C'è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007
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Zitiervorschau

Biblioteca Adelphi 612

Nina Cassian

C’È MODO E MODO DI SPARIRE P O E SIE 1 9 4 5 -2 0 0 7

Ultima figura emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e te­ stimone di quel fecondo ambiente rome­ no di cui facevano parte Brancu§i e Tzara, Ionesco, Eliade e Cioran, e come loro ine­ vitabilmente esule, Nina Cassian ha per­ corso un tragitto artistico e umano singola­ re come la sua persona. Nel 1985, già tito­ lare di una lunga carriera di successo (con qualche strappo al morso del regim e), du­ rante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la politica e i politicanti del Paese: decide al­ lora di non tornare in patria e chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e propria ricreazione delle poesie romene precedenti l’esilio, nonché la ste­ sura di nuovi componimenti - in romeno prima, e dopo qualche anno anche in in­ glese -, alimenteranno un corpus che non ha riscontri, né rivali, nell’odierno pano­ rama poetico intemazionale. Si avvertono, nella voce della Cassian, echi ravvicinati di tutta la più nobile stagione del Novecento: da M andel’stam a Cvetaeva, da Apollinai­ re a Brecht a Celan, e si potrebbe risalire fino a Emily Dickinson, «sublime sorella», o anche più indietro, all’amoroso furor saf­ fico. Il timbro è unico: diretto, spudorato, strenuamente lirico, a tratti disarmante, a tratti sornione, arguto e brutale al tempo stesso - e nudo, sempre, e sempre seducen­ te. Si passa dalle punte epigrammatiche av­ velenate ai voli pindarici sulle ali d ’organo di un Bach - non per niente la Cassian com­ pone musica: e dipinge, disegna, illustra li­ bri anche per l ’infanzia, spesso scritti da lei - , e ogni volta queste poesie, come ha scritto Vittorio Sermonti, ci riguardano da vicino, «sconvenientemente».

Mi sveglio e dico: sono perduta. E il mio primo pensiero all’alba. Comincio bene la giornata con questo pensiero assassino. Signore, abbi pietà di me - è il secondo, e poi scendo dal letto e vivo come se nulla mi fosse accaduto. Nina Cassian è nata in Romania a Galati, nel­ la regione della Moldavia, e vive a New York. Questa antologia, che raccoglie i maggiori te­ sti in romeno e in inglese (e in spargano, lin­ gua ‘carrolliana’ da lei inventata per i suoi sfo­ ghi irripetibili), offre al lettore italiano un pri­ mo, ampio spaccato della sua opera.

In copertina: Max Ernst, Santuario (1965). Collezio­ ne privata. © T H E B R ID G E M A N A R T L IB R A R Y by S IA E 2013

Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche

BIBLIOTECA ADELPHI 612

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Nina Cassian

C’È MODO E MODO DI SPARIRE P O E S IE 1 9 4 5 - 2 0 0 7 A cura di Ottavio Fatica Traduzione di Anita Natascia Bemacchia e Ottavio Fatica

ADELPHI EDIZIONI

© 2011

N IN A C A S S IA N

Spelling a Spell, Poets, Indigo, Youthing, Cast, Tabula Rasa, Couples, Perfect Strangers, The D an g en ^ Gardening from Take my W ordforlt, by Nina Cassian, © 1998 Nina Cassian, used by permission o f W.W. Norton & Company, Inc. Tristia & Inferno, Collected, Selected, Neglected..., Child Descending a Slope on a Scooter, Metamorphosis, Fable, My Last Book from Continuum: Poems by Nina Cassian, © 2008 Nina Cassian, used by permission o f W.W. Norton & Company, Inc.

© 2013 A D E L P H I E D IZ IO N I S .P .A . w w w .a d e lp h i.it

IS B N 978-88-459-2823-9

M ILA N O

INDICE

D A L R O M EN O

Dedicante Dedica Poezia Poesia Cearta cu haosul Alle prese con il caos Literaturà Letteratura Vivarium Vivarium Coordonate Coordinate Autoportret Autoritratto Rezolv uneori ecuafti Risolvo talvolta equazioni Cei ce deverà Coloro che divorano Tignile Tigre!

17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 36 37 38 39

Hipocampul L ’ippocampo Finalul stagiunii Finale di stagione Ce i-am spus veverifei Cosa ho detto allo scoiattolo O pasäre Un uccello Anotimp cu vedenti La stagione delle visioni Nu pot muri Non posso morire Bach Bach Conspirafie Cospirazione Pentru ca nu ma tubetti Perché tu non mi ami Ca Gulliver Come Gulliver Voiam sä rämän in septembrie Volevo restare a settembre Prinfi In trappola Fafä-n fafä Faccia a faccia Accidentul L ’incidente Ispita La tentazione Sàngele Sangue Ro$uperpetuu Rosso perpetuo

^

40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79

Sensori Lettere Romanfä Romanza Donna miraculata Donna miracolata Ea erafrumoasä §i rea Lei era bella e malvagia Intimitate Intimità Orgoliu Orgoglio Experienfa L ’esperienza Uite-a§a Proprio così Triumf Trionfo Locul se cedeazà batrànilor μ bolnavilor Cedere il posto agli anziani e agli ammalati Schilozii Gli storpi Dupä auz A orecchio Postmeridian Post meridiem O parte dintr-o pasàre Una parte di un uccello Exorcism Esorcismo Tirada din penultimul act Tirata del penultimo atto Ma tate m douà Mi tagliano in due

80 81 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 118 119 126 127 130 131 134 135

In ultima clipä L ’ultimo istante Veghe Veglia Mireasa La sposa Stela Stele U?ile Porte Viafa de dincolo L ’aldilà Ermetica Ermetica Gimnastica de dimineafä Ginnastica mattutina Punctul de vedere Punto di vista Marea conjugare La grande coniugazione Adolescentul masacrelor L ’adolescente dei massacri Dialogai meu cu dictaturà Il mio dialogo con la dittatura Pe pufini i-am cunoscut personal Di persona ne ho conosciuti pochi Trivialele zgomote ale celor màrunfi I triviali rumori delle nullità Intre mine §i soare Tra me e il sole Solzii care mà acoperà Le scaglie che mi coprono Trebuie sà dorm Devo dormire

136 137 138 139 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 166 167 168 169 170 171 172 173

Tatàl meu acuma umple lumea Mio padre adesso riempie il mondo §i cànd vine sfàrptul verii E quando arriva la fine dell’estate Senin Sereno Dacà... Se... Ofoarte simplà poezie Una poesia molto semplice Interdicale Interdizione Grimasa Smorfia Farsä Farsa Vàduva La vedova Bàntuind Infestazione Consolarea Consolazione Ruga Preghiera Lemur Lemure Execufia are loc zilnic L ’esecuzione ha luogo ogni giorno Pendula Il pendolo Adaptare la mediu Adattarsi all’ambiente li iubesc Li amo

174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207

Ceafä Nebbia Muzica de dincolo L ’oltremusica De nerostit Indicibile A proper way to vanish C’è modo e modo di sparire Tapiserie Tappezzeria Ultima suflare Ultimo respiro Ars poetica - o polemicà Ars poetica - una polemica Limbaj, Language Lingua

208 209 210 211 216 2IV 218 219 220 221 222 223 224 225 226 227

D A L L O SP A R G A N O

229 230 231

Imprecale, Imprecation Imprecazione D A L L ’ IN G L E S E

Spelling a Speli Sibillario Tristia & Inferno Tristia & Inferno Collected, Selected, Neglected... Raccolte, scelte, trascurate... Poets Poeti Indigo Indaco Child Descending a Slope on a Scooter Ragazzino sul monopattino in discesa

233 234 235 238 239 240 241 242 243 244 245 248 249

Youthing Ingiovanimento Metamorphosis Metamorfosi Cast Gesso Tabula Rasa Tabula Rasa Couples Coppie Perfect Strangers Perfetti sconosciuti Fable Favola The Dangers of Gardening I rischi del giardinaggio The Immigration Department II ministero dell’immigrazione No Future Senza futuro The Fourth Monkey La quarta scimmia My Last Book Il mio ultimo libro Cheerleaderfor a Funeral Cheerleader per un funerale

252 253 254 255 256 257 258 259 260 261 262 263 264 265 266 267 268 269 274 275 276 277 278 279 280 281

« Chiar de voi fi ingropatä » « Pur se verrò sepolta »

282 283

Nota ai testi

285

Un saluto spargano di Ottavio Fatica

293

C ’È MODO E M ODO DI SPARIRE

DAL ROMENO

Dedicale

§i dacä e dezamägita carnea - de fapt, strivitä, ruptä in bucaci ramane duhul, alcoolul verde al fructului ce-am fost cändva... Cite§te-mi cartea §i imbatä-te de-aroma cärnii mele.

18

Dedica

E se la carne è avvilita - schiacciata in realtà, fatta a pezzi resta lo spirito, l’alcol verde del frutto che fui un tempo... Leggi il mio libro e inebriati dell’aroma della mia carne.

19

Poezia

De la acest creion porne§te un drum de grafit §i pe drum umblä o literä, ca un càine, §i iatä §i un cuvànt ca un ora§ locuit in care, poate, voi ajunge maine.

20

Poesia

Da questa matita si diparte una strada di grafite e sulla strada passeggia una lettera, come un cane, ed ecco una parola come una città abitata dove forse arriverò domani.

21

Cearta cu haosul

Vizi tatorii mei sunt: un domn intrerupt la mijloc, o doamnä continua §i fiica lor de tablä, un profesor care preda brànza, un asasin räcit, o droaie de fumici necasàtorite, un copac cu musta^i, o barzä tanärä, un copil cu un picior de carton §i trei ignoranti ai legilor mi§carii. La sfar^it, apare càinele de searä care-i latra tare §i-i pofte§te afarä.

22

Alle prese con il caos

I miei visitatori sono: un signore interrotto nel mezzo, una donna continua e la loro figlia di latta, un professore che insegna formaggio, un assassino raffreddato, una colonna di formiche nubili, un albero coi baffi, una cicogna giovane, un bambino con una gamba di cartone e tre che ignorano le leggi del moto. Alla fine compare il cane della sera abbaia forte e li caccia tutti via.

Literaturä

Un mär albastru, un tigru verde de-ajuns ca sä se serie cu totul alte cärji, cär$i cu cer ro§u, jungle violete, caci totul se reasorteazä, aci §i-n alte pär^i. Vai, ce frumos e jocul acesta de-a Geneza pana cànd reapare märul ro§u, §i vine tigrul galben cu sinuoase dungi §i ron^äie tot ce s-a scris de-atunci.

24

Letteratura

Una mela azzurra, una tigre verde quanto basta per scriver libri di tutt’altro genere, libri con cieli rossi, giungle viola, perché qui come altrove tutto si rimescola. Oh, giocare alla Genesi, che spasso finché la mela rossa non riappare e la tigre gialla striata e sinuosa non s’avventa a sgranocchiare quanto scritto nel frattempo.

Vivarium

Pe locul rämas gol, pe locul fostelor obsesii, plantez acest inceput de poezie scos din mäneca somptuoasä a brazilor, dedus din disperarea pipgäiatä cu care päsärile anunja cä iarna contìnua, deviat din erupjia zäpezii de viscol. Cele douäsprezece animale care au locuit in mine timp de o lunä m-au päräsit. Nimeni nu mai urla nu mai schiaunä nu mai fälfäie längä mine. Acum ce cuvànt sä dresez?

26

w Vivarium

Nel luogo spoglio ormai, nel luogo di passate ossessioni io pianto questo attacco di poesia estratto dalla manica sontuosa degli abeti, dedotto dalla stridula disperazione con la quale gli uccelli annunciano che l’inverno continua, deviato dall’eruzione della neve in tormenta. I dodici animali che per un mese in me hanno preso stanza mi hanno abbandonato. Nessuno più che urli né guaisca né sbatta le ali accanto a me. E adesso quale parola domare?

27

Coordonate

In cuie strävezii sunt rästignit pe crucea spa^iului §i a timpului. Totul e sä-mi fie ränile elastice, §i, con§tientä, respirarla, ?i geamätul, din cànd in cänd, sä se transforme-n vers!

28

ψ Coordinate

Diafani chiodi mi crocifiggono sulla croce del tempo e dello spazio. L ’importante è che le mie ferite siano elastiche e il respiro, consapevole, e il gemito, quand’è, mutino in verso!

29

Autoportret

Mi-e dat acest obraz triunghiular, ciudat, aceastä cäpä|anä de zahar, sau aceastä figura pentru prora vapoarelor-pirat §i pärul lung, lunar, pe feastä. Mi-e dat sä plimb un agresiv contur rätäcitor, din noapte pànà-n ziuà, ränind retina celor dimprejur cànd proiectez pe ziduri fiin^a-mi incongrua. Cui aparfin? Mä neagä parinoli §i stramoni. Vremelnic aliate, §i rasele mä neagä, cu albii, negrii, galbenii §i ro§ii. Nici spefa nu mä recunoa§te-ntreagä. §i doar atunci cànd m-am lovit §i strig, §i doar atunci cànd mi se face frig §i doar atunci cànd vremea mä umple de prihanà, - ei mä numesc: frumoasä. Mä recunosc: umanä.

30

w Autoritratto

Mi è toccato questo volto strano, triangolare, questo pan di zucchero o questa polena degna di navi corsare e capelli lunghi, lunari, sulla cresta. Mi è toccato portare in giro un aggressivo contorno errabondo da mane a sera che spesso squarcia la retina di chi mi sta dintorno quando proietto alla parete il mio incongruo essere. A chi appartengo? Mi rinnegano antenati e genitori. Temporaneamente alleate mi rinnegano le razze, i bianchi, i gialli, i rossi e i neri. Neppure la specie mi riconosce tutta d’un pezzo. E solo quando grido perché sbatto e solo quando il freddo si promana e solo quando il tempo di peccato m ’imbratta - mi chiamano: bella. Mi riconoscono: umana.

31

Rezolv uneori ecuafii

Lacomä sunt. Mä ceartä ascesi cä parcurg pe neräsuflate tabla de materii a vie{ii ?i ca ràvnesc §i mi-e pofta de toate. Mä ceartä cä beau §i mänänc bucurii, deznädejdi, laolaltä cu smàntana din urciorul adànc §i cu mämäliga cea calda. Mä ceartä cä port un ac la cravatä §i o garoafa in pär, cä sunt cànd bäiat, cänd fatä §i nu mai §tiu ce, -ntr-adevär! Cä nu-mi impart dragostea chiar dupä plan §i pe rapi; cä am fragede maini de olar §i rezolv uneori ecuafii. Ei, da, ce sä-i faci! Mi-e foame, mi-e sete, Ca sunetul umblu prin lumea cea vie. Nu cunosc mersul pe fndelete, nici särutul pe datorie.

32

Risolvo talvolta equazioni

Avida sono. L ’asceta mi rimprovera di scorrere a perdifiato l’indice delle materie della vita e di bramare e aver voglia di tutto. Mi rimprovera di bere e mangiare tutto insieme, speranze e piacere con la panna dalla brocca profonda e con la polenta bollente. Mi rimprovera una spilla alla cravatta e un garofano tra i capelli, di essere ora ragazzo ora fanciulla e poi chissà cos’altro! Di non distribuir l’amore secondo i piani e le razioni; di avere mani delicate da vasaio e a volte di risolvere equazioni. Eh, sì, che volete! Ho fame, ho sete, come il suono mi aggiro nel mondo dei vivi. Non è da me procedere adagio né dare baci a credito.

33

Lacoma sunt. §i sorb $i-nghit $i zbor $i-s mändrä cä la reveru-mi subire, sclipind, mä decoreazä uneori rozeta ta de aur, fericire!

34

Avida sono. E succhio e ingoio e volo c sono fiera che sul bavero stretto mi capiti, che gioia, d’esser decorata della tua aurea lucida rosetta!

35

Cei ce devorà

Odatä-n acvarium am väzut un rechin, un rechin märun^el, un rechin subirei, un vlästar de rechin, spànatec §i fin; in ochii lui, crima mijise pu|in §i-avea sä creascä odatä cu el. §fichiuind gonea intre patru pereti cu-o rece nelini§te, gata sa-i surpe; din^ii sclipeau, ca un cinic inghe$, in alveola gurii lui curbe. De càte ori trupul cu mu§chii lungi |à§nea pofticios, o groazä sim^eam ca-n visul pe care zadarnic 1-alungi: cruzimea se uita la mine prin geam. §i pleca §i venea §i-avea gura rozà, ascunsä spre päntec, deschisä pufin... Odata-n acvarium, ca-ntr-o hipnozä, am privit ìnotand un pui de rechin.

36

Coloro che divorano

Una volta nell’acquario ho visto uno squalo, uno squalo piccino, uno squalo mingherlino, un rampollo di squalo, imberbe e fine; nei suoi occhi era già affiorato il crimine, e con lui sarebbe cresciuto. Filava sfrecciando tra quattro pareti con fredda smania, pronto ad abbatterle; i denti luccicavano, come brivido cinico, nell’alveolo del suo muso ricurvo. Se il corpo dai muscoli snelli guizzava famelico, avvertivo un terrore come nel sogno che si scaccia invano: dalla finestra la crudeltà guardava. E lui andava e veniva e aveva il muso roseo, nascosto nel ventre, appena appena schiuso... Una volta nell’acquario, come sotto ipnosi, ho guardato nuotare un cucciolo di squalo.

37

Tignile

Nu e nevoie sä faci säritura cea mare. E destul sä mä privesti cu ochi galbeni. Oriunde mä due, orice-a§ face, ochii täi galbeni sä-mi incremeneascä aproape, sä-i sorb in pahare, in fructe sä-i mu§c, sä-i väd pe coperta de carte, in lunä, pe coapsa mea stanga, in somnul de sàmbatà noaptea $i-a§a mai departe. De-atàfia ochi galbeni, sä-mi pun ochelarii de soare, sä-mi trag peste cap patura neagrä a marii dar tu, nu mi§ca. Doar atàt: sä mä privesti cu ochi galbeni.

38

Tigre!

Non occorre che tu faccia il grande salto. Basta che mi guardi con occhi gialli. Ovunque io vada, qualunque cosa faccia, i tuoi occhi gialli mi stiano accanto immobili, che io li sorseggi nei bicchieri, che lì morda nei frutti, che li veda sulla copertina di un libro, nella luna, sulla mia coscia sinistra, nel sonno del sabato notte e così via. Indosserò occhiali da sole per via di tanti occhi gialli, mi tirerò la nera coltre del mare sulla testa ma tu non muoverti. Guardami con occhi gialli, e basta.

39

Hipocampul

Un hipocamp, un cal de mare, zvärlit la mal, uscat in soare, §i-apoi adus de mine-aici, in iarna munplor, in care §i amintirile sunt mici. Incä särat, scheletul lui verzui, $epos, cu ochiul lipsä, abia de-ar merita sä-1 pui intr-o hilarä-apocalipsä. ... Cändva, purta o suplä hainä de ape-n Marea cea de Tainä. ExuberanJa de-asta varä ingheafä-n troheu §i iamb. E-o foarte strämtä iarnä-afarä. In brazii-nal^i se face searä §i ninge peste hipocamp.

40

L ’ippocampo

Un ippocampo, un cavallo di mare, scagliato a riva, riarso dal sole e poi portato da me qui nell'inverno montano dove anche il ricordo è lontano. Il suo scheletro ancora salato, verdastro, ispido, privo di un occhio, andrebbe collocato in un’apocalisse ilare. ... Portava un tempo un abito flessuoso d’acqua nell’Ultimo Mare. L ’esuberanza della scorsa estate congela tra trocheo e giambo. Fuori è un inverno molto angusto. Tra gli abeti alti si fa sera e nevica sull’ippocampo.

41

Finalul stagiunii

Toatä noaptea, fereastra a rämas deschisä. A intrat pädurea §i s-a a§ezat la perete. O veverijl s-a atàrnat de lampa. Zäpada s-a instalat in fotolii. Cätre ziua, a venit §i moartea, sä vadä dacä ordinele ei au fost respectate. Eu dormeam prea adànc ca sä mä pot bucura de frumoasa inscenare.

42

Finale di stagione

La finestra restò tutta la notte aperta. La foresta entrò e si posò sul muro. Uno scoiattolo si appese alla lampada. La neve si assestò sulle poltrone. All’alba arrivò anche la morte, a controllare se avevano eseguito i suoi ordini. Io dormivo troppo profondamente per godermi la bella messinscena.

43

Ce i-am spus veverifei

Eu te-am scos din anonimatul frunzelor, din refugiul mediocru al alunei. Eu te-am aruncat in lumina numindu-te ro§u stufos, precizàndu-fi säritura $i felul. Tot ce faci imi apar^ine chiar dacä-ai sä incepi deodatä sä inofi in pietri§ sau sä ron^äi mari bucäp de carton sau sä inchizi §i sä deschizi, la nesfar§it, ochii täi mecanici, nu mä poji deruta. Nu vei scäpa din carcera poeziei mele.

44

Cosa ho detto allo scoiattolo

Ti ho sottratto all’anonimato del fogliame, al rifugio mediocre della nocciola. Ti ho scaraventato nella luce chiamandoti rosso irsuto, determinando il tuo salto e il tuo scopo. Tutto quello che fai mi appartiene anche se tu d’un tratto ti mettessi a nuotare nella ghiaia o a rosicchiare grossi tocchi di cartone 0 ad aprire e chiudere, ad oltranza, 1tuoi occhi meccanici non riuscirai a distrarmi. Tu non evaderai dalla prigione della mia poesia.

45

Opasäre

O pasäre foarte-apropiatä mie - un fei de rudä mi-a indicai un izvor ascuns in pädure, de nimenea §tiut panä atunci. Am gustat din el §i m-am umplut de frunze. Douä veveri^e mi-au särit pe umär, iar izvorul insu§i mi-a incoläcit picioarele ca o buruianä limpede. Am stat a§a panä seara. Apoi pasärea mi-a anunjat sfarai tul tinere$ii.

46

Un uccello

Un uccello a me molto vicino - una sorta di parente mi ha indicato una sorgente nascosta nel bosco che fino allora nessuno conosceva. Ne ho bevuto coprendomi di foglie. Due scoiattoli mi sono balzati sulla spalla, e la sorgente stessa come erbaccia trasparente mi ha circuito le gambe. Son rimasta così fino a sera. Poi l’uccello mi ha annunciato la fine della giovinezza.

47

Anotimp cu vedenti

Din pricina toamnei, ne rugäm $i plàngem. Vremea casca rece, ca präpastia. Nu ju n gem cerul, depärtat §i cràncen, nici cu ochiul, nici cu pasul, nici cu pra§tia. Cäpätäm obrazuri palide, de sectä. Mànici lungi pe maini fanatizate. Am ascuns in mànici o pradä suspecta. Nimeni nu ne-ntreaba, nimeni nu ne-abate. Vom povesti màine cä au vrut sä ni-1 fure, - gestul foarte grav ingerii, pe cànd rätäceam prin pädure, pe Isus, plin de sänge, cu coapsa ascunsä-n cearceaf.

48

L a stagione delle visioni

Pervia dell’autunno, preghiamo e piangiamo. Il tempo sbadiglia freddo, voragine profonda. Non ci portano al cielo, atroce e lontano, né occhio né passo né fionda. Assumiamo volti pallidi, da setta. Maniche lunghe su braccia fanatizzate. Nascosta nelle maniche è una preda sospetta. Nessuno ci interroga, nessuno ci dissuade. Racconteremo domani che gli angeli ci volevano rubare - gesto molto grave nel bosco, nel nostro vagare, Gesù, grondante sangue, la coscia nascosta nel lenzuolo.

49

Nupot muri

Sub albastrele ninsori m-am culcat de-atàtea ori, ascultàndu-mi tristul sànge ìnghe^ànd inceti§or, iar de n-am putut sä mor e cä §i zäpada, poate, se oprea lajumätate, sau cä zàmbetul sonor al iubirii alungate se-ntorcea, räzbunätor, dezghe{andu-mä din toate, furi§àndu-mi-se-n sànge, in meninge, in palori... ... Ninge-albastru. laràri ninge. Cum sä mai incerc sä mor?

50

Non posso morire

Sotto nevi azzurrate tante volte ho riposato, ascoltando il mesto sangue congelarsi a poco a poco, se morir non ho potuto è perché la neve, forse, si arrestava a metà strada o il sorriso rimbombante dell’amore allontanato ritornava a vendicarsi disgelandomi le membra, insinuandosi nel sangue, nel pallor, nelle meningi... ... Neve azzurra. Neve ancora. Perché vuoi morire, allora?

51

Bach

Mä priveste din prezumptive portrete cu pärul imbräcändu-i capul ca o orgä moale: nici nu §tiu dacä ale lui sunt aceste cilindrice bucle de argint, cäci, iatä, nimeni nu §tie in ce loc s-au räspandit in pämänt carnea, nervii §i oasele modestului Organist, ochii orbi ai celui mai clarväzätor, §i cälcänd pe |äräna germanica poate cä sub pasul nostru e Bach $i sigur cä §i este, pretutindeni unde omul incepe sä meargä. Pe-ntinderea mi^cärilor contrarii imi plimb atenjia ca pe scäri vii pe care urea ?i coboarä gändirea, pentru cä intre douä sunete care se urmeazä e o alianti fundamentalä ca intre douä molecule, de uraniu, ca intre cei doi « e » din cuväntul sever « idee »; intre douä sunete e lupta corp la corp a contrariilor, punct contra punct, o fulgerare de voci farä odihnä, cu incidente triumfale ca o declara^ie a drepturilor omului, a dreptului de a te bucura lucid, de a suferi lucid,

52

Bach

Mi osserva da presunti ritratti, come un soffice organo i capelli gli rivestono la testa: non so neanche se appartengano a lui questi cilindrici boccoli d’argento, perché in fondo nessuno sa in quale luogo della terra si siano propagati la carne, i nervi e le ossa del modesto organista, gli occhi ciechi del più chiaroveggente, e mentre incediamo sulla terra germanica forse sotto i nostri passi c’è Bach e che lui ci sia è certo, ovunque l’uomo inizi a camminare. Fin dove si stendono movimenti contrari la mia attenzione erra come su scale viventi, dove sale e scende il pensiero, perché tra due suoni che si susseguono c’è un’alleanza fondamentale come tra due molecole, di uranio, come tra la « e » e la « a » della severa parola « idea »; tra due suoni c’è la lotta dei contrari corpo a corpo, punto contrappunto, balenare di voci senza requie, con incidenze trionfali come una dichiarazione dei diritti dell’uomo, del diritto di rallegrarti con lucidità, di soffrire con lucidità,

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de a face din fericire §i durere trepte ale cunoa^terii. Pe-ntinderea mi§cärilor contrarii, mainile mele ψ ies in ìntàmpinare, se-nfruntä §i se despart, cu atenfia instrumentelor chirurgului, explorànd infiorate un creier uman, pàna-mi apare, pe clapele reci ca tur^urii, o germanica iarnä, filtru al tuturor anotimpurilor, sclipitoare sintezä; case cu suprafe^e dare, barate de grinzi cafenii ca semne de-adunare §i-nmutyire, ο-ntreagä matematica familiarä, §i burlane de gura cärora-atärnä silabele lungi ale ghe|ii, §i ogiva gerului §i vàrful gotic peste care canta coco§ul vàntului cu creasta lui de tablä. Disciplinata iarnä! §i-ntr-o casä, douäzeci §i unu de copii cu pärul prins intr-o fundä la ceafä, improvizànd dimineaja la armoniu, douäzeci §i unu de copii mvä^and sä-§i supunä canoanelor juste ale formei de fuga suräsul, neräbdarea, uimirea lor lipsitä de echilibru §i, conducänd aceastä ordine a viejii, un spirit tutelar, el ìnsu§i, Bach, cu faja lui cea groasä §i pärul tubular, Bach-tatäl, gospodarul. Astfel prin suflarea iute a zäpezii §i aburul intim al cafelei cu lapte, am intreväzut o imensä familie-orchesträ, un milion de copii càntànd cu voci proaspe te ca omätul, ìntr-o lume pacificatä, 54

di rendere felicità e dolore gradini della conoscenza. Fin dove si stendono movimenti contrari le mie mani si vengono incontro, si affrontano e dipartono, attente come strumenti di un chirurgo, esplorano turbate un cervello umano, finché su tasti freddi come stalattiti non mi appare un germanico inverno, filtro di tutte le stagioni, scintillante sintesi; case dalle superfici nitide, sbarrate da travi color caffè come segni di addizione e moltiplicazione, un’intera matematica familiare, e grondaie dalle cui labbra pendono lunghe sillabe di ghiaccio e l’ogiva del gelo e la guglia gotica sulla quale canta il gallo segnavento con la sua cresta di latta. Disciplinato inverno! E in una casa ventuno bambini con i capelli legati sulla nuca da un nastro che al mattino improvvisano all’armonium, ventuno bambini che imparano a sottomettere ai canoni esatti della forma di fuga il sorriso, l’impazienza, lo stupore scevro da equilibrio e, regnante su quest’ordine di vita, un nume tutelare, lui in persona, Bach, col grande volto e i capelli tubolari, Bach-padre, il padrone di casa. Così, attraverso l’alito pungente della neve e il vapore intimo del caffellatte ho intravisto un’immensa famiglia-orchestra, un milione di bambini cantare con voci fresche come neve novella in un mondo pacificato,

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un mare cor de copii, prezidànd, intr-un viitor anunfat cu certitudine, frumuse^ea §i puritatea pämäntului. Am väzut, deci, o constituitä iarnä muzicalä, limpezind sufletul tulbure al pädurii germane, §i o casa in care frumusefea are gustul domesticitäpi farà a-§i pierde puterea §i vraja, o casa in care toate ceasurile inainteazä farà gre? la porunca invizibilä a timpului §i in care geniul se a§azà la masä, rupe in douäsprezece bucata de pàine §i o imparte umanitàri. Douäsprezece sunete trezite din minusculele lor leagäne de filde?, douäsprezece sunete indicänd adevärul, a§a cum cele douäsprezece bätäi ale ceasului indica miezul zilei §i-al nop^ii; douäsprezece sunete lucrànd ca mistriile §i ciocanele la o construcfie farà cusur, la un minutiös edificiu cu stäri suprapuse, un etaj de lini§te peste unul de zbucium, §i deasupra incä unul de certitudine, pentru cä tatäl s-a-ngrijit de fui lui, de urma§ii lui prevazu|i prin secoli, mo§tenitorii farä numär ai unor averi farä numär: douäsprezece sunete. Iar propozi|iunile gravate cändva in aramä cu precizia liniilor lui Dürer §i misterul penumbrei lui Rembrandt, trec astäzi firesc in platina eternitä|ii pentru cä fiecare din eie e o sentin^ä impotrivä sumbrei Inchizi^ii, a osàndelor obscure, a alaiului de mä§ti §i gängänii codate, o Laus rationis de o märea^ä $i suplä rigoare, §i cànd tatäl piànge §i-n sarabandele calme sunetul stä inväluit in agremente §i grupete, 56

un grande coro di bambini presidiare in un futuro annunciato con certezza lo splendore e la purezza della terra. Ho visto dunque un consolidato inverno musicale che rischiara l’animo torbido della foresta tedesca e una casa dove la bellezza ha il gusto della vita domestica senza perdere in fascino e vigore, una casa dove tutti gli orologi procedono senza errori per ordine invisibile del tempo e dove il genio siede a tavola, spezza il pane in dodici parti e lo distribuisce all’umanità. Dodici suoni risvegliati dalle loro minuscole culle d ’avorio, dodici suoni che indicano la verità, come i dodici rintocchi dell’orologio indicano mezzodì e mezzanotte; dodici suoni che lavorano come cazzuole e martelli a una costruzione impeccabile, a un minuzioso edificio di stati d’animo sovrapposti, un piano di quiete sopra uno di travaglio e sopra un altro ancora di certezza, perché il padre si è preso cura dei figli, suoi eredi nei secoli, eredi innumeri di beni innumeri: dodici suoni. E le proposizioni incise un tempo nel rame con la precisione delle linee di Dürer e il mistero della penombra di Rembrandt passano oggi, naturalmente, a un’eternità di platino perché ognuna di esse è una sentenza contro la fosca Inquisizione, contro le oscure condanne, il corteggio delle maschere e gli insetti caudati, una Laus rationis di grandioso e duttile rigore, e quando il padre piange e nelle sarabande placide il suono giace avvolto in abbellimenti e gruppetti, 57

izolat ca o lacrimä intr-un vestmànt de chiciurä, e pentru cä i-au murit mulp copii, pentru cä, in Patimi, fiul säu a fost rästignit, fiul säu terestru care stä intre tovarä§ii lui seara, la cinä, care cunoa^te cäntecul ro§u al vinului, («... Be$i top din el... ») gingä§ia §i robuste fea femeii, devotamenul prietenului, («... Chiar dacä ar trebui sä mor cu tine, tot nu mä voi lepäda de tine... »); cruzimea mercenarilor cànd i§i fac meseria, («... §i scuipau asupra lui §i luau trestia §i-l bäteau in cap...»), omul e crescut in stimä §i demnitate in dragoste fa£ä de semeni §i de aceea plenitudinarul pärinte aparpne celor care vor sä restabileascä demnitatea §i coincidenza din tre adevär §i frumuse^e, lumii dialectice, färä odihnä, care vrea sä dea cifrelor sensibilitate §i sä orienteze nädejdea, celor care incearcä sä dea zilnic räspuns intrebärilor, punct contra punct §i aici a§ vrea sä päräsesc poezia la gradui ei de fierbere, cànd devine muzicä $i sä mä plec sub arcui voltaic al criteriului contemporan, lui, Marelui Laie, Johann Sebastian!

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isolato come una lacrima in paramenti di brina, è perché molti dei suoi figli sono morti, perché, nella Passione, il figlio suo è stato crocifisso, il figlio suo terrestre che la sera è tra i compagni, a cena, che conosce il rosso canto del vino (« ... Bevetene e mangiatene tutti... »), la leggiadria e la forza della donna, la devozione dell’amico («... Benché mi convenisse morir teco, non però ti rinnegherò... »); la crudeltà dei mercenari quando fanno il proprio mestiere («... Poi, sputatogli addosso, presero la canna e gliene percotevano il capo... »), l’uomo è cresciuto nella stima e nella dignità nell’amore per i suoi simili e per questo il genitore plenitudinario appartiene a coloro che vogliono ristabilir la dignità e la coincidenza tra verità e bellezza, all’inesausto mondo dialettico, che vuol conferire sensibilità alle cifre e orientare la speranza, a coloro che provano a rispondere ogni giorno alle domande, punto contrappunto e qui vorrei abbandonare la poesia giunta a bollore, quando si fa musica e inchinarmi sotto l’arco voltaico del criterio contemporaneo a lui, al Grande Laico, Johann Sebastian!

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Conspirafie

Capcanele, ispitele, prejudeca^ile se sfätuiesc: cum sä facem? Pe unde ne facem intrarea la serbärile dragostei? Va trebui sä ne strecuräm deghizate, cum inträ ciuma-n cetate, va trebui sä purtäm mä§ti suave, sä zàmbim cu suràsul de aur al vinului, sä murmuräm nedeslu§it càntecul mätäsos al pierzaniei. Avem de ìnvins o unitate: cuplul. Sä cäutäm clipa cànd Secare se uitä in altä parte, cànd ì§i desprind mainile ca sä se pieptene sau sä se ìmbrace, clipa cànd se adàncesc in singurätatea somnului: atunci e clipa noasträ, surorilor.

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Cospirazione

Insidie, tentazioni e preclusioni tengono consiglio: come fare? Dove fare il nostro ingresso alle celebrazioni dell’amore? Dovremo infiltrarci travestite come la peste che entra in città, dovremo indossar soavi maschere, sorridere dell’aureo sorriso del vino, mormorare confusamente il canto vellutato della perdizione. C’è da vincere un corpo unitario: la coppia. Spiamo l’istante in cui ognuno guarda altrove, in cui le mani si disgiungono per pettinarsi o vestirsi, l’istante in cui sprofondano nella solitudine del sonno: sarà quello il nostro momento, sorelle.

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Pentru cä nu mä tubetti

Suràd - §i suräsul mi se prelinge de pe buze, ca un fir de sänge pentru cä nu mä iube§ti. Dansez - §i mäinile-mi cad la pämänt ca douä ancore. Palidä sunt pentru cä nu mä iube§ti. Fumez - §i fumul, in panica orei, mä sugrumä ca e^arfa Isadorei pentru cä nu mä iube§ti.

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Perché tu non mi ami

Sorrido - e il sorriso mi cola e langue dalle labbra, come un fil di sangue perché tu non mi ami. Danzo - e le mie braccia sono due ancore che strascico al suolo. Sbianco perché tu non mi ami. Fumo - e il fumo, nel panico dell’ora, mi strozza come la sciarpa di Isadora perché tu non mi ami.

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Ca Gulliver

Ga Gulliver, trägänd o sutä de coräbii, vä trag la mal, iubi|ii mei greoi, multicolori, vicleni §i marmaci cu sabii minuscule - §i gata de räzboi. Ca Gulliver vä cruj, de§i-mi loviji cu sete osul franali, nädäjduind a-1 frange. Eu rad spre voi prin fìre lungi de sànge - cumplijii, certäre|ii mei iubiji.

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Come Gulliver

Come Gulliver i cento navigli, così vi traggo a riva, amanti miei corruschi, pigri, astuti e armati di spade minuscole - e pronti alla battaglia. Come Gulliver vi grazio - pur se furenti voi colpite la mia fronte, ché si franga. Vi guardo in mezzo a rivoli di sangue e rido - spietati, rissosi amanti miei.

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Voiam sä r&màn in septembrie

Voiam sä rämän in septembrie pe plaja pustie §i palidä, voiam sä mä-ncarc de cenu§a cocorilor mei nestatornici §i vàntul greoi sä-mi adoarmä in plete ca apa-n nävoade; voiam sä-mi aprind intr-o noapte {igara mai alba ca luna, §i-njurul meu - nimeni, doar marea cu forja-i ascunsä §i grava; voiam sä ramän in septembrie, prezentä la trecerea timpului, cu-o màna in arbori, cu alta-n nisipul cärunt - §i sä lunec o datä cu vara in toamnä... Dar mie imi sunt sorocite, pesemne, piecari mai dramatice. Mi-e dat sä mä smulg din priveli§ti cu sufletul nepregätit, cum dat mi-e sä plec din iubire cànd incä mai am de iubit...

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Volevo restare a settembre

Volevo restare a settembre sulla spiaggia pallida e deserta, volevo caricarmi di cenere delle mie volubili gru e che il vento grave dormisse come acqua nelle reti fra le chiome; volevo una notte accendermi una sigaretta più bianca della luna e intorno a me - nessuno, solo il mare con la sua forza grave e latente; volevo restare a settembre, presente al trascorrere del tempo, una mano fra gli alberi e l’altra nella sabbia canuta - e scivolare nell’autunno insieme all’estate... Ma a me sono stati prescritti, è chiaro, più penosi abbandoni. Mi è toccato strapparmi a paesaggi a cuore impreparato e mi è toccato lasciare l’amore quando ancora amare vorrei...

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Ρ ήηρ

Cändva, am ie§it urlànd din marea plinä de meduze, ne-am extirpat din cleiul insidios, sub luna - ea insali o meduzä in cer, §i degeabä ne erau trupurile goale, lucioase, doritoare, scärba se ungea peste dragostea noasträ. Apoi, Jii minte? Furtuna ne biciuia, ne plesnea §i am spus: poate e purificarea de care aveam atata nevoie, poate ne clätim de noi inline dar nu, nu ne puteam primeni. Pacatele noastre ne atarnau la coada ochiului, ca algele.

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In trappola

Un giorno uscimmo urlanti dal mare gonfio di meduse, ci estirpammo dalla colla insidiosa, sotto la luna - lei stessa una medusa in cielo e invano erano i nostri corpi nudi, lucidi, bramosi, il ribrezzo imbrattava il nostro amore. E poi, ricordi? La burrasca ci flagellava, ci schiaffeggiava e noi dicemmo: forse è la purificazione da noi tanto agognata, forse ci stiamo mondando di noi stessi ma no, non riuscivamo a rigenerarci. I nostri peccati erano appesi alla coda dell’occhio, come alghe.

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Fafä-nfafä

Am a§teptat aceastä clipä-n care, fafä-n fajä, sä cälätorim spre o pntä care ne desparte; fa^ä-n fa$ä, cu träsäturile de o violenta reciprocitate, cu mainile consumate de sànge, neindräznind sä se särute, cu hainele necutezànd sä batä in ro§u, cu gurile ocolite de cuvàntul care aduce ziua §i seara peste lucruri. Iatä-ne, deci, fajä-n fa$ä, insträinändu-ne cu toatä puterea noasträ de nein^elegere, intr-o adversitate de specie - incàt, cànd trenul ne aruncä pe unul in brätele celuilalt, avem revela^ia mor^ii, a§a cum au avut-o probabil, mamu^ii särind in era urmätoare.

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Faccia a faccia

Aspettavo questo istante, faccia a faccia, in viaggio verso una meta che ci separa; faccia a faccia, con sembianze di violenta reciprocità, le mani consumate dal sangue che non osano baciarsi, gli abiti che non ardiscono tendere al rosso, le bocche aggirate dalla parola che porta giorno e sera sulle cose. Eccoci dunque, faccia a faccia, allontanarci con tutta l’incomprensione di cui siamo capaci, in un’avversione per la specie tale che quando il treno ci getta l’uno nelle braccia dell’altro ci si rivela la morte, come forse capitò ai mammut nel fare il balzo all’era successiva.

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Accidentul

Lumina se izbe§te de pereti, rico§eaza, alunecä in pahar, {ä§ne§te sufocatä afarä, imi ciocne§te irifii care sunä slab, dureros, apoi se retrage de-a-ndaratelea §i ajunge la gura ta netedä ca sticla, o sparge, pe gura ta se deseneazä o nervurä neagrä, suntem amàndoi grav rani^i, lumina imita sàngele nostru.

L'incidente

La luce sbatte contro i muri, sbalza, scivola nel bicchiere, guizza via strozzata, urta le mie iridi che flebili risuonano, dolenti, poi si ritrae, torna indietro e arriva alla tua bocca liscia come vetro, la frantuma, sulla tua bocca si disegna una nervatura nera, siamo gravemente feriti tutti e due, la luce imita il nostro sangue.

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Ispita

ì^i fagäduiesc sä te fac mai viu decät ai fost vreodatä. Pentru prima oarä ίμ vei vedea porii deschizändu-se ca ni§te boturi de pe$ti §i-p vei putea asculta rumoarea sàngelui in galerii §i vei sim^i lumina lunecàndu-^i pe cornee ca trena unei rochii; pentru prima oarä vei inregistra in^epätura gravitatici ca un spin in cälcäiul täu, 51 omoplatii te vor durea de imperativul aripilor. Iji fagäduiesc sä te fac atät de viu, incät cäderea prafului pe mobile sä te asurzeascä, sä-ji simji spräncenele ca pe douä räni in formare §i amintirile tale sä-^i parä cä-ncep de la facerea lumii.

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L a tentazione

Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto. Per la prima volta vedrai i pori schiudersi come musi di pesce e potrai ascoltare il mormorio del sangue nelle gallerie e sentire la luce scivolarti sulle cornee come lo strascico di un abito; per la prima volta avvertirai la gravità pungerti come una spina nel calcagno e per l’imperativo delle ali avrai male alle scapole. Ti prometto di renderti talmente vivo che la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili, che le sopracciglia diventeranno due ferite fresche e ti parrà che i tuoi ricordi inizino con la creazione del mondo.

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Sängele

A, fin incä bine minte durerea aceea! Sufletul meu luat prin surprindere särea ca o gäinä cu capul täiat. Totul era stropit cu sànge, strada, masa de locai §i mai ales mainile tale incon^tiente. Mi se risipise pärul §i umbla ca un monstru printre pahare, se-ncolacea in jurul lor ca-n jurul unor respiragli oprite §i dansa apoi vertical, §uierànd, §ì cädea apoi, executat, la picioarele tale. A, (in bine minte cä am suràs cumplit, desfigurändu-mä ca sä semän mai bine cu mine, §i cä n-am jiipat decàt o singurä datä, mult dupä ce nu mai era nimeni in jur §i se stinsese lumina §i se §tersese sàngele de pe mese.

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Sangue

Ah, ricordo ancora bene quel dolore! La mia anima colta di sorpresa saltava come una gallina con la testa mozza. Tutto era schizzato di sangue, la strada, il tavolo del locale e soprattutto le tue mani incoscienti. I miei capelli si erano sparpagliati e roteavano come mostri tra i bicchieri, ci si attorcigliavano come intorno a respiri trattenuti e danzavano verticali, sibilanti e ricadevano ai tuoi piedi, giustiziati. Ah, ricordo bene che ho sorriso atrocemente, sfigurandomi per somigliar di più a me stessa e che ho gridato una volta soltanto quando da tempo non c’era più nessuno e la luce si era spenta e il sangue dai tavoli era svanito.

Ro§uperpetuu

Ro§u sänge, diurn, nocturn, febrä a spelei indrägostite. Marele arbor interior frunzele tragice ni le transmite. E o memorie ro§ie, ro§ie, care räsare, care apune, de la vitala, continuä panicä, pàn’ la suprema ei sfiiciune. Ro§u din ro§u, ro§u spre ro§u, se invàrte^te spectrul inalt. Sangele sclav al unuia suie liber in sàngele celuilalt.

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Rosso perpetuo

Rosso sangue, diurno, notturno, febbre della specie innamorata. Il grande albero interiore ci trasmette foglie tragiche. E una memoria rossa, rossa, che sorge, che tramonta, dal vitale, costante panico, fino al supremo suo soggiogamento. Rosso da rosso, rosso al rosso rotea lo spettro elevato. Il sangue schiavo dell’uno s’innalza libero nel sangue dell’altro.

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Scrison

1

Ji-a§ fi scris mai demult, dar am a§teptat ìntài sä fiu in afara singurätäjii, adicä in afara acelui Jinut in care copacii stau in pozi^ie de ruga, ingenunchea|i ìnauntrul lor, §i ràurile curg de asemeni ìnauntrul lor, fiindu-$i totodatä trup $i suflet, cu neputinfä de deosebit; am a§teptat sä piece §i päianjenul care se desenase singur cu un vàrf de argint pe umarul meu §i iatä-ma acum, gata sä-{i spun cä nu te iubesc. 2

Stau pe un acoperi§ oblic de tablä verde, in plin soare; a§ putea aluneca, dar cuiul soarelui mä pirone^te, §i cernì ìnsu§i dispune norii perpendicular pe mine, incàt mä fixeazä in ordinea lui, §i sunt ca un idol

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Lettere

1 Ti avrei scritto molto tempo fa ma prima ho atteso di essere fuori dalla solitudine ovvero fuori da quella contrada dove gli alberi stanno in posizione orante, in se stessi inginocchiati, e i fiumi scorrono in se stessi, essendo a un tempo corpo e anima, impossibili da distinguere; ho atteso che se ne andasse anche il ragno che con una punta d’argento si era disegnato sulla spalla e ora eccomi pronta a dirti che non ti amo.

2 Sto su un tetto obliquo di lamiera verde, in pieno sole; potrei scivolare ma il cuneo del sole mi inchioda e il cielo stesso dispone le nuvole perpendicolari a me, tanto da incastonarmi nel suo ordine, e sono come un idolo

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de aur verde, cu un ochi mai mare decät celàlalt, §i cu o ureche lunga - cei care m-au facut au fost asimetrici - stau pe acoperi§ul inclinat §i-mi amintesc dunga oblicä a pärului pe fruntea ta, intreaga ta fapturä oblicä in raport cu universul §i cu mine, u n g h i u l t r u p u l u i t ä u indicànd u n p u n c t C a r d i n a l misterios - §i-$i spun cä nu te iubesc. 3 Aveai o tacere pe care puteam construi un ora$. Nu se clintea nimic, zideam in gol, intr-un gol sclipitor de fulgere inspirate. O data am construit chiar o pianeta, cu mun^i mätäso§i, in formä de päsäri adormite, cu trei cascade in care ìnfipsesem càte §apte pe§tì viole^i §i undeva, {in minte, ingropasem in acel sol inventai un obiect pentru noi, numai al nostru, care erainsu§i sensul pianetei, sursa ei de uraniu. O, tàcerea ta - dar poate nu auzeam eu, poate cä tu cantai intre timp, sau ràdeai, sau urlai, iar tàcerea nu era decàt o forma aparte a càntecului, a ràsului, a urletului täu, poate cä tàcerea ta era de fapt pianeta necunoscutà, intens populatä, iar eu nu clädeam in gol sclipitor, ci ìncercam doar sä acopär ceva existent, a?a cum acoperi un bolnav de friguri cu o paturà, cu inca una, cu paltonul, cu patru perne pänä nu se mai vede, - dar nu te iubesc.

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di oro verde, con un occhio più grande dell’altro e un orecchio lungo - quelli che mi concepirono erano asimmetrici - sto sul tetto inclinato e ricordo la striscia obliqua dei capelli sulla tua fronte, l’intera tua natura obliqua in rapporto all’universo e a me, l’angolo del tuo corpo che indicava un punto cardinale misterioso - e ti dico che non ti amo. 3 Sul tuo silenzio avrei potuto costruire una città. Nulla si smuoveva, edificavo a vuoto, un vuoto scintillante di fulmini ispirati. Una volta costruii perfino un pianeta dai monti sericei, a forma di uccelli dormienti, con tre cascate e in ognuna avevo confitto sette pesci viola e da qualche parte, ricordo, avevo sepolto in quel suolo inventato un oggetto per noi, soltanto nostro, ch’era l’essenza stessa del pianeta, la sua fonte di uranio. Oh il tuo silenzio - ma forse ero io a non sentire, forse in quel mentre tu cantavi o ridevi o urlavi e il silenzio non era che una forma speciale del tuo canto, del tuo riso, delle tue urla, forse il tuo silenzio era in realtà quel pianeta sconosciuto, popoloso, e io non costruivo in un vuoto scintillante ma cercavo solo di proteggere qualcosa di esistente, come si protegge un malato di malaria con una coperta, con un’altra ancora, con il cappotto, con quattro cuscini finché non scompare - ma non ti amo.

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4

ì$i scriu aceastä a patra scrisoare intr-o odaie de lemn, la o masä de lemn, lemn pretutindeni, ìngrozitor de mult lemn, §i pretutindeni inscrip|ii, cu cernealä, cu creion chimic, cu vàrful cujitului, nume, date, privighetori, trenuri, chei. (Po^i descuia un tren cu cheia §i poji cälca privighetoarea amorjitä pe §ine §i sä te iscäle§ti §i sä pui o datä). Mi-e fricä. Dincolo de cadrul de lemn al ferestrei palpitä mäneca intunecatä a bradului nop|ii; ìntr-o noapte, m-ai a§teptat, era varä, pe pat a§ezase$i càrdie mele. Cànd am intrat, m-am väzut, poate cä nu trebuia sä inlocuiesc trupul meu de cärji, de hàrtie, de lemn, cu trupul meu trecätor, a§a gàndesc acum cànd nu te iubesc. 5 Dacä ai incerca sä arunci in mine cu luni, cu mar^i, cu miercuri, luni, mar$i §i miercuri ar rico§a §i ar cädea la pämant färä sunet, joi §i vineri nu mä mai pot räni, nu-mi pot läsa nici mäcar semnul ca o minusculä umbreläjaponezä, al vaccinului, joi §i vineri nu au putere, sàmbata nu are putere, duminicä - nu §tiu ce-nseamnä duminicä, - nu te iubesc.

84

4

Ti scrivo questa quarta lettera in una stanza di legno, a un tavolo di legno, legno dappertutto, incredibilmente tanto legno, e dappertutto scritte, con l’inchiostro, la matita chimica, la punta del coltello, nomi, date, usignoli, treni, chiavi. (Puoi aprire un treno con la chiave e calpestare l’usignolo intirizzito sui binari e apporre la tua firma con tanto di data). Ho paura. Oltre la cornice di legno della finestra palpita la manica scura dell’abete notturno; una notte mi aspettavi, era estate, sul letto avevi messo i miei libri. Quando entrai, vidi me stessa, forse non dovevo rimpiazzare il mio corpo di libri, di carta, di legno, con il mio corpo effimero, così la penso ora, ora che non ti amo. 5 Se tu cercassi di tirarmi addosso il lunedì, il martedì, il mercoledì, lunedì, martedì e mercoledì rimbalzerebbero cadendo a terra senza suono, giovedì e venerdì non possono più ferirmi, non possono lasciarmi neanche il segno di un minuscolo ombrello giapponese, del vaccino, giovedì e venerdì non hanno forze, sabato non ha forze, domenica - non so che cosa voglia dir domenica -n o n ti amo.

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Stau acum §i mä uit in oglindä. Pot intineri §i pot imbäträni dupä plac. Dacä vreau, pot sä semän cu un animal sau cu o plantä, sau chiar cu desenul tehnic al unui aparat de zbor. Peste toate infa^ärile mele ai curs odatä tu ca o lavä vulcanicä, ba nu, n-am impietrit, dovadä evenimentele din oglindä, anotimpurile ei contopite, mutabile, §i mai ales mäna mea care fi-a sprijinit cändva ochii sä nu cadä din orbite, ca douä picäturi imense, §i care serie acum cä, iatä, nu te iubesc. 7 A §aptea scrisoare Ji-o scriu rezematä de un zid cenufiu. Imi amintesc gura ta oblicä, imbrä$i§area cu care mä sugrumai, tot fastul acelei sali de bai in care erorile mele s-au indrägostit una de alta, la prima vedere, faptul cä ai lasat clepsidra sä cadä, cä, brusc, timpul m-a päräsit, §i-mi amintesc gestul cu care m-ai trimis la moarte. Stau rezematä de zidul unui tribunal, dar voi spune doar atàt: Nu te iubesc. §i voi spune din nou: Nu te iubesc. Atät. Nu te iubesc. Nu te iubesc.

86

6

Ora sto qui e mi guardo allo specchio. Posso ringiovanire e invecchiare a piacimento. Se voglio, posso assomigliare a un animale o a una pianta, o persino al progetto di una macchina volante. Sopra le mie sembianze come lava vulcanica colasti tu una volta, ma io no, io non divenni pietra, la prova è quanto accade nello specchio, le sue stagioni in connubio, le mutazioni, e soprattutto la mia mano che sorreggeva un tempo i tuoi occhi perché non cadessero dalle orbite, come due gocce immense, quella stessa mano scrive ora che, ecco, non ti amo. 7 La settima lettera te la scrivo appoggiata a un muro grigio. Ricordo la tua bocca obliqua, il tuo abbraccio che mi soffocava, tutto il fasto di quella sala da ballo dove gli errori miei si innamorarono a prima vista l’uno dell’altro, il fatto che lasciasti cadere la clessidra e che, di colpo, il tempo mi abbandonò, e ricordo il gesto con il quale mi mandasti a morte. Sono appoggiata al muro di un tribunale ma dirò soltanto questo: Non ti amo. E ancora lo ripeterò: Non ti amo. Solo questo. Non ti amo. Non ti amo.

87

Romanfä

Iartä-mä cä te-am facut sä piàngi, Ar fi trebuit sä te omor. Ar fi trebuit sä te apuc de suflet, sä te bat cu el ingrozitor. Ar fi trebuit sä-$i vad curgänd sängele, ^uvi^ä cu $uvi£L Nu sä-^i màngài ochiul, nara, gura, $i sä-|i las fiin$a slabä §i pestri£a. Iartä-mä cä te-am facut sä suferi. Ar fi trebuit sä te-nspaimänt. Dar nu-s Dumnezeu - Pedepsitorul - ci doar opera lui de pämänt.

88

Romanza

Perdonami se ti ho fatto piangere. Avrei dovuto farti fuori. Avrei dovuto afferrarti l’anima e con quella picchiarti con furore. Avrei dovuto veder scorrere il tuo sangue, rivolo a rivolo. Non carezzarti occhio, narice, bocca, e lasciare il tuo essere butterato e debole. Perdonami se ti ho fatto soffrire. Avrei dovuto metterti paura. Ma non sono Dio - Colui che punisce - solo la sua terrestre creatura.

89

Donna miraculata

De cànd m-ai päräsit mä fac tot mai frumoasä, ca hoitul luminànd in intuneric. Nu mi se mai observä fraglia mea carcasä nici ochiul devenit mai fix §i sferic, nici zdreanja mäinilor pe obiecte, nici mersul, inutil desfigurat de jind - ci doar cruzimea ta pe tämplele-mi perfecte, ca nimbul putregaiului sclipind.

90

Donna miracolata

Da quando mi hai lasciato divento sempre più attraente, come carogna che riluce nell’oscurità. La mia fragile carcassa non si nota più per niente né l’occhio più sferico nella sua fissità né le mie mani cenciose sugli oggetti né l’andatura, invano sfigurata dalla brama - ma solo la tua crudeltà sulle mie tempie perfette, come nimbo luccicante di carcame.

91

Ea erafrumoasä fi rea. El era räu §i frumos. Erau un§i cu miere de vìpera de sus pànajos. Ea se temea de virtu^i. El de virtuji se temea. Scutul päcatelor ii apara §i pe el §i pe ea. Ei au träit ne^tìind. Ei au murit ne§tiind. Sfingi foarte tristi au rämas in icoana de argint.

92

Lei era bella e malvagia. Lui malvagio e bello. Miele di vipera ungeva da capo a piedi quella e quello. Lei temeva le virtù. Lui le virtù temeva. Lo scudo dei peccati proteggeva sia lui che lei. Sono vissuti ignari. Ignari sono morti. Nell’icona d ’argento i santi ancora si rammaricano.

93

Intimitate

Pot sä fiu singurä §tiu sä fiu singurä. E un acord tacit ìntre creioanele mele §i copacii de-afarä, ìntre ploaie §i pärul meu sträveziu. Fierbe ceaiul, zona mea de aur, chihlimbarul meu pur §i fierbinte... Pot sä fiu singurä. ßtiu sä fiu singurä. Scriu la lumina ceaiului.

94

Intimità

Posso stare da sola. So stare da sola. C’è un tacito accordo tra le mie matite e gli alberi là fuori, tra la pioggia e i miei capelli diafani. Bolle il tè, spazio mio dorato, mia ambra pura e ardente... Posso stare da sola. So stare da sola. Scrivo a lume di tè.

95

Orgoliu

Nu am timp sä dau tuturor o dovadä a marilor, uimitoarelor mele virtu^i, Cine are ochi de väzut, sä vadä. Altminteri, ochii mei rämän necunoscupL Sunt unii care, intälnindu-mä, -au spus: « Bine-ai venit in via$a mea, minune! ». Sunt atyii care n-au avut ce spune §i-am plecat de la ei, mai departe, in sus. Timpul e iute. Mai am càte un dar de pre{ - §i caut destinatari sub stele. S-ar putea sä-i caut in zadar; §i-am sä mä-ngrop, ca faraonii, cu bogäjiile mele.

96

Orgoglio

Non ho tempo di dare a tutti prova delle mie grandi, insolite virtù, Chi ha occhi per vedere, veda. Altrimenti, avrò occhi ignoti ai più. C'è chi, incontrandomi, ha detto: « Benvenuta nella mia vita, meraviglia! ». C’è che di dirlo non aveva voglia e sono andata via, verso le vette. Il tempo è ratto. Mi resta qualche dono di pregio - e cerco sotto le stelle destinatari. Forse li cercherò invano; e come i faraoni mi seppellirò con i miei averi.

97

Experien\a

De-atàta mers in spirala, am ame^it. Toate mtämplärile imi zbàrnàie injurul frun|ii ca päsärile-muscä; uneori, soarele e la dreapta, alteori, la stanga mea, capul meu se ciocne§te de gonguri fierbinji si colindä o vreme, pudrat cu acest polen esentai. Apoi, aurul il parasele §i ramane räcoarea ca o chelie brusca. Atunci §tiu cä am ajuns mai sus.

98

L ’esperienza

Tutto questo spiraleggiare mi dà le vertigini. Gli eventi mi ronzano intorno alla fronte come uccelli-mosca; vedo il sole ora a destra, ora a sinistra, sbatto la testa contro due roventi gong e vago per un po’, incipriata di questo polline essenziale. Poi, l’oro mi abbandona e resta brusca calvizie il refrigerio. Allora so che sono arrivata più in alto.

99

Uite-a§a

Uite-a§a, uite-a§a, räsucindu-mä, chircindu-mä, schimonosindu-mä ca un fir de lana sub flacärä, a$a imi e dat sä parcurg mult invocatele trepte ale desàvàr§irii, pe care alpi merg ca ingerii, in pas de vals, finànd pe un umär o cutie cu präjituri §i pe altul, principala halterä cu luna §i soarele.

100

Proprio così

Proprio così, proprio così, contorcendomi, aggranchendomi, deformandomi come un filo di lana sotto la fiamma, così mi è dato percorrere i tanto invocati gradi della perfezione dove altri avanzano come angeli, a passo di valzer, reggendo con una spalla una scatola di dolci e con l’altra il peso principale, la luna e il sole.

101

Triumf

Nu mai am douäzeci de ani! Cu aceasta exclamape, vocea mea leagä spalile ìntre eie ca säritura unei superbe pantere! Nu mai am douäzeci de ani! Mä inal£, tot mai sigurä de mine, tot mai frumoasä, din spuma aproximapilor. Gandurile mele nu mai atärnä de fire sub|iri ca päianjenii. Am pierdut stängäcia sterilä §i panica in contemplarea infinitului. Nu mai am douäzeci de ani! Miracolele s-au amplificai, in fiecare clipä, confrunt fa^a neväzutä a lumii pana cànd jerbe de sensuri imi ilumineazä särbatoarea! Cu un zàmbet triumfator desfid timpul §i diamantul lui ascupt care-mi sculpteazä obrazul.

102

Trionfo

Non ho più vent’anni! Con questa esclamazione la mia voce unisce gli spazi tra di loro come il balzo di una superba pantera! Non ho più vent’anni! Mi levo, sempre più sicura di me, sempre più graziosa, dalla schiuma delle approssimazioni. I miei pensieri non sono più appesi a fili esili come ragnatele. Ho perduto la sventatezza sterile e il panico nel contemplare l’infinito. Non ho più vent’anni! I miracoli si sono amplificati, ad ogni istante affronto il volto invisibile del mondo fino a quando ghirlande di significato non illuminano la mia festa! Con sorriso trionfale sfido il tempo e il suo diamante aguzzo che scolpisce il mio sembiante.

103

Locul se cedeazä bätränilor fi bolnavìlor

Cälätoream in picioare $i, totu§i, nimeni nu-mi oferi locul, de§i eram cu cel pupn o mie de ani mai bäträn decàt ei, de§i purtam, vizibil, semnele a cel pu|in trei grave bete§uguri: Orgoliul, Singurätatea §i Arta.

104

Cedere il posto agli anziani e agli ammalati

Viaggiavo in piedi eppure nessuno mi offrì il posto anche se ero di almeno mille anni più anziana, anche se portavo, ben visibili, i segni di almeno tre gravi malanni: Orgoglio, Solitudine e Arte.

105

Schilozii

Cànd schilozii x§i aruncä-n aer cäijele, cäijele cad in capul nostru, al celor teferi, §i tot noi suntem aceia care-i luäm in brafe, cu-o clipä inainte de a se präbu^i, §i stäm a§a, lovip §i cu schilozii-n braje, pänä cànd ei se-opresc din scàncet §i ne fac ceva räu, ceva meschin §i murdar, ne päteazä hainele cu urina lor, ne suflä-n ureche un cuvänt odios §i noi tot nu le dam drumul, ca nu cumva sä cadä, de§i, din capul locului, de nu interveneam, i-am fi väzut, zdraveni §i batjocoritori, särind intr-un picior, alergänd sau zburänd sä-§i prindä cäijele din aer, cäijele färä de care nu pot sä träiascä pentru cä n-ar avea cu ce lovi.

106

Gli storpi

Quando gli storpi buttano per aria le stampelle le stampelle ricadono in testa a noi, i sani, e siamo sempre noi a prenderli in braccio un attimo prima che crollino a terra e restiamo così, bastonati e con gli storpi in braccio, finché non la smettono di piagnucolare e ci fanno qualcosa di male, qualcosa di volgare e meschino, c’imbrattano i vestiti con l’urina, ci sussurrano malvagità all’orecchio e noi non li lasciamo ancora andare, potrebbero cadere benché, fin dall’inizio, senza il nostro intervento li avremmo visti baldi e strafottenti saltare su una gamba, correre, librarsi in aria per riprendere al volo le stampelle, senza quelle stampelle non possono vivere perché poi con che cosa colpirebbero?

107

1

Dupä auz

Numai dupä auz §tiu cànd iese luna din cätu§a eclipsei §i cànd se declan§eazä cubitele minuscule ale läcustei in grau. Numai dupä auz §tiu cànd pasul de afarä e un pas de soldat sau unul de càine sau fo§netul lung §i ciudat al frànghiei lui Iuda.

108

A orecchio

Soltanto a orecchio so quando la luna si sottrae alle catene dell’eclisse e le minuscole lame della locusta scattano sul grano. Soltanto a orecchio so quando i passi all’esterno sono passi di cane o di soldato o lo stormire lungo e singolare del canapo di Giuda.

109

1

Post meridian

1

Dupä ce diminea$a tope§te gräsimile cu acizii ei luminosi, iata dupä-amiaza refacàndu-se incet, cà§tigànd in greutate, hränindu-se din oboseala generala, iata dupä-amiaza cu aerul ei de femeie intre douä vàrste care a comis cändva, demult, o crimä nedescoperitä, uitatä, färä efect; ea trece acum, mereu neobservatä, majoritatea oamenilor dorm sau i§i simt, incä lucränd, mi^cärile vag obnubilate; dupä-amiaza trece pe längä ei, printre ei, mi§cändu-§i greoaiele §olduri. 2 Marile repaosuri, marile petreceri, marile singurätäji au loc noaptea, cànd timpul i{i aparjine, cànd, dupä muncä, timpul incepe sä semene cu fiecare in parte,

110

Post merìdiem

1 Dopo che la mattina scioglie i grassi con i suoi luminosi acidi, ecco il pomeriggio rimettersi adagio, riacquistare peso, nutrirsi della stanchezza generale, ecco il pomeriggio con la sua aria da donna di mezza età che ha commesso molto tempo fa un crimine irrisolto, dimenticato, senza conseguenze; lei adesso passa, sempre inosservata, la maggior parte delle persone dorme o percepisce, mentre ancora lavora, i propri gesti vagamente obnubilati; il pomeriggio incede accanto a loro, in mezzo a loro, dimenando i fianchi poderosi. 2

I grandi riposi, le grandi feste, le grandi solitudini hanno luogo la notte, quando il tempo ti appartiene, quando, dopo il lavoro, il tempo inizia a somigliare a ognuno di noi, 111

cu bärbatul din gara de nord, cu femeia din gara de sud, cu grupul de surdomup din restaurant a cäror täcutä veselie nu contamineazä pe nimeni, cu o anumitä odaie nuppalä, cu o anumitä atitudine de somn, cu un vis anumit in formä de romb. 3 Dupä-amiaza e timpul intermediar. Cei care iubesc nu au curajul sä se anun^e. Cei care sunt iubip se lasä a§teptap. A^teptarea dilata nefiresc scaunele, turtelte telefonul ca o mare temperatura, pereti devin pneumatici, incàt degeaba ίμ love^ti de ei capul, nu te treze§te nici o durere; ìntregul univers e anesteziat. 4 Cei care iubesc sunä la u§ä, iar cànd deschizi nu e nimeni; cineva a fugit läsänd in urmä o ectoplasmä sensibilä care dispare dacä respiri violent. §»i a§a, ìntre cei care au plecat §i cei care nu au venit, stai tu, amor|it, desfigurat, ca un tatuaj al aerului. 5 Dupä-amiaza, dorm cobrele. In somnul lor lung, numai veninul sta treaz

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all’uomo della stazione nord, alla donna della stazione sud, al gruppo di sordomuti al ristorante la cui silenziosa allegria non contagia nessuno, a una certa stanza nuziale, a una certa attitudine al sonno, a un certo sogno a forma di rombo. 3 Il pomeriggio è il tempo intermedio. Coloro che amano non hanno il coraggio di annunciarsi. Coloro che sono amati si fanno aspettare. L ’attesa dilata innaturale le sedie, schiaccia il telefono come un’alta temperatura, i muri divengono pneumatici, tanto che invano ci sbatti la testa, nessun dolore ti risveglia; l’universo intero è anestetizzato. 4 Quelli che amano suonano alla porta, e, quando apri, non c’è nessuno; qualcuno è scappato lasciandosi dietro un ectoplasma sensibile che scompare se respiri con violenza. E così, tra chi è andato via e chi non è venuto, ci sei tu, intorpidito, sfigurato, come un tatuaggio deH’aria. 5 Di pomeriggio dormono i cobra. Nel loro lungo sonno, solo il veleno resta sveglio 113

ca un bec violet. Dorm leii cu falcile lor in^elepte. Doarme in cer sufletul palid al stelelor. Dorm in carte litera M, litera N, stràns im bracate. 6

Post meridian - atenpe, ziua-i trecutä de jumätate; ai §i uitat spinii sclipitori ai räsäritului, viteza luminii in £eava copacului, acum, ea §i-a depä§it apogeul. Dupä recile ape din zori care te-au sculptat, pe trupul täu s-a depus experien^a in straturi sutyiri, neväzute.

7 Dac-ai putea sä träie^ti orele ceaiului, ale cafelei, tihnitele sunete de ce§ti, dac-ai putea sä concepì suavele ore-arämii ale dupä-amiezii unei vechi familii dintr-un secol vechi räsfä^at de o memorie romantica, dac-ai putea sä nu te sperii cänd iji vezi, in cea§ca plinä cu ceai, obrazul, de flacära infernului intens luminat. 8

Sau, in orele mai ìnaintate ale dupä-amiezii, ai väzut vreodatä brusca ploaie de riduri

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come una lampadina viola. Dormono i leoni dalle sagge fauci. Dorme in cielo lo spirito esangue delle stelle. Dormono nel libro la lettera M, la lettera N, abbracciate strette. 6

Post meridiem - attenzione, il giorno è trascorso per metà; hai dimenticato persino le spine scintillanti del sorgere del sole, la velocità della luce nella linfa dell’albero che ora ha superato il suo apogeo. Dopo le fredde acque dell’alba che ti hanno scolpito sul tuo corpo si è depositata l’esperienza in strati sottili, invisibili. 7 Se tu potessi vivere le ore del tè, del caffè, il tintinnio indolente delle tazze, se potessi concepire le soavi ore ramate nel pomeriggio di una vecchia famiglia di un secolo vecchio che si è crogiolato in una memoria romantica, se potessi non spaventarti quando nella tazza colma di tè vedi il tuo volto dalla fiamma dell’inferno intensamente illuminato. 8

Oppure, nelle ore più tarde del pomeriggio, hai visto mai la brusca pioggia di rughe 115

cazànd pe fa^a vecinului täu? E ca §i cum declinul luminii §i-ar ìncerca mai intài victima, o victimä aleasä la ìntamplare, pe care ar päräsi-o apoi farà s-o ucidä, dar ìngrozind-o pentru tot restul viepi. Iar tu, care asi§ti, nu spui nimic, te intrebi doar dacä pe fafa ta n-a palpitai, timp de o clipà, ca o vietate, aceea§i mascà de riduri, faci un gest oarecare, de pildä, iji aprinzi o Jigarä, §i atunci, in sfär^it, te salveazä crepusculul. 9 In sfar^it, aerul e räcoros, ca dupä dragoste trupul. Aburii premoni|iilor s-au risipit. Dupä-amiaza a luat-o spre cealaltä parte a globului, cu ìnfafi§area ei de femeie intre douä värste, cu douä saco§e piine in maini nu se §tie ce conpn, poate faina, poate carne cruda, oricum, s-au observat càteva dare de sänge in väzduh, in gäri, in ochii leilor, in ce§tile cu ceai. Sä nu ne mai gändim. Maine vom afla din ziare ce s-a intàmplat cu adevärat.

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cadere sul volto del tuo vicino? E come se il declino della luce saggiasse prima la sua vittima, una vittima a caso, da abbandonare poi senza ammazzarla, ma terrorizzandola per il resto della vita. E tu, che assisti, tu non dici nulla, ti chiedi solo se sul tuo viso non abbia palpitato per un attimo come un essere vivente la stessa maschera di rughe, fai un gesto qualsiasi, come accenderti una sigaretta ed è allora, infine, che viene a salvarti il crepuscolo. 9 Infine l’aria è rigenerata, come il corpo dopo l’amore. I vapori delle premonizioni dissipati. II pomeriggio si è diretto verso l’altra parte del globo con il suo aspetto da donna di mezza età, con due sacchetti pieni in mano non si sa cosa contengano, farina forse, forse carne cruda, ad ogni modo sono state notate tracce di sangue nell'aria, nelle stazioni, negli occhi dei leoni, nelle tazze di tè. Non pensiamoci più. Cos’è in realtà accaduto lo sapremo domani dai giornali.

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O parte dintr-o pasàre

Incä §i acum mä doare in coijul pieptului cànd imi amintesc cum alergam pentru cä totul mirosea a petunii ah, Doamne, §i era cald in jurul picioarelor mele lungi §i goale §i se iacea searä peste mare, peste mulpmea adultä §i peste ciudatul pavilion päräsit in care ne jucam. Iar eu nici nu ma gàndeam la capul meu cel uràt §i nici copili ceilalp nu mi-1 vedeau pentru cä alergam prea tare cu tofii, sä nu ne prindä uliul transparent al serii §i adulta rumoare de pe bulevard §i marea, marea, care amenin|a (proteja?) d e lfin e del primo tempo.

Era tot timpul varä, o varä u§oarä, o varä de apä §i de sandale, imunä la alcoolul care avea sä se numeascä iubire - §i in pavilionul päräsit (in zadar il veji cäuta, räzboiul 1-a scos cu douä degete afarä din inelul lui de pämänt, sau poate numai uitarea sau vreo muncä mai utilä), 118

Unaparte di un uccello

Persino adesso ho male alla cassa toracica quando ricordo come correvo perché tutto odorava di petunie ah, Signore, ed era caldo intorno alle mie gambe lunghe e scoperte e la sera scendeva sul mare, sulla folla adulta e sopra il bizzarro padiglione abbandonato dove giocavamo. E io alla mia brutta testa non ci pensavo proprio e neanche i figli degli altri la vedevano perché correvamo tutti troppo veloce per sfuggire al falco trasparente della sera e al rumorio adulto sul boulevard e al mare, al mare che minacciava (proteggeva?) quella fine del primo tempo. Era sempre estate, un’estate leggera, estate d’acqua e sandali, immune all’alcol che si sarebbe chiamato amore - e nel padiglione abbandonato (invano lo cercherete, la guerra l’ha tolto in men che non si dica dal suo anello di terra, o forse sarà stato l’oblio o una destinazione migliore) 119

mäjucam de-a copiläria, dar, de iapt, nu (in minte pe nimeni, cred cä nu mai era nici un copil in afarä de mine pentru cä, iatä, imi amintesc numai goana mea singuraticä intr-un mister inscenai de gesturile märii, imi amintesc numai fericirea, o, Doamne, de-a mä lipi cu brajele §i picioarele goale de pietre calde, de planuri inclinate, cu iarbä, de aerul inocent al serii. Fiorile miroseau amejitor in zona aceea in care, pufin ridicatä deasupra femeilor $i bärbafilor care miroseau neapärat a fum de tutun §i a grätar incins §i a bere, eu alergam, ne§tiutoare de capul meu uràt, rupàndu-i de altfel fiorii capul moale $i särutand-o pe buze, dupä cum §i marea mirosea mult mai puternic decät acum, era mai sälbatecä, algele ei, mai intunecate, §i felul in care ea plesnea stàncile, mai blestemat. De acasä §i pänä-n acel loc era foarte aproape, puteam alerga pänä acolo §i inapoi, färä ca lipsa mea sä se observe, din patru pa§i §i opt särituri eram acolo, dar, mai intai, furam de prin garduri pene de päun rämase intre §ipci, pene foarte frumoase, cum n-am mai väzut de atunci, cu ochiul albastru-verzui imens §i cu gene de aur atät de lungi incät (ineam in maini o pasäre intreagä §i nu o parte dintr-o pasäre; §i smulgeam, deci, penele in^epenite intre scänduri, smulgànd ceva din taina curplor acelora du§mänoase

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giocavo a fare la bambina ma, in realtà, non mi ricordo di nessuno, penso che non ci fossero bambini a parte me perché, ecco, ricordo solo la mia corsa solitaria in un mistero inscenato dai gesti del mare, ricordo solo la felicità, o Signore, nell’incollarmi braccia e gambe nude alle pietre calde, ai pendìi erbosi, all’aria innocente della sera. I fiori avevano un odore inebriante in quella zona dove, elevandomi un po’ su donne e uomini che odoravano puntualmente di fumo di tabacco, grigliata bruciaticcia e birra, io correvo, ignara della mia brutta testa, rompendo poi la morbida testa del fiore e baciandolo sulle labbra, e poi anche il mare aveva odori più penetranti d’ora, era più selvaggio, le sue alghe più scure, e il modo suo di frangersi agli scogli più malevolo. Da casa mia fino a quel luogo era molto vicino, potevo correre fin lì e poi tornare senza che si accorgessero della mia assenza, quattro passi e otto salti ed ero lì ma, prima di tutto, andavo a rubare tra gli steccati piume di pavone rimaste tra le assicelle, piume bellissime, come da allora non ne ho mai più viste, dall’immenso occhio verde-azzurro e ciglia dorate tanto lunghe che tenevo tra le mani un uccello intero e non una parte di un uccello; strappavo, dunque, le piume piantate tra le assi, strappando con esse un poco del mistero di quei cortili ostili

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§i apoi alergam spre pavilionul päräsit de la marginea märii, §i alergam imprejurul lui §i prin el, prin incäperile sparte in care lästuni ìnnebunip se loveau de pereti §i de tavan, izbucnind cànd afarà, cànd inäuntru, ca §i mine. Aveam o rochie scurtä farà màneci, de culoarea nisipului cänd soarele nu mai are putere §i-r toamna-ar fi urmat sä merg la §coalä §i spectacolul märii imi spärgea toracele ca sä mä facä mai incäpätoare, de aceea imi bätea inima §i mä doare §i acum co§ul pieptului la amintirea loviturilor märii cànd ìncerca sa in tre in mine, mai ales seara, cànd fiorile päleau färä a-§i pierde cu totul culoarea, rämänänd roz cu ceai §i violet cu lapte, pierzàndu-§i doar tulpinile in ìntuneric, plutind, decapitate, la o anumitä inànime, deasupra ierbii care nici ea nu mai era. Aceasta este o amintire grozavä, absolut de neuitat, senzafia de trup u§or, neatàrnat, invulnerabil, desävär§it, capul meu, nefiind decàt urmarea fireascä a trupului meu, supraveghindu-i doar viteza §i orientarea, dar nu mä loveam niciodatä, nu Jin minte sä fi cäzut vreodatä in vara aceea, eram u§oarà, de o sänätate impecabilä §i inspiratä, iar dacä nu zburam era pentru cä-mi pläcea mai mult sä alerg pe pàmànt §i nicidecum din alte motive... Iar dupä aceea... Ce spuneam? Ah, da, aveam picioare lungi §i goale, bra£e goale §i subpri

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e poi correvo verso il padiglione abbandonato in riva al mare, ci correvo tutt’intorno e dentro, nei vani cadenti dove folli riparie sbattevano sui muri e sul soffitto, irrompendo ora fuori, ora dentro, come me. Avevo un vestito corto senza maniche, color sabbia quando il sole non ha più vigore e in autunno sarei dovuta andare a scuola e lo spettacolo del mare mi spaccava il torace per rendermi più capiente, per questo il cuore mi batteva e questa cassa toracica mi duole ancora adesso al ricordo dei colpi del mare quando cercava di entrarmi dentro, soprattutto la sera, quando i fiori impallidivano senza perdere del tutto il colore, restando rosa con tè e viola con latte, perdendo solo i gambi al buio, fluttuando, decapitati, a una certa altezza, sopra l’erba che non c’era più, neppure lei. Questo è un ricordo stupendo, che rimane impresso, la sensazione di un corpo leggero, libero, invulnerabile, compiuto, la mia testa, che era solo il prolungamento naturale del mio corpo e ne sorvegliava solo velocità e direzione ma non mi facevo mai male, non ricordo di esser mai caduta quell’estate, ero leggera, godevo di salute impeccabile e ispirata, e se non volavo era perché mi piaceva di più correre a terra e in nessun caso per altri motivi... E poi... Cosa stavo dicendo? Ah, sì, avevo gambe lunghe e scoperte, braccia nude e sottili 123

§i in pavilionul päräsit era o räcoare ciudatä de parca o mare invizibilä ar fi adiat inläuntrul lui... Iar dupä aceea... ... unde rämäsesem? Ah, da, fiorile pline de searä ca de un fum sacru §i goana mea singuraticä printre mistere binevoitoare §i blajine... Iar dupä aceea?...

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e nel padiglione abbandonato c’era una bizzarra frescura come se un mare invisibile ne avesse lambito gli interni... E poi... ... dov’ero rimasta? Ah, sì, i fiori della sera gonfi come di un fumo sacro e la mia corsa solitaria tra misteri benevoli e blandi... E poi?...

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Exorcism

Nu mä tem de gäinile-ingeri räcorindu-§i in vantul luminii inocentele pene. §i nici alcionul femel nu mä sperie. Nu mä tem de cascada de carne pieptänatä, räritä de dinpi monstruoaselor stänci tarpeene. Aifabetele nu mä-nspäimäntä. Nu mä sperie A - nici in cärji. Nu mä tem de torsadele ploii strangulànd cate-un suflet de fatä. Nu mi-e fricä de-acele §osele indelung regizate de iepuri zämbitori ca un Budha de blanä. Nu mä tem de cantabila voce tricotänd asasini. Nu mä tem de torturile cifrelor minus. Nu mä sperie ziua de luni, con§tiin|a duminicii. Nici lunga vizitä-a domnuluijoi. Nu mi-e groazä de cheia suspectä nici de u§a de dincolo - tobä subbiata de stranii percupi pan’ la aer. Ah, nu, nu mä tem 126

Esorcismo

Non temo le galline-angelo che ristorano alla brezza della luce le piume innocenti. Neanche l’alcione femmina mi fa paura. Non temo la cascata di carne rarefatta, scardassata dai denti delle mostruose rupi tarpee. Gli alfabeti non mi spaventano. Non mi intimorisce la A - neanche con le stampelle. Non temo i tortiglioni della pioggia che strangolano qualche misera fanciulla. Non ho paura di quei viali per lungo tempo orditi da lepri sorridenti come Buddha pelosi. Non temo la voce cantabile che sferruzza assassini. Non temo la tortura delle cifre negative. Non mi intimorisce il lunedì, coscienza della domenica. Neanche la lunga visita del signor Giovedì. Non ho terrore della chiave sospetta né della porta che porta di là - tuba assottigliata da strane percussioni fino a farsi aria. Ah, no, non temo

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de carlinga - c-un nume de fundä sau de rana in care se zbate organismul solar. Nu mä tem de aromele ghepi, de pielea calcinatä a Väii Reflexe sau de räul vital care-o-njunghie. Nu mä sperie, nu, nu mä tem de microbii din zahär. Falangele celor optzeci de maini ai ielelor nu mä sperie. Nu mä-ngrozesc nici mägarii pe care Maria ii trimite in lume, §i nici veninoasa bätränä numitä Cunigunda. Ah, nu, nu mä tem, nu mä tem, nu mä tem de Gomora §i de insula Rè. Nu mä tem. ...Felix, qui potuti rerum cognoscere causas.

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la carlinga - un nome che pare un fiocco! o la ferita in cui si dibatte l’organismo solare. Non temo gli aromi del ghiaccio, la pelle calcinata della Valle Riflessa 0 del fiume vitale che la strangola. Non mi spaventa, no, non temo 1microbi dello zucchero. Le falangi delle ottanta mani delle fate maligne non mi spaventano. Non ho terrore neanche dei somari che Maria invia nel mondo né dell’arcigna vecchia che ha nome Cunegonda. Ah, no, non ho paura, non ho paura, non ho paura di Gomorra né dell’isola di Ré. Non ho paura. ... Felix, quipotuit rerum cognoscere causas.

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Tirada din penultimul a d

Vä las, vä las, n-am sä va mai ating. Eu nu mai am nimic de demonstrat. Nu väd deci rostul sä se mai amane aceastä scufundare de celule, numite maini, numite ochi sau gurä, in lutul räbdätor, in lutul care nici nu m-a§teaptä, nici nu mä reclamä, sätul de certitudine fiind cä sunt al lui, la orizontul nul. Am spus cam totul despre ce §tiam, §i chiar minciuna cu evlavie am rostit-o cäci am väzut-o existànd, prinzànd un corp fiind la fel de vie ca o frunzä sau ca un iepure - §i n-am putut sä neg nici o fiin^a, niciodatä. Vä las - fi pentru cä am ostenit, väzänd cum se rästoarnä càte-un secol in cel de dinaintea lui, de parcä laptele supt de prunc s-ar reintoarce in sänul maicii lui sau, §i mai groaznic, de parcä fruntea unui filosof s-ar ingusta tinzànd spre abolite, päroase §i cäjärätoare specii. Am inväjat càte ceva, departe insä 130

Tirata del penultimo atto

Vi lascio, vi lascio, non vi toccherò mai più. 10 non ho più nulla da dimostrare. Non vedo dunque il motivo di rinviare ancora questo naufragar di cellule chiamate mani, occhi o bocca nell’argilla paziente, nell’argilla che non mi aspetta né mi reclama, stanca ormai della certezza che le appartengo, nell’orizzonte nullo. Ho detto quasi tutto quello che sapevo, persino la menzogna ho pronunciato con devozione poiché l’ho vista esister, prender corpo, farsi viva come una foglia o una lepre - e io non sono riuscita a ignorare, mai, creatura alcuna. Vi lascio - anche perché sono estenuata nel vedere come ogni secolo si rovescia in quello precedente, come se 11latte succhiato dal neonato ritornasse nel seno della madre o, ancora peggio, come se la fronte di un filosofo si assottigliasse tesa verso estinte, irsute e rampicanti specie. Qualcosa ho imparato, lontano tuttavia 131

de studii §i de-acea migalä sacra a certelor infoili - ci mai mult din frig §i din caldura, din na§tere, din moarte, din tot ceea ce - vai! - nu se repetä §i deci nu poate fi-ntrebuin(at ca experienfä. Am rämas egal de vulnerabil, cunoscànd pe nume o mie de obiecte §i de stari, dar neputàndu-le striga pe nume farà ca eie sä se depärteze schimbàndu-^i forma pànà la refuz, tràntindu-ma-n derutä ca intr-un lac de sänge. Vä las, n-am sä vä mai ating. Mi-api spus de-atàtea ori cä nu vä sunt pe plac de§i mi-am desenat atent portretul, §i numai dupä schifa voasträ. Dar, pesemne, nu pot imita nimic, n-am nici indemànarea ?i nici harul de-a semäna cu voi, §i nici cu mine. Zàmbesc - §i totul se rästälmäce§te in rànjet! Rad - §i lumea-ntoarce capul musträndu-mä pentru necuviinfä. Cànd plàng - prileju-i prost ales, caci iatä, e tocmai särbätoare in cetate. Fac o statuie - §i mulpmea strigä: « I§i face chip cioplit! ». Iar cànd tànjesc de-o boala grea - atunci e socotitä o viclenie-a sumbrului meu trup spre a isca o molimä subtilä... Vä las, vä las, vä las...

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dagli studi e da quella sacra minuziosità degli affidabili in-folio - ma piuttosto dal freddo e dal calore, dalla nascita, dalla morte, da tutto quello che - ahimè! - non si ripete e dunque non può essere usato come esperienza. Sono rimasta altrettanto vulnerabile, ho conosciuto da vicino mille oggetti e stati d ’animo ma non sono riuscita a chiamarli per nome senza che si allontanassero mutando forma oltre ogni limite, gettandomi nello sconcerto come in un lago di sangue. Vi lascio, non vi toccherò mai più. Mi avete detto così tante volte che non vi vado a genio anche se ho disegnato con attenzione il mio ritratto sempre seguendo la vostra traccia. Però, a quanto pare, non riesco a imitar nulla, non ho né l’abilità né il dono di somigliare a voi, e neanche a me stessa. Sorrido - e tutto viene travisato per un ghigno! Rido - e la gente si gira rimproverandomi per l’indecenza. Quando piango - l’occasione non è felice, perché ecco, proprio oggi è festa in città. Faccio una statua - e la folla grida: « Si sta facendo un idolo! ». E quando languo per una grave malattia - viene considerata un’ipocrisia del mio corpo intristito per scatenare una strisciante epidemia... Vi lascio, vi lascio, vi lascio...

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M ä taie in douä

Mä taie in douä ràul §i luna §i noaptea imi curge din gurä ca sàngele. Cändva am fost una, cändva am fost una! N-am §tiut cä-s atàt de sälbatice stäncile. Veneam cu orbitele piine de flori, cu vàntul albastru pe umeri. Càntase pämäntul cel bun: « Tu nu pop sä mori! ». Mi-era carnea sonora pe lira de oase. Cäzänd, ca-ntr-un vis cu securi, iatä luna fi ràul täindu-mä-n douä. Repet: Cändva am fost una, cändva am fost una! Partea cu capul mi-o iau §i mi-o legän incet.

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Mi tagliano in due

Mi tagliano in due il fiume e la luna e la notte mi cola come sangue dalla bocca. Un tempo ero una, un tempo ero una! Non sapevo così selvagge le rocce. Arrivavo con le orbite piene di fiori, il vento azzurro indosso. Cantò la terra feconda: « Tu non muori! ». Suonava la mia carne sulla lira d’ossa. Mentre cadevo, come in un sogno d’asce, ecco, la luna e il fiume mi tagliavano in due. Ripeto: Un tempo ero una, un tempo ero una! La parte con la testa me la prendo e la cullo adagio.

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In ultima clipä

Ramurile sclipirä intens §i toatä valea mugi ca o vacä imensä cu capul intors cätre soare §i acest muget luminos a fost ultimul lucru pe care 1-am auzit inainte de cäderea serii. Apoi, in profundul anonimat, intämplärile au continuai tot mai stranii; toate cardile se deschiserä la aceea§i pagina §i in aceea§i noapte imi era dat mie sa aflu legatura dintre secole §i mistere. Toate acestea erau, bine in^eles, semne de moarte, dar, deodatä cu un plesnet feroce, cardile se reinchiserä la loc.

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L ’ultimo istante

I rami scintillarono intensamente e tutta la valle muggì come una vacca immensa con il capo rivolto al sole e quel muggito luminoso fu l’ultima cosa che udii prima del calar della sera. Poi, in quel profondo anonimato, seguirono fatti ancora più bizzarri; tutti i libri si aprirono alla stessa pagina e quella stessa notte mi fu dato scoprire il legame tra secoli e misteri. Tutte queste cose erano, beninteso, sintomi di morte ma d ’un tratto con uno schianto feroce i libri si richiusero di nuovo.

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Veghe

Eram frumoasä, marna cànd murea. Plänsesem §i vegheasem. Iar ochii-mi ingustap intinereau pe fafa-mi de oglindä. Ea nu mä mai privea. Putea sä vinä tälharul cei mai mare sä-mi spargä-n douä (easta §i mäna ei nu s-ar fi ridicat in apärarea mea. §i doar eram frumoasä, a§a cum mä dorise, §i se-mprimävära: un verde umed de cioturi vegetale, incruntate, ameninja gradina s-o zgärie la sänge. Dar pänä-atunci, mama murea ne§tiutoare de nimic §i nimeni, doar impro§cänd cu-o räsuflare mai aprigä decàt oricànd, väzduhul, - $i numäram, §i erau douäzeci de räsufläri amarnice, §i zece-abia sim|ite, in timp ce noaptea se-nälbea incet §i numai ploaia vinovatä-mi tencuia cu negru zidul dinafarä. Eram frumoasä, totu^i, cum stam §i numäram acele räsufläri de luptä,

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Veglia

Ero bella, quando mamma moriva. Avevo pianto e vegliato. E i miei occhi angusti ringiovanivano sullo specchio del mio volto. Lei non mi guardava più. Poteva venire il peggior bandito a spaccarmi il cranio ma la sua mano non si sarebbe levata in mia difesa. Eppure ero bella, come mi desiderava lei, e la primavera era alle porte: un verde umido di frammenti vegetali, corrugati, minacciava di graffiare a sangue il giardino. Ma prima di allora mamma moriva ignara di tutto e di tutti imbrattando il cielo di un sospiro più impetuoso che mai - e io contavo e c’erano venti sospiri intensi, e dieci appena percepiti, mentre la notte s’imbiancava adagio e solo la pioggia colpevole di nero intonacava il mio muro esterno. Eppure ero bella, intenta lì a contare quei sospiri di lotta

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dar ea nu mä vedea. §i nimeni nu mä va vedea a§a vreodatä, de aci incoio.

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ma lei non mi vedeva. E d ’ora in poi nessuno mi vedrà in quel modo, mai.

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Mireasa

Te-au dus ca pe o mireasa, in albe dantele. §i-a rämas biata casa frumoasä, ca o corabie farà pànze. §i tustrele ursitoarele mele ru§inatu-s-au foarte. Eie prevestiserä bune §i rele dar nu fusese vorba de moarte. Cum sä dea ochii cu mine? Cum sä-mi comunice cä s-a ìntàmplat ceva care n-ar trebui sä li se ìntàmple fiin^elor unice, sau care, dacä li se-ntàmpla cumva, e semn de nebänuitä mediocritate, e un anunj de destin comun al tuturora cu toate. A§a i§i spun ursitoarele mele, bietele de eie.

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L a sposa

Ti hanno portato via come una sposa tra bianchi merletti. Ed è rimasta la povera casa graziosa come una nave senza vele. E poi tutte e tre le mie parche si sono vergognate anzichenò. Ne avevano predette di buone e di cattive ma sulla morte erano state schive. Come potevano guardarmi negli occhi? Come comunicarmi che era accaduto quel che alle creature uniche non dovrebbe accadere e se pure accade è segno di insospettata mediocrità, è l’annuncio di un destino che accomuna tutti alla totalità. Questo dicono fra loro le mie parche, poverette.

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Stelà

Atuncea, iarna se sfar§ea. Acum ìncepe. Eu, tot pe trupul täu ramàn §i simt cum se räce§te unghia-fi de-argint. Nimeni sä nu mä mai ìntrebe. Frumoasä frunte ai, fiinfä planä, atàt de suptä de Orizontalä. Tu, dulce ranä färä de prihanä, tu, strävezie, moarta mea de galä. E-un martie-noiembrie perpetuu. Confuzie de anotimp. Doar tu e§ti linia care unente totul, pe care vin spre tine de-a inotul.

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Stele

Allora l’inverno stava finendo. Adesso inizia. Io, resto sempre sul tuo corpo e sento farsi fredda la tua unghia d’argento. Che nessuno mi faccia più domande. Graziosa fronte hai, creatura levigata, resa così emaciata dall’Orizzontale. Tu, dolce piaga incorrotta e pura, tu, trasparente, morta mia di gala. È un marzo-novembre ininterrotto. Confusione di stagioni. Solo tu sei la linea che unisce tutto, su di essa ti vengo incontro a nuoto.

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U§ile

U§ile deschise prin care se vad fructe 51 frunze §i pete de apä $i pisici, u§ile date de perete prin care se väd alte u§i, ploi §i pietre fi o pereche de papuci verzui ca douä urechi lungi; ufile deschise in fa{a altor u§i deschise cu zona de alarmä a reciprocitäjii lor - iar cine-a incercat sä treacä n-a ajuns niciodatä dincolo §i-apoi din nou fructe §i pete de apä §i melcul soarelui tàràndu-^i reflexul peste toate-acele existente inghi^ite de golul dintre douä u§i deschise, §i noi, incäpä^änandu-ne sä vedem, la nesfàr§it, numai pietre, ploi, frunze, papuci, pisici...

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Porte

Porte aperte dalle quali si vedono frutti e foglie e chiazze d ’acqua e gatti, porte spalancate dalle quali si vedono altre porte, piogge e pietre e un paio di pantofole verdognole come due lunghe orecchie; porte aperte davanti ad altre porte aperte, la reciprocità una zona a rischio - e chi ha provato a passare non è arrivato mai dall’altra parte e poi di nuovo frutti e chiazze d’acqua e la chiocciola del sole che trascina il suo riflesso sopra tutte quelle esistenze inghiottite dal vuoto tra due porte aperte, e noi, che ci ostiniamo a vedere, all'infinito, soltanto pietre, piogge, foglie, pantofole, gatti...

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Viafa de dincolo

Eu scriu liber despre toate astea dar toate astea mä terorizeazä. Numesc un pescäru§ §i umbra lui mä acoperä §i umbra ciocului lui imi sfredele§te tàmpla §i un sänge de umbrä imi curge pe obraz. Spun « foame » sau « adio » §i « foame »-mi face ochii sä se ìnfunde-n orbite, « foame » imi tope^te pieptul §i päntecul, vine « adio » §i-mi sfa§ie iubirea, « adio » imi desface brafele §i totul cade la pämänt. Eu, scriindu-le, am vrut sä le eliberez dar toate astea nu §tiu decät sä ìn§face §i sä devore, toate astea nu se simt libere decät omoränd. Eie nu cred in viafa de dincolo a Poemului.

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L 1aldilà

Ne scrivo apertamente anche se mi terrorizza. Nomino un gabbiano e l’ombra sua mi copre e l’ombra del suo becco mi trapana il cranio e un’ombra di sangue mi riga la guancia. Dico « fame » o « addio » e «fame » affonda gli occhi dentro l’orbita, «fame » mi sdilinquisce il petto e il grembo, arriva « addio » e lacera l’amore, « addio » mi apre a forza le braccia e fa cadere tutto in terra. Mettendole per iscritto volevo liberarle e invece quelle non sanno fare altro che azzannare e divorare; solo ammazzando si sentono libere. Non credono nell’aldilà del Verso.

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Ermetica

De s-ar gasi un loc sä mai infìg un fipät, care-ar fi acela, stanca sau marea, sau ochiul päsärii de noapte, fix §i rotund, tare ca piatra, galben ca luna? Ah, totul e de nepàtruns. §i strigatul imi atarna din gurä moale ca limba unui spanzurat.

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Ermetica

Se ci fosse un luogo dove conficcare un altro grido quale potrebbe essere, la roccia o il mare o l’occhio dell’uccello della notte, fisso e tondo, duro come la pietra, giallo come la luna? Ah, tutto è impenetrabile. E il grido viene fuori dalla bocca pendulo come lingua d ’impiccato.

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Gimnastica de dimineafä

Mä trezesc $i spun: sunt pierdutä. E primul meu gänd de zori. Frumos imi incep ziua cu gàndul acesta omoràtor. Doamne, fie-fi milä de mine - e gändul al doilea, 51-apoi mä dau jos din pat §i träiesc ca §i cum nimic nu mi s-ar fi xntämplat.

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Ginnastica mattutina

Mi sveglio e dico: sono perduta. E il mio primo pensiero all’alba. Comincio bene la giornata con questo pensiero assassino. Signore, abbi pietà di me - è il secondo, e poi scendo dal letto e vivo come se nulla mi fosse accaduto.

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Punctul de vedere

Ograda e piina de fabule. Pädurea e plinä de lecpi de moralä. Au dispärut animalele. Lumea a dispärut. A rämas numai trufa§ul Weltanschauung.

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Punto di vista

Pieno di favole il cortile, il bosco di lezioni di morale. Svaniti gli animali, svanito il mondo intero. Cosa resta? L ’arrogante Weltanschauung.

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Marea coniugare

Eu, care nu am avut niciodatä funeri, ci funepa de reproducere, nu te-am meritat decàt pe tine, bälaie Isolda, fiica infinita a pàntecului meu, - eu, care nu am avut niciodatä ambiai, ci am bila de a face din gerul acesta al literei I spada extatica-a §ubredei vorbe Iubire, - eu, care nu am avut niciodatä §anse, ci §ansa de a träi suràzànd chiar cànd, pe tàmplele mele, curgea, in loc de pär §i in loc de-amintiri, §uvi{a insultei, saliva ligheanelor, - eu, care nu am avut niciodatä puteri, ci puterea de-a fi §i de-a te im braca, du§manul meu, §i de-a fi oricànd pregätitä sä mor, - eu am avut totdeauna averea, avutul, avànd, a avea, de avut, avusesem §i am.

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L a grande coniugazione

Io, che non ricoprii mai funzioni se non la funzione riproduttiva, non meritai altri che te, Isotta la bionda, figlia infinita del mio ventre - io, che non ebbi mai ambizioni se non l’ambizione di rendere questa gelida lettera A spada estatica della gracile parola Amore - io, che non ebbi mai opportunità se non l’opportunità di viver sorridendo anche quando sulle tempie anziché capelli e ricordi mi colava il rivolo dell’insulto, la saliva dei bacili - io, che non ebbi mai forze se non la forza di esistere e abbracciarti, mio nemico, e di essere ogni istante pronta a morire - io ebbi sempre l’avere, gli averi, avendo, ho avuto, da avere, avevo avuto e ho.

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Adolescentul masacrelor

Nu accept aceastä legatura de chei cu care vrei sä-mi afàfi curiozitatea. Sunt sànge din sàngele stramo§ilor mei, batràni resemnafi sau injelepfi care §tiu ce se aflä dincolo de u§i, care preferä sä-§i punä singuri cälu§. Dincolo de u§i e pasärea cu dinfi. (Asta o §tiu din pärinfi). Dincolo de u§i e musca spurcatä. (Asta am aflat-o altadatä). Nu mä due intr-acolo. Nu vreau sä deschid. De-atàta cunoa^tere, mi-e neamul livid.

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L ‘adolescente dei massacri

Non accetto questo mazzo di chiavi con le quali vuoi tentare la mia curiosità. Sono sangue del sangue dei miei antenati, anziani sapienti o rassegnati loro sanno dietro le porte cosa c’è, il bavaglio preferiscono metterselo da sé. Dietro le porte c’è l’uccello dentato. (I genitori me ne hanno informato). Dietro le porte c’è la mosca immonda. (Questo l’ho appreso un’altra volta). Non voglio aprire. Fino a lì non arrivo. Di tanta conoscenza il mio popolo è livido.

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Dialogul meu cu dictaturä

i §i a§a imi ascut eu creioanele §i scriu prostii ca iepura§ul din anecdota cea veche pentru cä, bineinfeles, lupul nu se teme de mine, ce-i drept, nici eu de lup decät cä nu-i pot clinti mäcar un fir din mustafä, nici näravul nu i-1 pot schimba, ba mä tem cä i-1 mai §i agravez datoritä creioanelor mele atät de frumos ascufite §i atät de suavelor mele prostii. II

O vocalä curatä e dimineafa mea, latinä pronunzie in murmurul timpului confuz. Cu silabe rationale incerc sä limpezesc mälul ocult §i violenta promiscua. Protestul meu lingvistic n-are putere. Du§manul e analfabet.

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Il mio dialogo con la dittatura

i E appuntisco così le mie matite e scrivo sciocchezzuole come il leprotto della vecchia storiella perché il lupo, chiaramente, di me non ha paura né, a dire il vero, io di lui se non di non potergli torcere neanche un pelo dei baffi, né posso fargli perdere il vizio, temo anzi di poterlo aggravare pervia delle matite tanto aguzze e delle sì soavi sciocchezzuole. II

Vocale nitida è la mia mattina, latina pronuncia nel mormorio del tempo confuso. Con sillabe razionali tento di risciacquare la melma occulta e la violenza promiscua. La mia protesta linguistica è impotente. Il nemico è analfabeta.

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Pe pufini i-am cunoscut personal. Intre mine §i ei - ca o zeitate protectoare a stat uria§a mea ignoranza, uria§a femee de piaträ rudä cu Statuia Libertari, demnitatea mea, parte a Coloanei Infinite. S-a intampiat, totu§i, in clipe de nesäbuin^ä, sä mä ating de unul sau de altul dintre aceia §i privirea lor sä-mi sape in carne cratere invizibile. Sau sä mä imbranceascä doar cu umerii lor vätuip. Deci, ei sunt räspunzätori de toate mormintele pe care arheologii le descoperä in mine. Oricàt de departe am sta de ei, destinul nostra pare un cäine ascultätor 162

Di persona ne ho conosciuti pochi. Tra me e loro stava - come un nume tutelare la mia immensa ignoranza, mastodontica donna di pietra parente della Statua della Libertà, la mia dignità, parte della Colonna Infinita. Mi accadeva, però, negli istanti di sconsideratezza, di sfiorare ora l’uno ora l’altro tiranno e il loro sguardo scavava nella carne crateri invisibili. Oppure mi spintonavano con le spalline. Sono pertanto loro i responsabili di tutte le tombe che gli archeologi rinvengono in me. Per quanto distante da loro il nostro destino pare un cane docile 163

cu urechile ciulite la comanda lor. Pare.

con le orecchie rizzate in attesa di un loro ordine. Pare.

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Trivialele zgomote ale celor màrunfi, ale celor pentru care puterea ìnseamna sä plescäie la ospäf, sä ràgàie dupä ospäf, sä se §tearga pe bot - al cäror ospäf preferat e compus din violoni§ti cu viorile lor cu tot.

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I triviali rumori delle nullità, di chi prende il potere come scusa per ingozzarsi al banchetto ufficiale, di chi dopo il banchetto rutterà, nettandosi il muso e a piatto del giorno ha eletto i violinisti con tanto di violino per contorno.

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ìntre mine p soare e un vai de odihnä care-mi apara ochii de pàijolul luminii care-mi ernia fiin^a de arsura cunoa§terii care-mi lasä celulele sä respire in ne^tire. A trecut ?i räzboiul. A trecut §i iubirea. Ce u^oarä e moartea pregätita din vreme.

Tra me e il sole c’è un velo di quiete che mi protegge gli occhi dalla brace di luce che risparmia al mio essere lo scotto della conoscenza che permette alle cellule di respirar tranquille. Passata è anche la guerra. Passato è anche l’amore. Com’è lieve la morte preparata per tempo.

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Solili care mä acoperà sunt de culoarea pamàntului. Parca a§ fi un crocodii adaptat la màlul inconjurätor, nemi^cat, cu ochi aparent adormifi, fioroni ìnauntru. Animalul märunt ar trebui sä se fereascä de mine. Iatä-1, fopäind in ne§tire, botul lui mustäcios imi atinge spinarea. Imi simt falcile incordàndu-se, gatä sä se desfacä in marele cäscat asasin. Nu se intàmpla nimic. Sunt numai o femeie bätränä.

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Le scaglie che mi coprono hanno il colore della terra. Sembro un coccodrillo adattatosi alla melma circostante, immoto, gli occhi in apparenza torpidi, feroci dentro. L ’animale minuto dovrebbe guardarsi da me. Eccolo, mentre saltella ignaro, il suo muso baffuto mi sfiora la schiena. Sento contrarsi le ganasce pronte a schiudersi nel grande sbadiglio assassino. Non succede niente. Sono solo una donna anziana.

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Trebuie sä dorm. Orice se intämplä, trebuie sa-mi fac porjia de somn. Moare cineva trebuie sä dorm. Nu ìmpart cu nimeni rapa de somn. Pentru cä, stimate domn, eu, cànd dorm, il visez pe iubitul räposat 51 pe tatäl meu cel mort, §i frumos cu ei mä port, mult mai mult in somn decàt in trezie m-am purtat. §i pe urmä, -n somn, moartele-mi celule se prefac in aur curat, strecurat, ca sä-nviu in zori §i sä pot umbla printre dumneavoasträ, stimaci cititori.

172

Devo dormire. Qualunque cosa accada, devo farmi la mia dose di sonno. Muore qualcuno eppure devo dormire, non dividerò con nessuno la mia razione di torpore. Poiché, gentile signore, io, quando dormo, sogno il mio defunto amato e mio padre morto e con loro bene mi comporto, molto meglio nel sogno che nella veglia mi sono comportata. E poi, nel sonno, le mie cellule morte si tramutano in oro puro, setacciato, perché possa resuscitare al chiarore e camminare in mezzo a voi, gentili lettori.

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1

Tatäl meu acuma umple lumea cu fiinfa lui; numai pe el il väd. A crescut uria§ in apropierea ceasului suprem numit Präpäd. Calcä de pe-un mal pe cellalt mal §i chelia lui e insali luna. Niciodatä nu a fost mai sfant, §i-i mai pämäntean ca totdeauna. Nu am dreptul sä-i vorbesc. Iar dacä il ating, pe mäna mea rämane un polen ciudat, ca de la fluturi, §i-mi simt degetele ingrozite §i bätrane. Tatäl meu imi p arasele carnea. Ochelarii doar i i-am furat, ca sä-i port in somn cänd vine Visul, ca sä nu orbesc §i sä nu cad din pat.

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Mio padre adesso riempie il mondo della sua essenza; vedo solo lui. E divenuto enorme nei paraggi dell’ora suprema chiamata Finale. Cammina da una riva all’altra e la sua calvizie è la luna stessa. Non è mai stato più santo di adesso ed è più terrestre che mai. Non ho il diritto di parlargli. E se lo tocco mi resta sulla mano uno strano polline, come di farfalla, e sento le dita atterrite e vecchie. Mio padre abbandona la mia carne. Gli occhiali soltanto gli ho sottratto per portarli nel sonno quando giunge il Sogno, per non diventar cieca e non cader dal letto.

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§i cànd vine sfàrptul verìi parca vine sfar^itul lumii. Totul e pustiire §i spaimä. Ziua scade pana la pierderea demnitäjii. Pe trupurile noastre cad lespezi ude, de postav: paltoanele deprimate. §i-apoi zgribulip, poticnindu-ne, prin hàrtoapele sträzii Iarnä, col{ cu Declinului... Ce rost are sä mai träim cu ideea de primävarä - primejdioasä, ca toate utopiile?

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E quando arriva la fine dell’estate sembra arrivare la fine del mondo. Tutto è desolazione e spavento. Il giorno scade fino a perdere la dignità. Sui nostri corpi cadono lastre bagnate di panno: i cappotti prostrati. E poi, tutti contratti, incespichiamo, nelle buche di via Inverno, angolo via Tramonto... Perché vivere ancora nell’idea della primavera - pericolosa come ogni utopia?

177

Senin

Va fi un timp senin, un timp de imn. C-un singur gest voi sublinia väzduhul $i voi rosti doar vorbe farà patä. Voi spune « cer », « izvor », voi spune « soare » §i « lacrima » §i « muzicä », « imunitate ». Va fi un timp cànd zvonul de masacre nu-mi va atinge amintirea ci doar suave adieri de poezie cum, uneori, §i sàngele adie. Din tot ce-a fost càndva promiscuu, pästrez doar sacrul §i voi làuda contrastele iertate, iertätoare. Voi spune « cer » §i « soare » dar §i « muzicä » §i va fi « soare », « muzicä » §i « cer » in jurul meu §i-njurul lumii. Vocalele-^i vor capata, fire§te, nimbul. §i va veni sonorul timp, sträluminat, un timp solemn §i pur, un timp de imn §i va veni odati timpul! Timpul!

178

Sereno

Sarà un tempo sereno, un tempo da inni. Con un sol gesto l’aria fenderò, pronuncerò solo parole immacolate. Dirò « cielo », « fonte », dirò « sole » e « lacrima » e « musica », « immunità ». Sarà il tempo in cui il mio ricordo non sarà sfiorato da eco di massacri ma da aliti soavi di poesia ché a volte anche il sangue alita. Di tutto quel che un tempo era promiscuo conservo solo il sacro e mossa al perdono loderò i contrasti perdonati. Dirò « cielo » e « sole » ma anche « musica » e sarà « sole », « musica » e « cielo » intorno a me e intorno al mondo. Le vocali assumeranno, naturali, la loro gloriosa aureola. E verrà il tempo sonoro, scintillante, un tempo solenne e puro, un tempo da inni e verrà un giorno il tempo! Oh se verrà!

179

Dacà..

Dacä o lacrima e oul päsärii-ploaie, dacä pasärea e anxietatea aerului, dacä !nsu§i aerul e un trup acoperind trupuri - cum a§ putea serie o carte in aceastä groapä comunä?

180

Se..

Se una lacrima è l’uovo dell’uccello della pioggia, se l’uccello è il tormento dell’aria, se l’aria stessa è un corpo che ricopre corpi - come potrei scrivere un libro in questa fossa comune?

181

Ofoarte sim plä poezie

Därele märii pe fruntea mea se usucä. Peste nisipuri adie un abur de ducä. Ultima oaie smulge cu silä ultima iarbä. Vinul §i sängele verii au incetat sä m ai fiarbä. Rana de ieri care, totu§i, pärea atät de adäncä, s-a-nchis peste noapte. Vai, carnea mi-e tanärä incä. Dar nu mä vindec de rana de secol, de rana de lume, de-aceste fragile distihuri. Antume? Postume?

182

Una poesia molto semplice

Sulla fronte si asciugano le orme del mare. Sulle sabbie un alito di morte odi spirare. L ’ultima pecora l’ultima erba indolente svelle. Né il vino né il sangue dell’estate ormai ribollono. La ferita di ieri che pure profonda pareva, si è richiusa nella notte. Ah, la mia carne è ancora giovane! Ma non guarisco dalla ferita del secolo, dalla ferita del mondo, da questi distici fragili. An turni? Postumi?

183

Interdiente

Ce cau|i tu aici in verminte strävezii ridicànd o cupa de cuvinte la buza indiferentä a timpului? Cine te-a minpt cä bälple tànjesc spre lunä, §i cä o pasäre danseazä in centrul pämäntului? Dece nu-ti accepji respingerea, dece nu-p legi picioarele, s trans, strans, unul de altul? Ce se petrece in jurul tau nu te mai privefte.

184

Interdizione

Cosa cerchi tu qui in vesti diafane mentre accosti una coppa di parole alle labbra indifferenti del tempo? Chi ti ha fatto credere che gli stagni anelano alla luna e che un uccello danza al centro della terra? Perché non accetti il rifiuto, perché non leghi le gambe strette strette? Quel che accade intorno a te non è più affar tuo.

185

Grimasa

In mijlocul verii, frunzele uscate i§i impun durata scorfoasa. Zgärie fafa de masä, se ascund uneori in spatele noilor generagli, apoi, brusc, i§i arata fedele de babà, rànjind galben, cafeniu. Sunt foarte stabile in ve§tejire, foarte consecvente in agresivitate. Voi spune doar atät: frunzele tenaci au ciocuri §i ghiare. Ca mai noi tofi, imbätränesc uràt. Ca unii din noi, sunt nemuritoare.

186

Smorfia

Nel mezzo dell’estate le foglie riarse impongono la loro grinzosa durata. Graffiano la tovaglia, si rimpiattano a volte dietro le nuove generazioni e poi, d ’un tratto, scoprono i loro volti di megera, dal ghigno giallognolo-caffè. Nell’awizzire sono assai costanti, assai coerenti nell’aggressività. Dirò questo soltanto: le foglie tenaci hanno becchi e artigli. Come quasi tutti noi invecchiano male. Come alcuni di noi sono immortali.

187

Farsä

Dap-mi voie sä-mi dispun oasele altfel decàt pänä acum, oasele mele, anevoioasele piedici, ständu-i cärnii in drum, cärmänd-o, obligänd-o la forma de femeie, de para §i, la maini, de stea de mare. Da{i voie oaselor mele atee sä-ncerce geometrii singulare. De pildä: schema primei coräbii din lume sau scheletul sträveziu al fiorii de crin sau arborele genealogie cu fructe postume sfär§ind in descendentul virgin. Dafi voie oaselor mele sä cadä in genunchi, cänd mä fac cä mä rog, derutandu-l in via£a, mäeär o datä, pe bländul Paleontolog.

188

Farsa

Lasciatemi disporre le mie ossa diverse da com’erano finora, le mie ossa, questi fastidiosi ostacoli che sbarrano la strada alla carne deviandola, obbligandola alla forma femminile, a una pera, e le mani a una stella di mare. Lasciate che le mie ossa atee provino geometrie singolari. Ad esempio: lo schema della prima nave al mondo o lo scheletro trasparente del fiore di giglio o l’albero genealogico dai frutti postumi che si conclude nel discendente vergine. Lasciate che le mie ossa cadano in ginocchio, quando fingo di pregare, disorientando almeno una volta nella vita il mite Paleontologo.

189

Väduva

Frigul i-a deformai degetele. Ar§ifa i-a spuzit brafele. Acum anotimpul i-a ajuns la creier dändu-i forma unui nor de furtunä. Nu poartä vai cemit, umblä goalä, farà blanä, farà pene, ca o §opärlä. E uratä. Càinele ii adulmecä singurätatea §i fuge scheläläind. Ea miroase afäfätor a absenfä.

190

L a vedova

Il freddo le ha deformato le dita. L ’arsura le ha coperto le braccia di vesciche. Ora l’età le è arrivata al cervello dandogli forma di nube tempestosa. Non porta il velo a lutto, cammina nuda, senza peluria, senza piume, come una lucertola. È brutta. Il cane fiuta la sua solitudine e uggiolando fugge. Lei provocante odora di assenza.

191

Bäntuind

Un pre§ de fluturi morp la picioarele mele, morp §i moi (la ei nu existä rigor mortis). Eu sunt foarte sänätoasä. Mi-am scos ficatul, mi-am extras plämänii, mi-am extirpat inima §i nu mä mai doare nimic. A te preface in fantomä e o solu^ie pe care v-o recomand räcoros.

192

Infestazione

Un tappeto di farfalle morte ai piedi, morte e morbide (loro non hanno il rigor mortis). Io godo di ottima salute. Ho tirato fuori il fegato, ho estratto i polmoni, ho estirpato il cuore e non mi fa più male nulla. Tramutarsi in fantasma è una soluzione che vi raccomando freddamente.

193

Consolarea

Nimeni nu mä stränge la piept sä mä reintegreze coastelor lui. Nimeni nu-mi spala rugina cätu§ei de pe incheieturi. Särutul e abolit prin poruncä de Sus. La picioarele mele, Consolarea, o cafea cu profil asirian.

194

Consolazione

Nessuno mi stringe al petto per riassorbirmi tra le sue costole. Nessuno lava via la ruggine delle manette sui miei polsi. Il bacio è abolito per un ordine dall’Alto. Ai miei piedi Consolazione, una cagna dal profilo assiro.

195

Rugà

Dacä exi§ti cu adevärat - aratä-te, fa-te nor, fap, aviator, vino cu ochi, cu gura, cu voce - cere-mi ceva, fä-mä sä mä sacrific, ia-mä in brafe, apärä-mä, hräne§te-mä cu a §aptea parte dintr-un pe§te, fuerä-mä, desfelene§te-mi degetele, umple-mä de arome, de uimire - invie-mä.

196

Preghiera

Se esisti per davvero - fatti avanti, sii nuvola, caprone, aviatore, porta con te occhi, bocca, voce - chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi, prendimi tra le braccia, proteggimi, nutrimi con la settima parte di un pesce, fammi un fischio, dissodami le dita, ricolmami di aromi, di stupore - resuscitami.

Lemur

Adie in ju r Lemur, duhul morplor. Imi zväntä pielea incä udä de scuipatul märii. Imi räcore§te sängele. Mä vindecä de cele cinci simpiri. Numai dor §i iubire de tine sunt. Sägetätorul a dispärut. Doar sägeata lui de platina i£i mai {intente abstracpa.

198

Lemure

Alita intorno Lemure, lo spirito dei morti. Asciuga la mia pelle ancora rorida di bava marina. Raffredda il mio sangue. Mi guarisce dai cinque sensi. Sono soltanto nostalgia e amore di te. L ’arciere è scomparso. Solo la sua freccia di platino mira ancora alla tua astrazione.

199

Execufia are loc zilnic

Te simt sub limbä ca pe o pastilä homeopaticä unindu-te cu saliva mea, cu cele mai intime umori ale mele, cu plasma mea §i ectoplasma. Iubirea mea nemaiväzutä, de-atata timp ne mai väzutä... ... (sunt ultimele mele gànduri, zguduita de miile de volfi ale dorului - scaun electric).

200

L ’esecuzione ha luogo ogni giorno

Ti sento sotto la lingua come una pasticca omeopatica che si unisce alla mia saliva, ai miei umori più intimi, al mio plasma e all’ectoplasma. Amore mio mai visto prima, da così tanto tempo mai più visto... ... (sono i miei ultimi pensieri, scossa dalle migliaia di volt della nostalgia - una sedia elettrica).

201

Pendula

Intra in cäntecul ei, pätrunde in melodia ei, fii tu insup cuc sau dangät, dezleagä secretul fiinj;ei. Nu uita mulsoarea la ore fixe cànd ugerele sau testiculele aurii coboarä, pline de sämän^a de timp. Chiar dacä arätätoarele sunt douä spräncene-ncruntate.

202

Il pendolo

Entra nella sua canzone, penetra nella sua melodia, tu stesso sii cucù o rintocco, disvela il segreto dell’essere. Non scordarti di mungere a ore fisse quando gli uberi o i testicoli dorati, turgidi del seme del tempo, calano. Anche se le lancette sono due sopracciglia aggrottate.

Adaptare la mediu

'Jarmuri stàncoase. Solzi de case. Nu mä rog in bisericile voastre. Nu manànc din mielul vostra. Decät: mi-e prietenä ìntrucàtva capra bälaie cu care, de trei ori pe zi, discut iarbä, rumeg poezii, §i mi-e prieten ìntrucàtva blàndul magar cu care pietrele de mormànt §i pacatele mi le car.

204

Adattarsi all'ambiente

Lidi petrosi. Case a scaglie. Non prego nelle vostre chiese. Non mangio il vostro agnello. Però chissà perché è mia amica la capra biancopelo, con lei, tre volte al giorno, discuto d ’erba, rumino poesia; e poi chissà perché è mio amico il mite asino, con lui le mie lapidi e i miei peccati traino.

205

li iubesc

Poe^ii misterio§ii, fa£i§ii,

coifurile - mläuntrul {estei, scuturile - de pplà, poefii, aceste specii, aceste sepii care se apara impro§cänd cernealä.

206

Li amo

Poeti i misteriosi, gli schietti, una scatola cranica per elmo, per scudo un velo di cellofan, poeti, queste specie, queste seppie che si difendono schizzando inchiostro.

Ceafä

Ceafa compactä invingänd culorile incärunfind contururile. Am mai avut parte de o asemenea clipä in alta existenjä in care §tiam: dacä scormonesc cu mainile ceafa am sä dau de alte maini scormonind in sens invers, ne vom ciocni §i vom face dragoste ca Omul Invizibil cu Invizibila lui Amanta. Clipa se repetä, oceanul a dispärut, plaja s-a retras in nefiinfä - dar sunt numai eu, fafä-n fafä cu valul de (arm care tunä-ntr-o limbä sträinä de parcä-mi intoarce silabele lui Demostene (dar mai rästit, mai imperativ). Cànd mä izoleazä ceafa stau in cezura unui vers etern.

208

Nebbia

Nebbia compatta che trionfa sui colori che invecchia i contorni. Ho già vissuto un simile istante in un’altra vita e sapevo che: se rovisto la nebbia con le mani mi imbatterò in altre mani che rovistano in senso opposto, ci scontreremo e faremo l’amore come l’Uomo Invisibile con la sua Invisibile Amante. L ’istante si ripete, l’oceano è scomparso, la spiaggia si è ritratta nel non essere - ma ci son solo io a guardare l’onda che si frange a riva e tuona in una lingua straniera come a restituirmi le sillabe di Demostene (ma in modo più brusco, imperativo). Quando la nebbia mi isola sto nella cesura di un verso eterno.

209

Muzica de dincolo

Neaidoma fumului care-mi màngàie plämänii farà sä-i räneascä prezen|a ta pätrunde in carcera mea, indelung a§teptatule, torponarul meu - bine ai venit! Eram libera in aer, libera in apä §i foc. Acum ucide-ma blànd, pne-mä o clipä in bra{e apoi lasä-mä sä cad la pämänt - sau sä mä inali in fum. Mä strigi pe nume. Imi strigi numele ca §i cum 1-ai vrea gravat in carnea secundei, de§i secunda e descärnatä, e o minusculä convenne m isu rata intr-una mai mare, iar numele meu - o convenne de asemeni. Decät sä-mi strigi numele,

210

L'oltremusica

Dissimile dal fumo che mi accarezza i bronchi senza però ferirli la tua presenza penetra nella mia prigione, o uomo a lungo atteso, o mio torturatore - benvenuto! Ero libera nell’aria, libera nell’acqua e nel fuoco. Adesso uccidimi ma con dolcezza, tienimi tra le braccia per un attimo poi lascia che io cada a terra - o mi sollevi come fumo. Chiami il mio nome. Urli il mio nome come se volessi inciderlo nella carne del secondo, pur se il secondo è scarnificato, è una minuscola convenzione avvolta da un’altra più grande e il mio nome - una convenzione anch’esso. Più che urlare il mio nome 211

mai bine ai striga dupä ajutor §i eu m-a§ infama cine $tie cum, sub forma unei « gorile » femele, a unui salariai al Salvamarului, a unei incapannate idei de duratä. Invadàndu-mi spafiul §i timpul, mä faci sä mä uit in ju r ca o mamä care §i-a pierdut pruncul. Ba nu: soarta mea se uitä dupä mine pierdutä cum sunt in copilärie §i senectute. Cat despre dimensiunea numitä « muzicä » - intervale, dieji, bemoli, indicaci ca « accelerando », « diminuendo », mai ales « con morbidezza », cum vom supraviefui in tärämul acestei divine in-certitudini? Ca in « La plus que lente », apele mele freatice cälätoresc sinuos, « rubato », cätre tine in chin §i savoare... Oare am träit vreodatä asemenea improbabilä osmozä? Oare m-am dizolvat vreodatä in venele altuia? Sunt eu oare o donatoare de sänge? §i dacä da, oare de ce am fäcut, brusc, un ocol trezindu-mä dezorientatä farä semn, färä direcfie, farà hartä? $i de ce a trebuit sä vii tu §i sä mä pui din nou pe drumul cei bun? Miracolele poartä haine simple la nunfi §i-ngropaciuni.

212

è meglio che urli per chiedere aiuto e io assuma chissà quale forma, quella di un « gorilla » femmina, di un impiegato del Soccorso marino, di un’ostinata duratura idea. Invadendo il mio spazio e il mio tempo mi costringi a guardarmi intorno come una madre che ha perso il suo bambino. Ma no: è la mia sorte a cercarmi con gli occhi persa come sono in infanzia e senilità. Quanto alla dimensione che chiamano « musica » - intervalli, diesis, bemolle, indicazioni come « accelerando », « diminuendo », specie «con morbidezza», come sopravvivremo noi in una terra di tale divina in-certitudine? Come ne La plus que lente le mie acque freatiche viaggiano sinuose, « rubato », verso di te in tormento e delizia... Avrò mai vissuto prima d ’ora tale improbabile osmosi? Mi sarò mai dissolta nelle vene dell’altro? Sono una donatrice di sangue? E se lo sono perché all’improvviso ho deviato svegliandomi disorientata senza indizio, senza indirizzo, senza mappa? E perché dovevi arrivare tu a mettermi di nuovo sulla strada giusta? I miracoli indossano abiti sobri ai matrimoni e ai funerali.

213

« Nimic nu mai cade » ar fi trebuit sä fie refrenul ultimilor mei ani. N-a fost. Mä culc §i mä trezesc imbrä£i§atä §i scäldatä in umoarea de jos a dorului täu bärbätesc. Dar mai mult decàt atàt: sunt aleasa dragostei lui tàrzii, sunt pradä intineririi lui, mä pierd intr-un miraeoi cople§itor nu intr-unul blajin cum mi s-ar fi cuvenit la crepuscul... Din uitate sträfunduri, clamoarea de altädatä urcä invincibil: « Te iubesc », ii strig sträinului, « vreau sä ìmpart cu tine via£a §i moartea §i muzica de dincolo! ». §i strainul, ìntr-o limbä sträinä, imi repetä cuvintele. M-a§ preda lui, scurtului la trup, cäruntului la pär, màngàietorului sänilor mei riposaci - daeä ìndoiala nu m-ar ìnsop ca un grifon cu blana-n räspär §i colp feroci, daeä buza mea de jos nu mi-ar parasi gura, daeä geamätul meu (de voluptate sau durere) n-ar suna atàt de nepotrivit in acest « fin de siècle » coincizànd cu al meu... E noaptea ìndoielilor, la Capul Relei Sperante. « Quidquid tentabat dicere versus erat » dar azi, doar respirànd, o melodie « en dehors » imi inconjoarä buzele... ... sau e o muscä bàzàind ìnjurul unui hoit? De ce nu intru cu demnitate in regnul minerai?

214

Rien ne va plus doveva essere questo il ritornello dei miei ultimi anni. Non lo è stato. Vado a dormire e mi sveglio abbracciata e irrorata dalla linfa sotterranea del desiderio virile. Ma non solo questo: sono l’eletta del suo tardivo amore, sono la preda del suo ringiovanire, mi perdo in un miracolo schiacciante non mite come meriterei al crepuscolo... Da obliate profondità sale invincibile la protesta di un tempo: « Ti amo, » grido all’estraneo « con te voglio condividere la vita e la morte e l’“oltremusica”! ». E l’estraneo, in una lingua straniera, mi ripete le parole. Mi consegnerei a lui, all’uomo di bassa statura, dai capelli bianchi, colui che accarezza i miei seni appassiti - se il dubbio non mi accompagnasse come un grifo dalla pelliccia arruffata e i canini feroci, se il mio labbro inferiore non abbandonasse la bocca, se il mio gemito (di voluttà o dolore) non suonasse tanto discorde in questa fin de siècle che coincide con la mia... E la notte dei dubbi, al Capo di Cattiva Speranza. Quidquid tentabat dicere versus erat ma oggi, solo respirando, una melodia en dehors mi circonda le labbra... ... o è una mosca che ronza attorno a un cadavere? Perché non entro con dignità nel regno minerale?

215

De nerostit

Ce vis, Doamne, ce vis mi-a fost dat, mi-a fost scris: tu §i cu mine, mai patima$i ca nicicànd iubindu-ne ca prima pereche de pe pamànt §i eram frumo§i §i sälbatici §i goi §i eram morfi amàndoi.

216

Indicibile

Che sogno, Dio, che sogno mi è stato scritto, mi è stato dato in pegno: tu e io, passionali come più non si può noi ci amavamo come la prima coppia che si amò ed eravamo belli e selvaggi e nudi ed eravamo morti tutti e due.

217

A proper way to vanish

Am crezut cä sunt u§or de recunoscut dupä ginga§ul meu inelar (acum cocärjat) §i dupä cäinele cu pene care mä in so r te . Am crezut cä pot fi un ciucure la abajurul Dumneavoasträ, Doamnä Decrepitudine. Nu-mi reu§este nici o posturä. Nisipul imi ronfäie conturul. Dispar, mä fac una cu el.

218

C ’è modo e modo di sparire

Ho creduto di essere facilmente riconoscibile dal mio leggiadro anulare (ora tutto ingobbito) e dal cane piumato che mi accompagna. Ho creduto di poter essere una nappina appesa al Suo abat-jour, Donna Decrepitudine. Nessuna posizione fa per me. La sabbia rosicchia la mia sagoma. Scompaio, divengo con lei una cosa sola.

219

Tapiserie

Cu un picior in groapä si cu celälalt pe tigrul ìmpu§cat - a§a mä vad, räpusä §i invingätoare, in acest tablou de vänätoare.

220

Tappezzeria

Un piede nella fossa e l’altro sulla tigre impallinata - così vedo la mia sconfitta e la mia vittoria in questa scena venatoria.

221

Ultima suflare

Imi cad literele din cuvinte cum mi-ar cädea dinfii din gurä. Bälbäiala? Sàsàiala? Sau e mufenia de pe urmä? Indurä-te, Doamne, de cerul gurii mele, de omu§orul meu, acest clitoris din gätlejul meu, vibratil, sensibil, pulsatoriu, explodànd in orgasmul limbii romàne.

222

Ultimo respiro

Dalle parole mi cadono le lettere come i denti mi cadrebbero di bocca. Balbettio? Pronuncia blesa? O è la mutolezza dell’ultima ora? Abbi pietà, Signore, del palato della mia bocca, della mia ugola, questa clitoride che ho in gola, vibratile, sensibile, pulsatile, che esplode nell’orgasmo della lingua romena.

223

Ars poetica -o polemica

Eu sunt eu. Sunt personala, subiectivä, intima, particularä, confesivä. Tot ce se reintàmplà mi se intämplä mie. Priveli§tea pe care o descriu sunt eu ìnsami. Dacä vä intereseazä päsärile, copacii, räurile, cercetafi cardile de specialitate. Eu nu sunt o anume pasäre, un anume copac, un anume räu. Eu sunt consemnatä doar ca un Sine, Eu, adicä Eu.

224

Ars poetica - una polemica

10 sono io. Sono personale, soggettiva, intima, singolare, confessionale. Tutto quel che mi accade e si ripete accade a me. 11paesaggio che descrivo sono io stessa. Se vi interessano gli uccelli, gli alberi, i fiumi, consultate i libri degli esperti. Io non sono un dato uccello, un dato albero, un dato fiume. Io sono registrata solo come un Sé, Io, ovvero Io.

225

Language

Limba mea - biforcata ca a $arpelui dar farà interrii uciga^e. Doar un §uierat bilingv.

My tongue - forked like a snake’s but without deadly intentions: just a bilingual hissing.

226

Lingua

Lingua mia - biforcuta come nel serpente ma priva di intenti assassini. Solo un sibilo bilingue.

227

DALLO SPARGANO

I

Imprecale (in limba sparga) Imprecation (in English Spargan)

Te-mboridez, guruva §i stelpicä norangä, te-mboridez sa-fi calpeni introstul 51 sä-fi gui multembilara vo§cä pe-o creptiruä pangä §i sä-fijumizi firiga längä-un hisar màrzui. Te-mboridez, cu zarga veglinä §i altera, sa-ntrauri eligenfa unui letusc afod pe care tentezina humblidelor fifera §i plentureazä istra in care hurge Dod.

I frollop you, gromanching and shaloppy intruger, I frollop you to hulper your tellymot, to ack Your multikunk entankler, your dimical, so phlooger, And cloff on many flanches, on spinch, on sminch, on swack. I frollop you, with ordle and highmischevaled orkle, To gaver a tozander, to blisk in eftic wod And to oblet your fipsy on every fallid gorkle And to remolk thè spilder on which molanders DOD.

230

Imprecazione (in italiano spargano)

Vo te sbrao, sgurpio e sciàmico, trugante! Te sbrao a scalpodiare narru smunzia Multìcula scriapura ziggurante A cuperé l’arghiante punz’ormunzia. Vo te sbrao co l’uresco e ’l cinovale Peltri d ’una ghiberza trusca ’n brògolo E per trullare a reppio ’l pornugale Bruffoleria lo zìppero ’n del TRO.

231

DALL’INGLESE

Spelling a Spell

Write, write, write... Write kind kite... Sing wringing ring... Shake, sneaking snake... Write, write, write... Cold in his collar, a skilled scholar sets his ehest to rest on the palimpsest... Write, write, write... Greedy to inhale, a wailing

234

Sibillario

Scrivi, scrivi, scrivi... Scrivi cervo volante aquilone cometa... Agguanta ammanta mantide... Striscia viscida biscia ... senza meta Scrivi, scrivi, scrivi... Stretto il colletto il dotto provetto sul palinsesto alla siesta si assesta la cresta... Scrivi, scrivi, scrivi... Un’amena balena s’allena

235

whale swallows poems with lines (too dark to quote ’em ), swallows Jonah’s myth, thè ideal idol and thè total totem. Solitary game. Famine without fame. Alva writes Alpha. Leda writes Beta. Zelda writes Delta. Mama writes Gamma. Papa writes Kappa. AsI write Pi. Paper white... Tombstone white... Write, write, write...

236

e imprigiona il Giona di rito il Giona del mito l’idolo ideale il totem totale. Solitari soliloqui. Sbaglia Solfa e scrive Alfa. Teta lieta scrive Beta. Zelda svelta scrive Delta. Mentre mamma scrive Gamma. Ora chi scriverà Pi? Carta bianca... Carta livida... Scrivi, scrivi, scrivi...

Tristia & Inferno

I refuse to climb and to descend those paths to make this place more familiar to me, this place everybody talks about, though nothing ever happens here. I prefer to be exiled like Ovid (whose nickname « Naso » fits my nose) though not at a fiendish seashore, the Pontus Euxinus, nor between hills almost bald, with just one wart or a tuft of hair from long-gone forest. I prefer to be exiled like Dante (with whom I share thè profile), but not from Eternai Rome, rather from my vanishing childhood in which many things happened but are never mentioned. Actually, here I am, exiled between a pregnant yesterday and an aborted tomorrow.

238

Tristia & Inferno

Mi rifiuto di andare su e giù per quei sentieri e familiarizzar di più con questo posto, questo posto di cui parlano tutti anche se qui non succede mai niente. Preferisco l’esilio come Ovidio (il suo nomignolo « Nasone » si confà al mio naso) anche se non su un lido infame, il Ponto Eusino, né fra alture quasi calve con un solo bitorzolo o un ciuffetto di peli di foreste ormai scomparse. Preferisco l’esilio come Dante (a lui mi accomuna il profilo) ma non dalla Città Eterna, piuttosto dall’infanzia che svanisce nella quale son successe tante cose ma nessuno mai ne parla. Insomma, eccomi qui, esiliata tra il feto di ieri e l’aborto di domani.

239

Collected, Selected, Neglected.

... Mypoems... I write them, I forget them, I misplace them! They come back, then I change them - though they can’t change thè world, they change me... Sometimes they disagree with me. They are my inheritance - but who are thè heirs? Who needs this improbable, almost useless fortune, no matter how poor people are, while thè great oppressore maintain and adore others’ poverty? Why should I collect them (some of them are really pitiful)? Why should I select them (am I thè impartial judge of their supposed value) ? Better neglect them, those rags of paper and words, leave them on their o ra . We disappear in thè chilly global warming of Stepmother Earth...

240

Raccolte, scelte, trascurate.

... Le mie poesie... le scrivo, le dimentico o smarrisco! Tornano, allora le cambio - anche se non cambiano il mondo cambiano me... A volte non siamo d’accordo. Sono il mio lascito... ma chi sono gli eredi? Chi, per quanto povero, ha bisogno di questa improbabile, quasi inutile ricchezza, mentre i grandi oppressori mantengono e adorano la povertà degli altri? Perché dovrei raccoglierle (ce ne sono di penose)? Perché sceglierle (sarei io il giudice imparziale del loro presunto valore) ? Meglio trascurarle, pezze di carta e parole, lasciarle a cavarsela da sole. Noi scompariamo nel gelido riscaldamento globale della Terra Matrigna...

Poets

Those fifth-wheel fanatics, those dangerous lunar horsemen, their green hair obstructing their eyes so they can’t see where they’re heading, hands disconnected from reins, bodies estranged from horses and saddles. Just elongated nudes under thè folds of night which they rip in their galloping, just blind nudes riding up to that globe where an Enormous Finger once drew a mouth and three nostrils and hung a tear of dust on a nonexistent eye, and wrote something remote - something that no one can decode.

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Poeti

Fanatici della quinta ruota, pericolosi cavalieri lunari, i capelli verdi a ostruire gli occhi per non vedere dove son diretti, mani staccate dalle redini, corpi straniati da cavallo e sella. Solo nudi allungati sotto le pieghe della notte che squarciano al galoppo. Solo nudi ciechi in corsa verso quel globo dove un Dito Enorme tracciò un tempo una bocca e tre narici e appese una lacrima di polvere su un occhio inesistente e scrisse qualcosa di remoto - qualcosa che nessuno sa decodificare.

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Indigo

1 Though indistinct in the rainbow, I always thought of it as a hue between dark blue and dark purple with a connotation of black, like a vanilla bean, like thè palate of a leopard, like an evening lake sheltering a murky soul, insidious weeds and a taffeta spider. 2

Sometimes I cherish sleep more than art or love. It helps me drown into undulating intermediary colors, into thè shimmer of a Gillette blueblade, into the leopard’syawn,

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Indaco

1 Pur se indistinto nell’arcobaleno io l’ho sempre pensato una tonalità tra il blu e il viola scuro con una nota implicita di nero come un baccello di vaniglia, come il palato di un leopardo, come un lago che a sera dia rifugio a un’anima di morchia, a erbacce insidiose e a un ragno taffetà. 2

A volte più dell’arte o dell’amore ho caro il sonno. Mi aiuta a sprofondare in ondeggianti colori intermediari, nel riflesso di una lama Gillette, nello sbadiglio del leopardo e in tutte le mie vite

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and into all my secondary lives that cure me of too much exposure and precision. 3 Indigo is my incestuous stepfather.

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intermediarie che mi curano dell’eccesso di presenza e precisione. 3 L ’indaco è il mio patrigno incestuoso.

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Child Descending a Slope on a Scooter

Speeding down a slope when a child, you feel immortai - like motion itself. Air wraps around your face like a colored, diaphanous veil, and you interweave with thè trees as if passing through a dense, green torrent flowing in thè opposite direction. You’re not afraid - even when you encounter ovoid houses, deformed by speed, you slide along, beside them, among them, vertiginously, on thè smooth asphalt woven in parallel threads. You glide through thè streets’ assembly line in perpetuai motion, you feel no muscular effort, you’re only worried about that point where by all means you’11have to stop because of that dog, slumbering in thè middle of thè road, or a catapulting cascade of birds, or a child, another child,

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Ragazzino sul monopattino in discesa

Da ragazzino imboccando una discesa ti senti immortale - come lo stesso moto. L ’aria ti avvolge il viso come un diafano velo colorato e tu t’intrecci agli alberi come se traversassi un denso torrente verde che scorre nella direzione opposta. Non hai paura - neanche quando incontri case ovoidi, deformate dalla velocità, tu sfrecci, trascorri, trapassi vertiginosamente sull’asfalto liscio intessuto di fili paralleli. Plani attraverso la fettuccia della strada in moto perpetuo, non senti lo sforzo muscolare, ti preoccupi solo di quel punto dove dovrai arrestarti per via di quel cane che sonnecchia nel mezzo della strada o degli uccelli che si fiondano a cascata o di un ragazzino, un altro ragazzino

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ì

running headlong into you from the opposite direction, from another assembly line, propelled by a similar motion, vertiginously. All you have to do is not stop, go through him, or let him go through you, borrowing for a second the con tour of his body, acquiring for a second the nuance of his eyes, and, then, keep on running, with the wind’s veil over your face, until the Street winds up in a plain fiat surface on which you might, eventually, lie down finally, fìnally, and let yourself be swept away by the earth’s rotation...

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che ti corre a capofitto incontro dalla direzione opposta, da un’altra fettuccia, spinto da un moto simile, vertiginosamente. Tu non devi far altro che non arrestarti, trapassarlo o farti trapassare, mutuando per un attimo il contorno del suo corpo, assumendo per un attimo la gamma dei suoi occhi e, poi, continuare a correre con il velo del vento sulla faccia fino a che la strada non s’involge in una superficie piana, piatta, sulla quale potresti anche finire finalmente finalmente spiattellato e lasciarti trascinare dalla rotazione della terra...

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Youthing

It’s like thè process of aging. Just a process. Your hair starts to grow wilder, your skin gets smoother, your appetites increase. Suddenly, you sing in thè shower and in thè rain; you discover a plant you’ve never seen before and you munch it. What’s that tiny star on your left tempie? Maybe a bird scratched it with tender claws to prod you into flying. And then, that dialogue with thè moon that keeps you awake, and then, that dream of death becomes more and more remote - or is it thè other way around?

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Ingiovanimento

È come il processo deH’invecchiamento. Solo un processo. I capelli crescono più incolti, la pelle si fa più sottile, gli appetiti aumentano. D’un tratto canti sotto la doccia e sotto la pioggia; scopri una pianta mai incontrata prima e la sgranocchi. Cos’è quella stellina sulla tempia sinistra? Forse l’ha incisa un uccello con teneri artigli per pungolarti al volo. E poi, quel dialogo con la luna che ti tiene sveglia, e poi, quel sogno di morte diventa sempre più remoto - o viceversa?

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Metamorphosis

How long it is since deer antlers grew on my forehead and, on my behind, a salamander’s tail? Today, I am neutered, or a domestic fowl. I submit to conventions, I eat regularly and I sleep my beak in my feathers.

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Metamorfosi

Quanto tempo è passato da quando mi cresceva sulla fronte il palco delle corna e, sul didietro, una coda di salamandra? °g g i sono sterilizzata o una pollastra. Mi sottometto alle convenzioni, mangio regolarmente e dormo il becco tra le piume.

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Cast

Wrapped in wet rags like a mummy, like a fractured leg... The rags will become rigid Γ11 remain tender inside like thè pulp of some fruit of the desert or like the Devil immobilized in God.

256

ψ

Gesso

Awolta in cenci umidi come una mummia, come una gamba fratturata... S’induriranno i cenci io rimarrò tenera dentro come la polpa di un frutto del deserto o come il Diavolo immobilizzato in Dio.

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Tabula Rasa

It’s the Night of Doubt on the Cape of Bad Hope. It’s the night when rivers return to their origin and re-enter the earth. It’s the night when we age overnight and collapse inside. Dogs devour the silence and, inadvertently, your voice.

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Tabula Rasa

È la Notte del Dubbio sul Capo di Cattiva Speranza. È la notte i cui i fiumi tornano all’origine e rientrano nella terra. È la notte in cui nel giro di una notte invecchiamo in un rovinio interno. Cani divorano il silenzio e, inavvertitamente, la tua voce.

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Couples

One always loves more than the other, they say. The one who loves more dissolves in boiling ambrosia, turns into Shakespearean characters (beggars, assassine, rulers, animals - et cetera). The one who loves more is grandiose and mean and resdess, always thè host, never the guest. The one who loves more is the happier. Indeed, the happiest!

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Coppie

Uno ama sempre di più dell’altro, dicono. Chi ama di più si scioglie in un ribollio di ambrosia, diventa un personaggio shakespeariano (mendico, assassino, despota, animale, eccetera). Chi ama di più è grandioso e squallido e irrequieto, sempre anfitrione, ospite mai. Chi ama di più è il più felice. Come no, chi più felice di lui?

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Perfect Strangers

I can’t say « Hallo ». We never met. I can’t say « Good-bye ». We never parted. I can’t let you hug me. We’ve never been introduced. The sky regains its ashen handcuff. Yesterday’s blue was a hoax. Artificial flowers wither. I can’t remember our names. Like ancient manuscripts, we are indecipherable.

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Perfetti sconosciuti

Non posso dire « Salve ». Non ci siamo mai incontrati. Non posso dire «Addio ». Non ci siamo mai lasciati. Non posso farmi abbracciare. Non ci hanno mai presentato. Il cielo riacquista le manette di cenere. L ’azzurro di ieri è un inganno. Fiori artificiali appassiscono. Non riesco a ricordare i nostri nomi. Come antichi manoscritti, siamo indecifrabili.

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Fable

God’s inventiveness confuses our Cartesianism. Look at elephants with their hanging skin of very old men... Look at birds, those creatures without ears... The zoo is illogical.

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Favola

L ’inventiva di Dio confonde il nostro cartesianesimo. Guardate gli elefanti con quella pelle pendula da vecchi... Guardate gli uccelli, creature senza orecchie... Lo zoo è illogico.

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The Dangers of Gardening

It starts logically: digging, planting loving seeds, inhaling thè fresh outdoors. It ends logically: aromas, vitamins, sparkling fiorai creatures resuscitating thè petrified forest of urban tectonics. But what if a BEE drops by and, with a poisonous buzz, stings your euphoria, alters your blood pressure and your philosophy, demonstrates thè universal kill, camouflaged by first-degree self-defense? Is there any safe place in thè world? Certainly not a garden. Not even The Garden of Eden.

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I rischi del giardinaggio

Comincia logicamente: scavando, piantando semi teneri, aspirando frescura all’aria aperta. Finisce logicamente: aromi, vitamine, spumeggianti creature floreali che resuscitano la foresta pietrificata della tettonica urbana. Ma se, mettiamo, un'APE di passaggio con un ronzio venefico punge la tua euforia, altera la pressione sanguigna e la tua filosofia, dimostra la mattanza universale mimetizzata da autodifesa di primo grado? C’è un posto sicuro a questo mondo? In un giardino no. Nemmeno nel Giardino dell’Eden.

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The Immigration Department

Me with my pen hoping the ink won’t run out before I register a new defeat. Look I’m waiting - as I’ve waited year after year for them to deny me the right to poetry, to an orange, perhaps even the status to be human. My identity - more and more uncertain. In vain I keep writing my name on books, on scores, in the right-hand corner of an idea, my name - a convention; my being - an abstraction; distinguishing marks - none. (Oh yes: a rash of pride on my left cheek...) in the end the denials which besiege me define my very being just like the knife thrower who gets his victim’s perfect outline from the knives he throws at the board. So I’ve no chance although I’m wearing

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Il ministero dell’immigrazione

10 con la mia penna e l’auspicio che l’inchiostro non finisca prima di aver registrato l’ennesima sconfitta. Sono qui che aspetto - come ho aspettato un anno dopo l’altro che mi neghino 11diritto alla poesia, a un’arancia, fors’anche alla condizione di essere umano. La mia identità - sempre più incerta. Continuo invano a scrivere il mio nome su libri, su spartiti, nell’angoletto destro di un’idea, il mio nome - una convenzione; il mio essere - un’astrazione; segni particolari - nessuno. (Oh sì: uno sfogo d ’orgoglio sulla guancia sinistra...). Alla fine i dinieghi che mi assediano definiscono la mia stessa persona proprio come il lanciatore di coltelli ricava la sagoma perfetta della vittima dai coltelli lanciati sul fondale. Insomma non ho speranza anche se indosso

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thè protective glasses of my loved one (things have outlived him: his purple jacket brilliantly patterned, thè absurd hat bought on Barbe’s Boulevard, thè gloves lost then found, and of course thè photographs, three of them carried on me always: thè one where he strangles me, smiling, and me with a happy smile letting myself be strangled. The one in which he wears thè glasses I’m wearing looking at me with slight admonishment sometimes with benevolent irony. Finally thè one where he only looks at something that looks at him inviting him politely to leave thè world...). The I m m i g r a t i o n o f f i c e i s n o t thè i d e a l to keen your dead, but I can’t control it and thè public eye me as they would a miserable creature... which in fact I am if you take into account my loss of parents, of pair, of pastures, of shared pillow, of shared passion... The clerk won’t be convinced of my metaphors; I almost long to be refused my respectful application to poetry to conform with my destiny familiarized with its commandment (hope unbalances m e). With thè glasses of my loved one on my famous nose, I’m waiting, waiting,

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p la c e

gli occhiali protettivi del mio amato (le cose gli sono sopravvissute; la giacca viola fantasia, il cappello assurdo comprato sul Boulevard Barbès, i guanti persi e ritrovati, e naturalmente le fotografie, con me ne porto sempre tre: quella dove sorridente mi strangola e io con un sorriso di felicità mi lascio strangolare. Quella dove indossa gli occhiali che ora indosso io guardandomi con un cenno di rimprovero e a volte con bonarietà e ironia. Infine quella dove si limita a guardare qualcosa che lo guarda invitandolo cortesemente a lasciare il mondo...). Il ministero deH’immigrazione non è il luogo ideale per piangere i tuoi morti ma è più forte di me e il pubblico mi squadra come farebbe con una misera creatura... quale del resto sono se ci mettete la perdita dei genitori, della coppia, dei foraggi, del cuscino condiviso, della passione condivisa... L ’impiegato non si lascerà convincere dalle mie metafore; quasi quasi desidero veder respinta la mia rispettosa istanza di poesia per conformarmi al mio destino assuefatta al suo comandamento (la speranza mi sbilancia). Con gli occhiali del mio amato sul mio celebre naso aspetto, aspetto, 271

for centuries, always waiting to be called by the clerk.

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sono secoli, aspetto sempre che mi chiami l’impiegato.

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No Future

- So Γ11 die without contemplating the Rocky Mountains... - Probably, says Iguana, you can’t have it all. You saw thè big orange peeling itself at dawn, You saw the morbid waters of Venice slowly devouring beauty, you saw letters crawling and ruining concepts, you saw the emerald in my goitre. - That means I won’t see the Rocky Mountains... - Probably not, says Iguana ... until further notice.

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Senza futuro

- Sicché morirò senza aver contemplato le Montagne Rocciose... - Probabilmente, dice Iguana, non si può avere tutto. Hai visto la grande arancia sbucciarsi all’alba, hai visto le acque malsane di Venezia divorare a rilento la bellezza, hai visto lettere striscianti divorar concetti, hai visto lo smeraldo nel mio gozzo. - Questo significa che non vedrò le Montagne Rocciose... - Probabilmente no, dice Iguana ... fino a nuovo ordine.

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The Fourth Monkey

In the well-known ‘sitting’ position like the Three Monkeys - the One Who Doesn’t See, the One Who Doesn’t Hear, the One Who Doesn’t Speak with my cigarette’s ash falling on my naked thighs, with the sea before me and death behind, I test between my teeth a syllable of eternity, as if a suspect coin. My nails are narrowing. My fingers thickening. They don’t flow anymore under thè broken bridge of my rings. I am the Monkey Who is Sentenced to Write.

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L a quarta scimmia

Nella ben nota posizione ‘assisa’ come le Tre Scimmiette - Una Non Vede, Una Non Sente, Una Non Parla con la cenere della sigaretta che cade sulle cosce nude, davanti a me il mare, dietro, la morte, saggio tra i denti una sillaba di eternità come se fosse una moneta dubbia. Le unghie si ritraggono, si gonfiano le dita. Non scivolano più sotto il ponte abbattuto dei miei anelli. Sono la Scimmia Condannata a Scrivere.

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My Last Book

How do I know that this is my last book? My genes are adamant. My energy is longing for exhaustion. The words are telling me to shut up. Yet, in total silence, my crippled hand ejects sometimes a pen to inject a poem like a shot, an intravenous, in the missing arms of Venus.

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Il mio ultimo libro

Come faccio a sapere che questo è il mio ultimo libro? I miei geni sono inflessibili. Le mie energie a disfazione anelano. Le parole mi dicono di chiudere il becco. Però, nel silenzio più totale, la mia mano artritica eietta a volte una penna per iniettare una poesia come una puntura, un’endovena, nelle braccia manchevoli di Venere.

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Cheerleaderfor a Funeral

Everything was amazement in that wretched adolescence: thè cheap hotel room, thè sleet, the buses crowded with indifferent people. Everything had a taste and a smeli: the coffee cake, my green damp coat, not to mention the ridiculous beret on my oblong skull - like a miniscule hat on a circus dog. Never mind, let’s do it all again, let’s get amazed, let’s celebrate the trash, the unusable matches, the streets suffocated by confused hatred - though thè girl is now a hag let’s be amazed, let’s yell at the great festivities of multiple decrepitude: one falls, one winters.

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Cheerleaderper un funerale

In quell’adolescenza sciagurata destava stupore ogni cosa: le stanzette d’albergo, il nevischio, gli autobus gremiti di persone indifferenti. Ogni cosa aveva un sapore e un odore: la torta al caffè, il mio cappotto verde umidiccio, per non parlare del ridicolo berretto sul mio cranio oblungo - come un minuscolo cappello su un cane da circo. Non importa, rifacciamolo, stupiamoci, festeggiamo il pattume, i fiammiferi inservibili, le strade soffocate dall’odio confuso - anche se la ragazza è una megera ormai stupiamoci, sgoliamoci ai grandiosi festeggiamenti della molteplice decrepitudine: un po’ come cadere dall’autunno nell’inverno.

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Chiar de voi fi mgropatä ìntr-o sträinä farina, tot ìnvia-voi odatä in limba romàna.

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Pur se verrò sepolta in una terra aliena: risorgerò un giorno nella lingua romena.

NOTA AI TESTI

La scelta raccoglie centosette poesie (un’ottantina dal ro­ meno, una ventina dall’inglese e una dallo ‘spargano’, la lin­ gua da lei inventata per le sue invettive, più una manciata di fattura e di traduzione ibride) attinte da svariati singoli volu­ mi e dalle principali antologie. Si va da un testo, La stagione delle visioni, del lontano 1945 a quello programmaticamente intitolato II mio ultimo libro, del 2008.1 versi romeni sono tra­ dotti da Anita Natascia Bernacchia, quelli dall’inglese e l’uni­ co campione di spargano da Ottavio Fatica, con qualche acca­ vallamento o scavallamento (ad esempio Lingua e Ars poetica da un lato, Punto di vista e L ’aldilà dall’altro) e contaminazio­ ni varie che trovano senso nel fecondo métissage imbastito in primo luogo dalla stessa Nina (Sibillario, per dire, si basa assai liberamente sulla versione da lei rielaborata di un preceden­ te adattamento inglese e, più clamoroso ancora, il titolo stes­ so del volume, approvato dall’autrice, si basa su quello che compare soltanto nella traduzione inglese di una poesia che inizalmente, nell’‘originale’ romeno, ne era priva!). La distri­ buzione dei materiali segue un corso semicronologico, con qualche lieve sbalzo o scarto temporale laddove si privilegia­ no accostamenti musical-tematici, già dettati dal tono d’insie­ me dei grappoli di poesie colti da uno stesso libro o, più rare volte, calamitati da richiami interni sintomatici. E un ampio spaccato della sua produzione poetica, una specie di mappa musicale o spartito che disegna un autoritratto sfaccettato, sfalsato quanto basta da serbare quella sua particolare vena

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d’‘avanguardia’ che, come lei scrive, «non muore e non si arrende». La bibliografia sommaria che segue è solo un primo passo per cominciare a districarsi nella variegata opera dell’artista. O P E R E IN L IN G U A R O M E N A P O E S IA

La scara 1/1 (In scala 1:1), 1947 An viu - nouä sute §i §aptesprezece (Anno vivo - novecentodiciassette), 1949 Sufletul nostru (Il nostro spirito), 1949 Càntecepentru Republicà ( Canti alla Repubblica), 1950 Horea nu mai este singur (Horea non èpiù solo), 1952 Tinerefe (Giovinezza), 1953 Vàrstele anului (Le età dell’anno) ,1957 Dialogul vàntului cu marea (Dialogo tra il vento e il mare), 1957 Spectacol in aerliber- o monografie a dragostei (Spettacolo all’aperto - una monografia dell’amore), 1961 Sàrbàtorile zilnice (Lefeste quotidiane), 1961 Poezii (Poesie), 1962 Sä nefacem daruri (Facciamoci dei doni), 1963 Disciplina harfei (Disciplina dell’arpa), 1965 Sàngele (Sangue), 1966 Destineleparatele (Destiniparalleli), 1967 Ambitus, 1969 Cronofagie (Cronofagia), antologia 1944-1969,1970 Recviem (Requiem), 1971 Marea conjugare (Lagrande coniugazione), 1971 Loto-Poeme (Lotto-Poesie), 1971 Spectacol in aer liber—o (alta) monografie a dragostei (Spettacolo all’aperto - un’(altra) monografia dell’amore) ,1974 Osutàdepoeme (Centopoesie), 1975 Suave (Soavi), 1977 De indurare (Perpietà) ,1981 Numärätoarea inversa ( Conto alla rovescia), 1983 focuri de vacanza ( Giochi di vacanza), 1984 Cearta cu haosul (Alleprese con il caos), versi e prosa 1945-1991, 1993 DesFacerea lumii: 1984-1996 (DisFazione del mondo), 1997

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Avangarda nu moare, μ nu se predà (L ’avanguardia non muore e non si arrende), antologia di poesie e disegni 1947-2007, 2007 PR O SA

Atät degrozavà§i adio [Seifantastica, addio), 1971 Confidentefictive ( Confidenzefittizie), 1976 Memoria ca zestre (La memoria in dote), 3 voli., 2005 L E T T E R A T U R A P E R L ’ IN F A N Z IA

Nicàfaràfricà (Nicà il temerario), fiaba in versi, 1950 Ce-a vàzut Oana ( Cosa ha visto Oana), 1952 Fiorilepatriei (Ifiori della patria), 1954 Botgros, càfelfricos (Musone, il cagnolinofifone), poesie, 1957 PrinfulMiorlau (Ilprincipe Miao-Miao), poesie, 1957 Chipuri hazlii pentru copti (Bozzetti divertenti per bambini), 1958 Aventurile lui Trompi§or (Le avventure di Proboscidino), poesie, 1959 Incurca-lume ( Guastafeste), poesie, 1961 Curcubeu (Arcobaleno), poesie, 1962 Π cunoaftefipe Ticä? (Lo conoscete Ticà?), poesie, 1964 Uita-l este... uitä-Ι nu e ( Ora c’è... ora non c’èpiù), pièce teatrale, 1967 Povestea a dot pui de tigru numifi Ninigra μ Aligru (Storia di due cuccioli di tigre di nome Ninigra e Aligru), racconto in versi, 1969 Ninigra §i Aligru (Ninigra eAligru), pièce teatrale, 1969 Intàmplari cu haz (Storie divertenti), poesie, 1969 ìntre noi copiti ( Tra noi bambini) , antologia, 1974 Roncata ca arama $i cei $apte $oricari (Rossarame e i sette bassotti), poesie, 1985 O P E R E I N L IN G U A I N G L E S E

BlueApple, trad. di EvaFeiler, Cross-Cultural Communications, Merrick, NewYork, 1981 Lady ofMiracles, trad. di Laura Schiff, Cloud Marauder Press, Berkeley, 1982 Cali Yourself Alive?, trad. di Andreea Deletant e Brenda Walker, Forest Books, London, 1988

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Life Sentence: Selected Poems, a cura di William Jay Smith, trad. di Nina Cassian, Richard Wilbur, Stanley Kunitz, Carolyn Kiser, Andreea Deletant, Petre Solomon, Cristian Andrei et al., Norton & Comp., New York, 1990 Cheerleaderfor a Funeral, trad. di Nina Cassian, Brenda Walker, James Waller e Lidia Vianu, Forest Books, London, 1992 TakeMy Wordforlt, Anvil Press Poetry, London, 1998 Something Old, Something New: Poems and Drawings, Fameorshame Press, Tuscaloosa, 2002 Continuum, Anvil Press Poetry, London, 2008 (2a ediz., Norton & Comp., New York, 2009, 2010) O P E R E T R A D O T T E IN A L T R E L I N G U E IN V O L U M E

Prinz Miau-Miau, trad. in tedesco di Else Kornis e Lotte Berg, EdituraTineretului, Bucarest, 1958 Inverno, versione italiana a cura di Antonino Uccello, Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta - Roma, 1960 Die täglichen Festen, trad. in tedesco di Else Kornis e Lotte Berg, Editura pentru Literatura, Bucarest, 1963 Legszebb versei, trad. in ungherese e Introduzione di Deak Tamas, EdituraTineretului, Bucarest, 1966 Nina Cassian, trad. in tedesco di Heinz Kahlau, Poesiealbum n. 55, Neues Leben Verlag, Berlin, 1972 Virages/Viraje, trad. in francese di Nina Cassian, Eugène Guillevic e Lily Denis, Editura Eminescu, Bucarest, 1978 El sangre, trad. in spagnolo di Mihaela Ràdulescu, Cartea Romäneascä, Bucarest, 1983 Del av en fugl, trad. in norvegese di Liv Lundberg, J.W. Cappelens Forlag, Oslo, 2002 Mirakelkvinnan, trad. in svedese e Introduzione di Dan Shafran, Ellerströms, Lund, 2008 Kontinuum, trad. in svedese di Dan Shafran, Bokfórlaget Tranan, Stockholm, 2011 IN A N T O L O G I E E R I V I S T E

Poesie scelte, in Antologia della poesia romena, a cura di Mario De Micheli e Drago$ Vrànceanu; presentazione di Salvatore Quasimodo e Introduzione di Mario De Micheli (Notte

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d’inverno, Distinzioni, Risolvo equazioni), Parenti, Firenze, 1961 Poesie scelte, in Poeti romeni del dopoguerra, presentati e tradot­ ti da Mario De Micheli (Gioia, Distinzioni, Notte d’inverno, Risolvo equazioni, I baci, Lucidità, Il popolo al potere, Un uomo), Guanda, Milano, 1967 Con te, in II terrore del tempo. Antologia della poesia romena, a cura di Adriana Mitescu, Pubblicazioni dell’Università di Ur­ bino, Scienze Umane, 1984 Poesie scelte, in « L ’immaginazione », 246, trad. in italiano di Anita Natascia Bernacchia (Il sangue, La tentazione, Cedere il posto agli anziani e agli ammalati, Mi tagliano in due, Il mio dia­ logo con la dittatura, La vedova, Tirata dal penultimo atto), Manni editori, San Cesario di Lecce, 2009 Poesie scelte, in II vizio di leggere di Vittorio Sermonti, trad. in italiano di Anita Natascia Bernacchia (Il sangue, La tentazio­ ne, Cedere il posto agli anziani e agli ammalati, Mi tagliano in due, Il mìo dialogo con la dittatura), Rizzoli, Milano, 2009 Poesie scelte, in Omjagintefàrtalamednàgonnu. 27poeterfràn rumànien, trad. in svedese di Dan Shafran, Jeana Jarlsbo, Ingerjohansson, BokfòrlagetTranan, Stockholm, 2011 Poesie scelte, in Voordeprijs van mijn mond, trad. in neerlandese di Jan H. Mysjkin (Porte, Quando scende la sera, Farsa, Letteratura, Un accadimento, Ultima verba, Romanzi polizieschi, Autoritratto, Ermetica), Poeziecentrum vzw., Gand/Gent, 2013

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UN SALUTO SPARGANO D I O T T A V IO F A T IC A

Questa mia vuol essere una lettera-lettura indirizzata a Ni­ na - o dovrei forse dire Dame Cassian, come senz’altro meri­ ta? Ma non è stata proprio lei a chiamare la sua « sublime so­ rella » Emily per nome? Faccio mia la lezione. Per parlare di Nina bisognava però prima essere fuori da quella contrada dove le parole, corpo e anima, impossibili a distinguersi, tra­ scorrono in se stesse; fuori, se mai se n’esce - e se n’esce in­ denni -, dalla traduzione. Ne sa qualcosa chi come lei ha tra­ dotto Majakovskij e Brecht, Apollinaire e Celan, Shakespeare, Molière e se stessa, romena, in sé (la stessa?) inglese senza mai perdere l’istinto di poeta. Ben sa che è come stare troppo a lungo su un tetto inclinato, l’intera nostra natura obliqua in rapporto all’universo e a noi - quelli che concepirono il lin­ guaggio erano asimmetrici - sospesi come «l’uccello in volo obliquo / sull’asse obliqua del globo ». Il lettore dovrà mette­ re la testa sul palmo sinistro per contemplare « il Grande Pia­ no Inclinato » mentre l’angolo del corpo indica un punto cardinale misterioso: è per caso di là che ci perviene un’eco d’oltremusica? Già, la dimensione che chiamiamo musica, perfino nella Plus que lente di Debussy, è tutto tempo rubato, e senza tante morbidezze; difficile, o impossibile - per quanto grande, in­ tenso il desiderio - con qualcuno condividere la vita e la mor­ te e l’oltremusica; può bastare per l’istante un solo verso, una piuma di pavone: occhio verde-azzurro immenso e lunghissi­ me ciglia dorate, una minima parte dell’uccello, la parte per il tutto, e per quello che viene dopo il tutto. Beato, dice il

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Virgilio delle Georgiche che lei cita in chiusa di poesia, chi è venuto a sapere la causa delle cose; prima della fine, però. Sto bruciando le tappe, come al solito. Il lettore vorrà saper qual­ cosa della sua persona, poetica meteora che giunge buon’ultima a strinare il pallido paesaggio attuale della poesia, la sua stagione postuma o, a esser teneri, postrema. Apriamo una parentesi. Nina, Renée Annie all'anagrafe, Cassian nasce a Galani, sul­ le sponde del Danubio, nel 1924; due anni dopo la famiglia si trasferiva a Bra§ov, alle pendici dei monti Bucegi, in Transilvania. Città antichissima, tipico centro di un impero dove s’intrecciavano razze, lingue, religioni: romeni, ungheresi, ebrei, tedeschi - Nina s’imbeve di ogni festa e tradizione e canto e piatto: il più ricco dei banchetti per lei, che è spugna, e poi sarà fontana zampillante. A cinque anni compone al pianoforte il primo valzer e la prima poesia. Frequenterà la scuola affiliata alla sinagoga locale, trascorrendo le estati sul Mar Nero a Costanza, l’antica Tomi dell’esule Ovidio con il quale condivide, è lei a metterlo avanti, l’attributo di Nasone. A undici anni va a stabilirsi assieme alla famiglia a Bucarest. Con l’avvento del fascismo viene espulsa dall’istituto che fre­ quenta. Nel ’43 sposa Vladimir Colin, come lei poeta ebreo e ardente comunista; pochi anni dopo conosce il critico, e cri­ stiano, Stefanescu, dieci anni più grande di lei, divorzia e sarà sua moglie per i successivi sette lustri, fino a quando lui non morirà. Figura carismatica, il suo profilo dantesco - è sempre lei a farcelo notare - svetta sulla temperie artistica romena e, pur cercando di seguire le linee guida del partito e costruirsi una carriera a latere, riuscirà a rendersi invisa al regime e ai suoi sempre solerti esecutori. Non che ci voglia molto. Per gridare allo scandalo servono pochi versi dove la luce che attraverso la finestra trasforma il calamaio in una lampadina metta, in un certo senso, in ombra il protagonista del componimento, nella fattispecie Lenin. In mezzo al grigio sporco del potere, un piccolo strappo al morso e si vedrà negare « il diritto alla poesia, a un’arancia », a una macchia di colore, a quell’unica luce che, a un Egon Schiele, aveva fatto un bene indicibile. Alcuni volumi di quel periodo un po’ costretto, irreggimen­ tato, in seguito verranno rifiutati dall’artista. Si cimenta allo­ ra con successo nell’editoria per l’infanzia. Ma dal ’55 al ’57 si

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dedica soltanto alle composizioni musicali e all’illustrazione di libri, i suoi due altri fervidi strumenti espressivi. Alla scom­ parsa di Stalin le passa « l’inappetenza alla poesia » e torna alla ribalta con una valanga di pubblicazioni. « Dal 1965 al ’ 70 avemmo cinque anni stupendi. Godevamo di una libertà in­ credibile e ne approfittammo per scrivere come volevamo». Nel decennio successivo, oltre alla nuova attività di critico cinematografico, continua a sfornar libri di poesia, per gran­ di e piccoli. Dopo la morte del marito riceve, nel 1985, l’invito a recarsi negli Stati Uniti per un soggiorno di sei mesi. Quell’estate un vecchio amico dissidente, Gheorghe Ursu, finì agli arresti, per essere interrogato e rilasciato poi dalla Securitate - per essere arrestato nuovamente. Nel frattempo avevano scoper­ to un diario da lui tenuto per un quarantennio dove parla e fa parlare a ruota libera amici e conoscenti, riportando nomi e cognomi delle persone citate. A Nina giunge voce che certi suoi versetti caustici, feroci, contro il potere in auge - leggi: alla massima distanza, e non soltanto in senso astronomico, dalla sua terra - sono stati copiati, e lei identificata. Ursu, sot­ toposto a tortura durante gli interrogatori, il mese dopo muore. Di che indurla a non fare più ritorno e a chiedere asilo politico nel paese che la ospita. Il Natale 1987 le autorità romene mettono i sigilli alla casa da lei abitata a Bucarest, se­ questrando manoscritti, taccuini, lettere, disegni, quadri, composizioni musicali, la biblioteca e tutti gli altri documenti personali, i materiali di viaggio, ecc. Se ne ignora la sorte. Nina è cancellata dai libri di scuola, dalle storie letterarie, dalle antologie, non si ristampa più, neanche le operine per l’infanzia. E chissà se, stando a una prassi collaudata, non ne hanno cancellato la presenza dalle foto; o forse no, non era poi così importante: l’importante è che Nina non è più, non è mai stata. Rinasce tuttavia - non per niente si chiama Renée - in America. A riprova di quanto asserito in una poesia, sa­ prà risolvere la sua equazione « letteraria », con tutte le even­ tuali variabili o incognite, e l’equazione si dimostra, a poste­ riori, un’identità. Chiusa parentesi. Torniamo a noi: che poeta leggerà il let­ tore italiano? Probabilmente l'ultima modernista, erede e testimone di un nucleo romeno vivacissimo - pensiamo solo a Tudor Arghezì, Lucian Blaga, Ion Barbu, così rilevante 297

quest’ultimo per la sua formazione - e stella consorella di una sporade di esuli, una «colonna infinita», a partire da Bràncu^i per giungere a Celan, passando da Tzara, Fondane, Ionesco, Eliade, Cioran, Gherasim Luca, ecc.; lei di poco più giovane e un bel giorno esule a sua volta, secondo l’ingrata tradizione, anche se su altri lidi. Fanatica della quinta ruota - e la quinta ruota è l’anima, a dar retta a Melville - ha ripreso mettendolo alla terza persona il verso celebre dei Tristia ovidiani: quando ha provato a scrivere, tutto ciò che scriveva era poesia. Poetessa lirica, ultralirica, con un furor uterinus così eviscerato solo da Marina (per gli amici, gli amanti, i maniaci della poesia, per i manuali scolastici Cvetaeva) o prima da Emily o, molto prima ancora, da Saffo - nomi, sempre e sol­ tanto nomi; piena di sangue (« nell’aria, / nelle stazioni, ne­ gli occhi dei leoni, nelle tazze di tè »), troppo forse per l’esan­ gue palato contemporaneo, anche quando scrive « a lume di tè » i riflessi restano di un rosso cruore, un « rosso perpetuo »; sempre piena di rumori e di discordie: tra volute alte, ampie come le canne o cannule dell’organo, i cannoli o cannolicchi della parrucca di Bach - voli pindarici che toccheranno l’a­ pogeo con Post meridiem, poesia degna di stare in compagnia dell’ode d’ardesia o del ferro di cavallo di Osip Mandel’stam - e frecce epigrammatiche dalla punta assassina di humor nero: con quelle c’infilza quando vuole, come più le piace, riducendoci a beati Sebastiani. Nello sprezzo sbarazzino che v’immette a rilasciarle, nell’alone macabro-ilare che c’investe quando con sod-disfazione ( des-facerea) manda persone e mondi a catafascio, ricorda il gran maestro dell’ordine, Vla­ dimir Holan. Ma il paesaggio che descrive è sempre il suo, è pur sempre lei. Di regola il paesaggio è una cornice: il quadro 10 facciamo noi, turisti intrusi, o ci parrà di non vedere nien­ te, e non goderne. Esistono altre possibilità: come il taoista entrare a far parte del quadro, allontanarsi al suo interno e salutare da lì la riduttiva ottica di chi resta a guardare; esserne 11soggetto e l’oggetto, e l’obiettivo. Nina s’apre al paesaggio, coincide-e-non-coincide con se stessa, e se a un dato momen­ to quel che succede intorno a lei non sarà più affar suo, ecco il consiglio spassionato che si dà, con impudica grazia: « per­ ché non chiudi le gambe / strette strette? ». L’ugola-clitoride dovrà altrimenti esplodere nell’orgasmo della lingua, la ro­ mena: a noi sentire il sibilo, bilingue poi, di vecchia salaman­ dra, di scorpione o iguana, ecc., che insinua veleno e farma­

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co nell’antro dell’orecchio. Nel suo caso, in che cosa rischia d’imbattersi il lettore? Foglia tenace, Nina ha becco e artigli, vasto è il suo bestia­ rio e solo in modica parte visitato nella nostra pur ampia sele­ zione: squalo, coccodrillo, scoiattolo, ippocampo, tigre, an­ cora, ecc. Lei stessa è metà cigno e metà donna, è l’uccello Pi-lu-i di laforguiana discendenza e altri provvidenziali totem: « un tout petit documentaire de la grande liberté des peuples rampante ou volants dans les premiere moments du globe »; per loro, sulla scia di una Visitationpréhistorique alla Léon-Paul Fargue, ha creato un suo Vivarium, poi anche musicale. Co­ me quasi tutti noi invecchia male, anche se lei persegue un suo processo di « ingiovanimento ». La riprova? Chi, al termi­ ne di una lunghissima carriera, saprebbe scrivere una poesia scugnizza, tutta in folle, scatenata nello spiraleggiare che dà le vertigini, come quella del ragazzino sul monopattino, dove riprende a ritmo mozzafiato, « ingiovanito » appunto, le vira­ te, viraje, di un’antecedente e assai più ‘anziana’ poesia rome­ na? Come pochissimi di noi, forse, è immortale, nell’unica accezione, limitata e sopportabile: nell’opera. Se Nina scrive con la mina di grafite una parola, è « come una città abitata» dove forse arriverà domani. Ma c’è anche, minacciosa, la pressione inversa e quando scrive le parole - e lo fa per sprigionarle - quelle non fanno altro che avventarsi sulla preda. Scrive gabbiano ed ecco la sua ombra incombe­ re, il becco d’ombra le trapana il cranio, il sangue d’ombra rìvola la guancia. Il fatto è che le parole, le civette, prima ade­ scanti, riluttanti poi, sempre guardinghe, perché troppo spesso rimaste scottate, non vogliono credere all’aldilà, alla vita postuma del Verso. Così « lo sguardo inverso » della mor­ te da una parte, dall’altra «l’arrogante Weltanschauung», e nel mezzo « porte aperte davanti ad altre porte aperte », il fac­ cia a faccia della violenta reciprocità risulta zona a rischio al­ tissimo, fatale: chi ha provato a passare dall’altra parte non è mai arrivato; la meta ci separa. E contro tutto questo, con i suoi distici fragili - antumi e postumi - deve sempre lottare chi poeta. Ma che poeta leggerà il lettore in italiano? La sua opera è sì un continuum, come lei ha intitolato 1’ « ultima » raccolta, ma « non nel senso di una continuità stilistica, bensì di un’urgen­ za creativa che copre più di sei decenni - senza vacanze né pensionamento», e le sue poesie «raccolte, scelte, trascura­

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te», dimentiche o smarrite, allorché si ripresentano le cam­ bia, le rimescola e infine lascerà che se la cavino da sole. Nella nostra scelta, per fare un solo esempio, il primo verso di Ta­ bula rasa annette un verso dell’ Oltremusica, il primo dell’ulti­ ma strofe; la poesia era stata tradotta in inglese da lei, con ta­ gli e aggiunte, e un paio di quei tagli sono subentrati nei ‘nuovi’ componimenti in lingua inglese. Improba, affasci­ nante impresa sarà ricomporre in vista di una futura edizione critica l’iter dell’immaginazione creatrice e ricreatrice nella sua poesia, e in ogni sua poesia: per misurarla poi col lascito grafico e musicale, una triangolazione con la quale si dovrà prima o poi fare i conti. Questo il rapporto con la nuova lingua: « Per quanto medi­ tativo o filosofico, ogni poeta ha avuto la sua happy hour, ab­ bandonandosi al magico alcol delle parole », giocosità a brac­ cetto con il virtuosismo. Per Nina l’inglese è un liquore nuo­ vo, a tratti esotico, e lei cerca di rendere omaggio a quello ‘spirito’. La lingua spargana invece l’aveva inventata molto tempo prima d’incrociare Jabberwocky ma, ci mette sull’avvi­ so e ci instrada, « anche se non si trovano quasi mai nei dizio­ nari, le parole appartengono comunque per sonorità e si­ gnificati associativi a una lingua ben precisa. Pertanto una poesia come Imprecazione si può trasmutare in sonorità para­ gonabili in qualsiasi altra lingua», l’italiano per dirne una. E poi Nina, come Brodskij prima di lei, fin dall’inizio ha avuto la fortuna di affidarsi al lavoro esperto e partecipe di vari poe­ ti, quali Richard Wilbur, Stanley Kunitz, Fleur Adcock, Dana Gioia e altri; e ha « permesso, anzi incoraggiato i traduttori a prendersi notevoli libertà, senza però violare lo spirito dell’o­ pera». La sua versatilità linguistica le ha fatto poi cambiare all’occorrenza termini o versi, intere strofe, immagini o strut­ ture, per render le poesie volte in inglese sotto la sua diretta e partecipe supervisione fluide, pregnanti, più espressive. Già nell’antologia francese del ’78 era stata soccorsa da un poeta, Guillevic. Qui peraltro - a rimarcar distanze e differenze, anomalie e peculiarità d’ogni indirizzo e taglio in sede di tra­ duzione -il divario rispetto all’operato inglese è invero enor­ me, vuoi per la scelta dei materiali, che privilegia testi più lunghi e ponderosi, vuoi per il tono, il timbro della lingua poetica, che dà alle versioni un altro, più alto incedere e sten­ de una patina più consona ai sentieri battuti fino a quel mo­ mento dalla poesia francese maggiore.

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E in italiano? A parte la scarna presenza nelle poche anto­ logie di poesia romena, di norma con la stessa poesia ‘politi­ ca’, un componimento quantomeno discutibile, ma il tema è delicato e, come il comportamento, scontenterà sempre qualcuno, di qualunque sponda (lascerei qualche misero mi­ stero indisturbato se non proprio intatto; non occorre molto per salvar la faccia: in un frangente le è bastato trasformare un nostro in un più responsabile, discreto mio destino, per guadagnare in sobrietà e riprender quota) ; a parte quella, era uscito un solo libro, lama (Inverno), nel ’60, per le edizio­ ni Salvatore Sciascia di Caltanissetta. Il traduttore della breve silloge di quindici testi, Antonino Uccello, seguitava una koinè indiscussa all’epoca, tanto radicata era l’impronta, rile­ vando stilemi montaliani o riflettendo onde sonore di Quasi­ modo, poeti che all’atto pratico, compositivo, per non parla­ re poi d’ispirazione, con lei hanno poco o niente da spartire. E ora che tutto questo, o dovrei dire quello, non c’è più? Che gli scampoli che passa la stagione hanno adottato la poetica del calco inerte, rappreso contro l’ammaliante carta moschi­ cida di un presunto ‘originale’, e ci riservano un che d’infor­ me, inconsistente, senza guizzi, senza un barbaglìo, una riso­ nanza minima e senza, senza ritmo? La sfida resta aperta - e nulla osta accoglierla. Nella decrepitudine dell’arte, « in così gran martire » Nina, Donna Decrepitudine per titolo onorario che si è imposto da sé, l’ha detto meglio di chiunque altro: c’è modo e modo di sparire. E non sarà una jamesiana tigre assenza, languida in seno al foro interno, a struggerla e annientarla, bensì una ti­ gre gialla e sinuosa che, giunto il momento, s’avventerà cruenta e allegra a sgranocchiare quanto scritto fino all’ulti­ mo istante dalla Quarta Scimmia. Non è quello che ha chia­ mato e che si chiama, prima e poi, letteratura?

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