la direzione x, per esempio il movimento dovuto alla diffusione, esse saranno soggette al primo impulso di gradiente in una posizione precisa dell’asse x, e al secondo impulso in un punto diverso. Per queste molecole, l’intensità dei due gradienti applicati in successione non sarà più la stessa e, quindi, non si avrà più una compensazione dei loro effetti. La differenza di intensità di gradiente cui è sottoposta la molecola di acqua sarà, dunque, proporzionale al suo spostamento lungo l’asse x che essa ha compiuto nell’intervallo di tempo che separa le applicazioni dei due gradienti successivi. Pertanto, i protoni delle molecole che si muovono più rapidamente saranno sottoposti a un defasamento di maggiore entità (Fig. 5.8). L’intensità di segnale risultante di un voxel di tessuto contenente protoni in movimento è uguale all’intensità che si avrebbe in un’immagine T2-pesata, diminuita di una quantità dipendente dalla velocità di diffusione delle molecole, come si vede nella seguente equazione: I  I0 exp(b D) dove I è l’intensità di segnale ricevuto, I0 è l’intensità di segnale assunta come base (di un’immagine pesata in T2, vedi Figura 5.9), b rappresenta un fattore di sensibilità alla diffusione dipendente dalle caratteristiche dei due gradienti (quindi è un parametro variabile dall’operatore) e D rappresenta il coefficiente di diffusività (che è invece una caratteristica intrinseca del tessuto esaminato). Il fenomeno della diffusione delle molecole di acqua è provocato dalla diversa concentrazione di acqua tra tessuti vicini. Il moto delle molecole avviene, però, anche in seguito a differenze di pressione, di temperatura e di interazione ionica tra tessuti vicini. La tecnica DWI non è in grado di distinguere tra queste diverse cause che provocano lo spostamento delle molecole. Inoltre, se il percorso seguito nel corso della diffusione tra i due successivi impulsi di gradiente non è rettilineo ma segue una traiettoria casuale, il

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

139 Fig. 5.9 Immagine T2-pesata utilizzata per generare il segnale di base nelle sequenze DWI, detta anche immagine b zero, poiché in essa il parametro b è nullo

Fig. 5.10 Schema di funzionamento di una sequenza pesata in diffusione

segnale prodotto terrà conto solo della posizione iniziale e di quella finale (Fig. 5.10). Per questi motivi, il termine D che compare nell’equazione precedente deve, in realtà, essere sostituito da un fattore ADC, cioè un coefficiente di diffusività apparente che tiene conto di tutte le altre cause di diffusione molecolare menzionate: I  I0 exp(b ADC) Le prime sequenze DWI implementate erano basate sulle sequenze spin-echo T2-pesate (Fig. 5.11), ma in esse i micromovimenti del paziente erano tali da oscurare i movimenti delle molecole di acqua, di entità molto minore. L’uso delle tecniche eco-

140

F. D’Agata et al.

Fig. 5.11 La sequenza DWI spin-echo possiede un impulso di rifocalizzazione a 180° tra i due gradienti di diffusione. Il secondo gradiente tra t5 e t7, dunque, non è applicato con polarità opposta perché gli spin sono già stati specularmente invertiti dall’impulso a 180°

x

y

z

Fig. 5.12 La capacità diffusiva delle molecole d’acqua misurata lungo tre piani dello spazio evidenzia la fisiologica anisotropia della diffusione nel parenchima cerebrale. L’immagine DWIx mostra una moderata ipointensità di segnale dei fasci a livello dello splenio del corpo calloso, la DWIy a livello della sostanza bianca sottocorticale frontale e posteriore, la DWIz mostra moderata ipointensità di segnale nei tratti cortico-piramidali, che presentano un decorso cranio-caudale. Si notino, inoltre, alcune lievi iperintensità di segnale dovute, però, a una diffusione lievemente ridotta lungo l’asse considerato, da considerarsi del tutto fisiologiche, e si ritiene siano dovute all’ostacolo alla diffusione rappresentato dalla membrana cellulare dell’assone

planari, molto più veloci, ha permesso di superare questo problema e di ottenere una buona sensibilità al movimento molecolare. Sono state sviluppate anche altre metodiche DWI basate, ad esempio, su sequenze single-shot TSE, e da tempo sono in uso anche sequenze nelle quali l’acquisizione del k-spazio è di tipo spirale. Nel cervello, la diffusività apparente delle molecole non è isotropa, non è cioè identica in ogni direzione dello spazio, perché la struttura dei distretti anatomici esaminati fa sì che esistano direzioni preferenziali di diffusione, ad esempio lungo le fibre nervose della materia bianca (Fig. 5.12).

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

141

Fig. 5.13 L’immagine pesata in diffusione è ottenuta associando i risultati della diffusione calcolata lungo i tre assi dello spazio

a

b

c

Fig. 5.14 DWI. In a è visibile l’immagine diffusion-pesata, in b la mappa ADC e in c l’immagine esponenziale, che evita l’effetto di iperintensità residua T2-pesata (effetto shine through)

La natura anisotropa della diffusione in ambito encefalico può essere evidenziata confrontando le immagini DWI ottenute applicando i gradienti lungo le tre direzioni ortogonali dello spazio. Ciascuna delle immagini così ottenute contiene, pertanto, informazioni sul valore di ADC relativo alla direzione considerata. Per ottenere un’immagine dipendente solo dall’intensità totale di ADC, le tre immagini ottenute per le tre direzioni possono essere ricombinate, effettuando una media. In particolare, si tratta di una media geometrica, estraendo la radice cubica del prodotto tra le tre immagini (Fig. 5.13). È importante notare che l’immagine DWI presenta ancora un contrasto T2-pesato insieme al contrasto dovuto alle differenze di ADC. Per rimuovere il contrasto T2-pesato, l’immagine DWI può essere divisa per un’immagine EPI T2-pesata ottenuta senza l’applicazione della coppia di gradienti opposti (in pratica, con fattore b  0), ottenendo quindi un’intensità di segnale proporzionale soltanto al termine esponenziale della formula indicata più sopra. In alternativa, può essere creata una mappa ADC, che è un’immagine la cui intensità di segnale è proporzionale soltanto al valore di ADC (Figg. 5.14 e 5.15).

142

F. D’Agata et al.

Fig. 5.15 Diagramma temporale di sequenza DWI EPI-spin-echo. Essa è riconoscibile per la presenza dell’impulso a 180° somministrato tra i gradienti di diffusione Gdiff ed è anche il motivo per cui la polarità dei gradienti di diffusione è positiva, invertita rispetto alla sequenza di Stejskal e Tanner. L’impulso a 180°, infatti, inverte le fasi dei segnali; quindi, per produrre lo stesso effetto di un gradiente di polarità inversa, è necessario invertirne nuovamente la polarità

5.3.1 Diffusione e anisotropia

La diffusione è definibile come il movimento passivo di molecole o particelle lungo un gradiente di concentrazione o, più semplicemente, da regioni in cui la loro concentrazione è maggiore a regioni in cui è minore. L’esempio più semplice è quello della goccia di inchiostro in un bicchiere d’acqua che si allarga nel tempo in tutte le direzioni senza una preferenza (Fig. 5.16a); questo tipo di comportamento è detto diffusione isotropa ed è sufficiente un unico numero, il coefficiente di diffusione D (che vale per tutte le direzioni dello spazio) per definire l’andamento temporale medio del fenomeno. Quando le molecole incontrano degli ostacoli sul loro cammino, la diffusione diviene anisotropa (Fig. 5.16b), ovvero non uguale in tutte le direzioni. Ad esempio, immergendo delle matite nel bicchiere d’acqua, per descrivere l’andamento temporale medio sono necessari molti più parametri: la diffusione in questo caso può dipendere dalla direzione e variare da un punto all’altro dello spazio. Un modello semplice per rappresentare la diffusione anisotropa è quello del tensore simmetrico di diffusione Dij (i  x, j, z; j  x, y, z) che usa 6 numeri per ogni punto dello spazio (infatti, anche se Dij è composto da 9 numeri, per ragioni di simmetria se qualcosa diffonde in una particolare direzione, non importa il verso, quindi Dxy  Dyx; Dxz  Dzx; Dyz  Dzy). Possiamo immaginare che in ogni punto dello spazio vi sia una situazione simile a quella descritta in Figura 5.16b e che il tensore matematicamente descriva in forma di matrice 3 3 una diffusione anisotropa con la diffusione costante,

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

a

143

b

ma in generale diversa, lungo tre assi ortogonali (ellissoide) che possono essere orientati in una qualsiasi direzione dello spazio (una direzione o tre angoli più tre grandezze di diffusione sono proprio 6 numeri). L’ellissoide può poi degenerare in altre forme in casi particolari: se le tre grandezze di diffusione sono uguali (isotropia) diventa una sfera (Fig. 5.16a) e può degenerare in una forma tipo “disco volante” se una delle tre diffusioni è molto bassa o una linea se due delle tre diffusioni sono nulle. Le immagini ottenute associando un ellissoide a ogni punto dello spazio si dicono immagini di Diffusion Tensor Imaging (DTI). Per calcolare queste mappe, che associano un tensore (rappresentabile con un ellissoide) ad ogni punto dello spazio, occorre calcolare la diffusione in almeno 6 direzioni non collineari oltre che al punto di riferimento (b  0 s/mm2, immagine T2-pesata). Infatti, come sono 6 i parametri che caratterizzano il tensore, così è il numero di misure indipendenti minimo necessario per stimarlo (gradi di libertà). Si può immaginare che tre misure DWI (b  0) ortogonali permetterebbero di calcolare le grandezze dei tre assi dell’ellissoide se i gradienti fossero paralleli agli assi degli ellissoidi; sono invece necessarie due misure per ognuno degli assi poiché, non conoscendo a priori questo orientamento, esso va calcolato come somma dei contributi proiettati su direzioni ortogonali.

5.3.2 Mean diffusity e fractional anisotrophy

Nel caso del DTI dell’encefalo in vivo, generalmente, si usa un b  800/1000 s/mm2, una risoluzione di 2 2 mm, con 60 sezioni di 2 mm e un minimo di 6 DWI in direzioni

Fig. 5.16 Diffusione isotropa (a) e anisotropa (b)

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F. D’Agata et al. a

b

c

Fig. 5.17 Stroke ischemico. a FA rappresentata con mappa a colori, a sinistra è evidente il fascio corticospinale sano rappresentato in blu (direzione cranio-caudale); a destra, nella ROI, il fascio corticospinale controlaterale appare lesionato (nero); b la stessa situazione rappresentata tramite la mappa MD mette in evidenza il fascio lesionato sotto forma di area chiara (presenza di molta acqua); c stessa situazione rappresentata con la FA in scala di grigi: l’area lesionata ha una bassa FA, per la mancanza di fibre sane ed è rappresentata come area scura. cfr. Salatino A et al (2013)

non collineari (più direzioni migliorano la stima numerica del tensore, come quando si ripete una misurazione qualsiasi, ma allungano i tempi di acquisizione di 6 direzioni a 1–3 minuti). Il risultato è, però, difficile da visualizzare su una singola immagine; infatti, ogni voxel cerebrale contiene un ellissoide. Per permettere di sintetizzare le informazioni in mappe singole si sono creati degli indici derivati. I più utilizzati sono la Mean Diffusivity (MD) e la Fractional Anisotropy (FA). La MD è la media delle diffusioni sui tre assi dell’ellissoide (o il raggio della sfera, nel caso di perfetta isotropia): essa è proporzionale alla traccia del tensore di diffusione (la somma degli D1,1  D2,2  D3,3) e quantifica l’ampiezza dell’ellissoide o, in altre parole, quanto una particella è libera di diffondersi. La MD non contiene dunque informazioni sulla direzionalità, ma su quanta acqua libera sia contenuta nel voxel. La FA, a parte una costante di normalizzazione, è la media quadratica delle differenze delle diffusioni nelle tre direzioni con la MD. Questo indice varia tra 0 e 1, ed è legato alla forma dell’ellissoide: più questo è sferico con le tre diffusioni circa uguali, più la FA si avvicina a 0; più l’ellissoide è totalmente caratterizzata da una sola direzione di diffusione con le altre due circa nulle, più la FA si avvicina a 1 (forma a sigaro). Sia la MD che la FA possono agevolmente essere rappresentate su mappe di semplice lettura (Fig. 5.17) e interpretazione (il CSF avrà un’alta MD poiché le molecole sono libere di muoversi in tutte le direzioni, i fasci lunghi di materia bianca un’alta FA perché orientati prevalentemente lungo una sola direzione). Un’altra informazione solitamente riportata nelle immagini DTI è la direzione di orientamento dell’ellissoide, utilizzando la direzione dell’asse di diffusività maggiore e una scala di colori per descriverlo (solitamente il blu per rappresentare la direzione cranio-caudale, il verde per la direzione antero-posteriore e il rosso per la direzione latero-laterale, combinazioni di colori per tutte le direzioni miste, per esempio viola per direzione obliqua verso alto-

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

145

basso, vedi Figura 5.17a). Spesso si moltiplica l’immagine FA con quella dei colori per avere entrambe le informazioni contemporaneamente.

5.3.4 Tracciamento delle fibre

Una delle prime e più interessanti applicazioni del DTI è stata quella di tracciare le fibre assonali della sostanza bianca (fiber tracking), deducendone l’andamento in base alla diffusività stimata localmente. A questo scopo, sono stati sviluppati molti algoritmi: il primo tra essi, il Fiber Assignment by Continuous Tracking (FACT), che procede partendo da un voxel di interesse e identifica la direzione della fibra spostandosi nei due voxel adiacenti “puntati” dalla direzione principale dell’ellissoide, e ripetendo in essi il procedimento. Inserendo all’inizio dei vincoli sulla FA minima e il massimo angolo di deviazione accettabili, l’algoritmo si ferma quando i valori eccedono i limiti imposti (cfr. capitolo 7.3.1). Il modello DTI è, però, un’eccessiva semplificazione poiché presuppone che la diffusività sia costante lungo tre direzioni ortogonali. In Figura 5.18 si vedono alcune situazioni molto diverse, ma molto comuni nel cervello (apertura, incrocio, avvicinamento, curva), rappresentate dallo stesso ellissoide. La tecnica DTI non è quindi adatta a descriverle. Per calcolare con precisione la forma reale della diffusività nello spazio occorrerebbe campionare molto bene quello che è definito come q-space o q-spazio. Il q-spazio è uno spazio astratto in cui l’origine o riferimento è l’immagine pesata T2 (b  0 s/mm2) e i cui punti definiscono un’immagine DWI, caratterizzata da un’intensità di gradiente b ⬆ 0 e da una direzione di applicazione del gradiente stesso. Campionando in modo completo lo spazio q, si può ricostruire in modo puntuale la funzione di diffusione e la corrispondente Orientation Distribution Function (ODF), che rappresenta la probabilità di orientamento e consente di tracciare le fibre anche nei casi in cui il DTI fallisce.

Fig. 5.18 Nel caso delle fibre parallele, l’ellissoide è un buon modello, perché in grado di rappresentare correttamente l’unidirezionalità delle fibre. Nei casi di fanning, crossing, kissing e bending, la descrizione è associata allo stesso ellissoide che, dunque, non è in grado di differenziarle e si rivela non essere un modello adeguato

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F. D’Agata et al. a

b

c

Fig. 5.19 Tecniche di fiber tracking. a Algoritmo deterministico locale; b algoritmo probabilistico locale; c algoritmo probabilistico globale

Un metodo che realizza questo risultato è la Diffusion Spectrum Imaging (DSI), inizialmente caratterizzato, tuttavia, da tempi di acquisizione troppo lunghi e non compatibili con la routine clinica, ora divenuto applicabile utilizzando tecniche di acquisizione più rapide. Un approccio intermedio tra la DTI e la DSI è quello della tecnica High Angular Resolution Diffusion Imaging (HARDI), che fa alcune ipotesi meno restrittive, e più realistiche, sulla diffusività. Essa, con un campionamento più modesto del q-spazio, risolve alcuni problemi del DTI. Un esempio è il metodo q-Ball, che campiona lungo 30–60 direzioni non collineari e b  3000–4000 s/mm2. Qualunque sia il metodo di campionamento utilizzato, la post-elaborazione per il tracciamento delle fibre influenza il risultato finale in modo significativo. Si possono distinguere 4 grandi gruppi di algoritmi per tracciare le fibre, ottenibili dall’incrocio di due caratteristiche binarie fondamentali: tecniche deterministiche/probabilistiche e tecniche locali/globali. Nelle tecniche deterministiche (Fig. 5.19a) si assume che in ogni voxel ci sia un solo orientamento delle fibre, nelle probabilistiche (Fig. 5.19b) si associa a ogni voxel una distribuzione di probabilità di orientamento. Queste ultime si usano quando si è interessati ad avere anche una stima dell’incertezza nel percorso delle fibre. Nelle tecniche locali (Fig. 5.19b) si tracciano le fibre per passi successivi procedendo da un voxel a quello successivo, in quelle globali (Fig. 5.19c) si traccia l’intero percorso in un unico passaggio. Le tecniche locali sono più adatte ad analisi esplorative che debbano mappare i profili di connettività di differenti aree cerebrali. Le tecniche globali servono meglio per tracciare fasci ben conosciuti e attesi, magari con segnali deteriorati dalle condizioni patologiche (ad esempio, gliomi infiltranti che alterano la diffusione, o presenza di edema cerebrale).

5.3.5 Prospettive della metodica

Le tecniche di tracciamento delle fibre costituiscono uno degli strumenti più importanti per investigare le connessioni in vivo nell’uomo fra aree cerebrali. Il National Institutes of Health (NIH) ha recentemente stanziato 30 milioni di dollari per il progetto del

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

connettoma umano, una mappa completa delle connessioni neurali nel cervello. Il gruppo crea, con i dati di diffusioni, matrici di connettività; nelle righe e nelle colonne sono indicate le aree cerebrali di interesse e nelle celle la probabilità che siano unite da fasci di sostanza bianca. Questo tipo di conoscenza è indispensabile per comprendere meglio il funzionamento cerebrale, considerato che negli ultimi anni sta di nuovo guadagnando consensi la visione connettivistica della mente umana; anche se aree specifiche possono essere specializzate in una funzione cognitiva (localizzazionismo), è solo dall’integrazione e dalle connessione di queste aree in un network diffuso che nascono le capacità mentali. Molte sindromi cliniche sono state reinterpretate alla luce di questa teoria come sindromi da disconnessione. Per svolgere questo compito, il consorzio ha sviluppato una serie di tecniche, tecnologie e accorgimenti per migliorare l’imaging di diffusione abbassando i tempi di acquisizione e aumentando la risoluzione spaziale. Le tecniche di miglioramento della risoluzione spaziale sono dette High Resolution (HR), Ultra High Resolution (UHR) e Super Resolution (SR); alcune sono ottenute attraverso un più lungo tempo di acquisizione e un maggior campionamento del k-spazio, altre attraverso la fusione e/o l’interpolazione di immagini a più bassa risoluzione. Le tecniche di velocizzazione usano schemi di accelerazione per acquisire da più bobine o da più sezioni contemporaneamente il segnale (imaging parallelo, cfr. capitolo 3.7) e permettono oggi di utilizzare in ambito clinico tecniche come la DSI, che richiedevano tempi di acquisizione troppo elevati per essere utilizzabili in vivo sul cervello umano. Oggi le immagini pesate in diffusione, se in ambito clinico si rivelano utili nello stroke ischemico o nelle patologie tumorali, in ambito di ricerca sono uno strumento utilizzato soprattutto per indagare l’anatomia cerebrale. In un prossimo futuro è possibile che siano impiegate anche per estrarne dei dati funzionali, come per il segnale BOLD (cfr. capitolo 7.6.2): le immagini di diffusione funzionale MRI (DfMRI) sfrutterebbero il cambiamento di diffusività locale nelle cellule neuronali, legato alla loro variazione di volume durante l’attivazione. In rapporto alle tecniche fMRI BOLD, l’immagine funzionale sarebbe collegata all’attività neurale in modo molto più diretto, non essendo mediata dall’unità di accoppiamento neuro-vascolare (capitolo 7.6.2) e senza l’inevitabile ritardo e degradazione del segnale. Ancora oggi, tuttavia, i limiti tecnologici delle apparecchiature in merito alla risoluzione spaziale e temporale e le sequenze disponibili non totalmente adeguate, non consentono di realizzare immagini DfRMI che non risentano almeno in parte dell’effetto BOLD. L’effetto netto, di fatto, è quello di un segnale ottenibile in tempi più rapidi, ma comunque meno affidabile e con nullo o scarso SNR.

5.4 La spettroscopia RM I principi della risonanza magnetica sono stati evidenziati e descritti separatamente da Bloch e Purcell nel 1946. Qualche anno dopo, Proctor nel 1950, Gutowsky e McCall nel 1951 li applicarono alla spettroscopia.

147

148

F. D’Agata et al.

Nella spettroscopia dell’idrogeno (Hydrogen Magnetic Resonance Spectroscopy, 1HMRS) si evidenziano gli atomi di idrogeno, in relazione alla loro composizione molecolare. In effetti, la reazione del protone al campo magnetico è dipendente dall’interazione fra protoni adiacenti (fenomeno noto come coupling) ed è influenzata dalla composizione chimica dell’ambiente circostante (fenomeno noto come chemical shift) che determina, quest’ultima, una specie di schermatura (shielding) all’azione del campo magnetico.

5.4.1 Chemical shift

Quando il nucleo di un atomo interagisce con il campo magnetico B0, molto raramente la sua frequenza di risonanza è uguale a quella che ci si attenderebbe teoricamente, poiché gli altri atomi e molecole vicine con i loro elettroni “reagiscono” creando dei piccoli campi magnetici, generalmente opposti (fenomeno di induzione), che modulano il campo applicato B0. Le nubi elettroniche creano, in pratica, una schermatura che ha l’effetto di far sperimentare al nucleo un campo effettivo Beff minore: Beff  B0 (1  ) dove  è il parametro di schermatura risultante dall’effetto complessivo delle nubi elettroniche di atomi e molecole vicine. Di conseguenza, anche la frequenza effettiva di risonanza risulta cambiata in modo simile:  0 (1  ) dove 0 è la frequenza teorica attesa corrispondente a un campo B0. Questo spostamento di frequenza, noto come chemical shift, si misura in Hz e la sua entità aumenta con l’aumentare del campo magnetico (cfr. le due precedenti equazioni). Per questo, la risoluzione della spettroscopia tende a migliorare al crescere di B0. È un fenomeno responsabile di un tipico artefatto (cfr. capitolo 9.4). Per migliorare la comparabilità degli esami a differenti intensità di campo, si usa un valore indipendente da B0, ossia si è soliti indicare i valori di spostamento di frequenza in modo relativo rispetto a un composto chimico di riferimento; spesso si utilizza il tetrametilsilano (TMS), indicando in parti per milione (ppm) lo spostamento della frequenza di risonanza del composto in esame rispetto a quella del TMS: per esempio, l’acqua esibisce un chemical shift di 4,77 ppm rispetto al TMS (sia a 1,5 T che a 3 T), il che significa che la sua frequenza di risonanza è più grande di quella del TMS di circa 300 Hz a 1,5 T e di circa 600 Hz a 3 T. Il TMS è scelto come riferimento, o zero della scala, poiché la maggioranza dei protoni nei composti organici esibisce una frequenza di risonanza più grande.

5.4.2 Multipletti

Oltre ai fenomeni di schermatura, in spettroscopia sono rilevanti i fenomeni di interazione tra spin (spin-spin coupling o J-coupling). Infatti, all’interno di una molecola, gli

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

149

spin di due nuclei spin 1/2 di tipo diverso (interazione eteronucleare, per esempio idrogeno e carbonio) o dello stesso tipo di nucleo (interazione omonucleare, per esempio 2 atomi di idrogeno) possono interagire e influenzare il campo magnetico effettivo, a causa della polarizzazione dei loro elettroni quando creano i legami chimici. Questa interazione può essere di diversa intensità (dipende dal tipo di legame e dalla struttura tridimensionale della molecola) e portare alla moltiplicazione delle possibili frequenze di risonanza dei nuclei (creazione di multipletti o frequenze multiple di risonanza).

5.4.3 FFT e rappresentazione spettrale

Durante uno studio 1H-MRS, si raccoglie il segnale FID (cfr. capitolo 1) dopo l’applicazione di una sequenza eco-planare o di un impulso a 90°, per poi analizzare il segnale nel dominio delle frequenze attraverso una trasformazione veloce di Fourier (FFT, cfr. capitolo 3). Così facendo, il segnale di risonanza degli atomi di idrogeno è scomposto in molti differenti picchi di frequenza, ognuno corrispondente alle frequenze di risonanza caratteristiche dei diversi chemical shift delle molecole presenti (in Figura 5.20 e 5.21 sono visibili esempi dello spettro di un cervello umano in vivo) e a eventuali picchi multipli dovuti a J-coupling (ad esempio, CH3 Lattato, 1,33 ppm, in Figura 5.20). I picchi risultanti hanno una certa larghezza e non sono delle linee corrispondenti a un’unica frequenza: questo allargamento è dovuto al fatto che il segnale FID raccolto e trasformato è un oscillatore smorzato che decade in virtù dei tempi di rilassamento (cfr. capitolo 1). Proprio questa diminuzione nel tempo del segnale causa, di fatto, la trasformazione delle linee spettrali perfette in curve lorentziane (Fig. 5.21) centrate intorno alla frequenza di risonanza delle molecole, con una larghezza circa proporzionale Fig. 5.20 Esame spettroscopico 1H-MRS acquisito su fantoccio. L’unità di misura sulle ascisse è in ppm. Si possono osservare i picchi dei principali metaboliti visibili anche su cervello umano. NAA, N-acetil-aspartato; Cho, colina; Cr, creatina; Lac, lattato; Glu, glutammato; M-Ins, mioinositolo

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F. D’Agata et al.

Fig. 5.21 FID con una sola componente periodica e sua trasformata di Fourier

all’inverso del tempo di rilassamento T2 (le disomogeneità del campo magnetico possono allargare ulteriormente il picco) e un’area proporzionale al numero di molecole. Una delle applicazioni della spettroscopia è la stima della concentrazione di metaboliti cerebrali. Essendo l’area di un picco nello spettro proporzionale al numero di atomi H che producono quel segnale, l’analisi spettroscopica permette di stimare la concentrazione di una certa molecola nel campione di tessuto cerebrale sottoposto a 1H-MRS.

5.4.4 Soppressione del segnale dell’acqua e dei lipidi, shimming

In realtà, il segnale rappresentato in Figura 5.20 e 5.21 non è la semplice FFT del segnale raccolto, poiché per ottenere questo risultato sono necessari alcuni passaggi sia in fase di acquisizione che di elaborazione: bisogna, infatti, sopprimere il segnale dell’acqua e dei lipidi, filtrare e interpolare i dati; solo così si può procedere a una più agevole interpretazione dei risultati (Fig. 5.22). Il segnale dell’acqua in un cervello in vivo può essere anche 100.000 volte più grande di quello delle altre molecole. Per evitare che questo enorme picco oscuri i segnali di interesse (Fig. 5.22a) delle altre molecole, si usano tecniche di soppressione del segnale dell’acqua (Fig. 5.22b); la più usata è la CHEmical shift Selective Suppression (CHESS), che satura le molecole d’acqua usando impulsi a 90°, con frequenze selettive prima delle sequenze di spettroscopia; altre tecniche sono per esempio la Water suppression Enhanced Through T1 effects (WET, 3 o 4 CHESS consecutive con flip-angle ottimizzati) e la VAriable Pulse power and Optimized Relaxation Delays (VAPOR, 7 CHESS consecutivi ottimizzati). Un altro problema della spettroscopia cerebrale in vivo è costituito dal segnale dei lipidi che possono contaminare e oscurare i picchi dei metaboliti meno abbondanti. La

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

151 Fig. 5.22 Segnale spettroscopico 1HMRS prima (a) e dopo (b) soppressione del segnale dell’acqua

contaminazione, di solito, è dovuta a contributi di tessuto esterno al teschio (per esempio lo scalpo) e, per questo, una delle tecniche più comuni per ridurre questo problema consiste nell’applicazione di impulsi che sopprimano il segnale all’esterno del volume cerebrale (Outer Volume Soppression, OVS). Lo shimming prescan (procedure attive e passive che riducono le disomogeneità di campo nella zona di interesse) è fondamentale perché un’alta omogeneità di campo è indispensabile per aumentare il SNR, ridurre l’allargamento delle linee spettrali e poter così distinguere picchi vicini (per esempio Cho e Cr).

5.4.5 Metaboliti più comunemente rilevati nel cervello umano in vivo

Vengono considerati qui i metaboliti che vengono studiati nella routine clinica a 1,5 e 3 T e che possono avere un valore diagnostico (vedi Figura 5.20 e capitolo 7.5): • N-acetil aspartato (NAA, 2,02 ppm): è un metabolita abbastanza specifico delle cellule neuronali; la sua riduzione è un indice di danno irreversibile delle cellule coinvolte, come ad esempio succede nei tumori, ma può anche indicare una disfunzione temporanea come è stato segnalato succedere in altre patologie, ad esempio nella sclerosi multipla. È il segnale più grande nella spettroscopia del cervello sano dell’adulto; • colina (Cho, 3,21 ppm): è legata al metabolismo della membrana cellulare. È tipicamente aumentata in tutte le patologie in cui il turnover cellulare è elevato. Un elevato aumento è tipico di alcuni tumori (glioblastoma); • creatina (Cr, 3,03 ppm e 3,91 ppm): è sintetizzata nel fegato e trasportata nell’encefalo, alterazioni di questo metabolita possono essere dovute non soltanto a patologie del tessuto nervoso, ma anche del fegato. È coinvolta nella produzione di energia; • lattato (Lac, 1,33 ppm): è un metabolita che appare aumentato in situazioni patologiche legate alla carenza di ossigeno come avviene nelle ischemie. Può anche esse-

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F. D’Agata et al.

re indice di una glicolisi anaerobica anche in presenza di ossigeno come accade in alterazioni del ciclo di Krebs, tipicamente in alcuni tumori (glioblastoma, linfoma) e in altre condizioni con malattie mitocondriali; • lipidi (0,9 ppm e 1,30 ppm): sono presenti in processi di necrosi, frequenti nei glioblastomi e linfomi; • mioinositolo (M-Ins, 3,56 ppm): è un metabolita delle cellule gliali e appare quindi spesso aumentato in astrocitomi, oligodendrogliomi a basso grado e in gliomatosis cerebri. Un aumento del mioinositolo è stato riscontrato in altre patologie come nell’Alzheimer; • glutammato/glutammina (Glu/Gln, 2,34 ppm): sono metaboliti importanti nel metabolismo cerebrale, il glutammato è l’amminoacido più abbondante nel cervello e il neurotrasmettitore più comune. A 1,5 T i picchi Glu e Gln non sono distinguibili e il loro complesso è spesso indicato con la sigla Glx.

5.4.6 Sequenze

Si distinguono due grandi famiglie di sequenze in spettroscopia: single-voxel (lo spettro è registrato da una singola zona cerebrale) o multi-voxel (lo spettro è registrato da più aree cerebrali contemporaneamente. L’imaging multi-voxel è anche detto Chemical Shift Imaging (CSI) o Magnetic Resonance Spectroscopic Imaging (MRSI). Il principio base di tutte le tecniche single-voxel è l’applicazione di tre impulsi di selezione dello strato (cfr. anche capitolo 3.4) ortogonali per raccogliere il segnale dalla zone di intersezione (Fig. 5.23), la sequenza deve essere altamente selettiva con dei profili di sele-

Fig. 5.23 Schema di selezione del voxel su cui acquisire i dati

5 Sequenze RM: tecniche avanzate

zione di sezione e dei gradienti che sopprimano il segnale esterno all’area di interesse (crusher gradients) molto efficienti. L’aggiunta di impulsi di soppressione del segnale (OVS) esterno all’area studiata può migliorare sensibilmente i risultati. Negli esami di spettroscopia RM, sono state sviluppate due diverse tecniche: la tecnica STimulated Echo Acquisition Mode (STEAM) e la Point-RESolved Spectroscopy (PRESS).

5.4.7 STEAM e PRESS a confronto

• Nella STEAM (Fig. 5.24) sono usati tre impulsi a 90° ed è raccolto l’eco stimolato. Tutti gli altri segnali (ad esempio, gli spin-eco del secondo e terzo impulso) sono defasati da grossi crusher gradients applicati nel mixing time fra il secondo e il terzo impulso a 90°. • Nella PRESS (Fig. 5.25) il secondo e il terzo impulso sono impulsi a 180° che rifocalizzano gli spin e i crusher gradients sono applicati in prossimità di questi impulsi. • Con la STEAM è possibile ottenere più facilmente dei profili di sezione più precisi e con meno potenza, questo la rende utile nelle spettroscopie ad alto campo. • Il rapporto segnale-rumore a parità di TE è circa doppio con la PRESS; l’eco stimolato della STEAM è, infatti, formato da solo metà della magnetizzazione all’equilibrio. • Il TE ottenibile con la STEAM è minore di quello della PRESS, poiché è più semplice ottenere impulsi rapidi sia a 90° che a 180°.

Fig. 5.24 Diagramma temporale di sequenza STEAM con impulso CHESS per la soppressione del segnale dell’acqua. I cerchietti indicano la durata dei gradienti sufficienti a definire il VOI. Il resto dell’area del gradiente è utilizzato per lo spoiling

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Fig. 5.25 Diagramma temporale di una sequenza PRESS con impulso di soppressione dell’acqua CHESS. I cerchietti indicano la durata dell’impulso di selezione strato sufficiente a definire il VOI. Il resto dell’area del gradiente è utilizzato per lo spoiling

• La STEAM è meno sensibile a effetti di rilassamento T2 poiché durante il mixing time il rilassamento è di fatto T1, nella PRESS invece il rilassamento T2 avviene per tutta la sequenza. • Gli effetti del J-coupling variano, al variare del TE, in modo differente nelle due sequenze. A una prima osservazione qualitativa, gli spettri ottenuti con sequenze STEAM e PRESS sono comunque molto simili per scopo clinico, per quanto solitamente sia usata la sequenza PRESS per il suo miglior rapporto segnale-rumore. Le sequenze multi-voxel, realizzate a partire dagli anni ’80, sono un’evoluzione della tecnica single-voxel a cui aggiungono gradienti per la codifica di fase in 2 o 3 direzioni. Generalmente, a un’eccitazione PRESS si aggiungono i gradienti necessari per la localizzazione spaziale del segnale. Il problema di questo tipo di strategia è che, per motivi pratici, si tende a studiare una parte limitata del cervello (ad esempio una sezione, senza una copertura encefalica totale); infatti, solo così si può avere una buona omogeneità di campo, tempi di scansione e soppressione dei segnali indesiderati compatibili con la routine clinica. Tuttavia, anche così rimangono alcuni problemi: la PRESS ha profili di selezione non molto precisi e di forma rettangolare; a causa di questo, possono crearsi imprecisioni e contaminazioni di segnale nelle zone vicino al cranio (curvo) e i profili di eccitazione non omogenei possono creare delle variazioni nei picchi legati alla localizzazione spaziale (ad esempio, il rapporto NAA/Cho varia da destra a sinistra o da anteriore a posteriore in modo non correlato alla reale concentrazione dei metaboliti). Una tecnica MRSI alternativa consiste nell’usare una sequenza spin-echo per acquisire una sezione insieme a impulsi OVS multipli (Fig. 5.26); applicando in modo ripe-

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155 Fig. 5.26 Bande di saturazione OVS

tuto il procedimento, si può ottenere una copertura quasi completa dell’encefalo, anche se i lunghi tempi di acquisizione spesso non sono compatibili con la routine clinica.

5.4.8 Le tecniche single- e multi-voxel a confronto

• Le sequenze multi-voxel hanno un miglior rapporto segnale rumore paragonate a due o più sequenze single-voxel consecutive, perché il segnale di ogni voxel è mediato per l’intero periodo di acquisizione. • Le multi-voxel hanno una risoluzione più elevata permettendo di ottenere lo spettro da voxel di 0,75–1 cm, mentre le single-voxel hanno una dimensione di 1,5–2 cm di lato (il volume tipico è compreso tra i 5 e gli 8 cm3). • Nella multi-voxel è possibile studiare più lesioni contemporaneamente e le aree circostanti, oltre ad avere come riferimento voxel normali. • Nelle single-voxel è possibile eseguire uno shimming più efficiente e raggiungere una maggiore omogeneità di campo. • Nelle multi-voxel si incorre più spesso in problemi di contaminazione del segnale da parte di grasso e lipidi o di voxel adiacenti, rendendo più ambigua l’interpretazione dei dati.

5.4.9 Effetto del tempo di eco

La scelta del TE nelle sequenze spettroscopiche influenza i risultati della spettroscopia; infatti, al suo decrescere si osservano molti picchi di differenti metaboliti, mentre al suo crescere alcune di queste risonanze scompaiono (TE  144 ms, TE  288 ms). Alcuni metaboliti scompaiono più lentamente di altri, a causa di differenti tempi di rilassamento T2, con un effetto netto di una dipendenza dal TE dei rapporti numerici fra i picchi. L’evoluzione del grafico spettrale dipende anche dal tipo di sequenza usata (per esempio, STEAM, PRESS, ecc.). Alcuni dei metaboliti clinicamente rilevanti sono osservabili solo a tempi di eco brevi (TE  35 ms). A tempi di eco intermedi (TE  144 ms) e lunghi (TE  288 ms), molti metaboliti non sono più rilevabili, ma anche il rumore

156 Fig. 5.27 Rappresentazione del fenomeno del J-coupling. Accoppiamento debole fra 2 (a), 3 (b) e 4 (c) nuclei vicini. Rappresentazione schematica delle possibili combinazioni di spin che corrispondono alla separazione del picco in un doppietto (a), tripletto (b) e quadrupletto (c)

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a

b

c

prodotto da alcune molecole di non interesse; il risultato è uno spettro di più semplice lettura, con meno picchi, a spese di una riduzione del segnale. Un fenomeno interessante è rappresentato dall’evoluzione del J-coupling in funzione del TE. A questo proposito, è prototipico il caso del doppietto (Lac, Fig. 5.27a) del lattato nello spettro in vivo. Questa molecola presenta due picchi multipli legati a un

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Fig. 5.28 Evoluzione del doppietto in funzione del tempo di eco applicato. In particolare, si vede che per un TE pari all’inverso della costante di accoppiamento del J-coupling, si ha un’inversione del segnale raccolto; per un TE pari a due volte il J-coupling, il segnale torna normale

accoppiamento debole fra gli atomi di idrogeno del gruppo metinico CH e metilico CH3. Il picco più grande (circa triplo in virtù dei tre atomi di idrogeno del gruppo CH3 contro il solo atomo del gruppo CH) è un doppietto, la frequenza di risonanza dei tre H influenzata dal vicino H (che può essere in due stati, spin su o spin giù) si sdoppia in due frequenze di risonanza separate da circa 7 Hz (   J/2,   J/2, J ⬇ 7 Hz). Il picco più piccolo subisce l’influenza di 3 atomi vicini che possono, nel loro complesso, dare origine a otto combinazioni di stati, alcune delle quali equivalenti, per un risultante quadrupletto (Fig. 5.27c). Il solo picco del lattato osservabile in modo evidente nello spettro in vivo è il doppietto (1,33 ppm), essendo il segnale del quadrupletto troppo debole per emergere dal rumore di fondo e dal segnale prodotto da altre molecole (4,10 ppm). Il segnale del doppietto cambia in modo caratteristico in base al TE utilizzato. Questo si vede bene in una sequenza spin-echo dove, dopo il ribaltamento sul piano trasversale (impulso 90°), la rifocalizzazione è ottenuta con un impulso di ribaltamento (impulso 180°, Fig. 5.28). Se si posiziona l’impulso a 180° a metà tra l’eccitazione e l’acquisizione, la dispersione degli spin avvenuta in TE/2 è annullata, ma questo non accade per gli effetti dovuti al J-coupling che non sono rifocalizzati (Fig. 5.28), e causano il moto di precessione durante tutto il TE. Se questo tempo è proporzionale a multipli di 1/J, si avranno le situazioni rappresentate in Figura 5.28, per i multipli dispari il segnale risulterà ribaltato, mentre per i multipli pari risulterà positivo. Questo è proprio quello che si osserva, per esempio, in una sequenza PRESS quando si passa da un tempo di eco intermedio (TE  144 ms ⬇ 1/J  1/7 Hz, doppietto ribaltato) a un tempo di eco lungo (TE  288 ms ⬇ 2/J  2/7 Hz, doppietto positivo). Il comportamento caratteristico del lattato consente di distinguerlo da altri metaboliti che risuonano a frequenze simili; anche altri metaboliti hanno profili di evoluzione caratteristici che aiutano a rilevarli, e questi comportamenti stanno alla base della spettroscopia 2D (vedi paragrafo seguente).

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5.4.10 Editing

Il fatto che solo per alcuni composti si abbia un’evoluzione dello spettro in conseguenza di impulsi di eccitazione e di rifocalizzazione apre la possibilità di fare editing di sequenze per aumentare la capacità di riconoscere metaboliti con concentrazioni molto basse. Per esempio, nella sequenza MEGA-PRESS si acquisiscono i dati con e senza la presenza di un impulso che modula solo il picco del neurotrasmettitore GABA (3,0 ppm) e poi, sottraendo le due acquisizioni, si eliminano di fatto i picchi in quella zona che ne avrebbero sovrastato il segnale. Anche nella cosiddetta spettroscopia 2D (per esempio sequenze COSY e JPRESS) si sfrutta la dipendenza dei metaboliti dalle caratteristiche temporali degli impulsi di radiofrequenza per aumentare la capacità di rilevare molecole con picchi di risonanza simili. Quasi tutte le tecniche di spettroscopia 2D hanno quattro fasi: il periodo di preparazione in cui la magnetizzazione è creata attraverso impulsi a radiofrequenza, il periodo di evoluzione senza impulsi caratterizzato dal tempo in cui si lasciano liberi di precedere gli spin, il tempo di mixing in cui la magnetizzazione è manipolata da un’altra serie di impulsi a radiofrequenza e il tempo di raccolta del segnale in cui il FID è osservato in funzione del tempo esattamente come in una spettroscopia standard. Il risultato finale può essere così rappresentato in funzione di due tempi (o frequenze dopo la FFT), mettendo le intensità su un piano invece che su un asse.

5.4.11 Artefatti 1H-MRS

La spettroscopia è una tecnica molto delicata, aspetto che spesso ne limita le applicazioni in ambito clinico. Segue un elenco degli artefatti più comuni che si possono incontrare: • il movimento della testa durante la scansione può essere disastroso e causare gravi problemi nella soppressione dell’acqua e dei lipidi, di perdita di segnale e di localizzazione errata del segnale; • una soppressione dell’acqua inadeguata può rendere illeggibile uno spettro e può nascere da diversi fattori, come un flip-angle non ottimale (per esempio il movimento del paziente), la vicinanza di una regione con un contenuto acquoso particolarmente elevato o una regione con bassa omogeneità di campo; • anche il segnale dei lipidi, quando non opportunamente corretto (soprattutto quello proveniente dallo scalpo), può interferire con l’interpretazione dell’esame oscurando, per esempio, il picco del lattato e interferendo con una corretta misurazione del picco di NAA; • le correnti parassite (eddy currents) sono indotte nella struttura del magnete dagli impulsi dei gradienti e possono generare dei campi magnetici aggiuntivi che degradano la qualità dell’esame distorcendo lo spettro (Fig. 5.29b). Le correnti parassite si classificano generalmente in correnti di ordine zero (una componente costante è aggiunta a B0 nel tempo) e di ordine uno o superiore (una componente variabile nello spazio, simile a un gradiente aggiunto, è aggiunta nel tempo);

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a

b

Fig. 5.29 a Rappresentazione di una curva lorentziana e di una curva gaussiana. Si può osservare la loro similitudine, con eccezione delle code che risultano più ampie nella lorentziana; b in rosso è rappresentato il picco dell’acqua non deformato, in blu il picco dell’acqua deformato dalle correnti parassite

• le disomogeneità di campo magnetico sono probabilmente il fattore più importante nel determinare la qualità di uno spettro: possono essere causa di cattiva soppressione di acqua e lipidi, allargamento delle linee spettrali e sovrapposizione dei picchi dei metaboliti. Sono molti i fattori che ne possono essere causa, come uno shimming insufficiente, la presenza di materiali paramagnetici (per esempio protesi dentarie, shunt chirurgici, sanguinamenti, calcificazioni o artefatti da suscettività nelle zone di interfaccia aria/tessuto, come in prossimità di una cavità chirurgica o dei seni paranasali, frontali). Un problema di localizzazione è legato al chemical shift; infatti, la posizione della sezione dipende dallo spostamento di frequenza del metabolita e dalla forza del gradiente di selezione dB0/dz (cap), mentre lo spessore della sezione dipende dal rapporto della larghezza di banda BW per la forza del gradiente dB0/dz: posizione  (  metabolita) / (dB0/dz) spessore  BW / (dB0/dz) Questo comporta che il posizionamento dei voxel selezionati dagli impulsi di radiofrequenza siano leggermente differenti per i diversi metaboliti; questo inconveniente può essere mitigato, come si deduce dalla formula, usando forti gradienti e opportune larghezze di banda (con possibili problemi di SAR o limitazioni dell’hardware usato) o creando sequenze specifiche (ad esempio, con OVS fuori dalle sezioni di interesse) che abbattano il segnale fuori dal voxel di interesse, realizzando dei profili di selezione molto più netti e precisi. La dispersione causata dal chemical shift può perturbare anche i pattern di modulazione causati dal J-coupling, per esempio nel caso del lattato a TE 144 ms i voxel dei gruppi metilico a 1,33 ppm e metinico 4,10 ppm possono essere sfasati, dando origine a zone che sentono differenti impulsi di radiofrequenza e producono segnali contrastanti che si mischiano e si cancellano.

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I mezzi di contrasto, contrariamente a quello che si può credere, non influenzano in modo significativo la spettroscopia che può essere eseguita, volendo, dopo la loro somministrazione per posizionarsi in un’area di enhancement o nelle sue immediate vicinanze.

5.4.12 Elaborazione dei dati

Per raggiungere un buon risultato i dati acquisiti sono di solito elaborati prima di essere sottoposti a FFT. Seguono alcune delle procedure più comuni: • filtro gaussiano: si moltiplica per un funzione gaussiana il segnale FID per abbattere il rumore a spese di un peggioramento della larghezza delle righe spettrali; • filtro lorentziana-in-gaussiana: si moltiplica per una funzione gaussiana e per un esponenziale positivo; il risultato è quello di convertire le curve lorentziane dei picchi di risonanza in curve gaussiane che hanno code meno allargate (Fig. 5.29a); • correzione delle correnti parassite: con un segnale di riferimento (generalmente quello dell’acqua non soppressa) si può calcolare la correzione teorica per modellare e sottrarre il contributo delle correnti parassite (Fig. 5.29b); • filtro passa-alto: si applicano dei filtri che sopprimano in maniera selettiva il segnale nelle aree di non interesse (acqua, grasso); • zero filling: se il segnale FID è digitalizzato con una finestra di acquisizione relativamente breve si può avere una cattiva risoluzione digitale del segnale (Fig. 5.30, zero filling  0); per ovviare a questo problema si può usare la tecnica di zero filling, ovvero si aggiungono artificialmente degli zeri al fondo del FID prima di fare la FFT; in questo modo, il segnale trasformato ha una migliore risoluzione digitale (Fig. 5.30, zero filling  8). Fig. 5.30 Dall’alto verso il basso, i dati spettroscopici sono corretti con la tecnica dello zero filling, consistente nel simulare un campionamento del FID a maggiore risoluzione, assegnando valore nullo ai valori nulli o molto piccoli non realmente campionati sulla coda del segnale FID

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Dopo la FFT, si procede con la stima per la quantificazione dei parametri. Il metodo più usato è un modello di combinazione lineare (o Linear Combination, modello LC), che stima la baseline dello spettro con una funzione spline (un particolare metodo di interpolazione), e i picchi dei metaboliti come combinazione lineare delle curve che rappresentano tutti i componenti puri che possono trovarsi nello spettro. Il modello LC fornisce, inoltre, stime dell’errore e valori assoluti delle concentrazioni dei metaboliti (se ha un segnale di riferimento, per esempio quello dell’acqua utile anche per la correzione delle correnti parassite).

5.4.13 Differenze tra 1,5 T e 3 T

La spettroscopia clinica si può eseguire nella routine sia su macchine da 1,5 T che 3 T. Il rapporto segnale-rumore e la risoluzione spettrale dovrebbero aumentare linearmente con l’intensità del campo B0; in realtà, il guadagno è minore, poiché le disomogeneità di campo sono anch’esse influenzate dall’intensità del campo. Anche il chemical shift, che consente di separare meglio i picchi al crescere del campo, crea però dei problemi di localizzazione che peggiorano al crescere di B0. Il guadagno, quindi, esiste ma anche a patto di adottare una serie di accorgimenti opportuni (per esempio, schemi di shimming non lineare, tempo di eco breve, forme di selezione molto selettive con soppressione dei segnali indesiderati, ecc.).

5.4.14 Scelta dei protocolli

Per avere uno spettro affidabile e di alta qualità su un’area di interesse, la scelta migliore in vivo è quella di una single-voxel a TE breve, mentre una multi-voxel a TE lungo può servire per indagare la distribuzione spaziale di NAA, Cho, Cr e lattato. Nella routine clinica, i parametri più usati nelle sequenze sono TR di 1700/2000/2300 ms, TE di 35/144/288 ms, numero di eccitazioni 128/256, larghezza di banda 1 KHz, tempo di acquisizione circa 5–7 minuti. Nel caso delle multi-voxel, dipende da quante sezioni e da che campionamento del k-spazio si esegue. Lesioni troppo piccole (