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Biografia di Duke Ellington
Edward Kennedy Ellington nasce a Washington D.C. il 29 aprile del 1899, da Daisy Kennedy e James Edward Ellington. Nei suoi 75 anni di vita, di cui oltre 50 totalmente dedicati alla carriera musicale, Ellington farà circa 20.000 concerti tra USA, Europa, Asia, Sud America e Africa. Comporrà migliaia di brani, blues, suites, canzoni, concerti sinfonici e opere sacre, pubblicando altrettanti dischi che venderanno decine di milioni di copie. Riceverà le più alte onorificenze al mondo, tra cui la Medaglia Presidenziale della Libertà americana e la Legion d’Onore francese.1 Il suo volto sarà impresso sui francobolli emessi da almeno quattro diversi stati sovrani. Duke Ellington è senza alcun dubbio il più importante compositore americano del XX secolo.
La famiglia Ellington appartiene alla piccola borghesia nera della capitale americana. La madre Daisy, venerata da Duke, frequentò e completò gli studi fino alla high school: un risultato straordinario per una donna afroamericana nata solo pochi anni dopo
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Hasse, p. 15
l’abolizione della schiavitù. “Nessuno tranne mia sorella Ruth ha avuto una madre eccezionale e bella come la mia”2, scriverà Ellington nella sua autobiografia. Il padre J.E. fa il maggiordomo nella casa di un ricco medico e la famiglia gode di una discreta agiatezza.
Ellington trascorre i suoi primi 24 anni a Washington. Inizia a studiare pianoforte con una certa Sig.ra Clinkscales, ma in quegli anni sembra essere più interessato alle partite di baseball e alle ragazze. Già a 15 anni inizia a frequentare i locali della città dove si esibiscono i musicisti afroamericani. Il suo amico d’infanzia Edgar McEntree è il primo a soprannominarlo “Duke” (il Duca) per via della sua eleganza nel vestire e nel suonare il piano. Compone il suo primo brano, “Soda Fountain Rag” e fonda le sue prime band. Nel 1918 sposa Edna Thompson e un anno dopo nasce il loro primogenito Mercer. In quegli anni gli idoli di Ellington sono James P. Johnson e Willie “The Lion” Smith, maestri e pionieri dello stile stride in voga all’epoca. Nel 1923 Duke Ellington arriva a New York come pianista nella band guidata dal chitarrista Elmer Snowden. Quando Snowden lascia il gruppo, Ellington diventa il leader di una nuova formazione che chiama “The Washingtonians” (con Bubber Miley alla
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Ellington, p. 26
tromba) e inizia un ingaggio all’Hollywood Club (poi ribattezzato Kentucky Club) che durerà fino al 1927. Nel 1926 Irving Mills diventa l’impresario della band che in quell’anno registra i suoi primi dischi. Con l’arrivo di “Tricky Sam” Nanton al trombone, Harry Carney al baritono, Wellman Braud al contrabbasso e Johnny Hodges al sax contralto, quella che d’ora in poi sarà nota come l’orchestra di Ellington acquisisce personalità e sonorità ben distinte rispetto alle altre formazioni che operano a New York. Grazie a Mills, Ellington ottiene un ingaggio al Cotton Club, il più prestigioso locale di Harlem e culla del nuovo stile jungle. Quando non è impegnata a New York, l’orchestra va in tour per gli Stati Uniti e nel 1932 Ellington e i suoi salpano per l’Inghilterra per iniziare il loro primo tour europeo. Il successo di Ellington sembra inarrestabile, ma nel 1935 la madre Daisy muore e Duke sprofonda in una grave depressione. Superata la crisi, Ellington riprende la sua attività a pieno regime, tra lunghi ingaggi in varie città degli USA, concerti alla prestigiosa Carnegie Hall, tour all’estero, sedute di registrazione e partecipazioni a musical e film. Nel 1939 Ellington assume il compositore e arrangiatore Billy Strayhorn: inizia una delle più solide e importanti collaborazioni nella storia del jazz. Tra le innumerevoli composizioni di Strayhorn c’è anche “Take The ‘A’ Train” che diventerà la sigla e la “firma” dell’orchestra di Ellington fino all’ultimo concerto.
Tra il 1947 e il 1956 l’orchestra di Ellington attraversa un lungo periodo di declino, in concomitanza con la crisi generale delle big band. Il celebre concerto al Newport Jazz Festival del 7 luglio 1957 riporta alla ribalta l’orchestra di Ellington che da quel momento fino alla morte del suo leader vivrà un successo inarrestabile. Nel 1959 registra la Queen’s Suite dedicata ad Elisabetta II e la colonna sonora del film “Anatomy of a Murder” diretto da Otto Preminger. Gli anni ‘60 vedono la consacrazione di Ellington come icona mondiale della musica americana. L’orchestra viaggia e si esibisce in tutto il pianeta, guadagnando onori e riconoscenze. Il 16 settembre del 1965 il primo dei “Sacred Concert” viene eseguito alla San Francisco’s Grace Cathedral. Tra il 1967 e il 1970 Ellington perde la moglie Edna (con la quale era rimasto sposato per 52 anni nonostante si fossero separati già nel 1928 dopo che Edna lo aveva ferito con un rasoio in una crisi di gelosia), il suo braccio destro Billy Strayhorn e il suo solista per eccellenza, Johnny Hodges. Ma l’attività di Ellington non si arresta. Nel 1974, al termine di un concerto al Northern Illinois University Center, Duke collassa. Il giorno dopo riprende il tour nel Midwest. Alla fine di marzo viene ricoverato al Columbia-Presbyterian Hospital per un cancro allo stadio terminale. Muore il 24 maggio 1974, un mese dopo aver compiuto 75 anni.
SWING LOW: I PIONIERI DEL BASSO
Il basso a New Orleans Nei primi anni del ‘900 erano numerosi i contrabbassisti attivi a New Orleans. Molti fra loro erano creoli provenienti da famiglie piccolo-borghesi e avevano ricevuto un’educazione musicale formale. I musicisti di New Orleans erano impiegati nelle numerose sale da ballo della città, frequentate per lo più da bianchi, nelle quali si ballava “una fusione di danze inglesi, come la country dance e dance francesi quali la contradanse e la quadriglia. [...] Su di esse si innestarono in modo potente le danze caraibiche, alcune delle quali erano a loro volta fusioni di contredanse francesi e balli africani.”.1 I neri di New Orleans in genere organizzavano le proprie feste in case private o in sale affittate per l’occasione. In entrambi i contesti venivano impiegate le cosiddette string bands, ovvero piccoli complessi composti da chitarra, violino, contrabbasso e spesso uno o più strumenti a fiato, in genere clarinetti, tromboni e cornette. Queste piccole orchestre, composte per lo più da musicisti professionisti creoli, suonavano arrangiamenti scritti di pezzi da ballo ai quali si aggiunsero, successivamente, trascrizioni di partiture pianistiche ragtime. Accanto alle orchestrine da ballo vi era una ricchissima tradizione di marching bands e brass bands che si è perpetuata fino ai giorni nostri e che è legata a un’altra tradizione di New Orleans, quella della second line: le parate improvvisate in cui la marching band attraversava le
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Zenni, 2012, p. 54
vie della città in occasione di matrimoni e funerali erano (e spesso sono tuttora) accompagnate da un corteo di partecipanti che danzavano ai lati della strada e sui marciapiedi. Il leggendario bassista Milt Hinton ricorda come, in queste bande di ottoni e percussioni, il ruolo del basso fosse svolto essenzialmente dalla tuba o dai tromboni bassi. Ma questa distinzione tra il contrabbasso come strumento “da sala da ballo” e la tuba come strumento “da esterno” era probabilmente molto meno netta di quanto possa apparire. Lo dimostra il fatto che molti bassisti di quell’epoca suonavano entrambi gli strumenti a seconda delle necessità e continuarono a farlo fino alla fine degli anni ‘30. La tradizione degli studi sulle origini del jazz ha spesso identificato come prima vera band di jazz quella capitanata dal leggendario cornettista Buddy Bolden a New Orleans. Non esistono registrazioni attribuibili a Bolden e abbiamo una sola fotografia che ritrae la sua band al completo, nella quale compare il contrabbassista Jimmy Johnson. Non è possibile stabilire una data esatta per la nascita del jazz (tralasciando la discutibile teoria che la fisserebbe alla prima incisione della Original Dixieland Jazz Band di Nick La Rocca e Tony Sbarbaro nel 1917); allo stesso modo, non è possibile individuare il momento esatto in cui nacque quello che possiamo definire “basso jazz”. A partire dagli anni ‘20, il contrabbasso cominciò a imporsi sempre più sulla tuba in concomitanza con uno slittamento dello stile musicale verso una condotta più rilassata, percussiva e fluida al tempo stesso. In una parola: più swing. Il suonatore di tuba doveva avere una grande agilità tecnica e una grande resistenza per poter sostenere la band e incalzare gli spettatori nelle interminabili serate danzanti. In quella fusione tra musica da banda militare, danze francesi e caraibiche e ragtime, la tuba fungeva da motore
ritmico e armonico dell’orchestra. Il tubista suonava in genere la fondamentale e la quinta dell’accordo sul primo e terzo movimento di ogni battuta e prendeva fiato sul due e sul quattro. Il contrabbasso invece permetteva una maggiore agilità, ad esempio nei passaggi cromatici, e non essendo legato ai cicli di respirazione poteva sostenere variazioni ritmiche più lunghe e complesse.
Le tecniche tradizionali del contrabbasso a New Orleans I contrabbassisti di New Orleans svilupparono in quegli anni un intero arsenale di tecniche che includevano l’uso dell’arco, del pizzicato classico e dello slap. Il pizzicato è una tecnica da sempre presente nella letteratura classica per contrabbasso, ma la tecnica utilizzata dai contrabbassisti di New Orleans è molto più vigorosa e percussiva e spesso risulta difficile distinguerla dalla tecnica più squisitamente New Orleans dello slap. La tecnica dello slap consiste nel sollevare la corda per poi farla schioccare sulla tastiera ottenendo in questo modo un suono percussivo unitamente al suono della nota. Tale tecnica era già stata utilizzata in ambito classico da Niccolò Paganini e da Bartok nel suo celebre Quartetto d’Archi N° 42. La tecnica utilizzata dai bassisti di New Orleans si differenzia dalla tecnica classica in quanto aggiunge spesso un ulteriore effetto percussivo, ottenuto colpendo la tastiera con il palmo della mano immediatamente dopo lo schiocco della corda. La complessità della tecnica e le sue numerose varianti possono creare delle ambiguità nella trascrizione dei passaggi in cui viene utilizzata.
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Booker, p. 11
Schuller distingue tra quello che chiama pluck, ovvero la stessa tecnica utilizzata da Paganini e Bartok, dallo slap vero e proprio che include anche la percussione della mano sulla tastiera, indicando quest’ultima con una “x” come testa della nota 3. Booker4 e Stokes5 utilizzano il termine snap pizzicato o “pizzicato alla Bartok” per indicare il semplice schiocco della corda sulla tastiera e il termine slap per indicare le numerose variazioni ritmiche ottenute dalla percussione sulla tastiera della mano destra o sinistra. Per evitare di appesantire le trascrizioni, mi limiterò a indicare con la dicitura slap le parti in cui questa tecnica viene utilizzata, marcando con una “x” le note percussive; mentre utilizzerò la dicitura pizz. per indicare la tecnica del pizzicato. Non è chiaro quando e perché la tecnica dello slap sia diventata una firma dello stile di New Orleans, né tantomeno chi l’abbia inventata. Secondo il contrabbassista George Duvivier, citato da Berliner, quando il contrabbasso cominciò a soppiantare la tuba molti tubisti si videro costretti a cambiare strumento. Ma in pochi realizzarono questa transizione in modo soddisfacente. Se molti tubisti neri avevano ricevuto una seppur minima infarinatura di tecnica e teoria musicale militando nelle fila delle bande militari, quasi nessuno aveva una preparazione tecnica adeguata sul contrabbasso. Sempre secondo Duvivier, i contrabbassisti neri iniziarono ad utilizzare delle tecniche non convenzionali come appunto lo slap per sopperire con l’energia fisica alla scarsa confidenza con lo strumento. Inoltre, per ottenere il volume richiesto per sostenere un’intera orchestra, i
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Schuller, p. 345
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Booker, p. 12
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Stokes, 2012
contrabbassisti usavano corde di budello montate con un’action particolarmente alta che rendeva difficile creare dei passaggi articolati. Anche i bassisti più navigati erano spesso costretti a fasciare i polpastrelli della mano destra con del nastro telato adesivo per resistere alle lunghissime serate di lavoro nelle ballroom. Per far sì che lo slap della corda sulla tastiera fosse perfettamente a tempo era necessario anticipare con precisione il beat: i bassisti che non avevano un pieno controllo della tecnica tendevano ad anticipare troppo e di conseguenza a “tirare avanti” sul tempo, come si dice in gergo. I contrabbassisti creoli avevano in molti casi ricevuto un’educazione di tipo classico sullo strumento e alcuni di loro, come Albert Glenny (1870-1958), disdegnavano la tecnica dello slap utilizzata dai bassisti “neri” ma si convinsero ad apprenderla solo per poter continuare a lavorare.
“that ain’t no bass playing…pick pockpick”6
L’uso dello slap sparì quasi del tutto con l’avvento del be-bop, rimanendo associato ad uno stile di jazz arcaico che non si riteneva più al passo coi tempi. Tra i pionieri del contrabbasso di New Orleans ricordiamo Bill Johnson, Chester Zardis, Steve Brown, John Lindsay, Joe Kinneman, Papa Joe Joseph, Al Morgan, August Lanoix.
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http://www.artofslapbass.com/new-orleans-string-bass-pioneers/
Il fatto che la quasi totalità dei bassisti arrivasse da New Orleans, rafforza la teoria che indica la Crescent City come culla del jazz.7
Chicago, la grande migrazione e le prime registrazioni Tra il 1910 e il 1920, oltre mezzo milione di afroamericani migrò verso le città del Nord in cerca di lavoro. La meta principale per molti di loro era Chicago che in breve divenne la prima vera “capitale nera” degli Stati Uniti. Al seguito delle decine di migliaia di afroamericani del Sud, attratti dalle opportunità offerte dalla Windy City, migrarono anche moltissimi musicisti di New Orleans. Proprio a Chicago, la nuova musica proveniente dal Sud subì un’evoluzione che la portò ben presto a divenire un fenomeno nazionale e poi globale. Lo stesso termine jazz, o meglio la sua variante arcaica jass, fu usata per la prima volta proprio a Chicago, mentre a New Orleans veniva ancora usato il termine ragtime. I musicisti arrivati nella fredda metropoli del Nord si stabilirono principalmente nel South Side e iniziarono a suonare nei numerosi locali e speakeasy 8 della città. Coloro che a New Orleans suonavano ancora a livello amatoriale dovettero conformarsi agli standard elevati e alla spietata concorrenza del music business chicagoano. Ciò ebbe dei riflessi anche nell’evoluzione del ruolo del contrabbasso. Sempre secondo Hinton, citato da Goldsby, fu a Chicago che la tuba cedette definitivamente il ruolo di strumento primario della sezione ritmica al contrabbasso. La tuba era infatti troppo “rumorosa”, specie per i club più piccoli dove spesso venivano assunti soltanto un pianista e un contrabbassista per accompagnare solisti e cantanti. Anche per questo motivo lo stile slap
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Shipton, p. 181
Locali clandestini, spesso gestiti dalla Mafia in cui, durante il Proibizionismo, si poteva consumare alcool di contrabbando e assistere a spettacoli musicali e di cabaret.
prese il sopravvento perché permetteva di creare un sostegno ritmico anche in assenza di una batteria. E inoltre, come ricorda Hinton, il cimitero di Chicago era a più di 20 km dal centro della città e non c’era più richiesta di funeral bands. Tra i contrabbassisti che nei primi anni ‘20 si trasferirono a Chicago c’era anche Bill Johnson il quale fondò, insieme a King Oliver, la Creole Jazz Band nella quale suonava principalmente il banjo per via delle limitazioni imposte dalle tecniche di registrazione in uso al tempo. Fino al 1925, infatti, lo standard di registrazione era ancora quello acustico. In sostanza, il processo era simile a quello che permetteva la riproduzione dei dischi sul grammofono, ma al contrario. Il suono veniva captato da enormi coni che trasmettevano le vibrazioni a un ago di acciaio che le incideva direttamente su un disco di cera dal quale si sarebbe ricavata la matrice metallica per stampare i dischi a 78 giri.9
Strumenti come il
contrabbasso, la tuba e la batteria “muovevano” troppo l’aria e facevano saltare la puntina rovinando la registrazione. 10 Per questo motivo il contrabbasso veniva sistematicamente escluso dalle registrazioni in studio, mentre il batterista doveva limitarsi a suonare degli “effetti” rumoristici usando i piatti e i woodblocks. Ci furono dei grossi problemi anche per registrare le performance di Jelly Roll Morton in piano solo, perché il gran maestro della musica di New Orleans aveva l’abitudine di battere il tempo con i piedi in maniera piuttosto energica. Inoltre, lo studio di registrazione doveva essere mantenuto alla giusta temperatura affinché la cera della matrice fosse abbastanza morbida da essere incisa senza però sciogliersi. Tutte queste limitazioni hanno sicuramente influito, insieme alla scarsa familiarità dei musicisti dell’epoca con
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Shipton, 402
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Zenni, 99
la pratica del lavoro in studio, sulla qualità delle registrazioni e sulla diffusione della nuova musica fuori dai confini degli Stati Uniti. Del resto, una ripresa fedele degli strumenti bassi era l’ultima delle preoccupazioni per i fonici e i discografici dell’epoca. I grammofoni su cui venivano suonati quei 78 giri non erano in grado di riprodurre i registri più gravi. I musicisti europei che erano rimasti affascinati dalle primissime registrazioni di jazz cercarono di emulare quel feeling così innovativo e contemporaneo riproducendo quello che ascoltavano sui dischi. Possiamo solo immaginare la sorpresa dei musicisti americani che per primi viaggiarono nel Vecchio Continente quando scoprirono che i loro emuli europei cercavano di riprodurre una condotta musicale che poco aveva a che fare con la realtà della musica dal vivo. Il suono avvolgente del contrabbasso e la ricchezza degli accenti ritmici disegnati dal set completo della batteria si perdevano del tutto nelle registrazioni dei primi anni ‘20. Nel 1925, Victor e Columbia furono le prime compagnie discografiche ad utilizzare il nuovo standard di registrazione elettrica. Da quel momento in poi fu possibile, sempre considerando le limitazioni tecniche dell’epoca, registrare una musica che fosse più fedele al modo in cui veniva suonata dal vivo. E soprattutto, la musica su disco si arricchì del vitale contributo ritmico e armonico del contrabbasso. Nel febbraio del 1927, l’orchestra di Jean Goldkette registra per la Victor “My Pretty Girl”, un pezzo che ebbe un notevole successo in quegli anni. Al contrabbasso c’è uno dei pionieri del nuovo stile: Steve Brown, nato a New Orleans intorno al 1890. Nella parte centrale del tema, Brown suona con lo slap un pattern a metà strada tra una rhumba e una habanera. Un’ulteriore conferma di quelle influenze latine e caraibiche nella musica di New Orleans che Jelly Roll Morton chiamava “spanish tinge”.
Steve Brown: “My Pretty Girl”, 1927:
Sull’ultimo chorus del brano, Brown si ritaglia anche un piccolo spazio “solistico” mentre i fiati ripetono dei riff. In “My Pretty Girl” il basso è registrato sorprendentemente bene per gli standard dell’epoca e l’impatto che la “hit” di Goldkette ebbe sul pubblico e sui musicisti diede il via a una sorta di “rivoluzione del basso”. Steve Brown divenne un idolo per Wellman Braud, il quale non perdeva un’occasione per andare ad ascoltare dal vivo il suo suono possente e il suo swing travolgente. Entrambi i bassisti utilizzarono ampiamente i ritmi rhumba/habanera sia nell’accompagnamento che come “effetto” solistico. Tra i contrabbassisti trasferitisi a Chicago da New Orleans, va sicuramente ricordato John Lindsay, il cui stile vigoroso può essere ascoltato nelle registrazioni con la band di Jelly Roll Morton, come Black Bottom Stomp del 1926. Meno di due anni dopo, il 7 luglio del 1928, Johnny Dodd e la sua Washboard Band registrano “Bull Fiddle Blues” con Bill Johnson al contrabbasso. Johnson dichiarò in più di un’occasione di aver “inventato” lo slap quando durante un tour ruppe il suo arco e che questa soluzione d’emergenza finì per diventare il suo marchio di fabbrica ispirando molti altri contrabbassisti. Sebbene sia difficile avvalorare storicamente questa affermazione, grazie a “Bull Fiddle Blues” Johnson rimarrà negli annali del jazz per il primo vero “solo” esteso di contrabbasso. Nel corso del brano, Johnson utilizza tutt’e tre le principali tecniche bassistiche di New Orleans:
accompagnamento all’arco, pizzicato e slap. Intorno a 1:57, Johnson suona un intero chorus accompagnato solamente da alcuni break dei fiati. Bill Johnson: “Bull Fiddle Blues” (estratto):
Il “solo” di Johnson consiste in un walking bass eseguito con lo slap con alcune minime variazioni sincopate. Siamo ben lontani dai virtuosismi che Jimmy Blanton sfoggerà nelle registrazioni dei primi anni ‘40 con Ellington. Tuttavia, “Bull Fiddle Blues”11 rimane una pietra miliare nell’evoluzione del basso jazz.
Il basso arriva a New York Se Chicago fu il posto in cui il jazz aveva assunto una sua identità adulta e indipendente, New York stava per diventare la capitale delle big bands. Tra i musicisti originari di New Orleans che si trasferirono a New York, troviamo Pops Foster e Wellman Braud. Come ricorda nelle sue memorie il chitarrista e banjoista Danny Barker, ancora “nel 1930, Pops Foster e Wellman Braud erano gli unici due contrabbassisti a New York” 12. Pops Foster (1892 -1969), considerato uno dei padri del contrabbasso jazz, arrivò a New York nel febbraio 1929 (quasi tre anni dopo Braud) per suonare con la band del pianista panamense
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Bull fiddle era uno dei soprannomi del contrabbasso nello slang di New Orleans.
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Shipton, p. 182
Luis Russel. Foster fu colui che, più di altri, raccolse e sviluppò l’eredità di Steve Brown. Studiò il violoncello da ragazzo (forse a questo è dovuta la sua intonazione superiore alla media dei bassisti dell’epoca) e suonò anche la tuba con Dewey Jackson a St. Louis prima di trasferirsi a New York. Suonò con tutti i più grandi jazzisti dell’epoca: King Oliver, Sidney Bechet, Louis Armstrong, Kid Ory. Braud prima e Foster poco dopo, furono i veri pionieri del contrabbasso nelle orchestre di New York. Nel giro di pochi anni, tutti i bandleader della città si convinsero che la tuba era ormai uno strumento del passato e che il futuro della musica da ballo era nelle mani dei contrabbassisti. Non bisogna dimenticare che fino agli anni ‘40 il jazz è stato essenzialmente musica per danza13. Nei primi anni ‘20, a New York si suonava ancora in uno stile molto vicino al ragtime, ma ben lontano dal modo in cui veniva suonato e danzato a New Orleans. L’andamento ritmico era sostanzialmente “in due”, con la tuba che marcava gli accenti forti. “Il jazz di New Orleans oscillava in equilibrio tra sensibilità in due e in quattro e la varietà di stili richiesta alle orchestre costringeva il bassista a essere multistrumentista: basso tuba e contrabbasso, come peraltro era la regola a New Orleans.”14 Il legame tra jazz e danza non è mai a senso unico. “La scrittura e l’improvvisazione jazzistica sono influenzate dalla danza: il fox-trot e il charleston, in cui i danzatori ballano separati figure brevi, dai passi corti e frammentati, determina la ritmica frenetica degli arrangiamenti di Don Redman per Henderson [...] veri sgambetti architettati per mandare a gambe all’aria tutte
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Zenni, 2007
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Zenni, 2012, p.159
insieme le migliaia di persone che affollavano il Roseland Ballroom di New York. Alla fine degli anni ‘20 iniziò però ad affermarsi il lindy hop, danzato in coppia, con figure fluide e complesse, perfino acrobatiche: ecco che allora le orchestre -complici i bassisti arrivati da New Orleans, come John Lindsay, Wellman Braud e Pops Foster- si orientano verso una ritmica sciolta, in quattro quarti, lineare e scorrevole.” 15 Continuando la tradizione del polistrumentismo di New Orleans, “Wellman Braud utilizzava, nell'orchestra di Ellington, il basso tuba in molti pezzi d'atmosfera ma imbracciava il contrabbasso nei pezzi swinganti in stile lindy hop come Washington Wobble o Jubilee Stomp. A questa tendenza dovranno adattarsi anche altri bassisti, come John Kirby, che entrò nell’orchestra di Fletcher Henderson come basso tuba ma poi prese lezioni di contrabbasso da Braud e Foster per adattarsi al nuovo stile, diventando infine uno dei più influenti specialisti degli anni ‘30 e ‘40.”16
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Zenni, 2007, p. 279
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Zenni, 2012, p. 159