Capire la crisi. Le 100 voci da conoscere per affrontare il futuro [PDF]

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Le 100 voci da conoscere per affrontare il futuro

la Repubblica

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Giovanni Ajassa, Angelo Aquaro, Tito Boeri, Adriano Bonafede, Andrea Bonanni, Alessandra Carini, Stefano Carli, Marcello De Cecco, Alessandro De Nicola, Enrico Franceschi™, Massimo Giannini, Andrea Greco, Paola Jadeluca, Ettore Livini, Roberto Mania, Giampiero Martinotti, Rainer Masera, Stefano Micossi, Miguel Mora, Eugenio Occorsio, Marco Panara, Roberto Petrini, Elena Polidori, Giovanni Pons, Vittoria Puledda, Federico Rampini, Maurizio Ricci, Massimo Riva, Alessandro Santoni, Andrea Tarquini, Nadia Urbinati, Bernardo Valli, Arturo Zampaglione, Vittorio Zucconi

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Pubblicazione da vendersi esclusivamente in abbinamento a Repubblica. Supplemento al numero in edicola. € 4.90 * il prezzo del quotidiano

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Capire la crisi Le cento voci da conoscere per affrontare il futuro

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I quaderni di Affari&Finanza

L'Introduzione La tempesta perfetta che ha cambiato la nostra vita Massimo Giannini

Le Voci

13

Abs (asset backed securities) * Agenzie di rating Azzardo morale

Bailout Banche Basilea III Bce Benchmark Berlusconi, Silvio Bernanke, Ben Bond Break-up (dell'euro) Bric Btp Bund

7

Marco Panara 15 Marco Panara 16 Marco Panara 17

Marco Panara Andrea Greco Adriano Bonafede Andrea Tarquini Stefano Carli Massimo Riva Federico Rampini Vittorio Puledda Marcello De Cecco Giovanni Ajassa Roberto Petrini Andrea Tarquini

18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29

Giovanni Pons Capitale Marco Panara Capitalismo finanziario Giovanni Pons Capitalizzazione RainerMasera Cds (credit default swaps) Vittorio Puledda Core tier 1 Marcello De Cecco Credibilità Marco Panara Credit crunch Massimo Riva Crescita Marcello De Cecco Crisi

30 31 32 33 34 35 36 37 38

Deauville

39 40 41 42 43 44 45 46 47 48

* Disoccupazione Disuguaglianza Doublé dip Draghi, Mario

Eba Efsf Euro Eurobond Eurogruppo Eurozona

Roberto Mania Maurizio Ricci Stefano Carli Massimo Riva

49 50 51 52

Andrea Bonanni Andrea Bonanni Marcello De Cecco Andrea Tarquini Andrea Bonanni Andrea Bonanni

53 54 55 56 57 58

! Fed Financial stability board

Fmi Fondi sovrani

Arturo Zampagliene 59 Federico Rampini 60 Arturo Zampagliene 61 Eugenio Occorsio 62

g G20 Geithner, Timothy Giovani Goldman Sachs Grecia

Federico Rampini Angelo Aquaro Giovanni Ajassa Arturo Zampagliene Ettore Livini

63 64 65 66 67

Hedge funds

Alessandro Santoni

68

Inflazione Interbancario Irlanda Italia

Giovanni Ajassa Adriano Bonafede Enrico Franceschini Massimo Riva

69 70 71 72

Paola Jadeluca

73

Giampiero Martinotti Roberto Mania Arturo Zampaglione Eugenio Occorsio Eugenio Occorsio Roberto Mania

74 75 76 77 78 79

J Junk bonds

1 Debito Debito sovrano Default Deficit Deflazione Deleveraging Democrazia Derivati Dexia

Giampiero Martinotti Marco Panara Massimo Riva Alessandra Carini Roberto Petrini Giovanni Ajassa Marco Panara Nadia Urbinati Alessandro Santoni Giampiero Martinotti

Lagarde, Christine Lavoro Lehman Brothers Lender of last resort Lettera della Bce Liberalizzazioni

m Madoff, Bernard Mercatismo

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Angelo Aquaro 80 Alessandro De Nicola 81

Sommario

Mercato Mercozy Merkel, Angela Monti, Mario

Stefano Micossi Bernardo Vaili Andrea Tarquini Federico Rampini

82 83 84 85

η Nazionalizzazioni Northern Rock

Adriano Bonafede 86 Enrico Franceschini 87

0 Obama, Barack Occupy Wall Street

Vittorio Zucconi 88 Angelo Aquaro 89

Ρ Papademos, Loukas Papandreou, George Patrimoniale Paulson, Henry Pensioni Piigs Portogallo

U Unione Europea Usa

Venizelos, Evangelis Visco, Ignazio Volker rule

90 91 92 93 94 95 96

Arturo Zampagliene 97

Wall Street Welfare

Zapatero, José Luis

Federico Rampini 125 Tito Boeri126

Monica Andrade 127

Cinque anni vissuti pericolosamente a cura d/ Silvia Maria Busetti e Eugenio Occorsio 129

Monica Andrade 98 Paola Jadeluca 99 Tito Boeri λ00 Tito Boeri101 Marco Panara 102 Marco Panara 103

Bernardo ValliλΟΛ Andrea Greco 105 Nadia Urbinati 106 Miguel Mora 107 Roberto Petrìnno& Andrea Greco 109 Vittorio Puledda^O Marco Panara 111

t Tarp Tasse Tassi Titoli tossici Tobin tax

Ettore Livini 122 Massimo Riva 123 Eugenio Occorsio 124

La Cronologia

S Sarkozy, Nicolas Siti Sovranità Spagna Spending review Spread Stress test Subprime

Andrea Bonanni 120 Vittorio Zucconi 121

Ζ

Γ Rajoy, Mariano Rating Recessione Redistribuzione Rischio Rischio paese

Massimo Riva 117 Giovanni Pons 118 Elena Polidori 119

w Ettore Livini Ettore Livini Adriano Bonafede Arturo Zampagliene Roberto Mania Enrico Franceschini Miguel Mora

3 Quantitative easing

Tremonti, Giulio Tremonti bond Trichet, Jean Claude

Arturo Zampagliene 112 Roberto Petùnia Alessandro Santoni 114 Marco Panara 115 Stefano Micossi 116

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Introduzione

La tempesta perfetta che ha cambiato la nostra vita Massimo Giannini ^^y^lonsideriamo naturali, permanenti, sicuri, alcuni dei nostri I più singolari e temporanei vantaggi recenti, e ci regoliamo \ w i n e i nostri piani di conseguenza. Su questa base precaria e ingannevole progettiamo miglioramenti sociali e allestiamo piattaforme politiche, coltiviamo le nostre animosità e le nostre particolari ambizioni, e pensiamo di disporre di un margine bastante per fomentare, anziché mitigare, il conflitto civile nella famiglia europea..." Era il novembre del 1919, e John Maynard Keynes, nell'introduzione del suo "Le conseguenze economiche della pace", dettava le sue profezie. Il grande economista inglese aveva già previsto tutto. La follia dei dittatori, che avrebbe generato le tragedie politiche del "secolo breve". Ma anche la miopia degli uomini, che avrebbe propiziato le sue cicliche rovine finanziarie. Se ci guardiamo intorno, ci rendiamo conto di essere ancora dentro una delle peggiori profezie keynesiane. Dopo mezzo secolo di sviluppo ininterrotto e difiduciadifftisa verso le "magnifiche sorti e progressive" del capitalismo reale, uscito trionfante dal confronto con il socialismo realizzato, non c'è più niente di "naturale, permanente, sicuro". I "vantaggi recenti" sembrano eclissati, spazzati via dalla Grande Crisi. La base su cui costruiamo le vite nostre e quelle dei nostrifiglici appare sempre più "precaria e ingannevole". Progettare "miglioramenti sociali" II

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I quaderni di Affari&Finanza

Dall'alto John Maynard Keynes e Alan Greenspan

è quasi impossibile. Allestire "piattaforme politiche" è molto improbabile. Tra Testate del 2008, con il fallimento della Lehman Brothers, e questo mesto scorcio difine2011, il ricco Occidente è entrato in un tunnel dal quale non si vede l'uscita. La "famiglia europea", allegra e gaudente, vive la sua fase più drammatica. L'Italia, il "Paese da bere", si è scolato fino all'ultimo goccio delle sue risorse interne e della sua credibilità internazionale. Il sistemafinanziarioglobale sembra impazzito: si avvita in una spirale perversa, dove perdite generano altre perdite, debiti generano nuovi debiti, misure di risanamento producono recessione, e il ciclo ricomincia. Il sistema politico-istituzionale non regge l'urto della crisi: insegue, tampona, ma non viene a capo di nulla e si consuma, tra un'autodafé di consensi popolari e un falò di dottrine economiche. I liberisti diventano statalisti, le sinistre adottano misure tradizionalmente care alle destre. Orientarsi, in questo caso, è sempre più difficile. Nel giro di tre anni siamo passati, senza soluzione di continuità, dall'impostura dei subprime alla dittatura dello spread. La bomba dei mutui, deflagrata in America e propagata in tutto il mondo, ha lasciato ovunque macerie materiali e morali. Stiamo ancora pagando la "Greenspan fee", il tributo postumo alla strategia dissennata dell'ex governatore della Fed, che con la politica del denaro a costo zero e dei controlli a manica larga ha fatto certamente correre il cavallo americano, ma l'ha riempito di anabolizzanti fino a farlo poi schiantare. Nel 2008 le banche sono state le "volonterose carnefici" della crisi: hanno creato, venduto e ricomprato ogni genere di titoli, più ο meno tossi­ ci. Ogni anno, solo negli Stati Uniti, le emissioni di "Asset Backed Securities", i famigerati "titoli salsiccia" che hanno veicolato nel mondo il virus dei mutui subprime, ammontano a oltre 650 miliardi di dollari. Gli isti­ tuti di credito di mezzo mondo ne hanno fatto indigestione, ammorban­ do i bilanci. E così oggi le banche si sono trasformate nelle "vittime involontarie" della crisi. Hanno cominciato a dubitare di se stesse, e a non prestarsi più denaro le une con le altre, per paura di dover fronteggiare qualche insolvenza imprevista. E' partita così, nel 2008, la prima ondata del "credit crunch". Ora, passati tre anni, siamo alla seconda ondata, che è anche più grave della prima. La "restrizione del credito" blocca il transito della liquidità nel sistema, paralizzando il mercato interbancario e prosciugando ilflussodei prestiti alle imprese industriali. Solo in Italia il costo aggiuntivo indotto dal "credit crunch", nell'ultimo mese del 2011, pesa sul sistema produttivo per 5,5/8,8 miliardi di euro. Una follia.

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Introduzione

E non finisce qui. A strozzare le banche, e dunque a strangolare le imprese che non trovano più credito, si aggiunge il nodo scorsoio costruito dalTEba. Per aggiornare il valore dei titoli in portafoglio agli istituti, e per adeguarne il patrimonio, rAuthority del sistema finanziario europeo ha imposto alle banche di Eurolandia aumenti di capitale pari a 114,6 miliardi di euro. Alle sole banche italiane, le più penalizzate dal nuovo meccanismo di adeguamento del cosiddetto "CoreTier 1", questo scherzo impone ricapitalizzazioni pari a 14,6 miliardi di euro. Si apre così la caccia a un tesoro che non c'è. Quello che c'è, in compenso, è l'ulteriore, inevitabile stretta sugli impieghi: 30 miliardi di prestiti in meno al sistema produttivo, secondo le stime dell'anno che verrà. Nel frattempo molte banche hanno cominciato a fallire. Così i governi sono stati costretti a salvarle, con denaro pubblico. Il primo passo è toccato all'America, con il piano di aiuti da 700 miliardi di dollari ribattezzato "Tarp", lanciato da Hank Paulson (Segretario al Tesoro di Bush) e rilanciato da Obama. Tutti gli altri hanno seguito a ruota. Risultato: in tre anni i soli Stati Uniti hanno dovuto impiegare quasi 2.500 dollari di denaro pubblico per salvare oltre 200 banche private. L'Europa ha dovuto sborsare 1.200 miliardi di euro. La Gran Bretagna 618 miliardi di sterline. Così la "cultura del debito", che negli anni scorsi ha inebriato i privati, ha finito fatalmente per ubriacare anche gli Stati. Dopo la bolla del mattone scoppia quella dei debiti sovrani. E mentre per anni è stata drogata la crescita economica, ora risultano drogati anche i bilanci pubblici. Tra il 2001 e il 2007 il Pil americano è cresciuto di 3.600 miliardi di dollari, ma nello stesso periodo il debito è esploso di 12.300 miliardi. Oggi l'America, a fronte di un Pil pro-capite di 36.500 euro, ha un debito privato pro-capite di 31.733 euro, e un debito pubblico pro-capite addirittura di 50.554 euro. L'Eurozona, a fronte di u n Pil pro-capite di 26.400 euro, ha un debito privato pro-capite di 19.869 euro, e u n debito pubblico pro-capite di 23.551 euro. Di fronte a questi numeri, che minano la tenuta delle democrazie, Jean Monnet e Konrad Adenauer si rivoltano nella tomba.

Jean

Dall'alto Monnet

e Konrad Adenauer

La morsa dei debiti sovrani stritola tutti. Ha già praticamente ucciso la Grecia, che di fatto è già in "default", con un debito pubblico che sfiora il 150% del Pil. L'Unione europea, tra esitazioni e psicodrammi, ha dovuto soccorrere Atene, insieme all'Fmi, con due piani da circa 270 miliardi di euro. Ma il contagio non è scongiurato. Il debito cresce in modo esponenziale persino nei Paesi più virtuosi come la Germania (83,2% del Pil) e la Francia (82,3%). A fare paura sono i "Piigs", i paesi "maiali" del cosiddetto Club Mediterranee, dove insieme a Portogallo, Irlanda, Gre- i!

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I quaderni di Affari&Finanza

Dall'alto John Kenneth Galbraith e Adam Smith

10

eia e Spagna è tornata a svernare la povera Italia. Anche qui si verifica un altro, micidiale cortocircuito. Più aumentano i debiti pubblici, più lievita il loro "costo", e dunque cresce la loro mole già elefantiaca. Sui mercati monta la sfiducia verso uno Stato, che colloca i propri titoli solo se offre un "premio di rischio" (cioè di un tasso di interesse) sempre più alto. Il Bund tedesco, "padre" di tutti i titoli di Stato di Eurolandia, tiranneggia il Vecchio Continente: il differenziale rispetto ai titoli degli altri Paesi è ormai diventato un sottile stillicidio quotidiano. Anche la casalinga di Voghera, ammesso che esista ancora, si è ormai abituata a mangiare pane e spread. E lo paga carissimo. Da quando il Belpaese èfinitonel mirino, tra agosto e dicembre 2011, il differenziale tra Btp e Bund è schizzato mediamente a quota 500 punti. Lo Stato ha già dovuto sostenere un maggior onere per gli interessi pari a 5,5 miliardi. Se per ipotesi questo spread restasse invariato anche nel 2012 (quando il Tesoro dovrà rinnovare titoli di Stato per 440 miliardi), il costo aggiuntivo del debito sarebbe pari a più di 30 miliardi. Uno sproposito. Se allarghiamo l'orizzonte all'intera Unione europea, i numeri (e i costi) diventano ancora più esorbitanti. Nel 2012 gli Stati membri dell'Eurozona dovranno collocare sul mercato, e quindi rinnovare, qualcosa come 1.500-2.100 bond governativi. Al resto pensano le agenzie di rating, che in questi anni di speculazione arrembante hanno usato con sapiente opportunismo (e a volta con stupefacente dilettantismo) la loro assurda "tirannia". Basti dire che le due più importanti, Standard & Poor's e Moody's, emettono le loro "sentenze" sull'affidabilità di titoli pari a un ammontare superiore ai 30 miliardi di dollari: alTincirca venti volte il Pil italiano. E basti considerare che tra il 2006 e il 2007, cioè a cavallo del primo "Big Crash" della finanza globale, hanno premiato con la pagella di "massima affidabilità", cioè l'ambitissima "tripla A", oltre 10 mila titoli strutturati e collegati a mutui immobiliari. Cioè quei titoli-spazzatura che hanno intossicato il mercato,finoa ridurlo in un cumulo di carta straccia. In cima alla "collina del disonore" del rating, a beneficio dei posteri, resta il giudizio lusinghiero emesso dalle agenzie tre giorni prima del collasso della Lehman, il lunedì nero del 15 settembre 2008. C'è infine un terzo cortocircuito. Per arginare nel breve periodo i propri deficit e ridurre nel medio i propri debiti, gli Stati sono obbligati a imporsi, chi più chi meno, una severa Quaresimafiscale.Più tasse, meno spese correnti. Ma le manovre "lacrime e sangue" hanno comunque un effetto depressivo sull'economia. Così il meccanismo va nuovamente in "loop": per abbattere il debito si impongono stangate ai contribuenti, così il Prodotto interno lordo non cresce, e dunque il rapporto debito/Pil,

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Introduzione

nonostante le misure correttive di bilancio, continua a non migliorare. Anche in questo caso, vale un'altra profezia di un altro grande economista: "Dopo il Grande Crollo venne la Grande Depressione, che durò tra alti e bassi di gravità una decina d'anni... ". John Kenneth Galbraith, nel suo "Il grande crollo", racconta così le dinamiche inevitabili di una crisi (quella del 1929) che origina dallafinanza,ma poi si propaga fatalmente all'economia reale. E' quello che è accaduto e sta accadendo anche oggi. Lafinanzaè cresciuta a livelli esponenziali. I prodotti derivati (opzioni, futures, warrant, swap) hanno raggiunto la cifra monstre di oltre 700 trilioni di dollari: dieci volte il Pil mondiale. I famigerati hedge fund (i fondi-locusta, speculativi per definizione) gestiscono capitali per 2 trilioni di dollari, a fronte di un volume di asset gestiti dai fondi d'investimento pari a 117 trilioni di dollari. Cifre difficili persino da pronunciare. Ma questafinanzaha ingoiato se stessa (solo nel crack del 2008 il sistema globale, in termini di perdite, ha bruciato 25 mila miliardi di dollari, quasi la metà del Pil mondiale di un anno). E ora sta cominciando a divorare l'economia reale. Per usare la formula di Galbraith: la Grande Depressione iniziata nel 2009, innescata dal Grande Crollo del 2008, è già costata la distruzione di 34 milioni di posti di lavoro, e la proliferazione di un "popolo transnazionale" di 212 milioni di disoccupati. Il "dio mercato" sembra sempre più insaziabile, e continua a esigere i suoi rituali "sacrifici umani". Di fronte a questa divinità, pagana per definizione e per vocazione, si sono prostrati politici senza cultura e si sono votati capitalisti senza scrupoli. Altro che "mano invisibile", secondo la religione laica del maestro di culto Adamo Smith. La mano del mercato, in questi anni, è stata visibilissima. E ha fatto sfracelli, illudendo diversi milioni di persone che si potesse creare denaro attraverso il denaro. Questa chimera è andta distrutta. Oggi non siamo alla "fine del capitalismo", come ieri (con buona pace di Francis Fukuyama) non eravamo alla "fine della storia". Ma il capitalismo che abbiamo conosciuto nell'ultimo quinquennio, avido, cinico e sregolato, è davvero fallito. Anche l'euro, che sembrava dovesse fare da scudo alla crisi, rischia di andare in frantumi. L'ultimo vertice di Bruxelles, Γ8 e 9 dicembre 2011, rinnova l'ennesimo compromesso, né al rialzo né al ribasso. L'Unione europea si conferemal'ircocervo che conosciamo: una burocrazia strutturata, capace di lavorare in verticale su criteri tecnici e apparati contabili. Ma una democrazia limitata, incapace di espandere in orizzontale una governance condivisa e un consenso sociale. La moneta unica si conferma l'incompiuta che sappiamo: una grande idea, che purtroppo

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Dall'alto Francis Fukuyama e Guido Carli

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I quaderni di Affari&Finaiiza

Dall'alto David Camerari e William Shakespeare

12

cammina su una gamba sola: la politica monetaria. Affidata all'unica istituzione europea autenticamente funzionante: la Bce di Mario Draghi alla quale i governi in deficit di rigore etico pretendono di affidare il compito di soccorrere non solo le banche ma anche gli Stati, stampando moneta per comprarne i debiti. L'ennesimo "azzardo morale", che Guido Carli denunciava già negli anni 70, e che ora politici irresponsabili vorrebbero replicare su scala europea. Angela Merkel ha le sue colpe. Ma forse non quella di voler scongiurare questa deriva. L'euro non si salva solo guardando al diagramma della massa monetaria e dei prezzi, né limitandosi a inasprire i vincoli ai deficit e le sanzioni automatiche. L'euro si salva solo con una visione autenticamente "comunitaria", dove si mettono in comune istituzioni, regole finanziarie e politichefiscali,sia pure nel rispetto dei parlamenti nazionali. Tutto ciò che l'Europa di oggi non è in grado di esprimere, divisa com'è tra il direttoriofranco-tedescoe il Regno Unito, ormai apertamente "secessionista", di David Cameron. Cosa accadrà, allora? Basteranno i piccoli "passi nella nebbia" compiuti da questa debole Unione a 26, per allentare la pressione dei mercati e per disinnescare la mina dei debiti sovrani? Basteranno le mosse della Bce che, in attesa di sapere se diventerà mai "prestatore di ultima istanza", intanto riduce i tassi al minimo storico dell' 1% e sblocca la liquidità delle banche? E che ne sarà della piccola Italia guidata da Mario Monti, che dopo la rovinosa parentesi berlusconiana ("prezzata" da un debito pubblico superiore ai 1.900 miliardi di euro) ci ha riportato agli onori del mondo ma ci ha propinato una manovra troppo infarcita di tasse, poco rispettosa dell'equità e per niente incisiva sulla crescita? Nell'ennesimo "inverno del nostro scontento", più gelido e incerto dei precedenti, sono tante le domande che aspettano risposta. Per questo, non paghi del resoconto quotidiano che forniamo su "Repubblica" e del racconto settimanale che offriamo su "Affari & Finanza", abbiamo deciso di offrire ai nostri lettori uno strumento in più. I "Quaderni di A&F". Quello che state sfogliando è il primo della serie: un "vocabolario" di 160 pagine, e di oltre 100 parole, affidate alle grandi firme del nostro giornale, per conoscere le parole-chiave della tempesta perfetta di questi anni, e per capire come e quando riusciremo ad uscirne. "Ormai tutti i miei sortilegi non valgono più...", invoca l'eroe di William Shakespeare, nell'epilogo di un'altra "Tempesta". Non sappiamo se esiste una "terra promessa", al di là di questo mare in burrasca. Ma se c'è, vi aiuteremo a trovarla. m.giannini@repubblica. it

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Il vocabolario La crisi spiegata in cento parole

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ABS ASSET BACKED SECURITIES

Le "Asset Backed Securities" Emissioni negli Stati Uniti, in miliardi di dollari

Marco Panara

2.131

Le asset backed securities (Abs) sono strumentifinanziarinegozia­ bili ο trasferibili, che vengono emessi in seguito alla cartolarizzazione di crediti assistiti da garanzie reali (per esempio ipoteche sugli immobili). È stato lo strumento principe che ha consentito di aumentare enormemente la capacità delle banche di erogare credito e dei privati di indebitarsi. Il meccanismo funziona così: la banca eroga un certo numero di mutui garantiti da ipoteca, poi cede quei mutui e i rischi e le garanzie connessi ad un altro soggetto creato appositamente, che nel gergo finanziario si chiama "Special Purpose Vehicle", il quale mette tutti quei mutui insieme e poi spezzetta la massa dei mutui in tante piccole parti che vengono rappresentate da titoli che poi vengono collocati sui mercati. Per facilitare il collocamento in genere questi titoli vengono dotati di un rating, ovvero di una valutazione del rischio che portano con se. Negli anni precedenti la crisi moltissime emissioni, poi rivelatesi disastrose per chi le aveva sottoscritte, avevano ottenuto il rating più alto. La metafora utilizzata più spesso per rappresentare questa operazione è quella del salame, si prendono tanti pezzi di carne, i mutui, li si macinano insieme e poi si insacca la carne macinata, infine si taglia il salame a fettine, ciascuna delle quali conterrà un piccola quota di quei mutui. Il meccanismo non è stato utilizzato solo per i mutui, nello stesso modo

2001

2002

2003

2004

2005

2010

sono stati trattati i prestiti con garanzia per l'acquisto di automobili, i prestiti alle imprese per investimenti in macchinari e molto altro. Alla stessa categoria appartengono le Mbs (mortgage backed securities, specifiche per i mutui), le Lbs (loan based securities) e tante altre formule inventate negli ultimi vent'anni dalla finanza creativa. Il processo complessivo si chiama cartolarizzazione, ovvero la trasformazione in titoli negoziabili di rapporti creditizi che nascono tra la singola banca e il singolo debitore. Grazie alle Abs le banche hanno potuto aggirare i limiti di capitale erogando molto più credito di quanto i mezzi propri della banca avrebbero consentito. La cessione facile dei crediti ha però anche un effetto collaterale: poiché la banca non conserva nel suo portafoglio il rischio connesso a quel credito, tende ad essere meno rigorosa nel concederlo, assicurandosi nel breve termine i guadagni dalle commissioni prelevate per l'erogazione. La crisi esplosa nel 2008 ha origine nell'aumento vertiginoso del credito e nel peggioramento della sua qualità che le asset backed securities hanno favorito. m 15

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I quaderni di Affari&Finanza

AGENZIE DI RATING

1 Paesi secondo le Agenzie di rating

Marco Panara

Il futuro dell'Italia, della Grecia, degli Stati Uniti, del Giappone, praticamente di tutti i paesi del mondo e di decine di migliaia di banche e di imprese dipende dal giudizio che loro danno di ciò che governi e imprese fanno. Perché da quel giudizio dipende quanto a ciascuno costerà il denaro che vanno a cercare sui mercati. Loro sono le agenzie di rating, ovvero, come disse nel 2003 davanti al parlamento tedesco Γ allora presidente dell'Autorità Federale per la Supervisione Fiananziaria (BaFin) "il più grande potere incontrollato del sistemafinanziariointernazionale e quindi anche dei sistemifinanziarinazionali". Le agenzie di rating in tutto il mondo sono oltre un centinaio, ma quelle che in realtà contano sono tre: Standard & Poor's, Moody's e Fitch. Negli Stati Uniti le prime due coprono il 40 per cento circa del mercato ciascuna e la terza il 15 per cento. Poiché però la tendenza è di cercare un doppio rating per ciascun titolo emesso, le prime due non competono in realtà tra di loro ma realizzano un "monopolio di coppia". La coppia, in effetti, conta. Le due agenzie complessivamente esprimono ogni anno i loro giudizi su titoli per un ammontare superiore a 30 mila miliardi di dollari, qualcosa come venti volte il pil italiano. E conta molto per la banale ragione che ogni grado in più di rating vale lo 0,42 per cento di costo del denaro in meno. Il loro potere enorme e incontrollato si basa su due pilastri: la reputazione e la regolazione. Il primo in realtà non è così 16

STANDARD & POOR'S

MOODY'S

FRANCIA

AAA

Aaa

GERMANIA

AAA

Aaa

lifiiiiM

WUm

HwJH

GRECIA

CCC

Ca

SPAGNA

AA-

A1

REGNO UNITO

AAA

Aaa

STATI UNITI

AA+

Aaa

solido, visto che fino a quattro giorni prima del disastro della Enron il loro giudizio sui titoli emessi da quella compagnia era di massima solidità, che altrettanto è accaduto con Lehman Brothers fino alla vigilia del più clamoroso fallimento della storia. A minarlo soprattutto è stata la sfilza di triple A, la valutazione di massima affidabilità attribuita tra il 2006 e il 2007 a oltre 10 mila titoli strutturati collegati a mutui immobiliari, quelli dai quali si è poi scatenata la crisi, gran parte dei quali entro il 2010 erano diventati junk bond, titoli spazzatura. Una lista di errori che avrebbe tagliato le gambe a chiunque. Ma non alle agenzie di rating. Per via di quell'altro pilastro, che dà loro la forza incontrollata che hanno: il pilastro regolamentare. Le istituzioni che considerano pericoloso questo eccesso di potere sono le stesse che glielo danno. Tra i regolamenti della Sec, che veglia sui mercati finanziari americani, almeno 44 fanno riferimento ai rating rilasciati dalle agenzie; le autorità di supervisione delle assicurazioni e dei fondi pensione fanno riferimento, per la qualità degli investimenti dei loro vigilati, alle valutazioni delle agenzie di rating. &

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Il vocabolario della crisi

AZZARDO MORALE Marco Panara

L'azzardo morale divide l'Eu­ ropa. Il timore che alcuni soggetti ο pae­ si possano approfittare di altri spezza la catena della solidarietà, che è il collante necessario per tenere insieme qualsiasi tipo di comunità, perché insinua il sospetto dell'opportunismo. Non è una novità, il rischio che una delle parti approfitti dell'altra è presente in tutti i rapporti economici. La storia nasce con le assicurazioni, ovvero con il rischio che il guidatore assicurato sia meno attento sapendo che i danni da lui eventualmente procurati li pagherà l'assicurazione. Ma si parla di azzardo morale anche per il dipendente che, sicuro del suo stipendio, non mette l'impegnorichiestonell'attività per la quale viene remunerato. Il concetto di azzardo morale, sia pure assai più rozzamente espresso, è alla base delle rivendicazioni del nord leghista contro un Sud che non si darebbe abbastanza da fare potendo contare sui trasferimenti fiscali dal più laborioso nord. Nel 2008 l'azzardo morale è balzato al centro delle cronache con l'esplosione della crisi, che ha messo in evidenza come molte istituzioni finanziarie avessero preso più rischi di quanto la prudenza avrebbe consentito, per massimizzare i guadagni e nella certezza di non essere lasciate fallire se le cose fossero andate male. È il problema dell'azzardo morale che si pone quando si discute delle banche "troppo grandi per fallire". È il principio del cosiddetto "too big to fail", che caratterizza sia le istituzioni finan-

ziarie (per esempio le banche), sia gli Stati (per sempio l'Italia, considerata troppo grande per fallire). In questi casi la loro dimensione e i danni che il loro fallimento causerebbe all'intero sistema danno la certezza del salvataggio pubblico, e quindi quelle banche potrebbero prendere troppi rischi per guadagnare di più al sicuro dalla sanzione finale, ovvero il fallimento. Il salvataggio di tante istituzioni finanziarie che avevano realizzato profitti altissimi negli anni d'oro, tutti finiti in tasche private, con l'intervento pubblico quando è finita la bonanza, è il classico caso della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite tipico dell'azzardo morale. Ora che la crisi si è allargata ai debiti sovranifinoa mettere in pericolo la tenuta dell'euro è l'azzardo morale di interi paesi ad essere al centro del problema. I paesi più ricchi e più solidi, Germania in testa, rifiutano di sostenere quelli più deboli in difficoltà perché temono che questi ultimi possano approfittare della generosità dei primi e non mettere in ordine i loro conti. Si dice che i cittadini tedeschi non vogliano mettere in gioco il frutto dei loro sacrifici per consentire ai greci di spendere in libertà. Probabilmente però siamo già oltre. L'azzardo morale è stato già consumato quando paesi come la Grecia e l'Italia non hanno approfittato dai bassi tassi di interesse garantiti nei primi anni dell'euro per ridurre il loro debito e azzerare i loro deficit. A questo punto si tratta di salvare l'euro e il suo futuro e la paura dell'azzardo morale non deve rompere la solidarietà: il rischio è che l'euro e l'intera Unione Europea finiscano in pezzi. ;

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BAILOUT SALVATAGGIO DI BANCHE, IMPRESE, STATI

i costi del salvataggi Fondi impegnati da Uè e Fmi, in miliardi di euro

Marco Panara In tempi di acque agitate i salvataggi si moltiplicano. Ma la storia intera è piena di imprese tenute in piedi con denaro pubblico ο dall'intervento non disinteressato di qualche investitore, di banche in crisi di liquiditàfinanziatedagli istituti centrali, di stati in crisi valutaria salvati dal Fondo Monetario, ο in crisi di liquidità salvati da altri stati. Dall'esplosione della crisi nel 2008 la catena dei bailout, appunto, salvataggi, è stata lunghissima. Da Bear Stearns rilevata sull'orlo del fallimento da JP Morgan Chase a Fannie Mae e Freddie Mac, salvate dallo stato, da Goldman Sachs, tenuta in piedi da massiccifinanziamentifederali e da un intervento della Berkshire Hataway di Warren Buffet, a Mogan Stanley aiutata da un intervento della Bank of Tokyo Mitsubishi, alla più grande compagnia di assicurazioni del mondo, l'Aig, salvata da Washington. L'intervento federale ha tenuto a galla i giganti dell'auto Gm e Chrysler. Di qua dall'Atlantico sono state salvate con denaro pubblico le banche irlandesi e le britanniche Royal Bank of Scotland e Northern Rock, le continentali Ing e Dexia. Salvate banche e imprese, si è passati agli stati. Irlanda, Grecia e Portogallo non sono andati in default solo perché le istituzioni europee e, per la Grecia, anche il Fondo Monetario, sono intervenuti con decine di miliardi di euro, mentre la Banca Centrale Europea ha garantito la liquidità alle banche e limitato la pressione sui titoli di sta-

η

mm •HI GRECIA

IRLANDA

PORTOGALLO

to italiani e spagnoli comprandone per decine di miliardi. La stessa Fed ha com­ prato oltre mille miliardi di dollari di titoli del Tesoro di Washington per evitare il tra­ collo della prima economia del pianeta. In passato sono state salvate con interventi pubblici le banche svedesi e le 'savings and loans' americane, compagnie ferroviarie, la stessa Chrysler una prima volta negli anni '80. Ogni salvataggio è accompagnato da seri dibattiti. La ragione a favore dal bailout è in genere l'opportunità di evitare un fallimento che avrebbe effetti negativi sull'intero sistema. Le ragioni contrarie sono di due tipi: la prima, più solida, è che salvare aziende, banche ο interi paesi in crisi favorisce l'azzardo morale, ovvero com­ portamenti opportunistici da parte di chi sa che poi arriverà denaro pubblico a coprire i propri buchi; la seconda, più ideologica, è che il salvataggio pubblico aumenta il potere dello stato e l'arbitrio della burocrazia e impedisce al mercato di riallocare le risorse in maniera più efficiente. Accade talvolta che i piùfierisostenitori del mercato aumentino i propri rischi per massimizzare i profìtti (privati) per poi lasciarsi salvare con i denari pubblici. •

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Il vocabolario della crisi

BANCHE

Andrea Greco Funzione di deposito, crediti­ zia, monetaria. Da millenni le banche fan­ no tre mestieri, semplici nonostante la recente ipersofisticazione. Ricevono risparmi da famiglie, aziende, stati e li finanziano, oliano il sistema dei paga­ menti con surrogati della moneta. Se una banca va in crisi, di solito ha prestato male i soldi, ο ne ha prestati troppi. La storia è piena di esempi: ultimo la crisi dei subprime (2007) causata dall'eccesso di credito per l'avidità dei banchieri americani, la tolleranza connivente dei regolatori, l'ottusità dei cittadini che li chiedevano senza meritarli. La risposta di Usa e Gran Bretagna fu un massiccio intervento pubblico, con emissione di moneta e nazionalizzazione di banche, per ripianare le perdite di bilancio e rifornirle della liquidità che era venuta a mancare. Ma quando le banche anglosassoni si erano rialzate, sgravando il sistema finanziario mondiale dalle ricadute sistemiche, è scoppiata un'altra, più grave crisi bancaria. Investe il circuito europeo, nasce per deflagrazione del rischio sovrano e attenta alla capacità di finanziarsi del sistema. Le banche, per funzionare, hanno infatti bisogno dellafiduciadegli operatori (perché i depositi sono a vista e il loro ritiro massivo porta alla bancarotta) e di un investimento a rischio zero (o così percepito) che sia la base degli impieghi e dei riferimenti qualitativi. Per decenni l'investimento a rischio zero delle banche europee è stato il debito pubblico del pae-

se d'origine. Ma nell'ultimo anno, la percezione dei mercati che i debiti dei paesi periferici non fossero più inattaccabili prima Grecia, Irlanda, Portogallo, poi Spagna e Italia, ora la Francia - ha fatto scricchiolare i bilanci bancari. L'impennata del rendimento sovrano minaccia sia i loro patrimoni (dovefiguranocentinaia di miliardi di euro in emissioni pubbliche a prezzi in caduta) sia la loro provvista di liquidità, che sugli spread incardina i costi. Ai livelli attuali, specie in Italia dove lo spread è salito a 450 punti base sul Bund e i titoli sovrani pagano oltre il 7%, il sistema bancario è in affanno. Opera strutturalmente in perdita su quasi tutti i business, malgrado un rincaro dei servizi di almeno 100 punti base nell'ultimo semestre; intravede le condizioni per uno choc di liquidità che metta in ginocchio uno ο più istituti, specie tra i medi. La crisi attuale, però, è di natura politica: le banche pagano la miopia dei governi di quei paesi che per decenni hanno offerto ai cittadini promesse e tenori di vita e welfare non sostenibili dai conti pubblici. L'Italia in 30 anni ha accumulato un deficit pubblico di 800 miliardi, che si è sommato al debito pregresso. Gli investitori non accettano più queste condizioni: l'unica via per tornare a tassi sostenibili è ridurre i debiti rilanciando la crescita. Con la stessa foga, i governanti europei sono chiamati a uniformare la politica fiscale e delle emissioni (Eurobond), e la Bce a battere moneta. Se tutto ciò non accadrà presto, è opinione diffusa che le misure di austerità e patrimonializzazione che sferzano le banche europee si riveleranno del tutto effimere.

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BASILEA III Adriano Bonafede

Dopo una lunga gestazione, le regole di Basilea 3 per le banche sono state finalmente approvate dal Comitato dei Governatori delle banche centrali ed entreranno gradualmente in vigore tra il primo gennaio 2013 e il primo gennaio 2019. L'insieme delle innovazioni è talmente articolato e complesso che la Banca d'Italia ha istituito al proprio interno un apposito help-desk per assistere gli istituti di credito italiani nella corretta comprensione delle nuove norme. Con l'espressione di Basilea 3 si indica un insieme di provvedimenti approvati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria in conseguenza della crisi finanziaria del 2007-08. L'intento di queste nuove norme è quello di perfezionare la preesistente regolamentazione prudenziale del settore bancario (a sua volta correntemente denominata Basilea 2), l'efficacia dell'azione di vigilanza e la capacità degli intermediari di gestire i rischi che assumono. L'obiettivo finale di questo complesso sistema di norme - tanto complesso da richiedere un numero così elevato di anni per la sua completa implementazione - è quello di migliorare la capacità del settore bancario di assorbire gli shock derivanti da tensioni economiche e finanziarie, indipendentemente dalla loro origine; di migliorare la gestione del rischio e la governance; di rafforzare la trasparenza e l'informativa delle banche. Tutto nasce dall'impreparazione mostrata di fronte alla crisi del 2008, che ha costretto

molti Stati a intervenire per salvare un sistema bancario che avrebbe potuto collassare. Basilea 3 si propone di indicare una regolamentazione prudenziale più efficace per il sistema bancario, che in futuro dovrebbe essere in grado di gestire meglio i possibili shock. L'intesa arriva al termine di un lungo e faticoso lavoro di preparazione: anche se c'è sempre stato consenso sugli obbiettivi, i banchieri erano molto preoccupati che i nuovi «paletti» potessero in qualche modo limitare la loro operatività, tenendo immobilizzati capitali altrimenti destinati al credito alle imprese. Senza contare che un'eccessiva «ingessatura» delle banche rende queste ultime meno propense a prestare soldi, ponendo quindi limitazioni allo sviluppo dell'economia. La forte gradualità nell'applicazione delle norme è stata concepita proprio per venire incontro alle richieste dei banchieri, dando loro il tempo per reperire le risorse con cui irrobustire i patrimoni degli istituti. Due sono gli aspetti delle riforme. Da una parte c'è una regolamentazione "microprudenziale", ossia a livello di singole banche, che concorrerà a rafforzare la resistenza dei singoli istituti bancari durante le fasi di stress. Dall'altra si prendono in considerazione i rischi "macroprudenziali", ossia a livello di sistema, che possono accumularsi nel settore bancario, nonché l'amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo. Questi due approcci alla vigilanza sono complementari, perché una migliore tenuta a livello di singole banche riduce il rischio di shock sistemici. Alcuni parametri di capitale previsti da Basilea 3 sono stati anticipati dall'Eba. Μ

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BCE BANCA CENTRALE EUROPEA Andrea Tarquini Da quando ha cominciato a lavorare e funzionare quale istituzione internazionale, la Banca centrale europea (Bce) non ha mai affrontato sfide così difficili, pericolose e cariche di enigmi come la crisi attuale. Alla luce della perdurante diffidenza e scetticismo dei mercati e degli investitori internazionali nelle possibilità dell'euro di salvarsi e nella capacità dei governi europei di stabilizzare la moneta unica, la Bce appare a molti come Tarma assoluta, la riserva dell'ultima istanza. Può intervenire, e quindi aiutare gli Stati in crisi di liquidità acquistando i loro titoli sovrani sul mercato secondario in modo ancor più massiccio di quanto non abbia già fatto finora. E così tenere bassi gli interessi che gli Stati devono pagare. Ma anche qui l'opposizione della linea ortodossa tedesca complica le cose al nuovo presidente, Mario Draghi, in carica da novembre, da quando cioè a regolare scadenza di mandato ha preso il posto di Jean-Claude Trichet. La resistenza tedesca si manifesta sia con la linea dura del governo Merkel, sia col no a troppi interventi sul mercato dei titoli sovrani espresso dai membri tedeschi ο filote­ deschi del board Bce, a cominciare dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, per finire con i suoi pari grado olandese e finlandese. Fin dall'inizio di quest'ultima crisi dell'euro, la Bce ha già acquistato en masse titoli sovrani italiani, spagnoli, portoghesi, greci, per somme senza precedenti: almeno 200 miliardi di

euro, e nuovi interventi vengono attuati dalla Eurotower (il grattacielo al centro di Francoforte, sede centrale della Bce stessa) pressoché ogni settimana. L'argomento delle colombe, favorevoli a questa politica, è che la Bce dispone di una "potenza di fuoco" in grado si scoraggiare la speculazione che punta al crollo dell'euro. La Bce, secondo molti, dovrebbe trasformarsi in una vera e propria banca centrale, come la Federai Reserve ο la Bank of England, agire come prestatore di ultima istanza e assumersi la responsabilità del sostegno alla crescita economica oltre al mandato primario della difesa della stabilità dei prezzi. Già un doppio calo dei tassi in poco più di un mese, dall'I,5 all'I per cento, indica la strategia di Draghi. E la seconda, importantissima arma che Eurotower ha deciso diusare è concedere alle banche prestiti a media-lunga scadenza per sostenerne la liquidità e quindi il credito all'economia. Ma i falchi, guidati da Weidmann e sostenuti dal governo Merkel, dicono che stampare più moneta per salvare Stati ο banche non fa altro che alimentare l'inflazione oltre i livelli di guardia. La seconda obiezione del partito degli ortodossi tedeschi: se sanno di poter sempre contare sul soc­ corso della Bce, gli stati più indebitati perderanno ogni senso dell'emergenza e ogni incentivo a condurre seri risanamenti dei bilanci e riforme profonde. In questo atteggiamento c'è il retaggio della Bundesbank e della Germania tra le due guerre. Lo spettro della Repubblica di Weimer e della superinflazione che gettò le basi per l'avvento del nazismo. La Bce di oggi soffre anche di queste paure. β 21

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BENCHMARK Stefano Carli Un Benchmark è un punto di riferimento, un parametro rispetto al quale misurare un risultato. Detta così sembra la definizione di un semplice strumento di misurazione. Secondo un testo di economia è un benchmark un qualsiasi indice. Per esempio il Dow Jones è il benchmark di Wall Street e, corrispondentemente, il Mib non è altro che il benchmark della Borsa Italiana. Ma poi le cose si complicano e, nel linguaggio corrente degli operatori finanziari, il benchmark di un listino borsistico non è tanto il suo semplice andamento, frutto del susseguirsi delle giornate di contrattazioni, ma qualcosa che va più in là e incorpora un giudizio di valore. Non si limita a misurare la "quantità " delle contrattazioni ma anche la loro "qualità" : volumi, la tipologia dei titoli maggiormente rappresentati nel listino, la loro consistenza in termini patrimoniali ma anche di strategie. E dunque, in definitiva, incorpora un'aspettativa, una previsione sul futuro. Ed ecco allora che il benckmark non è più un semplice indice. Ο almeno non è più un indice semplice. E infatti il benckmark di Piazza AJffari non è il Mib ma il future sul Mib. Ecco perché nelle cronache di queste ultime settimane a sentire pronunciare, ο a leggere, il termine "benchmark" l'effetto suscitato non era tanto quello di una oggettiva misurazione di uno stato di fatto quanto piuttosto qualcosa a metà strada tra il giudizio universale e l'anatema. "La Spagna ha tagliato il nuovo ben-

chmark" oppure " il benchmark di Piazza Affari ha improvvisamente accelerato", si è letto spesso nei giorni passati. Per non parlare poi di quell'inarrivabile modello di benchmark nel campo dei titoli pubblici che è rappresentato dai titoli pubblici tedeschi (Bund) e rispetto ai quali, e dunque al benchmark, la distanza che li separa dai nostri poveri Btp viene definita "spread". E poi, a peggiorare ancor più le cose, il benchmark non è fermo: è dinamico. Anzi è un acceleratore. Quando i tassi dei nostri titoli pubblici si allontanano dal benchmark, ossia dai Bund tedeschi, questa distanza non è statica, non misura un semplice rapporto di valore ma dà essa stessa una direzione: la distanza dal benchmark cresce, il che vuol dire che i mercati considerano i nostri titoli meno sicuri di quelli tedeschi, gli investitori cercheranno allora di liberarsi dei nostri titoli per comprare quelli tedeschi. Questo semplice e basilare movimento di travaso farà sì che i Bund tedeschi, andranno sempre più su: molta domanda permette di abbassare i rendimenti, ossia i tassi. E i nostri Btp sempre più giù: poca domanda costringe ad alzare i rendimenti, ossia i tassi,il che fa scendere i prezzi. E il benchmark si fa sempre più lontano. È così che, un po' alla volta, il termine ha preso una connotazione critica tanto da diventare uno dei termini chiave della crisi. Perché la distanza dal benchmark è quella che intercorre tra noi e la fine della tempesta finanziaria che ha come effetto principale quello di aumentare il costo del denaro che abbiamo presto a prestito per coprire il nostro debito pubblico. H

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Il vocabolario della crisi

BERLUSCONI, SILVIO EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO Massimo Riva

Quando Silvio Berlusconi torna a Palazzo Chigi dopo il successo elettorale della primavera 2008, lo "tsunami" finanziario innescato dalla crisi dei mutui immobiliari americani ha già attraversato l'Atlantico. Dopo i primi allarmi nell'estate del 2007 la bolla dei "subprime" è ormai esplosa e attraverso i vasi comunicanti del circuito bancario internazionale sta mettendo in serie difficoltà l'intero sistema creditizio mondiale. Nessuno è più in grado di illudersi che possa trattarsi di una crisi circoscritta agli Stati Uniti e alle attività puramente finanziarie. Anche nell'economia reale si stanno registrando i primi contraccolpi negativi con il brusco rallentamento dei tassi di crescita. Ma il primo atto del governo Berlusconi sembra non tenere nel minimo conto i repentini mutamenti in corso sull'orizzonte economico. In campagna elettorale il Cavaliere aveva promesso di togliere l'imposta comunale sugli immobili (lei) sulla prima casa anche ai contribuenti più ricchi (per i titolari dei redditi medio-bassi aveva già provveduto il governo Prodi) e mantiene subito la parola data incurante di quanto gli sta accadendo intorno. Seguirà a stretto giro di posta un altro provvedimento di

totale distonia con il precipitare della congiuntura: la detassazione delle prestazioni per lavoro straordinario, che cade in una fase nella quale le imprese già cominciano a fare fatica a garantire nelle aziende il normale orario di lavoro. Sono questi i primi segnali di un atteggiamento di costante rifiuto a misurarsi con la realtà dei fatti che finirà per caratterizzare tutti i tre anni e mezzo di gestione del governo Berlusconi. Con punte parossistiche di irresponsabilità menzognera come i continui annunci di imminenti riduzioni delle imposte. Non solo contraddetti da un aumento nei fatti della pressionefiscale,ma reiterati con pervicacia ancora al principio dell'estate scorsa. Cioè, nei giorni immediatamente precedenti l'intervento di sapore commissariale con il quale l'Unione europea e la Banca centrale di Francoforte hanno preso in mano le redini della finanza pubblica italiana per scongiurare la deriva verso il "default" dove la stava allegramente conducendo il governo Berlusconi. Oggi per un beffardo contrappasso il primo atto del Cavaliere come ex-presidente del Consiglio è stato quello di dover dare l'assenso del suo partito alla reintroduzione dell'Ici sulla prima casa da parte del governo di Mario Monti.

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BERNANKE, BEN PRESIDENTE DELLA FEDERAL RESERVE Federico Rampini È quasi un segno di predestinazione: prima di diventare un banchiere centrale, Ben Bernanke da economista si era dedicato in modo particolare agli studi storici sulla Grande Depressione. In qualche modo gli sono stati utili: non si può dire che lui abbia sottovalutato la gravità della crisi attuale. Al suo nome è legata indissolubilmente la politica del "quantitative easing": in sostanza una massiccia e prolungata iniezione di liquidità sui mercati, effettuata dalla Federai Reserve acquistando titoli pubblici e semipubblici (obbligazioni di Fannie Mae e Freddie Mac, gli istituti di credito immobiliare) . Questa politica che ha gonfiato il portafoglio titoli della Fed per oltre 3.000 miliardi di dollari, ha accompagnato e rafforzato la strategia del "tasso zero", schiacciando ai minimi storici il costo del denaro negli Stati Uniti. Dalla fine del 2008 fino all'estate 2011 l'economia americana ha così goduto di un credito a bassissimo costo, una stampella per evitare che sprofondasse in una recessione ancora peggiore. In questo modo Bernanke ha voluto trarre una delle lezioni storiche dalla Grande Depressione: fra le varie

cause di quella crisi prolungatasi oltre un decennio, vi furono errori di sottovalutazione della banca centrale che non seppe provvedere a una liquidità sufficiente. I sostenitori di Bernanke lo additano come un modello per altri: in particolare la Bce, molto più timida della Fed nell'uso della leva monetaria. D'altronde Bernanke, un repubblicano nominato da George Bush ma confermato da Barack Obama, è fedele a una tradizione e a un mandato istituzionale: la Fed per statuto ha una doppia missione, deve sì garantire la stabilità dei prezzi contro l'inflazione, ma deve anche perseguire la crescita e il pieno impiego. Non mancano le critiche verso il suo operato in questi anni. A destra, i candidati repubblicani alla Casa Bianca Ron Paul e Rick Perry hanno accusato la Fed di stampare moneta indebolendo il dollaro. È un argomento identico a quello usato dai leader dei Bric, le potenze emergenti: cinesi e brasiliani in particolare hanno più volte criticato il "quantitative easing", additando l'eccessiva creazione di liquidità Usa come una causa di inflazione e di bolle speculative nei paesi ad alta crescita. Da sinistra in America la critica a Bernanke è di un altro segno: gli si rimprovera di essere stato acquiescente verso il suo predecessore Alan Greenspan quando la Fed chiuse gli occhi sulla bolla dei mutui subprime. •

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Il vocabolario della crisi

BOND OBBLIGAZIONI BANCARIE E SOCIETARIE Vittoria Puledda

Le obbligazioni emesse dalle società (i Bond corporate) e dalle banche sono forme comunemente usate per le esigenze di finanziamento. Tuttavia la relativa complessità tecnica fa sì che solo le società di maggiori dimensioni vi facciano ricorso, rivolgendosi di volta in volta al mondo dei risparmiatori oppure con emissioni riservate agli investitori istituzionali. Come qualsiasi obbligazione, elementi caratterizzanti di un bond corporate sono il tasso nominale (fisso ο varia­ bile), la periodicità della cedola, il mercato secondario su cui viene scambiato il titolo dopo remissione e il rating dell'emittente. Nella prima parte dell'anno, i timori crescenti ma non ancora drammatici sui titoli di Stato di molti paesi, Italia compresa, avevano spinto gli investitori a ricercare occasioni interessanti proprio tra i bond societari, magari esteri e con rating di primissimo livello, prima che la crisi raggiungesse livelli quasi paralizzanti. Ma la strada in salita diventa un'arrampicata se si parla degli istituti di credito. Un bond bancario emesso in Italia ormai paga il "tasso Btp più uno spread" cioè il tasso riconosciuto al rischio-paese più una percentuale aggiuntiva di rendimento. Le banche sono diventare sorvegliate speciali, nonostante le necessità di finanziamento siano sempre più urgenti, anche perché il mercato interbancario in questo momento è quasi inesistente e quindi resta aperta quasi solo la

I Bond delle banche italiane Stock tìtoli, in miliardi di euro 0 INTESA SANPA0L0 UNICREDIT GROUP UNICREDIT ITALIA MONTE PASCHI SIENA

10 20 30 40

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UBI BANCA

strada delle aste della Bce per fare provvista. Comunque, probabilmente presagendo un possibile deteriorarsi del quadro, le banche hanno realizzato molte emissioni cosiddette "secured" (garantite, in genere da mutui residenziali e crediti verso la pubblica amministrazione) e l'attività non si è mai interrotta, sebbene negli ultimi tempi proceda al rallentatore (anche per gli alti tassi che devono essere pagati agli investitori, e più in generale per l'effetto del credit crunch). Nei primi otto mesi del 2011, i principali 9 gruppi bancari italiani hanno emesso Bond garantiti per 20 miliardi di euro, contro i 15 miliardi complessivamente emessi nel 2010. Praticamente scomparsi invece i bond bancari subordinati. Se invece si considerano i bond emessi da istituzioni finanziarie (cioè banche e assicurazioni) le emissioni "investment grade" sono state finora pari a 42,3 miliardi, contro i 32,5 del 2010. Molto più ridotto, in Italia, il volume delle emissioni "corporate": anche in questo caso limitandosi ai soli bond "investment grade", ce ne sono state per 10 miliardi nel 2011 rispetto agli 11,8 dell'intero 2010.

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ι quaderni αϊ Aliante manza

BREAK-UP (DELL'EURO) Marcello De Cecco È la possibilità di una dissoluzione della moneta unica europea, cedendo alla pressione di un poderoso attacco speculativo ο per una decisione indipen­ dente di parte ο di tutti i paesi che hanno adottato l'Euro. Molti specialisti di diritto comunitario ritengono che i trattati che istituiscono la moneta unica non contem­ plino la possibilità da parte di un paese membro di dismetterla unilateralmente e di esserne espulso. Una separazione consensuale tra tutti i membri, invece, è logicamente possibile, perchè tutto quel che si è stabilito con un trattato internazionale può essere dissolto con un altro trattato. Il Trattato di Lisbona prevede che i paesi membri dell'Unione europea possano uscire individualmente. Quindi, se un paese vuole uscire dalla zona euro riacquistando la propria sovranità monetaria, può farlo uscendo dalla Unione Europea. Può l'Euro essere distrutto dalla pressione dei mercati? Se la determinazione a resistere è forte, nessuna pressione speculativa può forzare la dissoluzione dell'Unione. Gli stati membri possono decidere di far evolvere l'Unione in senso ulteriormente integrativo, unificando Γ emissione di tito­ li di stato, che quindi avrebbero la garan­ zia dell'intera Unione, e accompagnando questa misura con una unificazione della politica fiscale, in modo da evitare che alcuni paesi vivano a spese degli altri, come temono i tedeschi e i paesi del nordEuropa. È anche possibile che il break up si verifichi spezzando l'Unione monetaria 26

in due tronconi, uno formato dai paesi del Nord l'altro dai paesi del Mediterraneo. L' elemento chiave, qualora si arrivi a una tale decisione, che può essere sia concordata che unilaterale da parte dei paesi "forti", sarebbe la decisione della Francia di partecipare all' uno ο all' altro troncone. Se la Francia decidesse di stare con i paesi mediterranei, la moneta comune dei pae­ si del Nord- Europa nascerebbe talmente forte nei confronti di quella dell' area mediterranea, del dollaro, dello Yuan, da mettere a dura prova le capacità concorrenziali della Germania., mettendo in difficoltà gli equilibri interni di quel paese, che esporta il 50% del proprio Pil. Un Euro mediterraneo, invece, darebbe grandi capacità concorrenziali ai paesi che lo adottano, ma probabilmente, andrebbe incontro a seri problemi di integrazione fiscale dell'area monetaria meridionale, e forse a maggiori tensioni inflazionistiche di quelle che sperimenta la zona euro attuale. Il che, qualora continuassero le spinte verso la deflazione nei paesi sviluppati, probabilmente non sarebbe una condizione del tutto negativa, perchè, se mantenuta entro limiti moderati, potrebbe stimolare produzione e occupazione e anche, indebolendosi Γ Euro mediterraneo nei confronti delle altre principali valute, le esportazioni dei paesi dell' Europa del Sud. Un break-up di qualsiasi tipo, tutta­ via, certamente sottoporrebbe i paesi membri della zona euro a fortissime ten­ sioni, non solo di carattere economicofinanziario ma anche politico, e ad enor­ mi difficoltà riorganizzative. E non è detto che sopravvivrebbe a tale break up Γ intera struttura della Unione europea. B.

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Il vocabolario della crisi

BRIC BRASILE, RUSSIA, CINA, INDIA Giovanni Ajassa

BRIC, in inglese, vuol dire "anticaglia". Nel gergo internazionale dell'economia, BRIC è invece l'acronimo che si ottiene unendo le iniziali di quattro tra le più grandi economie emergenti: Brasile, Russia, India e Cina. L'invenzione dei BRIC risale all'autunno del 2001, e si deve alla brillante penna di Jim O'Neil, capo economista della Goldman Sachs. Era allora il tempo amaro della tragedia delle Torri Gemelle. Ma erano pure i momenti febbrili dell'ingresso della Cina nel WTO. Gli investitori mondiali cercavano nuove locomotive per lo sviluppo. I BRIC potevano essere queste nuove locomotive. E così sono stati, anche durante gli anni di questa lunga crisi. L'anno prima del crollo dei "subprime" americani, nel 2006, il peso dei BRIC ammontava al 12 per cento del prodotto interno lordo mondiale espresso in dollari e a prezzi correnti. Quest'anno la fetta del quartetto formato da Cina, Brasile, Russia e India salirà al 19%. Secondo le prudenti previsioni del Fondo monetario internazionale, la quota dei BRIC potrà salire ancora raggiungendo i 23 punti percentuali nel 2016. L'anno 2013 consegnerà al Mondo il cambio del testimone dagli Stati Uniti d'America ai BRIC alla testa della classifica dei maggiori contribuenti alla produzione globale di ricchezza. I BRIC hanno continuato a marciare, a crescere mentre le varie ondate della crisi provocavano instabilità finanziaria, disoccupazione e recessione nelle economie avanzate. A dispetto di prece-

denti esperienze storiche, quello che è successo a partire dal 2007 è una sorta di almeno parziale "decoupling", di sganciamento delle dinamiche economiche delle grandi economie emergenti. Questo è stato un bene per i BRIC, ma anche un grande vantaggio per il resto del mondo. Mentre il motore americano e quello europeo deceleravano e quasi si spegnevano, il fatto che la Cina continuasse a crescere di poco meno di dieci punti percentuali l'anno in termini redi ha rappresentato l'ancora per evitare che la crisi degli ultimi quattro anni assumesse le sembianze della Grande Depressione del secolo scorso. Manifattura, risorse naturali, demografia, controlli amministrativi del credito e una limitata permeabilità ai movimenti internazionali dei capitali sono gli ingredienti che, con proporzioni diverse da paese a paese, hanno contribuito a mantenere forti i ritmi di crescita economica dei paesi BRIC. La crescita sostenuta ha però creato pressioni inflazionistiche che hanno spinto il ritmo annuo di aumento dei prezzi al consumo sopra al cinque per cento in Cina e in Brasile e ancora più su in India e in Russia. Per contrastare l'inflazione, le politiche monetarie dei BRIC hanno adottato un'impostazione sostanzialmente restrittiva. Segnali di rallentamento cominciano ora ad apparire, in Cina come in Brasile ο in India. Per il momento è un rallentamento "endogeno", voluto e realizzato dalle politiche domestiche, più che il riflesso dell'urto esogeno della crisi euro-americana. Finora le dighe dei BRIC hanno retto al contagio dei nostri problemi. Auguriamoci che accada ancora.

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ι quaderni αϊ Aiianor manza

BTP BUONI DEL TESORO POLIENNALI

1 BTP in scadenza In miliardi t2t

Roberto Petrini

Sono una montagna, rappre­ sentano il 70 per cento debito pubblico italiano, pari a 1.159 miliardi: sono i Btp, Buoni poliennali del Tesoro. Rappresen­ tano lo strumento più antico in mano allo Stato per finanziarsi: tassofisso,scadenze da 2 a 30 anni. Tutto ciò significa un rendimento stabile, una cedola da staccare serenamente un paio di volte all'anno. È lo strumento tipico dellafinanzanazional popolare, eppure stavolta è finito nel tritacarne dei mercati. Un po' come il dottor Jekyll e Mr Hyde il Btp ha un secondo volto: quello del suo "future". Il derivato sul titolo decennale è un vero e proprio must della speculazione: poggia su un titolo «sottostante» a tasso fisso, a scadenza abbastanza lunga e ben trattata. Così il Btp è diventato lo strumento più amato dai broker durante la stagione della crisi dei debiti sovrani. Si vende allo scoperto un "future" sul Btp, si aspetta che scenda in parallelo con la quotazione del Btp, si compra sul mercato ad un prezzo più basso rispetto a quanto si è già venduto. Onorato il contratto e fatto il guadagno. Non è un caso che Btp e i suoi cugini tedeschi (i Bund) e quelli francesi (gli Oat), tutti rigorosamente a cedolafissae a dieci anni, siano diventati le star degli ultimi tempi. E non è un caso che lo spread, cioè la micidiale differenza tra i rendimenti rispetto al bund tedesco, sia diventato il termometro della crisi. Ma il Btp, come dicevamo ha anche un'altra faccia, quel28

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la delle grandi masse di risparmiatori che la finanza la vedono solo in tv. Per loro il Btp può rappresentare un'occasione di investimento notevole: le aste di novembre ormai davano rendimenti stratosferici, a un passo dall'8 per cento. Ma attenzione, popolo dei Btp: c'è il rischio di perdita in conto capitale. Chi ha Btp in cassetto e vuole venderli quando crescono i tassi come in questa fase ci rimetterà parecchio. Allo stato attuale, i Btp rappresentano la quota più consistente dello stock e delle nuove emissioni di debito pubblico italiano, che ammonta ad oltre 1.900 miliardi di euro. Ma gli alti rendimenti assicurati ai risparmiatori (che chedono un "premio di rischio" sempre più alto) significano anche costi sempre più alti per il Tesoro, che quei rendimenti deve garantire. Secondo la Banca d'Italia l'effetto dei più alti rendimentiall'emissione sul costo del debito è stato attenuato sia dalla riduzione delle emissioni nette (44 miliardi nei primi nove mesi di quest'anno, contro 83 e 122 miliardi nei corrispondenti periodi 2010 e 2009), sia dall'elevata vita media residua dei titoli pubblici italiani (oltre sette anni). 8

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Il vocabolario della crisi

BUND TITOLI DI STATO TEDESCHI A MEDIO TEMINE Andrea Tarquini

Il rendimento del Bund tedesco A10 anni 3,6 3,2

Il loro nome ufficiale è Bundesanleihen, obbligazioni federali. Da quando la Repubblica federale esiste, i Bund, come li chiamano sui mercati, sono un investimento sicuro, anche se promette rendimenti molto bassi. Anzi, talvolta i rendimenti reali nettifinisconoper essere negativi. Perché il loro rendimento è in molti casi inferiore al tasso d'inflazione e le imposte si mangiano qualcos'altro. Perché allora comprarli? Perché la perdita è minima e nelle tempeste mondiali sono un investimento sicuro. Così è stato finora, almeno. Dalla quarta settimana di novembre qualcosa è cambiato. All'ennesima, regolare asta dei Bund, su 6 miliardi offerti ne sono stati sottoscritti solo 3,9 miliardi, per il resto è dovuta intervenire la Bundesbank. I più pessimisti hanno parlato di un disastro, i più prudenti hanno gettato acqua sul fuoco ma comunque sottolineano, come ha fatto la Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, che il trend negativo è preoccupante. Quest'anno è già successo ad altre otto aste che una parte dei titoli non sia stata piazzata. Dunque non è una novità quanto è accaduto all'ultima asta, ma è una tendenza nuova e inquietante. Potere politico e Bundesbank devono prendere nota che il bassissimo tasso d'interesse (1,98 per cento all'ultima asta, meno dell'inflazione) non è più attraente per i mercati: la perdita piccola programmata non appare più accettabile, meglio investire altrove,

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magari fuori dall'Eurozona. Il segnale dei mercati è chiaro: nell'eurozona in crisi non ci sono più santuari protetti, nessuno è più invulnerabile. Nemmeno la forte Germania, da sempre ritenuta primo della classe globale per efficienza, produttività, eccellenze, conti pubblici. Anche la Germania è sotto tiro, in barba all'incubo dello spread vissuto dagli altri. Per almeno due ragioni. La prima è che la prospettiva di varare eurobonds ο comun­ que di aumentare le spese per il salvatag­ gio dei paesi in grave crisi di debito sovra­ no (spese che inevitabilmente ricadranno in gran parte su Berlino visto il suo peso nella Uè, nel bilancio Bce e del fondo Efsf ) crea timori per la futura sicurezza dei Bund come investimento. Ma c'è un secondo problema. La Germania predica tagli e sacrifici a tutti i partner, ma nella sua ultima finanziaria dà il cattivo esempio. Deficit in aumento di 26,1 miliardi, debito in crescita, dall'80 all'81 per cento rispetto al prodotto interno lordo (pil). Troppo sopra il tetto del 60 per cento del Patto di stabilità e dei Trattati di Maastricht. Un patto che proprio i falchi tedeschi, nel 2002, decisero di violare.

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1 quaderni di Aflari£jFinaiiza

CAPITALE Giovanni Pons Vi sono molte e diverse definizioni di capitale che si agganciano alle diverse teorie economiche che si sono succedute nel tempo. Per capitale si intende la quantità di denaro proprio che un imprenditore versa in una società e con cui intende avviare l'attività acquistando gli altri fattori produttivi necessari alla produzione del bene ο servizio. In Borsa si usa il termine capitale di rischio per indicare il reperimento di risorse sul mercato attraverso la vendita ο la sotto­ scrizione di azioni, in ciò differenziandosi dal capitale di credito che è quello fornito dalle banche ο dal mercato obbli­ gazionario. Il capitale di rischio non ha scadenza e non deve essere rimborsato ma deve essere remunerato per far sì che l'investimento nei titoli che lo rappresentano, le azioni, sia conveniente. Il capitale di credito deve invece essere remunerato con un saggio di interesse e poi rimborsato alla scadenza prefissata. Il capitale, in pratica è la garanzia di solidità di un'azienda, più è alto più l'azienda è solida. Ma il termine capitale è diventato di grande attualità negli ultimi tre anni a causa della crisifinanziariache ha colpito le economie occidentali. Con il proliferare di titoli sempre più sofisticati e complicati da comprendere inseriti negli attivi degli stati patrimoniali delle banche è diventato sempre più importante avere al passivo una quantità di capitale sufficiente a bilanciare eventuali svalutazioni di tali titoli che in molti 30

casi sono stati denominati "tossici". È così venuta alla ribalta la definizione di Core Tier 1, cioè di capitale primario, il quale deve essere sufficiente a reggere eventuali scossoni nel bilancio delle banche. Più capitale si raccoglie, più la banca è solida, più possibilità ha di erogare credito alle imprese e alle famiglie e dunque fare utili con la sua attività caratteristica. Se però si cercano scorciatoie a questo percorso e si impiega la raccolta della banca in attività che possono generare alti rendimenti ma anche grandi rischi allora tutto il castello viene messo in discussione. Negli ultimi anni molte banche sono andate a leva oltremisura, cioè hanno impiegato in attività finanziarie un multiplo del proprio capitale che in alcuni casi ha superato la soglia di 20-30 volte e in alcuni casi anche molto di più. Con lo scoppio della crisi nel 2008 i valori delle attività si sono ridotti drasticamente e le svalutazioni hanno eroso il capitale. Di qui la pressione delle principali autorità di regolazione sulle banche affinchè si dotassero di un capitale primario adeguato in rapporto agli attivi pesati per il rischio molto elevato. Per gli istituti di credito di alcuni paesi il problema è stato risolto con l'intervento di capitali pubblici, in alcuni casi ha aiutato l'intervento dei fondi sovrani cinesi e mediorientali, in altri, come in Italia si è fatto ricorso al mercato, con gli aumenti di capitale di Intesa san Paolo, Unicredit (che ha effettuato tre aumenti capitale in tre anni), Mps, Banco Popolare, Popolare di Milano. Il governo è intervenuto limitatamente sottoscrivendo particolari obbligazioni bancarie chiamate Tremonti bonds. •&

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Il vocabolario della crisi

CAPITALISMO FINANZIARIO

Il boom della finanza

Marco Panara

In migliaia di miliardi di dollari

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Dollari di finanza per 1 dollaro di P i l —

Nel 2003 il prodotto lordo globale ammontava a circa 37 mila miliardi di dollari e il totale dellafinanzatradizionale raggiungeva 321 mila miliardi di dollari, pari a 9 volte il prodotto lordo globale. Nel 2009 il prodotto lordo globale aveva raggiunto 58 mila miliardi di dollari mentre la finanza sommava la mostruosa cifra di 857 mila miliardi di dollari (oltre due terzi dei quali rappresentati da derivati), pari a 15 volte il prodotto globale. Il capitalismo finanziario è in questi numeri, che ne danno la dimensione quantitativa. Il primo problema posto da questa enorme dimensione è "politico": il rapporto di forza tra la finanza e l'economia reale, e tra la finanza e gli stessi stati è diventato impari. Ed è infatti la finanza, la stessa che ci ha precipitato nella crisi, a dettare oggi l'agenda, a fissare i tempi e i modi per gli interventi di risanamento e di rilancio delle economie. Il giudizio sui governi prima degli elettori lo danno i mercati, mentre le istituzioni finanziarie più potenti sono in grado di condizionare legislatori, regolatori e l'opinione pubblica. Ma la dimensione non è l'unico aspetto rilevante. Il capitalismo industriale aveva come obiettivo la creazione di valore attraverso la produzione e lo scambio di merci e servizi per ricavarne un profitto. Lafinanzaè parte fondamentale e positiva del processo di creazione di valore, ma da tempo ormai sul totale delle transazionifinanziariequelle che hanno un rapporto diretto con le attività reali è una quota declinante. Una parte

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TOTALE FINANZA

rilevantissima di quegli 857 mila miliardi di dollari delle attivitàfinanziariesi muove tra i mercati alla ricerca di profitto indipendentemente dalla ricchezza reale prodotta. Movimenti che non contribuiscono direttamente all'economia reale ma che la condizionano molto, attraverso l'effetto ricchezza che influenza i consumi, l'impatto sui tassi di interesse, sui tassi di cambio, fino alle politiche economiche dei paesi. C'è infine un altro aspetto rilevante, e sono le scelte di investimento. La finanza promette molto e rapidamente, e spesso occulta abilmente i rischi. Tutto ciò la rende un competitore formidabile con l'economia reale quando si tratta di scegliere come investire: produrre e affermare un prodotto sul mercato non è meno rischioso della finanza ma sicuramente molto più faticoso e probabilmente, in caso di successo, i suoi risultati sono meno generosi. La conseguenza è uno spostamento di risorse dall'investimento reale a quello finanziario. Che crea poco lavoro e ancora meno sviluppo. Uno dei meccanismi dei quali si discute per ridimensionare le attività finanziarie è la Tobin Tax, una imposta sulle transazioni. Μ

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CAPITALIZZAZIONE Giovanni Pons

Tre anni di Borsa a Milano indice Fise Italia-ΑΙ! share 25.000

La capitalizzazione è il valore che il mercato attribuisce a una determinata società quotata in Borsa. Il valore si ottiene moltiplicando il numero delle azioni circolanti sul mercato (o la cui emissione è già stata deliberata) per il suo prezzo unitario. La capitalizzazione viene dunque utilizzata dagli analisti finanziari e da tutti gli investitori per capire se il valore di una società sta crescendo ο dimi­ nuendo in relazione a ciò che sta facendo ο annunciando alla comunità finanziaria. È un termometro che misura la dimensione dell'azienda sul mercato e può crescere ο diminuire secondo le ope­ razioni che vengono annunciate. Se, per esempio, la Fiat decide di fondersi con la Chrysler, la capitalizzazione del nuovo gruppo sarà data dalla somma dei valori che il mercato esprime per le due società disgiuntamente. Se l'idea della fusione ha un senso industriale ο anche solo finan­ ziario allora può verificarsi che il mercato assegni alla società congiunta un valore anche più elevato alla somma delle due capitalizzazioni. Se invece l'operazione non piace il mercato la punisce e la capitalizzazione scende a meno della somma delle due. Durante le fasi di crisi è possibile che le capitalizzazioni scendano anche molto in basso, come sta succedendo per esempio per i titoli delle banche. Il rischio di una capitalizzazione troppo bassa può produrre due effetti. Ο sca­ tena l'appetito di qualche investitore più liquido che approfitta del basso valore

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per lanciare un'offerta. Oppure, conse­ guenza più nefasta, diventa più difficile lanciare aumenti di capitale sul mercato. Se infatti l'entità dei soldi che vengono chiesti ai nuovi investitori si avvicina ο è addirittura superiore alla capitalizzazione del titolo in quel momento, il rischio è che il prezzo si adegui velocemente a quello dell'aumento di capitale bruciando la capitalizzazione delle vecchie azioni. E' quello che è successo a Piazza Affari nel caso di Fondiaria-Sai, del Banco Popolare e per la Banca Popolare di Milano. Al contrario quando si attraversa una fase di euforia dei prezzi di mercato le capitalizzazioni possono raggiungere valori lontani dai fondamentali della società. È successo nel periodo cosiddetto della New Economy, tra il 1998 e il 2001, quando sul principio di capitalizzazione si giocarono anche dei paradossi economici. Il valore in Borsa della Aol, America online, per esempio, una società di Internet che era stata all'avanguardia nelle connessioni, crebbe talmente tanto in Borsa che ad un certo punto si trovò nell'incredibile situazione di valere più dell'Ibm ο della Gene­ ral Motors. Μ

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Il vocabolario della crisi

CDS CREDIT DEFAULT SWAP Rainer Masera

Il credit default swap rappresenta raccordo tra un acquirente e un venditore di protezione su un certo rischio di credito. Il compratore corrisponde al venditore un premio periodico fino al verificarsi dell'evento creditizio assicurato (credit event), segnatamente il fallimento del debitore. Al verificarsi di tale evento, il venditore corrisponde alla controparte il valore della perdita. Una clausola tipica è quella di ristrutturazione, in base alla quale si determinano le forme che fanno scattare i pagamenti del venditore di protezione. L'accertamento del credit event è generalmente demandato all'Isda (International Swap Dealers Association). Il Cds costituisce, nella sostanza, un contratto di tipo assicurativo per i sottoscrittori di obbligazioni che vogliono coprirsi dal rischio di credito dell'emittente. I contratti non sono in generale regolamentati (derivati OtC - Over the Counter), senza garanzie di una clearing house. Il valore di mercato di un Cds dipende da quattro variabili: il premio all'emissione, il tasso di recupero, la curva dei tassi d'interesse e la curva del Libor (London Interbank Offered Rate). L'entità di riferimento di un Cds può essere un'impresa, una banca ovvero uno Stato sovrano (Cdss). Per i compratori di protezione non è necessario possedere le obbligazioni del Paese di riferimento: in questo caso, si fa riferimento a Cdss nudi, che possono essere utilizzati con finalità speculative, volte a prendere - non a coprire - rischi. L'esposizione tramite vendita di

Cdss consente di sfruttare ampiamente la leva: infatti non si impegna la liquidità che sarebbe necessaria per l'acquisto dell'obbligazione, e, al tempo stesso, si ricevono i premi dall'acquirente di protezione. I Cdss pongono un rilevante problema: le perdite assicurabili dovrebbero essere indipendenti e non catastrofiche, per non indurre il fallimento dello stesso assicuratore; comunque dovrebbero essere rapportate alla base di capitale dello stesso. L'esigenza di regolamentare i Cdss, imponendone la contrattazione attraverso stanze di compensazione e meccanismi di margine, nasce dalle precedenti considerazioni. La mancanza di trasparenza sui Cdss non consente di avere evidenza sui venditori di protezione, che sono presumibilmente poche grandi banche internazionali. Sono palesi i potenziali intrecci perversi e l'azzardo morale. Il Rapporto de Larosière (febbraio 2009), alla base della riforma finanziaria in Europa, ne aveva richiesto la regolamentazione. Le nuove regole non sono ancora state attuate e si attendono solo per l'estate del 2012, prevedendo la proibizione dei Cdss nudi. La turbolenza sui debiti sovrani risente fortemente della carenza di queste regole, dei rischi presi da pochi operatori. I conflitti di interesse sono esplosi a seguito della decisione dell'Isda di non prevedere di attivare il credit event a fronte della proposta di ristrutturazione "volontaria" del 50% del valore del debito sovrano greco, a fine ottobre 2011. Questo ha fatto perdere valore ai Cds emessi per altri Stati sovrani. Si è, pertanto, assistito all'acuirsi dell'effetto contagio a Spagna, Italia e alla stessa Francia.

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CORE TIER 1 COEFFICIENTI PATRIMONIALI DELLE BANCHE Vittoria Puledda

li Core Tier 1 Principali banche italiane, in % INTESA SANPA0L0

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UNICREDIT

È la misura della forza patrimoniale delle banche, l'indicatore che viene monitorato dalle autorità di vigilanza nel tentativo di mettere in sicurezza gli istituti di credito dagli effetti della crisi. Ma qualche volta i rimedi aggravano il male invece di curarlo: l'obiettivo di avere banche sempre più patrimonializzate si è infatti dimostrato pro-ciclico, ha aggravato la crisi, spingendo le banche a varare aumenti di capitale in momenti poco opportuni e/ο a limitare ulterior­ mente il credito per rientrare nei para­ metri di patrimonializzazione. Inoltre, il capitale serve per il rischio di credito, ma non difende da altri tipi di emergenze. E infatti molte delle ultime crisi bancarie in Europa sono state crisi di liquidità, per cui avere istituti sempre più patrimionalizzati rischia solo di renderli più ingessati, non più sicuri. Il Core Tier 1 attuale è frutto delle prescrizioni di Basilea 2, entrate in vigore nel 2007. Il regolamento di Basilea aveva stabilito che dovesse esserci una parte di capitale "nobile" a presidio delle attività di rischio efinoa poco tempo fa un livello pari al 7% era ritenuto più che sufficiente. Poi, sotto i colpi della crisi, l'asticella è stata portata sempre più in alto e proprio di recente l'Eba (European banking authority) ha dichiarato che entro giugno 2012 serve un patrimonio pari al 9% dopo aver valutato al prezzo di mercato tutto il portafoglio titoli di Stato. La disciplina attuale rappresenta già un'evo-

10,5

MONTE PASCHI BANCO POPOLARE UBI BANCA

| 8,3

POP. MILANO CREDEM

III 8,8

luzione del primo approccio fissato da Basilea 1 nel 1988 e sta a sua volta per andare in soffitta, a vantaggio di Basilea 3. Le nuove disposizioni entreranno in vigore dal primo gennaio del 2013 e andranno progressivamente a regime nel gennaio 2019. Negli anni è cambiata soprattutto la logica delle prescrizioni del regolatore. Basilea 1 era stato il primo passo, il riconoscimento dell'importanza di avere un capitale a presidio dei rischi assunti da una banca. Il passaggio successivo è stato Basilea 2, con un focus più attento alle valutazioni delle diverse forme di rischio, lavorando dunque sulla ponderazione dell'attivo. Infine con Basilea 3 il focus viene spostato sulla qualità del capitale, con la definizione di Common equity. L'innovazione finanziaria ha reso necessario infatti codificare in modo più stringente cosa si può considerare capitale di qualità elevata. Gli esempi dei Cashes (Unicredit), dei Fresh (Montepaschi) del Soft Mandatory (Banco Popolare) la dicono lunga sulla varietà di strumenti emessi negli ultimi anni. Le banche italiane, comunque, stanno adeguando il proprio Core Tier 1. Ma basterà?

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Il vocabolario della crisi

CREDIBILITÀ Marcello De Cecco È una parola che si riferisce alle promesse a fare ο a dare da parte di un individuo, un ente, una società, uno stato. Dunque a comportamenti futuri che richiedonofiduciain chi promette. In questa fase è messa in dubbio la credibilità di alcuni stati, ovvero la loro capacità di mantenere gli impegni assunti con i loro creditori quando hanno emesso titoli pubblici. La perdita di credibilità comporta un aumento dei tassi sul debito o, addirittura l'impossibilità di trovare compratori per i propri titoli. Credibilità ha radice comune con credito e credere, e credere implica da parte del credente ο creditore una fiducia, la quale si può acquistare e perdere. Credito e credibilità sono stati mentali che alcuni tentano di graduare, addirittura misurandoli su una scala. In cose di finanza si parla così di merito di credito, che individui, enti, imprese e stati possono avere in varia misura. È una convenzione molto conveniente, quella di credere di poter graduare lafiduciain un individuo, una impresa, uno stato, perchè permette calcoli anche sofisticati per stabilire il costo, ad esempio, di un affidamento bancario, quanto dare a un debitore, per quanto tempo, a quale tasso di interesse. Se si può graduare lafiducia,cioè la credibilità, si può pensare di lenire gli stati di vera incertezza rispetto ai comportamenti di individui, imprese e stati, trasformandoli in stati di rischio calcolabile e assicurabile. Purtroppo, questo non è molto spes-

so vero. Esistono stati di vera incertezza, nei quali si può solo scommettere se un evento si verificherà ο no, ο se una perso­ na ο uno stato sia affidabile ο no, e non è possibile graduare tali scommesse con un calcolo delle probabilità. Nel campo del credito, tuttavia, vediamo molto spesso che individui, imprese ο stati che non sono considerati credibili ο affidabili in una certa situazione lo divengono in un'al­ tra, senza che il mutamento possa essere spiegato razionalmente. Un debitore con­ siderato inaffidabile quando i tassi di inte­ resse di mercato sono alti, può divenire affidabile quando essi scendono, senza che la sua condizione personale cambi. I creditori, semplicemente, trovando difficile collocare i propri capitali perchè le condizioni del credito sono facili, divengono tutt'a un tratto disposti a credere che un cattivo debitore divenga buono e affidabile. Lo stesso accade quando le condizioni del debitore sono difficilmente conoscibili. Si è ad esempio disposti come potenziali creditori a imitare i comportamenti di qualcuno che si ritiene ne sappia di più sul conto del debitore. Tutto quanto appena detto è facilmente verificabile esaminando quel che accade sui mercati finanziari mondiali a partire dal 2007. La credbilità vale sia neirapporti contrattuali tra i privati, sia nei rapporti tra gli Stati e i mercati. Basti pensare al capolavoro di Ciampi nel 1996-1999, quando da ministro del Tesoro del governo Prodi riuscì a portare l'Italia nell'euro. L'operazione riuscì perchè Ciampi, con la credibilità della sua azione, riuscì a convincere i mercati e a ridurre il costo del nostro debito pubblico.

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I quaderni di AffariOFinanza

CREDIT CRUNCH RESTRIZIONE DEL CREDITO Marco Panara

Forse ci siamo, di nuovo. Sarebbe la seconda volta in tre anni che il credito si ferma, il denaro non circola più, gli investimenti si bloccano, i consumi crollano, la crescita dell'economia diventa negativa. Il mostro è il credit crunch, il crollo della disponibilità di credito all'economia. Ci fu subito dopo il fallimento della Lehman Brothers, a metà settembre del 2008, quando da un giorno all'altro le banche smisero di prestarsi denaro l'una all'altra perché non si fidavano più reciprocamente. Nessuna sapeva quanti titoli tossici ci fossero nel portafoglio dell'altra, quanti buchi nel suo patrimonio, e allora la prima reazione fu di non fare credito, anche se dall'altra parte c'era una primaria istituzione finanziaria con la quale si erano fatti affari per decenni. Quando le banche non si fidano, e quindi non si scambiano più denaro, il credito si ferma, perché chi ha poca liquidità non può prestare e chi ne ha a sufficienza preferisce tenersela stretta in attesa di giorni peggiori. Quindi niente più prestiti alle imprese e alle famiglie, con gli esiti ovvi sull'andamento dell'economia, che infatti nel 2009 andò in quasi tutti i paesi occidentali in profonda recessione. A impedire che le cose andassero peggio ci fu l'intervento delle banche centrali: la Bce, la Fed, la Banca d'Inghilterra, la Banca del Giappone inondarono letteralmente il sistema bancario di liquidità, consentendo agli istituti di rifinanziarsi a tassi bassissimi e con garanzie di tutti i tipi. 36

La situazione acuta fu così superata e infatti nel 2010 l'economia, sostenuta da una discreta capacità di credito, ha avuto un buon recupero. Il problema ha cominciato a ripresentarsi nelle scorse settimane in Europa, a causa della crisi dei debiti sovrani. Le banche americane hanno ridotto e in alcuni casi chiuso i finanziamenti alle loro controparti europee, le banche europee hanno cominciato a non prestarsi più soldi tra di loro, questa volta a causa dei titoli di stato (fino a pochi mesi fa considerati l'investimento più sicuro e oggi trattati alla stregua di titoli tossici) posseduti. L'inaridimento dei flussi è stato più lento ma significativo e le banche hanno cominciato ad avere difficoltà a rifinanziarsi presso la Bce per mancanza di collaterali da fornire in garanzia. L'offerta di credito così si è ridotta e rischia di fermarsi del tutto. Anche perché c'è un altro fattore a giocare contro, ed è la richiesta alle banche di livelli di capitale sempre più alti rispetto alla massa dei loro impieghi. Ci sono due modi per alzare quei livelli, uno è aumentare il capitale, che però con i mercati nelle situazioni attuali è difficile e dispendioso, l'altro è ridurre gli impieghi. Molte banche stanno scegliendo questa strada. Per allentare la stretta creditizia il governo Monti nella manovra "salva Italia" ha previsto una garanzia pubblica per le obbligazioni che saranno emesse dalle banche (provvedimenti analoghi saranno presi da tutti i paesi dell'euro), che così avranno meno difficoltà di raccolta. Contempraneamente la Bce ha predisposto nuovi strumenti per fornire al sistema bancario liquidità con finanziamenti a medio termine, ϋ

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Il vocabolario della crisi

CRESCITA

Chi cresce nel mondo

Massimo Riva

Crescita reale cumulata del Pil tra il 2000-2010; var. % no

Trascurato da tempo in nome delle esigenze di rigorefinanziarioe di stabilità dei prezzi, il tema della crescita è tornato al centro dell'attenzione generale proprio in una fase congiunturale nella quale più ardua si annuncia l'individuazione di misure atte a promuovere una più solida ripresa delle attività economiche. Per crescita si intende l'espansione dell'economia di un Paese, cioè la ricchezza prodotta attraverso beni e servizi. La questione riguarda in modo particolare i paesi più sviluppati del mondo occidentale dove le conseguenze della tempesta finanziaria globale sono state affrontate, in un primo approccio, con una strategia di tipo meramente passivo fondata sul pur necessario contenimento di spese pubbliche lasciate correre senza briglie per troppi anni. Ora ci si sta rendendo conto che solo forzando la crescita del Prodotto interno lordo si può evitare che il riequilibrio dei bilanci si possa ottenere soltanto rinunciando a importanti livelli di benessere collettivo raggiunti nel passato. Il primo paese che ha posto il tema della crescita al centro della propria politica economica sono gli Stati Uniti, dove in testa a tutti la banca centrale (Federai Reserve) pratica fin dai primi scossoni della crisi una strategia monetaria nettamente espansiva con tassi d'interesse prossimi allo zero. In Europa la banca centrale di Francoforte si è mossa con ben minore determinazione, anche perché influenzata dagli atavici incubi tedeschi sul fronte dell'inflazione.

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STATI UNITI

AREA EURO

ITALIA

Cosicché, avendo goduto la Germania di un'eccellente performance economica nel 2010, nei primi mesi di quest'anno la Bce ha provveduto a due successivi rincari di un quarto di punto del tasso ufficiale nel timore che nella maggiore economia dell'eurozona potesse svilupparsi una pericolosa rincorsa fra salari e prezzi. Ora che anche la Germania sta rallentando e la guida della Bce è passata nelle mani di un uomo come Mario Draghi, di scuola più anglosassone, si è fatto un primo passo indietro con il ritorno del tasso ufficiale all'I per cento. La generale frenata della crescita indica che questo taglio non basterà, anche se è risaputo che la manovra monetaria agisce come una corda: ottima per stringere, non altrettanto per spingere. Accanto a un pur indispensabile basso costo del denaro, sono necessari interventi di stimolo che possono venire solo dalla politica industriale e dal rilancio delle opere pubbliche. Fattore quest'ultimo che obbligazioni europee, destinate a finanziare investimenti anziché a salvare banche mal gestite, potrebbero rendere decisivo per far riprendere la via di una più solida crescita.

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I quaderni di Affari&Finanza

CRISI Marcello De Cecco

Nell'estate-autunno 2007 è cominciata la crisifinanziariainternazionale, che nel corso degli anni successivi si è trasformata in crisi dell'economia reale di tutti i paesi sviluppati. La crisi finanziaria è iniziata negli Stati Uniti come stadio finale di una bolla edilizia di enormi proporzioni, caratterizzata da mutui concessi a persone che non erano in grado di offrire garanzie di restituzione del capitale e degli interessi. Ci si è ben presto accorti che anche molti investimenti provenienti da altri paesi si erano riversati sul mercato dei mutui edilizi americani e che quindi l'esplosione della bolla americana interessava una parte cospicua dei mercati e delle grandi istituzionifinanziariedi altri paesi. Il tentativo di far continuare a debito la prosperità della classe media americana, che avrebbe dovuto ridursi se si fossero considerati solo i redditi effettivi delle famiglie, è sfociato, quando la bolla è esplosa, nella illiquidità e minacciata insolvenza delle istituzioni finanziarie che tali debiti avevano somministrato inopportunamente. Venuta a cessare l'infusione costante di potere d'acquisto mediante il debito, la crisi si è trasmessa anche all'economia reale dei paesi industrializzati, con crolli dei consumi e degli investimenti, che a loro volta hanno peggiorato la situazione sui mercatifinanziari.L'intervento massiccio delle autorità monetarie e di governo per arginare i crolli sui mercati si è diretto alle istituzionifinanziarie,e ha richiesto risor38

se pubbliche talmente ingenti da determinare il drastico peggioramento delle finanze pubbliche dei paesi coinvolti nei salvataggi. Così la crisi si è trasmessa anche al debito pubblico dei paesi sviluppati, spingendo i bilanci di alcuni di essi in direzione della virtuale bancarotta. In particolare, si sono trovati in questa condizione l'Italia, che si portava appresso un enorme debito pubblico accumulato per la gran parte negli anni ottanta, ma anche paesi nei quali l'alto tasso di sviluppo del Pil nell'ultimo decennio aveva permesso mediante l'aumento delle entrate fiscali una forte aumento della spesa pubblica non accompagnato da un deterioramento delle finanze pubbliche. Venuta meno la crescita a causa degli effetti reali della crisi, tali paesi, come Irlanda, Spagna e Grecia, hanno mostrato forti deficit e rapido aumento del debito pubblico. Queste nuove condizioni di finanza pubblica hanno indotto le società di rating ad abbassare il merito di credito di queste istituzioni, ulteriormente squilibrando i conti dei debitori interessati dai rating e impedendo che le autorità pubbliche fossero in grado di intervenire con misure di rilancio della domanda negli stessi. La crisi ha quindi assunto caratteristiche di pericolosa autoalimentazione, secondo un meccanismo circolare dal quale è difficile venire fuori se si adottano politiche economiche ortodosse. Oggi la crisi è un mostro a tante teste, pericoloso perchè multiforme. Crisi di liquidità e crisi di solvibilità. Crisi di credibilità, crisi industriali e crisi occupazionali, In sintesi, crisi di sistema, che non risparmia più nessuno. 3

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Il vocabolario della crisi

DEAUVILLE VERTICE DEL G8 Giampiero Martinotti

La prima grande occasione sprecata nella gestione della crisi europea si chiama Deauville. A fine maggio 2011, Sarkozy accoglie in pompa magna il G8, ma i leader sembrano avere la testa altrove: il presidente francese cerca soprattutto i consensi per imporre Christine Lagarde alla guida del Fondo monetario internazionale; lo stesso Fmi, con Dominique Strauss-Kahn agli arresti domiciliari e dimissionario, è politicamente azzoppato; Barack Obama vuole soprattutto dare una mano alla primavera araba, che in quei giorni è al centro di tutte le attenzioni dei paesi occidentali; Angela Merkel si preoccupa di evitare che il contribuente tedesco paghi per i greci; Silvio Berlusconi tira Obama per la giacchetta solo per dirgli che in Italia c'è una dittatura dei giudici. Nessuno sembra aver avvistato la tempesta che sta per investire l'eurozona. Certo, ramministrazione di Washington chiede agli europei di risolvere il problema dei Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna; la seconda T, quella dell'Italia, non c'era ancora), ma non c'è nessun vero allarme. Nel comunicato finale si legge questa lunghissima fra se: «L'Europa ha adottato un vasto insieme di misure per trattare la crisi dei debiti sovrani fronteggiata da alcuni paesi, e continuerà a far fronte alla situa-

zione con determinazione e a sforzarsi di consolidare le sue finanze pubbliche e mettere in opera riforme strutturali per sostenere la crescita». Parole che vanno bene per qualsiasi anno e qualsiasi situazione. A Deauville i Grandi non capiscono che la sfiducia dei mercati rischia di far bruciare la casa europea. Dirlo dopo è sicuramente facile, ma si suol dire che il ruolo dei politici dovrebbe essere quello di anticipare i fatti, di individuare le crisi prima che producano danni irreparabili. Ma Deauville era stato peraltro il luogo di un'altra infelice decisione. Il 18 ottobre 2010, in un incontro bilaterale Merkel-Sarkosy, su pressione tedesca si decise di far pagare alle banche che avevano in portafoglio titoli pubblici greci una parte consistente della loro riduzione di valore, il famoso "haircut". Una scelta che era stata osteggiatafinoall'ultimo dall'allora presidente della Bce Jean Claude Trichet, per il timore che quel passaggio avrebbe allargato il contagio alla Spagna e all'Italia. Come poi, anche a causa dell'incauta decisione presa a Deauville da Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, è regolarmente avvenuto, trasformando la crisi greca nella crisi dell'Euro. La Merkel peraltro, nel Consiglio Europeo dell'8 e 9 dicembre a Bruxelles, è peraltro tornata sui suoi passi, assicurando che non ci saranno più ristrutturazioni dei debiti dei paesi di Eurolandia. H

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I quaderni di Affari&Finanza

DEBITO

I debiti delle famiglie

Marco Panara

In % del Pil STATI UNITI

Debito è la parola chiave di questa crisi. Se n'è accumulato troppo per mantenere e accrescere un tenore di vita e una capacità di consumo che l'andamento declinante dei redditi da lavoro non avrebbe consentito. Il debito è uno strumento utile perché consente di allocare meglio le risorse e favorire lo sviluppo. Naturalmente bisogna pagare gli interessi e restituire il capitale, per cui è bene utilizzarlo con misura e concederlo con rigore. Il problema è che da un po' di anni a questa parte quella misura e quel rigore sono mancati. Ha cominciato l'Italia negli anni '80 raddoppiando il suo debito pubblico, poi negli anni '90 è stata la volta del Giappone, sempre con il debito pubblico e, da metà degli anni '90finoall'esplosione della crisi è arrivato il boom del debito privato negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Irlanda, in Spagna e in altri paesi. Il grande motore dell'aumento del debito privato è stato il settore immobiliare con l'aumento dei prezzi delle case, che hanno spinto le banche afinanziarenon solo l'acquisto della casa ma anche gli incrementi di valore di quella stessa casa. La novità è stata la democratizzazione del debito, ovvero la possibilità di accedervi anche da parte di chi non aveva garanzie da offrire, spesso neanche un lavoro ο un reddito. La crescita esponenziale del debi­ to è stata resa possibile da un'altra innovazione, la sua cartolarizzazione, ovvero la trasformazione della somma di debiti contratti da singoli individui con singole ban40

G. BRETAGNA SPAGNA GIAPPONE GERMANIA FRANCIA ITALIA

che in titoli negoziabili. In questo modo le banche hanno potuto aumentare esponenzialmente la loro capacità di erogare credito in quanto poi lo rivendevano trasformato in titolo finanziario sui mercati finanziari di tutto il mondo. L'esito di questo processo è stata la costruzione di una montagna enorme di debiti, pubblici e privati, rappresentati da titoli e in parte garantiti da immobili. Quando gli immobili hanno cominciato a perdere valore hanno perso valore anche i titoli ad essi legati facendo crollare l'intera montagna. Le istituzionifinanziariepiù esposte sono andate in difficoltà, gli stati sono intervenuti per salvarle e in questo modo sono aumentati anche i debiti pubblici, cresciuti anche per il sostegno all'economia durante il periodo più acuto della crisi. Vivere a debito è diventato, oltre che uno stile di vita, un modello di "sviluppo", soprattutto negli Stati Uniti. Ma ora il giocattolo si è rotto. La pressione fortissima dei mercati impone una riduzione dei debiti, con effetti sull'economia reale che soffre per una contrazione dei consumi e degli investimenti che il credito non è più in grado di finanziare.

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Il vocabolario della crisi

DEBITO SOVRANO

1 debiti sovrani

Massimo Riva

In % del Pil; dati 2010 GRECIA

Con questo termine si intende l'insieme dei debiti accumulati da uno Sta­ to attraverso le sue varie articolazioni, ovve­ ro da parte di tutti i soggetti in grado di ottenere finanziamenti, direttamente ο indirettamente, sotto la garanziafinaledi solvibilità da parte dello Stato. La raccolta del denaro per questi crediti viene fatto di regola con remissione di titoli detti del Tesoro. Essi possono essere a tassofissoο variabile e di differenti durate. In Italia i principali a breve termine (tre, sei, dodici mesi) sono chiamati Buoni ordinari del Tesoro ovvero Bot. Quelli a media ο lunga scadenza sono i Buoni poliennali (Btp) e hanno durate che variano dai due ai trent'anni: i più diffusi sono quelli con scadenze a cinque e dieci. Quotidianamente questi Buoni vengono scambiati sul mercato secondario e la loro quotazione oscilla principalmente in funzione della concorrenza con altri titoli di credito, pubblici ο privati, oltre che in funzione del giudizio di affidabilità sullo Stato emittente. Nei tempi più recenti è proprio quest'ultimo fattore a farla da padrone come dimostra la costante altalena dello "spread" ovvero del differenziale fra il rendimento dei buoni di un determinato paese con quello dello Statoritenutopiù solido. In Europa il metro di confronto sono i "bund" della Germania. I debiti sovrani sono ora al centro dell'attenzione dei mercati perché alcuni paesi hanno raggiunto livelli di indebitamento che impongono loro un onere talmente elevato in termini di interessi annuali da far

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temere che non possano reggere a lungo i propri impegni. E questo oggi il caso della Grecia, e solo la robusta manovra predisposta in tempi record dal governo Monti per il riequilibrio dei conti pubblici ha evitato che analoga prospettiva si aprisse anche per l'Italia. Il debito sovrano maggiore del mondo è quello degli Stati Uniti ma esso sembra suscitare minore allarme sui mercati probabilmente per il fatto che quel paese non è nuovo a uscire dalle strette finanziarie stampando moneta. Una via preclusa ai paesi più deboli dell'eurozona a causa della contrarietà dei soci più solidi a pagare dazio per errori ο irresponsa­ bilità altrui. Va, infine, ricordato che il debito pubblico non è, come oggi sembrerebbe, un male assoluto. Lo è sicuramente i paesi che lo hanno usato per coprire la spesa corrente, non lo è altrettanto certamente per quegli Stati che per questa via hanno realizzato investimenti produttivi. La tragedia dell'Italia è quella di appartenere alla prima categoria. Il debito pubblico italiano ammonta ad oltre 1.900 miliardi di euro. I governi Berlusconi, tra il 1994 e il 2011, l'hanno fatto aumentare di 546 miliardi in valori assoluti.

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I quaderni di Affari&Finanza

DEFAULT INSOLVENZA Alessandra Carini

Lessicalmente è una mancanza, un'inadempienza. Nel linguaggio dellafinanzavuol dire fallimento, cioè l'incapacità di un soggetto di rispettare le clausole previste da un contratto di finanziamento. Nella realtà degli ultimi mesi default è diventato sinonimo di incubo, perché la sola parola, spesso accoppiata a spread, genera la paura di un crack generalizzato e, attraverso comportamenti conseguenti a questa paura, lo rende più probabile. Eppure il default di uno Stato, cioè l'incapacità dichiarata del governo di un Paese di ripagare il proprio debito, non è cosa rara, nemmeno negli ultimi anni: senza considerare i paesi sudamericani (il Venezuela ha fatto fallimento per ben cinque volte in trent'anni) di recente ci sono stati tre default importanti, quello dell' Argentina nel 2001, noto ai risparmiatori italiani per i tango bond, quello della Russia nel 1998, che portò ad una svalutazione del rublo dell'84%, e quello dell' Islanda nel 2008, che, con un reddito prò capite elevato, un debito pubblico al 28%del Pil, ma un debito bancario privato insostenibile, scelse di azzerare il debito e mandare a casa i politici colpevoli della situazione, ricominciando da una nuova costituzione del Paese. In tutti questi casi i costi per i Paesi sono stati salati: inflazione unita alla recessione, taglio dei redditi, svalutazione dei risparmi, crack bancari e di imprese, anche se la situazione, pur con questi prezzi elevati, è stata recuperabile nel giro di alcuni 42

anni dal punto di vista economico, meno da quello della fiducia dei mercati che hanno una memoria più lunga. In tutti questi casi il default di un paese non ha determinato crisi sistemiche. Oggi la fragilità dei mercati, il peso dei debiti sovrani, il possibile contagio internazionale attraverso le perdite delle banche, il legame dell'euro e l'importanza delle economie in gioco, fanno dell'ipotesi che si realizzi l'inadempienza di uno Stato qualcosa di più simile ad un crack collettivo che non al tipo di default del quale abbiamo già esperienza. La Grecia, che non è tra le economie più grandi, ha mandato in crisi tutta l'area euro pur non avendo tecnicamente ancora fatto default, ma avendo avviato una trattativa per ristrutturare il debito con i propri creditori. Se un'economia importante come l'Italia dichiarasse di non poter pagare più il suo debito pubblico, (1900 miliardi per metà detenuti da stranieri), e ne chiedesse un abbattimento per esempio del 30%, qualcosa come 650 miliardi sparirebbero dai conti dei creditori, con una capacità di trasmettersi, via perdite delle banche, aumento dei tassi, incertezze legali e crollo dei mercati, al resto dell' economie europee e mondiali. Sarebbe un disastro assai difficile da fronteggiare. Nonostante questo, e nonostante le esperienze passate (Venezuela, Argentina, Russia e Islanda) sono molti oggi, specie tra le opinioni pubbliche, coloro che vedono nel default volontario di uno Stato la soluzione dei suoi guai. Anche in Italia si sente parlare spesso di "diritto al default" e di "default controllato". Slogan buoni per la piazza, meno per la realtà. •

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Il vocabolario della crisi

DEFICIT

L'esplosione del deficit

Roberto Petrini

in % del Pil; dati 2010

Negli anni tra il 1986 e il 1990 il deficit italiano rispetto al Pil oscillava intorno all'11,5 per cento. Poi il 7 febbraio del 1992 le cose cambiarono. Con il Trattato di Maastricht l'Europa si impegnava a convergere su un'unica moneta e ad armonizzare i bilanci pubblici. Il deficit è la differenza tra entrate e uscite, tra quanto lo stato incassa e quanto spende. La differenza bisogna farsela prestare sul mercato, emettendo titoli di Stato. Il Trattato di Maastricht introdusse una regola assai semplice: il deficit non può essere superiore al 3 per cento del Pil. Ci si può indebitare, ma appena un po'. Da allora la corsa alla riduzione è stata incessante. L'Eurozona fece uno sforzo notevole: nel periodo 1992-1996 la media del rapporto deficit-Pil era del 5 per cento; in prossimità dell'entrata in vigore dell'euro scese nella media europea all'1,6 per cento. L'Italia non si tirò indietro: nel 1992, quando il deficit viaggiava al 10,5 per cento e la lira svalutò, toccò a Giuliano Amato il compito di aprire la strada al risanamento dei conti, poi ci fu lo sforzo di Ciampi e l'eurotassa di Prodi, quando eravamo ad un passo dal traguardo. Incassammo il dividendo di Maastricht, meno interessi da pagare e una carta in più da giocare sul tavolo dello sviluppo. Perché le cose tornassero a girare storte dovette arrivare il biennio 2004-2005: Berlusconi voleva a tutti i costi abbassare le tasse, fu fatta una piccola correzione in deficit e «sfondammo». Arrivò puntuale il «cartellino rosso»

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della Uè che ci rimproverava un deficit risalito al 4,3 per cento (il governo di centrosinistra nel 2001 lo aveva lasciato allo 0,8 per cento). Tornò Prodi, con a fianco Tommaso Padoa-Schioppa, e il deficit calò di nuovo: nel 2007 eravamo, tranquilli, all'1,5 per cento. Poi di nuovo Berlusconi e Tremonti: nonostante la cura violenta dei «tagli lineari», ovvero uguali in proporzione per tutti, le spese hanno ripreso a salire. Complice la crisiesplosa nel 2007 il deficit ha ricominciato a correre: 5,4 per cento del Pil nel 2009. Non è andata meglio nel resto d'Europa dove, negli anni cruciali 2009-2010 si è arrivati in media a superare il 6 per cento. Ora si cerca di far sparire dal vocabolario economico la parola deficit: al suo posto si tenta di mettere «pareggio di bilancio». Il deficit italiano è di circa 40 miliardi di euro, pareggio vuol dire azzerare quella cifra, fra maggiori entrate e minori spese per lo Stato. L'obiettivo delle manovre della scorsa estate e di quella del governo Monti è raggiungere il pareggio nel 2013, secondo le indicazioni dell'Europa. Il vincolo sarà introdotto nella Costituzione, sul modello di quanto già accade in Germania, il

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I quaderni di Affari&Finanza

DEFLAZIONE Giovanni Ajassa

Deflazione è il contrario di inflazione. C'è deflazione quando in un paese si realizza una sistematica diminuzione del livello generale dei prezzi. Altra cosa è la disinflazione, che è una decelerazione del livello dei prezzi. In pratica, un tasso di variazione dell'indice generale dei prezzi al consumo che scende dal tre al due per cento è sintomatico di una disinflazione in corso. Diversamente, un tasso di variazione dei prezzi al consumo che passasse dal più tre per cento al meno tre per cento l'anno testimonierebbe una marcata e grave deflazione. A dispetto di quanto si temeva al suo inizio, la crisi iniziata nel 2007 ha provocato solo limitati e transitori esiti deflattivi. Negli Usa il tasso annuale di variazione dei prezzi al consumo è sceso sotto lo zero per soli otto mesi, da marzo a ottobre del 2009. Il calo dell'indice dei prezzi al consumo è rimasto limitato intorno ai due punti percentuali. Nell'area dell'euro gli spunti deflattivi sono stati ancora minori. Il tasso di inflazione è transitato in territorio negativo per soli cinque mesi, da giugno a ottobre 2009, con una caduta che al peggio è giunta a lambire i sei decimi di punto percentuale su base annua. Se Usa ed Euro-area hanno saputo evitare la deflazione, merito è stato di un allentamento monetario tale da impedire che il calo della spesa da parte dei consumatori fosse così intenso da innescare un abbattimento del livello generale dei prezzi dei beni e servizi in 44

vendita. Se la spirale deflattiva fosse partita, la recessione sarebbe diventata una vera e propria depressione. Al calo della domanda dovuto alla discesa dei redditi si sarebbe aggiunto l'effetto deleterio della "tesaurizzazione" della liquidità da parte di chi, pur potendo spendere, avrebbe preferito attendere livelli di prezzo ancora più bassi. Uno scenario, purtroppo, già visto, non solo ai tempi della Depressione del 1929 ma anche, più recentemente, negli anni della cosiddetta "lost decade", il decennio perduto della deflazione giapponese. Deflazione vuole dire calo generalizzato e consistente di tutti i prezzi, compreso quello del lavoro. Non è deflazione la riduzione, in Italia e in Europa, di oltre venti punti percentuali tra la fine del 2007 e ottobre 2011 dell'indice dei prezzi di beni come televisori e computer. Non è deflazione, il calo dei prezzi di un singolo tipo di bene ο servizio quando ce ne sono molti altri i cui prezzi invece aumentano. La regola vale per tutti i set­ tori, ma ha anche un'importante eccezio­ ne: quella del mercato immobiliare. Il prezzo delle case non è oggetto del paniere del costo della vita. I lunghi cicli delle valutazioni degli immobili incorporano rischi di violente rotture deflattive che è sempre bene considerare. Per nostra fortuna, in Italia gli aumenti dei prezzi delle case realizzati tra il 1997 e il 2007 sono stati più graduali e moderati che altrove. Una fase di segno opposto, ma altrettanto lenta e graduale, è iniziata dal 2007. Diversa è la situazione in altri paesi, in Europa e nel Mondo, dove rischi di brusche correzioni al ribasso dei listini immobiliari appaiono ben più tangibili.

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Il vocabolario della crisi

DELEVERAGING

La montagna del debito

Marco Panara

Indebitamento complessivo, in % del Pil 480 440.......••

È una parola inglese che vuol dire riduzione dell'indebitamento. Avendo accumulato una quantità di debiti eccessiva, che è la causa che ha determinato lo scatenarsi della crisi, il processo di riequilibrio impone una riduzione progressiva dei debiti accumulati. Le famiglie devono risparmiare per pagare i debiti pregressi, lo stesso devono fare le imprese e gli stati devono ridurre le spese e imporre nuove tasse per azzerare i deficit di bilancio e ripagare anch'essi i debiti accumulati. La riduzione del debito non è però una operazione semplice. La ragione della difficoltà sta nel fatto che per risparmiare e per pagare più tasse ci sono due strade: la prima è quella di ridurre i consumi e gli investimenti, opzione che però blocca la crescita dell'economia anzi la spinge verso la recessione. Questa strada comporta quindi il rischio di un impoverimento progressivo e, poiché i consumi non sono comprimibili all'infinito, il rischio che alla fine non ci siano abbastanza risorse per ripagare i debiti pregressi. La seconda possibilità è di produrre più ricchezza, il che consente più facilmente di pagare il debito accumulato. Per percorrere questa seconda strada è però necessario che consumi e investimenti possano crescere alimentando il ciclo economico, ma è difficile far crescere i consumi e gli investimenti se non c'è credito a sufficienza e a buon mercato. Il fattore chiave è il tempo: se si ha abbastanza tempo per ridurre il debito progressivamente

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è possibile adottare un mix di politiche per favorire il risparmio senza compromettere la crescita. Ma perché ci sia tempo a sufficienza è necessario che i creditori, ovvero i mercati, abbianofiducianella capacità dei debitori di pagare gli interessi e di restituire il capitale. Questafiduciaè legata ai comportamenti e alle scelte pubbliche e private dei debitori stessi. Negli ultimi mesi questafiduciasi è ridotta e in alcuni casi è venuta a mancare, per cui le banche non si prestano più denaro l'una all'altra e prestano sempre meno ai loro clienti, mentre i sottoscrittori di titoli di stato si fidano sempre meno della capacità dei governi di mettere ordine nellefinanzepubbliche dei loro paesi. L'accentuarsi delle difficoltà dei paesi più deboli dell'area euro dipende da questa crisi difiducia,che toglie loro il tempo necessario per ripagare i debiti con i redditi futuri e li spinge a politiche restrittive che compromettono la crescita e quindi la possibilità stessa di creare quei redditi futuri. Dal rapporto tra tempo e fiducia dipenderà la qualità del processo di deleveraging che comunque segnerà gli anni a venirefinoal raggiungimento di un nuovo equilibrio. Μ

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I quaderni di Affari&Finaiiza

DEMOCRAZIA Nadia Urbinati

Tra le numerose critiche alla democrazia, ve n'é una che non ha mai perso di smalto: i molti non sono competenti a decidere su questioni complesse. Come può la regola di maggioranza essere un buon criterio quando si tratta di scelte che riguardano valori? Le democrazie moderne hanno risposto dotandosi di costituzioni e carte dei diritti; la separazione dei poteri, un'ordinamento giudiziario autonomo, il controllo di costituzionalità delle leggi servono a limitare il potere politico in relazione a sfere di vita che sono importanti per la libertà individuale. Ma come rispondere alla critica che fa perno sulla competenza? Questa é l'obiezione più intrigante. Il fatto che oggi tutti si dicano democratici non toglie che ci sia chi coltiva l'ambizione di domare la regola di maggioranza con espedienti volti a produrre decisioni corrette. Per esempio, la teoria della democrazia deliberativa persegue questo ideale proponendo procedure volte a correggere le opinioni partigiane e a dare spazio al discorso ragionato. Ma se nella scrittura della costituzione l'ambizione di imparzialità é legittima e ragionevole, nella politica ordinaria lo é molto meno; se lo fosse, il pluralismo e la competizione elettorale, quindi il sistema rappresentativo, verrebbero a cadere. Ma l'obiezione dei competenti può prendere altre forme. Per esempio, sostenere che alcuni settori (come il bilancio dello Stato) debbano essere sottratti alla politica, poiché i partiti sono pronti a 46

ignorare le ragioni dell'economia quando si tratta di non perdere il consenso. È questa un'obiezione calzante? In generale, nella sfera delle decisoni politiche é rarissimo che ci si trovi di fronte a questioni che hanno solo una riposta giusta. Se in progetto c'è, per esempio, la costruzione di un tunnel ο il taglio della spesa pubbli­ ca, la scelta che si impone ai parlamenti riguarda l'utilità e la giustizia, e i pareri tecnici (spesso discordanti tra loro) sono importanti per aiutare a chiarire le questioni relative, per esempio, all'impatto ambientale del tunnel ο alla ricaduta sociale dei tagli. Ma, su se costruire ο no quel tunnel ο come distribuire i costi di una crisi economica é la comunità democratica a decidere, non altri, poiché la libertà politica risiede nel fatto che chi deve obbedire alle leggi deve anche avere il diritto contribuire a farle. Diversamente, si ha un governo dispotico, anche quando il despota sia un competente ο un santo. Ora, tra le ambizioni più nocive alla libertà e al benessere generale vi é quella di pensare di poter trattare la società come una macchina che é meglio diretta se le ragioni partigiane stanno fuori della stanza dei bottoni. Si dice allora che gli esperti devono decidere su che cosa sia utile e giusto per tutti. Nel passato anche recente, questa utopia tecnocratica ha partorito dei mostri. La sua alternativa é rappresentata dalla democrazia, per la ragione molto semplice che questa non ha alcuna pretesa di verità. Una comunità politica può legittimamente decidere di usare il servizio degli esperti. Ma qui si ferma il potere dei tecnici. L'opera creativa é e resta della collettività dei cittadini.

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Il vocabolario della crisi

DERIVATI

I derivati moltiplicano la finanza

Alessandro Santoni

In migliaia di miliardi di dollari Usa

Il derivato è uno strumento finanziario il cui prezzo dipende dal valore di uno ο più strumenti finanziari sottostanti. Questi ultimi sono generalmente oggetto di compravendita sul mercato a pronti e comunemente possono essere obbligazioni, azioni, materie prime, valute, tassi d'interesse etc; gli strumenti derivati più utilizzati sono le opzioni, i futures, i warrant, gli swap etc. Caratteristica importante dei derivati è che sono contratti a termine nei quali la prestazione è differita ad una data futura; il regolamento a scadenza presuppone il pagamento del differenziale fra il prezzo (o rendimento) corrente di uno strumento finanziario di riferimento e quello prestabilito nel contratto, oppure la consegna ο l'acquisto ad una datafiituradi uno strumento finanzia­ rio ad un prezzo predeterminato. Esistono derivati strutturati per qualsiasi esigenza e basati su qualunque variabile, utilizzati principalmente per arbitraggio, specula­ zione e copertura. I derivati vengono scambiati essenzialmente su mercati non regolamentati gestiti da istituzioni finan­ ziarie e da professionisti. Nonostante sia ormai assodato che la crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2007 sia stata causa­ ta in parte proprio dalla proliferazione di prodotti derivati legati ai mutui immobi­ liari americani, la crescita di questo mer­ cato non sembra conoscere crisi. Secondo i dati diffusi dalla Banca dei regolamenti internazionali, alla fine di giungo 2007 l'ammontare complessivo di derivati otc

FINANZA

DERIVATI

(scambiati su mercati non regolamentati) risultava di oltre 516 trilioni di dollari. Alla fine del 2008, nel pieno della crisi subpri­ me, l'ammontare complessivo di derivati in essere risultava di circa 592 trilioni di dollari. A giugno 2011 l'ammontare di deri­ vati ha raggiunto i 708 trilioni di dollari (con una crescita rilevante dei credit default swaps). Si tratta di oltre 10 volte il Pil mondiale. Tra i principali promotori dell'utilizzo dei derivati nella finanza si annota l'ex Governatore della Fed Alan Greenspan che sosteneva che il mercato sarebbe stato capace di autoregolamentarsi nell'utilizzo dei derivati e che questi non avevano bisogno di alcuna regolamenta­ zione da parte dei Governi. Il mercato dei derivati rimane ad oggi non disciplinato nonostante Paul Volker, consulente del Presidente Usa Obama, ne avesse chiesto la regolamentazione come condizione fondamentale per un ritorno all'ordine nellafinanzamondiale. L'esigenza di get­ tare una rete e di riportare sotto controllo questa gigantesca "piovra" che nuota nel mare della finanza mondiale è chiara a tutti. Ma finora nessuno, tra i pochi che ci hanno provato, ci è ancora riuscito. s£

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I quaderni di AffariOFinanza

DEXIA BANCA DEL BELGIO

Giampiero Martinotti

Dexia ο il fallimento senza ter­ remoti. Bisogna riconoscere a francesi e belgi di aver agito con molto tatto per orga­ nizzare il default del gruppo bancario: le attività di banca commerciale sono state recuperate dallo Stato belga, i crediti agli enti locali concentrati in una 'bad bank' addossata a due giganti francesi, la Banque Postale e la Caisse des Dépots. Gli Stati, insomma, hanno messo mano al portafogli ed evitato che il fallimento della Dexia finisse per accrescere il marasma sui mercati. La storia èfinitameno peggio di quel che si poteva temere, ma al tempo stesso è l'illustrazione della follia dei banchieri, della megalomania di chi ha pensato, negli anni Novanta, di poter costruire sogni con la finanza creativa. Eppure, all'inizio, la fusione tra la belga Ccb e la francese Clf sembrava una buona operazione. La primafinanziavagli enti locali belgi grazie alla sua attività di banca al dettaglio; la seconda, invece, si finanziava sui mercati per prestare a comuni, dipartimenti e regioni. C'erano le sinergie e i fondamentali. Peccato che ci fosse anche la megalomania dei dirigenti, decisi a fare di Dexia un protagonista della finanza europea. Senza tuttavia darsene i mezzi: il gruppo belga e il gruppo francese non si 48

sono mai veramente integrati, ciascuno ha continuato a funzionare a modo suo, la direzione centrale dei rischi è rimasta allo stato larvale. Tra le operazioni che avrebbero dovuto irrobustire il gruppo ci fu l'acquisizione dell'americana Fsa per 2,16 miliardi di euro, una società che garantiva i comuni che emettono obbligazioni sui mercati. Nessun amministratore guarda troppo per il sottile: i dividendi si accumulano, Fsa sembra una gallina dalle uova d'oro, tutti sono felici e contenti. Peccato che la Fsa si avventuri sul mercato dei subprime e il tracollo è quasi immediato. Dopo il fallimento della Lehman Brothers, Dexia è immediatamente strangolata dai problemi di liquidità. Il primo ad accorgersene è Jean-Claude Trichet, che allerta le autorità francesi: i debiti a breve raggiungono 255 miliardi. Gli Stati belga e francese immettono 6,4 miliardi e danno garanzie per altri 150 miliardi. I nuovi dirigenti, a partire dall'ex premier belga Jean Lue Dehaene, cercano di ridurre l'esposizione della banca, ma la crisi dei debiti sovrani fa nuovamente precipitare la situazione e lo smantellamento dell'istituto è l'unica soluzione possibile. Gli ex dirigenti del gruppo non pagano prezzo: il belga Axel Miller guida una piccola banca d'affari a Bruxelles, il francese Pierre Richard si gode la sua pensione, valutata dalla stampa in 600 mila euro annui. 11

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Il vocabolario della crisi

DISOCCUPAZIONE

Il tasso di disoccupazione in Italia

Roberto Mania

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Giovani-disoccupati a Zuccotti Park di New York, giovani-disoccupati alla Puerta del Sol di Madrid, giovani-disoccupati nelle piazze rivoluzionarie di Tunisi, del Cairo, di Damasco, giovani-disoccupati nelle famiglie italiane. È la disoccupazione di massa, perlopiù giovane, prodotta dalla Grande Crisi globale. Le palate di miliardi riversate dagli Stati alle banche, hanno fatto sopravvivere gli istituti di credito, ma non hanno creato neanche un posto di lavoro in più. I titoli tossici, così, sono solo un po' più nascosti. Hanno fallito tutte le ricette: quelle degli stimoli made in Usa e quella della rigorosa ortodossia europea. Disoccupati dovunque. Sono arrivati a quasi tre milioni anche nella ricca e produttiva Germania. Altrettanti in Gran Bretagna, nonostante l'orgogliosa autonomia monetaria di Londra. Per tutti un passo indietro di quindici, vent'anni. Solo in America la recessione ha provocato nove milioni di nuovi disoccupati. In Spagna sono cinque milioni, in Italia poco più di due. Metropoli di senza lavoro. Che vuol dire incertezza sul futuro, impoverimento progressivo. Depressione. Tanto più che siamo già rientrati in un nuovo ciclo recessivo, come dice l'Ocse. Ma più dei disoccupati per un paese come l'Italia con un distorto sistema di ammortizzatori sociali (sono stabilmente quasi 600 mila i lavoratori in cassa integrazione a zero ore) e un ruolo ancora fondamentale della

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famiglia nel tamponare i default, conta il basso tasso di occupazione e i tanti che non cercano più lavoro. Perché dal punto di vista statistico si considera disoccupato chi fa qualcosa per trovare un'occupazione. Ma c'è una massa di persone che non fa più nulla: l'Istat ha calcolato che sommando le forze lavoro potenziali ai disoccupati si arriva alla cifra record di cinque milioni di persone che non lavorano al di là della classificazione statistica. Qui ci sono i giovani neet (acronimico inglese che sta per Not in education, employment or training), ci sono gli scoraggiati, coloro cioè che dopo diversi tentativi si ritirano, diventano trasparenti per il mercato del lavoro, e non ricercano più un nuovo posto. In Italia la quota di scoraggiati risulta tre volte superiore alla media europea (3,5 per cento). Così l'effetto statistico, usato purtroppo impropriamente dal precedente governo Berlusconi, porta a un tasso di disoccupazione italiano (8,5 per cento) inferiore di quasi due punti alla media Uè. Ma non è vero. I nostri disoccupati della lunga crisi rischiano di diventare anche invisibili.

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I quaderni di AJffariOFinanza

DISUGUAGLIANZA

Il divario traricchie poveri

Maurizio Ricci

Quante volte il reddito della popolazione più ricca supera quello della popolazione più povera

"Trickle down". Queste due pandette magiche, traducibili con "gocciolare verso il basso", sono state il fondamento della tesi - largamente prevalente dagli anni '80, quelli della rivoluzione reaganiana, fino a poco fa - secondo cui la disuguaglianza favorisce la crescita economica: i ricchi, diventando più ricchi, aumentano gli investimenti e in questo modo i benefici trasudano verso il basso. La crisi del 2008 ha smantellato questa tesi e oggi anche economisti di destra (per intenderci, della scuola di Chicago) sostengono esattamente l'opposto: la disuguaglianza deprime l'economia. Negli ultimi 30 anni, negli Usa, la quota di reddito dell'80 per cento meno ricco della popolazione è andata costantemente diminuendo, mentre è andata crescendo per il 20 per cento più ricco. Ma, in realtà, il grosso dell'aumento è andato all'I per cento più ricco. Anzi, metà dell'aumento totale è stato intascato da una percentuale ancora più piccola: lo 0,1 per cento. L'effetto di questa concentrazione estrema della ricchezza è stato devastante: per mantenere i consumi, Γ80 per cento degli americani più poveri ha fatto ricorso al credito, soprattutto attraverso i mutui immobiliari. La crisi dei subprime è l'esplosione di una bolla di credito facile, che era rimasta l'unica via per finanziare i consumi, in una società sempre più diseguale. Il caso italiano arriva ad una conclusione analoga. Dagli anni '90, l'economia cresce solo di qualche decimale di

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punto l'anno e il reddito delle famiglie ristagna. Ma non è vero per tutti. Sono rimasti quasi fermi i redditi della massa dei lavoratori dipendenti, mentre sono cresciuti quelli dei lavoratori autonomi, già tendenzialmente più ricchi. Visto che l'evasione rende inaffidabili i dati fiscali sui redditi, guardiamo la ricchezza: il 45 per cento della ricchezza italiana è nelle mani del 10 per cento più ricco e Γ1 per cento, da solo, ne detiene il 13 per cento. In economie, come quelle moderne, mos­ se per il 70 per cento dalla domanda di consumi, gli effetti di questa concentra­ zione sono raggelanti. Se il 90 per cento delle famiglie tira la cinghia, ad accresce­ re la domanda di consumi può essere solo il 10 per cento più ricco: 2,4 milioni di famiglie, circa 7 milioni di persone. Troppo poche per far girare una economia di 60 milioni di persone e di 1.500 miliardi di euro di prodotto lordo. Se la stagnazione dei consumi in questi anni di crisi ha determinato un consensus tra gli economisti sul fatto che una più equa distribuzione della ricchezza è necessaria per una crescita stabile, le scelte politiche conguenti sono invece ancora latitanti. M.

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Il vocabolario della crisi

DOUBLÉ DIP Stefano Carli Doppia immersione, ossia due volte in crescita negativa. Questo il significato di Doublé Dip, la cui spiegazione pratica si riduce alla forma dell'andamento di un grafico del Pil. Si individuano infatti recessioni a V a U a W e a L. La spiegazione intuitiva è quella esatta: nella Via caduta in recessione e la successiva ripresa sono molto ravvicinate, si passa in un trimestre dal fondo alla risalita, nella U c'è un periodo più lungo, di più di un trimestre, in uno stato di stagnazione; nella W, che è proprio lafiguratipica di una recessione Double-Dip c'è una prima recessione, poi un paio di trimestri in crescita e una nuova recessione. Purtroppo è proprio questa la prospettiva che attende l'economia italiana. Dopo i 4 trimestri di Pil negativo dal giugno 2009 al giugno 2010, sembrava che si fosse usciti dalla crisi. A bassissima velocità, magari, visto che il Pil non ha mai superato trimestralmente la barra dell' 1 %, che ci ha collocato al fondo delle economie europee per tasso di crescita. Ma ora stiamo rapidamente affondando. La crescita stimata per fine 2011 sarà di appena lo 0,7% e quindi l'ultimo trimestre dell'anno sarà attorno alla crescita zero, se non già negativo per qualche frazione. Ma poi tutti prevedono un Pil negativo per l'Italia nel 2013: dall'Ocse (-0,5%) alla Morgan Stanley (-1 %). Per poi ripartire lentamente nel 2013. Al di là delle terminologie, la sostanza è nelle cause della recessione. Una crisi rapida, quelle a V e in qualche modo a

U, sono di solito innescate da surriscaldamento dell'economia, ossia da fiammate inflazionistiche (Usa anni Cinquanta) ο dall'impennata di prezzi, (anni Settan­ ta, petrolio). Quelle aWinvece, sono lega­ te alla componente dei consumi e dei redditi delle famiglie: come in questo caso in Italia, l'economia regge e cresce, anche se poco, solo in funzione di una doman­ da internazionale sostenuta. È la crescita guidata dall'export del Made in Italy, a cui non fa riscontro però un andamento positivo della domanda interna. È quello che stiamo vedendo ora: la domanda estera rallenta. È la componente europea a farlo, e soprattutto la domanda tedesca: la crisi finanziaria ha ristretto il credito bancario e quindi gli investimenti e la gran parte dell'export italiano in Germania è fatto proprio di beni strumentali. Sul fronte interno disoccupazione e manovre di risanamento dei conti pubblici colpiscono redditi familiari e consumi già bassi. Come si esce da una recessione Double-Dip? Molto lentamente e con sacrifici. Ma il peggio è che questa non è l'ipotesi peggiore. Il peggio è la recessione a L. Vuol dire che un'economia resta per anni in fase di stagnazione. Accade quando un'economia si è gonfiata a dismisura. È successo in Giappone con l'esplosione della bolla finanziaria di inizio anni Novanta a cui è succeduto oltre un decennio (per qualcuno dura ancora) di bassa crescita, alta disoccupazione, prezzi fermi ο spesso negativi. Come per la Spagna, che deve riassorbi­ re la bolla immobiliare, così per noi dipenderà da quando riusciremo a riassorbire la bolla del debito pubblico. •

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I quaderni di Affari&Finanza

DRAGHI, MARIO PRESIDENTE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA Massimo Riva

L'insediamento di un italiano al vertice della Bce nel così difficile momento che il nostro paese attraversa nella valutazione dei mercati è davvero un felice paradosso. A spiegarlo si possono fare due considerazioni. La prima riguarda il prestigio e la fiducia internazionali che Mario Draghi ha saputo guadagnarsi nel duplice ruolo di governatore della Banca d'Italia e di presidente del Financial Stability Board, l'organismo a cui i maggiori paesi hanno affidato il compito di indicare le riforme per il riassetto della finanza mondiale. La seconda è che, nonostante i contrasti che dividono i governi dell'eurozona, uno spirito europeistico unitario ha avuto il sopravvento all'atto di scegliere la persona più adatta a un incarico di vitale importanza per l'avvenire dell'Unione monetaria. Certo Angela Merkel, in particolare, ha dato il suo "placet" a Draghi cercando di cucirgli addosso un abito su misura della tradizione germanica: "È il più tedesco dei candidati a quel ruolo". Ma è altrettanto vero che lo stesso Draghi ha esordito nel suo incarico con una mossa - il taglio di un quarto di punto del tasso ufficiale 52

- nella quale è facile leggere la prevalenza della pragmatica lezione monetaria anglosassone rispetto alla più rigida scuola teutonica in materia. Un eccellente principio d'opera anche perché egli è riuscito a mandare in porto la svolta convincendo l'intero direttivo della Bce che ha votato all'unanimità, rappresentante tedesco incluso.Così ottenendo subito un riconoscimento di "leadership" che non era affatto scontato. Ma il banco di prova più impegnativo attende Draghi sul terreno che di giorno in giorno sta diventando più scottante: la posizione della Bce verso i debiti sovrani dei paesi più esposti. Dall'agosto scorso, sotto la presidenza di Jean-Claude Trichet, la banca di Francoforte sta già effettuando massicci acquisti di titoli degli Stati più attaccati sui mercati, Italia in cima a tutti. Il problema si sta facendo ora più grave perché anche un paese come la Francia è entrato nel mirino della speculazione ed è chiaro che Francoforte non può comprare titoli di Stato all'infinito. La Germania condiziona la prospettiva di continuare simili soccorsi a modifiche dei trattati europei per instaurare una disciplina fiscale comune: idea anche pregevole, ma dai tempi d'attuazione del tutto incongrui rispetto all'urgenza di spegnere l'incendio in corso. È su questo terreno friabilissimo che Mario Draghi dovrà dare il meglio di se stesso. Μ

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Il vocabolario della crisi

EBA EUROPEAN BANKING AUTHORITY Andrea Bonanni

L'EBA, acronimo per European Baking Authority, è l'Autorità europea che sovrintende al settore bancario. E' stata istituita nel novembre 2010 insieme ad altre due authorities comunitarie che devono sopraintendere rispettivamente al regolare funzionamento dei mercati finanziari e all'attività delle assicurazioni e dei fondi pensione. L'idea è nata in seguito alla prima crisi finanziaria innescata in Usa dal fallimento della LehmanBrothers, che ha dimostrato come il settore bancario fosse il tallone d'Achille dell'intero sistema finanziario mondiale. Da qui l'idea di creare una agenzia che coordinasse e dirigesse l'attività delle authority nazionali. L'Eba ha sede a Londra, nella City, il maggior centro finanziario europeo. E presieduta da un italiano, Andrea Enria. Formalmente, l'Authority ha preso il posto del Cebs, il comitato dei supervisori bancari europei, ma con poteri molti maggiori. Le attività che l'Eba è chiamata a svolgere sono di quattro tipi. La prima, e probabilmente la più importante, è l'azione regolatoria, definendo standard tecnici uguali per tutti in modo da eliminare distorsioni di concorrenza e soprattutto da dare fondamenta solide a tutte le banche europee. La seconda è l'attività di vigilanza. Sebbene in linea di massima questa resti affidata alle autorità nazionali, ΓΕΒΑ siede nei collegi di vigilanza dei grandi gruppi

bancari multinazionali, e in caso di con­ trasto tra le autorità di due Paesi, ha il compito di mediare e di indicare comunque una soluzione a cui tutti dovranno attenersi. La terza è di controllare i rischi presenti sul mercato unico del credito e di coordinare gli stress test che periodicamente verificano la solidità delle banche europee. La quarta è sostanzialmente un' attività di protezione dei consumatori, con il compito, di vigilare e controllare la qualità dei prodotti finanziari messi in commercio e offerti direttamente ai privati. Infine, sempre sul fronte del "risk management", ΓΕΒΑ ha anche funzioni di mediazione tra le varie atorità nazionali e in situazioni di emergenza per i mercati, può intervenire direttamente scavalcando le competenze delle autorità nazionali. Il consiglio (board of supervisors) dell'Eba è composto da un rappresentante per ciascun Paese, nominato dall'autorità di controllo nazionale, più il presidente e il vicepresidente. Per le decisioni regolamentari, il voto è ponderato secondo le regole stabilite dal Trattato di Lisbona. Per tutte le altre decisioni, invece, vale il principio "una testa, un voto". Recentemente è stata proprio l'Eba a indicare i controversi parametri di ricapitalizzazione delle banche europee per far fronte all'emergenza della crisi finanziaria. Una decisione dettata dalla necessità di rafforzare la capacità di resistenza del settore di fronte alla crisi ma che, secondo le banche italiane, penalizza maggiormente i nostri istituti di credito rispetto ai concorrenti tedeschi ο francesi. Μ

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I quaderni di Affari&Finanza

EFSF

Il fondo salva stati

Andrea Bonanni

Dotazione da raggiungere antro il 2011; in miliardi di euro GERMANIA

EFSF è l'acronimo per European Financial Stability Facility: il cosiddetto "fondo salva stati". Si tratta di uno strumento finanziario (special purpose vehicle) provvisorio creato nel maggio 2010 dai membri dell'Eurozona (vedi Eurozona) per aiutare i Paesi investiti dalla crisi dei debiti sovrani. Dopo essere intervenuti in aiuto della Grecia con finanziamenti diretti, i Paesi dell'Unione monetaria hanno creato questo fondo che emette obbligazioni sui mercati valendosi della garanzia finanziaria degli stati che lo sostengono, e in particolare dei Paesi che godono di un rating tripla A (Germania, Francia, Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo). La garanzia ammonta a 780 miliardi di euro. Questo consente all'EFSF, che pure gode di un rating tripla A, di raccogliere finanziamenti sui mercati ad un tasso vantaggioso fino ad un ammontare di 440 miliardi di euro e di utlizzarli per finanziare i Paesi in difficoltà. Nel 2013 l'EFSF sarà sostituto dall'ESM (European Stability Mechanism) che sarà un fondo stabile e che dovrebbe ereditare gli impegni del predecessore. Finora l'EFSF ha prestato denaro all'Irlanda e al Portogallo. Ma le sue disponibilità sono considerate insufficienti per venire in aiuto di Paesi come l'Italia ο la Spagna che hanno debiti molto più consistenti. Da qui la decisione presa dai capi di governo di potenziare ("leverage") le capacità di intervento del Fondo attraverso vari 54

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meccanismi di ingegneria finanziaria. Le ipotesi allo studio sono diverse. L'EFSF potrebbe garantire una quota (tra il 20 e il 30 per cento) delle emissioni di titoli di stato dei Paesi sotto attacco: in questo modo con un impegno di cento potrebbe garantire emissioni per un valore da tre a cinque volte superiore. Un'altra ipotesi è che il Fondo si apra a contribuzioni di altri Paesi extraeuropei, come la Cina ο il Brasile, magari con l'intermediazione del Fondo monetario internazionale, per aumentare conside­ revolmente le proprie capacità di finanziamento. Finora però questa strada è rimasta sbarrata dalla scarsa disponibilità di investitori terzi a impegnare capitali a fianco degli europei. Un altro rischio che corre l'EFSF è un possibile taglio del rating dei Paesi che lo garantiscono (in particolare della Francia), che metterebbe in pericolo la sua stessa solidità finanziaria e la capacità di raccogliere capitali ad un tasso vantaggoso. Finora, dunque, quello che era nato come la soluzione alla crisi dei debiti sovrani, non si è rivelato all'altezza delle aspettative. «

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Il vocabolario della crisi

EURO

Il rapporto euro-dollaro

Marcello De Cecco

Dollari per 1 euro 1,46450

La moneta unica europea nel suo primo decennio ha acquisito molti meriti, facilitando gli scambi, banalizzando il significato delle frontiere, permettendo ai cittadini dei paesi membri dell'Unione monetaria di considerarsi parte di un destino comune. Alcune caratteristiche "strutturali" della moneta unica tuttavia la rendono instabile nel caso di una crisi come quella attuale. In particolare, la volontà tedesca di impedire che la Banca centrale europea, che emette la moneta unica, potesse in alcun modofinanziareil debito degli Stati membri, ο esercitare fun­ zioni di prestatore di ultima istanza per le loro banche, ha condotto velocemente ad una crisi del debito pubblico nei paesi dell' Euro. I differenziali sui tassi di interesse tra titoli dei vari paesi hanno risentito della crisi ampliandosi in maniera molto ele­ vata. Questo perchè, accettando le clausole volute dalla Germania, i paesi della zona Euro si sono privati della possibilità di finanziamento del debito pubblico da parte della banca centrale mediante emissione di nuova moneta. Dovendo affrontare il servizio del debito solo con in mezzi nazionali, le finanze pubbliche dei paesi che hanno visto i tassi sui loro titoli alzarsi in maniera elevata, sono entrate in una crisi profonda dalla quale non possono uscire solo con le risorse fornite dalla tassazione. L'inasprimentofiscaleinfatti causa la caduta della domanda, induce una diminuzione della crescita del reddito e una caduta delle stesse entratefiscali.La

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situazione di crisi della finanza pubblica non può essere risolta se non diminuiscono i tassi di interesse, saliti oltre la sostenibilità, perché è difficile che un paese economicamente maturo, come sono gran parte di quelli della zona euro, cresca a tassi superiori al tre per cento, e che quindi riesca a pagare tassi sui titoli pubblici tra il cinque e il sette per cento senza che i suoi cittadini facciano enormi sacrifici. La soluzione del problema può venire da una attribuzione alla Bce della possibilità di acquistare direttamente il debito pubblico per stablizzarne il mercato. Ma questo può esseree accettabile ai paesi che non hanno sperimentato un aumento dei differenziali sui tassi solo se se si creano meccanismi di controllo centralizzato della finanza pubblica dei paesi membri da parte della stessa Uè. Se ciò avviene, i paesi dalle finanze sane possono acconsentire acche l'Ue emetta direttamente debito pubblico per finanziare gli stati temporaneamente in deficit. Per l'Italia, in ogni caso, l'euro è stata un'ancora di salvezza. Immaginiamo cosa sarebbe il nostro Paese oggi, con la sua vecchia liretta, nel bel mezzo della "tempesta perfetta". Μ

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I quaderni di Affari&Finanza

EUROBOND Andrea Tarquini

Gli eurobond sono l'idea che spacca l'Eurozona e l'Europa intera. Si tratterebbe di titoli sovrani emessi dall'intera eurozona, collettivamente. Quindi una condivisione dei debiti e di fatto dei rating, per consentire all'euro di sopravvivere superando la crisi del debito sovrano dei membri deboli dell'unione monetaria (Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia, in prospettiva la stessa Francia è a rischio). Per i loro sostenitori gli eurobond sono l'uovo di Colombo: consentirebbero ai paesi deboli di ripagare il debito sovrano con tassi accettabili, quindi placherebbero durevolmente le tensioni sui mercati. Per chi non li vuole, come fino al momento in cui scriviamo la cancelliera Angela Merkel, sono un pericoloso, letale fumo negli occhi. Perché costringerebbero la Germania e altri paesi forti a pagare interessi più alti degli attuali sul rifinanziamento del debito. E si teme che la sicurezza dell'ombrello degli eurobond, cioè titoli a tasso più alto dei Bund ma più basso dei Btp ο dei Bonos, allenterebbe la paura di andare in default e farebbe venir meno lo zelo di tagli, sacrifici, risanamenti e rifor­ me ad Atene, Lisbona, Madrid, Dublino e Roma. E domani forse anche a Parigi, che non a caso è a favore degli eurobond proprio mentre teme per il futuro del suo rating, attualmente ancora a tre A. La Commissione europea, guidata da José Manuel Durao Barroso, si batte per gli eurobond. E Barroso e il suo team hanno ribattezzato i possibili titoli europei "bond della sta56

bilità". Elaborando tre varianti di una loro introduzione. Secondo il primo modello, gli eurobond sarebbero introdotti per tutti i membri dell'eurozona ma i paesi membri potrebbero servirsene solo in parte per garantirsi tassi bassi di ripagamento del debito, più ο meno come dovrebbe avve­ nire col fondo europeo di stabilità finanziaria Efsf. La seconda variante prevede che gli Stati ricorrano agli eurobond per ripianare il loro debito sovrano, ma soltanto per quella parte di debito che non eccede il 60% del loro Pil, cioè il tetto posto dal Patto di stabilità e da Maastricht. La terza variante, la più radicale, propone invece l'unica situazione in cui gli eurobond sostituirebbero del tutto i titoli sovrani nazionali. Rischio e chance insieme. Per i paesi più deboli potrebbe essere una via di salvezza, ammesso che ne sappiano approfittare per risanare e riformarsi. Ma per i forti, a cominciare dalla Germania, gli eurobond, specie nella terza variante, comporterebbero un rincaro dei tassi sull'indebitamento, e il debito cresce anche nella Repubblica federale. Secondo calcoli di Berlino, ogni punto in più di tasso degli eurobond rispetto ai Bund costerebbe ai tedeschi tre miliardi di euro supplementari. La seconda obiezione di Angela Merkel e della Bundesbank mal cela la diffidenza: il facile scudo degli eurobond farebbe addormentare nell'Europa mediterranea ogni zelo risanatore, dicono i "virtuosi" di Berlino e di Francoforte. Ma proprio negli ultimi giorni, da parte della Merkel è arrivata qualche apertura: degli eurobond si può parlare. La commissione ha avviato un'indagine conoscitiva: i risultati fra sei mesi. Un tabù è caduto. li

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Il vocabolario della crisi

EUROGRUPPO Andrea Bonanni L'Eurogruppo è il consiglio informale dei ministri dell'economia dei diciassette Paesi che hanno adottato l'euro come moneta: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna. Alle sue riunioni partecipa anche la Commissione, di solito rappresentata dal Commissario agli affari economici, e spesso la Banca centrale. È dotato di un presidente fisso, che per due mandati consecutivi è stato il premier lussemburghese (e ministro delle Finanze) JeanClaude Juncker. In teoria non ha poteri decisionali ed era stato originariamente concepito solo come un foro di discussione e orientamento che si tiene la sera prima del Consiglio Ecofin, a cui partecipano tutti i 27 ministri dell'economia. Oggi l'euro è, dopo il dollaro Usa, la seconda valuta di riserva a livello mondiale. La moneta unica è gestita dalla Banca Centrale europea (Bce) con sede a Francoforte, che a sua volta è espressione del Sistema europeo delle Banche centrali. E' la Bce che stabilisce i tassi direttori e veglia alla stabilità della valuta per evitare spinte inflazionistiche eccessive. Ma è l'Eurogruppo a tenere sotto controllo "politico" la sua situazione. In pratica, con l'andare degli anni e soprattutto con l'aggravarsi della crisi dei debiti sovrani nell'Unione monetaria, l'Eurogruppo è andato assumendo una importanza decisionale sempre maggiore. E' stato l'Eurogruppo, per

esempio, a gestire (male) tutte le fasi del salvataggio dei Paesi in difficoltà: dalla Grecia all'Irlanda al Portogallo. Ed è sempre l'eurogruppo la sede in cui si prendono le decisioni più importanti in materia di bilancio, che poi vengono ratificate dall'Ecofin. Tanto è cresciuta l'importanza di questo organismo che in numerose occasioni si sono riuniti a livello di Eurogruppo i capi di governo per prendere decisioni di importanza cruciale. E, sotto la pressione della Francia, questa prassi si sta formalizzando: le riunioni dell'eurogruppo a livello di capi di governo sono presiedute dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. In realtà il ruolo crescente dell'Eurogruppo sancisce la progressiva differenziazione nell'Ue tra un nocciolo duro di Paesi che hanno adottato la moneta unica e che per questo sono naturalmente spinti ad una maggiore integrazione, e un cerchio "esterno" di cui fanno parte i Paesi che per scelta ο per necessità sono fuori dall'Unione monetaria. L'evoluzione della crisi e la necessità di arrivare ad una vera e propria «Unione di bilancio», che gestisca in modo unificato e centralizzato i bilanci nazionali dei Paesi dell'euro, accentueranno inevitabilmente questa divergenza. Tutto questo nel tentativo di allentare le tensioni, oltre che dell'area euro con il resto del mondo, fra gli stessi partner. Poiché i Paesi dell'Eurogruppo che si trovano a pagare alti tassi di interesse per finanziare il proprio debito non possono ricorrere alla svalutazione della propria moneta, come facevano in passato, questo tipo di tensioni mette in pericolo la solvibilità dei bilanci nazionali.

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I quaderni di AffariCTinanza

EUROZONA

Il PII dell'area euro

Andrea Bonanni

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È l'insieme dei Paesi che aderiscono all'Unione monetaria e che hanno adottato l'euro come moneta: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna. In teoria i Trattati prevedono che tutti i Paesi dell'Unione europea adottino l'euro, una volta che raggiungono certi parametri ecomicofinanziari, come hanno fatto nel corso degli anni Malta, Cipro, Slovenia, Slovacchia ed Estonia. In pratica due nazioni, Gran Bretagna e Danimarca, hanno ottenuto un opt-out, cioè il diritto di non aderire, mentre la Svezia se lo è preso di fatto. Gli altri sette entreranno nell'Unione monetaria una volta che avranno raggiunto i parametri richiesti. L'organo che coordina le politiche dell'Eurozona è l'Eurogruppo (vedi la voce apposita). La crisi dei debiti sovrani, divenuta rapidamente una crisi della stessa moneta unica, ha sollevgato una serie di nuovi problemi per l'Eurozona. La prima questione che si è posta è se un Paese possa uscire dall'Unione monetaria. In teoria questa ipotesi non è contemplata dai Trattati. In pratica, visto che i bilanci, e quindi i debiti, restano ancora nazionali e vengono trattati dai mercati in modo differenziato soprattutto per quanto riguarda i tassi di interesse, una separazione resterebbe possibile. Tra le riforme da apportare alla "governance" della zona euro, la Germania vorrebbe addirittura che fosse previ58

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stanno facendo. Ora con la manovra Sal­ va Italia gli uomini andranno in pensio­ ne a 66 anni da subito, le donne dal 2018. E il vecchio sistema a ripartizione viene sostituito da quello contributivo. E il nostro sistema con il calcolo dell'assegno in base ai contributi versanti è stato un esempio per molti governi europei negli anni Novanta. Restano ancora, ma con nuovi meccanismi che ne innalzano i limiti, le anacronistiche pensioni di anzianità, nate in un'altra epoca, quella del lavoro fordista e di un welfare generoso e miope che scaricava i costi sulle generazioni future. Oggi il gioco è stato scoperchiato drammaticamente dalla Grande crisi. C'è un problema di equità tra generazioni visto che c'è chi ancora, nell'Italia del 2011, va in pensione prima di aver compiuto sessant'anni e con un assegno calcolato sulla base delle ultime retribuzioni. I giovani che ci andranno tra molti anni, senza interventi correttivi invece rischiano di ricevere una pensione insufficiente. E' un problema sociale, non solo di sostenibilità dei conti pubblici. Ora il governo Monti sta iniziando a riscrivere le regole del patto tra le generazioni. •= '*

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Il vocabolario della crisi

PIIGS PORTOGALLO, IRLANDA, ITALIA, GRECIA, SPAGNA

Il debito dei Piigs Debito pubblico 2010 in % dei Pil !

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Enrico Franceschi™

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"Pigs" in inglese significa maiali, e quelli descritti datale acronimo all'inizio erano quattro: Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna. Poi se n'è aggiunto un quinto, l'Italia, e l'acronimo è diventato "Piigs": una parole inesistente sul dizionario, ma la pronuncia e il significato non cambiano. Sempre di maiali si tratta: un termine chiaramente dispregiativo, coniato da giornalisti economici anglosassoni e utilizzato da organizzazioni internazionali, leader politici, analisti finanziari per indicare i paesi dell'eurozona con la più pesante situazionefinanziaria,quelli più a rischio di "default", di bancarotta, ovvero che corrono il pericolo di non riuscire più a pagare gli interessi sul proprio debito, creando in tal modo un pericolo più vasto, quello di portare al collasso ο perlomeno a trauma­ tici cambiamenti tutta l'eurozona. I "Piigs" erano contraddistinti da una precaria con­ dizione dei conti pubblici, che unita a una scarsa competitività dell'economia nazionale, rendono incerta la capacità di ripagare il debito pubblico accumulato. Gli indicatori a cui si fa riferimento al riguardo sono generalmente il debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo, il deficit pubblico anch'esso in rapporto al Pil, il rendimento dei titoli di Stato, il saldo dei conti con l'estero e l'indebitamento estero, la produttività. Nel 2010 il debito pubblico della Grecia era il 142% del Pil, quello dell'Italia era il 119%, quello dell'Irlanda il 96%, quello del Portogallo l'83%,

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quello della Spagna il 60%. Quanto al deficit pubblico, sempre in riferimento al Pil, nel 2010 quello dell'Irlanda era il 32,2%, della Grecia il 9,6%, della Spagna il 9,2%, del Portogallo il 7,3%, dell'Italia il 4,6%. Nel 2008 il governo portoghese e vari esponenti politici spagnoli hanno cominciato a protestare per l'uso del termine "Pigs" ο "Piigs", definendolo offensivo, discrimina­ torio e razzista. Ma la maggior parte dei giornali hanno continuato ad usarlo. Ma nell'insieme, i diversi Paesi che fanno par­ te di questa "colonna infame" d'Europa hanno caratteristiche diverse. L'Italia, pur essendo ormai parte dell'acronimo, non può essere equiparato in tutto e per tutto né alla Grecia, né agli altri Pigs. Se si calcola il peso dell'idustria manifatturiera, il valore aggiunto prodotto dall'industria, il livello del risparmio privato, la seconda "i" dell'acronimo dovrebbe sparire, e dovrebbe restare la sola Irlanda. Se siamo finiti nel gruppo anche noi, è soprattutto per la scarsa credibilità nelle strategie di rientro dal debito pubblico messe in atto dal governo Berlusconi. In quel settore specifico, siamo effettivamente stati un "maiale" come gli altri. »

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I quaderni di Affari&Finanza

PORTOGALLO

Il Pil del Portogallo

Miguel Mora

Variazioni %

Il Portogallo vive uno dei momenti più difficili della sua storia. La crisi ha travolto il governo del socialista Jose Socrates, dimessosi a marzo di quest'anno dopo che il Parlamento aveva respinto il suo quarto programma di austerità. Le urne hanno dato la vittoria a Pedro Passos Coelho, liberale di centrodestra del Psd che è stato costretto a chiedere all'Unione Europea, all'Fmi e alla Bce il salvataggio del paese. In totale, 78 miliardi di euro che dovrebbero evitare la bancarotta. In cambio, il nuovo governo si è visto costretto ad approvare una manovra taglia-deficit draconiana. Tra le misure più dure c'è l'eliminazione di tredicesima e quattordicesima per i funzionari pubblici e i pensionati che percepiscono più di mille euro al mese, pesanti tagli alla sanità e all'istruzione, e l'aumento delle tasse. L'Iva su alcuni prodotti e servizi sale dal 6 al 23%. Nonostante lo sforzo del governo, l'agenzia Fitch ha abbassato il rating del Portogallo a BB+, equivalente al livello "spazzatura". Tuttavia, l'agenzia ritiene possibile che il paese riesca a raggiungere il suo obiettivo di riduzione del deficit al 5,9% del Pil per quest'anno. Le proiezioni dell'agenzia indicano che il Prodotto interno lordo del paese subirà una contrazione del 3% nel corso del 2012. La piazza protesta. Nell'ultimo anno e mezzo, il Portogallo ha vissuto due scioperi generali (uno con il governo di Socrates e l'altro con quello di Passos Coelho). I 96

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due sindacati principali del paese, Cgtp e Ugt hanno paralizzato alla fine di novembre i trasporti pubblici, gli aero­ porti, gli ospedali, le scuole. Intanto, il Partito Socialista, che ha eletto Antonio losé Seguro come successore di José Socrates alla segreteria generale, vive le sue ore più buie all'opposizione. Le misure di austerità imposte dall'Unione Europea rendono quasi impossibile la protesta. L'attuale presidente del governo ricorda che il salvataggio si è reso necessario per l'enorme debito ereditato dal precedente esecutivo. Oggi il debito pubblico del Portogallo supera il valore totale della sua economia. Con 10,5 milioni di abitanti, il paese ha un debito di circa 178 miliardi di euro, superando così il valore del suo Prodotto interno lordo (Pil), che è di circa 173 miliardi. Questo dato compromette seriamente il futuro del paese così come gli interessi che deve pagare sul suo debito che sono arrivati a superare il 12%, con un differenziale con la Germania che ha superato i 1.000 punti base e contnua a restare stabilmente ben al di sopra del livello di guardia. Κ

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Il vocabolario della crisi

QUANTITATIVE EASING

Il "Quantitative easing" americano

Arturo Zampaglione

Base monetaria in miliardi di dollari

Coniata dall'economista tedesco Richard Werner, l'espressione "quantitative easing" (Allegerimento quantitativo) indica uno strumento non-convenzionale di politica monetaria che, nel corso di questa crisi, è stato usato dalla Banca d'Inghilterra e a due riprese dalla Federai Reserve americana per stimolare l'economia. I due interventi negli Stati Uniti sono stati soprannominati QE1 e QE2: il primo fu avviato nel novembre 2008 con l'acquisto da parte della Fed di titoli legati ai mutui immobiliari per un totale di 1250 miliardi di dollari; il secondo, annunciato nel novembre 2010, ha comportato l'acquisto di 600 miliardi di titoli del Tesoro. In pratica il "quantitative easing" serve ad allargare la base monetaria e a favorire il credito quando la banca centrale non può ricorrere allo strumento tradizionale, cioè alla riduzione dei tassi di interesse a breve, perché sono già a zero (o a poco più di zero), come nel recente caso degli Stati Uniti. Comprando titoli con denari nuovi di zecca, ο ritirando titoli di stato a breve e sostituendoli con quelli a più lunga maturazione, le autorità monetarie hanno cercato di attenuare l'impatto della recessione e favorire la ripresa dell'attività economica. Il rischio era ovviamente di aprire le porte all'inflazione, ma almeno per il momento non ci sono segnali di un aumento preoccupante dei prezzi. Secondo il Fondo monetario internazionale il ricorso al "quantiative easing" ha ottenuto risultati positivi, riducendo i rischi di

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una crisi sistemica dopo il fallimento del­ la Lehman Brothers e rafforzando la fidu­ cia dei mercati. Il lancio del QE2, ad esem­ pio, ha portato a una fiammata delle quo­ tazioni a Wall Street. In compenso la destra repubblicana si è schierata contro manovre del genere considerandole inutili intrusioni dello stato nella vita economica. A dispetto delle polemiche politiche, il presidente della Fed Ben Bernanke non ha mai escluso un terzo round di interventi. Ma secondo gli esperti si ricorrerà al QE3, come è stato subito battezzato, solo se l'economia americana dovesse precipitare nuovamente in una fase recessiva ο in presenza di un cataclisma monetario come la morte dell'euro. Tuttavia il mec­ canismo del "quantitative easing" ameri­ cano è ormai all'ordine del giorno anche nell'agenda delle altri banche centrali. Per fronteggiare la crisi di liquidità globale, per altro, cresce il livello di concertazione degli iterventi tra le autorità monetarie modiali. L'ultima operazione coordinata tra le se maggiori banche centrali del pianeta è stata la riduzione del tasso sugli swap in dollari fino al 2013. Una mossa che ha fatto brindare le Borse.

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I quaderni di Affari&Finanza

RAJOY, MARIANO PRIMO MINISTRO SPAGNOLO Monica Andrade Mariano Rajoy, leader del Partido Popular (centro-destra), ha vinto con la maggioranza assoluta le elezioni spagnole del 20 novembre. José Maria Aznar - premier tra il 1996 e il 2004 - lo aveva designato come suo successore ma Rajoy ha perso due consecutive elezioni legislative contro il socialista José Luis Rodriguez Zapatero, al punto che la sua leadership era stata messa in dubbio da molti membri del suo partito. Anche adesso la sua vittoria si deve, più che ai suoi meriti, alla brutta situazione economica spagnola e all'erratica gestione della crisi da parte del governo uscente di Zapatero. Nato in Galizia 56 anni fa, Rajoy è sposato e ha due figli. Si definisce un perfezionista un po' introverso e molto prudente: di fatto ha un carattere riservato, ama poco le conferenze stampa e le interviste. I suoi collaboratori lo definiscono un uomo tranquillo, con grandi doti di negoziatore. Il suo principale difetto, dicono i suoi detrattori, è la lentezza, ο addirittu­ ra l'incapacità, nel prendere decisioni. Tutta la sua carriera è andata avanti nello stesso modo, lento ma sicuro. Adesso, tuttavia, la delicata situazione econo mica che la Spagna sta attraversando richiede misure urgenti. Il suo programma, 98

ancora poco definito, si basa nel riconquistare la fiducia dei mercati e nel promuovere la crescita e l'occupazione. In che modo? È questo che non è ancora chiaro. Rajoy assume la presidenza del governo con un'economia stagnante e la disoccupazione oltre il 21%. Si è impegnato con l'Unione Europea a raggiungere ad ogni costo la riduzione del deficit di bilancio e su questo può contare sull'aiuto del partito socialista che ha approvato di recente l'appoggio al PP, la cosiddetta regola d'oro costituzionale. Più difficile sarà per lui promuovere la crescita: il credito sia per le aziende che per le famiglie è praticamente bloccato, i tagli di bilancio frenano gli investimenti pubblici e le banche spagnole hanno bisogno di 26 miliardi di nuovo capitale. Inoltre, Rajoy spera di riuscire a far passare una riforma del mercato del lavoro per promuovere l'occupazione, ma di questa riforma si sa ancora poco. In campo sociale, il suo partito si è opposto all'approvazione delle legge sui matrimoni gay e ad una legge più permissiva sull'aborto ma adesso anche su questi temi Rajoy si mostra più cauto. Tutta questa prudenza fa però sorgere dei dubbi sulla sua capacità di dirigere un governo che dovrà varare misure dure e impopolari per uscire dalla crisi.

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RATING

ITOMdi Moody's

Paola Jadeluca "Over rated", che questa volta non vuol dire "classificato in modo eccessivamente ottimistico" ma, come dire, overdose di rating. Con questo titolo il primo numero di dicembre di Bloomberg Business Week ha dedicato un'approfondita analisi al ruolo che le società di rating hanno svolto nell'aiutare la crisi finanziaria mondiale a precipitare. Un paradosso? Solo apparente. Il rating è il punteggio che le società specializzate danno a una società ο a un paese e questo pun­ teggio viene considerato la pagella ufficia­ le di riferimento per gli investitori, per capire se un titolo è affidabile oppure no. Il problema nasce quando i rating entrano in conflitto con la reale situazione delle società ο dei paesi. Il futuro di banche e imprese e ora anche di paesi come Ita­ lia, Grecia, Stati Uniti, e persino Germa­ nia, considerata inattaccabile, ma prati­ camente di tutti i paesi del mondo dipen­ de dal giudizio che queste società emettono. Si contano oltre un centinaio di società di rating nel mondo. Ma quelle che contano sono tre: Moody's, Standard & Poor's e Fitch, che secondo Bloomberg controllano il 97% del mercato. Ogni grado in più di rating vale secondo alcuni calcoli lo 0,42% in meno di costo del denaro. In poche parole, più alto è il rating più basso è l'interesse pagato per i prestiti bancari. Alla luce degli eventi degli ultimi anni questo "sconto" sul costo del denaro l'hanno pagato i risparmiatori. Fino a quattro giorni prima del disastro

della Enron, il giudizio sui titoli emessi da questa società era di massima solidità. Lo stesso è accaduto a Lehman Brothers, "solida" nei giudizi, fino alla vigilia del tracollo, considerato il più clamoroso fallimento della storia. A minare la reputazione delle società che, in teoria, sono deputate a dare agli investitori una base di giudizio, sono state le triple A attribuite tra il 2006 e il 2007 a oltre diecimila titoli strutturati collegati a mutui immobiliari. Proprio quelli che hanno scatenato il primo tsunamifinanziario.Ma, nonostante le nuove leggi Usa e la battaglia in seno all'Unione europea, nessuno finora è riuscito a fermare la tirannia delle tre regine del rating. Nel mezzo della crisi greca, dopo aver trasformato in titoli spazzatura i "sirtaki bond", S&P ha ridotto il rating sul Portogallo. E qui prende il via il contagio sull'Europa, che ha colpito anche l'Italia - il cui rating è stato abbassato nel corso del 2011 ad A2 per Moody's e ad A per Standard & Poor's - e ora la Francia che vede il suo AAA minacciato a causa del dissesto delle banche, e alla fine insidia la stessa Germania, la locomotiva d'Europa. •

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RECESSIONE

La recessione nel 2012 Crescita % del Pil

Tito Boeri Una recessione tecnicamente si verifica in presenza di due trimestri consecutivi di diminuzione del prodotto interno lordo. Significa decrescita, meno reddito generato in un paese, meno risorse da redistribuire. È un calo generalizzato anche se può colpire alcuni settori più di altri. Le famiglie si accorgono di una recessione perché patiscono una perdita del loro potere d'acquisto. Hanno meno fonti di reddito, i loro salari mensili possono ridursi (magari perché sono costretti a lavorare di meno) e non possono più permettersi certi standard di vita. Ancora più traumatica è la perdita di un posto di lavoro. È un evento che lascia cicatrici profonde soprattutto quando interviene agli inizi di una carriera lavorativa. Gli studi che hanno tracciato la vita di persone che hanno vissuto questa esperienza dicono che sono condannate ad avere salari più bassi per 20 anni, a subire una forte instabilità dei redditi per 10 anni: senza contare le conseguenze personali, perché queste persone andranno soggette ad una maggiore incidenza dei divorzi e perfino a un calo della fertilità. In periodi di recessione tipicamente aumentano i conflitti distributivi. Chi ha perso il lavoro ο il reddito spesso per colpe non sue, vuole essere compensato da chi è stato più fortunato, soprattutto quando i sistemi di assicurazione sociale non funzionano bene. Durante la Grande Recessione dell'inverno 2008-2009, ad esempio, le famiglie italiane hanno subito una perdi100

ta consistente del loro reddito disponibile, al contrario di paesi (come l'Irlanda) dove la caduta del Pil è stata più severa. Questo si spiega in gran parte con le maglie troppo larghe e le stridenti asimmetrie di trattamento contemplate dal nostro sistema di protezione sociale. Una recessione, soprattutto quando è associata allo scoppio di una bolla immobiliare qual è stata l'ultima in America del 2008, può causare anche una consistente riduzione nel patrimonio e in generale nella ricchezza delle famiglie, che vedono fortemente diminuire il valore della casa di cui sono proprietari ο delle obbligazioni e azioni che detengono in portafoglio. Sin qui la crisi del debito pubblico iniziata nel 2010 ha avuto più effetti sulla ricchezza degli italiani - intaccata dalla forte riduzione del valore dei nostri titoli di stato che sui redditi delle famiglie. Ma il rischio è che ora la riduzione dei flussi di credito alle imprese, accompagnato a un calo dellafiduciadi famiglie e di imprese, provochi licenziamenti. Questa volta ci sarebbero meno risorse per pagare ammortizzatori sociali in grado di ridurre i costi sociali della recessione. II

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REDISTRIBUZIONE Tito Boeri Gli stati moderni, attraverso il bilancio pubblico, prendono risorse da individui appartenenti a certe categorie e le trasferiscono a individui apparte­ nenti alle stesse ο alle altre categorie (o anche altre generazioni ο cittadini di altri Paesi, come nel caso degli interessi che paghiamo sul nostro debito pubblico ο nel caso degli aiuto allo sviluppo). E poi­ ché il bilancio pubblico copre una parte rilevante del reddito prodotto in un Paese (il 50 per cento nel nostro caso) non si può non chiedersi se queste risorse siano allocate nel modo ottimale. Nel porsi queste domande è importante tenere conto del fatto che la redistribuzione viene operata sia sul lato del prelievo (imposizione progressiva sui redditi, detrazioni e deduzioni, contributi sociali) che su quello della spesa (attraverso i sistemi di assicurazione sociale). In Italia è di fondamentale importanza migliorare le proprietà distributive del nostro sistema di protezione sociale, piuttosto che ridistribuire operando soprattutto dal lato delle imposte. Bisogna innanzitutto allargare il grado di copertura dei trasferimenti sociali, rimediando alle molte ridistribuzioni perverse (dai poveri ai ricchi) che questo tuttora opera e fondandolo su strumenti di lotta alla povertà estrema che sono oggi gravemente assenti nel nostro paese. Capita spesso nel dibattito pubblico di vedere contrapporre le due grandezza, la redistribuzione e la crescita economica. In verità la redistri-

buzione senza crescita è assai più difficile perché quando la torta diventa più piccola c'è meno da redistribuire e diventa molto difficile togliere ai ricchi per dare ai poveri. Bisogna infatti togliere ai primi in termini assoluti e non solo relativamente a quanto sarebbe cresciuto il loro reddito in assenza di politiche redistributive. E soprattutto questa redistribuzione difficilmente sarà in grado di compensare i poveri per le perdite subite. Inoltre la redistribuzione, soprattutto quando operata al di sopra di una certa soglia, può avere effettivi negativi sulla crescita economica. Infatti, chi ha maggiore capacità di generare reddito, sapendo che il suo reddito verrà tassato di più, sarà meno disposto a impegnarsi per far crescere il reddito stesso e, con esso, quello del sistema economico in cui opera. È quindi molto più facile far accettare la redistribuzione quando c'è anche crescita economica. Uno schema ben disegnato di assicurazione sociale può incoraggiare gli individui ad assumere rischi (ad esempio, ad intraprendere e ed innovare) che altrimenti non prenderebbero e lo spirito imprenditoriale contribuisce grandemente alla crescita di un paese. Inoltre, la crescita non rende affatto superflua la redistribuzione. Il fatto è che di persone che "cadono attraverso le crepe" ce ne sono e ce ne saranno sempresia in periodi di crescita sostenuta, che, a maggior ragione, in fasi recessive. Un Governo non dovrebbe mai abdicare all'obbligo di fornire reti di protezione sociale di ultima istanza appellandosi alla propria capacità di generare crescita nell'economia.

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I quaderni di Affari&Finanza

RISCHIO Marco Panara

Il rischio è l'elemento centrale di tutte le attività economiche, ogni scelta di investimento dipende dalla valutazione del rapporto tra il rischio che si corre e il profìtto che si può ottenere se l'operazione andrà a buon fine. La valutazione del rischio è basata su elementi reali, ovvero informazioni, e su elementi soggettivi, e cioè percezioni. C'è anche una percezione collettiva del rischio che influenza le scelte della massa degli investitori. Gli operatori professionali del rischio sono gli assicuratori, che usano strumenti statistici e attuariali per valutarlo, e i banchieri, che si affidano alla valutazione dei comportamenti pregressi del debitore, al valore del suo patrimonio, alla qualità del suo progetto di investimento e alle sue capacità gestionali. Al rischiofinanziariosono invece esposti tutti gli investitori anche non professionali, e spesso le loro scelte sono condizionate dalla percezione generale del rischio e dalle valutazioni degli intermediari. Negli ultimi decenni sempre più la valutazione del rischio finanziario è stata demandata alle agenzie di rating che, a spese del soggetto che emette titoli, ne valutano il rischio, essenzialmente la solvibilità, ovvero la capacità di onorare gli impegni pagando gli interessi e restituendo il capitale. Le agenzie di rating emettono una sorta di pagella dando un voto: "tre A" è il rischio minimo, ed è il voto attribuito al debitore più solido e credibile, "C" è il voto dato a quello meno affidabile. Più alto è il voto meno in genere si paga il denaro, 102

più è basso e più caro costerà indebitarsi. La delega della valutazione del rischio di solvibilità alle agenzie di rating ha avuto un ruolo determinante nella fase che ha preceduto la crisi e nel suo sviluppo successivo. Prima della crisi c'è stato un lungo periodo in cui con l'avallo delle agenzie di rating la percezione del rischio è stata inusualmente bassa e indistinta nonostante l'aumento della massa di titoli di debito in circolazione. Dopo l'esplosione della crisi la percezione del rischio è diventata più selettiva e, negli ultimi mesi, particolarmente forte e negativa. L'attenzione in tutto questo periodo si è concentrata soprattutto sul rischio di solvibilità, ma sempre più rilevante è diventato anche il rischio di liquidità, ovvero il caso in cui un soggetto potenzialmente solvibile, di fronte all'impossibilità di rifinanziare il debito pregresso fallisce, anche se ha un patrimonio adeguato a coprire i diritti dei creditori. Nel caso in cui siano gli Stati ad essere vittime della crisi di liquidità l'esito è il default, ovvero l'incapacità di ripagare il debito a scadenza. In questa fase è soprattutto il rischio di liquidità a creare problemi al sistema bancario e ai debiti sovrani. L'elevata percezione del rischio in Europa soprattutto, a tre anni ormai dall'esplosione della crisi con il fallimento Lehman, è legata in particolare alla incompiuta architettura dell'euro, che non ha alle spalle una politica fiscale ed economica unitaria né una banca centrale che possa fungere anche da prestatore di ultima istanza nel caso di crisi di liquidità delle banche ο dei paesi di Eurolandia. Pesa anche l'inade­ guatezza della guida politica dei paesi euro di fronte alla violenza della crisi.

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Il vocabolario della crisi

RISCHIO PAESE Marco Panara

Oggi è al centro dell'attenzione e, contrariamente al passato, quell'attenzione è rivolta soprattutto ai paesi industrializzati e in particolare a quelli dell'area euro. Il rischio paese era in genere legato a operazioni commerciali e a investimenti industriali. Prima di far partire una fornitura di merci il venditore si accertava che il paese cui quelle merci erano destinate non avesse problemi politici ο valutari che mettessero a rischio il pagamento. La stessa valutazione, più a lungo termine, veniva fatta da chi volesse costruire un impianto produttivo. Le assicurazioni che emettono polizze sulle transazioni internazionali hanno attrezzati uffici studi per valutare i rischi politici, sociali, geopolitici, economici dei vari paesi. E comunque il rischio percepito riguardava il pesi meno sviluppati ed emergenti più che quelli industrializzati, ed i regimi più che le democrazie occidentali. Oggi il clima è cambiato, si parla di rischio paese soprattutto in termini finanziari, e il rischio che si teme è che quei paesi, oggi soprattutto alcuni dell'area euro non siano in grado di ripagare i debiti pubblici che hanno accumulato e che sono rappresentati da titoli spesso posseduti da investitori internazionali. Un segnale di questa nuova percezione del rischio paese viene dalle agenzie di rating che hanno ridotto la loro valutazione sull'affidabilità della Grecia, dell'Irlanda, del Portogallo, della Spagna, ma anche dell'Italia, che resta una delle maggiori potenze industriali del

pianeta, mentre sotto osservazione sono la Francia e addirittura gli Stati Uniti. L'altro termometro cono i cds, i credit default swaps, una sorta di assicurazione del credito, i cui prezzi per i titoli pubblici di alcuni paesi sono saliti esponenzialmente. A determinare il livello di rischio finanziario di un paese sono essenzialmente due parametri: il livello del deficit pubblico, ovvero la differenza negativa tra le entrate fiscali e la spesa pubblica, e il debito pubblico, ovvero la somma dei deficit accumulati negli anni, in rapporto al prodotto interno lordo. Un deficit troppo elevato e non occasionale, un debito elevato e una bassa crescita fanno temere ai creditori di quel paese che potrebbe non essere in grado di onorare i suoi impegni. La conseguenza di questa più elevata percezione del rischio è che il mercato chiederà a quel paese una remunerazione più elevata per i titoli che quel paese dovrà collocare perfinanziareil deficit e rifinanziare il debito in scadenza. È un processo che si autoalimenta, minora è lafiduciain un paese emittente, più salgono i tassi che dovrà pagare sul suo debito, e più salgono i tassi più aumenta il rischio che il paese diventi inadempiente, timore che è alla base dell'intero meccanismo. È quello che sta avvenendo in Eurolandia,,con l'aggravante in questo caso che l'incompiuta struttura dell'euro, con l'assenza di una politica fiscale comune e di una banca centrale che sia anche prestatore di ultima istanza, rischia di trasformare la crisi di liquidità che l'aumento della percezione del rischio paese sta determinando in una crisi di solvibilità, ovvero l'anticamera del default. m

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I quaderni di Affari&Finanza

SARKOZY, NICOLAS PRESIDENTE FRANCESE Bernardo Valili

Tutta la politica francese ruota attorno al Presidente della Repubblica, scelto con il suffragio universale. Non è un paradosso dire che la campagna per l'elezione del successore comincia il giorno stesso in cui viene proclamato il vincitore. Gli ultimi mesi del mandato sono roventi. Lo sono senz'altro per Nicolas Sarkozy. L'esito del voto della primavera prossima è tutt'altro che scontato. Il presidente era al punto più basso durante l'estate, a vantaggio del suo principale avversario, il socialista Frangois Hollande; e tuttavia nel tardo autunno risaliva la china, ma non abbastanza per apparire il virtuale vincitore al ballottaggio. La ripresa dimostra comunque il dinamismo di Sarkozy. Nelle crisi dà il meglio di se stesso. Durante il conflitto in Georgia, nell'estate 2008, ha saputo colmare il vuoto americano. Si è distinto con il suo attivismo nell'autunno successivo davanti al crack bancario. E poi nell'offensiva contro Gheddafi. Incollandosi ad Angela Merkel, contrastandola quel poco necessario per salvare l'orgoglio francese ma assecondandola nell'essenziale, Sarkozy si è altresì distinto nella battaglia per la 104

salvezza dell'euro. Non è tuttavia sulla politica estera che si gioca l'elezione. Eletto anche grazie a uno slogan sul momento efficace (Chi lavora di più guadagna di più), Sarkozy deve adesso riuscire a farsi rieleggere dai francesi che guadagnano e lavorano di meno. Appena eletto, banchettando la sera stessa con amici ricchi ο famosi nel locale più costoso dei Campi Elisi, e poi approfittando della barca di un conoscente miliardario, egli non ha nascosto le sue preferenze sociali. Pochi uomini politici sono stati tanto raccontati. Ha divertito ma soprattutto scandalizzato. Le sue origini straniere (padre ungherese e nonno materno di Salonicco) hanno contribuito a creare l'idea positiva di un uomo che ha saputo sfondare, grazie al dinamismo, in una società che non era quella dei suoi genitori. Sul suo coraggio, a volte sconfinante nella sfrontatezza, non c'è alcun dubbio. Ma di recente è apparso, più che audace, agitato, aggressivo, iperattivo, sprezzante. Sul terreno istituzionale è stato accusato di " usurpare" il ruolo del primo ministro, dimenticando che il presidente è più un arbitro che un capo dell'esecutivo. Negli ultimi mesi Sarkozy ha tuttavia cambiato stile. Appare molto più riservato, nella vita privata, e più preciso negli atti pubblici. Pensa che così lo vogliano i francesi, chiamati presto a pronunciarsi sulla sua rielezione.

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Il vocabolario della crisi

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Le "Global Sul"

ISTITUZIONI FINANZIARIE SISTEMICAMENTE RILEVANTI

Principali banche in lista

Andrea Greco

Nel settembre 2008, con il crac di Lehman Brothers, il mondo ha imparato - ex post, quindi a sue spese - che è meglio non lasciar fallire le istituzioni finanziarie che possano provocare ricadute sistemiche, mettendo nei guai le altre controparti. La chiusura improvvisa della grande banca d'affari americana coinvolse moltissimi attori, sia gli istituti concorrenti che lafinanziavano,sia gli operatori che avevano importanti posizioni aperte presso i suoi sportelli. Quel crac da 613 miliardi, il maggiore della storia, gettò i mercati nel panico provocando cinque mesi di tracolli borsistici, chiusure di hedge fund e altre società, e costrinse il Tesoro Usa a un intervento di aiuti da 700 miliardi per riacquistare i "titoli tossici" nel sistema (ilTarp). Da allora si è diffuso il concetto di "too big to fail", applicato a quelle istituzioni "troppo grandi per fallire", perché la loro chiusura avrebbe messo a rischio la salute del sistema: troppi affari incrociati, troppi dossier comuni, troppa capacità di scatenare il panico. Dal dibattito di quei giorni, anche tra i governi e i regolatori, è scaturito il concetto riflesso di "Sifi", acronimo inglese di "Istituzioni finanziarie sistemicamente rilevanti". Un anno fa, al G20 di Seul, fu stabilito, di concerto con il Comitato di Basilea, che sono quelle istituzioni "il cui fallimento provocherebbe, a causa della loro dimensione, complessità e reti di interconnessioni sistemiche, forti

STATI UNITI

•Bank of America •Citigroup »JP Morgan •Goldman Sachs «Morgan Stanley

REGNO

•Royal Bank of Scotland «Lloyds •Barclays *HSBC

FRANCIA

•Crédit Agricole •8ΝΡ *Société Generale

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GERMANIA •Deutsche Bank •Commerzbank SVIZZERA

•UBS •Crédit Suisse

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quali il rischio di rimanere disoccupati ο di ammalarsi ο di cadere in povertà e così via. Questi rischi vengono allora assicurati dallo Stato mediante schemi di assicurazione sociale: il welfare. Esiste anche nei paesi ad economia di mercato più rigida, come gli Usa ma è in Europa che ha trovato storicamente gli esempi più luminosi. Ad esempio, il sistema di welfare garantisce ai cittadini che anche nel caso peggiore non resteranno privi di reddito ο di copertura sanitaria. Come si vede, inevitabilmente l'assicu­ razione sociale opera redistribuzioni, almeno ex-post, dopo che una certa costellazione di eventi incerti si sono verificati. I sistemi di welfare sono a cari­ co dellafiscalitàgenerale e sono un parte rilevante della spesa pubblica. La crisi dei debiti sovrani ha messo sotto pressione i conti pubblici e lo stesso welfare. Per non mettere a rischio il sistema di assicurazione sociale è quindi necessario che la redistribuzione che avviene attraverso il sistema di assicurazione sociale e le regole con cui opera siano il più possibile trasparenti, efficienti ed eque possibile. H

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ZAPATERO, JOSE LUIS EX PRIMO MINISTRO SPAGNOLO Miguel Mora

José Luis Rodriguez Zapatero, tuttora segretario generale del Partido Socialista Obrero Espanol (PSOE), è stato presidente del governo spagnolo tra il 2004 e il 2011. La sua ascesa ai vertici del partito nel 2000, rappresentò un autentico cambio della guardia generazionale: non aveva ancora compiuto 40 anni. La sua azione come premier ha visto due fasi. Nella prima, Zapatero ha saputo prendere decisioni coraggiose. La prima è stata il ritiro delle truppe spagnole in Iraq, una promessa elettorale che molti dubitavano potesse mantenere. La stabilità politica ed economica del periodo 2004-2007 gli ha permesso di realizzare un programma progressista, specie in materia di diritti civili: legalizzazione del matrimonio omosessuale, legge contro la violenza di genere; legge per l'uguaglianza effettiva tra uomini e donne. Tutte queste novità contrastano con il suo secondo mandato, cominciato poco dopo il fallimento di Lehman Brothers che ha dato origine alla crisi. Una crisi che Zapatero si è ostinato a negare all'inizio e che poi ha gestito male. Alle elezioni dello

scorso novembre il Psoe ha ottenuto il peggior risultato di sempre, con la perdita di più di 4 milioni di voti. Il piano di risanamento dei conti pubblici chiesto dall'Ue e dal Fondo Monetario ha costretto Zapatero ad approvare tagli durissimi che hanno annullato alcune delle conquiste sociali della prima legislatura. Tra le misure più discusse ha aumentato l'Iva, alzato l'età pensionabile a 67 anni, ridotto del 5% il salario dei dipendenti pubblici. Ha varato una riforma del mercato del lavoro definita "lesiva dei lavoratori" dai sindacati e che gli è costata uno sciopero generale e non ha comunque impedito alla disoccupazione di arrivare, un anno dopo, a superare il 20%. Nell'ultimo anno e mezzo, la sua politica economica è stata contraddistinta dalla titubanza, con proposte di tagli annunciate all'opinione pubblica e poi non realizzate, e da una fulminante perdita di prestigio non sono nazionale ma anche internazionale. Tutto questo, accompagnato dalla rinuncia del centrodestra a collaborare nella soluzione della crisi, cosa che lo ha costretto ad accorciare il suo mandato. Uno dei suoi più importanti successi è essere riuscito a mettere fine al terrorismo basco dell'Età grazie a una politica di duro impegno di polizia contro l'organizzazione terrorista che alla fine, lo scorso ottobre ha annunciato la cessazione definitiva della sua attività armata. Η

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Cinque anni vissuti pericolosamente Dai subprime allo spread cronologia ragionata della crisi A cura di Silvia Maria Busetti e Eugenio Occorsio

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27 FEBBRAIO 2007

ESPLODE IL CASO SUBPRIME Washington. La Federai Home Loan Mortgage Corporation (Freddie Mac) annuncia che non tratterà più i mutui "subprime" nonché i titoli correlati in qualche modo con questi mutui. 2 APRILE 2007

FALLISCE LA NEW CENTURY New York. La New Century, maggiore istituto americano di prestiti subprime, fallisce dopo che nelle settimane precedenti una serie di piccoli istituti aveva dichiarato bancarotta 1 GIUGNO 2007

SI MUOVONO LE AGENZIE DI RATING

New York. Standard and Poor's e Moody's Investor Services abbassano il rating su 100 emissioni di bond costruite con Γ «impacchettamento» dei mutui subprime.

B0LLA0N0N BOLLA?! O&la, s i ferma, sale: il mercato immobiliare è a macchia di leopardo. Beco come muoversi i n u n a fase incerta, M e n t r e negli Stati Uniti il crollo è già iniziato I

6 GIUGNO 2007

I RISCHI GLOBALI AL G-8 Heìligendamm (Germania). Si apre il G8 annuale che, per la prima volta da diversi anni, non si consuma nella consueta conviviale allegria perché comincia a intrawedersi la crisi che avrebbe sconvolto il mondo di lì a poco. 7 GIUGNO 2007

CATTIVI SEGNALI DA BEAR STEARNS New York. La Bear Stearns informa gli investitori che sta sospendendo i rimborsi dal suo High-Grade Structured Credit Strategies Enhanced Leverage Fund. Ma

per gli altri settori di attività la quarta banca d'investimento americana continua a funzionare al meglio. 11 LUGLIO 2007

IL RATING DEI SUBPRIME New York. Standard & Poor's piazza 612 classi di titoli imperniati su mutui subprime residenziali in un "credit watch". L'agenzia verrà negli anni successivi duramente accusata, insieme a Moody's, per aver con troppa facilità attribuito rating eccessivamente generosi a queste emissioni frutto di cartolarizzazioni arbitrarie 131

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I quaderni di Affari&Finanza

e ingegneristiche, al punto che difficilmente si riesce a risalire a quali debiti si riferivano esattamente.

della Countrywide a BBB+. Nel frattempo la stessa Countrywide prende prestito tutti gli 11,5 mld di dollari disponibili in varie linee di credito con altre banche.

24 LUGLIO 2007

COUNTRYWIDE LANCIA L'SOS Washington. La Countrywide Financial Corporation, una banca particolarmente attiva nel settore dei mutui casa e specialmente nelle zone rurali del Paese, lancia l'allarme dicendo di trovarsi in "condizioni drammatiche".

IL PESSIMISMO DELLA FED Washington. La Federai Reserve dichiara che, vista la tempesta in corso sui mercati finanziari, "i rischi di una revisione al ribasso della crescita sono molto aumentati".

31 LUGLIO 2007

5 SETTEMBRE 2007

BEAR STEARNS BATTE IN TESTA New York. La Bear Stearns, già in seria difficoltà, liquida due "hedge funds" che investivano in vari tipi di titoli basati sui mutui cartolarizzati.

L'ITALIA CRESCE MENO Roma. Il Pil Italiano nel terzo trimestre è previsto in crescita dello 0,3% contro lo 0,6% di Germania e Francia e lo 0,8% di Gran Bretagna ma contemporaneamente TOcse riduce le previsioni di crescita annuali dal 2,7% al 2,6% nell'area euro e dal 2,1% all'1,9% negli Usa.

6 AGOSTO 2007

IL CRACK

DELLA "CASA DEI MUTUI" New York. La societàfinanziariaAmerican Home Mortgage Investments Corporation, specializzata nell'erogazione di mutui casa, si appella alla protezione dalla bancarotta secondo il Chapter 11. 10 AGOSTO 2007

IL POLMONE DELLA FED Washington. La Fed annuncia che, visto il momento difficile, se necessario fornirà ulteriori riserve, affinché il trading sul mercato dei Fondi Federali resti vicino al tasso obiettivo del 5,25%. 16 AGOSTO 2007

LA SCURE DEL RATING

Washington. La Fitch abbassa il rating 132

17 AGOSTO 2007

11 SETTEMBRE 2007

LA UE VEDE ROSA

Bruxelles. La Commissione Europea prevede che il Pil della zona euro crescerà del 2,5% nell'intero anno e quello dell'Ue a 27 del 2,8%. In effetti, a fine anno le previsioni verranno sostanzialmente rispettate, almeno come media delle rispettive aree, ma la crescita crollerà drammaticamente l'anno successivo e soprattutto nel 2009. 11 SETTEMBRE 2007

IL GIAPPONE SI SENTE TRANQUILLO Tokyo. La Bank of lapan emette un rapporto in cui si legge che la crisi dei mutui subprime Usa non avrà effetti significati-

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Cronologia

vi sulla stabilità del sistema finanziario nipponico. È anche una forma di rivalsa "tardiva" perché il sistema finanziario giapponese si è sempre ritenuto fortemente penalizzato dalle regole internazionali imposte dall'America.

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12 SETTEMBRE 2007

DALL'FMI ACQUA SUL FUOCO Washington. Il Fondo Monetario emette un comunicato per raccomandare "nessun allarmismo" e "solo un modesto rallentamento" per l'economia degli Stati Uniti con conseguenze limitate per il resto del mondo. 14 SETTEMBRE 2007

IL TESORO UK IN AIUTO DELLA NORTHERN Londra. Il cancelliere dello Scacchiere britannico autorizza la Bank of England a provvedere indefiniti supporti di liquidità per la Northern Rock. 18 SETTEMBRE 2007

LE PERDITE SU NORTHERN SI AGGRAVANO Londra. Il gestore dei Fondi di Edimburgo, Baillie Gifford, maggior azionista istituzionale di Northern Rock, comunica di aver subito una perdita di oltre 250 milioni di sterline a causa del crollo del titolo. 20 SETTEMBRE 2007

LE RASSICURAZIONI DI FAISSOLA Milano. Il Presidente della Associazione Bancaria Italiana, Corrado Faissola, afferma che "non ci sono pericoli per il sistema bancario italiano derivanti dalla crisi del credito che ha colpito gli Usa".

26 SETTEMBRE 2007

SCIOPERI ALLA GM Detroit. I lavoratori della General Motors interrompono uno sciopero che aveva bloccato tutti gli impianti Usa del gruppo: era la prima agitazione della casa automo­ bilistica dal 1998, e la più vasta nel settore americano dal 1976, quando si erano fermati i lavoratori della Ford. 30 SETTEMBRE 2007

DILAGA LA SINDROME DEI MUTUI Washington. Secondo uno studio della Mortgage Insurance Company Association

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I quaderni di Affari&Finanza

le famiglie in difficoltà per il rimborso dei mutui superano negli Stati Uniti il 30%. 10 OTTOBRE 2007

SI MUOVE IL TESORO USA Washington. Il segretario al tesoro Henry Paulson annuncia l'iniziativa "Hope Now", un'alleanza di investitori, fornitori di servizi finanziari, membri del mercato dei mutui e altre entità, tutti uniti per cercare di architettare, e se possibile finanziare, strumenti innovativi di soluzione della crisi che avanza. 11 OTTOBRE 2007

ALLARME DELLA BCE Francoforte. La Banca Centrale Europea sostiene nel suo bollettino mensile che l'economia reale, in conseguenza della crisifinanziaria,potrebbe frenare oltre le attese. 1 NOVEMBRE 2007

LA FED HA SEMPRE PIÙ PAURA Washington. La Federai Reserve rende noto che le pressioni sul mercato finanziario si sono intensificate in modo preoccupante e che hanno avuto come conseguenza una diminuzione della liquidità nel mercato dell' "interbank funding".

di di dollari di ricapitalizzazione appena garantita, e questo a causa dei titoli cartolarizzati improvvidamente gestiti, e per l'accavallarsi delle sofferenze sui crediti. Per la successione, il governo americano impone Robert Rubin, l'ex ministro del tesoro di Clinton. 11 DICEMBRE 2007

I TASSI SEMPRE PIÙ GIÙ Washington. Per la quarta volta in un anno la Federai Reserve abbassa il suo tasso sui Fondi Federali al 4,25%: entro poco più di un anno i tassi arriveranno a quota zero, dove sono tuttora. 12 DICEMBRE 2007

L'INGEGNERIA FINANZIARIA DELLA FED

Washington. La Fed annuncia la creazione della " Term Auction Facility (TAF)" in cui un certo ammontare di Fondi a termine sarà offerto all'asta a istituzioni finanziarie a fronte di un'ampia varietà di titoli a garanzia. La Fed autorizza inoltre una serie di "Swap Lines" con la Banca Centrale Europea alla quale vengono garantiti subito 20 miliardi di dollari, e con la Banca Nazionale Svizzera (4 miliardi di dollari).

4 NOVEMBRE 2007

I I GENNAIO 2008

LE DIMISIONI DI PRINCE New York. Chuck Prince, potentissimo Ceo di Citigroup dal 2003 (era stato il successore di Sandy Weill), prima banca d'America, si dimette in seguito alle violente polemiche che accompagnano la sua gestione. Prince è accusato di aver "bruciato" in soli sei mesi quasi 50 miliar-

LA COUNTRYWIDE SVENDUTA Washington. La Bank of America acquista la Countrywide per 4 miliardi di dollari, un prezzo considerato dagli analisti eccezionalmente basso per un'istituzione di tale rilevanza, vessata però da perdite abissali a causa dei mutui casa "subprime" in sofferenza.

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Cronologia

22 GENNAIO 2008

I TASSI A PIOMBO Washington. La Federai Reserve accelera il taglio sugli interessi e abbassa ancora il suo tasso sui Fondi Federali di 75 punti base fino al 3,5%, dando inoltre per certo ai mercati che lo abbasserà ancora. 24 GENNAIO 2008

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TRICHET FRENA SUI TASSI Davos (Svizzera). Al forum di Davos, a sorpresa, Jean-Claude Trichet frena chi gli chiedeva di seguire l'esempio di Bernanke abbassando i tassi, rivelando al contrario la sua intenzione di alzarli perché in Europa, a differenza dell'America, ci sarebbe rischio di inflazione.

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28 GENNAIO 2008

LO SCANDALO SOCGEN Parigi. La Société Generale, gloriosa finanziaria creata da Napoleone III nel 1864, rende noto di essere stata vittima di una maxitruffa da parte di Jéróle Kerviel, che ha aperto posizioni irregolari per oltre 50 miliardi di euro e ha causato alla banca una perdita di 4,9 miliardi, che diventeranno quasi 8 ad ulteriori verifiche. Kerviel viene arrestato e sarà processato.

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25 GENNAIO 2008

CRISI DI GOVERNO IN ITALIA Roma. Il governo presieduto da Romano Prodi si dimette dopo aver perso il voto di fiducia al Senato con 161 voti contrari e 156 a favore. Contro il governo vota anche Clemente Mastella, che tre giorni prima si è dimesso da ministro della Giustizia. Nel pomeriggio il capo dello Stato comincia le consultazioni.

Berlusconi esulta ora subito al voto

Veronesi : dicci ami per hancrc il cancro

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30 GENNAIO 2008

TASSI, ALTRA MISURA RAVVICINATA Washington. La Fed è di parola: dopo appena otto giorni, c'è un'ulteriore misura a sorpresa, e arriva al 3% il tasso di riferimento sui Fondi Federali. In un mese il taglio è stato di 1,25 punti. 13 FEBBRAIO 2008

ARRIVANO LE SOVVENZIONI USA Washington. Il presidente George W.Bush promulga l'Economie Stimulus Act con una serie di sovvenzioni ai settori più in crisi, che valgono un ammontare di circa

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I quaderni di Affari&Finanza

100 miliardi di dollari. È solo il primo di una serie di provvedimenti keynesiani che l'amministrazione repubblicana si fa convincere a mettere in campo. 15 FEBBRAIO 2008

TRICHET AVVERTE SULL'INFLAZIONE Francoforte. La Bce invita alla prudenza, sul fronte dei salari, paventando gli effetti sull'inflazione di una crescita salariale "più vigorosa del previsto". Secondo Trichet bisogna frenare gli aumenti. 17 FEBBRAIO 2008

NAZIONALIZZATA LA NORTHERN Londra. La banca Northern Rock, di fronte alle cui agenzie si sono formate lunghe code di cittadini che vogliono i loro soldi indietro, è ufficialmente acquisita dal Tesoro del Regno Unito. 19 FEBBRAIO 2008

29 FEBBRAIO 2008

ALLARME DI BERNANKE Washington. L'allarme di Bernanke della Fed scuote gli Usa: "altre banche falliranno". Ma Bush frena: "non siamo in recessione". Intanto il dollaro sprofonda e il gasolio tocca un nuovo record. E per Montezemolo l'Italia è in emergenza. 5 MARZO 2008

LA CARLYLE IN DIFFICOLTÀ New York. La Carlyle Capital Corporation, una delle più grossefinanziarieamericane, riceve un avviso di default dopo aver mancato di rispondere ai "margin calls" sul suo fondo di titoli basati sui mutui casa. 7 MARZO 2008

LE ASTE A VALERE SUL "TAF" Washington. La Fed annuncia aste contabilizzate sul nuovo fondo TAF di 50 miliardi di dollari.

MINI-CRISI SUL KOSOVO

Bruxelles. A distogliere dalla crisi economica scoppia un incidente diplomatico sull'indipendenza del Kosovo, che divide l'Europa. Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna danno la loro approvazione alla proclamazione del Governo di Pristina. La Spagna frena e Belgrado protesta e richiama l'Ambasciatore serbo a Washington. 20 FEBBRAIO 2008

LA CORSA DEL PETROLIO Londra. Il greggio, varietà Brent, supera per la prima volta quota 100: arriveràa 158 dollari, il massimo di sempre, a fine luglio, dopodiché rallenterà la sua corsa solo per la diminuzione della domanda globale dovuta alla recessione. 136

11 MARZO 2008

NUOVE LINEE DI CREDITO DELLA FED

Washington. La Fed annuncia la creazione del "Term Securities Lending Facility" che presterà subito 200 miliardi di dollari al Tesoro. Inoltre aumenta la sua linea "Swap" con la BCE di 10 miliardi e con la Banca Nazionale Svizzera di 2 miliardi, estendendola anche temporalmente di tre mesi fino al 30 di Settembre. 14 MARZO 2008

LA FED APPROVAI PIANI DELLE BANCHE

Washington. Il board della Federai Reserve approva la ristrutturazione finanziaria

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Cronologia

annunciata in termini di emergenza da Jp Morgan e dalla Bear Stearns. La Fed annuncia che sta "monitorando gli sviluppi di mercato e continuerà a provvedere liquidità se necessario per promuovere l'ordinato funzionamento del sistema finanziario". 16 MARZO 2008

ENNESIMO SPORTELLO FED Washington. La Fed continua nella sua opera di "distribuzione" di denaro creando la "Primary Dealer Credit Facility". 17 MARZO 2008

LA CRISI DI BEAR STEARNS New York. Una delle maggiori banche d'affari viene venduta con l'intervento pubblico a JP Morgan Chase a 10 dollari ad azione (contro il valore di 133 dollari di pochi mesi prima). 18 MARZO 2008

LA GOLDMAN SACHS BOCCHEGGIA New York. La Goldman Sachs ricorre all'aiuto della Fed con il ricorso alla Primary Dealer Credit Facility. La Goldman utilizzerà un totale di 589 miliardi. 18 MARZO 2008

Bce e Bank of England, hanno raggiunto un accordo per chiedere ai governi di intervenire per coprire le perdite delle maggiori banche d'investimento, quelle "troppo grandi per fallire". È la prima violazione ufficiale del principio dell'azzardo morale.

TASSI USA IN PICCHIATA Washington. La Federai Reserve riduce il tasso sui Fed Funds di 75 punti base fino al 2,25%.

24 MARZO 2008

23 MARZO 2008

SI PERFEZIONA IL SALVATAGGIO DI BEAR STEARNS

L'ALLEANZA DELLE BANCHE CENTRALI

Londra. Il Financial Times rivela che Ben Bernanke, Jean-Claude Trichet e Mervyn King, presidenti rispettivamente di Fed,

New York. La Federai Reserve Bank di New York annuncia che fornirà tutti i finanziamenti necessari per facilitare l'acquisizione della Bear Stearns, virtualmente fallita, da parte della JP Morgan.

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I quaderni di Affari&Finanza

14 APRILE 2008

3 LUGLIO 2008

BERLUSCONI VINCE LE ELEZIONI Roma. La coalizione Pdl-Lega vince le elezioni politiche. La strada è spianata per il ritorno di Silvio Berlusconi al governo. Sarà tecnicamente il IV esecutivo da lui presieduto, di fatto la terza volta che rientra a Palazzo Chigi.

LA BCE ALZAI TASSI Francoforte. Come ampiamente preannunciato la Banca centrale europea reagisce all'aggravamento dei rischi inflazionistici aumentando di 25 punti base i tassi di interesse di riferimento, che raggiungono così il 4,25%. È la prima variazione dal giugno del 2007, quando era stato effettuato l'ultimo di una serie di rialzi nell'ambito di una manovra restrittiva iniziata nel dicembre del 2005. Il rialzo è anche il nono dell'era di Jean-Claude Trichet.

30 APRILE 2008

ANCORA UN RIBASSO DEI TASSI Washington. La Fed riduce il tasso sui Fondi Federali al 2%. Lo porterà a zero di qui a poche settimane, il livello cui si trova ancora oggi e al quale resterà, a quanto ha assicurato Bernanke, fino al 2013. 2 MAGGIO 2008

PIÙ SOLDI ALL'EUROPA Washington. La Federai Reserve incrementa le linee di credito già esistenti con la BCE di altri 20 miliardi di dollari e con la Swiss National Bank di 6 miliardi. 8 MAGGIO 2008

7-8 LUGLIO 2008

IL G-8 IN GIAPPONE Tokyo. Nei due giorni del vertice annuale del G-8 i Grandi si consultano dalla difficile situazionefinanziariaal caro-petrolio (che sta per sfondare quota 150). Viene letto un appello del Papa "basta speculazioni, impegnatevi per i poveri" e l'Ue si impegna genericamente a stanziare un fondo di 100 miliardi di euro per aiutare i Paesi europei in difficoltà.

IL GIURAMENTO DI BERLUSCONI

Roma. Il nuovo governo presieduto da Silvio Berlusconi giura al Quirinale. Al ministero dell'Economia torna Giulio Tremonti. 2 LUGLIO 2008

LA MAGLIA NERA DEI SALARI ITALIANI

Parigi. L'Ocse rende noti i dati in base ai quali il salario medio annuo in Italia nel 2006 è stato pari a 31.995 dollari, il 19,5% in meno rispetto ai 39.743 dollari della media Ocse e il 17% in meno della media di Eurolandia (38.759). 138

10 LUGLIO 2008

BERNANKE CHIEDE PIÙ POTERI Washington. Il presidente della Federai Reserve, Ben Bernanke, chiede formalmente al Congresso che siano aumentati i poteri di vigilanza dell'istituto sul sistema bancario. 13 LUGLIO 2008

IL SALVATAGGIO DEI MUTUI PUBBLICI

Washington. La Fannie Mae e la Freddie Mac, le due agenzie pubblico-private di garanzia sui mutui, vengono salvate dalle

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Cronologia

Autorità Federali che autorizzano la Banca Centrale a prestare loro tutti i fondi di cui c'è necessità.

DAILY*NEWS

7 SETTEMBRE 2008

FANNIE E FREDDIE SOTTO TUTELA Washington. La Federai Housing Finance Agency dispone che Fannie Mae e Freddie Mac siano messe sotto il diretto controllo del Governo. Il Ministero del tesoro detta le condizioni per la loro ripresa di attività. 12 SETTEMBRE 2008

SI RAFFORZANO I SEGNALI Di CRISI DI AIG

II Dow lones crolla di 504 punti in conseguenza della crisi di Aig, la società di assicurazioni invischiata nel disastro dei titoli cartolarizzati e basati sui mutui, nonché in quello dei Credit Default Swaps, i certificati di assicurazione che tutelano contro i fallimenti di ogni tipo, che non mancano certo in questo periodo. 15 SETTEMBRE 2008

LA BANCAROTTA LEHMAN New York. La Lehman Brothers, una delle "bigfive"dell'investment banking americano, fallisce e viene chiusa, schiacciata da debiti bancari per 613 miliardi di dollari e debiti obbligazionari per 155 miliardi. È la maggior bancarotta della storia. 15 SETTEMBRE 2008

MERRILL LYNCH PERDE L'INDIPENDENZA

New York. La Bank of America acquista la Merrill Linch, che era la maggior casa di brokeraggio del Paese, per 50 miliardi di dollari. Nell'occasione la ML vende il 50%

in suo possesso della BlackRock, altre gigante del risparmio gestito. A comprare sono alcuni investitori privati. 16 SETTEMBRE 2008

RESA DEI CONTI PER AIG

A differenza di Lehman Brothers, caso pei il quale il ministro Paulson ha ricevuto i complimenti del mercato perché si è evitato l'azzardo morale (in cui un debitore viene comunque salvato e quindi premiato per la condotta irresponsabile), il Tesoro americano decide di rifinanziare con 85 miliardi di dollari l'altrettanto agonizzan-

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I quaderni di Affari&Finanza

te Aig, ritenendo evidentemente maggiore il rischio sistemico. Ma i mercati di tutto il mondo reagiscono malissimo a questo mix di interventi e crollano senza pietà. 17 SETTEMBRE 2008

IL TESORO AMERICANO IN CAMPO Washington. Il Dipartimento del Tesoro Usa annuncia un programma di "Supplementary Financing" che consiste in una serie di emissioni di titoli governativi destinati specificamente a creare cash per le iniziative di salvataggio in corso.

29 SETTEMBRE 2008

IN SOCCORSO DI CITIGROUP Washington. Il Governo Usa conclude un accordo di ripartizione delle perdite con Citigroup su 312 miliardi di prestiti: la banca assorbirà i primi 42 miliardi di perdite e il governo tutte quelle ulteriori. In cambio il governo prende una quota della banca, nella quale nel frattempo è intervenuto anche il fondo sovrano di Abu Dhabi. 29 SETTEMBRE 2008

INTERVENTO SUL MONEY MARKET Washington. Il Tesoro americano annuncia un programma temporaneo di garanzia che rende disponibili 50 miliardi di dollari a favore dei partecipanti al mercato dei Fondi Monetari.

L'AIUTO DELLA FED SI ALLARGA Washington. Nuove "Swap Lines" della Fed sono aperte con gli Istituti Centrali di Canada, Gran Bretagna, Giappone, Danimarca, Norvegia e Australia, oltre che con BCE e Banca Svizzera. Al contempo sono autorizzati 330 miliardi di finanziamento che portano il totale delle linee esistenti a 620 miliardi.

21 SETTEMBRE 2008

30 SETTEMBRE 2008

NUOVO VOLTO PER LE BANCHE D'INVESTIMENTO

RESPINTI GLI INTERVENTI DEL TESORO

New York. La Federai Reserve approva le richieste delle due maggiori banche di investimento del Paese, Goldman Sachs e Morgan Stanley, di diventare Bank Holding Companies, in pratica banche commerciali. Ciò permetterà di usufruire con maggior facilità degli aiuti federali, nonché di estendere l'operatività.

Un primo tentativo di avviare un maxiprogetto organico di salvataggio (quello che dopo si chiamerà Tarp), avanzato sotto forma di proposta di legge dal Tesoro, viene rigettato dalla Camera dei Rappresentanti. I mercati reagiscono malissimo: il Dow Jones perde in un colpo solo il 7%, pari a 777,68 punti, la maggior perdita in una giornata della storia (per numero di punti persi). Il Nasdaq va ancora peggio e perde il 9,1%. Nella stessa nottata il Tesoro rilancia il provvedimento e il Presidente inizia una nuova tornata di incontri perché venga varato, cosa che in effetti avverrà entro pochi giorni.

19 SETTEMBRE 2008

26 SETTEMBRE 2008

POTENZIATI GLI SWAP CON LA BCE Washington. La linea di credito con la BCE della Federai Reserve è aumentata di 10 miliardi di dollari e con la Banca Nazionale Svizzera di 3 miliardi. 140

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Cronologia

3 OTTOBRE 2008

VIA LIBERA AL "TARP" Washington. Il presidente George W.Bush promulga la legge istitutiva delTarp (Troubled Asset Relief Program), il programma da 700 miliardi di dollari per l'acquisto sia di asset che di azioni delle aziende finanziarie. È il più masiccio programma di sovvenzioni pubbliche dai tempi del New Deal rooseveltiano che condusse all'uscita dalla Grande Depressione.

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7 OTTOBRE 2008

NUOVO STRUMENTO D'EMERGENZA ALLAFED

Washington. La Federai Reserve annuncia la creazione del "Commercial Paper Funding Facility" che fornirà un sostegno di liquidità alle istituzioni americane che emettono carta commerciale.

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7 OTTOBRE 2008

PIÙ COPERTURA PER I CORRENTISTI Washington. Le Autorità Federali americane annunciano un incremento nella copertura assicurativa sui depositi bancari detenuti dai singoli cittadini fino a 250mila dollari (in precedenza erano 150mila. In Italia la quota è di 103mila euro.

14 OTTOBRE 2008

LE PRECISAZIONI DI PAULSON Washington. Il segretario al Tesoro, Henry Paulson, precisa i limiti di azione de] Tarp, puntualizzando che per il momen10 OTTOBRE 2008 to si rivolge solo alle nove principali banRISCHI ALLE STELLE che del Paese e indicando nel dettaglio i Saint Louis, Missouri. L'ufficio studi della Federai Reserve Bank of Saint Louis, uno criteri che queste dovranno soddisfare. In dei dodici distretti di cui si compone il seguito, l'intervento a carico del Tarp versistema Fed in America, pubblica un raprà integrato ed esteso al resto del sistema porto in cui si sostiene che l'indice di finanziario, che peraltro troverà aiuti rischiosità Libor-Ois per il sistema finanzia- anche da altre fonti pubbliche, e infine al rio globale è giunto a 20 volte quello di comparto manifatturiero (auto, infraagosto 2007. strutture, energia).

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I quaderni di AffariOFinanza

21 OTTOBRE 2008

L'AIUTO Al FONDI COMUNI Washington. L'ennesimo annuncio della Fed della creazione di uno strumento di emergenza. Questa volta si chiama "Money Market Investor Funding Facility" che è rivolto a facilitare l'acquisto di asset dai fondi comuni che operano sul mercato monetario americano. 4 NOVEMBRE 2008

L'ELEZIONE DI OBAMA Washington. Il democratico Barack Obama, senatore di Chicago, viene eletto 44esimo Presidente degli Stati Uniti, battendo il repubblicano John McCain, penalizzato come tutti i candidati del partito al potere dalla crisi economica. 10 NOVEMBRE 2008

IL "TARP" CINESE

Pechino. Il governo di Pechino stanzia 586 miliardi di dollari per sostenere le aziende cinesi in crisi, soprattutto quelle del compartofinanziario,seguendo il modello americano di stimolo pubblico all'economia.

particolare centrate sul ruolo dell'Fmi, che erogherà più fondi e con maggior velocità nei casi d'emergenza più gravi. 15 DICEMBRE 2008

LA TRUFFA MADOFF New York. Su un mercato già abbastanza provato si abbatte anche la maxi truffa architettata da Bernie Madoff, che ha truffato ai risparmiatori quasi 70 miliardi di dollari in trent'anni di "onorato servizio". Madoff viene arrestato e sarà condannato a pene reclusive per un totale di 150 anni. Il ciclone Madoff fa tremare le Borse di tutto il mondo. 15 GENNAIO 2009

LA BCE TAGLIAI TASSI Francoforte. La Bce taglia i tassi in Eurolandia di mezzo puntofinoal 2%, minimo storico della Banca Centrale alla pari con il 2003. Ora il differenziale fra il costo del denaro negli Stati Uniti e quello nell'Eurozona si attesta sul 2%, tenuto conto che la Fed ha praticamente azzerato il tasso sui Fed Fundsfissandoun range compreso tra zero e 0,25%.

14 NOVEMBRE 2008

L'AIUTO DEL GIAPPONE Tokyo. Il Giappone, Paese fino a questo punto sostanzialmente indenne dalla crisi, fa sapere di essere pronto a versare 100 miliardi di dollari all'Fmi per aiutare il mondo in questa fase di emergenza. 15 NOVEMBRE 2008

IL SUMMIT DELL'EMERGENZA Washington. Vertice del G-20 nella capitale americana che si conclude con l'adozione di una serie di misure anticrisi, in 142

20 GENNAIO 2009

L'INSEDIAMENTO DI OBAMA Washington. Inauguration Day, l'attesissima cerimonia dell'insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca. Dopo la passeggiata con George Bush dalla Casa Bianca a Capitol Hill, il Presidente giura posando la mano sulla Bibbia che Lincoln usò nel 1861. Promette di fare del proprio meglio per «preservare, proteggere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti», assumendo così a pieno titolo i poteri.

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Cronologia

5 FEBBRAIO 2009

TRICHET PROMETTE IL TAGLIO Francoforte. Il direttivo della Banca Centrale Europea conferma il tasso di riferimento al 2,00%, livello cui è stato portato lo scorso 15 gennaio. Il taglio è dunque rimandato, ma non si dovrà aspettare molto: infatti, secondo le analisi del presidente della Banca, Jean-Claude Trichet il taglio dei tassi sarà effettuato nella prossima riunione di marzo. Nello stesso giorno la Banca Centrale Britannica taglia invece i tassi di 50 punti base all'I per cento, il minimo assoluto dalla nascita della Banca d'Inghilterra (BoE) nel 1694. Da ottobre la BoE ha ridotto complessivamente i tassi di 400 punti base.

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7 FEBBRAIO 2009

IL FMI PESSIMISTA SULL'ITALIA Washington. "La possibilità che la recessione in Italia si prolunghi nel 2010 non può essere scartata". Ad affermarlo è il Fondo Monetario Internazionale, nel Rapporto Artide IV. Le previsioni del Fmi sono peggiori di quelle della Commissione Europea e della Banca d'Italia. Gli analisti di Washington definiscono "tetre" le prospettive economiche dell'Italia, ritenendo che nel migliore dei casi si avrà "un'eventuale ripresa debole e lenta". Secondo l'Fmi l'Italia conoscerà tre anni consecutivi di contrazione del Prodotto interno lordo (-0,6% nel 2008, -2,1% nel 2009 e -0,5% nel 2010). Il rapporto deficit-Pil tornerà sopra il 3%. Il debito pubblico italiano salirà al 108,2 a fine 2009, dopo essersi attestato al 105,7 nel 2008. Per il 2010 il Fondo prevede un debito pari al 109,7%. In realtà arriverà a sfiorare il 120%.

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2 MARZO 2009

GIORNATA NERA PER LE BORSE Milano. Ennesima giornata da brividi sulle borse europee: gli indici, già negativi in mattinata, cadono a piombo nel pomeriggio zavorrati da Wall Street, dove il Dow Jones rompe al ribasso la soglia dei 7mila punti. Non accadeva dall'ottobre 1997. Milano è la maglia nera d'Europa con un -5,67%. L'altro indice SP/Mib perde il 6,02%, la prima volta dal 1997 che scende di oltre sei punti. Pioggia di vendite su tutti i settori: i più colpiti ancora una volta i bancari.

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I quaderni di Affari&Finanza

2 MARZO 2009

19 MARZO 2009

NUOVO INTERVENTO PER AIG Washington. Nuovo pacchetto di assistenza governativa alla American International Group (AIG), maggior gruppo assicurativo Usa. Il capitale addizionale è di 30 miliardi di dollari presi dal Tarp. La AIG ha riportato una perdita nel quarto trimestre 2008 di 61,7 miliardi di dollari e di 99,3 miliardi per l'intero anno.

GLI AIUTI PER L'AUTO Washington. Il Dipartimento del Tesoro Usa annuncia l'"Auto Suppliers Support Program" in virtù del quale eroga altri 5 miliardi all'industria dell'automobile americana. Nel frattempo, con stanziamenti successivi, è operativo anche il programma "crash for clunkers" che si propone di finanziare chi rottama una vecchia auto per comprare una nuova (clunker letteralmente significa "macinino").

5 MARZO 2009

BORSA, NUOVA GIORNATA NERA Milano. Gli indici di Borsa crollano ancora e raggiungono i livelli di 13 anni prima. Milano è la piazza peggiore d'Europa con il Mibtel in calo del 5,39% e l'SP/Mib del 5,89%. A gelare i mercati stavolta le indicazioni sul Pil dell'Eurozona, con la Bce che ha tagliato drasticamente le stime per il 2009.

23 MARZO 2009

ALLARME-ITALIA DI ALMUNIA

Il commissario europeo alla competizione, nonché vicepresidente della commissione, IoaquinAlmunia, lancia l'allarme: l'Italia è tra i Paesi a rischio per il suo debito troppo alto. Contemporaneamente, la Bce si dice pronta a tagliare il costo del denaro.

11 MARZO 2009

24 MARZO 2009

ANCORA PERDITE PER "FREDDIE" Washington. La Freddie Mac (mutui garantiti dallo Stato) annuncia che ha avuto una perdita netta di 3,9 mld di dollari nel quarto trimestre 2008 e di 50,1 mld per l'intero anno; contemporaneamente richiede un ulteriori finanziamento al Tesoro di 30,8 mld di dollari.

VIA AL PROCESSO MADOFF

17 MARZO 2009

AUMENTANO LE QUOTE NELLE BANCHE

Comincia l'attesissimo processo a Bernie Madoff. I primi accusatori sono ifigli,ai quali Madoff ha già confessato le sue malefatte. Comincerà poi la lunghissima serie delle testimonianze da parte delle centinaia di risparmiatori truffati. 27 MARZO 2009

OBAMA CONTRO I MAXIBONUS Washington. Barack Obama tuona contro i bonus scandalosi dei manager. Stop ai premi e in particolare il Presidente chiede al segretario del Tesoro di bloccare i 165 milioni di dollari di bonus stanziati da Aig. 144

Washington. Il Tesoro Usa acquista un totale di 193 milioni di dollari in azioni privilegiate da 14 banche americane secondo il Capital Purchase Program che con questa operazione arriva a sfiorare i 700 milioni di investimenti complessivi.

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Cronologia

31 MARZO 2009

OKAFIAT-CHRYSLER Detroit. Il Presidente Obama, nel corso di una cerimonia ufficiale alla casa Bianca a fianco di Sergio Marchionne, dà il via libera ufficiale all'accordo fra la Fiat e la Chrysler che dovrà portare sul medio termine alla completa fusione fra i due gruppi automobilistici. Per ora la Fiat entra con una quota di maggioranza relativa nell'azionariato a fianco del governo americano e dei sindacati di Detroit.

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1 APRILE 2009

PIÙ' SPAZIO VITALE PER LA GRECIA

Alla vigilia del vertice del G-20 di Londra, i leader dei maggiori Paesi europei si accordano informalmente per concedere una moratoria di sei mesi alla Grecia perché questa riesca a vare un convincente progetto anticrisi, fermo restando l'obietivo del pareggio di bilancio entro il 2013. 2 APRILE 2009

VERTICE ANTICRISIA LONDRA Londra. Nuovo summit dei leader dei G-20 sui mercati finanziari e l'economia mondiale. I capi di stato e di governo si impegnano in un piano comune anticrisi del valore complessivo di mille miliardi di dollari. Tra gli altri provvedimenti si adeguano e si rafforzano i poteri del Financial Stability Board che viene messo direttamente alle dipendenze del G20, mentre il suo predecessore Financial Stability Forum operava in parallelo con la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea. A capo del rinnovato Fsb viene nominato l'italiano Mario Draghi. Intanto, fuori del vertice, duri scontri fra manifestanti e polizia.

3 APRILE 2009

SI INTENSIFICANO GLI ACQUISTI Washington. Ancora acquisti di azioni bancarie da parte del dipartimento al Tesoro americano per 54,8 milioni di dollari, sempre secondo il Capital Purchase Program. 6 APRILE 2009

TERREMOTO ALL'AQUILA L'Aquila. Un violentissimo terremoto devasta il centro storico dell'Aquila e un'ampia zona urbanistica circostante. La magnitudo è 5,9 (scala Richter). Ad even-

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145

I quaderni di Affari&Finanza

to concluso il bilancio definitivo è di 308 vittime, oltre 1600 feriti e oltre 10 miliardi di euro di danni. All'Aquila il governo terrà in luglio la riunione del G-8 già programmata nella sede della Maddalena.

29 APRILE 2009

COMINCIA IL "SEXGATE" DI BERLUSCONI

Napoli. Scoppia lo scandalo Noemi Letizia, che segna l'inizio delle vicende personali che finiranno col minare la figura di 9 APRILE 2009 Silvio Berlusconi all'estero e tre anni più tardi saranno la concausa per l'emarginaLA GRECIA CROLLA NEL RATING zione dell'Italia dai consessi internazionaAtene. L'Agenzia Fitch taglia il rating per la Grecia di 2 puntifinoa BBB - da BBB +. È il li più prestigiosi. Il 17 giugno esploderà il caso D'Addario, e il 27 ottobre quello Ruby. più basso rating "investment grade"fraquelli attribuiti dalle terza agenzia mondiale. 7 MAGGIO 2009 22 APRILE 2009

L'FMI DURISSIMO CON L'ITALIA Washington. Ammonimento molto severo del Fmi in particolare all'Italia, in occasione delle riunioni di metà anno: nel 2010, dice il Fondo, il problema del debito italiano esploderà in tutta la sua gravità. Previsione indovinata. 23 APRILE 2009

IL SUPERMANAGER SI SUICIDA Washington. David Kellerman, 41 anni, direttorefinanziariodi Freddie Mac, l'istituto di credito immobiliare che ebbe un ruolo chiave nella crisi dei mutui, si suicida impiccandosi nel garage di casa dopo le roventi polemiche sulla supergratifica di 800mila dollari che aveva ricevuto, oltre allo stipendio, nel 2008.

IL PRIMO "STRESS TEST" Washington. La Fed pubblica i risultati degli stress test sulle 19 maggiori banche americane. Dal rapporto risulta che le banche potrebbero perdere ben 600 miliardi di dollari entro il 2010 se l'economia rispondesse allo scenario peggiore tra quelli considerati. Nove delle 19 banche hanno comunque adeguato capitale per mantenere il Tier 1. Dieci avrebbero bisogno di 185 miliardi in più di capitale. 20 MAGGIO 2009

L'AIUTO PER LE FAMIGLIE AMERICANE

Washington. Il Presidente Barack Obama promulga la legge "Helping Families Save Their Homes" che amplia temporaneamente tutte le forme di assicurazione federale ai mutui casa.

24 APRILE 2009

ANCORA ACQUISTI DI TITOLI BANCARI

21 MAGGIO 2009

Washington. Ennesimo acquisto di azioni bancarie da parte del Tesoro, contabilizzato sempre a carico del Capital Purchase Program per 121,8 milioni di dollari. 146

PEGGIORA L'OUTLOOK BRITANNICO Londra. Standard & Poor's abbassa il suo outlook sul debito della Gran Bretagna da stabile a negativo a causa dei costi fiscali del supporto alle banche del Paese. S&P

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Cronologia

stima che questi costi sono tali da raddoppiare il peso del debito pubblico fino al 100% del Pil entro il 2013. 27 MAGGIO 2009

GM TENTA DI RISTRUTTURARSI Detroit. La General Motors chiude in anticipo l'offerta di conversione delle obbligazioni in azioni ordinarie e nel contempo annuncia la separazione dalla controllata europea Opel.

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1 GIUGNO 2009

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Detroit. La General Motors annuncia di aver fatto richiesta di accesso ai benefici del Chapter 11 del Codice di fallimento americano.

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26 GIUGNO 2009

CITIGROUP TORNA PRIVATA New York. La Citigroup avvia la ri-privatizzazione del 30% del suo capitale che era finito in mani pubbliche nel momento più difficile, un anno prima. Segno che forse la fase più acuta della crisi comincia ad essere passata. In realtà, il peggio forse è alle spalle solo per il settore finanziario, che ha ricevuto i benefici più cospicui. 15 LUGLIO 2009

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CON LE CARTE MSUTARi A COLORÌ RUSSE £ GEORGIANE DELLA GUERRA D'AGOSTO LIMES CONTÌNUA SU www.iimesonline.com

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1 25 AGOSTO 2009

LA CONFERMA DI BERNANKE Washington. Barack Obama conferma Ber Bernanke per un secondo mandato come presidente della Federai Reserve. Bernan ke, che "nasce" come simpatizzante repub blicano, è entrato in sintonia con il presidente democratico assecondando le sue politiche di finanziamento pubblico.

CROLLO DEL PIL ITALIANO Roma. L'Istat comunica le cifre disastrose del Pil italiano, che è sceso nel secondo trimestre a -5,2% su base annua. Le entrate fiscali intanto diminuiscono, e il debito pubblico tocca un nuovo record sfiorando i 2000 27 AGOSTO 2009 miliardi di euro. Una settimana più tardi, il IL BOOM DELLE SOFFERENZE 22 luglio, il governatore Draghi lancia un New York. Il numero delle banche definite accorato allarme per i conti pubblici. "problematiche" dalla stessa Fed ("problerc

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147

I quaderni di Affari&Finaiiza

bank") è aumentato dalle 305 con 220 miliardi di asset alla fine del primo trimestre 2009 fino a 416 banche con 299,8 miliardi allafinedel secondo trimestre 2009.

limentare con 100 miliardi di dollari di debiti e posseduta ormai per il 61 per cento dall'amministrazione federale, rende noto di aver perso nel terzo trimestre ancora 1,2 miliardi.

18 SETTEMBRE 2009

FRENO AGLI AIUTI ALLA FINANZA Washington. Il Dipartimento del Tesoro americano annuncia la chiusura del Guarantee Program for Money Market Funds che era stato creato sulla scia del fallimento di Lehman Brothers.

18 NOVEMBRE 2009

WALL STREET, PROVE DI RECUPERO New York. L'indice Dow Jones chiude sopra quota 1 Ornila per la prima volta da più di un anno, precisamente dal 3 ottobre 2008. È un segnale difiduciaper l'economia in un momento in cui il "doublé dip" sembra molto lontano, malgrado alcuni economisti di prestigio come Nouriel Roubini continuino a prevederlo.

AUMENTANO LE CASE "A RISCHIO" NewYork. L'agenzia di consulenza immobiliare TransUnion, che dispone di un database di 27 milioni di posizioni, lancia l'allarme-"delinquencies", cioè di quanti non riescono a pagare il mutuo per la casa e rischiano di essere sfrattati. Nella drammatica classifica stato per stato primeggia il Nevada con un tasso di "deliquencies mortgage" del 14,4%: era del 7,7% nel terzo trimestre 2008. Seguono la Florida con il 13,3% (dal 7,8 l'anno precedente), poi l'Arizona con il 10,4 (dal 5,5), la California con il 10,2 (5,8 nel 2008). Le percentuali sono destinate a salire negli anni successivi.

11 NOVEMBRE 2009

23 NOVEMBRE 2009

IL BOOM

GEITHNER PENSA ALLE DIMISSIONI

14 OTTOBRE 2009

DELLA DISOCCUPAZIONE USA San Francisco. Il presidente dell'ufficio californiano della Federai Reserve, unitamente a quello dell'ufficio di Atìanta, Tennis Lochart, avvertono che la crescente disoccupazione, che ha appena superato il 10 per cento, può incidere pesantemente sui consumi americani, che costituiscono il 70% dell'economia. Sono 16 milioni gli americani alla ricerca di una lavoro. 17 NOVEMBRE 2009

LA VORAGINE GENERAL MOTORS Detroit. La Gm, entrata in procedura fal148

Washington. Si diffondono a Wall Street voci di dimissioni del Ministro del Tesoro americano Timothy Geithner e di una sua sostituzione con il n. 1 di JP Morgan, Jamie Dillon. Le voci si riveleranno poi infondate. 2 DICEMBRE 2009

BANKAMERICA RIALZA LA TESTA New York. La Bank of America annuncia che ricomprerà per intero i 45 miliardi di azioni privilegiate emesse a favore del Tesoro con fondi del Tarp, facendo così cessare l'intervento pubblico nel suo capitale.

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Cronologia

3 DICEMBRE 2009

BANKAMERICASI "REDIME" Washington. La Bank of America restituisce al Tesoro americano 45 miliardi di dollari ricevuti a valere sui fondi Tarp. I conti, sostengono i dirigenti, sono ormai sulla via del definitivo risanamento.

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8 DICEMBRE 2009

LA GRECIA DIVENTA "JUNK" Atene. L'agenzia Fitch abbassa il rating del debito greco fino a BBB più un outlook negativo. È la prima volta in 10 anni che un'agenzia assegna un rating inferiore al grado A alla Grecia, ed è il più basso livello dell'eurozona. 9 DICEMBRE 2009

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GEITHNER DICHIARA VITTORIA Washington. Il Segretario al tesoro americano Timothy Geithner invia una lettera ai leader del Congresso delineando la strategia dell'amministrazione per la conclusione del Tarp fissando la data per la chiusura del programma al 3 ottobre 2010. 11 DICEMBRE 2009

LE MISURE DI SALVAGUARDIA Washington. La Camera dei Rappresentanti Americana approva una legge che crea un "Financial Stability Council" per identificare le istituzioni finanziarie che pongono rischi sistemici e quindi dovranno essere soggette ad una aumentata sorveglianza e regolazione.

Tesoro per ripagare gli ultimi 20 miliardi del Tarp che ancora non aveva restituito. 14 DICEMBRE 2009

LA WELLS FARGO SI ADEGUA San Francisco. Anche la Banca Wells Fargo annuncia che restituirà 25 miliardi di competenza del Tarp. 13 GENNAIO 2010

14 DICEMBRE 2009

TERREMOTO AD HAITI

CITIGROUP RIPAGA I DEBITI

Un devastante terremoto di magnitudo 7 Richter sconvolge risola di Haiti, già uno dei Paesi più poveri del mondo, distruggen-

New York. La Citigroup, maggior banca americana, annuncia l'accordo con il

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I quaderni di Affari&Finanza

do buona parte della capitale Port au Prince, e lasciando sul terreno 220.000 vittime. 14 GENNAIO 2010

IL PIANO GRECO

Atene. La Grecia annuncia un piano di austerità triennale che, assicura il governo, porterà il deficit a ridursi dal 12,7 al 2,8% del Pil già entro il 2012.

3 MARZO 2010

ENNESIMO PIANO GRECO Atene. Il governo greco annuncia un ulteriore piano dell'austerità che dovrà portare a 3,5 miliardi di euro di risparmi. In particolare, massicci tagli agli stipendi pubblici e rialzo di 2 punti della tassa sulle vendite. 4 MARZO 2010

3 FEBBRAIO 2010

VIA AL "BAILOUT" DELLA GRECIA Bruxelles. L'Unione europea approva ed appoggia il piano dell'austerità della Grecia. 11 FEBBRAIO 2010

L'ANNUNCIO UFFICIALE DEL SALVATAGGIO GRECO Bruxelles. Il presidente dell'Unione europea, Herman Van Rompuy, dichiara che i leader europei hanno raggiunto un accordo sull'aiuto alla Grecia. 17 FEBBRAIO 2010

LA SPAGNA IN AFFANNO Madrid. Il governo spagnolo riesce a collocare una difficile emissione di buoni del tesoro da 6,9 miliardi di euro, ma il Paese comincia ad entrare nel mirino della speculazione. 23 FEBBRAIO 2010

LE BANCHE DI NUOVO NEL MIRINO Washington. Le autorità federali americane annunciano che il numero delle banche problematiche è aumentato da 552 con 345,9 miliardi di asset della fine del terzo trimestre 2009, a 702 con 402,8 miliardi di asset alla fine del quarto trimestre 2009. 150

UN PO' DI RESPIRO PER ATENE Atene. La Grecia ottiene un temporaneo ma cruciale attestato di fiducia da parte dei mercati: Atene vende 5 miliardi di euro di buoni decennali dopo aver ricevuto ordini per tre volte quell'ammontare. 8 MARZO 2010

È IL TURNO DEL PORTOGALLO Lisbona. Il governo del Portogallo annuncia un programma d'emergenza che comprende pesanti tagli di bilancio, un massiccio piano di privatizzazioni, tagli agli stipendi pubblici e aumenti delle tasse sui redditi maggiori. 9 MARZO 2010

L'UDIENZA DA OBAMA Washington. Il primo ministro greco Papandreou incontra il Presidente Barack Obama e gli illustra i suoi progetti di risanamento. Papandreou riferisce che la risposta di Obama è stata molto positiva e chiarisce che la Grecia non ha richiesto aiuti finanziari americani. 18 MARZO 2010

VERTICE A BRUXELLES

Bruxelles. Incontro fra i capi di governo europei: Papandreou dice che preferireb-

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Cronologia

be un aiuto dell'Unione europea a un salvataggio da parte del Fondo Monetario Internazionale.

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IL TENTATIVO DELLA SPAGNA Madrid. Il ministro spagnolo delle finanze Elena Salgano raggiunge un ampio accordo con i sindacati e con i responsabili finanziari dei governi regionali spagnoli. Il progetto prevede di ridurre il rapporto tra il deficit di bilancio ed il Pil al 3% entro il 2013.

Acropolis now of control

25 MARZO 2010

LE APERTURE DI TRICHET Francoforte. Jean-Claude Trichet annuncia che la Banca Centrale Europea accetterà come garanzie anche i buoni del tesoro con rating basso fino alla tripla B. 11 APRILE 2010

IL PRESTITO ALLA GRECIA Francoforte. I ministri delle finanze dell'area Euro si accordano per prestare alla Grecia 30 miliardi di euro ad un tasso di interesse di quasi il 5%: intorno a questo tasso scoppieranno in seguito acerrime polemiche.

9 MAGGIO 2010

NASCE L'EFSF

NUOVO SOCCORSO FED ALL'EUROPA

Strasburgo. L'Ecofin annuncia la creazione dell'Efsf (European Financial Stabilita Facility), il fondo salva-stati finanziate prò quota dai Paesi dell'euro, con unz dotazione iniziale di 440 miliardi.

Washington. Di fronte all'aggravarsi della situazione in Europa, la Fed ristabilisce le "swap lines" con la Banca Centrale Europea e contemporaneamente il Consiglio dei Ministri Finanziari dell'Unione Europea annuncia un pacchetto di prestiti per i Paesi in difficoltà.

IL "BAIL-OUT PER LA GRECIA Bruxelles. L'Unione Europea e il Fonde Monetario congiuntamente annunciane un programma di interventi di salvataggic per la Grecia da 750 milioni di euro.

2 MAGGIO 2010

10 MAGGIO 2010

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I quaderni di Affari&Fiiiaiiza

7 GIUGNO 2010

UEFSF DIVENTA "SPA" Lussemburgo. L'Efsf viene "incorporato" in Lussemburgo come società per azioni. L'indirizzo è 43 Avenue John F.Kennedy L-1855 Luxembourg. 27 GIUGNO 2010

LA GRECIA AZZARDA IL RITORNO Atene. Il governo greco rende noto di avere intenzione di rientrare sui mercati finanziari in luglio, tentando di piazzare 4 miliardi di bond sul mercato. Sarebbe il primo tentativo di rientrare sul mercato ufficiale dopo gli aiuti ricevuti in maggio dal Fmi e dall'Unione Europea. Gli investitori avvertono che il gioco è pericoloso per il pregiudizio esistente verso la Grecia. Infatti il tentativo fallirà. 21 LUGLIO 2010

LA LEGGE SUI MERCATI USA Washington. Il Presidente Obama promulga la legge "Dodd - Frank" che riforma le regole di Wall Street soprattutto a favore della protezione dei consumatori. In realtà la riforma appare più debole di quanto previsto, soprattutto sembra carente l'applicazione della cosiddetta " Volcker Rule", il pacchetto di vincoli stringenti in materia di operatività delle societàfinanziariee di risoluzione dei conflitti d'interesse, che era stato predisposto dall'anziano e saggio expresidente della Fed.

do avanti con una certa puntualità le riforme strutturali e quelle finanziarie: ma è ancora del tutto carente sul fronte della lotta all'evasione fiscale. La Grecia viene comunque, sulla base dei progressi fatti, giudicata in grado di recepire la seconda tranche di prestiti da 9 miliardi di euro a valere sul pacchetto di aiuti da 110 miliardi approvato nei mesi precedenti. Ma gli stessi esperti puntualizzano che per un ritorno sui mercati bisognerà attendere almeno il 2011. 12 AGOSTO 2010

NUOVA RECESSIONE AD ATENE Atene. Una nuova tornata di statistiche indica che la Grecia è tornata a sprofondare in una dura recessione nel secondo trimestre dell'anno, essendosi l'economia ristretta del 3,5%. Nel frattempo è tornata a salire la disoccupazione dall'8,5% di un anno prima al 12,5%. 19 AGOSTO 2010

ARRIVANO I FONDI PER LA GRECIA Bruxelles. Coerentemente con le indicazioni della troika, la Commissione europea dà il via libera al pagamento della seconda tranche di aiuti, pari a 9 miliardi di euro. Olii Rehn, commissario all'Economia, conferma che le misure intraprese da Atene nei mesi precedenti sono soddisfacenti, ma raccomanda il massimo rigore per salvaguardare la liquidità in attesa del raggiungimento della stabilità nel settore bancario.

5 AGOSTO 2010

ISPEZIONE AD ATENE Atene. Gli ispettori della "troika" (Fmi, Bce e Uè) in missione ad Atene riscontrano che effettivamente il Paese sta portan152

1° SETTEMBRE 2010

GRECIA, L'FMI SPIEGA GLI AIUTI Washington. A difesa degli aiuti alla Grecia, il Fmi emette un comunicato che pun-

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Cronologia

tualizza che se la Grecia riuscirà, anche grazie agli aiuti corrisposti, a raggiungere il pareggio di bilancio, potrà salvarsi dal fallimento. Degli otto casi degli ultimi 20 anni, scrive il Fondo, in cui un Paese alle prese con un alto indebitamento è riuscito a conseguire il pareggio, nessuno è andato in fallimento.

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15 SETTEMBRE 2010

IL ROAD SHOW DEL MINISTRO GRECO Londra. Nel corso di un "road show" a Londra, Parigi e Francoforte, il ministro delle Finanze greco, George Papaconstantinou, prova a convincere i suoi interlocutori che il Paese ha voltato pagina dopo la crisi e quindi non deve assolutamente essere lasciato fallire, né è il caso di pensare a una ristrutturazione del debito (quale invece verrà decisa un anno dopo con l'haircut del 50% concordato fra i leader europei). 1° OTTOBRE 2010

IL CONSIGLIO DEI "SAGGI" Washington. Prima seduta del "Financial Stability Oversite Council", composto da 9 membri di provata esperienza ed equi­ librio, che ha lo scopo di identificare i rischi nel sistema finanziario americano. 18 OTTOBRE 2010

ILPATTODIDEAUVILLE Deauville. Angela Merkel e Nicolas Sarkozy in un mini-vertice in Normandia si accordano nelTimporre sanzioni per i Pae­ si che infrangono le regole e preannuncia­ no l'haircut sul debito pubblico detenuto dai privati. Aspre polemiche sulla nasci­ ta del "Direttorio".

14 GENNAIO 2011

ANCHE L'AIG ESCE DALLA TUTELA New York. La Federai Reserve Bank di New York annuncia la conclusione della sua assistenza alla American International Group (AIG) e il completo rimborso dei suoi prestiti. 1° FEBBRAIO 2011

NO ALLA RIFORMA SANITARIA Washington. I due disegni di legge che compongono la riforma sanitaria di Barack Obama incassano al Congresso una doppia secca bocciatura, incentrata

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I quaderni di AffariOFinanza

sui costi: quello economico è un punto cruciale per un presidente che già è finito sotto accusa per gli eccessivi esborsi imposti alle casse federali da tutti i provvedimenti di stimolo post-crisi. Obama sarà così costretto a rivedere in profondità la riforma pur di ottenerne un'approvazione, che verrà a primavera avanzata.

28 MARZO 2011

LA GUERRA IN LIBIA Tripoli. Gli americani aderiscono all'iniziativa francese e, affiancati dagli inglesi, danno il via all'intervento militare in Libia. Quando l'operazione assume il carattere di ufficialità della Nato, aderisce anche l'Italia.

11 FEBBRAIO 2011

13 APRILE 2011

L'ADDIO DI MUBARAK Il Cairo. Il Presidente egiziano Hosni Mubarak, dopo una rivolta popolare costata già decine di vittime, è costretto a furor di popolo ad abbandonare il potere e la capitale. A metà novembre il Paese vivrà le prime elezioni politiche dopo 40 anni, che però si svolgeranno in un clima di rinnovate tensioni e violenze.

LA COMMISSIONE PARLAMENTARE Washington. La Commissione di Inchiesta del Senato americano sulle cause della crisifinanziariapubblica il suo rapporto finale: fra le cause, al primo posto, gli eccessi di azzardo di una serie di banche e i gap nella catena di controllo.

3 MARZO 2011

I COSTI DEL "TARP"

Washington. Il Congressional Budget Office fa i contifinalidel programma e dichiara che le erogazioni effettive sono state di 432 miliardi di dollari, su 700 stanziati, senza però comprendere i costi del salvataggio di Freddie Mac e Fannie Mae che sono stati contabilizzati a parte.

26-27 MAGGIO 2011

IL G-8 IN NORMANDIA Parigi. La riunione annuale del G-8, a presidenza francese, si tiene a Deauville in Normandia. Al centro delle discussioni naturalmente la crisi finanziaria internazionale, che si abbatte in particolare sull'Europa ma non risparmia neanche gli Stati Uniti. Dal vertice escono poche proposte operative. 16 GIUGNO 2011

I I MARZO 2011

TERREMOTO IN GIAPPONE Tokyo. Il sisma più potente della storia del Giappone colpisce alle 14.45 ora locale con magnitudo 9 ed epicentro in mare, con il conseguente devastante tsunami. Ad oggi, il bilancio ufficiale parla di 15.703 morti accertati, 5.314 feriti e 4.647 dispersi. Colpita anche la centrale nucleare di Fukushima, dove si sfiora l'apocalisse atomica. 154

OBAMA SOTTO ACCUSA Washington. Duro scontro sull'operazione in Libia in Congresso fra Obama e l'opposizione repubblicana, che presenta al presidente un "conto" di 716 miliardi di dollari "assolutamente ingiustificato": Obama avrebbe violato la War Powers Resolution, la norma che dal 1973 stabilisce i limiti e i criteri degli interventi del presidente nei conflitti armati all'estero. Il costo delle

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Cronologia

operazioni, iniziate da quasi tre mesi, salirà a 1,1 miliardi afinesettembre. 23 GIUGNO 2011

LA NOMINA DI DRAGHI Bruxelles. In un incontro di capi di Stato e di governo si parla di fondo salva-stati e del suo potenziamento, ma soprattutto viene ratificata la designazione di Mario Draghi al vertice della Bce.

Bce, itre nodi dell'era Draghi Stabilitàfinanziaria ecco la vera sfida dell'Eurotower

21 LUGLIO 2011

L'EFSF VIENE POTENZIATO Bruxelles. I capi di Stato e di governo dell'eurozona ampliano la dotazione dell'Efsf a 780 miliardi, che corrisponde ad una capacità effettiva di prestito di 440 miliardi. Inoltre la Uè convince le banche esposte sulla Grecia ad accettare il 21% di perdite sulla svalutazione dei titoli e annuncia un "piano Marshall" per Atene.

Parmalat, il salasso francese KalleLisn • (lai marketing ;. alla guerra al Capitale.
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L'Italia brucia 400 miliardi mvenl'arari

ι.••: IL CASINÒ ONLIN N ì IN ITALIA.

9 SETTEMBRE 2011

IL PIANO PER IL LAVORO DI OBAMA Il Presidente Obama presenta al Congresso un maxi-progetto per la ripresa dell'occupazione: l'impegno previsto è di quasi 450 miliardi di dollari in 10 anni. 20 SETTEMBRE 2011

IL DOWNGRADING ANNUNCIATO Roma. Più volte annunciato e molto temuto, arriva il downgrading per l'Italia: Standard & Poor's declassa il debito italiano da A+ad A.

no che verificheranno con molta attenzio­ ne i risultati della Grecia dopo che il Mini­ stro delle Finanze Evangelos Venizelos ha riconosciuto che il Paese mancherà gli obiettivi 2011 che l'Unione Europea ed il Fondo Monetario avevano disposto come pre-requisito per corrispondere un Fondo di soccorso di 8 miliardi di euro. 5 OTTOBRE 2011

4 OTTOBRE 2011

ANCORA UN SUMMIT EUROPEO Bruxelles. I Ministri delle Finanze dell'Eurozona, riuniti in "conclave" afferma-

IL TRIPLO DOWNGRADING NewYork. Mood/s rivede alribassoil rating dell'Italia di ben tre livelli, abbassandolo di colpo daAA2 ad A2, con outlook negativo.

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I quaderni di Affari&Finanza

È la più dura "punizione" per il nostro Paese della storia recente. Il rating sull'Italia è ad un livello più basso di quello della Spagna, della Slovacchia ed Estonia, e lo stesso di Botswana, Polonia e Malta.

ininterrotte al summit dell'Eurozona comprende un nuovo intervento di salvataggio da Unione Europea e Fondo Monetario pari a 130 miliardi di euro. 2 NOVEMBRE 2011

7 OTTOBRE 2011

ANCHE FITCH SI ADEGUA Roma. Seguendo l'esempio delle due "sorelle" maggiori, anche la terza agenzia di rating, la Fitch, declassa l'Italia: da AA- ad A+ con outlook negativo. 19 OTTOBRE 2011

LA RIVOLTA AD ATENE Atene. Il Parlamento greco approva l'ennesimo pacchetto di austerità puntando ad incassare la prossima tranche di aiuti da 8 miliardi di euro, sempre più cruciale visti i moti di piazza in corso che si aggravano di giorno in giorno. 26 OTTOBRE 2011

ANCORA UN VERTICE UE Bruxelles. Nell'ennesimo vertice a Bruxelles, l'Ue porta al 30-40% l'haircut per le banche sulla Grecia, e chiede alle banche stesse una ricapitalizzazione che porti il coefficiente patrimoniale al 9% 27 OTTOBRE 2011

UHAIRCUT SI FA PIÙ PESANTE Bruxelles. I capi di Stato e di Governo europei raggiungono un accordo con i creditori della Grecia in ragione del quale gli investitori privati taglieranno il 50% del valore facciale dei loro buoni, \lhaircutèfinalizzatoa ridurre il debito greco al 120% del Pil per lafinedel decennio. L'accordo, che è costato 11 ore di trattative 156

DRAGHI AL TIMONE Francoforte. Primo giorno di lavoro per Mario Draghi alla presidenza della Bce. Al suo posto di Governatore della Banca d'Italia è stato nominato Ignazio Visco, già vice direttore generale dello stesso Istituto, anch'egli in possesso di una solida esperienza internazionale maturata all'Fmi e all'Ocse. 3 NOVEMBRE 2011

NIENTE REFERENDUM AD ATENE Atene. George Papandreou abbandona il suo progetto di tenere un referendum sulla permanenza della Grecia nell'euro, annunciato pochi giorni prima, che aveva provocato un momento di forti tensioni sia interne che in sede internazionale. 3-4 NOVEMBRE 2011

IL G-20 DELLE POLEMICHE Cannes - Riunione del G-20, piuttosto tempestosa e dagli esiti ancora una volta controversi. Oltretutto il meeting viene turbato da cattive notizie sulla disoccupazione americana mentre i lavori sono in corso, e da un profondo disaccordo sul ruolo che il Fondo Monetario deve avere nella soluzione della crisi. L'Italia dal canto suo fa una magrafigura,nel pieno della tempesta sul debito pubblico e la mancata crescita, tanto che perfino il Presidente Napolitano se ne lamenta con Berlusconi.

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Cronologia

4 NOVEMBRE 2011

L'ULTIMATUM DELLA UE ALL'ITALIA Bruxelles - Il commissario europeo agli Affari economici Olii Rehn notifica al ministro dell'Economia Giulio Tremonti una minacciosa lettera in cui si chiede conto dell'attuazione delle misure pro­ messe da Berlusconi al vertice europeo del 26 ottobre: pensioni,fisco,dismissio­ ni, infrastrutture, liberalizzazioni, e via dicendo. Le risposte dovranno arrivare entro Γ11 novembre, pena il commissa­ riamento del Paese, e poi ogni tre mesi il governo dovrà fare rapporto alla Commissione sullo stato di avanzamento dei provvedimenti.

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5 NOVEMBRE 2011

PAPANDREOU ABBANDONA Atene. Vinto dalla pressione della crisi, il Premier greco George Papandreou si dimette lasciando la strada a un governo tecnico. Dieci giorni più tardi verrà nominato Lucas Papademos, ex vice presidente della Bce. 6 NOVEMBRE 2011

DRAGHI TAGLIAI TASSI Primo provvedimento operativo di Mario Draghi da Presidente della Bce: i tassi d'interesse vengono abbassati di 25 pun­ ti base e passano dall'I,50 all'1,25 per cento. È una misura lungamente richiesta ma secondo diversi economisti ancora insufficiente. 12 NOVEMBRE 2011

LE DIMISSIONI DI BERLUSCONI Roma. Sotto la pressione dei partner europei che lo hanno di fatto estromesso dal

coordinamento delle politiche economiche, e di fronte allo sfaldamento della maggioranza parlamentare, si dimette in Italia il governo di Silvio Berlusconi. 13 NOVEMBRE 2011

L'INCARICO A MONTI Roma. Il Presidente della Repubblica Italiano, Giorgio Napolitano, affida l'incarico per il nuovo Governo al professor Mario Monti, presidente dell'università Bocconi di Milano: è la rinascita del governo tecnico chiesto a viva voce dai partner internazionali.

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I quaderni di Affari&Finanza

16 NOVEMBRE 2011

24 NOVEMBRE 2011

IL GIURAMENTO DI MONTI Roma. Il governo presieduto da Mario Monti giura fedeltà alla Costituzione nelle mani del presidente della Repubblica. È composto da dodici tecnici molto specializzati nelle rispettive materie, e nessun politico.

LA PRIMA VOLTA DI MONTI Strasburgo. Primo vertice a tre MontiMerkel-Sarkozy: grande cordialità ma permane lo stallo in Europa su questioni cruciali come il ruolo della Bce, il rifinanziamento dell'Efsf (e/o la sua trasformazione in banca), gli eurobond.

16 NOVEMBRE 2011

25 NOVEMBRE 2011

IL PIANO "ESTREMO" Francoforte. Emerge un accordo segreto per cui la Bce presterebbe soldi all'Fmi per intervenire nei Paesi indebitati: la mossa avrebbe l'effetto di bypassare il problema dello statuto che impedisce alla Bce di essere un 'lender of last resort'. Il piano arriva a prevedere di commissariare i Paesi in crisi riducendone la sovranità in cambio di aiuto.

LE APERTURE DELLA MERKEL Berlino. Per la prima volta il governo tedesco accenna a un possibile sì agli eurobond, in cambio dell'inserimento nel Patto di stabilità di norme e sanzioni più severe contro i Paesi inadempienti.

17 NOVEMBRE 2011

BRANSON RILEVA LA NORTHERN Londra. Northern Rock, la prima banca inglese fallita e la prima a essere nazionalizzata, quattro anni dopo torna privata: la rileva la Virgin Money di Richard Branson, che così fa il suo debutto da banchiere, per 747 milioni di sterline. 20 NOVEMBRE 2011

IL CAMBIO DI REGIME IN SPAGNA Madrid. Elezioni politiche in Spagna: vince il centrodestra di Mariano Rajoy, che conquista il 44% dei voti e comincia subito a proporre una serie di decise manovre di rigore di bilancio con la volontà di riscattare il Paese dai tormenti dell'era Zapatero. I mercati accolgono con molta prudenza il suo tentativo. 158

26 NOVEMBRE 2011

LE BANCHE SI PREPARANO ALDOPO-EURO

New York. Il "New York Times" pubblica una serie di corrispondenze dalle capitali finanziarie che riferiscono le misure di emergenza che le banche stanno approntando, dando per probabile l'ipotesi di fine dell'euro. 28 NOVEMBRE 2011

L'ALLARME DI MOODY'S New York. Moody's avverte: le probabilità di più default fra i Paesi dell'area euro "non sono più insignificanti" e "una serie di default aumenterebbe significativamente la possibilità che uno ο più Paesi escano da Eurolandia". Nelle stesse ore l'Ocse taglia le stime di crescita dell'Eurolandia che nel 2012 si fermerà all'1,6%: per l'Italia invece sarà recessione con un -0,5%. Peggio di noi solo Ungheria, Grecia e Portogallo.

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Cronologia

29 NOVEMBRE 2011

L'EUROGRUPPO SPRONA LA BCE Bruxelles. Alla riunione dei ministri delle Finanze dell'eurogruppo (per l'Italia c'è Monti) cade il tabù dell'intervento diretto della Bce: per la prima volta si parla di interventi a favore di un Paese (l'Italia) da veicolare però attraverso un prestito ad hoc della Bce all'Fmi che poi li girerà in Italia.

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