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Pasolini, intellettuale mimetico Article · September 2013
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1 author: Emanuela Patti Royal Holloway, University of London 18 PUBLICATIONS 21 CITATIONS SEE PROFILE
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ST UDI PASOLINIANI rivista inte rnazionale
7 · 2013
P I S A · R O MA F A B RI Z I O SERRA E D I T O R E MMXI I I
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SOMMARIO saggi Guido Santato, Il futuro in Pasolini : un ‘non-tempo’ Roberto Chiesi, Un ‘uomo nuovo’ del presente, ‘venuto su dal niente’. Pasolini e il ritratto della borghesia nell’episodio contemporaneo di Porcile Laureano Nuñez García, La diffusione e la traduzione della poesia di Pasolini in Spagna Mahmoud Jaran, Pasolini, Fanon e l’umanesimo transnazionale Giovanna Trento, Il corpo popolare secondo Pasolini Mathias Balbi, Fariseo quanto alla società. Pasolini e il sogno del San Paolo (19661975) Emanuela Patti, Pasolini, intellettuale mimetico
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rassegna Roberto Chiesi, Francesca Fanci, Lapo Gresleri, Bibliografia pasoliniana internazionale (2007-2013)
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recensioni Adalberto Baldoni Gianni Borgna, Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra, Firenze, Vallecchi, 2010 (Matteo Marelli) In Danger. A Pasoliny Anthology, edited by Jack Hirschman, San Francisco, City Lights Books, 2010 (Francesco Marco Aresu) Hervé Joubert-Laurencin, « Salò ou les 120 journées de Sodome » de Pier Paolo Pasolini, Paris, Les Editions de la Transparence, 2012 (Roberto Chiesi) The scandal of Self-contradiction. Pasolini’s Multistable Subjectivities, Geographies, Traditions, edited by Luca Di Blasi, Manuele Gragnolati and Christoph F. E. Holzhey, Wien-Berlin, Turia-Kant, 2012 (Paolo Rondinelli) Pier Paolo Pasolini, My Cinema, a cura di Graziella Chiarcossi e Roberto Chiesi, Bologna, Edizioni Cineteca di Bologna, 2012 (Lapo Gresleri) Pasolini a casa Testori. Dipinti, disegni, lettere e documenti, a cura di Giovanni Agosti, Davide Dall’Ombra, Cinisello Balsamo, Casa Testori-Silvana Editoriale, 2012 (Roberto Chiesi)
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Notizie 2012-2013
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Tavola delle sigle
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Norme redazionali della casa editrice
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I testi pubblicati in «Studi pasoliniani», vol. 6 (2012), sono stati preventivamente esaminati e valutati da Marco Antonio Bazzocchi, Gian Piero Brunetta, Roberto Calabretto, Stefano Casi, Roberto Chiesi, Gian Carlo Ferretti, Massimo Fusillo, Hervé Joubert-Laurencin, Armando Maggi, Rinaldo Rinaldi, Colleen-Ryan Scheutz, Guido Santato, e conseguentemente accettati per la loro pubblicazione.
PASOLINI, INTELLETTUALE MIMETICO Emanuela Patti Nell’opera pasoliniana ‘mimesis’ è stato il concetto chiave per scardinare l’ordine simbolico borghese ed il neorealismo. Dalla letteratura al giornalismo tale desiderio mimetico si è espresso come atto performativo con l’intento di mistificare le visioni aprioristiche della realtà. In questo percorso Dante ha rappresentato il principale modello autoriale ispirando in Pasolini la figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’. La sua doppia natura di auctor / actor sintetizzava infatti quel rapporto dialettico con la realtà ricercato dallo scrittore impegnato del dopoguerra. Se negli anni cinquanta Pasolini ha creduto possibile una forma di ‘realismo dantesco’ basata su un plurilinguismo mimetico-regressivo, la crisi dell’ideologia e dello strutturalismo lo hanno di nuovo messo di fronte alla natura schizofrenica del suo Sé autoriale, irrimediabilmente diviso tra auctor e actor. In Pasolini’s work ‘mimesis’ has been the key-concept used to disrupt the bourgeois symbolic order and Neo-realism. From literature to journalism this mimetic desire has been expressed as a performative act with the aim to mystify aprioristic visions of reality. Along this way Dante represented the main authorial model for Pasolini and inspired the figure of the ‘mimetic poet/intellectual’. His double nature as auctor / actor synthesized indeed the dialectical relationship with reality which committed writers sought in post-war times. Yet, if in the 1950s Pasolini believed in the possibility to realize a ‘Dantean realism’ based on a mimetic-regressive plurilingualism, the crisis of ideology and structuralism made him face the schizophrenic nature of his authorial Self, irremediably divided between auctor and actor.
C
ome ricorda René Girard nell’introduzione di un suo saggio del 1982, Peter’s denial and the question of mimesis, almeno fino al postmoderno il principio teorico di base della creazione estetica, mimesis (imitazione della realtà), è stato il significante numero uno della teoria letteraria occidentale. 1 Numerose sono state tuttavia le metamorfosi che ha subito il significato attribuito al termine. Per Platone il processo artistico di imitazione era copia di una copia, essendo già la realtà percepita come una falsa illusione, mentre per Aristotele la mimesis era invece essenzialmente drammatica e teatrale : di fatto, il mimo era un attore che imitava l’azione e il discorso di un altro. 2 Diversamente, in fasi storico-culturali successive, come nel Rinascimento, gli scrittori occidentali preferirono piuttosto imitare i loro predecessori greci e romani ritenendosi a loro inferiori. Nel guardare a questa evoluzione nel corso del tempo, Girard sottolinea come nel xix secolo l’associazione di mimesis con l’estetica del ‘realismo’ e del ‘naturalismo’ abbia avuto origine dalla richiesta della classe me
Emanuela Patti, Italian Studies, Department of Modern Language, Ashley Building, University of Birmingham, Edgbastan, Birmingham, B15 2TT, [email protected] 1 Cfr. René Girard, Peter’s denial and the question of mimesis, « Notre Dame English Journal », 14, 3, 1982, pp. 177-189 : p. 177. 2 Pur condividendo l’idea che la pura mimesis fosse quella in cui il poeta cancella completamente la sua voce e rappresenta l’azione solo nelle voci imitate dei personaggi, Platone credeva che questo processo imitativo avesse un impatto negativo sulla società e non fosse dunque da incoraggiare (iii libro della Repubblica), mentre Aristotele sosteneva il suo valore ludico e pedagogico. Per ulteriori approfondimenti, cfr. Federico Bertoni, Realismo e letteratura. Una storia possibile, Torino, Einaudi, pp. 37-55.
90 emanuela patti dia borghese di avere un’arte che rispecchiasse la sua percezione del mondo, il suo interesse per gli oggetti materiali ; quindi, una letteratura in cui gli scrittori dovevano mirare ad una rappresentazione fedele di una presunta ‘realtà’. 1 La prospettiva girardiana sulla differenza tra mimesis e realismo è qui utile per comprendere in che modo, nell’accezione pasoliniana, mimesis sia stato piuttosto il concetto chiave per scardinare proprio l’ordine simbolico borghese a partire dai suoi linguaggi, generi e media fino alla sua visione del mondo. 2 In linea con Aristotele, piuttosto che con Platone, per Pasolini mimesis è performatività ed immedesimazione nell’altro ed in letteratura si traduce nel rifiuto del realismo rappresentativo e della « suggestione formale ». 3 Ecco, dunque, che la ‘performatività’ pasoliniana si esprime nelle più varie modalità di rappresentazione e del discorso : da quelle letterarie della poesia e della narrazione mimetica (uso dei dialetti, discorso indiretto libero) alle soluzioni meta-narrative adottate nelle arti propriamente performative (cinema, teatro), nel suo giornalismo e nelle sue opere postume. Se l’idea pasoliniana di mimesis è stata, in modi diversi, una costante nella sua poetica, le forme di realismo in cui essa si è di volta in volta incarnata non hanno invece avuto un’‘identità discorsiva stabile’. Come ha giustamente messo in evidenza Maurizio Viano in A certain realism. Making use of Pasolini’s film theory and practice, Pasolini ha attraversato come un pirata le posizioni discorsive della modernità ; 4 e così ha fatto la sua nozione di ‘realismo’ che si è sviluppata insieme alle categorie estetiche ed epistemologiche da lui adottate nel corso della sua carriera (stilistica, marxismo / gramscismo, linguistica strutturale, semiologia, ecc.). Il concetto di realismo pasoliniano ha infatti subito le metamorfosi più diverse : prima influenzato dalla stilistica di Gianfranco Contini, ha seguito il modello del plurilinguismo dantesco reinterpretato alla luce dell’ideologia gramsciano-marxista ; si è successivamente incarnato nel realismo figurale e creaturale di Auerbach come migliore espressione nel suo cinema, proprio quando lo strutturalismo stava discreditando il suo realismo mimetico in letteratura ; infine, è stato ripensato in chiave cognitivista (Petrolio è probabilmente il migliore esempio di questa prospettiva). A partire da questi modelli culturali, per Pasolini mimesis è stato di fatto sinonimo di imitazione di una realtà ‘altra’ ed esclusa, desiderio di regressione nell’altro (il mondo di Casarsa, quello delle borgate, il Terzo Mondo), superamento del medium per una partecipazione corporea alla realtà fisica e sensuale. In breve, assumendo un foucaultiano ‘atteggiamento limite’, 5 per Pasolini
1
Cfr. René Girard, Peter’s denial, cit., p. 177. Da un punto di vista terminologico, nell’opera pasoliniana le espressioni ‘mimesis’ e ‘realismo’ sono spesso confuse, almeno fino alla prima metà degli anni sessanta. Questo è in parte dovuto al fatto che negli anni cinquanta questi concetti erano spesso interscambiati e ad oggi la loro differenza si presta a fraintendimento nella teoria letteraria. Non a caso, la traduzione italiana dell’opera di Erich Auerbach, Mimesis. Die Dargestellte Wirklichkeit in abenländishen Literatur in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, è un chiaro esempio dell’ambiguità semantica tra ‘realtà rappresentata’ e ‘realismo’. Se con ‘mimesis’ Auerbach intendeva mettere in evidenza l’evoluzione del significato del processo di imitazione della realtà (di fatto, la ‘realtà rappresentata’), la traduzione del titolo con ‘realismo’ (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale) associava quest’opera ad una più ideologica interpretazione della realtà. 3 Cfr. Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, p. 16. 4 Cfr. Maurizio Viano, A certain realism. Making use of Pasolini’s film theory and practice, Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 1993, p. xi. 5 Con ‘atteggiamento limite’ faccio riferimento all’atteggiamento critico suggerito da Foucault nel suo 2
pasolini, intellettuale mimetico 91 il concetto di mimesis è stato il principio guida per costruire e decostruire, in un’instancabile sperimentazione attraverso diversi linguaggi, generi e media, i concetti di ‘realismo’, ‘realtà’ e ‘linguaggio’ del suo tempo. Nonostante la centralità del paradigma ‘mimesis vs. realismo’ nella poetica pasoliniana e il ruolo fondamentale giocato da Contini e Auerbach in questo contesto, fino ad oggi la maggior parte del lavoro critico si è concentrato su quelle che sono apparse singolarmente, alle diverse “comunità interpretative” degli ultimi sessanta anni, 1 come le più esplicite manifestazioni del suo ‘realismo’, utilizzando, in diversi casi, le stesse categorie epistemologiche che Pasolini tentava di scardinare : innanzitutto, i romanzi romani, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), principalmente considerati nel contesto di un dibattito su letteratura e marxismo negli anni cinquanta e sessanta e successivamente in relazione ai suoi film e la relativa teoria sul cinema come ‘lingua scritta della realtà’, 2 alla luce del dibattito sulla semiotica, la psicoanalisi lacaniana e le teorie post-marxiste. Più recentemente, la rilevanza dell’eredità auerbachiana nell’opera pasoliniana è emersa in tre importanti studi, 3 suggerendo che un’attenta analisi filologica, una ‘microscopia filologica’ per dirla come Ernst Robert Curtius, può aiutare a ricostruire ed enfatizzare l’influenza di Mimesis sull’opera pasoliniana. Una disamina dell’evoluzione del concetto pasoliniano di ‘realismo’ sarebbe dunque incompleta senza considerare la sua saggistica critica. Non a caso, è stato solo dopo la pubblicazione di alcuni scritti inediti come, per esempio, Dante e i poeti contemporanei (1965), ora incluso nei Meridiani Mondadori curati da Walter Siti e Silvia De Laude, che è stato possibile ricostruire il discorso pasoliniano sulla ‘realtà rappresentata’. In questo percorso appena delineato Dante è stato il principale modello autoriale per Pasolini ispirando la figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’. Nel contesto storico dell’Italia del dopoguerra, il poeta della Commedia ha rappresentato l’ideale prototipo del poeta popolare che si muoveva tra le due culture, quella popolare e quella borghese, e che poteva dunque colmare la distanza esistente tra cultura e popolo, tra conoscenza e vita popolare. La sua doppia natura di auctor/actor sintetizzava inoltre quel rapporto dialettico ricercato dallo scrittore impegnato del dopoguerra, conteso tra estetica crociana e materialismo storico, tra teoria e prassi, tra ruolo trascendentale e partecipazione fisica nella realtà. Una sintesi che, in Pasolini, non è tuttavia sopravvissuta alla crisi dell’ideologia e dello strutturalismo : se negli anni cinquanta
celebre Qu’est-ce que Les Lumières (1984), che concentrandosi sulla mutua interazione tra la verità di ciò che è reale e l’esercizio della libertà va oltre l’alternativa fuori-dentro ed analizza e riflette sui limiti : in ciò che ci viene dato come universale, necessario, obbligatorio, che posto occupa ciò che è singolare, contingente ed è il prodotto di vincoli arbitrari ? Cfr. Michel Foucault, Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, a cura di A. Pandolfi, traduzione di S. Loriga, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 9. 1 Cfr. Stanley Fish, Interpreting the Variorum, in Modern criticism and theory : a reader, a cura di David Lodge, Harlow, Longman, 1988, pp. 311-329 : p. 304. 2 Cfr. Pier Paolo Pasolini, La lingua scritta della realtà, sla i, pp. 1503-1540. 3 I tre studi seguenti sono parte di un importante volume di atti del convegno sull’eredità di Auerbach tenuto nel 2007, dal titolo Mimesis. L’eredità di Auerbach. Atti del xxxv Convegno Interuniversitario (Bressanone - Innsbruck, 5-8 July 2007), a cura di Ivano Paccagnella, Elisa Gregori, Padova, Esedra, 2009 : cfr. Corrado Bologna, Le cose e le creature. La divina e umana Mimesis di Pasolini, in Mimesis. L’eredità di Auerbach, cit., pp. 445-466 ; Silvia De Laude, Pasolini lettore di Mimesis, ivi, pp. 467-482 ; Lisa Gasparotto, Anna Panicali, Conversazione su Auerbach e Pasolini, ivi, pp. 483-508.
92 emanuela patti la figura del poeta/intellettuale mimetico aveva potuto condensare quel progetto ideologico del plurilinguismo che andò dalle antologie ai romanzi romani, a partire dai primi anni sessanta, guardandosi allo specchio come fece ne La volontà di Dante a essere poeta (1965) e La Divina Mimesis (1975), quella stessa figura non poté che riscoprirsi irrimediabilmente dissociata. A quel punto, Pasolini si sarebbe riconosciuto solo nella figura di actor inscenando invece una serie di morti simboliche e demistificazioni per la sua controparte autoriale, l’auctor. È a partire da questa prospettiva che prenderò ora in considerazione alcune fasi del percorso autoriale pasoliniano in nome di Dante. Come anticipato, Pasolini non si identificò né con il neorealismo né con il realismo di Lukács, ma, almeno negli anni cinquanta, si impegnò ad elaborare un nuovo realismo letterario in modo tanto originale quanto complesso per via della sua articolata riflessione ideologica e meta-linguistica. Condividendo con queste culture solo la motivazione iniziale, ovvero dare voce al mondo degli umili, il realismo pasoliniano prendeva piuttosto le mosse dalla Stilkritik, trovando, in particolare, in un saggio di Contini, Preliminari sulla lingua del Petrarca (1951), e nella sua precedente Introduzione alle Rime (1939) di Dante la sua principale fonte d’ispirazione. Come ricorda Pasolini in un’intervista radiofonica del 1965, Dante e i poeti contemporanei, C’è stata negli anni cinquanta, presso un gruppo di addetti ai lavori, molto impegnati in questo, sulla scorta di un ormai famoso saggio di Contini, una specie di assunzione di Dante a simbolo. Il suo plurilinguismo, le sue tecniche poetiche e narrative, erano forme di un realismo che si opponeva, ancora una volta, alla Letteratura. Sicché io, nel mio operare di quegli anni, avevo in mente Dante come una specie di guida, la cui lezione, misconosciuta o mistificata nei secoli, era ricominciata ad essere operante con la Resistenza. Ora quell’idea di realismo degli anni cinquanta pare ed è superata e con essa si stinge l’interpretazione dantesca della ‘compagnia picciola’ che dicevo. 1
Consacrando il noto paradigma letterario ‘dantismo vs. petrarchismo’, il testo continiano inaugurava per Pasolini ed altri suoi illustri contemporanei, quali Edoardo Sanguineti e Franco Fortini, una fase di ‘realismo dantesco’, basato su un plurilinguismo che si opponeva allo stile assoluto, selettivo e puro del monolinguismo di Petrarca. Non si trattava, tuttavia, di una semplice questione di stile fine a se stessa, bensì di un’opportunità che Contini offriva agli scrittori del dopoguerra per ripensare politicamente il rapporto tra realtà e linguaggio in un momento storico in cui l’emergere dei dialetti presentava una situazione di plurilinguismo simile a quella vissuta dal poeta della Commedia. 2 Come sottolineano Fortuna, Gragnolati e Trabant 1
Pier Paolo Pasolini, Dante e i poeti contemporanei, sla i, pp. 1648-1649. Come ha enfatizzato Zygmunt Barański nel suo saggio seminale The power of influence (1986), in un contesto culturale fortemente influenzato dalla dialettica marxista e dal materialismo storico, la lingua di Dante – sperimentale, auto-riflessiva, strutturalmente e linguisticamente eclettica – era dunque esempio di una critica culturale anti-fascista verso il soggettivismo estremo, l’individualismo e lo stile assoluto, tradizionalmente associati all’Ermetismo ed al Simbolismo degli anni venti e trenta. Rispetto a questa linea petrarchesca della tradizione italiana, per gli intellettuali del dopoguerra Dante rappresentava il poeta della ragione, dell’oggettività, dello sperimentalismo e della riflessione critica del reale, concetti già in parte introdotti nella precedente ‘Introduzione’ continiana alle Rime dantesche (1939). Cfr. Zygmunt Barański, The power of influence. Aspects of Dante’s Presence in Twentieth-Century Italian Culture, « Strumenti Critici », i, 3, 1986, pp. 343-375. 2
pasolini, intellettuale mimetico 93 nel loro recente Dante’s Plurilingualism : Authority, Knowledge, Subjectivity, Dante è stato infatti il primo pensatore europeo della diversità linguistica :
nobody before Dante – ‘nemo ante nos’ – has dealt with linguistic diversity in such an elaborate way or developed such a deep understanding of the historicity and variability of language, because nobody before Dante – ‘nemo ante nos’ – has lived the problem of the plurality of languages in such a vital way as Dante’. 1
È a partire da questa prospettiva che Pasolini delinea, in una sua personale elaborazione ideologica del plurilinguismo di Dante, la figura del’‘poeta / intellettuale mimetico’. L’espressione viene usata la prima volta solo nel 1965, 2 ma il concetto era stato già elaborato nell’opera pasoliniana dai primi anni cinquanta. Mettendo insieme il plurilinguismo di Dante con la questione dell’alterità in termini di ideologia gramsciano/marxista, per Pasolini il plurilinguismo dantesco significò innanzitutto mimesis della lingua e delle modalità espressive dell’altro attraverso una ‘regressione/ oggettivazione’ di sé nel parlante. Si trattava di una vera e propria sfida nei confronti delle strutture retoriche della cosiddetta ‘Lingua del Padre’, 3 ovvero quella borghese, e reinterpretava il ruolo dello scrittore realista in termini nuovi rispetto al neorealismo. Per quanto, infatti, dai tempi di Dante il neorealismo letterario fosse il primo movimento letterario a dare una forma scritta all’italiano parlato e ai dialetti, come ricorda Calvino nella prefazione dell’edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno, gli scrittori neorealisti furono di fatto dei formalisti compulsivi. 4 Non diversamente, come sottolinea Walter Pedullà, il realismo socialista non si era dimostrato troppo favorevole verso lo sperimentalismo linguistico, 5 caratteristica, invece, fondamentale del ‘realismo dantesco’. Contrariamente a queste posizioni, Pasolini si preoccupò di portare la lotta di classe nel cuore della lingua borghese mettendo a fuoco le implicazioni sociali ed ideologiche della contaminazione linguistica tra lingua/cultura alta e lingua/cultura bassa. La figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’, associata all’idea di mimesis come regressione/oggettivazione del sé nel parlante, emerge già nel lavoro delle antologie Poesia dialettale del Novecento (1952) e Poesia popolare italiana (1955), scritte mentre Pasolini era impegnato contemporaneamente a tradurre gli stessi concetti sul piano artistico nel suo primo romanzo romano, Ragazzi di vita (1955) ed, in poesia, ne Le ceneri di Gramsci (1957). 6 Le due antologie sono ispirate rispettivamente al plurilinguismo dantesco e alla figura di poeta/intellettuale popolare, in cui è facile, ancora una volta, rinvenire l’esempio di Dante. 7 Nella prima antologia, Poesia dialettale del Novecento, 1 Sara Fortuna, Manuele Gragnolati, Jürgen Trabant, Dante’s Plurilingualism : Authority, Knowledge, Subjectivity, Oxford, Legenda, 2010, p. 3. 2 Cfr. Pier Paolo Pasolini, Intervento sul discorso libero indiretto, sla i, p.1364. 3 Cfr. Stefano Agosti, La parola fuori di sé, San Cesario di Lecce, Manni, 2004, p. 46. 4 Cfr. Italo Calvino, Prefazione, in Idem, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1971, pp. 9-10. 5 Cfr. Walter Pedullà, La letteratura del benessere, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1968, p. 64. 6 L’influenza continiana nell’opera di Pasolini è rinvenibile già a partire dagli anni quaranta. A quest’altezza il magistero continiano fu tradotto soprattutto nei termini di un anti-petrarchismo, inteso come un’espansione della lingua poetica in direzione della realtà e maggiore ricerca di un senso di oggettività e plasticità nelle immagini. Cfr. Emanuela Patti, Forme di dantismo e antipetrarchismo nella poetica pasoliniana degli anni quaranta, « Letterature Straniere » (Quaderni della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Cagliari), vol. 13, Roma, Aracne, novembre 2011, pp. 269-280. 7 Non a caso, quando in Poesia popolare italiana Pasolini descrive il ‘poeta popolare’, il migliore esempio
94 emanuela patti il concetto di mimesis sottende una prima demistificazione del realismo, ovvero il falso pregiudizio che questo coincida con il dialetto. Scrivere in dialetto o avere come oggetto della propria poesia il popolo non vuol dire necessariamente ‘realismo’, se la lingua riflette la visione borghese o aristocratica del poeta. Di fatto, l’equazione popolare/realistico non ha un valore assoluto, proprio perché il popolo non si autorappresenta non avendo una coscienza sociale e poetica. Non era realismo dunque se ai poeti mancava esperienza diretta e la loro poesia usava descrizioni ed immagini poetiche aprioristiche della realtà ; in questi casi, si trattava piuttosto di quella che Fortini definì la « coltivazione artificiale dei dialetti », 1 fatta di caricature e traduzioni dall’italiano al dialetto. Per Pasolini questa falsa concezione del realismo fu un principio chiarissimo sin dalle sue prime esperienze dirette nelle borgate romane. Quattro mesi dopo il suo trasferimento a Roma nel 1950, egli pubblicò su Il Quotidiano un articolo dal titolo Romanesco 1950 in linea con la ricerca di quegli anni. L’intento era quello di dimostrare che l’effetto di pastiche realizzato in molta letteratura contemporanea, come nei film neorealisti in cui il dialetto romano era diventato « colonna sonora », 2 era lontano da un’operazione mimetica, quindi non era ‘realmente’ popolare. Prendendo, nello specifico, l’esempio di Tormarancio di Dell’Arco, considerato uno dei migliori esempi del dialetto romano del xx secolo, Pasolini sosteneva che si trattasse di fatto di lingua colta, ovvero quanto di più lontano da una ‘reale’ mimesis, in quanto « preziosità linguistica proprio italianeggiante, di gusto novecentesco, ricerca di parole rare, antiquate, da incastonarsi in un tessuto linguistico assai limpido, tanto da giungere così al pastiche ». 3 In altre parole, secondo l’autore mancava in Dell’Arco « l’oggettivazione di sé nel parlante della borgata : l’immedesimazione, per esprimerci con un termine più corrente », anche definito come « un ultimo e decisivo sforzo di pietà ». 4 In questo articolo, così come in Poesia dialettale del Novecento, Pasolini interpreta dunque il plurilinguismo dantesco come identificazione ed empatia nei confronti del parlante : il bilinguismo non era solo una differenza linguistica, ma innanzitutto una differenza socio-culturale e psicologica esistente tra il poeta borghese di cultura alta ed il popolo di cultura bassa. Lontani, dunque, dall’operazione documentaria del Verismo, le migliori forme di plurilinguismo per Pasolini erano quelle in cui la contaminazione tra queste due culture, prima ancora che tra le due lingue (italiano e dialetto) avveniva attraverso una regressione sociale ed emotiva del poeta borghese nella realtà dell’altro (il popolo), 5 così da poter esprimere ciò che sfugge dalle consuete rappresentazioni borghesi del popolare – ovvero quel nucleo irrazionale di sacralità che
che trova è proprio quello del poeta del Trecento in grado di colmare distanza tra cultura alta e bassa, creata di fatto quando nel xiv e xv secolo l’élite letteraria e filosofica si era separata dalla borghesia commerciale, manifatturiera e finanziaria. Come specifica Pasolini, il poeta popolare appartiene alla cultura in evoluzione della borghesia, così come a quella tradizionale del popolo (Cfr. Pier Paolo Pasolini, Poesia popolare italiana, sla i, p. 888). 1 Cfr. Franco Fortini, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 8. 2 Cfr. Pier Paolo Pasolini, Romanesco 1950, sla i, p. 341. 3 4 Cfr. ivi, p. 341. Cfr. ivi, p. 343. 5 Come Pasolini ebbe già modo di spiegare in un suo articolo del 1951, Dialetto e poesia popolare, per riscattare il senso più profondo dell’esperienza dialettale, il poeta doveva compiere una doppia operazione : « un regresso che il poeta per simpatia compirebbe nell’interno del parlante inconsapevole, e un recupero verso il livello della coscienza » (cfr. Pier Paolo Pasolini, Dialetto e poesia popolare, sla i, p. 375).
pasolini, intellettuale mimetico 95 oggi definiremmo il ‘vero’ Reale in termini lacaniano/žižekiani. Allo stesso modo, l’imitazione letteraria e linguistica doveva essere strettamente legata all’esperienza fisica dell’altro (in quell’« agnizione dell’altrove » ben descritta da Vighi), 1 in modo da restituire ai versi il senso della partecipazione alla dimensione concreto-sensuale della realtà. Il caso di Gioachino Belli è in questo senso paradigmatico : 2 come Pasolini avrebbe ulteriormente chiarito nell’Introduzione a Il fiore della poesia romanesca (1952) di Leonardo Sciascia, nel poeta romano fondamentale era la differenza tra ‘essere in un ambiente’ ed ‘esistere in un ambiente’. In quest’ultimo caso, la connessione con la realtà del luogo e delle persone, prima ancora che essere linguistica, non poteva che essere di natura sentimentale e necessariamente esperita dal contatto fisico e diretto con essa. Per Pasolini questo era l’unico modo per sfuggire da immagini astratte o stereotipate della realtà. Rileggere il ‘realismo’ di Ragazzi di vita in questa prospettiva non può che confermare quanto questo fosse non solo estraneo alla cultura del neorealismo, ma assolutamente coerente con quell’idea di mimesis che Pasolini aveva teorizzato nei suoi scritti critici della prima metà degli anni cinquanta : espressione di quel desiderio mimetico che univa senso di empatia, come profonda ‘connessione sentimentale’ o ‘pietà’ per il sottoproletariato delle borgate e motivazione ideologica, come atto performativo di superamento della barriera retorico-linguistica tra l’autore e l’oggetto del desiderio. Un’empatia realmente vissuta da Pasolini nei suoi primi mesi romani, ma anche manifestazione di un eros provato per queste figure ai margini della società che finalmente poteva esprimersi liberamente dopo i tempi di Casarsa. Ecco allora il senso di quel plurilinguismo che nasceva dall’esperienza in loco della lingua dell’altro, secondo l’esempio di Belli citato in Romanesco 1950, 3 ma che a questo aggiungeva un trasgressivo desiderio fisico di ‘oggettivazione del sé nell’altro’. Come Pasolini scrive a tale proposito in Il metodo di lavoro :
è chiaro che ogni autore che usi una lingua “parlata”, magari addirittura allo stato naturale di dialetto, deve compiere questa operazione esplorativa e mimetica di regresso – come accennavo – sia nell’ambiente che nel personaggio, in sede, cioè, sia sociologica che psicologica. Vista marxisticamente la cosa si presenta come una regressione più che da un livello culturale a un altro, da una classe all’altra. Io mi sento assolto in questa operazione da ogni possibile accusa di gratuità, o cinismo, o dilettantismo estetizzante per due ragioni : la prima, di tipo, diciamo, morale (riguardante cioè il rapporto tra me e le persone particolari dei parlanti poveri, proletari o sottoproletari) è che, nel caso di Roma, è stata la necessità (fra l’altro la mia stessa povertà sia pure di borghese disoccupato) a farmi fare l’esperienza immediata, umana, come si dice, vitale, del mondo che ho poi descritto e sto descrivendo. Non c’è stata scelta da parte mia, ma una specie di coazione del destino : e poiché ognuno testimonia ciò che conosce, io non potevo che testimoniare la « borgata » romana. Alla coazione biografica si aggiunge la particolare tendenza del mio eros, che mi porta inconsciamente, e ormai con la coscienza dell’incoscienza, a evitare incontri che causino possibili
1 Cfr. Fabio Vighi, Le ragioni dell’altro. La formazione intellettuale di Pasolini tra saggistica, letteratura e cinema, Ravenna, Longo, 2001, p. 201. 2 In Poesia dialettale del Novecento Pasolini sottolinea che il poeta romano era in grado di rappresentare « una Roma reale » perché « svolgendosi la reale esistenza di Roma, come in qualsiasi altra città italiana, dentro il rione, è nel rione che il Belli compie il regresso nel suo parlante pigro e collerico, esibizionista e filosofo » (Cfr. Pier Paolo Pasolini, Poesia dialettale del Novecento, sla i, p. 772). 3 Cfr. Pier Paolo Pasolini, Romanesco 1950, sla i, p. 778.
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emanuela patti
(e sia pur molto leggeri, come m’insegna l’esperienza), traumi di sensibilità borghese, o di borghese conformismo. 1
Non stupisce dunque che fu lo scandalo la principale reazione della critica. Dietro l’apparenza di un’operazione letteraria in nome di Dante e di un’impostazione ideologica in nome di Gramsci, di fatto Ragazzi di vita portava il segno evidente di quello che Adorno definisce il « tabù mimetico ». 2 Era il sintomo di un represso sociale che, non a caso, molti critici si affrettarono ad etichettare come un profondo attaccamento verso gli aspetti più osceni dell’umanità. La critica si divise, infatti, principalmente su due posizioni : quella che definì il romanzo « morboso » o « Cuore in nero » (Emilio Cecchi, 1955) – « un gusto morboso dello sporco, dell’abbietto, dello scomposto e del torbido » (Carlo Salinari, 1955) ; « morboso compiacimento degli aspetti più torbidi di una verità complessa e multiforme » (Giovanni Berlinguer, 1956) – e quella che lo definì come espressione di un amore per le borgate – « un’imperterrita dichiarazione d’amore » (Contini, 1955). 3 Questo suggerisce che persino ad un livello simbolico-linguistico il desiderio mimetico di oggettivazione di sé nell’altro era socialmente e moralmente inaccettabile per il canone letterario del tempo. Eppure, proprio in questo consisteva il valore politico del linguaggio in Ragazzi di vita : mettere in atto un’operazione completamente trasgressiva rispetto alla visione della realtà comunemente accettata, o attesa, come nel caso dei comunisti ortodossi, e rompere, di conseguenza, con un certo ‘realismo’. In altre parole, in Ragazzi di vita mimesis rendeva il desiderio di oggettivazione nell’altro epitome di una realtà sociale sepolta, quella del sottoproletariato, e faceva emergere attraverso le sue immagini l’esperienza visiva, acustica, olfattiva, tattile di quella realtà. In questo modo, Pasolini liberava il represso, il cosiddetto Reale lacaniano/žižekiano, inaccettabile nella società, così come nel linguaggio. La battaglia linguistica era dunque una battaglia civile e sociale e dietro il formalismo della lingua borghese, la Lingua del Padre, Pasolini colpiva il cuore di quella cultura fascista e democristiana che aveva represso il suo ‘osceno’ desiderio mimetico. Un paio di anni dopo, ne Il metodo di lavoro, avrebbe infatti giustificato la sua operazione linguistica nei seguenti termini :
Perché questa selezione linguistica mimetizzante ? Per poter dare, come scriveva Contini, “un’imperterrita dichiarazione d’amore”. Il fondo sentimentale e umanitario, appartiene è vero, alla mia preistoria : ma, si dice, “la nostra storia è tutta la storia” e io aggiungerei “anche la preistoria”. Il mio realismo io lo considero un atto d’amore : e la mia polemica contro l’estetismo novecentesco, intimistico e para-religioso, implica una presa di posizione politica contro la borghesia fascista e democristiana che ne è stata l’ambiente e il fondo culturale. 4
Nella carriera pasoliniana Ragazzi di vita rappresenta la più compiuta realizzazione formale di quella illusione letteraria della mimesis, paradosso che non tardò a rivelare i suoi limiti, in quanto esercizio filologico forzato ed innaturale. Contrariamente 1
Idem, Il metodo di lavoro, in Ragazzi di vita, Torino, Einaudi, 1972, p. 209. Theodor w. Adorno, Teoria estetica, Torino, Einaudi, 2009, pp. 58-59. 3 Cfr. Emilio Cecchi, Romanzi e novelle, « Corriere della sera », 28 giugno 1955 ; Carlo Salinari, Recensione a Ragazzi di vita, « Il contemporaneo », 5 luglio 1955 ; Giovanni Berlinguer, Il vero e il falso delle borgate di Roma, « L’Unità », 29 luglio 1956 ; Gianfranco Contini, Parere su un decennio, « Letteratura », 17-18, 4 Pier Paolo Pasolini, Il metodo di lavoro, cit., p. 210. settembre-ottobre 1955. 2
pasolini, intellettuale mimetico 97 alle aspettative, il secondo romanzo romano, Una vita violenta (1959), non ebbe lo stesso impatto scandalistico, segnale di un’ « istanza progressiva », 1 di un certo compromesso con l’ordine simbolico borghese. Nella sua evoluzione morale e politica, Tommaso Puzzilli rappresentava di fatto l’integrazione culturale e linguistica del sotto-proletariato nella piccola borghesia perdendo automaticamente la sua natura ‘Reale’, in quanto propria dell’altro. Non troviamo infatti, né sul piano narrativo né su quello socio-culturale, quella stessa resistenza alla borghesizzazione che Pasolini aveva invece enfatizzato nei suoi ragazzi di vita. Non a caso, l’anno successivo il poeta avrebbe dichiarato ufficialmente la morte di quello « stile mimetico e oggettivo - la grande ideologia del reale » che aveva guidato la sua attività critica ed artistica per tutto il decennio. 2 La sera del 27 giugno, durante la presentazione dei finalisti del Premio Strega, vinto poi da Carlo Cassola con La ragazza di Bube, Pasolini lesse un poemetto ispirato all’orazione funebre del Marcantonio shakespeariano, In morte del realismo, che puntava il dito contro tutti quegli scrittori che, sottovalutando il potere politico rivoluzionario del plurilinguismo, l’avevano rinnegato per le ragioni del bello stile. Con i suoi toni drammatici, l’invettiva pasoliniana inscenò la morte dello « stile misto, difficile, volgare », il quale « diede alla lingua un numero infinito di parole che di nuovi apporti di realtà riempirono il vuoto senile dell’Erario » ; 3 in realtà, il vero tradimento di quel progetto mimetico era stato compiuto da Pasolini stesso con il romanzo tout court e con la lingua scritta. Era quella la vera morte simbolica che veniva celebrata in quella solenne occasione. L’associazione realismo-romanzo e realismo-lingua italiana emerge chiaramente nel lapsus della seconda edizione del testo, nel quale Pasolini scrisse « sono qui a seppellire il romanzo italiano » invece di « il realismo » e poche righe dopo « son venuto io qui a parlare della morte della lingua italiana » e non « del realismo italiano », come venne pubblicato nell’ultima versione. L’identificazione non poteva essere più sintomatica : il romanzo e la lingua italiana erano, come il realismo, delle strutture formali borghesi, nella fattispecie proprio quelle strutture che Pasolini intendeva scardinare con una ‘diversa’ interpretazione di mimesis. La contraddizione del progetto mimetico pasoliniano risiedeva dunque nel voler ‘formalizzare’ nella struttura retorica del romanzo borghese qualcosa che per come era concepita non poteva che eludere qualunque integrazione al suo ordine simbolico. Con In morte del realismo Pasolini dichiarava dunque la fine di « quell’idea di realismo degli anni Cinquanta » che aveva creduto possibile ‘incorporare’ il Reale nella forma romanzo. 4 Se da un lato questo poemetto segna quel passaggio dalla letteratura al cinema che negli anni di Officina (1955-1959) era già stato in qualche modo anticipato dalla scoperta del realismo figurale di Auerbach, dall’altro segna anche in Pasolini la dissociazione tra auctor e actor, tenuta insieme in quella figura di poeta/intellettuale mimetico ispirata a Dante che aveva la sua ragione d’essere in letteratura. La scissione della figura autoriale trova le sue più sintomatiche rappresentazioni in due nuovi ‘travestimenti’ danteschi : il saggio scritto in occasione del centenario, La volontà di Dante a essere
1 Per un approfondimento sull’evoluzione dell’altro tra mito, storia e dopostoria, Cfr. Guido Santato, “L’abisso tra corpo e storia”. Pasolini tra mito, storia e dopostoria, « Studi pasoliniani », 1, 2007, pp. 15-36. 2 3 Cfr. Pier Paolo Pasolini, In morte del realismo, tp i, p. 560. Ivi, p. 557. 4 Cfr. Pier Paolo Pasolini, Dante e i poeti contemporanei, sla i, p. 1649.
98 emanuela patti poeta (1965) e la sua più o meno coeva imitazione della Commedia dantesca, La Divina Mimesis, pubblicata postuma nel 1975. Nel primo saggio la dualità auctor/actor viene problematizzata attraverso un’analisi di quel doppio punto di vista di Dante, ancora una volta ispirato da un saggio continiano di qualche anno prima, Un’interpretazione di Dante (1958) : secondo questa prospettiva, la figura autoriale del poeta della Commedia conciliava perfettamente una ‘posizione teologico-universalistica’ trascendentale, che consentiva uno sguardo ampio sulla realtà (quella dell’auctor), ed una ‘coscienza sociale’, che garantiva la mimesis linguistica (quella dell’actor). Per Pasolini questa unità non era più possibile : persa quell’« ideologia di ferro » che teneva insieme funzione trascendentale e funzione partecipativa, l’unico ruolo in cui il poeta sentiva di identificarsi era in quello performativo dell’actor. Anche il plurilinguismo dantesco risultava, in questa rilettura, nient’altro che una forma diversa di monolinguismo, per la precisione un « monolinguismo tonale ». 1 La stessa dualità e crisi ideologica trova una più esplicita auto-rappresentazione ne La Divina Mimesis. Scritta principalmente negli anni compresi tra la pubblicazione di Studi su Dante (1963) di Auerbach e La volontà di Dante a essere poeta (1965), l’imitazione pasoliniana della Commedia è figura di quel percorso dall’identificazione alla disidentificazione nell’unità del modello letterario dantesco che va dagli anni cinquanta agli anni sessanta. In questo viaggio inverso, ben illustrato nell’Iconografia ingiallita, dal ‘paradiso’ di un’Italia plurilinguista all’‘inferno’ neo-capitalista della Lingua dell’Odio, Pasolini si scopre irrimediabilmente dissociato ed « in piena ricerca » : 2 « intorno ai quarant’anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita ». 3 Sul piano dell’autorialità, questo testo svolge un’importante funzione simbolica. Mentre il periodo compreso tra Mimesis e Studi su Dante coincide per Pasolini con la morte del realismo letterario ed il suo approccio ad un realismo creaturale nel cinema, il concetto di ‘figura’ inaugura una nuova fase di realismo che trova nella riscrittura la migliore riflessione pasoliniana su testo, sceneggiatura e film. La Divina Mimesis troverà la sua ‘integrazione figurale vivente’ proprio nel cinema, in quella connessione orizzontale tra la figura del pellegrino e le altre figurae autobiografiche dei suoi film. Pasolini impiegherà di fatto due strategie di auto-rappresentazione nelle sue opere successive. Da un lato, il viaggio simbolico del sé autobiografico iniziato ne La Divina Mimesis si svilupperà nel realismo figurale dei suoi film. Le figurae autoriali più significative sono, in questo senso, Orson Wells ne La ricotta (1963), Gesù ne Il Vangelo secondo Matteo (1964), il corvo in Uccellacci e uccellini (1965), il marionettista in Che cosa sono le nuvole ? (1967), San Paolo nel Progetto per un film su San Paolo (1968), tutte tese a problematizzare la figura dell’auctor. Dall’altro lato, Pasolini cercherà di eludere la mediazione simbolica della sua autorialità come auctoritas. In questa prospettiva, La Divina Mimesis corrisponde ad un punto di svolta nella poetica pasoliniana : se Dante era stato prima assunto come esempio di mimesis letteraria, ora il suo capolavoro, la Commedia, diventa il pre-testo, o l’ultimo testo residuale, 4 per
1
Cfr. Idem, La volontà di Dante a essere poeta, sla i, p. 1390. Cfr. Idem, Lo ripeto : io sono in piena ricerca, sla ii, p. 2447. 3 Idem, La Divina Mimesis, rr ii, p. 1075. 4 Cfr. Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino, cit., p. 15. 2
pasolini, intellettuale mimetico 99 rendere la parola del ‘poeta/intellettuale mimetico’ azione vivente attraverso corpi, suoni ed immagini. Dopo la morte del realismo dantesco e la conseguente dissociazione dell’unità auctor / actor, la funzione regressiva ed empatica del poeta/intellettuale mimetico (il Pasolini-actor) assume una nuova forma di espressione performativa nella ‘partecipazione’ di Pasolini stesso nei suoi testi, film, reportage, articoli giornalistici. Questa forma di performatività viene principalmente intesa come interazione con l’altro e co-presenza, nonché mistificazione meta-narrativa del proprio ruolo autoriale, l’auctor. In quest’ultima sezione, prenderò dunque in considerazione alcuni atti performativi attuati nella performance fisica, ma anche nel discorso, per capire in che modo l’oggettivazione del sé nell’altro è stata reinterpretata dopo la crisi strutturale dell’unità autoriale : esempi sono il suo ruolo di intervistatore nel reportage Comizi d’amore (1963-4), il suo approccio all’attività giornalistica (particolarmente evidente ne ‘Il Caos’ in Tempo) e l’ultima auto-rappresentazione autoriale ne ‘Lettera a Moravia’ in Petrolio. Comizi d’amore è una delle migliori rappresentazioni propriamente performative della mimesis pasoliniana, in quanto reale partecipazione fisica dell’autore/regista nel documentario, co-presenza ed interazione vivente con i personaggi che diventano co-autori, discorso libero indiretto, operazione linguistica e culturale basata sull’empatia. Nel breve documentario il regista viaggia per l’Italia per intervistare persone dai background sociali e culturali più diversi a proposito delle loro abitudini sessuali e della loro idea dell’amore. Rievocando la figura di Dante-actor che cammina per le strade del suo Paese, il regista incarna quella funzione partecipativa nei suoi personaggi ; nel documentario il linguaggio verbale rappresenta una realtà a tutti gli effetti referenziale, così come gli oggetti e i corpi rappresentano veri e propri referenti. Non esiste uno schermo simbolico tra le due parti che inscenano una ‘mimesis vivente’. In modo simile, la stessa interazione è cercata virtualmente anche nel giornalismo. La collaborazione pasoliniana con la rivista settimanale Tempo (1968-1970) è particolarmente significativa a tale proposito. Pasolini aveva già lavorato come giornalista per Vie Nuove dal 1960 al 1964, ma certamente il format dei ‘dialoghi diretti’ con i lettori consentiva un alto grado di referenzialità. Come ha giustamente enfatizzato Michael Caesar nel suo saggio Outside the Palace : Pasolini’s journalism (1973-1975), il significato politico degli articoli giornalistici pasoliniani risiede non tanto nelle posizioni individuali che lui assumeva di volta in volta, per quanto importanti potessero essere, ma piuttosto nell’insolito rapporto che instaurava con i suoi lettori. 1 Pasolini « si rifiuta di scomparire dietro al testo, dietro le maschere narrative e le rifrazioni d’identità, […] scommette su di un’impossibile “parola diretta” ». 2 Il suo primo articolo per la rubrica inaugurò infatti l’enunciato demistificante del suo ruolo autoriale nella rivista, del quale esplicitamente intendeva decostruire l’auctoritas ed annullare lo schermo che lo separava dai suoi lettori : « se una qualche autorità ho ottenuto, malamente, attraverso quella mia opera, sono qui per rimetterla
1 Michael Caesar, Outside the Palace : Pasolini’s journalism (1973-1975), in Pasolini old and new, edited by Zygmunt Barański, Dublin, Four Courts Press, 1999, pp. 363-390 : p. 364. 2 Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino, cit., p. 12.
100 emanuela patti 1 del tutto in discussione ». In questa affermazione corsara meta-discorsiva Pasolini trascendeva l’identità autoriale dell’opinion-maker o della guida per diventare, attraverso la sua affermazione e nella trasparenza del suo discorso, proprio la cosa di cui stava parlando. Pasolini che parla della crisi ‘è’ la crisi, è la crisi nel momento in cui viene riconosciuta. 2 In questo caso, il ruolo dell’intellettuale mimetico è dunque quello di un corpo parlante che ri-significa la sua identità nella performance narrativa. Caesar illustra bene il valore di questa operazione quando afferma che è esattamente in questa straordinaria impresa di mimetizzazione, nella sua incarnazione della crisi attraverso la lingua con la quale vedeva se stesso e gli altri che risiede l’eccezionale posizione di Pasolini nella cultura del dopoguerra. 3 Un simile atteggiamento mimetico-performativo si può notare anche in Petrolio. Nella lettera a Moravia alla fine del romanzo, Pasolini afferma a chiare lettere di non voler scomparire dietro la figura convenzionale del narratore : « nel romanzo di solito il narratore scompare, per lasciar posto ad una figura convenzionale che è l’unica che possa avere un vero rapporto con il lettore ». 4 Lo scrittore voleva piuttosto parlare con i suoi lettori direttamente, « in carne e ossa » ; voleva mettere l’oggetto libro tra se stesso e i lettori per discuterne insieme. Ancora una volta, ciò che viene qui problematizzato è l’ordine simbolico del romanzo e delle sue strutture retoriche, in primis l’autorialità come questione formale. Non si tratta neppure del caso dell’autore che dichiara di non essere tale. Pasolini rifiuta in toto il ‘giuoco’ della letteratura : « Non ho più voglia di giuocare (davvero, fino in fondo, cioè applicandomi con la più totale serietà) ». 5 Scoperte dunque le carte della finzione letteraria, in Petrolio la funzione autoriale si rivela diametralmente opposta rispetto a quella di Ragazzi di vita. Se nell’unità ideologica del primo, l’auctor tentava di scomparire dal testo ed oggettivarsi nel personaggio attraverso la scrittura, in questo caso l’actor cerca la complicità del lettore per liberarsi definitivamente dell’auctor. È in questo senso che l’ultimo romanzo pasoliniano si rivela più che mai postumo : non perché è stato pubblicato dopo la morte fisica dell’autore, ma perché è stato scritto dopo la sua morte simbolica. Una morte scritta in origine.
1
Pier Paolo Pasolini, Da “Il caos” sul « Tempo » 1968, sps, p.1094. Michael Caesar, Outside the Palace : Pasolini’s journalism, cit., p. 386. 4 Pier Paolo Pasolini, Petrolio, rr ii, p. 1826. 2
3
Ibidem. Ivi, p. 1827.
5
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* Luglio 2013 (cz 2 · fg 13)
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