Autorità e diritto. L'esempio di Augusto 88-8265-288-2 [PDF]


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Table of contents :
SOMMARIO
Premessa 7
Capitolo primo
Stabilire ìlius 9
1.1. Un principio 11
1.2. Per la prima volta 14
1.3. Processi di ricezione: iniziative imperiali
17
1.4. Giuristi 26
1.5. Fedecommessi e codicilli 30
1.6. Quale Lucio Lentulo 36
Capitolo secondo
Interporre Pautorità 43
2.1. Augusto 45
2.2. L'autorità 48
2.3. Principe/consoli 52
2.4. Principe/giuristi 56
2.5. Tiberio 64
Capitolo terzo
Ristabilire gli iura 77
3.1. La dimensione pubblica 79
3.2. Dal privato al pubblico 82
3.3. Il fedecommesso di Vedio Pollione 85
3.4. Sapere pubblico e memoria 89
3.5. Leges e iura 92
Autori e testi 101
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Autorità e diritto. L'esempio di Augusto
 88-8265-288-2 [PDF]

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LUCIA FANIZZA

Autorità e diritto L'esempio di Augusto

«L'ERMA» di BRETSCHNEIDER

LUCIA FANIZZA

Autorità e diritto L'esempio d i Augusto © Copyright 2004 «L'ERMA» di B R E T S C H N E I D E R V i a Cassiodoro, 19 - Roma http://www.lerma.it Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell'Editore

Fanizza, Lucia Autorità e d i r i t t o : l'esempio d i Augusto / Lucia Fanizza. - Roma : «L'ERMA» d i B R E T S C H N E I D E R , 2004. 111 p . ; 19 c m I S B N 88-8265-288-2 CDD 21.

340.54

1. Autorità - Concezione - Roma antica - Sec. 1 a . C . - l . 2. Giuristi romani - Sec. 1. a . C . - l .

SOMMARIO Premessa

7

Capitolo primo Stabilire ìlius 1.1. U n principio 1.2. Per la prima volta 1.3. Processi di ricezione: iniziative imperiali 1.4. Giuristi 1.5. Fedecommessi e codicilli 1.6. Quale Lucio Lentulo

9 11 14 17 26 30 36

Capitolo secondo Interporre Pautorità 2.1. Augusto 2.2. L'autorità 2.3. Principe/consoli 2.4. Principe/giuristi 2.5. Tiberio

43 45 48 52 56 64

Capitolo terzo Ristabilire gli iura 3.1. La dimensione pubblica 3.2. Dal privato al pubblico 3.3. I l fedecommesso di Vedio Pollione 3.4. Sapere pubblico e memoria 3.5. Leges e iura

77 79 82 85 89 92

Autori e testi

101 5

ad Andrea Giardina

PREMESSA

Questo lavoro si è andato costruendo per l'accumulo di testi antichi e di domande, su alcune questioni proposte ciclicamente all'attenzione degli studiosi, testi e domande di cui si individua un senso diverso da quelli comunemente proposti. Si è venuto delineando così un itinerario che attraverso tre momenti segue il processo di formazione del diritto, in specie secondo una delle sue modalità, forse la più complessa, quella di cui è autore l'imperatore Augusto. lus constituere auctoritatem interpoliere iura restituiere, sintetizzando per un momento enunciati estesi e puntuali, descrivono situazioni che è impossibile tradurre con altrettanta immediatezza, ma che individuano tre possibilità proprie di Augusto di intervento sull'ordine giuridico. Modalità che potevano trovare connessioni al loro interno, ma esplicarsi anche autonomamente. Certo il diritto poteva essere stabilito da Augusto secondo percorsi diversi; tra essi quello che opera attraverso il comando che egli autorevolmente può indirizzare al magistrato destinato ad eseguirlo, è forse più caratterizzante la peculiarità postrepubblicana. Paradossalmente essere all'origine della 7

formazione del diritto non significava per Augusto esautorare i fautori dell'ordine giuridico esistente, ma porsi accanto ad essi e confermarli nel ruolo sempre svolto. Roma, gennaio 2004

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CAPITOLO PRIMO S T A B I L I R E I L IUS

1.1. Un principio I n un'opera monumentale di un grande giurista dell'età antonina, Salvio Giuliano, con una scansione lessicale rigorosa si enuncia un principio regolatore del processo di formazione del diritto, nell'alternativa tra giuristi e principi che l'assetto postrepubblicano aveva determinato: et ideo de his, quae primo constituuntur, aut interpretatione aut constitutione optimi principis certius statuendum est. Questo frammento tratto dall'ultimo libro dei digesta è stato più volte discusso da chi si è dedicato all'analisi della struttura dello scritto giulianeo o si è soffermato sulla composizione della r u brica dell'opera giustinianea che ne ha conservato i l testo. Molta attenzione v i ha dedicato anche chi ha fatto dell'attività interpretativa giurisprudenziale i l punto privilegiato di osservazione sulla realtà giuridica romana, e quindi sul senso della relazione interpretatio-constitutio . Le doman1

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Dig. 1.3.11, l u i . X C dig., Lene! 842; A . Dell'Oro, La posi-

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de da me poste a questo frammento non attengono ai primi due settori d i ricerca: la struttura dell'opera giulianea e la composizione della rubrica giustinianea non sono gli obbiettivi di questo lavoro. Essi rientrano piuttosto nell'ultima delle letture indicate, in special modo riguardano i l valore e i l significato d i constituere in quanto produzione di una disciplina giuridica. Tra gli usi possibili del termine, la costruzione quae primo constituuntur nel passo d i Giuliano non si segnala solo per la sua singolarità; è proprio la produzione di senso a suscitare interrogativi. Che cosa abbia inteso dire Giuliano con questa espressione non è di immediata evidenza, come non lo è del resto i l significato dell'intero frammento; la costruzione geometrica della frase e Tintenzionale ripetizione di un lemma i n diverse possibilità di impiego - constituuntur constitutione statuendum est - fa implodere i l suo significato. U n significato che certo i lettori d i Giuliano avranno inteso più agevolmente, se seguivano nella sua i n terezza, per noi perduta, i l discorso che il giurista andava svolgendo i n questa parte della sua opera. La compressione della frase ci riporta a primo,

zione delle constitutiones principimi in Giuliano, i n St. Grosso, 2, Torino, 1968, 363 ss.; G . G . A r c h i , Interpretatio iuris, interpretatio legis, interpretatio legum (1970) poi in Scritti di diritto romano, 1, Milano, 1981, 83 ss. Per una valutazione complessiva dell'opera E. Bund, Salvius lulianus. Leben und Werk, i n ANRW2,15, Berlin-NewYork, 1976,431 ss.

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l'avverbio che attrae le parole successive e da cui bisognerà partire per dare concretezza all'affermazione di Giuliano. Intanto si può, con Mario Bretone, rendere i l testo in questi termini: «quando si prescrive una disciplina giuridica, bisogna poi determinarla i n modo più certo o mediante l'attività giurisprudenziale o mediante l'attività normativa del principe» . Credo anch'io che nel binomio interpretation constitutio i l primo termine designi in generale l'attività giurisprudenziale, e che constitutio indichi, sempre in generale, l'attività normativa dell'imperatore. I l significato del brano giulianeo non dipende solo dal rapporto fra interpretatio e constitutio ma anche dal rapporto che viene a determinarsi tra le due espressioni quae primo constituuntur e certius statuendum est. Non m i sembra invece che Giuliano si riferisse a un testo legislativo particolare. Bretone esclude che si trattasse della lex Cincia, come aveva ipotizzato A r chi, ma ritiene comunque probabile i l riferimento oltre che a una legge, a un testo edittale, a un senatoconsulto. Credo invece che l'espressione 2

M . Bretone, Interpretatio e constitutio (1973) poi i n Teeniche e ideologie dei giuristi romani, Napoli, 1982 ,317 ss. che non condiziona i l riferimento d i princeps a Antonino Pio (oltre nt. 95) e ritiene inutile un taglio compilatorio d i iuris consulti dopo interpretation secondo la proposta d i J . Gaudemet, L'empereur interprète du droit (1954) poi in Études de droit romain, 1, Napoli, 1979,386. 2

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quae primo constituuntur attenga ad altro e che, per quanto possibile, sia necessario verificarne in concreto la sfera di attinenza. 0

1.2. Per la prima volta Due testimonianze giurisprudenziali, per altro molto note, forniscono le indicazioni sui criteri utili per questa ricerca. Nel venticinquesimo l i bro dei digesta Celso riportava la definizione di litus: è l'estensione di territorio raggiunta dal mare nella sua ondata massima . Questa definizione, com'è noto , non era scontata; se ne discu4

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Giustamente viene escluso nel passo d i Giuliano i l riferimento a una teoria delle lacune dell'ordinamento (cfr. Codex lust. 1.17.2.18); secondo F. Casavola, Scienza, potere imperiale, ordinamento giuridico nei giuristi del II secolo (1976) poi i n Giuristi adrianei, Napoli, 1980, 182, «Quae primo constituuntur nel sistema del secondo secolo è da riferirsi all'attività d i prima formulazione d i norme da parte della giurisprudenza e della cancelleria i n una fase ancora sperimentale». V e d i anche Giuliano secondo Triboniano, i n Giuristi, cit., 191 ss. Dig. 50.16.96 pr.y Lenel 208: Litus est, quousque maximus fluctus a mari pervenit; idque Marcum T u l l i u m aiunt, cum arbiter esset, primum constituisse. Una definizione che avrebbe al contempo i l valore d i una regola, secondo R. Martini, Le definizioni dei giuristi romani, Milano, 1966, 99 ss. G l i apporti giurisprudenziali e retorici che i significati contenuti nella rubrica del Digesto presuppongono sono esaminati da M . Marrone, Le significations di Dig. 50.16 (De verborum significatane), (1994) poi i n G. Falcone (a cura di), Scritti giuridici, 1, Palermo, 2003,527 ss. con ulteriore bibliografìa. V . Scarano Ussani, Valori e storia nella cultura giuridica 3

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teva anche perché condizionava i l regime giuridico del lido e quindi i limiti dell'Imperium populi Romani - La definizione che Celso fa sua era però risalente: idque Mar cum Tullium, aiunt, cum arbiter esset, primum constituisse. Sappiamo dunque che i l primo a proporre questa formulazione fu Marco Tullio Cicerone, se conserviamo la lezione della Fiorentina , oppure Gallo Aquilio, se accettiamo la correzione di Mommsen . I n ogni baso a questa definizione si era giunti attraverso uh itinerario complesso, una controversia de litoribus in cui Cicerone o Aquilio Gallo si erano espressi nella qualità di 'arbitri' . Insomma a Celso era nota, attraverso una tradizione retorica, nel primo caso, o attraverso una tradizione giurisprudenziale, nel secondo, una decisione giudiziaria contenente una disciplina giuridica affer6

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tra Nerva e Traiano. Studi su Nerazio e Celso, Napoli, 1979, 33,122. Dig. 43.S3 pr., Cels. XXXDC dig.: Litora, in quae populus Romanus imperium habet, populi Romani esse arbitrar. Cfr. lav. X I ex Cassio, Dig. 50.16.112. Lenel 208; U . Manthe, Die libri ex Cassio der lavolenus Priscus, Berlin, 1982,300 con bibj. Sulla base d i Cic. top. 7.32: Solebat Aquilius... cum de l i toribus ageretur, quae omnia publica esse vultis, quaerentibus iis, ad quos i d pertinebat, quid esset litus ita definire: qua fluctus eluderet. Questo profilo è esaminato da F. Bona, La certezza del diritto nella giurisprudenza tardo-repubblicana (1987) poi i n Lectio sua. Studi editi e inediti di diritto romano, 2, Padova, 2003, 960 nt. 96. 6

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matasi per la prima volta: Marcum Tullium, cum arbiter esset, primum constituisse. Quest'ultima notazione non è casuale, così come non assolve una funzione meramente storica . Aveva infatti senso segnalarla, per individuare i l momento d i avvio d i una disciplina che aveva prevalso su altre possibilità e si era poi istituzionalizzata. La definizione di litus che per la prima volta era stata stabilita da «Marco Tullio» fu poi confermata da altre decisioni che si erano espresse nello stesso senso. La ricezione di Celso è un passaggio i n termedio i n un lungo percorso che arriva alla compilazione giustinianea. L'altro testo è conservato nell * enchiridion ', Pomponio sta parlando del ius respondendi e dice che prima di Augusto questo diritto non era dato dai principi, ma i giuristi davano i responsi a chi l i chiedeva loro fondandosi sulla consapevolezza della propria conoscenza del diritto. Questo preambolo serve all'autore per introdur10

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D . Nörr, Cicero-citate bei den klassischen Iuristen (1978) poi i n T J . Chiusi, W . Kaiser, H . - D . Spengler (a cura di), Historiae iuris antiqui. Gesammelte Schriften, 2. Goldbach, 2003,1202 ss. Dig. 1.2.2.48-9 (riportato alla nt. 75). Le domande tradizionalmente poste a questo testo sono riconsiderate da C.A. Cannata, Iura condere. I l problema della certezza del diritto tra tradizione giurisprudenziale e auctoritas principis, i n F. Milazzo (a cura di), lus controversum e auctoritas principis. Giuristi principe e diritto nel primo impero, A t t i Copanello 1998, N a poli, 2003,27 ss. ove bibliografìa corrente, cui però è doveroso aggiungere R.A. Bauman cit. alla nt. 78. 10

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re una novità, e infatti, subito dopo egli afferma che per rendere maggiore l'autorità del diritto, per primo Augusto stabili che i giuristi dessero responsi fondandosi sulla sua autorità: primus divus Augustus...constituit ut ex auctoritate eius responderent. Non esaminerò ora tutte le problematiche attinenti a questo testo; m i basta per i l momento rilevare che primus Augustus constituit introduce una innovazione: il principe costituisce la disciplina dell'attività respondente. È insomma l'iniziatore di un corso destinato a durare e che, proprio per questo, è ricordato nel suo momento originario . 12

1.3. Processi di ricezione: iniziative imperiali Questi non sono gli unici esempi attestati in cui si faccia riferimento all'introduzione di una regola di comportamento che ha modificato un ordine preesistente. I contesti sono diversi e non mancano le segnalazioni da parte degli scrittori che erano attenti a documentare i l processo di formazione di una disciplina . La novità era di 13

Almeno sino alla 'sospensione'segnalata da Suet. Cai. 34.5. Oltre p. 56 ss. L o storicismo degli antichi è considerato ora da A . Schiavone nella nota d i lettura alla traduzione, con revisione e aggiornamenti, del saggio d i D . Nörr, Pomponio o della intelligenza storica dei giuristi romani, a cura d i M . A . Fino e E. Stolli, i n Riv.Dir.Rom. 2,2002,3-4. " Sen. contr. 4 pr. 2: Primus [seil. Asinius Pollio] enim omnium Romanorum advocatis hominibus scripta sua recita12

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solito indicata con primus accompagnato dal nome dell'autore; si faceva seguire, quindi, se la tradizione del testo lo consentiva, i l resoconto del processo di ricezione che, per dirla con G i u liano, aveva fatto in modo che si operasse certius ai fini della statuizione . Un caso esemplare è quello riportato da Ulpiano nel quarantacinquesimo libro del suo commentario all'editto . I l giurista sta parlando dei soldati e dei limiti alla possibilità di fare testamento. Dal minuzioso resoconto apprendiamo 14

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vit. A proposito delle recitazioni pubbliche, vedi Horat. ep. 1.4.73; 2.1.108; Ovid. trutta 4.10.57; oltre p. 80 ss. Pomp, liber sing. ench. Dig. 1.22.36; 38; 44, S H A . Hadr. 20.6; Ant.Pius 8.5; Mar. Ant. Phil. 10.11. N o n trovo pertanto giusti i termini i n cui Gaudemet, L'empereur, cit., 180 ha reso i l testo d i Giuliano: «les insuffisances des lois ou des sénatus-consulta sont comblées soit par l'interprétation extensive de la jurisprudence soit par des constitutions impériales les complétant». Dig. 29.1.1 pr. Lenel 1178: Militibus liberam testamenti factionem primus quidem divus Iulius Caesar concessit: sed ea concessio temporalis erat, postea vero primus divus Titus dedit; post hoc Domitianus: postea divus Nerva plenissam i n dulgentiam in milites contulit: eamque et Traianus secutus est et exinde mandatis inseri coepit caput tale, caput ex mandatisi Cum i n notitiam m earn prolatum sit subinde testamenta a commilitonibus relieta proferri, quae possint in controversiam deduci, si ad diligentiam legum revocentur et observantiam: secutus animi mei integritudinem erga optimos fìdelissimosque commilitones simplicitati eorum consulendum existimavi, ut quoquomodo testati fuissent, rata esset eorum voluntas, faciant igitur testamenta quo modo volent, faciant quomodo poterint suffìciatque ad bonorum suorum divisionem faciendam nuda voluntas testatoris. 14

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che Giulio Cesare fu i l primo a riconoscere questa possibilità; ma che l'iniziatore del processo d i ricezione fu Tito, giacché all'iniziativa cesariana si dava un valore occasionale, episodico. Con Tito la concessione si istituzionalizzò; infatti Domiziano prima e quindi Nerva recepirono pienamente questa propensione nei confronti dei soldati; anche Traiano seguì questo indirizzo e con lui si avviò la consuetudine di inserire nei mandati un capitolo proprio su questo . La sequenza riportata da Ulpiano descrive i l processo che una nuova disciplina doveva seguire per trovare conferma della propria validità. Naturalmente l'itinerario non era sempre lo stesso, ma si modificava, come testimonia ancora U l piano, secondo le situazioni che potevano prospettarsi. Per esempio i l divieto per le donne d i obbligarsi a favore d i altri fu per la prima volta stabilito in età augustea, e fu poi confermato con editti d i Claudio; una tappa ulteriore fu costituita dal senatoconsulto Velleano . U percorso d i ve16

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J . H . Jung, Eherecht der Römischen Soldaten, i n A N R W 2,14, Berlin-NewYork, 1982,302 ss. X X I X ad ed, Dig.16.12 pr.-l, Lenel 880: Et primo q u i dem temporibus divi Augusti, mox deinde Claudii edictis eorum erat interdictum ne feminae pro viris suis intercédèrent. 1 Postea factum est senatusconsultum quo pienissime feminis omnibus subventum est. cuius senatusconsulti verba haec sunt: quod Marcus Silanus e Velleus Tutor consules verba fecerunt de obligationibus feminarum, quae pro aliis reae fièrent, quid de ea re fieri oportet, de ea re ita censuere: rell. 16

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rifica di questa disciplina, di cui conosciamo Tepoca ma non le modalità di origine, incontra dunque un senatoconsulto cui seguirono almeno due rescritti . Possiamo anche ricostruire l'introduzione del limite quinquennale entro i l quale era possibile indagare sulla condizione dei defunti: Nerva fu primus omnium a stabilire questo principio, r i preso, per quanto ci è dato sapere da Adriano e Marco Aurelio . Chi vuole rintracciare l'origine della questura, può trovarne i l resoconto nella narrazione, ritenuta del tutto attendibile , proposta da Ulpiano nell'opera da l u i dedicata a questa magistratura : si tratta d i una istituzione antichissima che 18

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M . Käser, K. Hackl, Das römische Zivilprozessrecht, München, 1996,35,56, 64. Call. I de iure fisci et pop., Dig. 40.15.4, Lenel 80: Primus omnium divus Nerva edicto vetuit post quinquennium mortis cuiusque de statu quaeri. sed et divus Claudius Claudiano rescripsit, si per quaestionem nummariam praeiudicium statui videbitur fieri, cessare quaestionem. C A . Maschi, I l diritto romano nella prospettiva storica della giurisprudenza classica, Milano, 1957, 68 ss. Liber sing, de off. quaest., Dig. 1.13.1, Lenel 2252: Origo quaestoribus creandis antiquissima est et paene ante omnes magistratus. Gracchanus denique Iunius libro septimo de potestatibus etiam ipsum Romulum et Numam Pompilium b i nos quaestores habuisse, quos ipsi non sua voce, sed populi suffragio crearent refert. sed sicuri dubium est, an Romulo et Numa regnantibus quaestor fuerit, ita Tulio Hostilio rege quaestores fuisse certum est; et sane crebrior apud veteres opinio est T u l i um Hostilium prim u m i n rem publicam indu18

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secondo Giunio Graccano risalirebbe a Romolo e a Numa Pompilio. Questi avrebbero avuto ciascuno due questori, non nominati da loro, ma eletti dal popolo . È di estremo interesse per la nostra ricerca la notazione che segue: si dice i n fatti che era dubbio se i questori fossero stati 22

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xisse quaestores. 1 Et a genere quaerendi quaestores initio dictos et Iunius et Trebatius et Fenestella scribunt. 2 E x quaestoribus quidam solebant provincias sortiri ex senatusconsulto quod factum est Decimo Druso et Porcina consulibus, sane non omnes quaestores provincias sortiebantur, verum excepti erant candidati principis: h i etenim solis libris principalibus i n senatu legendis vacant. 3 Hodieque optinuit indifferenter quaestores creari tarn patricios quam plebeios; ingressus est enim et quasi primordium gerendorum honorum sententiaeque i n senatu dicendae. 4 Ex his sicut dicimus, quidam sunt qui candidati principis dicebantur quique epistulas eius i n senatu legunt. Cfr. Lydus, de mag. 1.24-28. L a difformità dell'//*scriptio rispetto a Dig. 2.1.3,11 de off. quaest. ha portato alla formulazione d i diverse ipotesi, nessuna delle quali è riuscita però a superare la discordanza testuale; si può seguirne la discussione i n Dell'Oro, I libri de officio nella giurisprudenza romana, Milano, 1960, 98 ss. e i n T . Honoré, Upian, Oxford, 1982, 181 a cui bisogna aggiungere D . Liebs, Gemischte Begriffe im Römischen Recht, i n Index, 1, 1970, 148. Se si accetta i l riferimento dell'Index Florentinus 24.23 che riporta l'opera ulpianea tra i libri singulares, bisogna pensare con Lenel, che i n Dig. 2.1.3 secundo sia stato scritto per errore al posto d i singulari. Secondo Tac. ann. 11.22.4 i questori, istituiti in età regia, furono dapprima scelti dai consoli e poi anche i l conferimento d i quella carica passò al popolo. I p r i m i eletti dal popolo {creatique primum) furono Valerio Potito e Emilio M a merco sessantatrè anni dopo la cacciata dei Tarquini, con la funzione d i accompagnare le spedizioni armate. Questo dubbio trova riscontro nella tradizione accolta 22

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introdotti con Numa Pompilio. Risultava certa invece la loro presenza nel regno d i Tulio Ostilio; l'opinione che si trovava più spesso nei veteres è che questo re l i introdusse per primo. Si riporta quindi un'enumerazione d i autori a proposito del significato della parola: per Giunio, Trebazio e Fenestella, quaestor deriva a genere quaerendi dal fatto cioè d i svolgere inchieste, giudiziarie evidentemente . U n senatoconsulto, forse impropriamente detto Decimo Druso et Porcina , comunque databile al 138-37 a.C. avrebbe poi ulteriormente disciplinato le caratteristiche di questa magistratura stabilendo che l'assegnazione dei questori alle province avveniva secondo sorteggio . Da questo sorteggio erano esclusi quelli cosiddetti candidati principis proprio perché ad essi toccava leggere, i n senato le comunicazioni del 24

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nel racconto pomponiano che ricostruisce in un altro modo l'origine d i questa magistratura {Dig. 1.2.2.22-3). K. Latte, The Origin of the Roman Quaestorship, i n T A P h A 67, 1936, 24 ss. Varrò, de ling. Lat. 5.81: Quaestores a quaerendo, qui conquirerent publicas pecunias et maleficia, quae triumviri capitales nunc conquirunt, ab his postea qui quaestionum i u dicia exercent quaesitores dicti. Già T h . Mommsen aveva notato che la coppia consolare non è attestata. I l consolato d i D . Iunius Brutus risale al 138 e quello d i M . A . Lepidus Porcina al 137: così T.RS. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, I , New York, 1951,483. Che non si sa esattemente i n che termini avvenisse ma tuttavia valido anche i n età postsillana, secondo W . Harris, The Development of the Quaestorship, i n C Q 26,1976,105. 24

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principe . Segue un ulteriore aggiornamento i n trodotto da hodie: i questori vengono eletti indifferentemente tra i patrizi e i plebei; essi si collocano ai primordi della carriera magistratuale e della partecipazione ai lavori dell'assemblea senatoria. Fra le tante iniziative d i Claudio in tema di condizione e stato delle persone , assume rilievo, nel nostro contesto, quanto Gaio riferisce riguardo ai princìpi che regolavano la possibilità di contrarre matrimonio . Come è noto, non era consentito prendere i n moglie la figlia del fratello, e chi l'avesse fatto avrebbe compiuto un illecito gravissimo, un atto che veniva considerato 27

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M . Cebeillac, Les quaestores principis et candidati aux 1er et Ilème siècles de l'empire, Milano, 1972, 9 ss.; per una riconsiderazione del primo libro dei Digesta, i suoi modelli e gli schemi d i riferimento con particolare riguardo a Dig. 1.11.1, F. Grelle, Arcadio Carisio, l'officium del prefetto del pretorio e i munera civilia, in Index {Hommages à Gerard Boulvert) 15, 1987,62 ss. con bibliografìa. Una ricognizione degli interventi d i Claudio si trova i n G. May, L'activité juridique de l'empereur Claude, i n R H D F E 4,15, 1936, 55-97 e 213-54. B . M . Levick, Antiquarian or Revolutionary? Claudius Caesar's Conception of his Principate, i n AJPh 99, 1978, 79 ss. ridiscute testi e bibliografìa con spunti interessanti sul modello culturale e politico d i Claudio che l'autrice rintraccia i n Cesare. Gai. 1.62: Fratris fìliam uxorem ducere licet, idque p r i mum in usum venit, cum divus Claudius Agrippinam fratris sui fìliam uxorem duxisset; sororis vero fìliam uxorem ducere non licet. E t haec ita principalibus constitutionibus signifìcantur. 27

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contrario al fas™. Con Claudio si affermò un uso diverso e per la prima volta vennero consentite queste nozze; dal resoconto d i Tacito apprendiamo che la risoluzione fu presa dal senato a cui Claudio aveva chiesto di emanare un decreto che dichiarasse iustae le nozze tra zio e nipote . L o storico aggiunge che non esistevano precedenti: non c'era alcun esempio di una situazione d i tal genere che anzi, fino a quel momento, era stata piuttosto considerata tra le ipotesi d i incestum™. Non a caso fu uno dei censori in carica a sfruttare la sua autorità per far passare una decisione cui Claudio teneva. I l controllo dei costumi, che l'ufficio censorio doveva garantire, veniva piegato agli interessi del principe: interessi che ora prevalevano sulla disciplina dei costumi grazie al servilismo del censore che si era adoperato per raggiungere questo risultato . L'iniziativa di 31

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Suet. CI. 39: Ducturum contra fas Agrippinam uxorem, non cessavit omni oratione fili am et alumnam et in gremio suo natam atque educatam praedicare. Cfr. CI. 26. Tac. ann. 12.7.2: Nec Claudius ultra exspectato ob ius apud forum praebet se gratantibus, senatumque ingressus decretimi postulat, quo iustae inter patruos fratrumque fìlias nuptiae etiam i n posterum statuerentur. Tac. ann. 12.5. I I senatoconsulto passò nel 49 d.C. Una interpretazione che si discosta dal commento tacitiano e che, andrebbe approfondita, è stata proposta da A . Piganiol, Observations sur une loi de l'empereur Claude, (1912) poi i n Scripta varia, Bruxelles, 1973, 49 ss. La motivazione personale non sarebbe sufficiente a spiegare questa decisione che si ispirerebbe piut30

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Claudio passa dunque, in questo caso, attraverso un senatoconsulto che potremmo definire auctore principe'. Claudius... decretum postulat, secondo la testimonianza tacitiana. Gaio aveva solo detto idque primum in usum esse venti, senza specificare i l tipo di intervento introdotto dalla nuova disciplina: è stato possibile desumere quest'ultimo da un altro racconto dello stesso episodio. Ma è nel testo del giurista che troviamo la notizia in qualche modo attesa: l'indicazione del compimento del processo di formazione della nuova d i sciplina attraverso la sua successiva ricezione i n ulteriori atti costitutivi, che in questo caso sono appunto quelli da Gaio chiamati principalibus constitutionibus, le costituzioni imperiali . L'iniziativa per l'introduzione di una nuova d i sciplina, dunque, era spesso imperiale, ma non costituiva certo una prerogativa esclusiva dell'im34

tosto al Volksrecht dell'Oriente (Tac. ann. 12.6: aliis gentibus). C i troveremmo d i fronte a un indizio prezioso dell'importanza crescente che i romani del tempo accordavano alla cognatio, vale a dire alla parentela uterina. Saremmo cioè i n un periodo d i transizione i n cui la successione femminile comincia a fare concorrenza alla successione maschile. Questo spunto, che m i sembra importante e che l'autore argomenta, resta estraneo a J. Andreau et H . Bruhns (a cura di), Parenté et stratégies familiales dans l'antiquité romaine, Roma, 1990, in particolare 230 ss. Abrogato nel 342, secondo Codex Tbeod. 3.12.1; questi sviluppi sono analizzati da S. Roda, I / matrimonio tra cugini germani nella legislazione tardo imperiale, i n S D H I 45, 1979, 292. 34

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peratore. U n giudice nella veste di arbitro, fosse egli un giurista o un oratore, poteva primus constituerez e la controversia de litoribus ne ha fornito un esempio.

1.4. Giuristi Sappiamo che un giurista aveva molte possibilità d i operare i n questo meccanismo di produzione giuridica, i n questo processo costitutivo; la ricerca d i testimonianze esplicite ci porta a un testo molto noto e interessante. U n caso documentato dalla tradizione giurisprudenziale e riportato ancora da Ulpiano, un giurista molto attento, come abbiamo visto, alle origini delle discipline che si accinge a commentare, al processo storico che le ha determinate, al profilo genetico della loro costituzione. Sempre nel commentario edittale, questa volta nel quarantaduesimo l i b r o , 35

Ulpianus X L n ad edict., Dig. 38.2.1, L e n d 1149: Hoc edictum a praetore propositum est honoris, quem liberti patronis habere debent, moderandi gratia, namque ut Servius scribit, antea soliti fuerunt a libertis durissimas res exigere, scilicet ad remunerandum tam grande benefìcium, quod i n l i bertos confertur, cum ex Servitute ad civitatem Roman am perducuntur. 1 Et quidem primus praetor Rutilius edixit se amplius non daturum patrono quam operarum et societatis actionem, videlicet si hoc pepigisset, ut, nisi ei obsequium praestaret libertus, in societatem admitteretur patronus. 2 Posteriores praetores certae partis bonorum possessionem pollicebantur: videlicet enim imago societatis induxit eiu35

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sui «beni» dei liberti, il giurista riferisce una notizia che ha appreso da Servio e cioè che primus praetor Rutilius edixit. Publio Rutilio Rufo quando era pretore, forse nel 118 , introdusse per primo una disciplina nell'editto: stabilì che non avrebbe dato al patrono niente di più che un actio operarum et societatis nei confronti del Uberto. Primus praetor Rutilius edixit™ è i l punto focale della narrazione ulpianea rispetto alla situazione espressa da antea e a quella descritta nell'intervento dei posteriores praetores. La 'rottura' 36

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sdem partis praestationem, ut, quod vivus solebat societatis nomine praestare, i d post mortem praestaret. L W edictum {ad Brutum) secondo Bremer, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, 1, Lipsiae 1896, 235 e Lenel, p. 322, nt. 4. Console nel 105, poi legato i n Asia d i Q. Mucio Scevola che lo difese invano dall'accusa per concussione. Esule a M i tilene, divenne poi cittadino d i Smirne, dove lo incontrò C i cerone durante i l suo viaggio i n Oriente nel 78. Per la sua formazione greca e l'attività come storico e biografo, vedi M . Bretone, Cicerone e i giuristi del suo tempo (1979) poi in Tecniche, cit., 68-70,77-8 che approfondisce anche i suoi rapporti con Q. Mucio Scevola i l pontefice. Diffusamente F. Bona, Sulla fonte di Cicero de oratore 1.56.239-40 e sulla cronologia dei decern libelli di di P. Mucio Scevola (1973) poi i n Lectio sua, cit., 636 ss. Si esprime diversamente Gai. 4.35 riguardo a un altro intervento innovativo di Rutilio:...quae species actionis appellatur Rutiliana, quia a praetore P. Rutilio, qui et bonorum venditionem introduxisse dicitur, comparata est. Sulla constitute Rutiliana e le sententiae del giurista A. Watson, Law Making in the Later Roman Republic, 1974, 32,37-8,55-6, e M . Bretone, Cicerone, cit., 77 nt. 42. 36

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operata da Servio, si è detto con molta efficacia , è espressa dal contrasto che i l testo ulpianeo evidenzia tra i l tempo in cui al liberto potevano essere richieste durissimae res e quello invece in cui prevale una diversa mentalità, che quantifica e sposta sul piano economico la valutazione del rapporto liberto-patrono. Una nuova disciplina giuridica dunque, espressa ancora da primus, r i ferito questa volta all'iniziativa di un autorevole giurista, nel momento in cui svolgeva le funzioni di pretore. Una disciplina che possiamo definire tale perché i l momento innovativo è stato per così dire certificato dai pretori successivi che ne hanno riconosciuto, attraverso interventi orientat i nello stesso senso, l'impostazione e i criteri che la ispiravano; un nuovo ordine che ulteriori i n terventi giurisprudenziali hanno contribuito a creare. 39

U n altro riferimento testuale importante, e in particolare sull'apporto giurisprudenziale al processo costitutivo di una nuova disciplina, si trova ancora una volta negli scritti di Ulpiano. Si tratta dell'opera dedicata alla repressione dell'adulterio

A . Schiavone, / / caso e la natura, i n A . Giardina, A . Schiavone (a cura di), Società romana e produzione schiavistica, 3, Modelli etici, diritto, trasformazioni sociali, Roma-Bari, 1981, 70-2, 362 che approfondisce anche i problemi relativi alle fonti d i Ulpiano e alla relazione Rutilio-Servio. 39

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e i l giurista interessato è Pomponio . A proposito dell'accusa di adulterio, i l padre e i l marito dell'adultera hanno sessanta giorni di tempo per promuoverla, ma se dichiarano prima che tale tempo sia decorso, di non volerlo fare, è possibile ammettere all'accusa l'estraneo, dal momento che quelli abbiano rinunciato: primus Pompomus putat admitti ad accusationem extraneum posse statim atque isti negaverint. Insomma, Pomponio è stato i l primo ad affermare che era possibile all'estraneo sostenere l'accusa, quando i l marito e il padre avessero dichiarato di non volerla esercitare. L'opinione, espressa evidentemente nel commentario adSabinum , aveva introdotto una disciplina nuova, anche se non è del tutto chiaro se la novità si riferisse alla possibilità per l'estraneo di esercitare l'accusa o consistesse piuttosto nella possibilità di esercitarla statim atque isti negaverint . I n quest'ultima ipotesi l'estraneo 40

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Ulp. H de adult., Dig. 48.5.16.5, L e n d 1950: Si negaverint se pater et maritus accusaturos intra diem sexagensimum, an statim incipiant tempora extraneo cedere? et primus Pomponius putat admitti ad accusationem extraneum posse statim atque isti negaverint. cui adsentiendum puto; fortius enim dicitur eum, qui se negaverit acturum, postea non audiendum. I I frammento è tra i luoghi incerti per Lenel 858. E d è ignorato da T. Honoré, Ulpian, cit. Ma va notato che nel p r i mo libro del commentario ad Sabirtum, Pomponio parlava proprio delTaccusa nei publica iudicia, come attesta Dig. 48.2.1. La complessità d i questa problematica è evidenziata da 40

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avrebbe potuto esercitarla non appena i l padre e il marito avessero dichiarato la propria volontà e quindi anche prima che fossero trascorsi i sessanta giorni di cui essi godevano per attivarsi in tal senso. Pomponio viene detto primus, non certo per un gusto cronachistico o aneddotico, ma perché la sua risoluzione è stata quella che ha prevalso su interpretazioni diverse e si è affermata, avviando quel processo costitutivo che, prima d i concludersi nella ricezione nel Digesto, è passato almeno attraverso i l cui adsentiendum puto d i U l piano. Insomma Pomponio non sarebbe stato detto primus se Ulpiano non avesse aderito alla sua linea interpretativa. Si può affermare che, anche in questo caso, malgrado i l processo costitutivo non sia definito da constituere, ci troviamo d i fronte alla nascita di una nuova disciplina, questa volta riguardo all'accusa di adulterio: un nuovo indirizzo introdotto da Pomponio, ma che, per quanto ne sappiamo, i l consenso di Ulpiano ha potuto rendere certius.

1.5. Fedecommessi e codicilli Lungo questo percorso si incontrano due passi delle Istituzioni d i Giustiniano, molto citati e non meno tormentati nelle interpretazioni proG. Rizzelli, Lex lulia de adulteriti. Studi sulla disciplina di adulterium, lenocinium, stuprum, Lecce, 1997, 9 ss. con b i bliografia.

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poste. Si tratta dei resoconti concernenti i fedecommessi e i codicilli e la ricostruzione della loro storia, dalla fase dell'impegno morale a quella del riconoscimento indiscusso e stabile di una tutela giurisdizionale dei rapporti che da queste situazioni venivano a costituirsi. Cerchiamo di avvicinarci al senso del contesto linguistico di Istituzioni 2.23 p r . - l . Bisogna sapere che i n un primo tempo tutti i fedecommessi non avevano forza vincolante. Nessuno infatti era costretto a eseguire contro la propria volontà quanto gli era stato richiesto: poiché in quel tempo non potevano lasciare eredità e legati, se l i lasciavano, l i affidavano a chi poteva riceverli per testamento. Sono detti perciò fedecommessi, perché non si fondavano su alcun 4 3

ìnst. 2.23 p r . - l : Nunc transeamus ad fideicommissa, et prius de hereditatibus fideicommissariis videamus. 1. Sciendum itaque est omnia fideicommissa primis temporibus infirma esse, quia nemo invi tus cogebatur praestare i d de quo rogatus erat: quibus enim non poterant hereditates vel legata relinquere, si relinquebant, fìdei committebant eorum, qui capere ex testamento poterant: et ideo fideicommissa appellata sunt, quia nullo vinculo iuris, sed tantum pudore eorum qui rogabantur continebantur. postea primus divus Augustus semel iterumque gratia personarum motus, vel quia per ipsius salutem rogatus quis diceretur, aut ob insignem quorundam perfìdiam iussit consulibus auctoritatem suam interponere. quod quia iustum videbatur et populäre erat, paulatim conversimi est i n adsiduam iurisdictionem: tantusque favor eorum factus est, ut paulatim etiam praetor proprius crearetur, qui fìdeicommissis ius diceret, quem fìdeicommissarium appellabant. 4ì

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vincolo giuridico, ma consistevano nel senso di riguardo di chi veniva investito della richiesta. I n seguito per primo i l divino Augusto - più d i una volta mosso dalla considerazione delle persone, o dal fatto che a taluno, come si diceva, era stata r i volta la richiesta i n nome della salute dell'imperatore, o per la evidente perfìdia di altri - ordinò ai consoli di interporre la sua autorità. Poiché questa iniziativa appariva giusta e incontrava consensi, gradualmente portò all'introduzione di una giurisdizione stabile: fu tanto il favore incontrato dai fedecommessi, che col tempo venne creato un apposito pretore che chiamavano fedecommissario perché esercitava la giurisdizione sui fedecommessi. La sostanza del contenuto di questo testo è organizzata in tre parti che rispettano una sequenza cronologica degli eventi considerati. La prima, segnalata da primis temporibus, r i guarda la fase i n cui i fedecommessi sono definiti infirma. I l significato d i questo aggettivo si presterebbe a svariate interpretazioni, se non potessimo ricorrere, per individuare l'enunciato di senso esatto, a quanto si afferma qualche rigo dopo: fideicommissa appellata sunt quia nullo vinculo iuris continebantur. Insomma, quando se ne avviò la pratica - e cioè nei tempi in c u i non 44

È evidente che quibus va riferito, nonostante oscure traduzioni omettano questo passaggio, proprio a primis temporibus. 44

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potevano lasciare eredità e legati, se li lasciavano, li affidavano a chi poteva riceverli per testamento - i fedecommessi erano infirma quia nullo vinculo iuris continebantur. I n altri termini, la condizione di precarietà dei fedecommessi era una conseguenza del fatto che essi non si costituivano su un obbligo, potremmo dire, giuridicamente r i levante. Si fondavano piuttosto sul pudor, sul senso di riguardo che i l destinatario della richiesta avesse avuto nei confronti del richiedente e della richiesta stessa. La seconda parte è introdotta da postea: per primo Augusto, per una serie di ragioni analiticamente esposte nel testo, ordinò ai consoli d i i n terporre la sua autorità. L'enunciato di senso d i questa espressione sarebbe incomprensibile se, ancora una volta, non potessimo ricorrere a quanto si dice qualche rigo dopo, quando si parla di adsidua iurisdictio. Augusto, ha cioè istituito una nuova iurisdictio e ha ordinato che i consoli ne fossero destinatari. Vedremo in seguito i l valore di iussit auctoritatem suam interponere: per ora va evidenziato che in questa seconda parte del testo si focalizza l'attenzione sul fatto che fu Augusto a stabilire per i fedecommessi quel vinculum iuris che prima essi non avevano e che da questo momento sarà compito dei consoli far r i spettare. A l di là delle altre considerazioni, pure indicate, la necessità del vinculum iuris nasce dalla insignis perfidia, dal fatto cioè che alla fides, nel rapporto di fedecommesso, come dice lo stes33

so nome, è subentrata la perfidia, la sua negazione, che, in quanto insignis, evidente, ha finito con i l determinare la risoluzione imperiale. Sembra quasi, dall'andamento del racconto, che se Augusto non avesse preso questa decisione, anche il suo comportamento avrebbe potuto qualificarsi caratterizzato da perfidia. Anche in questo contesto dunque primus segnala una novità, un fatto che modifica una situazione precedente e avvia un nuovo corso, e cioè la disciplina dei fedecommessi. La terza parte è quella che descrive l'introduzione del praetor fideicommissarius. La spiegazione è suggerita dal fatto che la tutela introdotta da Augusto, con il tempo non fu più considerata un evento straordinario ma piuttosto giusto, corrispondente alle effettive necessità. A d essa si r i correva regolarmente da tutti, i n quanto le disposizioni fedeqommissarie erano divenute popolari. Populäre segnala qui infatti una situazione d i segno opposto a quella indicata nella prima parte dal lungo inciso introdotto da semel iterumque, seguito dagli argomenti che avevano occasionato l'intervento augusteo. La diffusione dei fedecommessi confermò la validità dell'iniziativa e ne consolidò la tutela. Ancora una volta perciò, primus avvia un processo d i costituzione d i una nuova disciplina: essa trova riscontro nel tempo attraverso un itinerario d i verifica della sua conformità al ius che ne suggerisce la istituzionalizzazione. 34

A l racconto presente nelle Istituzioni, una r i costruzione storica esauriente e fedele anche ai dati cronologici, sia nella forma dell'espressione sia in quella del contenuto, si possono aggiungere riscontri che un lettore più analitico non trae da questo incassamento d i proposizioni, che con terminologia attuale possiamo definire un ipertesto, ma da ulteriori fonti. Conforme al tus ma non perseguibile per formulas , e cioè secondo lo schema ordinario consolidato, l'esecuzione dei fedecommessi è affidata ai consoli come ai pretori; i due che si occuperanno solo d i fedecommessi saranno detti con Claudio praetores fideicommissarii . Quintiliano, con buona pace di coloro che non considerano attendibili le cosiddette «fonti non giuridiche», attesta che la scelta si fondava sul valore della causa ; questa è perciò 45

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U l p . XLDC ad Sab., Dig. 50.16.178.2, L e n d 2964: 'Persecutionis'verbo extraordinarias persecutiones puto contineri ut puta fìdeicommissorum et si quae aliae sunt, quae non habent iuris ordinarii exsecutionem. Cfr. U l p . reg. 25.12: Fideicommissa non per formulam petuntur, ut legata, sed cognitio est Romae quidem consilium aut praetoris, qui fìdeicommissarius vocatur, i n provinciis vero praesidum provinciarum. Oltre nt. 74. Pomp, liber sing, ench., Dig. 1.2.2.32; Gai. 2.278; Suet. Cl. 23.1. Con T i t o a un solo pretore sarebbero state affidate queste questioni. I temi qui affrontati vengono analiticamente discussi da D . Johnston, The Roman Law of Trusts, O x f o r d , 1988, secondo una ricostruzione rigorosamente storica che non indulge a dogmatismi o a slittamenti modernizzanti che spesso si riscontrano, nonostante le apparenze, anche nella bibliografìa italiana più recente. Inst.orat. 3.6.70. 45

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l'unica conclusione non congetturale, e del resto ^contrabile in casi concreti riferiti da Celso e compiano , sui criteri che orientavano la scelta talunoo l'altro magistrato. 48

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1*6. Quale Lucio Lentulo La storia della disciplina dei fedecommessi, d i sposizioni di ultima volontà solitamente espresse to termini di preghiera, non si esaurisce nel resoconto del passo delle Istituzioni d i Giustiniano ad essi dedicato. All'interno d i quanto si trova in questa opera elementare, fondamentale per la i n dividuazione dei principi a cui si era ispirata, nel corso del tempo, l'interpretazione di passaggi cri-

" % 31.29 pr., Cels. X X X V I dig. * Dig. 2.1.19.1, U l p . V I fideicom.: Quotiens de quantitate ad Jurisdictionen! pertinente quaeritur, semper quantum per quaerendum est, non quantum debeatur. e U l p . I V fideùom., Dig. 36.1.13.4. I l problema si può approfondire partendo da Jörs, Untersuchungen zur Gerichtsverfassung der röMücken Kaiserzeit, in Festgabe von Jbering, Leipzig 1892, 20 - e, valutando l'ambiguità d i A . Dell'Oro, / libri de officio nella giurisprudenza romana, Milano, 1960, 61 ss. I l collegamento istituito da Lenel 1896, U l p . V I de fideicom. Dig. 1.9.8, 066, Ulp. n de off. cons. Dig. 50.16.100 non basta a rendeverosimile l'ipotesi che ai consoli spettasse l'esecuzione d i fedecommessi riguardanti clarissimae personae. U l p . I V de fideicom. Dig. 36.1.13.4 lascia invece piuttosto aperta la possibilità per i senatori d i far riferimento all'uno come all'altro magistrato. t a t u

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tici nel processo d i formazione del ius , troviamo, nel capitolo dedicato ai codicilli, ulteriori notizie non meno significative per le considerazioni che qui si stanno svolgendo. È noto che prima dell'età augustea non esisteva una disciplina giuridica dei codicilli; per p r i mo Lucio Lentulo, che dette inizio anche ai fedecommessi, l i introdusse. Infatti, quando morì i n Africa, scrisse codicilli confermati nel testamento, nei quali chiedeva ad Augusto per fedecommesso ut faceret aliquid. Poiché Augusto eseguì la sua volontà, una dopo l'altra le persone restanti, tenuto conto dell'autorità del principe, eseguirono i fedecommessi e la figlia d i Lentulo adempì i legati, a cui giuridicamente non era tenuta. Si dice che Augusto abbia convocato i giuristi, tra i quali Trebazio, che all'epoca godeva della massima autorità, per chiedere loro se questo fatto potesse essere recepito e l'uso dei codicilli considerarsi non dissonante rispetto ai criteri ordinatori del diritto. Trebazio persuase i l principe, affermando che questa pratica era utilissima e necessaria per i cittadini i quali, se non erano in grado di fate testamento perché trattenuti in viaggio, potevano ricorrere ai codicilli. I n seguito, poiché anche Labeone l i aveva utilizzati, non si dubitò 50

Si veda soprattutto Inst. 3.3 sull'introduzione del senatoconsulto Tertulliano, 3.7 de successione libertorum\ 3.25 de societate; 4.3 de lege Aquilia. 50

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più che la giuridicità dei codicilli fosse pienamente riconosciuta . I l racconto che le istituzioni giustinianee propongono della storia dei codicilli è organizzato, anche in questa parte, secondo una scansione temporale che rispetta la sequenza cronologica dei fatti ricordati . La dominante della narrazione è data dall'intervento augusteo costitutivo d i tus y rispetto al quale i l testo definisce un prima e un dopo in un ordine del discorso tripartito. Prima dell'età augustea non esisteva un ius codicillo51

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Inst. 2.25 pr. Ante Augusti tempora constat ius codicillorum non fuisse, sed primus Lucius Lentulus, ex cuius persona etiam fìdeicommissa coeperunt, codicillos introduxit. nam cum decederet i n Africa, scripsit codicillos testamento confirmatos, quibus ab Augusto petiit per fideicommissum, ut faceret aliquid; et cum divus Augustus voluntatem eius i m plesset, deinceps reliqui auctoritatem eius secuti fìdeicommissa praestabant et fìlia Lentuli legata, quae iure non debebat, solvit, dicitur Augustus convocasse prudentes, inter quos Trebatium quoque, cuius tunc auctoritas maxima erat, et quaesisse, an possit hoc recipi nec absonans a iuris ratione codicillorum usus esset; et Trebatium suasisse Augusto, quod diceret utilissimum et necessarium hoc civibus esse propter magnas et longas peregrinationes, quae apud veteres < crebuissent> [fuissent] u b i , si quis testamentum facere non posset, tarnen codicillos posset, post quae tempora cum et Labeo codicillos fecisset, iam nemini dubium erat, quin codicilli iure Optimo admitterentur. La mia considerazione d i questo passo è del tutto conservativa, contrariamente a quanto sostenuto da A. Guarino, Isidoro di Siviglia e l'origine dei codicilli (1944) poi i n Pagine di diritto romano, 5, Napoli, 1994, 135 ss. con i l titolo Trebazio, Labeone e i codicilli e da A . Metro, Studi sui codicilli, 1, Milano, 1979,25. 51

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rum: quella dei codicilli, disposizioni di ultima volontà prive delle formalità testamentarie, era una pratica a cui faceva ricorso chi non poteva fare testamento, un usus codicillorum secondo la definizione riportata più avanti nel testo. La terza fase dà conto invece della conferma della avvenuta recezione nel ius grazie a un processo di verifica della sua fondatezza: in questo caso, è i l dato concreto del ricorso ai codicilli da parte di Labeone a chiudere i l ciclo, espresso appropriatamente in ciascuna delle tre fasi dalla gradazione usus/ius/optimum ius. Chiarito i l senso della prima e dell'ultima parte, bisogna analizzare l'enunciato della seconda. Q u i l'argomento del discorso è costruito secondo un intreccio più complicato. La dominante è mài?auctoritas d i Augusto; questa infatti trasforma i n un ius un fatto che diversamente non avrebbe avuto rilevanza giuridica. I n altri termini, se i l principe non avesse eseguito la volontà di Lucio Lentulo, Y usus codicillorum non sarebbe diventato ius. È dunque Yauctoritas Augusti che ha segnato i l cambiamento e non solo per i codicilli ma anche per le disposizioni fedecommissarie che questi contenevano . I l ricono53

U n esauriente riesame dei problemi giuridici suscitati da questo passo, la relazione tra fedecommessi e legati, codicilli e disposizioni d i ultima volontà, si trova in D . Johnston, The Roman Law of Trusts, cit., u n lavoro che affronta la complessità delle relazioni sopra indicate, secondo un approccio filologico ai testi nel collegamento imprescindibile tra istituzioni giuridiche e storia sociale. Oltre p. 48 ss.; 52 ss.. 53

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scimento augusteo ha determinato quel processo che nel passo di Giuliano era espresso ellitticamente con de his quae primo constituuntur, aut interpretation aut constitutione optimi principis certius statuendum est. I l concatenamento tra la decisione augustea e l'iniziativa di Lucio Lentulo rende quest'ultimo primus, iniziatore di un percorso che ha portato alla nascita di una istituzione giuridica nuova. Le modalità dell'iniziativa, e cioè i l coinvolgimento di Augusto piuttosto che di altri, ha reso quest'ultimo autore del cambiamento. La ricezione nel ius, secondo una modalità che è stata già rilevata, si è conclusa però nel momento in cui i l grande giurista Trebazio ha escluso la dissonanza di questa decisione con i criteri ordinatori del diritto, e ne ha mostrato piuttosto l'utilità e la necessità. Se Lucio Lentulo è stato primus, Augusto è stato auctor, nel senso che tra i due, i l secondo aveva Yauctoritas per operare la trasformazione di un usus i n un ius. Se così stanno le cose, non è più necessario pensare che Lucio Lentulo si trovasse in Africa in occasione del suo proconsolato. Va detto però che non si trattava d i uno sconosciuto, anzi doveva essere un personaggio d i non scarso rilievo nella società romana dell'epoca, se aveva affidato ad Augusto tali disposizioni. Come gli Scipioni, i Lentuli, l'altro ramo della gens Cornelia, godevano di una tradizione familiare che pochi potevano vantare. Nello stemma non abbondano solo i consolati ma uno spazio significa40

tivo è ricoperto anche dalle cariche sacerdotali, dai flaminati . Dedito al culto del genius populi Romani pare fosse anche Lucio Lentulo Crure, i l console del 49, che faceva circolare una strana voce; nuovo Siila ben presto i poteri sommi sarebbero spettati a l u i . Si ritiene oggi che i l L u cio Lentulo ricordato nelle Istituzioni non vada identificato con i l console del 3 a.C. Una cronologia più attenta a conciliare dati prosopografici e ricostruzione storica degli avvenimenti, arretra di una generazione l'identificazione del personaggio individuandolo, ad esempio nel padre, i l pretore del 44 a.C. È meno arduo pensare cioè che Trebazio, nato all'inarca nell'84, abbia dato il suo responso in un'epoca conciliabile con gli eventi di questa generazione, piuttosto che trascinare i l suo responso alla vecchiaia per conciliarlo con un fantomatico proconsolato africano di L u cio Lentulo successivo al 3 a.C . Questo ragio54

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" G.V. Sumner, Orators in Cicero's Brutus, 1973, 143 e la nota d i lettura d i T.P. Wisemann, in JRS 65,1975,198. Caes. beli. civ. 1.1.2; 3.104.3. Cfr. Sali, coniur. Cat. 47 su Lentulo Sura e i libri sibillini nei quali era predetto che i l regno a Roma sarebbe spettato a tre Cornelii e quindi dopo Cinna e Siila sarebbe toccato a l u i : J . Gagé, Les Cornelii Lentuli et le Genius populi Romani. A propos d'un aspect du culte du divus Iulius, in Actes congrès international de numismatique, Paris, 1953-57,219 ss. Secondo le documentate considerazioni d i E. Champlin, Miscellanea testamentaria, i n Z R G 62, 1986, 249, ormai condivise quantomeno dagli studiosi che leggono la letteratura anglossassone e seguono gli studi prosopografici. 55

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namento, sicuramente condivisibile, lascia aperta e rende verosimile anche un'altra possibilità: non possiamo escludere infatti che si tratti del console del 49, catturato e morto in carcere nell'anno successivo i n una località a noi ignota. Non è necessario infatti pensare a una contestualità tra la disposizione fedecommissaria e i l responso d i Trebazio. Se i l racconto delle Istituzioni è affidabile, dobbiamo fare risalire i l parere del giurista ad un periodo successivo al 27 e non prima, giacché solo i n quell'anno all'imperatore viene conferito i l cognome Augustus. I n definitiva i l fedecommesso potrebbe essere stato disposto nel 49-48 e i l parere richiesto vent'anni più tardi, e cioè dopo Azio in tempi che consentivano d i volgere l'attenzione alle questioni civili . 57

U n intervallo lungo secondo una nozione moderna del tempo, che deve confrontarsi invece con la mentalità antica e con quella romana i n specie, dove questa nozione aveva un'altra cadenza (dopo otto anni dal compimento del crimine fu, ad esempio, esercitata l'accusa d i maiestas contro Vibio Sereno nel resoconto d i Tac. ann. 4.28-9). 37

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CAPITOLO SECONDO INTERPORRE L'AUTORITÀ

2.1. Augusto Codicilli e fedecommessi non avrebbero trovato riconoscimento all'interno del diritto, se Yauctoritas del principe non avesse dato all'iniziativa di un privato consistenza giuridica avviando un processo d i ricezione che passava anche attraverso la consultazione giurisprudenziale. La modalità dell'intervento imperiale trovava proprio nel fatto la sua giustificazione: era insomma nella d i screzionalità del principe dare esecuzione al fedecommesso contenuto nel codicillo. Questa d i screzionalità, per quanto imperiale, non era in verità del tutto libera, perché su di essa incombeva un pericolo che sul piano sociale era sentito in maniera piuttosto forte e che i l testo delle Istituzioni esprime chiaramente quando nomina la perfidia. La rottura della fides avrebbe potuto i m putarsi perciò anche al principe che non avesse dato ascolto alla preghiera a l u i rivolta con i l fedecommesso. L'esercizio di quella che potremmo definire una facoltà da parte del principe, non 45

era però, in questo caso, fine a se stessa: provocava infatti un processo di ricezione nel ius e metteva quindi in moto un meccanismo di tutela del diritto che veniva perciò a costituirsi. I n altri termini, bisogna ora stabilire a chi debba affidarsi la pronuncia del diritto i n materia di fedecommessi. Nel delicatissimo equilibrio tra giurisdizioni ordinarie e nuove esigenze di riconoscimento giuridico, i l principato augusteo rappresenta i l momento d i maggiore difficoltà riguardo alle soluzioni pratiche da adottare. Come in tutte le fasi di transizione, che non vogliano evidenziare rotture con i l passato, le scelte innovative dovevano innanzitutto dislocarsi rispetto all'esistente, trovare una possibilità d i soluzione che utilizzasse i magistrati giusdicenti, piuttosto che ricorrere all'istituzione di figure giudicanti. Anche se poteva rivolgersi ai pretori o istituirne a l t r i , Augusto aveva un rapporto privilegiato con i consoli. Dal 5 a.C. accanto ai due consoli ordinari che entravano in carica i l primo gennaio, 58

Ne creò sedici secondo Pomponio (cfr. Veil. Pat. 2.89; Tac. ann. 1.14; Cass. D i o 53.32.2). Questa possibilità è attestata del resto per tutto i l principato: con Claudio i l praetor (praetores) fideicommissarius: C I L 6,1383, 10,1254, 12,3163, Suet. Cl. 23.2, Quint. 3.6.70, U l p . 25.12, Dig. 1.2.2.32, Pomp. Uber sing, ench., Inst. 2.23.1. Con Nerva i l praetor qui inter fiscum et privatos ius dicit, Dig. 1.2.2.32. Con Marco Aurelio i l praetor tutelaris C I L 5,1874, 8,7030, SHA. UarcAnt. Phil. 10,11. N e l 223 d.C. i l praetor de liberalibus causis C I L 10,5398, Codex lust. 4.56.1; F. De Martino, Stona della Costituzione romana, 4, l , Napoli, 1974, 623 ss. 58

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vennero sempre più spesso eletti altri consoli, che subentravano nel corso dell'anno di solito i l primo luglio . L'incremento dei consolati, suscitato forse da pressioni del senato, soddisfaceva comunque esigenze pratiche: un'innovazione significativa fu quella di assumere i consoli, con avvicendamento semestrale, come consiglieri; a consolari fu delegata la decisione su taluni appelli a lui indirizzati; inoltre tre consolari lo assistevano e prendevano decisioni sulle questioni poste dalle rappresentanze straniere; una legge del 4 d.C. attribuiva ai consoli la pronuncia del diritto in tema di manomissioni . La sua attitudine non fu diversa nel predisporre i l meccanismo giurisdizionale cui sottoporre le disposizioni fedecommissarie. 59

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D . Kienast, Augustus. Prinzeps und Monarch, D a r m stadt, 1982,110,117,126. Suet. Aug. 33.3, Cass. D i p 53.21.4; 55.33.5. H o esaminato questi testi in L'amministrazione della giustizia nel principato. Aspetti, problemi, Roma, 1999, 40 ss. Del resto non credo che quanto si scrive sul dovere del console i n età severiana fosse un mero esercizio astratto ma piuttosto la riflessione su una pratica ancora per molti aspetti attuale. Indicazioni utili in F. Grelle, Consoli e datio tutoris in 1.1.20.3, i n Labeo, 13, 1967, 194 ss. Riconosce l'intervento consolare nel settore del diritto agli alimenti (Ulp. I I de off. cons. Dig. 25.3.5; Cod. lust. 5.25.2) M . Bretone, Storia, cit., 232. Sulla lex Aelia Sentia oltre n t . 7 1 . 59

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2.2. L'autorità Augusto, istitituì dunque una nuova tutela giurisdizionale e ordinò che i consoli ne fossero destinatari. Quando definisce i l carattere dell'intervento consolare, i l passo delle Istituzioni dice che Augusto iussit consulibus auctoritatem suam interponere . Questa testimonianza è di importanza fondamentale non solo per individuare i l piano di operatività dell'intervento consolare ma soprattutto perché consente d i ricostruire come si andasse modificando l'attività dei magistrati giusdicenti in relazione a ipotesi non tutelate nell'editto. Proprio questa esigenza avrà suggerito la formulazione della lex Iulia iudiciorum privatorum, che appunto ridefinì e organizzò stabilmente la disciplina dei iudicia privata; saranno state indicate anche soluzioni per quei casi che nello schema tradizionale, per ragioni diverse, non erano rientrati. Dei casi insomma, che noi non avremmo esitato a riferire, nell'opposizione ordol extra ordinem, senz'altro al secondo termine . 61

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Sopra nt. 43. Punti d i riferimento per una impostazione di fondo d i questi temi G . I . Luzzatto, / / problema d'origine del processo extra ordinem, 1 Premesse di metodo. I cosiddetti rimedi pretori, Bologna, 1965; R. Orestano, Appello giudice norma, i n Diritto. Incontri e scontri, Bologna, 1981,469 ss.; M . Talamanca, I l riordinamento augusteo del processo privato, I n F. Milazzo (a cura di), Gli ordinamenti giudiziari di Roma imperiale, A t t i Copanello 1996, Napoli, 1999, 63 ss. 61

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Un'approssimazione schematica al problema dell'esercizio della giustizia, forse utilizzabile con molta prudenza, per l'età severiana, ma che sicuramente non coglie la molteplicità di situazioni diverse che si prospettano nella fase di transizione. Nel principato augusteo soprattutto, e nell'età giulio claudia, si determinano interferenze e nuovi equilibri anche nello svolgimento delle attività giurisdizionali che modificarono profondamente i termini di riferimento tradizionali . Ma, nello stesso tempo, l'osservatore della realtà giuridica augustea non potrà non rilevarne l'unicità rispetto agli sviluppi successivi e la lontananza soprattutto rispetto alle logiche di età severiana. Insomma, la polarità ordolextra ordinem a cui ci ha abituato la riflessione giurisprudenziale di età severiana, ci dice poco sui mutamenti della turi63

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La bibliografìa sulla storia politica d i questi anni è sterminata e m i limito perciò a rinviare a G. Binder (a cura di), Saeculum Augustum, 3 voli., Darmstadt, 1987-1991 e alle i n dicazioni analitiche e ragionate i n L . De Biasi e A . M . Ferrerò (a cura di), Gli atti compiuti e i frammenti delle opere di Cesare Augusto Imperatore, Torino, 2003, 83-140. Del tutto chiaro questo valore, nella bibliografìa più attenta degli inizi del secolo, P.F. Girard, Les leges luliae iudiciorum privatorum et publicorum, i n Z R G 1913, 295 ss.: G. May, L'activité juridique de l'empereur Claude, cit., 55 ss., 213 ss. e poi H . Volkmann, Zur Rechtsprechung im Principat des Augustus, München, 1969, 11 ss.; M . Smalwood, Documents Illustrating the Principates of Gaius Claudius and Nero, Cambridge, 1967, 361 ss.; R. Orestano, Parola del potere auctoritate omnibus praestiti, in Diritto, cit., 565 ss. 63

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sdictio nei primi cinquantanni dell'impero. La protezione dei fedecommessi rientra proprio in un contesto che sta tra ordo e extra ordinem, in quanto i suoi caratteri si distinguono significativamente dall'una come dall'altra configurazione. Questo contesto è dominato da un fatto nuovo: Yauctoritas d i Augusto che attraversa le distinzioni tradizionali dei poteri magistratuali e delle forme d i governo della res publica. Una parola antica che designa una situazione nuova perché, come dichiara Augusto , la sua auctoritas è superiore a quella di tutti. I l significato e i l valore di questa asserzione rendono vano qualsivoglia tentativo d i istituire confronti con le realtà che l'hanno preceduta. L'autorità del senato, del popolo, del magistrato, del giurista, operavano in una forma di governo i cui valori d i riferimento avevano reso compatibili e complementari queste situazioni nel loro insieme, ma conservando an65

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R. Heinze, Auctoritas, i n Hermes 60, 1925, 348 ss. Questo studio che resta un punto d i partenza imprescindibile per ogni analisi filologica, va oggi letto però con i giusti rilievi d i A . Pennelli, Richard Heinze e i Wertbegriffe, i n Quaderni d i storia 6, 1977, 52 ss. G l i studi sulla nozione d i auctoritas sono numerosissimi; rinvio qui oltre a F. Schulz, I principi del diritto romano, Firenze, 1995 (rist. tr. i t . 1946, München 1934) 143 ss., al recente B. Lincoln, L'autorità. Costruzione e corrosione, Torino, 2000, soprattutto per i l saggio introduttivo d i M . Bettini, Alle soglie dell'autorità, dove si trovano fonti e b i bliografìa. J . Gagé, Res gestae divi Augusti, Paris, 1977,144. 65

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che la specificità di ognuna di esse . L'esercizio delle prerogative di ciascuno, trovava legittimità e fondamento in quelle dell'altro, in un riconoscimento che aveva i l carattere della reciprocità. Nell'esperienza repubblicana infatti a nessuno si riconosceva una preminenza rispetto all'altro; l ' i dea era quella dell'appartenenza a un gruppo di uomini dotati di uguale legittimità. Non si favoriva la distinzione ma piuttosto si limitava i l potere di ciascuno i n relazione a quello degli altri. Le leggi ponevano limiti, segnavano confini per i destinatari di esse, ma non meno per chi le aveva formulate. Nella repubblica all'autorità del senato faceva riscontro quella del popolo, all'autorità dei magistrati quella dei giuristi, i n un rapporto di reciproca autolimitazione. L'enunciato delle res gestae dissolve queste corrispondenze biunivoche e introduce un criterio di segno opposto. \J auctoritas di Augusto introduce ora una nozione di preminenza, a cui tutte le altre dovranno r i ferirsi secondo rapporti disuguali. Quando afferma che ha avuto lo stesso potere degli altri magistrati ma, quanto ad autorità, ha superato tutti, Augusto si pone fuori dell'esperienza egualitaria per identificarsi con l'esito d i un movimento naturale e storico che lo ha reso i l più autorevole. 67

A . Lintott, The Constitution of the Roman Republic, O x ford, 1999, 191 ss., che ridiscute alcune interpretazioni mommseniane, dal consolato come magistratura archetipica, al principio della collegialità, al ruolo dei pretori. 67

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Ha attinto insomma alle fonti stesse dell'auctoritas una forma superiore d i legittimità. E inevitabile perciò che le iniziative d i Augusto nei confronti d i coloro che dovranno eseguire le sue i n dicazioni si iscrivano nella tipologia di atti significata da iubere\ anche i magistrati supremi, i consoli appunto, sono tra i destinatari di questi ordini, che non si limitano perciò, ai collaboratori imperiali di nuova istituzione . 68

2.3. Principe/consoli I consoli vengono dunque investiti dal principe di un compito che fino a quel momento non avevano svolto; i termini dell'attività sono indicati da auctoritatem suam interponere. Per individuare i l senso d i questa espressione , bisogna 69

I n Tac. ann. 12.60 i l comando è rivolto agli équités che governano l'Egitto (cfr. Dig. 1.17.1, Ulp. X V ad ed.). A questa tipologia d i intervento fanno riferimento anche res gestae 26.5 e A E 1927, n. 139. I n res gestae 8.1 i l comando è del senato e del popolo, ma è da definire la relazione con l'iniziativa augustea. I precedenti, che esamino i n un lavoro d i prossima pubblicazione, condizionano lo sviluppo convincente della tematica, i n particolare Sisenna, 187 Peter, C I L 1 ,797 = DLS 73 e Cass. D i o 43.14. 'Interpostiti auctoritatis' non ricorre mai nelle fonti; è una elaborazione dottrinaria moderna d i alcuni romanisti, soprattutto italiani che, privilegiano, ancora oggi, una ricostruzione fortemente dogmatica, d i situazioni e rapporti che richiederebbero un approccio oltrecché storico essenzialmente filologico, piuttosto che la creazione d i 'istituti' fantomatici. 68

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chiarire la situazione di diritto che i lasciti fedecommissari presupponevano. Sappiamo che i fedecommessi, la cui esecuzione fino a quel momento era affidata al senso di riguardo e alla discrezionalità del fedecommissario, non avevano riconoscimento giuridico. Fu Augusto a stabilire per essi quel vinculum iuris che prima non avevano e che da quel momento sarà compito dei consoli far rispettare. I n altri termini, i l compito che i consoli dovevano svolgere, e cioè quello di ordinare al fedecommissario di eseguire i l fedecommesso, trovava i l suo fondamento nel*auctoritas del principe e non nell'esistenza di una pretesa giuridicamente riconosciuta. I consoli non potrebbero interporsi tra le parti per dare loro un comando se Augusto non avesse conferito loro l'autorità per farlo. Questa situazione non ha precedenti e non è confrontabile con altre situazioni per l'unicità dei dati che la contraddistinguono. La nascita d i questo diritto e quindi la sua tutela giurisdizionale è ndïauctoritas d i Augusto, che conferisce ai consoli una nuova titolarità che essi eserciteranno in quanto detentori d i imperium . L'indica70

La relazione principe/consoli e principe/pretori i n età augustea e più in generale nell'età giulio-claudia si iscrive nella dialettica delegare/mandare che connota le attività giurisdizionali nelle ipotesi disciplinate i n questi termini: vedi L . Fanizza, L'amminiztrazione della giustizia nel principato, cit., 110 ss. 70

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zione che i consoli dovranno dare non si riferisce dunque a una norma del ius civile ma è l'espressione di un comando fondato suH auctoritas del principe. Auctoritatem suam nel passo delle Istituzioni giustinianee non può non essere l'autorità di Augusto : la possibilità di costituire ius è anche una sua prerogativa. Questa situazione non ha nulla di ordinario nel senso che comunemente si dà alla parola quando la si riferisce all'orbo iudiciorum\ non è ordinario che la giuridicità di un rapporto venga riconosciuta dal principe, non è ordinario che sia il principe a dare un ordine ai consoli, non è ordinario che i consoli agiscano sul fondamento dell'auctoritas imperiale piuttosto che sulla base vincolante di un'indicazione del ius civile. Se così fosse ci troveremmo di fronte a una situazione analoga a quella prevista dalla protezione interdittale. Anche i l provvedimento interdittale si esercitava grazie all'Imperium magistratuale e m i rava alla protezione d i uno stato di fatto, ma le formule degli interdetti erano raccolte nell'editto, nel programma attraverso i l quale i l magistrato esercitava la propria iurisdictio; quando i l suo 11

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Sulla lex Aelia Sentia del 4 d.C. e la legis actio consolare in tema d i manomissioni, l u i . X L I I dig., Dig. 40.2.5, Gai. 1.18-20, U l p . I I de off. cons., Dig. 1.10.1., si veda G. Schedilo, Lezioni sul processo. Introduzione alla cognitio extra ordinem, Milano, 1960,213 ss. L'espressione è ambigua secondo D . Johnston, The Roman Law of Trusts, cit., 30. 71

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intervento appariva giustificato sulla base di considerazioni equitative, era sempre vincolato dalla formula edittale, che egli si limitava ad estendere utiliter ad un caso analogo. Insomma, pretori e proconsoli potevano ricorrere a questa misura estrema, potevano cioè interponete auctoritatem, solo per cause certe, predefinite . Non si trattava di attività discrezionale e dunque, per i fedecommessi, Augusto dovette ordinare ai consoli di agire secondo questa modalità, e l'iniziativa i m periale divenne perciò i l fondamento della loro condotta. La disciplina dei fedecommessi vedrà fortemente ridimensionata Piniziale straordinarietà, con l'istituzione dei pretori, che dall'età di Claudio, ma non a lungo, verranno investiti di una giurisdizione stabile; i l suo statuto sarà però sempre connotato da una forte ambivalenza lessicale, a seconda che si voglia dare risalto al momento genetico, al processo di formazione del ius, e quindi a 73

Gai. 4.139. Certis igitur ex causis praetor aut proconsul principaliter auctoritatem suam finiendis controversiis interponit, quod t u m maxime facit, cum de possessione aut quasi possessione inter aliquos contenditur. Et in summa aut iubet aliquid fieri aut fieri prohibet. G . I . Luzzatto, Le origini, cit., 148 ss. e ora la nota d i lettura d i R. Martini, alla ristampa, con appendice bibliografica aggiornata, a A. Biscardi, La tutela interdicale ed il relativo processo. Corso di lezioni 1955-6, Torino, 2002, 2 ss. Vorrei richiamare l'attenzione sull'allitterazione praetor proconsul principaliter che m i sembra abbia i l senso d i rafforzare l'esclusione d i ogni forma d i discrezionalità espressa da certis causis. 75

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una nozione larga di iurisdictio, o piuttosto alle pratiche di protezione succedutesi nel tempo, che del fatto costitutivo non tengono più conto . 74

2.4. Principe/giuristi I rapporti che Xauctoritas di Augusto muta nella configurazione formale e nella pratica dell'esercizio delle attività tradizionalmente svolte, non riguardano solo le istituzioni di governo, ma investono anche un altro settore non meno i m portante della produzione del diritto. La relazione giuristi/principe viene ora a definirsi tenendo conto della posizione d i preminenza che Augusto stesso aveva dato alla sua auctoritas rispetto agli altri detentori; tradizionalmente l'attività interpretativa e respondente dei giuristi si fondava i n fatti proprio sull auctoritas d i cui essi godevano e che bisognava ora ridefinire i n relazione a quella imperiale. Questa situazione trova riscontro i n 5

Da iurisdictio a cognitio, persecutio, petitio, si veda D . Johnston, The Roman Law of Trusts, cit., 222 ss.; e ora le osservazioni d i G. Falcone, Appunti sul IV commentario delle Istituzioni di Gaio, Torino, 2003,159. N o n sono confrontabil i perciò all'intervento augusteo i n tema d i fedecommessi, se non per differentiam, i l caso riportato da Codex lust. 4.44.1 del 222, e da Dig. 50.10.2.2, U l p . m opin. come sostiene V . Giodice Sabbatelli, La tutela giuridica dei fedecommessi fra Augusto e Vespasiano, Bari, 1993, 110 ss. Sembrano riferirsi piuttosto a.ipotesi tarde d i interventi autoritativi che i l praeses prende d i sua iniziativa. 74

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un testo del liber singularis enchiridii un'opera di Pomponio che come abbiamo visto è fondamentale per chi voglia rintracciare i percorsi della formazione del diritto nel loro sviluppo storico . Nel lungo resoconto che caratterizza l'esposizione pomponiana sulla scienza del diritto civile, uno spazio considerevole viene destinato alla giurisprudenza del primo principato e ai suoi caraty

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Dig. 1.2.2.48: Massurius Sabinus i n equestri ordine [fuit et] publice primus respondit: < nam > posteaqu[e] < am > hoc coepit benefìcium dari, a Tiberio Caesare hoc ta[men] < ndem > illi concessimi erat. 49 E t , ut obiter sciamus, ante tempora Augusti publice respondendi ius non a principibus dabatur, sed qui fiduciam studiorum suorum habebant, consulentibus respondebant: neque responsa utique signata dabant, sed plerumque iudicibus ipsi scribebant, aut testabantur qui illos consulebant. primus divus Augustus, ut maior i u ris auctoritas haberetur, constituit, ut ex auctoritate eius responderent: et ex ilio tempore peti hoc pro benefìcio coepit. Et ideo optimus princeps Hadrianus, cum ab eo viri praetorii peterent, ut sibi liceret respondere, rescripsit eis hoc non pet i , sed praestari solere et ideo, si quis fiduciam sui haberet, delectari se < si > populo ad respondendum se [praepararet] < praestaret vel praeberet > . Ergo Sabino concessimi est a Tiberio Caesare, ut populo responderet: qui i n equestri ordine iam grandis natu et fere annorum quinquaginta receptus est. H u i c nec amplae facultates fuerunt, sed plurimum a suis auditoribus sustentatus est. Tra parentesi i suggerimenti d i T h . Mommsen. La tesi più radicale è stata espressa da F. Cancelli, II presunto ius respondendi istituito da Augusto, i n B I D R 90,1987,543 ss. che ritiene i l passo «contorto» e «contraddittorio» d i origine postclassica o giustinianea; F. Schulz, Storia della giurisprudenza romana, t r . i t . Firenze, 1968 (Oxford, 1946, 1953 ) 207 ss. aveva creduto d i riconoscere quattro diverse mani nella stesura di questo testo. 75

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teri. Masurio Sabino, un cavaliere, per primo dette responsi a titolo pubblico, e, quando si i n cominciò a fruirne come beneficio, a lui questo diritto fu concesso da Tiberio Cesare. E, detto per inciso, prima di Augusto i l diritto di dare responsi a titolo pubblico non veniva dato dai princ i p i ma coloro che avevano fiducia nei propri studi davano responsi a chi l i richiedeva loro; non davano sempre responsi contrassegnati dal proprio sigillo, ma per lo più l i scrivevano essi stessi ai giudici oppure coloro che l i consultavano ne davano attestazione. Per primo Augusto, perché l'autorità del diritto fosse accresciuta, stabilì che i giuristi dessero responsi grazie alla sua autorità; e da quel tempo si incominciò a farne richiesta nei termini d i un beneficio. Così, quando alcuni ex pretori chiesero all'ottimo principe Adriano che fosse loro lecito dare responsi, questi rispose con un rescritto che solitamente quest'attività non si richiedeva ma si esercitava; e pertanto chi avesse fiducia nei suoi stu76

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Si afferma comunemente l'eliminazione d i a principibus. M . Bretone, Tecniche, cit., 242 nt. 4, preferisce immaginare la caduta d i parole come erat, quod postea tra non e a principibus (E. Schönbauer, i n Iura 4,1953,226). Aggiunge consultorum dopo iuris anche M . Bretone, Tecniche, cit., 243; e ora A. Schiavone, Immagini del ius tra Gaio e Pomponio, in lus controversum e auctoritas principis, cit., 128; contrari tra gli altri, P. Frezza, Corso di storia del diritto romano, Roma, 1974\ 458 nt. 47 e A . Magdelain, lus respondendi, (1950) poi in lus imperium auctoritas, Roma, 1990, 127. 76

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di, si preparasse a occuparsi di dare responsi alla gente. Le letture suggerite di questo passo sono numerose; chi voglia inoltrarsi nel labirinto delle interpretazioni, può rintracciare i riferimenti necessari nei lavori più recenti . La mia proposta ha solo alcuni punti di contatto con altre che Thanno preceduta ma se ne distacca comunque nelle linee d i fondo. 78

Questa parte del racconto pomponiano si costruisce intorno all'iniziativa augustea, rispetto alla quale, seguendo un percorso circolare, vengono inseriti dal giurista gli episodi significativi che hanno caratterizzato l'attività respondente prima e dopo l'introduzione della disciplina i m periale. Primus Augustus constituit introduce i n fatti una innovazione: il principe costituisce la d i sciplina dell'attività respondente. È insomma l ' i niziatore di un nuovo corso destinato a durare e che, proprio per questo, come si è visto, viene ricordato nel suo momento originario. Si trattò probabilmente d i un editto con i l quale Augusto interrompeva una tradizione consolidata che aveva trovato néKauctoritas del giurista la giustificazione dell'attività respondente, per fissare ora i l fondamento di questa attività neu?auctoritas del

Oltre i riferimenti indicati alla nt. 11, R A . Bauman, Lawyers and Politics in the Early Roman Empire. A Study of Relations between the Roman Jurists and the Emperors from Augustus to Hadrian, München, 1989, 1 ss.; 287 ss. 78

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principe . Una definizione ineludibile, visto che Augusto dichiarava nelle Res Gestae di detenere uri auctoritas che lo poneva i n una posizione di preminenza rispetto agli a l t r i . L'autorità del principe, fondamento dell'attività respondente, non limitava i suoi effetti solo a questa modalità di produzione del diritto, ma, attraverso essa, lo connotava nel suo insieme. Uauctoritas iuris si modificava e diveniva maior perché si incontrava con Xauctoritas principis, anche attraverso l'esercizio da parte dei giuristi del ius publice respondent. 79

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N o n si tratta perciò d i un'autorizzazione né d i u n consenso, come hanno supposto A . Magdelain, lus respondendi, cit., 110 ss. e W . Kunkel, Das Wesen des ius respondendi, i n ZRG 66, 1948, 436 ss. (già T h . Mommsen, Römisches Staatsrecht, 2, Leipzig, 1887 , 912). N o n convince, i n quanto indica un tratto prevalentemente morale d i questa situazione, l'allusione al prestigio, secondo l'interpretazione d i A . von Premerstein, Vom Werden und Wesen der Prinzipat, München, 1937, 202-204 e d i F. Schulz, Iprincipii, cit., 143, che, nonostante parli d i qualità normativa, normative Eigenschaft, m i sembra si riferisca a un principio analogo. Res gestae 343. Credo perciò che i l testo vada conservato nei termini i n cui è stato tramandato e non sia necessario introdurre consultorum dopo iuris. H a aderito invece a questa integrazione (C. Ferrini, Digesta lustiniani Augusti, Mediolani, 1931, rist. 1960) anche M . Bretone, Tecniche, cit., 243, (dove si discute il diverso orientamento d i A. Magdelain, lus respondendi, cit., 127 e d i P. Frezza, Corso, cit., 458 nt. 47). Bretone ritiene perciò che auctoritas implichi «un'assunzione d i responsabilità», che il principe si fa «garante» dei responsi emessi dai giuristi insigniti del ius respondendi. 79

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I l nuovo fondamento qualificava diversamente rispetto alla situazione in atto l'attività rispondente; questo ius diveniva publice respondendi, acquisiva cioè la connotazione publice in quanto, con un atto proveniente dall'esterno, del principe i n questo caso, si definiva, come vedremo, l ' u so e la disciplina. L'attività respondente si connota ora dunque sia per i l diverso fondamento che per l'impiego ufficiale, e si definisce perciò per tutti coloro che la esercitano, e senza distinzioni, come ius publice respondendi. La provenienza diversa delle fonti attestanti questa dizione ne conferma la pertinenza alla iniziativa augustea e l'attendibilità dell'impiego pomponiano: Labeone consulentibus de iure publice responsitavit nella testimonianza di Gellio, Masurio Sabino publice respondit nel racconto pomponiano, Nerva figlio publice de iure responsitasse secondo Ulpiano , Giavoleno ius civile publice respondet nel ricordo di Plinio . 82

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La definizione pubblica dell'attività respon-

N o n credo perciò alla distinzione comunemente accolta tra giuristi 'patentati' e non. 13.10.1, su 13.13.1, oltre p. 80. V I aded. Dig. 3.1.1.3. Cir. Cic de leg. 1.14, oltre p. 70. Plin. ep. 6.15.3. Fronto ad amie. 2.11.2 parla di virum consularem ius publicum respondentem. È possibile, considerata la non buona tradizione del testo, che publicum vada i n teso come publice, e che quindi si tratti come negli altri casi d i esercizio d i ius publice respondendi, piuttosto che d i attività d i consulenza i n materia d i diritto pubblico, come pensa A . Magdelain, lus respondendi, cit., 125 nt. 82. 82

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dente aveva un risvolto pratico: i giuristi che fino a quel momento scrivevano i loro pareri per i giudici o che vedevano utilizzati i responsi dalle parti a proprio vantaggio in giudizio, dovevano ora contrassegnare, firmare questi responsi . I responsa signata avevano un valore pubblico, solo essi cioè potevano essere utilizzati in giudizio. Si è tentato di superare l'apparente aporia tra signata e ipsi scribebant del testo pomponiano riferendo ipsi ai consulenti; ci sarebbe stato cioè un passaggio dall'oralità alla scrittura, in quanto i responsi dati oralmente dai giuristi sarebbero stati scritti dai consulenti e solo l'iniziativa augustea avrebbe reso obbligatoria la forma scritta . L'evidente improbabilità d i questa lettura, rende inopportuna la forzatura grammaticale e sintattica del testo pomponiano, dove chiaramente ipsi è riferito ai giuristi che plerumque scribebant e che ora danno responsa utique signata. Credo sia fondamentale per una interpretazione testualmente affidabile sottolineare i l valore di utique nella re86

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Sia che i l sigillo si mettesse i n calce al responso, come sembra probabile, sia che venisse apposto i n modo che i l responso rimanesse chiuso fino al momento della presentazione al giudice: L . Wenger, Signum, i n RE 2A (1923) 2427; V . Arangio-Ruiz, Romanisti e latinisti (1938) poi i n Scritti di diritto romano, Napoli, 1977,227 ss. R.A. Bauman, Lawyers, cit., 8; W . Kunkel, Das Wesen, cit., 425-7); F. De Visscher, Le ius publice 'respondendi (1936) poi i n Nouvelles études de droit romain public et privé, Milano, 1949,302. 86

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lazione con plerumque. Utique rafforza e limita i l senso di signata, i giuristi daranno solo responsi firmati, mentre prima plerumque scribebant, generalmente scrivevano ai giudici: m i pare sia questa la differenza che Pomponio vuole segnalare separando con sed le due modalità, riferite entrambe ai giuristi ma a epoche diverse. L'uso giudiziario, cioè pubblico, dei responsi richiede dunque per Augusto la formalità della firma. La differenza dovrebbe porsi allora piuttosto che tra giuristi privilegiati e non privilegiati - tutti infatti godevano di questo ius quando firmavano i propri rescritti per uso pubblico - proprio tra responsi firmati o non firmati dello stesso giurista . Chiarito il senso della prima affermazione neque responsa utique signata dabant, sed plerumque iudicibus ipsi scribebant, - bisogna ora interpretare aut testabantur qui illos consulebant. È evidente che con aut Pomponio vuole segnalare un'alternativa tra le due affermazioni: oppure coloro che l i consultavano ne davano attestazione. L'interessato, si dice, avrebbe cioè curato che persona capace, sotto i l controllo del giurista stesso o dei suoi allievi, prendesse nota della domanda e della risposta . Non credo che testari 88

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Vedi oltre nt. 102. V . Arangio-Ruiz, Romanisti e latinisti, cit., 231. Complica ulteriormente le modalità dell'attestazione W . Kunkel, Das Wesen, cit., 426; Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Graz-Wien-Köln, 1967 , 339 nt. 719. 88

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vada inteso i n questo senso: la situazione prefigurata presupporrebbe la scrittura da parte non si sa bene chi, di testi che richiedevano invece una competenza tecnica. Penso invece che l'attestazione fosse orale. L'oralità d i quanto i consulenti dichiaravano valorizza l'alternativa che Vaut i n troduce tra le situazioni che sta confrontando.

2.5. Tiberio I l racconto d i Pomponio scandisce diversi tempi nella storia dell'attività respondente. A n che Tiberio ebbe un posto importante nell'evoluzione di questa storia; la narrazione pomponiana ha infatti un andamento circolare che si apre e si chiude con i nomi di Masurio Sabino e di Tiberio Cesare. Ma un posto importante non ha necessariamente una connotazione positiva, per lo meno nella considerazione di Pomponio. Dopo aver evidenziato gli avvicendamenti nella successione dei giuristi, Pomponio introduce i l resoconto sul ius publice respondendi con una affermazione che nel suo contesto non sembra presentare ambiguità interpretative. Dice che Masurio Sabino era nell'ordine equestre e per primo dette responsi publice-, una concessione di Tiberio nei suoi confronti, dal momento che quest'attività divenne oggetto di un beneficio. I l giurista interrompe qui i l racconto relativo all'età tiberiana per svolgere, come abbiamo v i 64

sto, i l discorso sull'iniziativa augustea e i suoi precedenti. E infatti prima di Augusto i l ius publice respondendi non veniva dato dai principi, ma chi poteva fare affidamento sui suoi studi, evidentemente sulla propria cultura ed esperienza giuridica, dava responsi a chi l i chiedeva. Seguiva la parte relativa ai responsi firmati, e quindi Pomponio chiudeva con una valutazione positiva dell'intervento augusteo; infatti Augusto stabilì che i giuristi dessero responsi sul fondamento della sua autorità, e si è già visto in che senso questo rendesse maior l'autorità del diritto. Prima d i tornare a Masurio Sabino, Pomponio introduceva i l quarto tempo della narrazione. L'ottimo principe Adriano agli ex pretori che gli chiedevano se a loro fosse lecito dare responsi, r i spose che i l respondere non si richiedeva ma si metteva in pratica; e pertanto chi poteva fare affidamento sulle proprie capacità, si dedicasse pure a populo respondere. I l resoconto si chiude con l'affermazione che Tiberio concesse a Sabino la possibilità di populo respondere e si aggiungono alcune notizie biografiche non lusinghiere sul giurista: entrò nell'ordine equestre in età avanzata, a cinquantanni, e le sue finanze non erano ampie, tanto che fu sostentato dai suoi allievi. È stato già detto che la soluzione adrianea segna un ritorno ad una fase che vede l'attività respondente ricondotta ai criteri che l'avevano ispirata, la fiducia sui evidentemente, o la fiducia suorum studiorum, rispetto invece a quella in cui si 65

passa alla concessione imperiale . Vorrei però definire meglio i termini della questione e differenziare, per quanto è possibile, la posizione di Augusto da quella di Tiberio nella considerazione di Pomponio, e inoltre tentare di motivare i l rilievo della figura di Sabino in questa narrazione. 90

I punti chiave del racconto sono da un lato Pantitesi tra Augusto/Adriano e Tiberio per quanto attiene alla considerazione del ius respondendi, dall'altro, l'interpretazione della realtà del respondere attraverso due espressioni populo respondere e publice respondere , due fasi di un'attività che, dopo l'iniziativa augustea, qualificano diversamente l'impegno dei giuristi nella relazione con i principi e quindi le interpretazioni evi91

M . Bretone, Tecniche, cit., 249 e ora A . Schiavone, Immagini del ius, cit., 129 parla d i 'restaurazione repubblicana'. H . Siber, Der Hausgangspunkt des ius respondendi, i n Z R G 6 1 , 1941, 397-400 elimina populo-, F. Schulz, Storia, cit., 209 sostituisce publice a populo; W . Kunkel, Das Wesen, cit., 442 ritiene le due espressioni equivalenti. Anche M . Bretone, Tecniche, cit., 247 nt. 22 non valuta la distinzione e discutendo A . Guarino, II ius publice respondendi, i n L'ordinamento giuridico romano, Napoli, 1990 , 404 ss. dichiara d i non comprendere la differenza sostanziale tra la disciplina augustea e quella tiberiana, giacché i l trasformarsi in beneficio del ius respondendi, riguarda i l modo del conferimento e non i l suo contenuto. Considerazione condivisibile rispetto alla tesi d i Guarino, che vede nell'intervento tiberiano la concessione d i dare responsi i quali vicem legis optinent (Gai. 1.7). R A . Bauman, Lawyers, cit., 4, 64 riporta altre opinioni. 90

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dentemente antitetiche che di questo rapporto venivano date. Augusto stabilì che i giuristi dessero responsi sul fondamento della sua autorità; in pratica i giuristi che volessero utilizzare in giudizio i propri responsi dovevano firmarli. I l caso limite era quello che si verificava nel cosiddetto tribunale imperiale: quando qualcuno portava un responso, bisognava sapere a chi fosse ascrivibile quella soluzione. Non va dimenticato infatti che l'imperatore esercitava l'attività rescrivente, rispondeva cioè ai quesiti giuridici o giudiziari a l u i sottopos t i ; quindi, se l'attività imperiale era immediatamente riconducibile al suo autore, altrettanto doveva essere per quella giurisprudenziale. I l responso orale o anonimo non rispondeva alla realtà di questo tempo che conosceva una concorrenza tra imperatore e giuristi nell'attività di consulenza. La disciplina dell'attività respondente si enuncia dunque come ius publice respondendi. Pomponio valuta positivamente questa svolta, perché i n questo modo l'autorità del diritto d i viene maior\ è Xauctoritas di Augusto nell'incontro con Xauctoritas dei giuristi che produce questo accrescimento . 92

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T. Honoré, Emperors and Lawyers, O x f o r d , 1981, 4 ss., 24 ss. Riesamina i l valore d i auctoritas, discutendo la posizione di Kunkel, F. Wieacker, Respondere ex auctoritate principis, in Satura Feenstra, Freibourg Suisse, 1985, 85 ss. 92

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Con Tiberio le cose cambiano, e l'iniziatore del cambiamento è Masurio Sabino. I l suo nome, si è visto, ricorre due volte: all'inizio Massurius Sabinus publice primus respondit e alla fine della narrazione ergo Sabino concessum est a Tiberio Caesare ut populo responderet. Ma noi sappiamo che già Labeone de iure publice responsitavit, quindi i l primato che Pomponio gli vuole attribuire non è propriamente quello del publice respondere, ma è publice respondere secondo una modalità che i giuristi augustei non avevano conosciuto, e cioè attraverso un beneficium una concessione che faceva seguito a una richiesta. È pur vero che Pomponio parla di richiesta e di beneficio anche per Augusto, ma evidentemente o non vi era stata in pratica una richiesta, o la risposta non era stata nei termini tiberiani. Infatti Pomponio dirà subito dopo che Adriano è optimus, anche perché ha fatto cadere la richiesta degli ex pretori e ha restituito l'attività respondente ai valori che ne avevano fondato i caratteri; a Pomponio faceva piacere credere che una sorta di equilibrio tra autorità dei giuristi e autorità del principe fosse ancora possibile ai suoi tempi. L'aggettivo optimus esprime, come già per Nerva 94

y

Si è detto che Sabino fu i l primo cavaliere a ricevere questo benefìcio: non credo inoltre che l'episodio che lo riguarda vada interpretato come contrapposizione tra ceti d i appartenenza, equestre, senatorio. Su questo punto F. Wieacker, Respondere, cit., 87, 93. 94

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e Traiano , quest'attitudine degli imperatori a r i spettare i valori tradizionali espressi dall'autorità del senato, dall'autorità dei magistrati, dall'autorità dei giuristi. Per Pomponio invece Tiberio è solo Cesare: questo principe e il suo giurista hanno interpretato i l respondere ex auctoritate principis in termini di concessione; infatti nella parte finale del testo si dice significativamente con un cambio d i espressione Sabino concessum est a Tiberio Caesare ut populo responderet: populo respondere dunque e non publice respondere come aveva detto all'inizio. Tiberio gli concesse insomma di dare responsi alla gente, Masurio Sabino cioè gli chiese l'autorizzazione a populo respondere e Tiberio la concesse, convinti entrambi che i n quel senso andasse interpretato respondere ex auctoritate principis. La richiesta di Sabino i n somma ha condizionato la risposta di Tiberio: Sabino ha cioè inteso ius publice respondendi non come definizione pubblica della libera attività respondente ma proprio nel senso di autorizzazione a populo respondere - così l'interpreteranno anche gli ex pretori - come se questa attività potesse essere oggetto d i autorizzazione. Si è tentato i n vario modo di superare l'apparente aporia tra publice/populo respondere-, credo che anche qui i l testo non vada modificato e che sia necessario differenziare le due espressioni. 95

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Plin. ep. 1.3; 2.13.8; 4.22.1; paneg. 7.4; 88.4-6.

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Un testo ne richiama sempre un altro, e in questo caso non si può eludere il confronto con i l notissimo passo del de legibus dove Cicerone si sofferma proprio sull'attività consulente : grandissimi uomini id {ius civile) interpretatipopulo et responsitare soliti sint; si aggiunge che l'attività di consulenza è necessaria alla gente, populo necessarium, e si considera che si occuparono di diritto civile in quanto vollero offrirlo alla gente, praestare populo. Insomma è la dimensione libera e indefferenziata, nel senso d i offerta alla gente che qui viene in evidenza e che anche Pomponio vuole ricordare nella sua narrazione . L'impiego 96

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1.14: Egone? Summos fuisse i n civitate nostra viros, qui i d interpretali populo et responsitare soliti sint, sed eos magna professos i n parvis esse versatos. Q u i d enim est tantum, quantum ius civitatis? Q u i d autem tarn exiguum, quam est munus hoc eorum, qui consuluntur? Quamquam est populo necessarium. Nec vero eos, qui ei muneri praefuerunt, universi iuris fuisse expertis existimo, sed hoc civile quod vocant, eatenus exercuerunt, quoad populo praestare voluerunt. I d autem i n cognitione tenue est, in usu necessarium. Quam ob rem quo me vocas aut quid hortaris? U t libellos conficiam de stillicidiorum ac de parietum iure? A n ut stipulationum et iudiciorum formulas componam? Quae et conscripta a multis sunt diligenter et sunt humiliora quam ilia, quae a nobis expectari puto. Q u i si delinea, tra l'altro, un aspetto interessante della dialettica ius civitatis/ius civile, che nella locuzione ius publicum/ius privatum ho considerato i n Senato e società politica fra Augusto e Traiano, Roma-Bari, 2001,5 ss., 65 ss. Le immagini del ius nel de republica e nel de oratore con riferimento al processo d i tecnicizzazione e separazione del sapere giuridico romano, sono descritte da A. Schiavone, Sa96

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di populo respondere è perciò illuminante: Pomponio l'aveva utilizzato immediatamente prima, con riferimento ad Adriano, che aveva negato agl i ex pretori la concessione, evidentemente proprio sulla base di una richiesta analoga a quella di Sabino. La motivazione era stata infatti hoc non peti sed praestari solere : Y hoc si riferisce al sibi liceret respondere, alla richiesta di esercitare l'attività respondente e non al ius publice respondendi. L'ottimo Adriano non può insomma concedere ciò che da sempre è stato oggetto di un praestare, come nel lessico ciceroniano, di una offerta libera e spontanea. 98

Per Pomponio dunque i l senso d i populo respondere veniva valorizzato dall'iniziativa imperiale i n quanto Yauctoritas augustea ne accresceva i l valore con i l riconoscimento pubblico; un'attività che si era soliti prestare diveniva un diritto pubblicamente riconosciuto, a certe condizioni naturalmente. Perché quel valore fosse conservato era necessario rimanere nei limiti strettissimi

pere giuridico e identità romana. Un'interpretazione, i n Memoria e Identità. La cultura romana costruisce la sua immagine, Firenze, 2003,61 ss. M . Bretone, Tecniche, cit., 253, interpreta invece nel senso d i concedere da parte dell'imperatore a coloro che l'abbiano meritato. F. Casavola, Scienza, potere, ordinamento, cit., 178, analizza questo passo i n relazione a Gai. 1.7, e attraverso un itinerario interpretativo diverso da quello d i Bretone, afferma che occorre essere scelti dal principe e che la concessione imperiale non può essere oggetto d i richiesta. 98

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di tale interpretazione; Masurio Sabino e Tiberio non Pavevano fatto. Questa caduta interpretativa ha secondo Pomponio una spiegazione sociale: Sabino - per due volte Pomponio ripete che è un cavaliere - è una figura di basso profilo, la cui subalternità all'imperatore non ha bisogno di essere dimostrata ma è nella condizione stessa del giurista tiberiano: un poveraccio entrato nell'ordine equestre a cinquantanni e per giunta sostentato dai suoi allievi". Per l u i evidentemente non era scontata l'attività di populo respondere, la fiducia sui non caratterizzava la sua condizione, i l giurista aveva bisogno che Tiberio gli consentisse un'attività i l cui esercizio si fondava invece su presupposti diversi da questo . Sabino identificava populo respondere e publice respondere e si aspettava perciò di essere autorizzato a esercitare quest'attività. I l valore insito nel praestare, che Cicerone ricorda e che torna nella riflessione di Adriano/Pomponio, gli è sconosciuto. Uauctoritas imperiale regola secondo l u i l'esercizio dell'attività respondente. Per Pomponio invece pu100

Dedica u n intero capitolo a Tiberio e ai giuristi R.A. Bauman, Lawyers, cit., 56 ss. I l ritratto pomponiano d i Masurio Sabino va confronfato con quello tacitiano d i Gaio Ateio Capitone, soprattutto per quanto riguarda l'uso strumentale delle connotazioni biografiche dei giuristi considerati: Tac. ann. 3.75 e L . Fanizza, Senato e società politica, cit., 69. N o n m i sembra perciò si possa immediatamente accostare ut sibi liceret respondere a quibus permissum est iura condere di Gai. 1.7. Cfr. da ultimo F. Wieacker, Respondere, cit., 84. 99

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bike respondere era una definizione di populo respondere-, ne conservava i caratteri originari e continuava a contribuire alla formazione del ius, e ne accresceva Pautorità proprio grazie al pubblico riconoscimento. Anche in questo caso, però, riguardo all'iniziativa augustea, si trattava, come vedremo, di un ritorno fuori contesto. H publice profit eri di Tiberio Coruncanio costituisce il termine di riferimento dell'attività respondente lungo un itinerario che si sviluppa per tappe e che vede modificare la dimensione esterna e la valenza della nozione secondo i l contesto politico-istituzionale in cui si trova ad operare: dall'esercizio pubblico del diritto, un'attività aperta a consulenti e allievi piuttosto che privilegio iniziatico, alla pratica istituzionalizzabile in una professione che resta però pur sempre libera . 101

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Cfr. Cic. orat. ad M. Brutum 145: A t ius profitentur etiam qui nesciunt; eloquentiam autem illi ipsi qui consecuti sunt tarnen ea se valere dissimulant. M i chiedo se le Quaestiones publicae tractatae di Cervidio Scevola o le Disputationes d i Ulpiano (publicarum disputationum libri, Codex lust. 9.41.11.1) si connettessero in qualche modo all'innovazione augustea; non credo che la connotazione pubblica si riferisse al fatto che sia Scevola che Ulpiano, pur con diversa intensità, riportassero i n queste opere le discussioni svolte i n u n locale aperto al pubblico. M i sembra invece che queste opere contenessero le discussioni svolte nelle stationes, nel consiglio dell'imperatore o i n genere nelle sedi giudiziarie dove i l giurista era identificabile quale autore d i una posizione interpretativa che aveva avuto successo. (Al dossier noto va aggiunta la preziosa testimonianza di Gai.2.51). Era cioè possibile distinguere tra discussioni che avevano questa valenza e altre i n 101

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Nel percorso del ius publice respondendi si i n contreranno ancora episodi non esaltanti. La sua pratica non faceva necessariamente del giurista che lo esercitava un modello da imitare, o quanto meno, sembra non sia stato così per Giavoleno Prisco. Secondo Plinio costui era un uomo la cui dubia sanitas non avrebbe impedito di ricoprire cariche pubbliche, d i essere convocato per esprimere pareri, d i dare responsi firmati; anzi, la visibilità di questi contesti avrebbe reso tanto più r i dicolo e censurabile i l suo operato . Evidentemente a poco sarà servito credere, da parte d i alcuni, che la concessione imperiale potesse tra l'altro scongiurare eventualità di questo gene103

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cui prevaleva la riflessione privata, non esternata dal giurista come posizione raggiunta sull'argomento. Questa distinzione .per Scevola può aver trovato riscontro rispettivamente nelle Quaestiones publicae tractatae e nelle Quaestiones. M i chiedo se Ulpiano non abbia valorizzato i due contenuti i n un'opera con un diverso titolo che non teneva conto della distinzione. Cfr. P. Frezza, Responsa e quaestiones. Studio e politica del diritto dagli Antonini ai Severi (1977) poi i n F. Amarelli, E. Germino (a cura di), Scritti, 3, Roma, 2000,371. Plin. ep. 6.15 e i l commento d i A . N . Sherwin-White, The Letters of Pliny, O x f o r d , 1966, 370 ss.; V . Scarano Ussani, Le forme del privilegio. Beneficia e privilegia tra Cesare e gli Antonini, Napoli, 1992, 133, pensa che secondo Plinio i l giurista non sarebbe stato apprezzato nei circoli senatoriali. È questo i l profilo dominante infatti i n Inst. 1.2.8 dove con un generico quihus a Caesare ius respondendi datum est si fraintende e si semplifica l'itinerario tracciato da Pomponio {Codex lust. 1.14.12.5, a.529). Sui fraintendimenti dei compilatori è tornato ora A . Schiavone Giuristi e principe nelle Istituzioni di Ulpiano, cit., 56. 105

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re . A l contrario Y auctoritas principis avrebbe mostrato, anche in questo contesto, l'ambivalenza del suo carattere . 105

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Insiste sulla problematica della 'crisi del diritto* R A . Bauman, Lawyers, cit., 8 ss. Un'attitudine che Tacito riscontra nel governo di Tiberio: ann. 1.7.3. Più i n generale sul coinvolgimento dei giuristi nella politica e i problemi che questo suscitava F. Millar, Government and Law: Ulpian a Philosopher in Politics, i n G. Clark, T. Rayak (a cura di), Philosophy and Power in the Graeco-Roman World, O x f o r d , 2002, 69 ss. 105

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CAPITOLO TERZO RISTABILIRE G L I

IURA

3.1. La dimensione pubblica Nel disegno di Augusto la vita pubblica, cioè la sfera in cui gli uomini agiscono insieme impegnandosi in cose che sono d i interesse comune, assume un rilievo che connota decisamente la sua politica di governo. I l ius publice respondendi è solo un aspetto di un impegno volto, in settori diversi, ad accentuare i caratteri direi quasi d i servizio reso alla collettività; o forse meglio d i un dono che chi detiene tecniche o saperi - beni i m materiali dunque, e non solo denaro - deve elargire per renderli fruibili a tutti. N o n è un caso che negli ultimi anni della sua vita anche Asinio Pollione, nonostante i gusti «asiani» che rispecchiavano i l lusso e lo stile aristocratico della sua vita , non abbia potuto fare a meno d i confor107

Gaio Asinio Pollione, nell'età della «rivoluzione romana» tra i personaggi eminenti della vita culturale e politica, morto nel 4 o 5 d.C (al 4 risale infatti un biglietto che A u g u sto gli scrisse per rimproverargli un comportamento ritenuto 107

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marsi, a modo suo, alla nuova mentalità e inaugurò infatti le recitazioni pubbliche ; un'iniziativa che era stata preceduta dall'apertura al pubblico della sua biblioteca e della sua collezione d'arte. Sappiamo da testimonianze più tarde che queste recitazioni, potevano avere contenuto vario e si svolgevano in luoghi diversi, auditoria, stationes, theatra. E possibile perciò dare un senso più concreto al noto passo dove Aulo Gellio parla d i stationes ius publice docentium aut respondentium. Queste stationes, dove si discutevano questioni di diritto, vanno intese evidente108

non consono alla recente morte d i Gaio Cesare: Sen. contr. 4, pr. 5). N e l 40 f u console. N e l 39 come proconsole della costa orientale dell'Adriatico ottenne i l trionfo dalmatico e fu i n questa occasione che decise d i rendere pubblica la sua biblioteca, Dovette aderire agli ideali del circolo d i Mecenate interpretandoli soprattutto nel senso d i una sempre maggiore diffusione della cultura. Plin. nat.hist. 7.115; 36.33; S. Mazzarino, II pensiero storico classico, 2.1, Roma-Bari, 1966, 196 ss.; L . Morgan, The Autopsy of C Asinius Rollio, in JRS 90,2000, 51 ss. Oltre p. 89. Sen. contr. 4, pr. 2. Le diverse forme d i recitazione, da quelle a carattere privato a quelle piuttosto spettacolari per un vasto pubblico, sono analizzate da K. Q u i n n , The Poet and His Audience in the Augustan Age, i n A N R W 2.30.1, BerlinNew Y o r k , 1982, 140 ss.; i n una visuale più ampia G. Cavallo, Testo, libro, lettura, i n G . Cavallo, P. Fedeli, A . Giardina (a cura di), Lo spazio letterario di Roma antica, 2, La circolazione del testo, Roma, 1993, 307 ss. È utile confrontare questo passo con u n altro molto più tardo, del giurista Modestino, riportato in Dig. 27.1.6.5 dove si parla d i filosofi oratori grammatici che publice istruiscono i giovani (prosunt) e che proprio per questo vengono esonerati dalla tutela. 108

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mente in un senso che a chi le frequentava era ben chiaro. Come ricorda Plinio si trattava d i luoghi - di solito porticati e specialmente quello della biblioteca di Apollo - dove si adunava la gente per assistere a recitazioni d i poemi, tragedie, opere letterarie. La consuetudine degli i n contri avrà reso con i l tempo riconoscibili quelli dove si discutevano questioni giuridiche e si davano responsi . 109

I fondamenti della vita comune acquistano i n somma una nuova dimensione. I l modello fu offerto dal principe in persona con l'esempio del suo comportamento e delle sue iniziative. Com'è stato recentemente sottolineato la gamma degli interventi era ampia; non si trascurò la parte estetica e le novità passarono anche visibilmente attraverso le immagini che le rappresentavano . Una dimensione pubblica che accentuava la d i versità rispetto al lusso sfrenato di Antonio - che si era spinto fino a donare ai figli di Cleopatra territori conquistati e perciò sottratti all'esclusivo dominio del popolo romano - come agli atteggiamenti dionisiaci a cui era improntata la sua vita insieme alla regina d'Egitto; un ideale d i vita edonistico pieno di «eccessi» e d i «autoesaltazio110

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Geli. 13.13.1; Plin. ep. 1.13.2; 2.9.5 e i l commento d i A . N . Sherwin-White, The Letters, cit., ad hl P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, t r . it. T o rino 1989 (München 1987) 85 ss. Cass. D i o 50.3-5. 109

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ne» . Antonio si era fatto raffigurare nelle vesti di Dioniso; ma sarà l'immagine ieratica e arcaizzante di Augusto in toga e a capo coperto a rappresentare l'aspirazione all'ideale della virtus romana: un ideale che Antonio aveva dimenticato quando sulle monete aveva fatto riprodurre l'effigie della moglie Ottavia e poi quella dell'amante Cleopatra . La legislazione matrimoniale augustea deve averne tenuto conto. Nella vita pubblica l'azione era guidata da princìpi e criteri di comportamento che trovavano nella virtus i l fondamento e la fonte, la struttura e l'origine; con Augusto infatti i l ritorno a questo valore si complica e si arricchisce ulteriormente. 112

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3.2. Dal privato al pubblico La vita pubblica è lo specchio di quella privata; l'una rinvia all'altra in un dialogo continuo e coerente che non solo esclude la possibilità di un doppio binario di moralità - pubblico/privato ma fa della dimensione pubblica, in cui tutti agi-

Plut. mor. 56E; Eracle-Antonio Plut. Ant. et Dem. 4; Prop. 2.15.40-7; la connessione, nei circoli letterari che si ispiravano a questo modello, tra vissuto e poesia è messo in evidenza da J . Griffin, Latin Poets and Roman Life, London, 1985,32 ss. Antonio e Ottavia nel sesterzio dall'emissione navale d i Marco Antonio (36-35 a.C); Cleopatra nel denaro d i Antonio (32 a.C): P. Zanker, Augusto, cit., 67 ss. 112

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scono di concerto come uguali e condividono un destino comune, la misura di effettività di quel valore. L'insuccesso della dimensione privata non viene considerato come un impoverimento di questa sfera e tanto meno l'incremento di quella pubblica assume i toni di un esproprio. A l contrario, alla realtà pubblica torna ciò che è sempre stato suo ma che per un tempo limitato non le era più appartenuto. Questa possibilità interpretativa è suggerita dal testo di un'iscrizione in cui si descrive l'attività svolta dai curatores locorum publicorum iudicandorum, una commissione di senatori istituita proprio da Augusto per definire i luoghi pubblici. Si trattava evidentemente di una commissione giudiziaria che decideva sulle controversie riguardanti lo stato dei luoghi secondo quanto aveva disposto un senatoconsulto: curatores locorum publicorum iudicandorum ex senatus consulto causa cognita ex privato in publicum restituerunt. La cognizione della causa, cui si riferiva l'iscrizione, si risolse i n questo, come nei casi analoghi, con l'ordine d i restituire all'uso pubblico quel luogo su cui non erano possibili atti di disposizione privata. Quel luogo torna dunque alla sua destinazione originaria, con un atto che si connota appunto come restituere tornare nel patrimonio pubblico dove avrebbe dovuto sempre essere . y

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Sono attestati tre collegi d i questo genere, composti d i

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Una risposta concreta agli eccessi nella disposizione privata delle ricchezze, connessa al recupero dei luoghi pubblici, fu la cura destinata agli edifici pubblici: Vitruvio dedicò ad Augusto la sua opera in quanto le egregiae auctoritates publicorum aedificiorum contribuivano alla costruzione della maestà del popolo romano . U n profilo che quasi certamente Cesare non aveva trascurato, ma i l vocabolario d i Vitruvio si connette a una nuova coscienza e ne descrive i presupposti segnando forse anche i l superamento della publica magnificentia ciceroniana . Quel 115

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cinque senatori ciascuno: C I L 6.1266 = ILS 5939; 1267 a.b. 31573 = ILS 5940; 31574 = ILS 5941. L'ordine dei nomi lascia supporre che nella fase costitutiva i l collegio era composto da un consolare mentre gli altri senatori erano d i rango i n feriore: W . Eck, Cura viarutn und cura operum publicorum als kollegiale Ämter im frühen Prinzipat, i n K l i o 74, 1992, 239; Augusto e il suo impero, tr. it. Milano, 2000 (München, 1998) 79. Nel 20 d.C. la loro attività è documentata dal senatoconsulto de Cn. Visone patre (11.102 ss), W . Eck, A . Caballos, F. Fernandez, Das Senatusconsultum de Cn. Visone patre, München, 1996, 210. Per i l ruolo del senato nell'amministrazione pubblica si può utilmente consultare RJ.A. Talbert, The Senate of Imperiai Rome, Princeton, 1984,372 ss. De architect, pr. 2: Cum vero attenderem te non solum de vita communi omnium curam publiquaeque rei constitutione habere sed etiam de opportunitate publicorum aedificiorum, ut civitas per te non solum provinciis esset aucta, verum etiam ut maiestas imperii publicorum aedificiorum egregias haberet auctoritates, non putavi praetermittendum, quin primo quoque tempore de his rebus ea tibi ederem, ideo quod primum parenti tuo [de eo] fueram notus et eius virtutis studiosus. Pro Mur. 76: Odit populus Romanus privatam luxuriam, 113

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che conta insomma non è la sontuosità - i l piano non è quello della competizione tra lussi qualunque fosse la loro provenienza - ma la suggestione di una solennità senza tempo. I l caso della porticus Liviae è esemplare per la valutazione della nuova prospettiva e delle sue finalità.

3.3. I l fedecommesso di Vedio Pollione Vedio Pollione, un cavaliere di oscuri natali, morì nel 15 e lasciò ad Augusto una larga parte del suo patrimonio; un fatto non infrequente per le persone a l u i più vicine, ma in questo caso evidentemente non molto gradito al principe. I l cavaliere infatti era una figura piuttosto impopolare, la sua crudeltà nei confronti degli schiavi si era spinta sino a gettarli in pasto alle murene. Cassio Dione riferisce che Vedio non si limitò al cospicuo lascito, ma chiese ad Augusto di costruire alcune opere pubbliche di grande bellezza. Una situazione analoga, insomma, a quella più nota d i Lucio Lentulo che, come si è visto, chiese ad Augusto ut faceret aliquid\ purtroppo i l passo delle Istituzioni non raccontava ciò che i n effetti i l principe fece per eseguire i l fedecommesso. Troviamo invece nel caso, che m i sembra

publicam magnifìcentiam diligit; non amat profusas epulas, sordis et inhumanitatem multo minus; distinguit rationem officiorum ac temporum, vicissitudinem laboris ac voluptatis.

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del tutto analogo, di Vedio Pollione la descrizione dettagliata dei termini in cui Augusto dette esecuzione alla richiesta avanzata. Cassio Dione infatti racconta che Augusto fece abbattere la casa di Vedio sul clivio suburano e al suo posto fece erigere un portico i n nome di sua moglie L i via. U portico fu dedicato da Tiberio e da sua madre Livia nel gennaio del 7 i n occasione del suo trionfo . L'interesse d i questa notizia è nell'esemplarità dell'iniziativa nel programma augusteo d i restituzione - dal privato al pubblico - d i beni che si prestavano a questa operazione. L ' i m menso palazzo di Vedio «sembrava la fabbrica d i una città e occupava uno spazio maggiore d i quello occupato dalle mura d i molti borghi» . L'ostentazione d i ricchezza privata, che l'edifìcio evidenziava, viene cancellata e sostituita da una situazione di segno opposto: l'immagine d i un porticato la cui fruibilità era liberamente offerta al pubblico .1 casi di apertura al pubblico d i situazioni precedentemente precluse a una fruizione larga furono molteplici, e basterebbe ricorda117

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Cass. D i o 54.23. Tac. ann. 1.10.5; 12.60.4; Sen. de ira 3.40.2; de clem.l.18.2 e & Syme, Who was Vedio Rollio? (1961) poi i n Roman Papers, 2, O x f o r d , 1979, 518 ss. Sulla consuetudine d i lasciti testamentari i n favore d i Augusto Cass. D i o 53.20.4. Per la porticus Liviae si può utilmente consultare E . M . Steinby (a cura di), Lexicon topographicum urbis Romae, 4, Roma, 1999,127 ss. Ov. fast. 6.642. Suet. 29.6. 117

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re che vengono definite exilia le reclusioni subite in passato dalle opere d'arte nelle ville dei ricchi . Nel porre i nuovi fondamenti della vita comune, Agrippa ebbe sicuramente un ruolo di primo piano. La dimensione pubblica sembra essere i n fatti propria alla sua modalità di rappresentare l'impegno nella riorganizzazione del governo cittadino; una modalità che escludeva ogni forma d i autoesaltazione o di privata esibizione di superiorità , ma traeva piuttosto da questa condizione l'attitudine a farne uno strumento di accrescimento per tutti. Tra le innumerevoli iniziative del riorganizzatore dell'intero approvigionamento idrico, iniziative che miravano a rendere i l popolo se non protagonista almeno partecipe di una mentalità diversa, bisogna ricordare qui le prime terme pubbliche d i Roma. Un'area, nella zona 120

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Plin. nat. bist. 35.2:... post eum M . Agrippa vir rusticitat i proprior quam delictis, exstat certe eius oratio magnifica et maximo civium digna de tabulis omnibus signisque publicandis, quod fieri satius fuisset quam i n villarum exilia pelli. U n altro fatto che ebbe molta risonanza f u quello delle preziose colonne greche che dal palazzo d i Marco Emilio Scauro furono trasferite nel teatro d i Marcello perché i l pubblico potesse goderne, Ascon. in Cic. Scaur. 25; Plin. nat. hist. 17.5; 36.6. Va ricordato a questo proposito che nel 19 a.C con L . Cornelio Balbo si concluse la lista dei trionfatori {fasti triumphales), quasi che anche sul trionfo dei proconsoli potesse ricadere i l sospetto d i hybris. Solo nel 7 a.C, e i n contesto del tutto diverso, fu concesso a Tiberio d i celebrare un trionfo sulla Germania. 120

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occidentale del Campo Marzio, dove bagni caldi, giardini, un laghetto artificiale adibito a piscina, impianti sportivi intervallati da opere d'arte greca, si offrivano alla pubblica disponibilità . Forse nessuno come Agrippa avrà contribuito alla capacità, che questa età esprimeva, di produrre sistemi etici: uomo dai gusti rustici piuttosto che raffinati, in una orazione - magnifica et maximo civium digna - aveva enunciato, diremmo oggi, i l manifesto del programma d i governo de tabulis omnibus signisque publicandis . I l piano urbanistico d i Agrippa, ma evidentemente non solo quello, si connotava per l'accentuazione della d i mensione pubblica - rendere d i dominio pubblico i quadri e le statue - un'idea capace d i creare una mentalità, e quindi un atteggiamento che genera comportamenti. Ogni iniziativa da quella privata di Vedio Pollione, a quella del più alto collaboratore del principe trova in questo criterio la sua forma e il suo fondamento . 122

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Plin. nat. hist. 3.17; 31.41; 34.62; 36.121; Front, aquaed. 9; Sen. ben. 3.32.4: utrum maius benefìcium dédit M . Agrippae pater ne post Agrippam quidam notus, an patri dedit Agrippa navali corona insignis, unicum adeptus inter dona militaria decus, qui tot i n urbe maxima opera excitavit, quae et priorem magnifìcentiam vincerent et nulla postea vincerentur?; J . - M . Roddaz, Marcus Agrippa, Rome-Paris, 1984, 231 ss.; A. Fraschetti, Roma e il principe, Roma-Bari, 1990, 280 ss.; J. D'Arms, Between Public and Private: the Epulum Publicum and Caesars Horti trans Tiberim, i n M . Cima, E. La Rocca (a cura di), Horti Romani, Roma, 1998,33 ss. Plin. nat. hist. 35.26; cfr. Cic. Tusc. disp. 5.102. La solerzia del principe nei confronti del popolo e dei 122

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3.4. Sapere pubblico e memoria I n una condizione del tutto eccezionale Augusto abitava, come, diceva Cassio Dione, «allo stesso tempo in privato e in pubblico». U n fatto definito nel 3 d.C. ma che si era realizzato gradualmente: già nel 36 - tornato a Roma dopo la sconfitta d i Sesto Pompeo e in seguito alla caduta di Lepido - al conferimento della sacrosantità e al parallelo diritto d i sedere sul banco dei tribuni, si affiancò il privilegio della casa ek tou demosiou; l'allora Cesare figlio, i n conseguenza d i questa decisione «rese pubblico i l luogo che aveva acquistato sul Palatino per costruirvi, e lo consacrò ad Apollo dopo che un fulmine si era abbattuto su d i esso». I n occasione del pontificato massimo nel 12 si realizzò un'ulteriore tappa d i questo complicato processo, giacché Augusto «non prese una qualsiasi casa pubblica ma rese pubblica una parte della propria». Dopo averla ricostruita in seguito a un incendio, nel 3 il principe infine «rese pubblica tutta la sua casa», ten oikian ...edemosiosepasan™. Questo statuto delsuoi bisogni non è documentata solo da res gestae 15; va menzionata, tra l'altro, anche l'estensione dei giochi pubblici. Si trattava però d i un'attenzione critica che non indulgeva publias voluptatibus (Plin. nat. hist. 36.6) se con u n editto (Suet. Aug. 42.1-2) biasimava l'ulteriore richiesta d i un congiario o l tre quello promesso. Cass. D i o 49.15.5-6: 54.27.3; 55.12.5; Suet. Aug. 51 A. Tutta la problematica è stata ridiscussa da A . Fraschetti, Roma e il principe, cit., 338 ss. Sui precedenti, anche cesaria125

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la casa di Augusto ci appare ancora più significativo, quando apprendiamo che i l principe fece costruire una biblioteca in quella parte della sua casa sul Palatino che nel 36 aveva consacrato ad Apollo e reso pubblica . La biblioteca, nel portico del tempio, era composta di due locali destinati a raccogliere i libri greci e latini. I n un luogo altamente simbolico, dove si connettevano sfera privata e sfera pubblica, questa soluzione assumeva un valore strategico, non solo per la destinazione pubblica che la caratterizzava, ma soprattutto per la sua funzione politica. Q u i non si trattava di mettere a disposizione d i tutti un patrimonio privato come era accaduto ad Asinio pollione che aveva deciso d i publicare quella che fece allestire dopo i l 39 nel!'atrium Libertatis. U n evento importante ma, come è stato acutamente osservato, solo un punto di saldatura tra le b i blioteche domestiche la cui fruizione era vincolata al volere del proprietario e la biblioteca pubblica . Nel progetto augusteo c'è altro; c'è l'obbiettivo di raccogliere l'insieme dei testi che dovevano costituire la cultura di riferimento del popolo romano e garantirne la trasmissione: «sono 126

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ni, che si situano però in una considerazione non programmatica della dimensione pubblica, A . Wallace-Hadrill, The Social Structure of the Roman House, i n PBSR 56,1988,58 ss. ' Suet. Aug. 29.4; Cass. D i o 49.15.5-6. V . M . Strocka, Römische Bibliotheken, i n Gymnasium 88,1981,307-9. O. Pecere, I meccanismi della tradizione testuale, i n Lo spazio letterario di Roma antica, 3, cit., 319. 26

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a disposizione di chi voglia leggerle le opere concepite dalle dotte menti di antichi e di moderni» nel ricordo di O v i d i o . La supposizione che questa biblioteca contenesse anche testi giuridici trova conferma i n una fonte più tarda: bibliothecam iuris civilis et Uberalium artium in tempio Apollinis dedicava Augustus \ Nel farsi fonte e forma del diritto, la biblioteca non avrà dunque funzionato come deposito, ma avrà operato piuttosto nel senso della cultura che voleva formare e della tradizione che voleva conservare e tramandare. I libri sulla storia delle guerre civili d i Tito Labieno furono bruciati . Non so se fra i giuristi ci fu un Rabienus, e certamente Topera giurisprudenziale non doveva apparire così politicamente connotata. I l ius publice respondendi avrà operato però secondo gli indirizzi che i l centro 128

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T w / . 3.1.63-4. Schot, luv. 1.128. Più tardi nella biblioteca Ulpia, Gellio, 11.17.1-2, troverà una raccolta d i editti d i antichi pretori. Non sappiamo se risalisse ad età augustea l'abitudine d i trascrivere su libri elefantini, d i avorio, i senatoconsulti riguardanti gli imperatori. Vopisco Tac. 8.1, dichiara d i aver trovato nella biblioteca Ulpia, nel sesto scaffale, un libro d'avorio d i questo genere, e che tale consuetudine per lungo tempo {diu) era stata osservata. Nel 12 d.C detto Rabienus per l'aggressività e i l risentimento d i cui era intrisa la sua opera d i ispirazione pompeiana; un primo esempio d i supplicium de studiis per l'opposizione intellettuale esercitata, Sen. contr. 10 pr. 4-8 e S. Mazzarino, L'impero romano, 1, Roma-Bari, 1973,100: I l pensiero storico classico, cit., 2.2, 64 dove si commentano anche i casi successivi d i Cremuzio Cordo, d i Trasea Peto. 128

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delle scelte culturali, la biblioteca, indicava. A n che i l responso si fa pubblico, deve insomma r i spondere non solo e non tanto a una logica di coerenza interna, spesso solo personale o scolastica, ma operare su un piano più largo, rispondere e quindi dialogare con la dimensione esterna del suo enunciato. Misurarsi i n una produzione di senso che non si limita alla relazione richiedente/respondente, ma d i questa relazione accentua l'aspetto rituale, direi quasi liturgico. Lo statuto privato/pubblico definisce ora la condizione del giurista modellata sull'immagine che il principe diffondeva d i sé anche attraverso l'esempio della sua casa.

3.5. Leges e iura Leges et iura restituii è la scritta che si legge su una moneta, un aureo d i recente acquisizione, emesso nel 28 a.C. i n occasione del sesto consolato dell'allora Cesare figlio, l'imperatore, d i l i a poco Augusto . Sul verso della moneta, che r i 131

Anche l'esame spettroscopico ha confermato l'autenticità dell'aureo discussa da R. M a r t i n i , Note in calce a una falsa emissione di Octavianus recentemente apparsa sul mercato antiquario, i n Annot. Numismat. 5, 1992, 94-5; Nuova nota a conferma della falsità dell'«aureo» di Octavianus, ivi 2 1 , 1996, 465-7. M a vedi ora J.W. Rich, J . H . C . Williams, Leges et Iura p.R. restituii: a New Aureus of Octavian and the Settlement of 28-7 b.C, i n N C , 159,1999,169 ss. 131

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porta sul recto la testa dell'imperatore circondata dalla corona d'alloro, Augusto è rappresentato in toga sulla sella curule con in mano un rotolo e ai piedi la scatola che doveva contenere altri scritti. Come è stato giustamente osservato, le prerogative dei magistrati rappresentano l'imperatore e quindi i l suo progetto di restaurazione repubblicana che, come è noto , venne enunciato proprio nel 28-7. I l rotolo rappresenta verosimilmente le leges e gli iura che l'imperatore restituisce simbolicamente al popolo romano; in questo caso l'abbreviazione PR della scritta LEGES ET IURA PR R E S T I T U I I va sciolta al dativo p (opulo) r(omano) come anche i commentatori suggeriscono, piuttosto che al genitivo. La moneta potrebbe riprodurre un decreto onorifico del senato, un riconoscimento d i cui in ogni caso vanno definiti i termini. Non è tanto l'idea e l'atto del restituire a suscitare difficoltà interpretative; abbiamo detto infatti, che le iniziative augustee svi132

Sulle tappe e le modalità nell'attuazione d i questo progetto discutono gli studiosi numerosissimi che si sono impegnati nell'interpretazione d i res gestae 34.1. U n buon punto di arrivo si trova ora nella documentata e ragionata analisi svolta da Rich e Williams nel contributo citato alla nota precedente: l'aureo dell'imperatore Cesare figlio (in verità i m propriamente detto d i Ottaviano) e res gestae 34.1 concordano nel documentare un processo d i 'restaurazione repubblicana'o se si vuole d i ripristino della legalità che si sarebbe svolto per tappe, tra i l 28-7 appunto, piuttosto che in un unico anno i l 27 come si potrebbe dedurre dal racconto d i Cass. D i o 53.2.5. 132

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lupparono questa pratica nel disegno di far tornare i l popolo destinatario effettivo delle politiche di governo. I commentatori avvertono la difficoltà di rendere leges et iura e, dopo aver dato conto delle molteplici ricorrenze non solo letterarie di ciascun termine separatamente, oltre che dell'espressione nel suo insieme, concludono che «laws» e «rights» sono l'oggetto della restituzione, nel senso di ciò che tiene insieme i cittadini in una comunità , non solo le vecchie leggi ma anche altre nuove. Nella sua genericità, questa formulazione è condivisibile, ma è forse necessario tentare d i darle un contenuto più concreto. Con leges possiamo intendere con una certa approssimazione le leggi pubbliche del popolo romano; sappiamo infatti che un incremento si sarebbe poi verificato con le leggi matrimoniali e giudiziarie, anche se non credo che l'espressione rinviasse a concrete disposizioni legislative, quanto piuttosto alla riappropriazione simbolica da parte del popolo della possibilità di fare leggi. I n questa scena iura sono i diritti degli organi di governo tradizionali di esercitare Uberamente le proprie prerogative: i comizi, i magistrati, i l senato vengono reintegrati nell'esercizio del ius comi133

I n particolare de off. 1.53. Rinvio senz'altro agli altri testi citati dagli autori nella convinzione che questa ricerca richiede uno studio apposito e naturalmente la valutazione della 'antitesi' lex ius nel linguaggio giuridico. 135

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Horum™ del ius honorarium™ del ius sanatorium che da sempre hanno contraddistinto i l rispettivo modo d'essere nella comunità. Attengono ai civiltà iura, ai quali si dedica Augusto nel racconto di Ovidio, quando, data la pace, può anche farsi portatore d i leggi . Si tratta di una formulazione diversa del principio espresso nel notissimo passaggio delle res gestae «per consensus universorum [potitus reni] m omnium rem publicam ex mea potestate in senat[us populique Rom] ani [a]rbitrium transtuli». Qui è la repubblica, nella connotazione politico-istituzionale, che viene trasferita nell'arbitrio del senato e del popolo. U n principio quindi che poteva essere formulato con una varietà di espressioni, secondo l'angolazione da cui si osservava la realtà d i governo. Velleio Patercolo dirà «prisca ilia et antiqua reipublicae forma revocata» . La conside136

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1)4

Suet. Aug. 40.4 comitiorum quoque pristinum ius redu-

xit. Cic. top. 5.28; Pap. 2 de/., Dig. 1.1.7pr.-l. Questa espressione si trova nella lettera di Plinio a T i zio Aristone, ep. 8.14, da me esaminata i n Senato e società politica, cit., 5 ss. Meth. 15.832-4: Pace data terris animum ad civilia vertet iura suum, legesque feret iustissimus auctor. V. ancora Tac. ann. 3.28.2-3. 2.89.3-4. Cfr. F. Grelle, Antiqua forma reipublicae revocata: il principe e l'amministrazione dell'impero nell'analisi di Velleio Patercolo, i n F. Milazzo (a cura di) Res publica e princeps. Vicende politiche, mutamenti istituzionali e ordinamento giuridico da Cesare ad Adriano, A t t i Copanello 1994, Napoli, 1996,323 ss. 1,5

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razione dello storico si fa, se possibile, più definita e nello stesso tempo simbolica; è la forma reipublicae antica e originaria ad essere questa volta richiamata. Transferre, revocare dunque e possiamo aggiungere, secondo una fonte più tarda, anche reddere rempublicam . Nell'ossessiva ripetizione interpretativa possiamo rintracciare i segni di un riferimento topico: è Augusto stesso a offrirci questa traccia. I n una lettera a Tiberio, intorno al 6-9, dice di l u i «un solo uomo vigilando ci ha restituito la repubblica»; anche a Tiberio dunque viene fatto questo riconoscimento, e la ricerca si chiude quando scopriamo che l'espressione augustea è la parafrasi del noto tributo d i Ennio a Quinto Fabio Massimo, «unus qui nobis cunctando restituis rem» °. La connotazione topica della restituzione del 28-27 ne indica i l valore; indipendentemente dai contenuti e dalla effettività si trattava d i un atto simbolico che doveva svolgere la funzione di rassicurare gli animi sul fatto che la fase dei conflitti e degli interventi straordinari 139

14

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Suet.i4«g.28.1. Enn. ann. 370 Vahlen 363; Verg. 6.846; Aug. ep. 13 De Biasi-Ferrero. J . H . W . G . Liebeschuetz, The Settlement of 27 h.C, i n C. Deroux (a cura di), Studies in Roman Literature and Roman History, 4, Bruxelles, 1986, 345 ss. L a problematica della cosiddetta restitutio reipublicae è stata ripresa da J.-L. Ferrary, À propos des pouvoirs d'Auguste, i n C C G G 12, 2001, 113 ss. dove si può ritrovare anche la bibliografìa corrente. 139

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era cessata . Ma è chiaro che la respublica ristabilita dopo questi eventi, non era più quella di prima, anche se la sua solidità aveva come condizione fondamentale i l vincolo con la tradizione . A l di là delle rassicurazioni rituali, ogni volta che agli sconvolgimenti politici era seguita la pacificazione, la governabilità, diremmo oggi, si sarà assestata secondo equilibri nuovi che avranno portato modifiche negli schemi noti. Auctor designa ora in tali contesti colui a cui va riferito questo processo: iustissimus auctor è Augusto per Ovidio, optimi status auctor nella definizione sve142

143

Anche Antonio aveva promesso d i restituire i suoi poteri al popolo e al senato, secondo Cass. D i o 49.41.6; 50.7.1. nella valutazione del grande giurista Aulo Cascellio i benefìci concessi dai tribuni dovevano considerarsi extra omnem ordinem legum, Val. Max. 6.2.12. I n generale su App. bell. civ. 4.2 e Cass. Dio 46.55.3-4 J. Bleicken, Zwischen Republik und Prinzipat. Zum Charakter des zweiten Triumvirats, Göttingen, 1990,12,38 ss. È utile, e non solo per la bibliografìa citata, la lettura d i C. Deroux, Res publica restituta. A Roman Myth, i n Studies in Latin Literature and Roman History, cit., 302 ss., che cerca d i trovare un punto d i sintesi tra 'politica reale* d i Augusto e i l mito della repubblica attraverso le rispettive rappresentazioni, anche se giunge a conclusioni diffìcilmente condivisibili (il principato d i Augusto avrebbe identificato gli interessi dello 'Stato* con quelli d i un individuo). Si può confrontare questa posizione con quella di J.S. Richardson, Imperium Romanum: Empire and the Language of Power, in JRS 81,1991,1 ss. I I quadro d i ispirazione enniana nella considerazione che i romani avevano della propria storia, torna nelle pagine d i A . La Penna, Prima lezione di letteratura latina, Roma-Bari, 2003, specialmente 61 ss. U 2

u y

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toniana; me auctore del resto aveva detto di sé i l principe stesso I I valore di iniziativa che i l termine auctor contiene non basterebbe a connotarlo se i l successo, come si è visto, non ne facesse parte. L'iniziativa di Augusto ha avuto esito positivo, ha incontrato i l consenso; questo fatto gli consente di farsi portatore di una auctoritas assoluta, che spetta solo a lui. Egli si è posto fuori dell'esperienza repubblicana per identificarsi con l'esito di un movimento naturale e storico che lo ha reso il più autorevole. Ha attinto insomma alle fonti stesse àéK auctoritas una forma superiore d i legittimità. Sarebbe vano cercare una definizione di questo termine o un valore al d i là di quanto si è detto; definizione e valore cambiano secondo i contenuti che i diversi auctores vorranno dare di volta in volta alle proprie iniziative e ai contesti in cui si troveranno ad operare . C'è un passag144

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Res gestae 8.5. Ov. meth. 15. 832-4; Suet. Aug. 28.3; 36. La 'fenomenologia giuridica* d i riferimento non è u n i voca; quella relativa al diritto privato va analizzata separatamente da quella relativa al diritto pubblico, così come, i n particolare per quest'ultima, fasi e contesti vanno tenuti distinti (sopra, 48 ss.). N o n si discosta invece dall'impostazione tradizionale (A. Magdelain, Auctoritas principis, Paris, 1947; L . Amirante, I l concetto unitario dell'auctoritas, in StSolazzi, Napoli, 1948, 375 ss.) i l saggio di G. Agamben, Stato di eccezione. Homo sacer 2.1, Torino, 2003. Nello specifico, non ritengo, ad esempio che Y auctoritas d i Augusto possa aver dato luogo a uno stato d i eccezione, nel senso indicato dall'autore; anzi direi che tale auctoritas fu quella che pose fine alla fase d i eccezione, se così si può dire, del triumvirato. 144

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gio di Cassio Dione in cui lo storico afferma che il termine auctoritas non può essere tradotto una volta per tutte; un'affermazione che va accolta nel suo valore metodologico. Bisogna avvertire, infatti, che lo storico sta parlando della decisione senatoria che prende il nome di senatus auctoritas tutte le volte in cui per ragioni tecniche essa non può operare come senatoconsulto, ad esempio quando sia stato opposto un veto tribunizio. Riportare tale considerazione in contesti diversi da questo, significa in realtà ricadere proprio nell'errore che lo storico non vuole commettere e cioè quello d i assumere, indipendentemente dalla disparità dei campi semantici propri a ciascuna lingua, una nozione unitaria del termine: se in questo caso non può fare altro che traslitterare i l termine, altrove, sulla traccia del testo greco delle res gestae, è axioma la sua scelta etimologica, quando deve tradurre l'autorità d i Augusto. 146

Cass. D i o 55.3.4-5 che va confrontato almeno con 53.18.2 dove i l termine è reso con axioma non diversamente dal testo greco d i res gestae 34.3; M . L . Freyburger-Galland, Dion Cassius et l'etimologie: auctoritas et Augustus, i n R E G 105,1992,237 ss. 146

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AUTORI E

TESTI

I n corsivo i riferimenti alle note Appianus bella civiltà 4.2

142

Asconius in Scaurianam 25

120

Caesar Augustus Imperator epistulae De Biasi-Ferrero 13 res gestae 8.1 8.5 15 26.5 34.1 34.3

68 144 124 68 132 80,146

Caesar bellum civile 1.1.2 3.104.3

55 55

Callistratus de iure fisci et populi I,Dig.40.15.4

19

Iuventius Celsus digesta X X V , Dig.50.16.96 pr. X X X V I , Dig.31.29 pr. XXXIX,Dig.43.8.3pr.

4 48 6

140

103

Arcadius Charisius de officio praefecti praetorio Dig.1.11.1

27

Cicero de legibus 1.14 pro Murena 76 de officiis 1.53 28.1 orator 145 de oratore 1.56.239-40 topica 5.28 7.32 Tusculanae disputationes 5.102

84,96 116 133 133 101 37 135 8 123

Codex Iustinianus 1.14.12.5 1.17.2.18 4.44.1 4.56.1 5.25.2 9.41.11.1

104 3 74 58 60 102

Codex Theodosianus 3.12.1

34

Corpus inscriptionum Latinarum l , 7 9 7 = I L S 73 5,1874 = I L S 1118 6.1266 = I L S 5939 6.1267 a.b. 6,1383 = I L S 1063 631573 = I L S 5940 6,31574 = I L S 5941 8,7030 = I L S 1119 10,1254 = I L S 1179

68 58 114 114 58 114 114 58 58

2

104

10,5398 = H S 1159 12,3163 = ILS 1168

58 58

Cassius D i o historiae Komanae 43.14 46.55.3-4 49.15.5-6 49.41.6 50.3.5 50.7.1 53.2.5 53.18.2 53.20.4 53.21.4 53.32.2 54.23 54.27.3 55.3.4-5 55.12.5 55.335

68 142 125,126 142 111 142 132 146 117 60 55 117 125 146 125 60

Ennius annales 370Vahlen 363

140

Frontinus de aquaeductibus 9

122

2

Fronto epistulae ad amicos 2.11.2 van den H o u t

85

2

Gaius institutiones 1.7 1.62 1.18.20 2.51 2.278 4.35 4.139

91,98,100 29 71 102 46 38 73

105

Gellius nodes Atticae 11.17.1-2 13.10.1 13.13.1

129 83 83,109

Horatius epistulae 1.4.73 2.1.108

13 13

Iavolenus Priscus ex Cassio XI,Dig.50.16.112

6

Salvius Iulianus digesta X L I I , Dig.40.2.5 XC,Dig.l.3.11

71 1

Institutiones lustiniani 1.2.8 I . 20.3 2.23 p r . - l 2.23.1 2.25 pr. 3.3 3.7 3.25 4.3

104 60 43 58 51 50 50 50 50

Lydus