Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio
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Zitiervorschau

Michael C. Corballis

Dalla mano alla bocca Le origini del linguaggio

~ Raffaello Cortina Editore

www.raffaellocortina.it

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

Titolo originale From Hand to Mouth. The Origins o/ Language © 2002 Princeton University Press Traduzione Salvatore Romano ISBN 978-88-6030-205-2 © 2008 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2008

INDICE

Prefazione

IX

Ringraziamenti

XIII

1. Cos'è il linguaggio? 2. Gli animali possiedono il linguaggio?

29

3. All'inizio era il gesto

57

4. Su due piedi

91

5. Diventare umani

113

6. La lingua dei segni

141

7. Parole, parole, parole

173

8. Perché siamo asimmetrici?

217

9. Da mano a bocca

253

10. Sinossi

291

Bibliografia

299

Indice dei nomi

327

Indice analitico

331

vn

PREFAZIONE

Quando Tom ed Elizabeth presero la fattoria Con le felci si fecero il letto,

E Quardle oodle ardle wardle doodle Fecero le gazze.

Così scrive il poeta neozelandese Denis Glover nella sua The Magpies ("Le gazze"). Anch'io sono cresciuto in una fattoria della Nuova Zelanda e ricordo bene il richiamo stridulo eppure stranamente melodioso delle gazze che facevano il nido negli alberi intorno a casa. (Se vi stupite che io definisca "strani" quei suoni, vi ricordo che si trattava di gazze diverse da quelle nordamericane; erano di origine australiana, e i suoni australiani spesso sono diversi da qualunque altra cosa.) E ricordo bene, anche, che mi chiedevo di cosa stessero parlando. Forse non avrei dovuto chiedermi una cosa del genere. Un giorno, una gazza scese in picchiata e mi beccò sulla testa niente di serio, solo un avvertimento a che badassi ai fatti miei. Mio padre, poco dopo, spuntò fuori con un fucile da caccia e sparò ali' aggressore. Comunque sia, adesso so che il quardle oodle ardle delle gazze somiglia ben poco al linguaggio umano, nonostante Plutarco abbia descritto una gazza parlante di proprietà di un barbiere romano. Altro che quardle ardle. Come cercherò di mostrare in questo libro, il linguaggio umano ha una complessità e una creatività incomparabili a qualunque altra forma di comunicazione animale, e probabilIX

PREFAZIONE

mente si fonda su princìpi del tutto differenti. Ma se è proprio vero che non esistono antecedenti del linguaggio umano rinvenibili nel regno animale, allora sembrerebbe che non abbiamo quasi nulla su cui costruire una teoria dell'evoluzione linguistica. Nel 1866 la Società Linguistica di Parigi mise al bando qualsiasi discussione sull'evoluzione del linguaggio. A parte la mancanza di evidenze empiriche, può darsi che, semplicemente, l'argomento fosse troppo scottante. VOrigine delle specie di Charles Darwin era apparsa da soli sette anni provocando controversie gigantesche, soprattutto per la chiara implicazione (per quanto espressa da Darwin in modo obliquo) che gli uomini discendono dalle scimmie. Se il linguaggio è una cosa che possiamo dire "nostra", allora forse è meglio non esaminarlo troppo da vicino, per tema di scoprire che gli orangutan sparlano di noi alle nostre spalle. La regina Vittoria aveva già emesso una nota di disapprovazione. Nella sua prima visita allo zoo di Londra, nel 1842, sembra abbia detto che "l'orangutan è troppo fuori dall'ordinario ... È spaventevole e doloroso e sgradevolmente umano" .1 Nel suo libro Quasi come una balena, progettato come un aggiornamento della Origine delle specie, il genetista Steve Jones scrive: "Quando dobbiamo precisare cosa ci rende unici, la scienza può rispondere a tutte le domande tranne a quelle davvero interessanti". 2 Per esempio, egli suggerisce che non riusciremo mai a scoprire le origini della mente cosciente: "Tutti ne abbiamo una, ma per quello che sappiamo nessun altro essere la possiede. Il risultato è che speculare sulla sua evoluzione è futile". 3 Forse il linguaggio appartiene alla stessa categoria. lo credo, però, che i linguisti parigini fossero troppo severi, e Jones troppo pessimista. Cercherò di mostrare in questo libro che vi sono molti dati a favore dell'evoluzione del linguaggio. Negli ultimi settantacinque anni le scoperte di una grande 1. Citato inJones (2000), p. 431. 2. Jones (2000), pp. 432-433. 3. Ibidem, p. 433. Non tutti sarebbero d'accordo sulla tesi secondo cui solo gli esseri umani posseggono la coscienza.

X

PREFAZIONE

quantità di fossili hanno fornito spiegazioni sempre più dettagliate (per quanto controverse) sull'evoluzione della nostra specie nei 5 o 6 milioni di anni trascorsi dal momento in cui la linea evolutiva che avrebbe condotto agli esseri umani moderni si è separata da quella che ha portato a scimpanzè e bonobo. I biologi molecolari hanno ulteriormente contribuito a questo quadro. Chi si è occupato di etologia dei primati odierni ha fornito descrizioni sempre più dettagliate di comportamenti che hanno a che fare col linguaggio, anche se non sono essi stessi linguaggio. Ulteriori evidenze provengono da settori diversi come le neuroscienze, la linguistica, l'antropologia e la psicologia evolutiva. Il mio scopo in questo libro è di intessere una storia dell'evoluzione del linguaggio ricorrendo a fili presi da un ampio spettro di discipline, in un modo che spero risulti accessibile a chiunque sia interessato alla questione. Il tema di fondo della mia storia è che il linguaggio si è evoluto non dai richiami vocali dei nostri antenati primati, ma semmai dai loro gesti manuali e facciali. Visto che noi siamo una specie tanto ciarliera, questa tesi può apparire perversa. Eppure, l'idea non è nuova, e risale almeno ai secoli dell'espansionismo europeo, quando i commercianti scoprirono di riuscire a comunicare meglio coi nativi usando gesti manuali piuttosto che parole. In modo meno informale, la teoria gestuale è spesso attribuita al filosofo settecentesco Condillac, il quale però dovette camuffarla sotto le vesti di una favola: al1' epoca, infatti, era ampiamente condivisa la tesi secondo cui il linguaggio è una cosa così speciale che solo Dio può averlo donato agli uomini. Sebbene la teoria gestuale sia stata sostenuta a più riprese dai tempi di Condillac, è probabile che sia ancora una tesi minoritaria. Siete stati avvertiti. Ciò nondimeno, vi invito a osservare più da vicino quello che le persone fanno con le mani quando parlano. Allora forse sarete d' accordo con me che la transizione dalla mano alla bocca non è ancora pienamente compiuta.

xr

RINGRAZIAMENTI

Nella sua autobiografia Ricordi di un'educazione cattolica, la scrittrice americana Mary McCarthy riferisce come, da bambina, avesse deciso di far finta di avere perso la fede. All'inizio il motivo era stato più la teatralità della cosa che una vera convinzione, ma i suoi chiamarono un prete perché discutesse con lei, e più lui cercava di convincerla più Mary trovava repliche che andavano a sostegno della sua posizione antireligiosa. Allo stesso modo, in questo libro io sono in debito con chi ha cercato di dissuadermi dalla convinzione che il linguaggio si origina dai gesti manuali, così come con chi mi ha aiutato a trovare invece prove a sostegno. Devo ringraziare le seguenti persone, di cui alcuni non sanno neanche quanto mi hanno aiutato e altri non concorderebbero con molto di quanto sostengo: Giovanni Berlucchi, Ellen Bialystok, Derek Bickerton, Dick Byrne, Paul Corballis, Iain Davidson, Jill de Villiers, Merlin Donald, Russ Genet, Tom Givòn, Russell Gray, Jim Hurford, Steve Keele, Tony Lambert, Stephen Lea, Andrew Lock, Carol Patterson, Anne Russon, Vince Sarich, il defunto William C. Stokoe, Tom Suddendorf, Sherman Wilcox, e il corso di laurea in Psicologia evolutiva dell'anno 2000 presso l'Università di Auckland. Margaret Francis mi ha gentilmente aiutato con le illustrazioni. Un ringraziamento particolare va a Vicky Wilson-Schwartz, cui si deve il copy-editing del manoscritto, e a Sam Elworthy, il mio editor alla Princeton University Press. Il contributo di Sam è stato incalcolabile, e in quanto mio compatriota ha tollerato le mie piccole idiosincrasie da nativo. E un ringraziamento speciale va anche a Barbara Corballis, che ha sopportato tutto questo.

XUJ

1 COS'È IL LINGUAGGIO?

Trovo intrigante l'idea piuttosto frivola che noi non discendiamo dalle scimmie ma dagli uccelli. Noi umani abbiamo sempre cercato caratteristiche uniche della nostra specie, con un occhio particolarmente attento a quelle che ci dovrebbero rendere superiori agli altri esseri viventi. Per distanziarci dai nostri cugini primati superiori abbiamo proposto un bel po' di qualità particolari, ma spesso, in modo sconcertante, queste caratteristiche si ritrovano anche nei nostri amici pennuti. Come noi, gli uccelli vanno in giro su due zampe piuttosto che su quattro, almeno quando non volano (e ce n'è che non sanno volare). I pappagalli hanno la tendenza costante a raccogliere le cose con una zampa, anche se, con un beffardo rovesciamento rispetto alla manualità umana, di solito usano la zampa sinistra (la maggior parte degli uomini sono invece destri). Alcuni uccelli, saggiamente, mettono da parte cibo per l'inverno, e ci sono indizi secondo cui alcuni di loro sono in grado di ricordare non solo dove hanno nascosto il cibo ma anche quando l'hanno fatto, suggerendo quindi il possesso di quella particolare memoria detta episodica che è stata ritenuta peculiare di noi umani. 1 Gli uccelli costruiscono utensili. Volano, anche se non hanno bisogno di comprare biglietti aerei. Cantano. E alcuni parlano. 1. Questi intelligenti uccelli sono le scrub jays (passeracei del genere Aphelocoma diffusi negli USA meridionali e nel Centroamerica) e le loro gesta sono descritte in Clayton, Dickinson (1998).

l

DALLA MANO ALLA BOCCA

Forse è quest'ultimo punto il più interessante. La maggior parte degli uccelli battono largamente i mammiferi, inclusi i primati nostri progenitori immediati, nella variabilità e flessibilità dei suoni vocali che sono capaci di emettere, e si possono osservare (o udire) alcuni paralleli stupefacenti con il linguaggio umano. Le vocalizzazioni degli uccelli canori sono complesse e, come il linguaggio umano, vengono controllate principalmente dall'emisfero cerebrale sinistro. 2 Anche se il canto degli uccelli è in gran parte istintivo, essi sono in grado di apprendere dialetti differenti, e alcuni possono addirittura apprendere sequenze arbitrarie di note. Per imparare un canto particolare, gli uccelli devono apprenderlo molto presto, quando sono ancora nidiacei, anche se lo emetteranno solo in seguito. Questo lasso cruciale di tempo è noto come periodo critico. Il modo in cui gli umani imparano a parlare sembra anch'esso dipendere da un periodo critico; cioè, sembra impossibile imparare a parlare bene se non siamo esposti al linguaggio nell'infanzia, e un secondo linguaggio appreso dopo la pubertà è quasi inevitabilmente afflitto da un accento rivelatore. Alcuni uccelli, come i pappagalli, sono superiori agli umani nella loro capacità di adattare le vocalizzazioni, e non solo imitando la voce umana. Si dice che l'uccello-lira australiano sia capace di produrre un'imitazione pressoché perfetta del suono dell'apertura di una lattina di birra - che è probabilmente il suono più frequente che si possa udire quando in quel paese si riuniscono esseri umani. 3 Ma ovviamente il canto degli uccelli differisce in molti modi dal linguaggio umano. La capacità degli uccelli di imitare i suoni probabilmente ha a che fare col riconoscimento dei simili e la delimitazione del territorio, e non c'entra nulla con la conversazione. Gli uccelli emettono canti caratteristici per lo 2. Per una rassegna di questa e altre asimmetrie negli uccelli e in altre specie, vedi Bradshaw, Rogers (1993). 3. Anche se forse non più. Oggi l'Australia è uno dei maggiori produttori vinicoli, e il vino ha ormai largamente rimpiazzato la birra come bevanda nazionale. Potete sapere quante bottiglie di vino ha bevuto un australiano contando i tappi di bottiglia che gli pendono dal cappello.

2

CHE COS'È IL LINGUAGGIO

stesso motivo per cui le nazioni umane sventolano bandiere o cantano inni nazionali. La notevole capacità di specie come il tordo beffeggiatore di imitare i canti di altri uccelli si è senza dubbio evoluta anche come mezzo d'inganno per dare agli altri volatili l'illusione di un territorio già popolato da molti altri uccelli, sì da poterlo tenere tutto per sé. 4 Nella maggior parte dei tipi di canti di uccelli, sono solo i maschi a vocalizzare, mentre tra gli umani, si dice, sono le donne a essere più ciarliere; a quanto pare noi maschi, forti e silenziosi, non abbiamo molto da dire. Le vocalizzazioni degli uccelli, e in effetti anche quelle di altre specie, sono per lo più emotive, e servono a segnalare un'aggressione, a mettere in guardia da un pericolo, a pubblicizzare il vigore sessuale o a stabilire e mantenere strutture sociali gerarchiche. Alcune delle nostre vocalizzazioni hanno finalità simili e, dunque, principalmente emotive. Noi ridiamo, brontoliamo, piangiamo, urliamo di paura, ringhiamo di rabbia, strilliamo per avvertire di un pericolo. Ma questi rumori, per quanto siano importanti mezzi di comunicazione, non sono linguaggio, come vedremo più avanti. A ogni modo, sarebbe ovviamente irresponsabile da parte mia sostenere una qualunque reale affinità tra umani e uccelli. C'è, in effetti, una relazione remota tra noi e loro, ma per trovare l'antenato comune di uccelli e umani (che non sapeva volare) dovremmo tornare indietro di circa 250 milioni di anni, mentre l'antenato che abbiamo in comune con gli scimpanzé è vissuto non più di 5 o 6 milioni di anni fa. Sono dunque obbligato ad accettare la tesi più convenzionale, e terra-terra, secondo cui noi non discendiamo dalle creature del cielo ma dalle 4. In effetti, tra gli uccelli e altri animali, le comunicazioni tra non affini (animali irrelati specificamente) sono di solito volte all'inganno (per esempio, Dawkins, Krebs, 1978). Mentre faccio jogging lungo la spiaggia, sono a volte minacciato da gabbiani che mi vengono addosso in picchiata stridendo, e mi auguro sempre che stiano solo scherzando. Curiosamente, la smettono se mi metto a camminare piuttosto che a correre, anche se io stesso posso appena distinguere la differenza di passo. Si è sostenuto che la qualità ingannevole della comunicazione animale è la caratteristica che distingue le nitre specie dalla nostra, secondo l'assunto che noi di norma non mentiamo, unchc ai non affini (Bingham, 1999). Non ne sono cosi sicuro.

DALLA MANO ALLA BOCCA

più limitate altezze arboree dei nostri progenitori primati. Questi seducenti paralleli tra le caratteristiche che ci piace immaginare come unicamente nostre e le loro beffarde controparti aviarie sono con ogni probabilità il risultato di quella che viene definita evoluzione convergente - adattamenti indipendenti a sfide ambientali analoghe - piuttosto che tratti trasmessici da quel progenitore comune di 250 milioni di anni fa. Ma se esiste una caratteristica che davvero ci distingue dagli uccelli, e probabilmente anche da tutte le altre creature non-umane, è proprio lo straordinario risultato che chiamiamo linguaggio.

LA PECULIARITÀ DEL LINGUAGGIO

A differenza degli uccelli, le persone usano il linguaggio non solo per segnalare stati emotivi o confini territoriali ma anche per influenzare le menti altrui. Il linguaggio è uno strumento squisitamente adatto per descrivere luoghi, persone, altri oggetti, eventi, e perfino pensieri ed emozioni. Lo usiamo per dare indicazioni, per descrivere il passato e anticipare il futuro, per raccontare storie immaginarie, per lusingare e ingannare. Facciamo pettegolezzi, un modo utile, tra l'altro, per trasmettere informazioni sugli altri. Usiamo il linguaggio per ricreare negli altri esperienze vicarie. Condividendo le nostre esperienze, possiamo rendere l'apprendimento più efficiente, e spesso meno pericoloso. È meglio dire ai nostri figli di non giocare nel traffico piuttosto che far loro scoprire sulla propria pelle cosa può succedere se lo fanno. Il canto degli uccelli, pur con tutta la complessità che gli è propria, è ampiamente stereotipato, più simile al riso degli umani che al loro linguaggio. Con l'eccezione di qualche nota in più o in meno, il canto di ogni singolo uccello è ripetitivo fino alla monotonia. Il discorso umano, per contro, possiede una varietà praticamente infinita, eccetto forse che nel caso dei politici. L'inventiva del linguaggio umano è ben illustrata da un aneddoto che coinvolge lo psicologo comportamentista B.F. Skinner e l'eminente filosofo Alfred North Whitehead. 4

CHE COS'È IL LINGUAGGIO

Nel 1934, ai due capitò di ritrovarsi seduti accanto a una cena e Skinner cominciò a spiegare a Whitehead l'approccio comportamentista alla psicologia. Sentendosi obbligato a fornire un controesempio, Whitehead pronunciò la seguente frase: "Nessuno scorpione nero sta cadendo su questa tavola"; poi, chiese a Skinner di spiegare perché aveva detto una cosa del genere. Dovettero passare più di vent'anni perché Skinner accennasse a una risposta, nell'appendice al suo libro del 1957, Il comportamento verbale. Per Skinner, Whitehead aveva espresso una paura inconscia del comportamentismo, paragonandolo a uno scorpione nero cui non avrebbe mai permesso di intrufolarsi nella sua filosofia. (Il lettore scettico sarà perdonato se concluderà che questa replica ha più a che fare con la psicoanalisi che col comportamentismo.) Sia come sia, Whitehead aveva formulato una delle proprietà del linguaggio che sembra distinguerlo da tutte le altre forme di comunicazione, la generatività. Mentre tutte le altre forme di comunicazione tra animali sembrano essere limitate a un numero relativamente piccolo di segnali, limitati a contesti ristretti, non c'è sostanzialmente limite al numero di idee o proposizioni che possiamo veicolare usando gli enunciati del linguaggio. Possiamo comprendere immediatamente enunciati composti da parole che non abbiamo mai sentito prima combinate tra loro, come mostra bene la battuta di Whitehead. Ecco un altro esempio. Alcuni anni fa visitai una casa editrice in Inghilterra e fui accolto dal direttore, le cui prime parole furono: "Siamo in una piccola crisi. Dal lampadario sgocciola Ribena". Non avevo mai sentito prima quell'enunciato ma capii subito quello che voleva dire, e presto ne ebbi conferma. Per chi non lo sapesse, Ribena è il nome di una bevanda ai frutti rossi che alcuni genitori danno da bere ai loro pargoli, e il mio primo sinistro pensiero era stato che a gocciolare dal lampadario fosse sangue. Come si capì dopo, al piano di sopra e' era un asilo nido, e uno dei piccoli, evidentemente, aveva deciso che era più divertente versare la bibita sul pavimento piuttosto che berla.

5

DALLA MANO ALLA BOCCA

Questo esempio mostra come il linguaggio non sia solo questione di apprendere associazioni di parole. Nella mia vita non avevo mai incontrato i termini Ribena e lampadario nello stesso enunciato, nemmeno in qualche lontana associazione reciproca; eppure, fui subito in grado di comprendere un enunciato che li connetteva. Piuttosto che dipendere da associazioni apprese in precedenza, il linguaggio permette di mettere in relazione concetti già presenti nella mente. Esso opera ricorrendo a regole note come grammatica. Mi affretto ad assicurare all'ansioso lettore che "grammatica" non si riferisce all'insieme di regole prescrittive contro cui alcuni di noi hanno lottato invano a scuola, bensì a una classe di regole per lo più inconsapevoli che governano tutte le forme naturali di linguaggio umano, compreso il gergo da strada. In questo senso, non esiste nulla che sia una "cattiva" grammatica, e non importa molto cosa il vostro professore abbia cercato di insegnarvi. Nondimeno, è necessario che io vi infligga una breve lezione di grammatica. UNA LEZIONE DI GRAMMATICA Qualcosa del modo in cui la grammatica opera per creare un'infinita varietà di possibilità è illustrato da una nota filastrocca in cui ogni frase è costruita a partire dalla precedente: Ed ecco la casa che Jack costruì. Ed ecco la malta che stesero nella casa che Jack costruì. Ed ecco il topo che mangiò la malta che stesero nella casa che Jack costruì. Ed ecco il gatto che uccise il topo che mangiò la malta che stesero nella casa che Jack costruì. . . . e così via, potenzialmente all'infinito, anche se di fatto sussistono le limitazioni poste dalla memoria a breve termine. In questi esempi, le frasi che qualificano ciascun personaggio della storia sono aggiunte in modo semplice: il gatto

6

CHE COS'È IL LINGUAGGIO

che uccise il topo, il topo che mangiò la malta, la malta che stesero nella casa, la casa che Jack costruì. Ma le frasi qualificative possono anche essere "incastonate" in un regime di subordinazione, così: Ed ecco la malta, che fu mangiata dal topo che fu ucciso dal gatto, che stesero nella casa che Jack costruì. Altre frasi ancora possono essere subordinate in frasi a loro volta subordinate, anche se un eccesso di subordinazione può creare una specie di indigestione linguistica un po' dura da mandar giù, come nell'esempio che segue: Ed ecco la malta che il topo che il gatto uccise mangiò che stesero nella casa che Jack costruì. La capacità di aggiungere subordinate su subordinate, ovvero incastonare subordinate in altre subordinate, è nota come ricorsività. In matematica, una formula ricorsiva è una formula che calcola il termine successivo di una sequenza a partire da uno o più dei termini precedenti. Proposizioni come che mangiò il topo e che uccise il gatto sono proposizioni relative, e una semplice formula prescrive che una proposizione relativa può essere definita (o "riscritta") come una proposizione relativa più una (opzionale) proposizione relativa! Questa formula permette di connettere tra loro un numero potenzialmente infinito di subordinate relative, come nel caso di "La casa che Jack costruì". Una grammatica viene spesso espressa in termini di regole di riscrittura, in cui le frasi vengono "riscritte" come parole più altre frasi, ed è proprio questa riscrittura di frasi come combinazioni che contengono altre frasi che conferisce alla grammatica la sua proprietà ricorsiva (vedi la figura 1.1). L'esempio assolutamente minimale di ricorsività in letteratura è forse quel verso di Gertrude Stein che nella sua poesia Sacred Emily scrive: Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa, è una rosa.

7

DALLA MANO ALLA BOCCA

E

~

SN

SV

(Regola~

/-egola2) art.+ nome+ SR

verbo + SN

~Regola3)

pron. rei.

+

~egola2)

SV

art. + nome

I (Regola4) verbo+SN \Regola2) art.+ nome

I

Il

cane

che

Regola 1: Regola2: Regola3: Regola4:

inseguì

E SN SR

sv

il

I gatto

uccise

il

ratto

SN+SV articolo + nome + (SR) pronome relativo + SV verbo+SN

Figura 1.1 Le quattro regole enunciate in basso generano enunciati come quello che vedete nel diagramma più in alto. Si noti che l'uso delle regole è ricorsivo. Per esempio, la Regola 2 definisce un sintagma nominale nei termini di una subordinata relativa opzionale, definita dalla Regola 3 nei termini di un sintagma verbale, il quale a sua volta è definito dalla Regola 4 nei termini di un sintagma verbale! Il che vuol dire che potete percorrere ciclicamente le Regole 2, 3 e 4 per inserire tutte le subordinate che volete. E = enunciato; SN = sintagma nominale; SV = sintagma verbale; SR = subordinata relativa.

Pur tuttavia non è così semplice come potrebbe apparire a prima vista - notate, per esempio, l'astuta collocazione di quella virgola. È anche chiaro che sono le regole a regolare, non solo le associazioni. Noi possiamo imparare a memoria poesie o frasi di uso quotidiano semplicemente associando tra loro le parole,

8

CHE COS'È IL LINGUAGGIO

ma quando generiamo enunciati nuovi non ci basiamo su associazioni passate. Nell'ultimo enunciato, più sopra, sulla casa di Jack, le parole malta e stesero sono associate nel significato complessivo dell'enunciato, ma sono separate da altre nove parole - e ovviamente ce ne sarebbero potute essere ancora altre se, per esempio, avessimo deciso di accennare al fatto che il topo era grasso e il gatto era pigro. Eppure sia il narratore sia l'ascoltatore capiscono entrambi che la malta non ha ucciso o mangiato, ma, è, in effetti, quella che tiene su la casa di Jack, almeno finché non viene divorata avidamente dal topo. La nostra capacità di costruire e comprendere enunciati dipende, quindi, da una ben precisa competenza nell'uso delle regole. E la cosa più notevole, forse, è che noi applichiamo queste regole senza esserne consapevoli; perfino i linguisti non sono tutti d'accordo su quale sia l'elenco completo e come funzioni precisamente. I linguisti amano tracciare una distinzione netta tra grammatica e significato. Noi siamo in grado di comprendere enunciati in quanto grammaticalmente corretti anche se sono del tutto privi di significato, come nell'enunciato Le idee verdi senza colore dormono furiosamente, creato dal più importante linguista del nostro tempo, Noam Chomsky. In effetti, noi siamo in grado di riconoscere un enunciato come grammaticale anche quando i termini in esso contenuti non hanno alcun significato, come nel "J abberwocky" di Lewis Carroll:

T'was brillig and the slithy toves Did gyre and gimble in the wabe. Ali mimsy were the borogoves And the mome raths outgrabe. 5 Ma si noti che alcuni termini (was, and, the ecc.) sono nor5. Celeberrima poesia nonsense che appare in Alice di Carroll. Ecco una delle traduzioni italiane, dovuta a Adriana Crespi: "Era brillosto, e gli alacridi tossi I succhiellavano scabbi nel pantule: I Méstili eran tutti i paparossi, I e strombavan musando i tartarocchi". Per questa e altre versioni, più il testo integrale, si può consultare questa pagina web: http://linuz.sns.it/-fvenez/ carroH.html. [NdTl

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DALLA MANO ALLA BOCCA

mali parole inglesi. Sono parole chiamate termini funzionali, in quanto distinti dai termini di contenuto, che si riferiscono a oggetti, azioni o qualità del mondo. Ma supponiamo di sostituire i termini funzionali con parole prive di senso: G'wib brillig pog dup slithy toves Kom gyre pog gimple ak dup wabe. Utt mimsy toke dup borogoves Pog dup mome raths outgrabe. Ora non abbiamo più idea se abbiamo a che fare con qualcosa di grammaticale oppure no. Questo ci fa vedere l'importanza critica dei termini funzionali nella grammatica: essi forniscono una sorta di impalcatura su cui costruire gli enunciati. I termini funzionali comprendono articoli e pronomi dimostrativi (un, il, questo ecc.), congiunzioni (e, ma, mentre ecc.), preposizioni (a, da, per ecc.), pronomi personali (io, tu, essi ecc.) e poche altre cosette. I termini di contenuto, per contro, sono facilmente sostituibili, e come parlanti siamo sempre ricettivi a parole nuove che possiamo facilmente "infilare" negli enunciati. Viviamo in un mondo in rapido progresso, e parole nuove come geek6 o dramedy (un'opera teatrale che non ha deciso se è comica o meno) vengono coniate ogni giorno. Un'altra parola che ho incontrato di recente è pracademic, con riferimento al raro accademico dotato anche di abilità pratiche. È chiaro che, lingue differenti hanno regole in qualche modo differenti, e nessuno pretende che ciascuna lingua possieda un proprio insieme di regole innate. Formare un enunciato in inglese è differente dal formare un enunciato in cinese. Un aspetto importante in cui le lingue si differenziano ha a che fa6. In anni recenti, è il "maniaco" supercompetente in computer o materie tecniche cui si dedica ossessivamente; ma è interessante lorigine del termine, che nasce negli anni della depressione americana per riferirsi, nel mondo dei "freak show" itineranti (i Carnivals), agli esempi più bassi dei fenomeni da baraccone, di solito poveracci alcolizzati che per guadagnare qualche soldo, rinchiusi in gabbia, venivano presentati come "il feroce uomo selvaggio" o simili: l'abilità tipica del geek era quella di staccare la testa con un solo morso a un pollo vivo. [NdT]

10

CHE COS'È IL LINGUAGGIO

re con l'importanza relativa dell'ordine delle parole e con quella che viene defìnita/lessione. Se avete studiato il latino, sapete che esistono molte forme diverse di un nome o di un verbo a seconda del ruolo che assumono in un enunciato, e queste forme differenti vengono dette appunto forme flesse. In inglese esistono solo due forme del nome, una per il singolare e una per il plurale (table e tables). Il termine latino mensa significa tavola, ma prende varie forme. Se è complemento oggetto (io ho rovesciato la tavola) diventa mensam, e al plurale le forme equivalenti sono mensae e mensas. Ancora, la frase inglese o/ tables (delle tavole, di tavole) in latino diventa mensarum. Il contrasto fra inglese e latino è molto più accentuato nel caso dei verbi. In inglese un verbo regolare ha solo quattro forme (per esempio, love, loves, loved, loving-amo, ama, amato, amante). In latino ce ne sono dozzine, tante quante ne può (o ne poteva) imparare un povero studente. Solo nel caso del presente, abbiamo: amo amas amat amamus amatis amant

10amo tu ami egli/ella/esso ama noi amiamo voi amate essi/esse amano

E questo è solo l'inizio dell'amore. Ci sono forme diverse per

il futuro e per il passato, e anche tempi più complessi come il futuro anteriore (ella avrà amato), il congiuntivo, il condizionale e chissà che altro. In latino questo risultato si ottiene flettendo un tema di base, mentre in inglese si fa un ricorso assai maggiore ai termini funzionali (per esempio, they might bave loved, she would bave been going to love - essi avrebbero potuto amare, ella avrebbe [poz] amato). Ci sono lingue che hanno un numero ancora maggiore di varianti. Per esempio, il turco è talmente flesso che, si dice, ogni verbo ha più di due milioni di forme! Le forme differenti non riflettono solo il soggetto del verbo (io, tu, ella ccc.) ma anche gli oggetti diretti e indiretti, e molto altro ancora. 11

DALLA MANO ALLA BOCCA

L'inglese è altamente dipendente dall'ordine dei termini. Man swallows whale ("Uomo ingoia balena") ha un significato piuttosto diverso da Whale swallows man, e sembra anche più interessante. 7 Ma in latino il soggetto e l'oggetto di un enunciato sono segnalati da diverse forme flesse, e dunque i termini possono essere riordinati senza perdita di significato. La lingua nativa australiana walpiri è un esempio ancora più estremo di una lingua flessa in cui l'ordine delle parole non fa praticamente alcuna differenza; queste lingue vengono talvolta dette scrambling languages, "lingue rimescolanti". Il cinese, di contro, è un esempio di lingua isolante, in cui le parole non sono flesse e i differenti significati si creano aggiungendo altre parole o alterandone l'ordine. L'inglese è più una lingua isolante che una lingua rimescolante. Visti i differenti modi in cui funzionano le differenti lingue, se ne potrebbe inferire l'inesistenza di classi di regole applicabili a tutte. Chomsky ha tuttavia sostenuto che tutte le lingue hanno in comune alcune regole profonde. Si riferisce a queste regole come a una grammatica universale. Un modo di concettualizzare ciò è in termini di princìpi e parametri. Secondo questa concezione, le regole universali sono i princìpi, e le forme differenti che essi assumono sono parametri che cambiano da lingua a lingua. Anche se qualche progresso è stato fatto verso l'identificazione di princìpi universali, i linguisti non concordano su quali siano o, addirittura, se il linguaggio possa essere pienamente spiegato in tal modo. Questa non è stata una lezione di grammatica completa, ma spero di avere illustrato la complessità della grammatica e di aver dimostrato che essa opera seguendo regole piuttosto che semplici associazioni apprese. È vero che noi impariamo a memoria alcune cose, come poesie, canzoni, preghiere o luoghi comuni; ma ciò non spiega la nostra straordinaria capacità di 7. In I.: istinto del linguaggio Steven Pinker osserva che "Uomo morde cane" fa notizia, mentre "Cane morde uomo" non interessa a nessuno. Ha ragione. Il 18 giugno, lo New Zealand Herald recava il titolo di testa "Donna morde cane", facendo riferimento a un incidente a Tallahassee che evidentemente aveva fatto notizia in tutto il mondo.

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CHE COS'È IL LINGUAGGIO

generare enunciati nuovi per esprimere pensieri nuovi o di comprendere enunciati mai sentiti prima - come Dal lampadario sta sgocciolando Ribena. È la grammatica, quindi, che conferisce al linguaggio la sua generatività, rendendolo diverso da tutte le altre forme di comunicazione animale. Per quel che sappiamo, nei sistemi di comunicazione delle altre specie non c'è nulla che somigli neanche lontanamente a una grammatica: non ci sono termini funzionali, né ricorsività, né tempi verbali; sicché in ultima analisi, non ci sono enunciati. Questo non vuol dire che nella comunicazione o nelle azioni degli altri animali non ci sia nulla che somigli al linguaggio umano, ma è chiaro che lo iato tra comunicazione umana e animale è davvero molto ampio, ed è una delle sfide maggiori con cui si deve confrontare la psicologia sperimentale.

COME SI APPRENDE IL LINGUAGGIO?

Secondo Chomsky, il linguaggio è troppo complesso per essere appreso tramite l'osservazione delle sue regolarità. In altre parole, nessun metodo puramente induttivo può riuscire a estrarre le regole di un linguaggio solo esaminando e analizzando esempi di enunciati. Perciò, i bambini devono possedere una conoscenza innata del linguaggio che permette loro di acquisirlo, owero quello che Steven Pinker chiama "l'istinto del linguaggio". 8 In altre parole, i piccoli umani nascono con una conoscenza innata della grammatica universale, e semplicemente adattano - o "parametrano" - questa conoscenza innata per conformarla alla lingua o alle lingue che acquisiscono. Per quanto controverso, questo concetto riesce a cogliere un'importante verità sul linguaggio: i bambini di ogni razza e cultura possono imparare qualsiasi lingua, il che significa che il linguaggio ha proprietà universali. Un piccolo eschimese allevato in Francia parlerà francese, e i turisti a Londra sono spesso sorpresi sentendo persone di discendenza africana parlare 8. Pinkcr (1994).

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in inglese con accento cockney. In circostanze normali, tutti i bambini umani imparano a parlare una lingua, e le lingue che imparano sono quelle cui vengono esposti nell'infanzia. Naturalmente noi possiamo imparare le lingue da adulti, ma solo con uno sforzo notevole, ed è probabilmente impossibile farlo se non abbiamo comunque appreso un'altra lingua nell'infanzia. Un altro argomento in favore di un qualche genere di fondazione universale del linguaggio è che tutte le lingue hanno lo stesso tipo di unità, come nomi, verbi, aggettivi, termini funzionali, frasi ed enunciati. È anche importante capire che le diverse lingue del mondo differiscono poco o nulla per complessità grammaticale. Grammaticalmente parlando, nessuna lingua è più "primitiva" di qualunque altra, a meno che non includiamo lingue ancora non pienamente formate, come la parlata dei bambini o i vari pidgin improvvisati dagli adulti per comprendersi al di là delle barriere linguistiche. La complessità grammaticale condivisa dalle varie lingue è, quanto meno, compatibile con l'idea di una grammatica universale comune. Ma anche se l'acquisizione del linguaggio è universalmente umana, il fatto che le lingue particolari siano differenti, di solito fino alla reciproca incomprensibilità, vuol dire, ovviamente, che esiste una componente appresa. Quando parliamo, le parole che usiamo concretamente sono arbitrarie e devono essere apprese meccanicamente. Come abbiamo visto, le regole hanno pure un elemento di variabilità e dipendono dal farsi della nostra esperienza linguistica, anche se il loro apprendimento può dipendere più da una selezione tra alternative preesistenti che da un fatto puramente meccanico, mnemonico. E anche se tutte le lingue sono all'incirca equivalenti per complessità grammaticale, esse, naturalmente, differiscono nel numero di parole che usano. Da questo punto di vista l'inglese è probabilmente la lingua più ricca al mondo, in parte perché ha preso a prestito parole da molte altre lingue, e in parte perché è diventata la lingua principale della scienza e della tecnologia, e dunque deve recepire un gran numero di parole nuove per riferirsi alle più svariate invenzioni e nozioni. Questo non vuol dire che l'inglese abbia un monopolio sui

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concetti: ci sono parole in altre lingue che esprimono idee o concetti che non hanno un equivalente in inglese. Non tutte le culture pensano allo stesso modo. Ma è proprio vero che non possiamo apprendere il linguaggio a meno che esso non possieda una struttura grammaticale universale, conosciuta in maniera innata? L'argomento di Chomsky si basa essenzialmente sull'idea che è impossibile apprendere il linguaggio partendo dal corpus di evidenza disponibile, e che deve esserci una struttura predeterminata che guida la scoperta delle regole grammaticali. Si consideri, per esempio, il modo in cui, in inglese, trasformiamo un enunciato dichiarativo in uno interrogativo: Tbe brigadier and bis wi/e are coming to dinner tonigbt (Il brigadiere e sua moglie sono invitati a cena stasera)

diventa Are tbe brigadier and bis wzfe coming to dinner tonigbt? (Sono il brigadiere e sua moglie invitati a cena stasera?)

Qui, la regola sembra semplice: basta esaminare l'enunciato in cerca del termine are, e spostarlo all'inizio. Ma immaginiamo di applicare questa regola a un enunciato leggermente più complesso, come Tbe brigadier and bis wi/e wbo are visiting tbe city are coming to dinner tonigbt (Il brigadiere e sua moglie che sono in visita in città sono invitati a cena stasera)

Quello che ne viene fuori è l'enunciato anomalo ~A.re

tbe brigadier and bis wzfe wbo visiting tbe city are coming to dinner tonigbt?9 (~'Sono il brigadiere e sua moglie che in visita in città sono invitati a cena stasera?) 9. I linguisti hanno questa graziosa abitudine di mettere un asterisco all'inizio di enunciati anomali.

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I bambini non fanno praticamente mai errori di questo tipo, 10 perché sembrano capire che si deve spostare il secondo are, non il primo: Are the brigadier and bis wz/e who are visiting the city coming to dinner tonight? (Sono il brigadiere e sua moglie che sono in visita in città invitati a cena stasera?)

Cioè, i bambini sembrano comprendere istintivamente la struttura grammaticale dell'enunciato, e così, quando compiono la trasformazione, saltano la subordinata che sono in visita in città. In questi termini l'argomento sembra attraente, ma concludere che senza una struttura profonda è impossibile apprendere le regole e le strutture frasali della grammatica può essere prematuro. Una volta si sosteneva che scalare l'Everest fosse impossibile. 11 E di recente si è sostenuto che l'apprendimento linguistico non è poi forse niente di così speciale. Partendo all'incirca dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, gli studiosi si sono sempre più opposti all'idea della mente come computer, una struttura, cioè, che opererebbe seguendo regole, e hanno suggerito invece che essa sia alla fin fine davvero un sofisticato meccanismo associazionale. La mente è creata dal cervello, e il cervello sembra funzionare per mezzo di elementi detti neuroni che si connettono tra loro in modo associativo. Sono i neuroni a veicolare l'informazione dagli organi di senso al cervello, e dal cervello alle varie strutture di output. Il traffico non è comunque uniformemente a senso unico, poiché esistono processi di retroazione (o feedback) e circuiti in cui la catena di attivazioni dei singoli neuroni si dispone in loop, in anelli. E ancora, esiste una buona evidenza empirica secondo cui le connessioni tra neuroni (le sinapsi) possono essere modi10. Vedi Crain, Nakayama (1986). 11. Cosa dimostrata falsa, sarete contenti di saperlo, da un alpinista neozelandese e a uno Sherpa tibetano.

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ficate dall'esperienza, e che sono proprio queste modificazioni a formare le basi dell'apprendimento e della memoria. Molti ricercatori hanno tentato di creare reti artificiali capaci di emulare le proprietà della mente umana: una delle difficoltà maggiori è stata proprio quella di creare reti che esibissero la presunta proprietà del linguaggio di essere governato da regole. Per esempio,JeffElman ha realizzato una rete a loop ricorsivi che sembra capace di apprendere qualcosa che somiglia vagamente a una grammatica. Data una sequenza parziale di simboli, analoga a un enunciato parziale, la rete può imparare a predire eventi successivi sulla base di regole grammaticali. In un modo molto limitato, quindi, la rete "impara" le regole della grammatica. Un aspetto importante del lavoro di Elman è che, in esso, non si cerca in alcun modo di insegnare alla rete le regole del linguaggio. Durante I' addestramento, quando la rete predice la parola successiva in una sequenza, viene semplicemente confrontata con la parola che dawero viene dopo e, se è il caso, la rete viene modificata per ridurre la discrepanza tra previsione e realtà. In altre parole la rete, apparentemente, impara a obbedire alle regole senza "sapere" cosa siano: nessuno la programma a seguirle, né nessuno le ha mai inserite via hardware. All'inizio, come ci si aspetterebbe in base alle tesi chomskiane, la rete non è capace di maneggiare gli aspetti ricorsivi della grammatica, nei quali frasi vengono inserite dentro frasi in modo che parole che vanno insieme possono essere separate da molte altre parole. Questa difficoltà è stata superata almeno in parte quando Elman ha introdotto un fattore di "crescita". Nelle fasi iniziali, il sistema parte da un livello molto basso che lo rende capace di elaborare solo aspetti globali dell'input, ma a poco a poco il "rumore" nel sistema viene ridotto sì da renderlo capace di elaborare sempre più dettagli. Alla conclusione di questa fase, il sistema diventa capace di cogliere qualcosa della qualità ricorsiva della grammatica, iniziando così ad avvicinarsi ali' elaborazione di un vero linguaggio. Si noti, ancora una volta, che nessuna regola è stata esplicitamente insegnata al sistema o inserita in esso per via di hardware. Parte dcl problema ne.L'apprendimento di una grammatica

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sta nella sua struttura gerarchica. Alcune regole riguardano l'incastonamento e lo spostamento di intere frasi; altre, la collocazione e la flessione di parole singole; e altre ancora hanno a che fare con parti di parole. Il suggerimento che nasce dalla ricerca di Elman è che questo problema si risolve introducendo un fattore di crescita nella rete stessa, cosicché essa all'inizio elabora solo proprietà globali dell'input per poi focalizzarsi sempre più sui dettagli. La psicologa evolutiva Elissa Newport ha caratterizzato ciò nei termini di un principio: "meno vuol dire più". Il motivo per cui i bambini apprendono così facilmente il linguaggio è che essi iniziano a elaborare l'informazione in modo molto grezzo, per poi gradualmente andare verso il dettaglio. Lungi dal1' essere geni linguistici, come ha sostenuto Steven Pinker, i bambini hanno successo proprio perché il loro apprendimento è diffuso e non ben formato. È un po' come mettere a fuoco gradualmente un telescopio; all'inizio si vedono solo contorni confusi, poi i dettagli iniziano a emergere gradualmente. Queste idee, elaborate nel libro Rethinking Innateness da Elman, Newport e dalla loro collega Elizabeth Bates, costituiscono un significativo attacco all'idea che gli esseri umani posseggano uno specifico gene della grammatica, o che il linguaggio abbia bisogno di un qualche particolare "meccanismo di acquisizione linguistica" .12 Invece, la nostra capacità unica di linguaggio potrebbe dipendere semplicemente da alterazioni evolutive nello schema della crescita, in cui il periodo della crescita postnatale è diventato, nell'uomo, più lungo che negli altri primati, il cervello è diventato più grande in proporzione al corpo e le dimensioni relative delle varie parti del cervello si sono modificate - ma di questo parleremo più avanti. Certo, la strutturazione specifica di questi mutamenti è specificamente umana e implica anche modificazioni genetiche, ma sono le stesse modificazioni che hanno alterato la struttura corporea fondamentale degli animali nel corso di tutta l'evoluzione biologica. 12. Vedi Elman, Bates, Newport (1996). Un altro esplicito attacco all'idea che il linguaggio dipenda da strutture innate dedicate si trova in Sampson (1997).

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Se Elman e colleghi sono nel giusto assumendo che la grammatica può essere acquisita tramite un meccanismo associativo che includa un fattore di crescita, questo non vuol dire che il linguaggio non segua regole. Come abbiamo visto prima, il linguaggio è per eccellenza governato da regole, e linguisti come Chomsky hanno fatto molto per mostrarci la natura di queste regole. Il punto è che il comportamento guidato da regole non richiede che le regole stesse vengano preprogrammate nel sistema, o addirittura rappresentate esplicitamente nella rete. Noi non conosciamo gran parte delle regole che governano il nostro linguaggio, se non nel senso che le applichiamo parlando. Le regole stesse non sono associative, ma è possibile che possano essere apprese tramite un meccanismo associativo. 13 Detto ciò, si deve riconoscere che il linguaggio umano è altamente complesso, e le dimostrazioni relativamente semplici di Elman non arrivano davvero a cogliere, con precisione, molte delle sottigliezze di grammatica e significato. Prevedere la parola successiva di un enunciato è molto diverso dal comprendere realmente un enunciato, o produrne uno. C'è qualcosa di vagamente cadaverico in una rete che risponde in 13. Il dibattito tr~ chomskiani e associazionisti prosegue anche al livello delle parole stesse. E chiaro che l'acquisizione di un vocabolario è largamente questione di apprendimento mnemonico, poiché le parole sono essenzialmente etichette arbitrarie variabili da lingua a lingua. Eppure anche le parole obbediscono a regole, come quando formiamo il plurale di gatto ottenendo gatti, o il passato remoto di passeggio ottenendo passeggiai. Una parola complessa come disarcivescoviscostantinopolizzarsi è chiaramente formata da parti che ci risultano familiari da altri contesti e che vengono ordinate secondo regole. L'inglese è una lingua altamente irregolare, cosicché il plurale di woman, donna, non è womans ma women, e il passato di come, venire, non è comed ma came. Nel suo Words and Rules (1999), Pinker descrive alcune delle impreviste complessità coinvolte nella formazione di parole secondo regole, e afferma che l'apprendimento delle parole può essere spiegato solo parzialmente in termini di principi connessionistici; esso dipende anche dall'applicazione di regole in parte innate. Queste tesi sono stil te già attaccate dai connessionisti, i quali sostengono che Pinker è colpevole di vedere il mondo con occhiali colorati di regole (McClelland, Seidenbcrg, 2000). Per un resoconto dettagliato dell'intero dibattito, vedi Clahsen (1999) e commentario successivo.

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modo simil-linguistico ma non possiede regole inscritte e nessuna apparente comprensione di cosa vuol dire "dire". Ma la ricerca di Elman è utile per la sua demistificazione del linguaggio che viene riportato in quell'ambito biologico dal quale è sempre stato sottratto. Chiaramente ci vorrà ancora molta ricerca per convincere la maggior parte dei linguisti che il segreto del linguaggio sta in strutture di accrescimento piuttosto che in speciali "geni linguistici dedicati", ma il nuovo millennio serve a questo. Il linguaggio, a ogni modo, non può dipendere interamente dai geni perché esso è pesantemente influenzato anche dalla cultura. Di fatto, noi siamo praticamente inermi in una cultura la cui lingua è diversa dalla nostra - a meno che non ricorriamo ai gesti, ma questa è una storia di cui parleremo più avanti. Si potrebbe quasi essere tentati di credere che il linguaggio è un meccanismo che serve a proteggere l'integrità culturale escludendo gli estranei! Molte caratteristiche umane dipendono chiaramente non dal codice genetico ma dalla cultura cui ci capita di appartenere. Richard Dawkins ha etichettato come "memi" questi caratteri culturalmente determinati. 14 Essi includono storie, canti, credenze, invenzioni, sistemi politici, cucina - praticamente tutto quello che pensiamo faccia parte di una cultura. Ma potrebbe il linguaggio stesso essere un meme? Per certi aspetti, lo è. Le parole concrete che usiamo sono trasmesse dalla cultura in cui viviamo, allo stesso modo di accenti, modi di dire e altri aspetti superficiali del linguaggio. Che esistano o meno "geni della grammatica", come sostiene Pinker, non ci sono prove che altre specie siano in grado di apprendere nulla che somigli a un vero linguaggio grammaticale, come vedremo nel secondo capitolo. Inoltre, i memi dipendono fondamentalmente dalla nostra capacità di imitare, ed è questa una caratteristica nella quale gli umani eccellono. Come vedremo nei capitoli seguenti, anche i nostri parenti più stretti (scimpanzé e bonobo) sono relativamente scadenti nelle imitazioni. E se 14. Dawkins (1976). L'idea viene elaborata in Blackmore (1999).

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questo non fosse abbastanza, occorre tener presente che il vero linguaggio va oltre l'imitazione. Come ho cercato di spiegare, il linguaggio è instancabilmente generativo e ci permette di comunicare pensieri nuovi (è questo ciò che spero di dimostrare in questo libro). Un altro argomento a favore di un substrato innato della grammatica deriva da un fenomeno detto creolizzazione. Nei giorni dell'espansione coloniale, i commercianti e i coloni europei comunicavano coi popoli nativi grazie a una forma improvvisata di linguaggio detto pidgin. Ilpidgin non ha praticamente grammatica - niente tempi verbali, né articoli come un o il - ma bastava a esprimere le semplici informazioni necessarie al commercio o al baratto. I pidgin possono diventare abbastanza complessi, ma tale complessità si ottiene attaccando una parola all'altra in modo associativo piuttosto che sintattico. Nel pidgin delle isole Salomone, il principe Carlo d'Inghilterra è noto come pikinini belong Missus Kwin 15 e a Lady D. ci si riferiva con Meri belongpikinini belongMissus Kwin 16 fino al suo divorzio, quando il titolo venne aggiornato a this /ella Meri

he Meri belongpikinini belong Missus Kwin him go finish. 11 Ricerche nelle Hawaii hanno mostrato che nel corso di una generazione una lingua pidgin può trasformarsi in qualcosa di più sofisticato, una lingua creola. A differenza del pidgin, un creolo ha una vera grammatica. E, per così dire, essa "viene fuori dai cervelli" degli infanti e dei neonati: tutto quel che serve è che i bambini della generazione successiva siano esposti al pidgin molto precocemente. Senza alcun aiuto dei geniLori, i bambini costruiscono una grammatica, probabilmente a n1usa dell'intricato meccanismo grammaticale già codificato per via hardware nei loro cervelli! 18 15. All'incirca "Figlio [pzkinini, dapiccaninny, bambino, neonato] di Signora Regina". [NdTJ 16. "Meri di figlio di Signora Regina". [NdTJ 17. "Questa Meri lei Meri di figlio di Signora Regina lei poi finito" [NdT]. 18. Vedi Bickcrton (1984), ma anche i commenti critici che a esso fanno S('HllÌlo.

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LINGUAGGIO, VERBO E PENSIERO

Il linguaggio non è solo verbale. Noi possiamo, naturalmente, leggere in silenzio e pensare con parole silenziose. In modo più decisivo, le lingue segnate inventate in tutto il mondo da persone sorde hanno la stessa generatività delle lingue parlate e sono governate da una grammatica, anche se non hanno basi sonore. Consistono interamente in gesti corporei, principalmente di mani, braccia e volto. La lingua segnata possiede tutte le proprietà essenziali della lingua parlata, compresa la grammatica. Esaminerò questo tipo di linguaggio in maggior dettaglio nel sesto capitolo, visto che esso fornisce una delle basi principali per il tema di fondo di questo libro, ossia che anche il linguaggio parlato può avere origine nei gesti silenziosi dei nostri lontani antenati. Il linguaggio, dunque, scorre più in profondità rispetto alla sfera verbale. La stessa cosa vale per il pensiero? A volte si è affermato che il pensiero è semplicemente un discorso interiore e, in effetti, a volte lo è, ma non sempre. Ci sono modi di pensare che non devono molto al linguaggio. Per esempio, possiamo immaginare oggetti e scene e manipolarli mentalmente. Un esempio assai studiato è quello della rotazione mentale, che implica immaginare quale aspetto abbiano gli oggetti quando vengono ruotati in orientamenti diversi. Guardate l'immagine di un uomo capovolto che stende un braccio (figura 1.2). Quale braccio tende - il sinistro o il destro? Per rispondere al quesito, potreste dover ruotare mentalmente l'uomo fino in posizione eretta, o magari ruotarlo dawero - processi che non hanno nulla a che fare con le parole. Il pensiero non verbale dipende dalla nostra capacità di rappresentarci nella mente oggetti, suoni e azioni per poi manipolarli, sempre mentalmente. Oltre a ruotare oggetti, possiamo ripetere mentalmente una canzone, o rivedere un passaggio vincente in uno scambio tennistico o un gol di una partita di calcio e immaginare come potremmo fare queste cose in qualche occasione futura. Di questo è fatta la fantasia e l'immaginazione, e parole e segni non ne fanno parte. Noi usiamo 22

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Figura 1.2 Quale braccio tende questo simpatico tipo?

il pensiero non verbale per risolvere problemi, ed è verosimile che i nostri pensieri più creativi siano non verbali: spesso sono spaziali, più che linguistici. Per esempio, si dice cheAlbert Einstein abbia elaborato la teoria della relatività immaginando se stesso in viaggio su un raggio di luce. Non c'è motivo di dubitare che anche le grandi scimmie abbiano la capacità di rormare rappresentazioni mentali di oggetti e poi manipolarle mentalmente. Per esempio, Wolfgang Kohler mostrò, in una serie di esperimenti ormai classica, che gli scimpanzé sanno risolvere mentalmente problemi meccanici prima di esibirne la soluzione pratica, un processo che egli chiamò insight, capacità di introspezione. 19 Il linguaggio è comunque intimamente connesso al pensiero, poiché noi lo usiamo per comunicare agli altri i nostri pen19. Kohlcr (1925).

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sieri. Ciò richiede che simboli, siano essi parole o segni, vengano associati agli oggetti, azioni, proprietà ecc., che noi immagazziniamo nella mente. Manipolando questi simboli, noi possiamo trasmettere pensieri dalla nostra mente a quella degli altri. Questo processo si realizza utilizzando la scrittura, e io spero che proprio queste parole che state leggendo lascino una qualche impressione sui vostri pensieri. Romanzi e storie sono un modo potente e attraente per creare immagini e fantasie nelle menti altrui. La televisione e il cinema, ovviamente, forniscono un accesso diretto alle nostre rappresentazioni interne, senza il bisogno di frapporre simboli, tranne che nel caso dei dialoghi. Il linguaggio del pensiero è noto come mentalese. Non sorprende che esso abbia molto in comune con il linguaggio esteriore. I nostri pensieri sono generativi, e noi possiamo immaginare nuove scene, come una mucca che salta sulla Luna, tanto prontamente quanto costruire enunciati nuovi che le descrivono. Anche i nostri pensieri, dunque, possono essere ricorsivi. Per esempio, una delle caratteristiche del pensiero umano è quella che è stata chiamata teoria della mente. L'espressione si riferisce alla capacità di comprendere le menti degli altri e conoscere ciò che essi vedono, sentono o conoscono. Questo processo può essere ricorsivo; per esempio, io posso non solo sapere che voi potete vedermi, ma potrei sapere che voi sapete che io so che voi potete vedermi. Senza dubbio, la generatività e la ricorsività del linguaggio umano riflettono generatività e ricorsività del pensiero umano. Ma il linguaggio comunicativo deve essere diverso dal mentalese. Per dirne una, esso deve far uso di simboli che stanno per le cose di cui vogliamo parlare, visto che non possiamo comunicare direttamente le nostre rappresentazioni interne. L'uso dei simboli richiede una convenzione condivisa; cioè, se io credo di poter conversare con voi, devo postulare che la vostra comprensione delle mie parole sia la stessa della mia. (Il che, evidentemente, implica già una teoria della mente.) Il linguaggio parlato differisce dal mentalese anche perché si limita a un'unica dimensione, quella del tempo. I nostri pensieri, per 24

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contro, possono fare uso di tutte e quattro le dimensioni fisiche, tre dello spazio e una del tempo. Per esempio, io posso formare mentalmente un'immagine spaziale tridimensionale dell'interno di casa mia visto da una collocazione particolare,20 ma per potervela descrivere devo fare una "passeggiata mentale" attraverso la casa - un'attività quadridimensionale - descrivendo una a una le sue caratteristiche - un'attività unidimensionale. Questa si chiama linearizzazione, e almeno alcune delle proprietà del linguaggio parlato riflettono tale requisito. L'incastonamento degli enunciati può essere correlato al tipo di incastonamento che può costituirsi mentre io immagino me stesso che cammino per la casa; posso fermarmi di fronte alla vetrinetta delle porcellane, per esempio, e descriverne il contenuto, prima di procedere all'arredo successivo. Così, anche i processi di pensiero sono gerarchici, visto che spaziano dalla pianta generale della casa ai pezzi d'arredamento nelle stanze ai più piccoli oggetti in essi contenuti e così via. Viene in mente il commento diJonathan Swift sulle pulci: Così, dicono i naturalisti, una pulce Ha pulci più piccole che l'infestano; E queste pulci più piccole che le pungono E così si va all'infinito. 21

Alcuni tratti del linguaggio, quindi, come la generatività e

ln ricorsività, derivano da tratti del pensiero. Almeno le proprietà speciali del linguaggio parlato derivano dalla necessità di trasformare il messaggio sì che esso venga trasmesso come segnale che varia nel tempo. Lo stesso tipo di trasformazione uvviene nella trasmissione di un segnale TV. La struttura spa-

20. Questo non vuol dire che la rappresentazione fisica nel mio cervello

Hin una replica esatta della casa. Piuttosto, la corrispondenza tra forme fisidic nel mondo e le loro rappresentazioni nel cervello è ciò che è stato definii o un isomorfismo di secondo ordine (Shepard, 1978). 21. Da On Poetry. Swift si sbagliava, naturalmente. Le pulci non sono inf'nsti