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12.794 anni fa Visitatori a Göbekli Tepe Cassandra 4 Indirizzo Facebook: https://www.facebook.com/carlos.bisceglia Indirizzo sito: http://www.ioannen.org Questa pubblicazione è la quarta della serie Cassandra © Tutti i diritti sono riservati
Prima edizione: 2 Ottobre 2020
“A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire” Principio noto come “Rasoio di Occam”
Capitoli Introduzione 1 – Il “Deep Impact” 2 - La “Catastrofe del cromosoma Y” 3 – Gli scomparsi 4 - Il “fuoco dal cielo” di Sodoma 5 - Un mistero sepolto 6 – Misteriose presenze 7 – I due monoliti 8 – Prima dei Sumeri 9 – Gli uomini da Sundaland 10 – Un mondo che tramonta 11 - Un racconto su pietra 12 – Attaccati? 13 - Il fattore tempo 14 – Siamo soli? 15 – Visitatori moderni Conclusione Riferimenti
Introduzione Verso il 10.794 a.C., circa 12.800 anni fa, alzando gli occhi al cielo, gli umani osservavano ogni notte un enorme “serpente di luce”, con una grande testa luminosa, e con una lunghissima coda che sembrava tagliare il cielo in due. Ogni notte, genti di tutta la Terra non riuscivano a distogliere lo sguardo dal “grande serpente luminoso”, ipnotizzate da questo incanto che si ripresentava di fronte a loro. I bambini sognavano di volare con lui, e le famiglie si auguravano che fosse il presagio di tempi migliori. Ma una notte fu diversa dalle altre. Quella notte, dal “bianco serpente di luce” sembravano nascere tanti altri piccoli serpentelli, in apparenza innocui, che si affrettavano a scendere velocemente verso la Terra. Nei vari villaggi tutti si interrogavano su cosa volesse dire questo fenomeno ancora più sorprendente del primo, ma nessuno aveva una risposta certa. Prima uno, poi due, poi dieci, poi cento, finché in breve tempo tutto il “serpente di luce” sembrò sciogliersi in una miriade di serpentelli che correvano verso la Terra. La gente era senza fiato nel vedere quel fenomeno che mai aveva visto prima. Ma ben presto i “serpentelli luminosi”, che avevano molta fretta di raggiungere la Terra, cambiarono il loro colore: diventarono sempre più rossastri, come tante palle di fuoco. Una notte iniziarono a sentirsi dei boati in lontananza, potenti come migliaia di tuoni messi insieme. Poi questi boati si fecero sempre più vicini e minacciosi. Diversi boschi iniziarono a prendere fuoco. Alcuni villaggi furono rasi al suolo. Mentre i “serpenti di luce”, che ormai erano diventati “serpenti di fuoco”, raggiungevano la Terra, portavano con loro il fuoco e il tuono, bruciando e distruggendo qualsiasi cosa si trovasse sul loro cammino. Chi li aveva portati fra gli umani? Quando il “grande serpente di luce” era comparso, molti saggi erano convinti di aver incontrato strani esseri “provenienti dal di fuori”. Li videro in cielo, scortare il serpente di fuoco. E poi, li videro mentre ordinavano al serpente di cambiare la sua direzione, e di rivolgersi verso la Terra insieme ai suoi figli. Questi “visitatori” si avvicinarono a tal punto agli umani, da poterli vedere come un uomo vede un altro uomo, fino al punto da ricordarsi ogni loro
dettaglio. Poi andarono via, lasciando boschi bruciati, villaggi scomparsi, e il ritorno del gelo. Questa è la storia che ci hanno lasciato i saggi di Göbekli Tepe. Ma è una storia vera, o è una leggenda? Cosa era il “serpente di luce”? Cosa rappresentavano i suoi figli? Chi erano i “visitatori venuti dal cielo”? E soprattutto cosa è Göbekli Tepe? Perché dovrebbero possedere questa storia antica di almeno 12.800 anni, probabilmente una delle storie più antiche della razza umana? Vi auguriamo di trovare le vostre risposte continuando la lettura.
1 – Il “Deep Impact” È ormai una certezza nella comunità scientifica che una o più comete di notevoli dimensioni siano entrate in rotta di collisione con la Terra verso il 10.794 a.C., circa 12.800 anni fa. In prossimità dell’atmosfera terrestre, lo sciame di comete è esploso, provocando una enorme scia di frammenti di diverse dimensioni. Questi hanno colpito il suolo terrestre in almeno 4 continenti. L’impatto ha avuto un doppio effetto. Nelle zone in cui sono precipitati i meteoriti di grosse dimensioni, si è avuto un effetto distruttivo tipico di una bomba all’idrogeno di diversi megatoni. Qualsiasi cosa fosse stata presente nelle vicinanze delle varie zone interessate da questo tipo di impatto, è stata spazzata via, polverizzata. Ci fu anche un secondo effetto collaterale. Dalle zone in cui si erano verificati gli impatti più devastanti, si sollevò una nube di polvere tale da oscurare per qualche tempo, almeno in parte, la luce solare. Di colpo divenne notte quasi ovunque. La temperatura già fredda (era in corso l’Ultima Era Glaciale) diminuì ulteriormente in maniera improvvisa anche nelle poche zone risparmiate dai ghiacci. Anche se non si conoscono tutti i dettagli, si presume che alcune specie vegetali morirono, e a loro volta morirono alcune specie di erbivori che si nutrivano di quelle piante. Probabilmente anche alcune specie di carnivori che si nutrivano di quegli erbivori seguirono il loro destino, in un inesorabile effetto a catena. La morte degli erbivori contribuì a sua volta a far diminuire la produzione del metano biologico. Il metano è un gas serra meno presente dell’anidride carbonica, ma con una capacità di far surriscaldare l’atmosfera ben 21 volte maggiore (c’è chi dice addirittura 80 volte). Una netta diminuzione del metano biologico nell’atmosfera può aver contribuito a far diminuire ulteriormente la temperatura. Si era creato un vero circolo vizioso che alimentava il freddo. Questi fenomeni, quindi hanno creato in vaste zone della Terra una piccola ma intensa era glaciale, chiamata nei nostri giorni con il nome di “Younger Dryas”.
La teoria dell’impatto delle comete era stata avanzata già alcuni decenni fa da diversi studiosi, ma i dubbi della comunità scientifica erano maggiori delle certezze. A sorpresa, però, negli ultimi tempi alcuni ricercatori hanno scoperto una serie di evidenze che dimostrano come l’impatto delle comete sulla Terra sia davvero avvenuto. La stessa rivista “Nature”, considerata “la Bibbia” della scienza, in data 6 Marzo 2020 ha pubblicato sul suo sito un articolo intitolato “ Evidence of Cosmic Impact at Abu Hureyra, Syria at the Younger Dryas Onset (~12.8 ka): High-temperature melting at >220 0 °C ”, che illustra le prove scientifiche che depongono a favore del tremendo impatto di un oggetto celeste nel territorio di Abu Hureyra, in Siria, circa 12.800 anni fa. Alla fine dell’introduzione, o “Abstract” dello studio, viene detto testualmente: “L'ampia gamma di prove supporta l'ipotesi che un evento cosmico si sia verificato ad Abu Hureyra circa 12.800 anni fa, contemporaneamente ad altri impatti che hanno depositato in quattro continenti vetro fuso ad alta temperatura, microsfere fuse e/o platino, in altri siti coinvolti con lo Younger Dryas”.
Abu Hureyra Ricostruiamo tutto dall’inizio. Abu Hureyra è uno dei siti archeologici più importanti al mondo. Situato a Nord della Siria, è il sito archeologico dove si trovano le più antiche tracce di attività agricola da parte dell’uomo. Gli archeologi vi hanno trovato i resti di diversi tipi di cereali, inclusa la segale. Il sito è datato a circa 13.000 anni fa. Dai resti ritrovati, si nota che circa 1.300 anni dopo che era stata abitata, di colpo la popolazione di Abu Hureyra è andata via, o per qualche motivo, gran parte di essa non esisteva più.
Fino a poco tempo fa non si capiva cosa potesse aver causato tutto questo. Analizzando i resti di Abu Hureyra, recentemente i ricercatori hanno trovato delle microsfere di vetro fuso presenti praticamente su ogni cosa, sia nei resti biologici, sia nei resti in muratura, sia sul terreno. Hanno anche trovato nanodiamanti e tracce di suessite, un minerale raro sulla Terra, ma comune nei meteoriti. Sono state rinvenute tracce di minerali ricchi di cromo, ferro, nichel, solfuri, titanio, ferro, platino e iridio, minerali che tipicamente compongono gli asteroidi. Per produrre le microsfere di vetro che contengano quei materiali, sono necessarie temperature superiori ai 220 0 °C. Per fare dei paragoni, possiamo ricordare che l’acciaio fonde tra 1.300 °C e 1.50 0 °C. Il titanio fonde a circa 1.700 °C. Per capire a che temperature si formano queste microsfere, James Kennett, professore emerito di geologia all’Università di Santa Barbara, in California, ha detto: “Una temperatura così elevata scioglierebbe completamente un’automobile in meno di un minuto”. Nessun tipo di reazione “naturale”, sia chimica che d’altro genere, che si potrebbe sviluppare sulla Terra in maniera spontanea, raggiungerebbe quelle temperature. Secondo gli studiosi, l’unico evento che può generare qualcosa di simile sulla Terra è un “impatto cosmico”. Un oggetto celeste deve aver colpito le vicinanze di Abu Hureyra, disintegrando qualsiasi cosa abbia trovato sul suo
cammino. Probabilmente non si è creato un cratere perché la cometa, o i suoi detriti, si sono disintegrati nell’atmosfera. Secondo gli studiosi, le tracce più evidenti del bombardamento di comete a livello globale consistono proprio nel ritrovamento di un numero enorme di queste microsfere di vetro, unite ad una quantità di platino molto oltre la norma. Questa concentrazione di platino è tipica delle comete. Negli anni passati diversi studiosi hanno asserito di aver trovato queste microsfere di vetro in alcuni siti, che sono, tra gli altri: Abu Hureyra, Arlington Cyn, Barber Creek, Big Eddy, Blackville, Blackwater, Chobot, Cuitzeo, Gainey, Kimbel Bay, Lingen, Lommel, Melrose, Murray Springs, Ommen, Sheriden Cave, Talega, Tropper. La maggioranza di questi siti si trovano concentrati negli USA. Altri si trovano in Canada, Messico, Venezuela, Germania, Siria e Turchia. È del tutto probabile che queste sfere di vetro si trovino in molte altre zone della Terra, ma nessuno le ha mai cercate. Secondo i ricercatori, la quantità di materiale fuso prodotto sotto forma di microsfere, non può essersi formato solo con l’impatto di un'unica cometa di grosse dimensioni. Per produrre tutto quel materiale, sono stati necessari migliaia di impatti in quattro continenti. In parole semplici, la Terra è stata letteralmente bombardata da uno sciame di migliaia di detriti di comete circa 12.800 anni fa. Secondo la rivista Nature, probabilmente questi impatti sono derivati da una serie di comete che hanno colpito la Terra in un breve periodo di tempo. Queste comete, che sono sostanzialmente composte di ghiaccio e di roccia, quando si avvicinano troppo al Sole, e quindi nelle vicinanze della Terra, sono portate a rompersi in migliaia di frammenti del diametro compreso tra i 10 e i 1000 metri. A causa della enorme velocità a cui viaggiano, ciascuno di questi frammenti è in grado di produrre esplosioni catastrofiche. Sono stati quindi questi frammenti di cometa a colpire la Terra, e a provocare come effetto collaterale lo Younger Dryas, una breve ma intensa era glaciale “supplementare”. La rivista dice testualmente: “Si ritiene che i più grandi ammassi di detriti cometari siano in grado di provocare migliaia di esplosioni aeree nell'arco di pochi minuti in un intero Emisfero Terrestre. Uno scontro [della Terra] con un tale ammasso di detriti largo un milione di chilometri sarebbe migliaia di
volte più probabile di una collisione con una cometa larga 100 km o di un asteroide di 10 chilometri”. Secondo la rivista Science, l’impatto ad Abu Hureyra è stato solo uno dei numerosissimi impatti verificatisi in un breve periodo di tempo, in un raggio di oltre 14.000 km negli emisferi Nord e Sud della Terra.
Tracce inconfondibili Anche l’unica vera obiezione ancora in piedi contro questa teoria sembra essere caduta. Fino a poco tempo fa, gli scettici chiedevano: “Dove sono i crateri provocati dagli impatti?”. Pochi anni fa, a partire dal 2015, sotto i ghiacciai della Groenlandia, esattamente alla profondità di 1 chilometro sotto il ghiacciaio “Hiawatha”, è stato scoperto un cratere meteorico di ben 32 chilometri di diametro, grande quanto una intera provincia. Per crearlo sarà stata necessaria una esplosione di svariati megatoni. Dai rilievi, sembra che il cratere sia stato formato da un meteorite ferroso largo circa 1 – 1,5 chilometri, e dal volume di circa 20 chilometri cubi. Trovandosi sotto i ghiacciai, non è ancora stato possibile fare delle rilevazioni dirette sulla formazione di questo cratere. Ma sono state fatte altri tipi di analisi.
Il professor Kurt H. Kjaer del Centro di GeoGenetica presso il Museo di storia naturale della Danimarca ha dichiarato che “le [condizioni del cratere] suggeriscono fortemente che si è formato dopo che il ghiaccio ha iniziato a
coprire la Groenlandia, … e forse può essersi creato anche 12.000 anni fa, verso la fine dell'ultima era glaciale”. Secondo il professor Francis Thackeray dell'Evolutionary Studies Institute dell'Università del Witwatersrand, a Johannesburg, “ci sono alcune prove a supporto dell'idea che potrebbe essere stato proprio il luogo in cui un grande meteorite ha colpito il pianeta Terra 12.800 anni fa. Se questo fosse davvero il caso, ci sarebbero state conseguenze globali”. Secondo John Paden della Kansas University, l’impatto avrebbe avuto effetti di vasta portata sul pianeta. Ci sarebbero stati detriti proiettati nell'atmosfera che avrebbero influenzato il clima, e la cometa avrebbe avuto il potenziale per sciogliere molto ghiaccio. La rivista scientifica online sciencemag.org dice: “L'impatto sarebbe stato uno spettacolo per chiunque si fosse trovato entro 500 chilometri di distanza. Una palla di fuoco bianca, quattro volte più grande del Sole, e tre volte più luminosa, avrebbe sfrecciato attraverso il cielo. Se l'oggetto avesse colpito la calotta glaciale, avrebbe scavato attraverso la roccia, vaporizzando l'acqua e la pietra allo stesso modo, in un lampo. L'esplosione che ne è scaturita ha liberato l'energia di 700 bombe nucleari da 1 megatone, e anche un osservatore a centinaia di chilometri di distanza avrebbe sperimentato un'onda d'urto, sotto forma di un tuono mostruoso con venti con la forza di un uragano. Più tardi, i detriti di roccia potrebbero essere piovuti sul Nord America e sull'Europa”. Ma sarebbe sbagliato pensare che il tutto si esaurisca con il cratere di 32 km di diametro rinvenuto in Groenlandia. Pochi anni dopo, nel 2019, un geologo della NASA, a soli 183 chilometri di distanza dal cratere sotto il ghiacciaio “Hiawatha”, ha scoperto un secondo cratere sepolto sotto i ghiacci, ampio ben 35 chilometri. Dal punto di vista del calcolo delle probabilità, la possibilità che due asteroidi indipendenti tra loro colpiscano quasi lo stesso punto a distanza di poco tempo è piuttosto scarsa. È molto più realistico pensare che i due frammenti che hanno colpito la Groenlandia a distanza di soli 183 chilometri facciano parte di uno sciame di detriti, come quello che si può creare dalla frantumazione di una cometa. Sono in molti, infatti, a pensare che i due crateri siano “figli” di uno stesso sciame di detriti cosmici, caduti in un breve intervallo di tempo. Quindi è probabile che man mano che le ricerche proseguono, si troveranno altri crateri simili nella stessa traiettoria. In questo caso la teoria degli impatti cometari che hanno innescato lo
Younger Dryas avrebbe una ulteriore conferma. Ma questi due enormi crateri non esauriscono l’argomento. Per esempio, gli alberi di una intera zona della Siberia, precisamente a Tunguska, vennero completamente rasi al suolo il 30 giugno 1908. L'onda d'urto fece quasi deragliare alcuni convogli della ferrovia transiberiana che si trovavano addirittura a 600 km dal punto dell’impatto. L’esplosione fu udita a 1.000 km di distanza. Si calcola che si sia verificata una esplosione 1.000 volte superiore alla bomba atomica sganciata su Hiroshima. A generare una così grande esplosione fu un asteroide o una piccola cometa che ha attraversato l’atmosfera terrestre in quel punto. L’aspetto più “anomalo” dell’evento di Tunguska è che sul suolo non è stato lasciato nessun tipo di cratere. Alcuni ipotizzano che l’asteroide sia esploso prima di toccare la superficie del suolo. Altri ipotizzano che l’asteroide, o la cometa, composta di ferro, abbia semplicemente attraversato la nostra atmosfera in quel punto, provocando quella esplosione immane. Lo stesso viene affermato per l’esplosione su Abu Hureyra, in Siria. Ci fu una enorme esplosione, capace di cancellare ogni cosa nella zona, ma non c’è stata la formazione di nessun grande cratere. Probabilmente anche in quel caso la cometa (o i suoi frammenti) è esplosa nell’atmosfera. Comunque sia, esiste la prova documentale che almeno due asteroidi o due comete (quella di Tunguska e quella di Abu Hureyra) hanno potuto generare una esplosione di diversi megatoni nell’atmosfera terrestre, senza lasciare sul suolo nessun cratere. È accaduto lo stesso anche per gli altri frammenti di cometa (o comete) che hanno bombardato la Terra circa 12.800 anni fa, causando lo Younger Dryas? Gli avvenimenti di Tunguska e Abu Hureyra ci dicono che, almeno in alcuni casi, questo può essere successo. Inoltre, dobbiamo riconoscere che in circa 12.800 anni la morfologia della Terra è cambiata parecchio. Alcune zone che erano verdi sono diventate deserto. Altre zone che si trovavano sull’asciutto ora sono sott´acqua. Altre zone ancora, che prima erano sotto i ghiacci, ora sono verdeggianti. Non possiamo sapere quanti eventuali crateri sono stati nascosti dai cambiamenti avvenuti sulla superficie della Terra negli ultimi 12.800 anni circa. Infatti, ci sono altri crateri sparsi per il mondo che, in linea teorica, potrebbero in qualche modo essere stati coinvolti nello Younger Dryas. I
crateri che sembrano essersi creati da impatti di asteroidi/comete in un periodo di tempo massimo risalente a 13.000 anni fa, e quindi teoricamente compatibili con gli eventi dello Younger Dryas sono: il cratere Wabar, in Arabia Saudita; il cratere Kaali e il cratere Ilumetsa, in Estonia; il cratere Campo del Cielo e il cratere Rio Cuarto, in Argentina; il cratere Henbury e il cratere Boxhole, in Australia; il cratere Morasko, in Polonia; il cratere Macha, in Russia; il cratere Tenoumer, nel deserto del Sahara. Finora nessun geologo ha messo in relazione questi crateri con lo Younger Dryas, ma è possibile che in futuro, con l’affermarsi di questa teoria, le cose possano cambiare. Anche se tutti i geologi sono concordi nel dire che si tratti di crateri creatisi meno di 20.000 anni fa (e quindi, in linea di massima, compatibili con il bombardamento di comete che ha provocato lo Younger Dryas), non si è altrettanto concordi nel dare una datazione precisa. Attualmente la loro datazione varia, a seconda del cratere, dal 1.800 a.C. al 20.000 a.C. Inoltre, sono stati ritrovati molti altri crateri in giro per il mondo, ma che non sono stati ancora analizzati a fondo, e che quindi non fanno ancora parte “ufficialmente” di questa lista. Il tempo rivelerà ogni cosa.
2 - La “Catastrofe del cromosoma Y” La conferma dello Younger Dryas, in pratica, potrebbe riscrivere completamente la nostra preistoria. Riflettiamo su quanto sia stato ampio il raggio di azione di questa pioggia di frammenti di comete. Si parla di 14.000 km su due emisferi, lo stesso raggio di azione di un moderno missile intercontinentale a testata nucleare. È ovvio che se fossero esistite delle civiltà precedenti che si fossero trovate sulla loro traiettoria, sarebbero state completamente spazzate via da una serie di migliaia di esplosioni, molte delle quali paragonabili a esplosioni di ordigni nucleari di svariati megatoni. Abu Hureyra è l’esempio plastico di cosa deve essere accaduto agli sfortunati insediamenti umani situati nella traiettoria dei frammenti di cometa. Visto che parliamo di migliaia di esplosioni, molte delle quali di livello nucleare, in un raggio di 14.000 km, è ovvio che probabilmente ci saranno state poche zone completamente esenti dagli effetti di questo impatto. Come vedremo in seguito, questa catastrofe ha lasciato dei ricordi indelebili in alcune antiche culture. Ma questi ricordi, come è naturale che sia, provengono da popoli diversi, che si trovavano in zone diverse della Terra al tempo dell’impatto. Probabilmente, popoli che si trovavano in zone geograficamente distanti tra loro, hanno subito effetti diversi. Quindi ciascun popolo ha trasmesso ricordi diversi di quell’evento, esprimendo il proprio punto di vista, e includendo dettagli propri, che possono anche differire da zona a zona.
Nel 2015, un gruppo di oltre 100 ricercatori provenienti da tutto il mondo, coordinati dalla dottoressa Monica Karmin , per conto della Genome Research, ha pubblicato uno studio da cui è tratta la tabella che vedete in questa pagina. Il soggetto riguardava, tra le altre cose, anche una misurazione della variazione della popolazione umana nel corso della storia. Da questo grafico si nota che la popolazione umana, circa 75.000 anni fa, si stava riprendendo da qualcosa che la aveva quasi “azzerata”. Infatti, guardando il grafico, sembra che prima di quella data non ci fossero esseri umani sulla Terra. Ma il grafico vuole spiegare che in quella data gli umani erano semplicemente troppo pochi per lasciare una traccia storicamente rilevante. Ma noi sappiamo che l’homo Sapiens esiste da almeno 200.000 anni. Quindi, per avere una popolazione numericamente irrilevante, vuol dire che 75.000 anni fa si era verificato il primo “Collo di bottiglia genetico”. Questo evento, nelle varie leggende, è stato tramandato come “il Diluvio Universale”, il giorno in cui il mondo morì. Invece con ogni probabilità si è
trattato di una piccola era glaciale che ha colpito improvvisamente le zone calde del pianeta in cui risiedevano i nostri antenati, particolarmente in Nord Africa, causando una strage. (Il volume precedente, dal titolo “Il cammino dei sopravvissuti – Cassandra 3”, ne parla ampiamente). Il grafico della dottoressa Monica Karmin mostra come tra i 75.000 e i 50.000 anni fa, la popolazione è leggermente cresciuta, ma qualcosa impediva un incremento demografico significativo. Poi da circa 50.000 anni fa, fino a 12.800 anni fa, c’è stata una vera “esplosione demografica”, che ha fatto aumentare considerevolmente la popolazione umana in tutta la Terra. Ma a questo punto, esattamente a partire da 12.800 anni fa, c’è stato un nuovo crollo verticale della popolazione, un nuovo “Collo di bottiglia genetico”. Questo nuovo “Collo di bottiglia genetico” ha inizio proprio in coincidenza con lo Younger Dryas, 12.800 anni fa. Studiando la diminuzione della popolazione esemplificato nel grafico proposto dalla dottoressa Monica Karmin, si può capire in quali zone lo Younger Dryas ha colpito di più. (1) La popolazione delle Ande è quasi scomparsa. (2) La popolazione della Siberia è quasi scomparsa. (3) La popolazione del Sud-Est Asiatico, inclusa l’Oceania, si è ridotta di 2/3. (4) Le popolazioni dell’Asia Centrale e dell’Asia del Sud si sono dimezzate. (5) Anche la popolazione dell’Europa, del Medio Oriente e dell’Africa è diminuita di molto. La diminuzione della popolazione raggiunse il suo culmine circa 7.000 anni fa, intorno al 5.000 a.C. In quel periodo di tempo la popolazione mondiale si è quasi dimezzata dall’inizio dello Younger Dryas. Nemmeno la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, con tutti i loro effetti collaterali, messe insieme, hanno mai nemmeno sfiorato un livello catastrofico simile. Dopo avere “toccato il fondo” circa 7.000 anni fa, la popolazione mondiale ha ripreso a crescere in maniera esponenziale, come sta accadendo tutt’ora.
Il fattore Y Un aspetto davvero unico di questo “Collo di bottiglia”, a tratti inspiegabile, è che la diminuzione della popolazione non fu uniforme per uomini e donne. Questo “sterminio” colpì quasi esclusivamente i maschi della specie. Si arrivo al punto di avere 17 femmine per ogni maschio. Cosa può aver causato
una morte “selettiva” nella razza umana? La dottoressa Monica Karmin ha proposto la possibilità che si sia trattato di un periodo di guerre diffuse. Di solito, specialmente in passato, sono gli uomini a combattere le guerre, mentre le donne e i bambini rimanevano al sicuro nelle città o nei villaggi. Quindi, secondo Monica Karmin, un periodo di guerre prolungate porterebbero come effetto collaterale una forte diminuzione della popolazione maschile. Questa conclusione ha un suo senso. Ma può bastare a spiegare il dimezzamento della popolazione mondiale, e il quasi sterminio del genere maschile? Tutti i ricercatori sono unanimemente concordi nell’accettare i risultati di questo studio, ritenuto da tutti “eccellente”. Ma non tutti sono d’accordo con il motivo che ha causato questa diminuzione della popolazione. Secondo la spiegazione della dottoressa Karmin ci sarebbe stata una sorta di Guerra Mondiale a puntate, fatta da una miriade di guerre intestine. Ma, a quanto ne sappiamo, le popolazioni di 12.800 anni fa non sembravano essere abbastanza sviluppate per poter muoversi guerra l’una contro l’altra su vasta scala, come accadde per esempio nel secolo scorso con le due guerre mondiali. Per questi ed altri motivi, questa spiegazione lascia perplessi in molti. Il punto di vista dei “perplessi” è il seguente: le guerre intestine ci sono sempre state, e non hanno prodotto risultati simili in altri periodi della storia umana, nemmeno durante il secolo delle guerre mondiali. Per quale motivo le guerre avrebbero avuto risultati così catastrofici 12.800 anni fa?
Una spiegazione climatica Secondo altri, visto che la diminuzione della popolazione coincide con l’inizio della breve era glaciale chiamata Younger Dryas, la spiegazione va trovata lì. Inoltre, non va dimenticato che questo periodo ha abbracciato circa 5.000 anni, durante il quale la popolazione mondiale è continuata a calare. È possibile che, oltre alle guerre, anche qualcos’altro abbia impedito ai maschi della specie umana di restare in vita? Secondo alcuni, sembra che il problema non fosse tanto che i maschi morivano, ma che non ne nascevano a sufficienza. Il clima può influenzare la natalità di una popolazione? Secondo alcuni ricercatori, in un articolo apparso su PNAS del 12 Febbraio del 2008, un prolungato periodo di temperature particolarmente basse può far diminuire la
popolazione di maschietti nascituri in maniera molto sensibile. È quindi probabile che, almeno nel periodo iniziale, dal 10.900 a.C. al 9.700 a.C., la forte diminuzione della popolazione maschile sia stata dovuta al freddo intenso causato dallo Younger Dryas. Questo pero non spiega come mai la popolazione maschile sia continuata a diminuire anche dopo, quando la temperatura globale è diventata come quella attuale. Evidentemente c’è una “causa esterna” ancora non nota.
Una causa occulta È evidente che i tentativi per trovare una risposta alla “Catastrofe del cromosoma Y”, anche se sono riusciti a dare alcune motivazioni, non riescono a spiegare il fenomeno nella sua totalità. È ovvio che la morte dei maschi della specie non avrà lasciato indifferenti i popoli del passato. Loro cosa ne pensavano di quello che accadeva? Esiste una tradizione, o una leggenda, in cui si parla della morte dei maschi della specie umana? In effetti una famosissima storia ci parla di qualcosa del genere: la storia di Moshe. Nel libro di Esodo, al capitolo 1, dai versetti 8 a 19, viene detto: “Con il tempo in Egitto ci fu un nuovo faraone, che non aveva conosciuto Giuseppe. Disse al suo popolo: ´Il popolo d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Dobbiamo essere più furbi di loro. Altrimenti continueranno a moltiplicarsi e, se dovesse scoppiare una guerra, sarebbero dalla parte dei nostri nemici per combattere contro di noi, e lascerebbero il paese´. […] In seguito, il faraone parlò alle levatrici ebree, che si chiamavano Sifra e Pua, e disse loro: ´Quando aiutate le donne ebree a partorire, e le vedete pronte per il parto, se nasce un maschio dovete metterlo a morte; se è una femmina, invece, lasciatela vivere´. – Fine citazione Come abbiamo spiegato nel volume: “Alla ricerca del libro di Yahweh – Cassandra 2”, non c’è stato nessun tentativo di genocidio dei bambini ebrei da parte di nessun faraone. Anzi, gli ebrei non solo non erano stati prigionieri in Egitto, ma non avevano mai nemmeno risieduto in quel paese. Da dove presero gli scribi del passato questa storia del tentativo di genocidio dei soli figli maschi? Questo racconto romanzato ci illustra come in passato la morte dei soli figli maschi era stata percepita dalla popolazione in generale.
Secondo i creatori di questa storia, i figli maschi morivano di morte violenta, come durante una “pulizia etnica”. È possibile che in passato un “elemento esterno” di tipo intelligente abbia contribuito o causato una forte diminuzione della popolazione umana, colpendo particolarmente il genere maschile?
Una evidenza nel nostro DNA I dati proposti dal gruppo di lavoro della dottoressa Monica Karmin evidenziano un punto che difficilmente potrà essere smentito. Sia che troviamo i loro resti o che non riusciremo mai a trovarli, nel nostro DNA c’è scritto qualcosa di molto chiaro. È altamente probabile che intere civiltà che esistevano durante l’Ultima Era Glaciale siano state spazzate via dallo Younger Dryas e dagli avvenimenti legati ad esso. Le Ande, la Siberia, l’Oceania, alcune zone dell’Asia e del Medio Oriente, sono i punti in cui la diminuzione della popolazione mondiale è stata più consistente. È possibile che queste siano le zone dove il bombardamento delle comete è stato più forte? Possiamo dire che, come minimo, sono quelle maggiormente indiziate. Ma, ovviamente, servono altri riscontri. Come vedremo in seguito, alcuni popoli hanno “registrato” nella pietra i loro ricordi degli eventi che hanno portato allo Younger Dryas. I loro disegni, che siano veri o che siano frutto della loro fantasia, sono inequivocabili. Secondo loro, la morte veniva dal cielo, e non era solo dovuta alle meteore. Ma ne parleremo approfonditamente più avanti.
3 – Gli scomparsi Secondo la ricostruzione fatta dagli antropologi, la nostra specie, l’homo Sapiens, è comparsa all’improvviso in Africa, probabilmente in Etiopia, circa 200.000 anni fa. Benché siano stati rinvenuti i resti di ominidi simili all’homo Sapiens, che vissero in periodi molto antecedenti, la comparsa della nostra specie sembra essere un evento improvviso, e al momento non completamente spiegabile. Proveniamo tutti da quella che è stata chiamata una “Eva mitocondriale”. Si tratta di un singolo esemplare femmina di homo Sapiens, che di fra tutti gli esemplari in vita nel suo tempo, è stato quello che ha trasmesso a tutto il resto del genere umano il suo patrimonio genetico “diverso”, che nel corso del tempo ha fatto di noi ciò che siamo. Secondo alcuni ricercatori, in un periodo successivo a 150.000 anni fa, c’è stata una sorta di mutazione genetica nella nostra specie, e nel nostro cervello sono apparse le zone preposte al linguaggio. L’uomo ha quindi iniziato ad avere una lingua parlata. La lingua scritta, invece, in base alle attuali teorie sembra comparire soltanto 5.500 anni fa, e quindi circa 195.000 anni dopo la comparsa dell’homo Sapiens. Questo è un elemento che lascia estremamente perplessi gli antropologi: come mai ci abbiamo messo così tanto per imparare a scrivere? Una parziale risposta a questo enigma, finora insolubile, può venire dalla scoperta che nel corso del tempo, diverse volte come specie abbiamo rischiato di estinguerci. Cosa vogliamo dire? Se oggi le nostre città venissero bombardate a tappeto con armi nucleari, i sopravvissuti perderebbero velocemente gran parte della conoscenza acquisita. Nessuno di noi, da solo, sarebbe in grado di costruire cose che riteniamo relativamente semplici, come una lampadina, un frigorifero, o un ferro da stiro. I pochi sopravvissuti non sarebbero in grado di effettuare la manutenzione di quel poco di tecnologia che sarebbe sopravvissuta. Nel giro di poche generazioni perderemmo totalmente sia la conoscenza per
costruire quegli oggetti, sia la conoscenza sul loro scopo e sul loro utilizzo. La scarsità di umani con cui comunicare, ci farebbe perdere ben presto buona parte della nostra capacità di comunicazione orale. E se i genitori di una sola generazione si dimenticassero di insegnare ai figli a leggere e scrivere, nel giro di una sola generazione anche la nostra capacità di usare una lingua scritta si perderebbe. Nel giro di alcuni decenni subiremmo una involuzione rapidissima, fino a raggiungere alcuni stili di vita tipici della preistoria. Infatti, il celebre scienziato Albert Einstein usava dire: “Non conosco il modo in cui verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma conosco il modo in cui verrà combattuta la quarta: con le clave e con le pietre”. Con questa frase il celebre scienziato sottolineava che un bombardamento nucleare a tappeto su tutta la Terra non si sarebbe limitato a distruggere vite umane, ma avrebbe cancellato per sempre la nostra cultura e la nostra civiltà. Questo stesso scenario si è sicuramente verificato ogni volta che nella specie umana c’è stato un “Collo di bottiglia genetico”. Nel volume precedente (intitolato “Il cammino dei sopravvissuti – Cassandra 3”) abbiamo scritto: “Cosa si intende per ´Collo di bottiglia genetico´? Con questo termine si intende una drastica riduzione del numero degli individui facenti parte di una stessa specie, fino al punto che ne sopravvive solo una piccola rimanenza. Questo crollo della popolazione è riscontrabile, con le moderne tecniche dell’ingegneria genetica, dall’esame del nostro DNA. Si può scoprire questa anomalia perché, in condizioni normali, il DNA umano si ´rimescola continuamente´, visto che si uniscono uomini e donne appartenenti a diversi gruppi genetici. Quando, invece, questa variazione diminuisce drasticamente, o addirittura diventa pari a zero, è evidente che non c’erano altri umani con cui mescolarsi. La spiegazione più semplice per questo fenomeno è ipotizzare che, in quel determinato periodo di tempo, molto probabilmente una buona fetta della popolazione aveva cessato di esistere. Ecco perché un ´collo di bottiglia genetico´ può indicare una drammatica riduzione della popolazione in una data area geografica. I ´colli di bottiglia genetici´ a livello locale non sono una rarità nella storia umana. Un ´collo di bottiglia genetico´ si è verificato quando per la prima volta gli umani lasciarono l'Africa. Un altro si è verificato quando questo gruppo si è separato in Medio Oriente, mentre
alcuni si dirigevano in Europa e altri in Asia. Un altro ´collo di bottiglia genetico´ si è verificato quando gli homo Sapiens si diressero in Australia. L’ultimo “collo di bottiglia genetico” di cui si ha notizia sembra essersi verificato a partire da 11.800 anni fa, con il suo culmine circa 7.000 anni fa”. Indipendentemente da quale grado di conoscenza abbiano potuto raggiungere i nostri antenati, ogni “collo di bottiglia genetico” tendeva a “riazzerare” la conoscenza acquisita. Tanto più era forte questo “collo di bottiglia genetico” (ossia tanta più gente moriva), tanto più crollava la conoscenza che la generazione interessata trasmetteva alla successiva. Due “colli di bottiglia genetici” non sono stati locali, ma globali, nel senso che hanno interessato la specie umana nel suo insieme. Questi si verificarono circa 75.000 e 12.800 anni fa. Ne deduciamo che due dei maggiori “crolli culturali” si sono quindi verificati circa 75.000 anni fa e, di nuovo, circa 12.800 anni fa. Gli avvenimenti che portarono allo Younger Dryas aggiunsero al “crollo culturale” anche un crollo “oggettivo”. Infatti, l’impatto di una cometa con un insediamento umano non si sarebbe limitato a cancellare solo “la conoscenza” di quel gruppo di persone. In questo caso l’impatto avrebbe cancellato per sempre dalla storia non solo le persone stesse, ma anche i loro ricordi e le loro testimonianze, e probabilmente nessuno sarebbe stato più in grado di provare la loro esistenza. Ogni “collo di bottiglia genetico” a livello globale, può essere quindi considerato come una sorta di “reset”, dopo il quale la popolazione coinvolta ricomincia praticamente da zero. Come abbiamo detto, dalle ricerche effettuate emerge che abbiamo avuto finora 2 grandi “reset”: 75.000 e 12.800 anni fa. Esiste quindi la possibilità che come specie, almeno in 2 occasioni, abbiamo perso parte della conoscenza acquisita, poca o molta che fosse. Come vedremo nel corso di questo libro, ci sono seri indizi, se non proprio prove, che indicano come qualcuno avesse escogitato dei sistemi di scrittura molto prima dei Sumeri. Ad esempio, a Göbekli Tepe sono stati rinvenuti segni logici che possono appartenere solo ad un sistema di scrittura, antichi di quasi 12.000 anni. Anche il racconto di Platone su Atlantide presuppone l’esistenza di un sistema di scrittura molto antico. La recente datazione dei ritrovamenti di oggetti in ossidiana lavorati nell’isola di Milos, ha convinto molti archeologi del fatto che i popoli del Peloponneso, in Grecia,
costruivano navi già 15.000 anni fa. In almeno una piramide in Egitto è provata la presenza di parti di ferro non-meteorico (e quindi ferro forgiato), che possono risalire ad un tempo in cui, ufficialmente, la lavorazione del ferro doveva essere sconosciuta. I ritrovamenti nella necropoli di Varna indicano che popolazioni di 6.500 anni fa facevano ampio uso di gioielli in oro. I resti di Göbekli Tepe risalenti a 12.000 anni fa ci dicono che le costruzioni più antiche erano qualitativamente migliori di quelle successive. Questi ed altri ritrovamenti stanno convincendo molti antropologi che esiste una pagina della nostra preistoria che noi ignoriamo completamente. Tutti questi indizi ci dicono che lo Younger Dryas, e tutti gli eventi connessi con esso, non hanno solo dimezzato la popolazione in molte zone della Terra. In quelle stesse zone si è verificato il “fenomeno del gambero”. Alcune conoscenze e capacità acquisite vennero perse, e ci vollero millenni per poterle riacquistare. È come se gran parte della Terra, tra 12.800 e 7.000 anni fa sia piombata in una sorta di Medio Evo globale. Probabilmente il mondo prima dello Younger Dryas era molto diverso da come ce lo siamo immaginati. È possibile che eventuali civiltà che si trovavano nei luoghi più colpiti siano state pesantemente danneggiate, fino ad essere portate sul punto di estinguersi?
La “Cultura Clovis” Una civiltà che secondo alcuni è fortemente sospettata di essersi estinta in Nord America a causa degli avvenimenti collegati al bombardamento delle comete è la cosiddetta “Cultura Clovis”. Di chi parliamo? Nel 1932, l'archeologo Edgar Howard estrasse una lunga punta di lancia in pietra dai resti delle ossa di un mammut nel Nuovo Messico. Quella era la prova innegabile che esseri umani cacciavano i mammut nel Nord America. Howard chiamò gli antichi possessori di quella lancia in pietra con il nome di “cultura Clovis”, dal nome della vicina città di Clovis. Dei Clovis non si conosce molto. Probabilmente era un popolo di cacciatori pre-indiani, forse nomadi, che usavano armi in pietra. Comparvero improvvisamente in Nord America circa 11.000 – 12.000 anni fa. Probabilmente provenivano dall’Europa attraverso la Siberia. Prosperarono e occuparono praticamente tutto il Nord America in un periodo di 400 – 600 anni appena, e poi sparirono improvvisamente. Stranamente, finora è stato
ritrovato solo un resto umano che si possa far risalire in maniera “certa” ai Clovis. Non esistono altre sepolture Clovis in tutto il Nord America. Non si ha quindi la minima idea riguardo a che età morissero, di cosa ne facessero dei loro morti, o se avessero dei riti funebri. Questo caso è più unico che raro in tutto il panorama mondiale. L’esame del DNA dimostra che la cultura Clovis, almeno in alcuni casi, si era imparentata con gli abitanti delle zone del Centro America, arrivati circa 20.000 anni prima di loro. È possibile, quindi, che col tempo si siano spostati verso sud, mischiandosi con altre popolazioni, fino a sparire dalla scena. Ma questo non risolve il mistero dei “morti mancanti”. Cosa portò questo popolo di cacciatori provenienti dalla Siberia verso l’estinzione? Gli studiosi non trovano un accordo sulla risposta da dare a questa domanda, specialmente perché i Clovis appaiono all’improvviso (e quindi provenivano da qualche parte) e spariscono altrettanto all’improvviso. La teoria più “gettonata” è che le loro scorte di carne, ossia i mammut, si esaurirono rapidamente. Alcuni attribuiscono questo avvenimento ad un eccesso di caccia da parte dei Clovis, che avrebbe portato al totale sterminio delle stesse specie di animali di cui si nutrivano. Si sarebbe trattato quindi di una specie di “suicidio” a livello di specie. Altri, pur accettando queste conclusioni, aggiungono che “il colpo di grazia” venne dato dal bombardamento di comete che colpì gravemente il Nord America, innescando una sorta di locale “inverno nucleare”. In questo scenario, la morte improvvisa di alcune piante avrebbe tolto il cibo ai grandi erbivori, fra cui il mammut, portandoli rapidamente all’estinzione. Di conseguenza diverse specie carnivore che si nutrivano di questi erbivori, tra cui i Clovis, seguirono il loro destino. Il punto innegabile, però, e che dopo aver dominato per alcuni secoli il Nord America, qualche tempo dopo gli impatti delle comete in quel territorio, i Clovis scomparvero, senza lasciar traccia di loro. Allo stato attuale delle cose dobbiamo accettare la conclusione che, se i Clovis avevano degli accampamenti stabili, probabilmente questi hanno risentito degli effetti devastanti delle esplosioni provocati dagli impatti dei resti delle comete. Infatti, al momento, i resti di questi accampamenti non sono ancora stati ritrovati. Sembrano essersi dissolti nel nulla. Nel loro caso il “collo di
bottiglia genetico” fu totale: non lasciarono discendenti diretti. La loro conoscenza sparì con loro.
Sundaland e Sahuland Secondo i rilievi degli astrofisici, un altro punto del mondo dove l’impatto delle comete può essere stato particolarmente violento è stata la regione compresa tra Sahuland e Sundaland. Anche se ci possono sembrare strani, questi nomi sono piuttosto noti tra gli studiosi. Il nome Sundaland viene usato per descrivere quello che è a tutti gli effetti un piccolo “continente” sommerso, che si trovava grossomodo tra la Cina e l’Indonesia. Il nome Sahuland descrive invece l’antica Australia, quando era molto più grande di adesso, ed era unita alla Papua Nuova Guinea. Dove sono finiti Sundaland e Sahuland? Secondo i ricercatori, il disgelo avvenuto a partire da 14.500 anni fa, ha fatto alzare di 125 metri il livello dell’Oceano Pacifico. Nel corso dei secoli, quindi, il “mini continente” di Sundaland venne sommerso quasi completamente dalle acque. Oggi, di quel continente, resta solo quella che noi chiamiamo “Indocina”. Al posto di Sahuland abbiamo oggi l’Australia e la Papua Nuova Guinea. Il resto è sott´acqua.
Sundaland e Sahuland erano abitate? Assolutamente sì. Le conferme ci vengono direttamente dall’archeologia. Le prime tracce di homo Sapiens in Australia, ma dovremmo dire a Sundaland e Sahuland, risalgono come minimo a 65.000 anni fa, e ci sono sospetti che possano essere ancora precedenti. Quindi gli homo Sapiens “passeggiavano” per Sundaland e Sahuland da almeno 50.000 anni, prima che queste terre iniziassero ad essere sommerse. Considerando le condizioni di vita estremamente favorevoli di Sundaland prima del disgelo, è praticamente certo che gli homo Sapiens abbiano cercato di insediarsi anche lì. Secondo i ricercatori, le coste di Sundaland (che purtroppo ora sono tutte sott´acqua) hanno ospitato insediamenti umani antichissimi. Sembra che nell’Isola di Sumatra ci siano resti risalenti al 80.000 a.C. Cosa è rimasto di Sundaland? Come spiegheremo in un prossimo volume interamente dedicato a questo argomento, nell’Oceano Pacifico esistono delle costruzioni antichissime, che finora non possono essere attribuite a nessun
popolo conosciuto. Parliamo ad esempio della straordinaria “Venezia del Pacifico”, ossia Nan Madol, la città costruita su isolotti artificiali in cima alla barriera corallina. Oppure le incredibili statue chiamate Patung, di cui non si conosce nemmeno da dove provenga la roccia con cui vennero realizzate, figurarsi gli scultori. I ricercatori si trovano tutti d’accordo su di un aspetto: ad un certo punto la gente è letteralmente fuggita da Sundaland, probabilmente a causa di qualche cataclisma. È bastato l’innalzamento del mare a farli fuggire in massa? Secondo molti ci fu dell’altro. Alcuni fanno notare che l’Indonesia, e quindi Sundaland, si trova proprio sopra la “cintura di fuoco”, vale a dire nel punto di incontro di diverse faglie continentali, dove si generano di continuo terremoti e sono attivi potenti vulcani. Lo scioglimento dei ghiacciai di Sundaland potrebbe in qualche modo aver causato dei cedimenti in quel punto della crosta terrestre, sufficienti a scatenare in quella zona così critica dei violenti terremoti. Ma ci potrebbe essere ancora un altro motivo, molto più spaventoso. Come vedremo nei prossimi capitoli, ci sono tracce di un contatto tra “profughi” provenienti dall’Australia e popoli del Medioriente. I racconti che li riguardano narrano di “serpenti venuti dal cielo” che colpirono ripetutamente la loro popolazione. Si riferivano ai meteoriti? Ad ogni modo, la popolazione di Sundaland e Sahuland scomparve. Anche nel loro caso il “Collo di bottiglia genetico” fu totale. Come popolazione e come ricordo culturale sono quasi scomparsi. Nel loro caso molto probabilmente le cause furono diverse. Ci fu l’innalzamento del livello dei mari, gli tsunami e probabilmente i terremoti. Ma secondo le stele di Göbekli Tepe, quello che di più deve averli terrorizzati è stato qualcosa che videro scendere dal cielo.
4 - Il “fuoco dal cielo” di Sodoma Secondo gli astrofisici, una delle comete, o uno dei suoi resti, deve aver colpito il Medio Oriente in una zona vicino alla Siria. Questo impatto ha lasciato una traccia addirittura in uno dei libri più famosi di sempre, la Bibbia. Parliamo del racconto di “Sodoma e Gomorra”, narrato nei capitoli 18 e 19 del libro di Genesi. Nel brano seguente citiamo i passaggi più significativi del racconto. Inizio citazione - In seguito, verso mezzogiorno Yahweh apparve ad Abraham fra i grandi alberi di Mamre, mentre era seduto all’ingresso della sua tenda. Abraham alzò gli occhi e vide tre uomini in piedi a una certa distanza da lui. Non appena li vide, dall’ingresso della tenda corse loro incontro e si inchinò con il viso a terra, e disse: “Yahweh, ti prego, se ho la tua approvazione non andartene. Fermati dal tuo servitore! Permettetemi, per favore, di farvi lavare i piedi. Poi riposatevi sotto quell’albero. Visto che siete venuti qui dal vostro servitore, permettetemi di portarvi un pezzo di pane per farvi ristorare, e poi potrete rimettervi in cammino”. Allora dissero: “Va bene. Fa’ quello che hai detto”. […] I tre uomini si alzarono per andarsene e guardarono in giù, nella direzione di Sodoma. Mentre si recavano in quella direzione, Abraham li accompagnò per un tratto di strada. E Yahweh disse: “Non nasconderò ad Abraham quello che sto per fare. […] Dopodiché Yahweh disse: “Le accuse contro Sodoma e Gomorra sono davvero serie, e il loro peccato è molto grave. Scenderò a vedere se agiscono veramente secondo le accuse che sono arrivate fino a me, e, se non è così, lo saprò”. Poi due dei tre uomini andarono via da lì, e si incamminarono verso Sodoma; Yahweh però rimase con Abraham. Quindi Abraham gli si avvicinò
e disse: “Davvero spazzerai via i giusti insieme ai malvagi? (Poiché suo nipote Lot viveva a Sodoma con la sua famiglia). Supponiamo che nella città ci siano 50 giusti. Li ucciderai tutti comunque? Per proteggere i 50 giusti che ci sono, non perdonerai quel luogo? È inconcepibile che tu agisca in questo modo, uccidendo il giusto insieme al malvagio, così che il giusto e il malvagio facciano la stessa fine! Tu non farai mai una cosa del genere! Il Giudice di tutta la Terra non farà forse quello che è giusto?”. Yahweh rispose: “Se nella città di Sodoma troverò 50 giusti, per proteggere loro perdonerò tutto quel luogo”. Ma Abraham replicò: “Ti prego, mi permetto di parlare a Yahweh, pur essendo semplice polvere! Supponiamo che tu ne trovassi 45. Distruggerai tutta la città anche se ne trovassi 45?”. Dio rispose: “Se ve ne troverò 45 non la distruggerò”. Ma di nuovo Abraham gli disse: “Supponiamo che ce ne siano 40”. Dio rispose: “Per proteggere i 40 non lo farò”. Ma Abraham proseguì: “Yahweh, ti prego, non ti arrabbiare, lasciami parlare ancora! Supponiamo che ce ne siano solo 30”. Dio rispose: “Se ne troverò 30 ti prometto che non lo farò”. Ma Abraham proseguì: “Ti prego, mi permetto di parlare a Yahweh! Supponiamo che ce ne siano solo 20. Cosa farai?”. Dio rispose: “Per proteggere i 20 non la distruggerò”. Alla fine, Abraham disse: “Yahweh, ti prego, non ti arrabbiare, lasciami parlare un’ultima volta! Supponiamo che ce ne siano solo 10”. Dio rispose: “Per proteggere i 10 non la distruggerò”. Quando ebbe finito di parlare con Abraham, Yahweh se ne andò, e Abraham tornò alla sua tenda. I due angeli arrivarono a Sodoma verso sera. Lot era seduto all’ingresso delle mura della città. Quando li vide, andò subito loro incontro. Si inginocchiò quindi con il viso a terra e disse: “Miei signori, vi prego, venite a casa del vostro servitore. Passate la notte da me e fatevi lavare i piedi. Poi vi alzerete all’alba e riprenderete il vostro viaggio”. Loro dissero: “No, passeremo la notte nella piazza del paese”. Ma lui fu così insistente che i due acconsentirono alla sua ospitalità. Quindi Lot preparò un banchetto in casa sua, e cosse pani senza lievito, e i suoi due ospiti mangiarono. Non erano ancora andati a dormire, che tutti gli uomini di Sodoma, dal più giovane al più vecchio, accerchiarono la casa formando una folla. E chiamavano Lot e gli dicevano: “Dove sono i due uomini che sono venuti da
te stanotte? Portaceli fuori, perché vogliamo fare sesso con loro!”. Lot allora uscì fermandosi sulla soglia di casa sua, e si chiuse la porta alle spalle. Disse: “Fratelli miei, vi prego, non fate questa cosa malvagia. Vi prego, ho due figlie che non hanno mai avuto rapporti sessuali con un uomo. Sono vergini. Vi prego, lasciate che ve le porti fuori così che possiate fare loro quello che volete. Ma non fate nulla a questi uomini, perché sono miei ospiti, e sono sotto la mia protezione”. Quelli dissero: “Fatti indietro!”. E aggiunsero: “Questo straniero è venuto a vivere qui, e ora osa addirittura giudicarci! Adesso faremo a te peggio che a loro!”. Così si accalcarono intorno a Lot e fecero per sfondare la porta. Allora i due uomini all’interno della casa stesero le braccia, tirarono dentro Lot e chiusero la porta. Contemporaneamente colpirono di cecità gli uomini che erano davanti alla casa, dal più piccolo al più grande, e questi non riuscivano più a trovare l’ingresso della casa di Lot. Quindi i due uomini dissero a Lot: “Hai qualche persona a cui tieni in questa città? Fa’ uscire da questo luogo tutti quelli a cui vuoi bene! Stiamo per distruggere tutto, perché l’accusa contro gli abitanti di questa città è diventata davvero troppo grande davanti a Yahweh, tanto che Yahweh ci ha mandato a distruggere!”. Allora Lot uscì e andò a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie. Disse loro: “Muovetevi! Andate via da qui, perché Yahweh sta per distruggere la città!” Ma i suoi generi pensarono che stesse scherzando, e non gli diedero ascolto. Quando era quasi l’alba, gli angeli insistevano con Lot, dicendo: “Muoviti! Prendi tua moglie e le tue due figlie che sono qui con te, se non vuoi essere spazzato via per i peccati della città!”. Ma Lot non riusciva a decidersi, perciò gli uomini, a motivo della compassione di Yahweh nei suoi confronti, presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, e li portarono a forza fuori dalla città. Non appena furono fuori, uno di loro disse: “Mettiti in salvo! Non guardare indietro e non fermarti da nessuna parte nella pianura! Fuggi verso le montagne, se non vuoi essere ucciso anche tu!”. […] Lot arrivò alla città di Zòar quando il sole era già spuntato. Allora dai cieli, da Yahweh, su Sodoma e Gomorra piovve fuoco e zolfo. Così Yahweh distrusse queste città e l’intera pianura, compresi tutti gli abitanti e la
vegetazione. La moglie di Lot, però, guardò indietro e diventò una colonna di sale. Al mattino Abraham si alzò presto e andò nel luogo in cui gli era apparso Yahweh. Quando guardò giù verso Sodoma e Gomorra e tutta la pianura, vide qualcosa di spettacolare! Un fumo denso saliva dalla terra al cielo, diritto come il denso fumo di una fornace! – Fine citazione.
Un esame obiettivo Volendo eliminare dal racconto tutti gli elementi religiosi tipici dell’ebraismo e del “culto di Yahweh”, cosa ci dice questa storia? Il racconto ci dice che nella zona vicino alla odierna cittadina di Al Kalil (Hebron), circa 30 chilometri a Sud di Gerusalemme, tre esseri “celesti” con sembianze umane avvertirono un nomade sumero, chiamato Abraham, proveniente dalla città di Ur, di ciò che sarebbe avvenuto di lì a un paio di giorni. Gli dissero che una intera zona del Medioriente, dove sorgevano numerose città, sarebbe stata spazzata via. Poco tempo dopo, diverse città situate in una zona in prossimità della riva Sud del Mar Morto vennero distrutte da qualcosa che sembrava essere “fuoco caduto dal cielo”. La cosa più strana è il particolare che viene menzionato in seguito. Il nomade sumero aveva il suo accampamento ad una distanza di oltre 50 chilometri dal luogo della distruzione, su di una zona collinare. Ma nonostante questa grande distanza, guardando in quella direzione verso la pianura, era riuscito a scorgere “un fumo denso che saliva dritto dalla terra come il denso fumo di una fornace” che raggiungeva il cielo. Consideriamo questi tre aspetti. (1) La distanza dell’osservatore dall’oggetto della sua osservazione. (2) La descrizione particolareggiata di una colonna di fumo che saliva dritta fino al cielo (in un tempo precedente di millenni all’esplosione della prima bomba atomica). (3) L’effetto che ci fu sulle città della zona, completamente polverizzate. Considerando questi tre aspetti, cosa può aver visto il nomade sumero, indicato nelle Scritture Ebraiche con il nome di Abraham? L’unico tipo di esplosione che l’osservatore può aver visto ad oltre 50 km di distanza, che causava una nube di fumo che saliva dritta fino al cielo, e che aveva disintegrato le città di una intera provincia, erano gli effetti di una esplosione
di tipo termonucleare. Ma non essendoci armi nucleari in quel tempo, l’unica cosa che può aver generato una simile esplosione è l’impatto di un meteorite o di una cometa nella zona. Questa idea è tutt’altro che campata in aria, ma è totalmente sorretta dalla scienza. Infatti, precedentemente abbiamo accennato all’articolo della rivista “Nature” del 6 Marzo 2020 intitolato “Evidence of Cosmic Impact at Abu Hureyra”. Questo articolo evidenzia come in Medioriente, in una zona non troppo lontana dal Mar Morto, ci sia stato l’impatto con un oggetto celeste. L’articolo dice chiaramente che è altamente probabile che si verificarono altri impatti, a breve distanza di tempo. Pur non avendo ancora trovato il cratere dell’impatto, sono state ritrovate delle microsfere di vetro/platino, che si possono formare solo ad altissime temperature. Quindi, secondo gli studiosi, c’è stata una esplosione che ha generato talmente tanto calore da poter sciogliere un’automobile in meno di un minuto. L’esplosione è stata quindi di livello nucleare. Chi ha scritto il racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (nella sua versione originale, senza gli abbellimenti religiosi) non può essersi inventato qualcosa che l’uomo non aveva mai visto. Il racconto descrive qualcosa che “come il fuoco” scende dal cielo, colpisce una zona grande quanto una provincia, disintegrandola, generando una colonna di fumo che sale dritta fino al cielo. Per non menzionare il particolare che da una zona collinare si potesse osservare quella scena da oltre 50 chilometri di distanza. Tutto questo ricorda da vicino un “fungo nucleare”, che può essere visibile anche a grandissima distanza. Che l’osservatore si trovasse a grande distanza è confermato anche dal fatto che l’onda d’urto che si genera con l’esplosione non lo abbia spazzato via. Non essendo riusciti a darsi nessuna spiegazione razionale di quell’evento catastrofico, considerando le povere conoscenze scientifiche del loro tempo, i testimoni oculari sopravvissuti ci ricamarono attorno la storia del “giudizio di Dio” su Sodoma e Gomorra. La descrizione è così realistica che non si può escludere che la distruzione di Sodoma e Gomorra sia il ricordo della distruzione di qualche città o villaggio vicino ad Abu Hureyra, ovviamente romanzato ed inserito nella Bibbia. Tra l’altro, questo spiegherebbe perché non sono mai stati trovati i resti di quelle città. Con temperature generate
dall’impatto superiori ai 220 0 °C, di quelle città, fatte probabilmente di mattoni di fango, non è rimasto nemmeno il ricordo.
Alcune deduzioni Unendo l’evidenza scientifica dell’impatto delle comete in quella zona del Medioriente con il racconto di Sodoma e Gomorra, otteniamo alcune informazioni. (1) Sappiamo quando accadde l’episodio originale che ha dato “il via” alla leggenda di Sodoma e Gomorra: ci troviamo intorno al 10.800 a.C. (2) L’Abraham biblico, colui che racconta la distruzione di Sodoma, è in realtà la voce di uno dei sopravvissuti. (3) Il racconto cita chiaramente un certo numero di città esistenti in quella zona. Oltre alla città di Sodoma, viene citata la città di Gomorra, la città di Zoar e altre innominate “città del Distretto”. Questo aspetto rende evidente che, se esistevano delle città (indipendentemente dalla loro grandezza), allora una certa forma di civilizzazione in quella zona esisteva già 12.800 anni fa. A conferma di questo, negli ultimi anni sono stati ritrovati il villaggio di Jerf el-Ahmar, e il sito megalitico di Göbekli Tepe, entrambi situati vicino alla Siria, e entrambi databili a circa 12.000 anni fa. (Li esamineremo in seguito dettagliatamente). Il racconto non si sbaglia quando dice che in quella zona c’erano diversi villaggi o cittadine abitate. Il racconto rende evidente come molte città vennero completamente spazzate via dagli impatti dello sciame meteorico, venendo letteralmente “disintegrate” dal “fuoco che cadde dal cielo”. Se non fosse per le pagine della Bibbia, non avremmo saputo nemmeno della loro esistenza. Anche nel loro caso, il “collo di bottiglia genetico” fu pressoché totale. Secondo il racconto ci furono solo 3 sopravvissuti. Questo spiega perché, circa 10.000 anni dopo quegli eventi, la gente del posto non si era ancora evoluta, almeno dal punto di vista tecnologico. L’intera zona dovette ripartire quasi “da zero”.
Visitatori? C’è un altro aspetto che non dovremmo sottovalutare. Il racconto parla di un “tentativo” di salvataggio da parte di esseri celesti nei confronti degli umani che si trovavano nella zona che stava per essere colpita. Secondo il racconto, esseri celesti definiti “angeli” avvertirono alcuni abitanti di lasciare
immediatamente quella zona, perché entro poche ore sarebbe stata distrutta dal “fuoco dal cielo”. Ma a molti queste parole sembravano essere “uno scherzo”. (Vedi Genesi 19:14). La cosa interessante è che, benché il racconto si riferisca a queste tre persone come “Yahweh”, il nome del dio ebraico, in realtà vengono descritti tre esseri in tutto e per tutto simili agli umani. Dal racconto sembra che uno fosse una specie di “coordinatore”, mentre altri due erano gli esecutori materiali. Questi mangiavano, bevevano, camminavano, esattamente come qualsiasi essere umano. Anche la loro missione aveva poco di “trascendentale”. Invitavano semplicemente la gente ad andare via dalla città, come se sapessero quello che stava per accadere. Più che delle vere divinità hanno l’aspetto di esseri “informati” degli eventi. Ovviamente non si può speculare troppo, perché non sappiamo quanti e quali dettagli siano “antichi”, e quali siano invece stati aggiunti dai sacerdoti ebrei per rendere la storia “soprannaturale”. Il “salvataggio” risultò essere un mezzo fallimento. Tranne tre esseri umani, tutti gli altri morirono. Ovviamente questa parte del racconto può essere solo una leggenda, o la versione distorta degli avvenimenti. Comunque, il libro di Genesi non è l’unico che narra della presenza di esseri “celesti” in relazione al bombardamento delle comete. Anche altri documenti, molto più antichi della Bibbia ed estremamente “laici”, narrano il loro coinvolgimento. Ad esempio, in alcune stele di Göbekli Tepe questo è un tema piuttosto comune. Ma ne riparleremo quando affronteremo questo soggetto.
5 - Un mistero sepolto Abbiamo visto finora come le tracce del bombardamento delle comete avvenuto 12.800 anni fa siano visibili nelle vicissitudini delle popolazioni del Nord America, del Medio Oriente e dell’Oceania, vale a dire Sundaland e Sahuland. Ma negli ultimi anni è stata ritrovata un’antica civiltà che probabilmente è stata la sola a incidere sulla roccia una descrizione pittorica degli avvenimenti che portarono allo Younger Dryas, compreso il bombardamento delle comete. Inoltre, nelle loro incisioni sembra ci siano antichi ricordi del contatto con viaggiatori proveniente da Sundaland e Sahuland. Da ultimo, secondo molti archeologi di fama mondiale, nelle loro stele c’è la descrizione di esseri che “venivano dal di fuori”. (Che si tratti di esseri reali o immaginari è un altro discorso). Di chi stiamo parlando? Per moltissimo tempo abbiamo pensato che gli homo Sapiens fossero rimasti per la stragrande maggioranza della loro storia (circa 193.000 anni sui 200.000 anni totali) al livello di semplici cacciatori-raccoglitori, che vivevano in capanne o alloggi di fortuna. Si pensava che ad un certo punto, questi nomadi scoprirono gradualmente le tecniche per implementare nel tempo l’agricoltura e la pastorizia. Smisero quindi di essere nomadi e divennero stanziali. Si formarono i primi villaggi, finché verso il 5.000 a.C. in Mesopotamia fiorirono le prime città presso i Sumeri. Si pensava che la popolazione dei Sumeri, oltre a creare le prime città, inventasse la ruota, la scrittura, e il computo del tempo così come lo conosciamo oggi. Inoltre, si pensava che la vita sedentaria e in comunità avesse creato il più esclusivo dei prodotti umani: la religione. Si credeva, inoltre, che col tempo le conquiste culturali dei Sumeri si fossero diffuse, assumendo varie forme, in tutto il bacino del Mediterraneo e nel Medioriente. Sembrava che gli archeologi fossero riusciti ad elaborare un modello storico in cui ogni tassello aveva trovato il suo giusto posto. Anche per questo motivo, la teoria dello Younger Dryas veniva respinta con decisione da molti storici e archeologi, perché obbligava a riscrivere molti
libri di storia. Poi, pochi anni fa, i ricercatori scoprirono Göbekli Tepe, e nulla fu più come prima. La scoperta di Göbekli Tepe ha obbligato anche il più riottoso degli storici a doversi ricredere sulla nostra preistoria. In un articolo del Mail Online del 5 marzo 2009, citato anche da Wikipedia, Ian Hodder, un ricercatore del programma archeologico della Stanford University, ha detto: “Molte persone pensano che [la scoperta di Göbekli Tepe] possa cambiare tutto. Cambia completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano sbagliate”. Cosa ha fatto dire a un famosissimo archeologo di una prestigiosa università, e a molti suoi colleghi, che la scienza deve ammettere che le proprie teorie archeologiche sul passato dell’uomo sono in gran parte sbagliate, e tutto va rivisto? Fino a prima della scoperta di Göbekli Tepe (un termine turco che vuol dire “la collina panciuta”) si pensava che le civiltà più antiche dell’uomo fossero la civiltà Sumera (e in generale quella mesopotamica), la civiltà Minoica (distrutta dall’esplosione del vulcano Santorini) e la civiltà Olmeca in America del Sud. Inoltre, si pensava che fosse stata l’invenzione graduale dell’agricoltura ad aver spinto gli esseri umani “primitivi”, fondamentalmente dei cacciatori-raccoglitori, a unirsi in comunità, e col tempo a dare inizio alla civiltà e alla religione. La scoperta di Göbekli Tepe, invece, sembra mandare in frantumi tutte queste certezze. Tra gli aspetti che hanno fatto maggiormente scalpore nella scoperta di Göbekli Tepe troviamo di sicuro la sua datazione. Secondo le analisi al radiocarbonio, gli edifici più antichi attualmente ritrovati vengono datati come minimo tra il 9.500 e il 10.500 a.C., ossia un periodo compreso tra gli 11.500 e i 12.500 anni fa. Questo vuol dire che sono circa 6.500 anni più antichi di Stonehenge, e 7.000 anni più antichi della data ipotetica della costruzione della Grande Piramide di Giza. I resti di Göbekli Tepe sono oltre 5.000 anni più antichi della più antica civiltà scoperta fino a quel momento, la civiltà Sumera. Come se non bastasse, secondo le idee del defunto professor Klaus Smith, gli edifici del luogo che non sono ancora stati dissotterrati, sia appartenenti a Göbekli Tepe che ad altri insediamenti che si trovano nella stessa zona, potrebbero essere più antichi anche di diverse migliaia di anni. Ovviamente
vanno prima dissotterrati. L’antichità della cultura che ha generato Göbekli Tepe sta facendo letteralmente girare la testa agli archeologi. Secondo quello che pensava l’archeologia “ufficiale”, Göbekli Tepe non sarebbe dovuta esistere. Parliamo quindi di una cultura che, con ogni probabilità, è stata contemporanea sia di parte dell’ultima Era Glaciale, sia dell’Ultimo Disgelo avvenuto verso il 12.500 a.C. E quasi certamente è stata una delle poche culture (o civiltà) di cui siamo venuti a conoscenza, che può aver sperimentato in prima persona gli effetti della pioggia di frammenti provenienti dalle comete che hanno impattato sulla Terra circa 12.800 anni fa. Si tratta quindi di una civiltà che ha sperimentato direttamente su di sé lo Younger Dryas. Capiamo quindi perché lo studio di questo e degli altri siti della stessa zona può cambiare la consapevolezza della nostra preistoria. Fino alla scoperta di Göbekli Tepe si riteneva che, visto il clima rigido dell’era glaciale, gli umani riuscissero a malapena a sopravvivere, e quindi non avessero il tempo materiale, la conoscenza e le risorse per costruire case in pietra. Si credeva, inoltre, che non avessero ancora avuto il tempo di crearsi le proprie divinità o i loro templi. Ma dove gli archeologi pensavano di trovare solo delle semplici capanne isolate, stavolta hanno trovato un numero notevole di strutture megalitiche interamente in pietra, fatti così bene da restare in piedi dopo almeno 12.000 anni. Per questo l’archeologia si divide ormai in “prima” e “dopo” la scoperta di Göbekli Tepe.
L’insediamento Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, cosa è Göbekli Tepe? Dal 1995 per gli studiosi di archeologia questo è il nome di un sito di scavi, rinvenuto per puro caso da un pastore locale, Savak Yildiz, quando si accorse che dal terreno spuntavano alcune strane rocce lavorate. Dopo aver contattato i responsabili di un museo nelle vicinanze, in quella zona si sono effettuati degli scavi diretti per molti anni dal celebre archeologo tedesco Klaus Smith, fino alla sua morte avvenuta nel 2014. Il sito è stato aperto al pubblico solo nel 2019. Göbekli Tepe si trova solo a pochi chilometri di distanza dalla città di Şanlıurfa, in Turchia. (Per inciso, secondo antiche leggende curde, Şanlıurfa sarebbe la città di “Ur” di cui si parla nel libro di Genesi, da cui sarebbe provenuto Abraham).
Cosa ci aspetteremmo di trovare in un sito la cui antichità lo pone alla fine dell’era del Paleolitico e all’inizio dell’era Mesolitica, vale a dire nell’età della pietra? In base alle credenze di un tempo, gli archeologi si sarebbero aspettati di trovare soltanto qualche punta di freccia in pietra, qualche lancia, un paio di utensili e nulla di più. Si pensava che in quel periodo gli uomini vivessero ancora in maniera molto primitiva, come nomadi dediti alla caccia e a raccogliere quello che trovavano in natura, e che abitassero fondamentalmente in capanne o ripari naturali. Pensate allo stupore, alla totale incredulità degli archeologi, quando riportarono alla luce diverse grosse strutture circolari, che ricordavano vagamente quelle di Stonehenge. Ciascuna struttura circolare, larga dai 10 ai 30 metri circa, è formata da due grandi monoliti centrali a forma di T, composti da roccia calcarea. Questi monoliti possono raggiungere i 6 metri di
altezza. I moliti più grandi hanno un peso di circa 10 – 15 tonnellate, mentre altri sono più leggeri. Sono stati scavati dalla roccia calcarea, e quindi non sono semplici “pezzi di pietra rettangolari” trovati per caso e messi in piedi. Sono blocchi tagliati dalla roccia e modellati, come i moderni marmisti ricavano dei blocchi dalle cave di marmo. In ciascuna struttura circolare, o recinto, intorno ai due monoliti centrali, come a formare un cerchio chiuso attorno ad essi, erano stati eretti altri pilastri simili, anch’essi a forma di T, sempre in pietra calcarea, ma più piccoli, di circa 3 metri di altezza. Su questi blocchi sono stati scolpiti con grande abilità diversi animali. Le poche figure umane incise sono principalmente senza testa, o senza volto. Sembra che in tutto il sito compaia solo un’unica incisione di una donna. Tutte le altre figure umane sono maschili. Un muro circolare in pietra alto circa 2 metri riempiva lo spazio tra i vari pilastri esterni, disposti in cerchio attorno ai due monoliti. La porta di questo muro, quadrata, è stata ricavata da un blocco unico in pietra. Ogni struttura circolare è quindi formata da due monoliti centrali, molti pilastri circolari più bassi di quelli centrali, anch’essi a forma di “T”, con un muro di cinta e una entrata. La presenza di una porta e la forma dei pilastri, con la sommità più larga della base, secondo alcuni lascia supporre che gli edifici circolari erano coperti da una sorta di tetto, che poggiava sia sui due monoliti centrali che sui pilastri disposti in cerchio. Probabilmente la copertura era in legno, formata da diversi fasci che dalla circonferenza convergevano verso il centro, circa 3 metri più in alto. Il tutto formava una specie di “iurta”, la tipica tenda dei tartari, ma in pietra e legno. Va detto comunque che finora non è stato ritrovato nessun resto di alcun tipo di copertura.
C’è inoltre un dettaglio degno di nota. I pilastri oggi sono uniti da una specie di muretto circolare a secco. Comunque, almeno alcuni pilastri, come la famosa “Stele dell’Avvoltoio”, contengono disegni che risultano in parte coperti dal muro a secco. Questo può voler dire solo tre cose. La prima è che i pilastri vennero prima corredati di immagini e poi sistemati all’interno del muro (ma non si capisce che senso ha scolpire delle immagini che poi verranno nascoste dal muretto). Oppure, vuol dire che quando i pilastri vennero eretti, il muretto a secco non era contemplato nel progetto originale. Si tratterebbe quindi di una aggiunta successiva, e per questo motivo coprirebbe parzialmente alcune sculture. La terza ipotesi, invece, è che i pilastri di Göbekli Tepe non appartenessero alla struttura che vediamo oggi, ma che siano stati trasportati qui da qualche altro posto. Queste stele, quindi, vennero usate come “materiale da costruzione” o “decorativo” dagli edificatori del sito, ma il loro uso originale era diverso. Questa terza ipotesi renderebbe i pilastri ancora più antichi.
Il sito di Göbekli Tepe ha una estensione di circa 300 metri per 300 metri. Il complesso ha una parte più antica (formata da tre strutture circolari), situata al centro dell’insediamento, e una parte più recente (formata da strutture rettangolari) che la circonda. Le due zone sono separate tra loro da un arco di tempo di circa 2.000 anni. Le strutture costruite nella zona centrale, quelle più antiche a forma circolare, sono simili tra loro, ma non identiche. Alcune ricordano da vicino le strutture megalitiche di Stonehenge. Altre hanno una forma ellittica. Sono state riportate alla luce solo alcune di queste strutture circolari. Altre si trovano sepolte ancora completamente sottoterra. La zona più esterna è formata da strutture rettangolari ampie circa 20 metri, e sembra siano state utilizzate a scopo comunitario. Altre sono invece più piccole, e sembrano essere dei monolocali, ma non si sa per cosa fossero adibiti. In generale gli archeologi tendono a scartare l’idea che si tratti di abitazioni. Deducono questo dal fatto che Göbekli Tepe era situata originariamente in cima a una collina. Questo non era il luogo ideale per costruire un accampamento, alla vista di tutti. Inoltre, sembra che mancasse una fonte d’acqua adeguata a sostenere un numero di persone compatibile con un villaggio. Comunque, sono state ritrovate anche delle piscine per la raccolta di acqua piovana, e delle zone adibite alla lavorazione della selce.
Lo zoo di pietra Come abbiamo detto precedentemente, attualmente sono state riportate alla luce solo quattro strutture circolari, che vengono chiamate “recinti”. Per comodità sono stati numerati con le lettere dell’alfabeto, a partire dal primo che è stato dissotterrato in poi. Il recinto più antico è senza dubbio il recinto “D”. Le datazioni con il radiocarbonio indicano che verso il 10.020 a.C. era già utilizzato. Quindi ha oltre 12.000 anni. Gli altri recinti sono di un paio di secoli più giovani, arrivando fino al 9.350 a.C. Ma gli studi sono ancora in corso. Göbekli Tepe è stato chiamato lo “zoo di pietra” a causa delle numerosissime rappresentazioni di animali, in contrasto con la quasi assenza di rappresentazioni umane. Un elenco parziale degli animali incisi nei recinti A, B, C e D, ci dice che al loro interno sono state realizzate le seguenti sculture/incisioni: Serpenti: 23 gruppi, per un totale di oltre 200 serpenti. Con poche eccezioni, tutti i serpenti sono stati incisi mentre si muovono dall’alto verso il basso. Volpi: 12 Cinghiali: 7
Gru: 5 Uro (toro selvatico estinto): 3 Pecora selvatica: 2 Asino selvatico asiatico: 1 Gazzella: 1 Leopardo/leone: 1 Orso bruno: 1 (incerto) Altri quadrupedi non identificati: 1 In realtà, come si può notare leggendo queste cifre, Göbekli Tepe potrebbe chiamarsi il “sito del serpente”, perché le raffigurazioni di serpenti dominano la scena. Il numero dei serpenti raffigurati supera di molte volte il numero di tutti gli altri animali messi insieme. Quasi tutti i serpenti si muovono dall’alto verso il basso, come se “cadessero dal cielo”. Un movimento certo inusuale per un serpente, che sa muoversi solo in senso orizzontale. Inoltre, nel recinto C, successivo al primo recinto in ordine di realizzazione secondo i rilevamenti del radiocarbonio, ossia il recinto “D”, i serpenti non compaiono. Questo fa pensare che la figura del serpente non indichi le vipere presenti nella zona, altrimenti sarebbero state raffigurate in tutti i recinti, e non solo in alcuni. Sembrerebbe quindi che i serpenti raffigurano qualcosa che, a volte c’è stato, e a volte non c’è stato. Quindi se capiremmo cosa rappresentasse la figura del serpente per gli abitanti di Göbekli Tepe, capiremmo gran parte del perché questa struttura è stata realizzata. Ma di questo ne parleremo in seguito.
Il recinto A, il primo ad aver visto nuovamente la luce, è chiamato anche il “recinto del serpente”. Infatti, nei pilastri di questo recinto il tema del serpente è particolarmente ricorrente. Il recinto B è il “recinto della volpe”, perché in un suo pilastro è chiaramente riconoscibile l’incisione di una volpe. Il recinto C è chiamato “il cerchio del cinghiale”, perché insieme ad altri animali sono incisi dei cinghiali. In questo recinto è stata rinvenuta la scultura di un felino predatore di notevole fattura, tale da poter reggere il paragone con una scultura moderna. Il recinto D è composto da 2 pilastri principali e 12 pilastri incastonati nelle pareti. È chiamato “lo zoo dell’Età della Pietra”, ed è quello che ha attirato l’attenzione della maggior parte degli studiosi. In questo recinto si trovano sia la famosa “Stele dell’Avvoltoio” sia la “Stele delle Gru”. Inizialmente si pensava che il sito di Göbekli Tepe fosse un caso isolato, un “unicum” nella storia. Invece, tramite indagini successive usando le più moderne tecnologie, come i geo-radar e le osservazioni satellitari, ci si è resi
conto che tutto attorno al sito di Göbekli Tepe dovrebbero trovarsi ancora sottoterra almeno una ventina di siti del tutto simili. Infatti, sono appena iniziati gli scavi in una zona vicina, a Karhan Tepe, e sembra che quello che i ricercatori stanno ritrovando sia molto simile a quanto trovato a Göbekli Tepe. Ormai sono in molti a ritenere che, se si ampliasse il raggio di ricerca, si troverebbero ancora molti altri insediamenti simili. L’idea che Göbekli Tepe sia un caso isolato, una “eccezione alla regola”, è andata in frantumi. Oramai si può parlare come minimo della “cultura di Göbekli Tepe”, se non addirittura della “civiltà di Göbekli Tepe”. Ma soltanto a scavi ultimati, tra molti anni, sapremo davvero cosa c’è lì sotto.
A che scopo? Inizialmente si pensava che Göbekli Tepe fosse una struttura funeraria. Gli archeologi erano convinti che con il proseguimento degli scavi, col tempo sarebbero spuntate le tombe degli abitanti del luogo che erano stati sepolti. Con grande stupore da parte degli stessi ricercatori, non si sono trovati resti umani in nessuno dei recinti. Questo è particolarmente strano, perché fino ai nostri giorni le strutture “sacre” sono indissolubilmente legate alla sepoltura. Comunque, dopo anni di scavi, i ricercatori si sono dovuti arrendere all’evidenza: Göbekli Tepe non è una necropoli o un cimitero. L’idea iniziale è stata quindi scartata. Cos’altro poteva essere? Sembra che, in ogni caso, si tratti di una struttura “comunitaria”, qualcosa che richiamava su quella collina molta gente. Infatti, un’altra sorprendente scoperta fatta a Göbekli Tepe riguarda la gran quantità di resti biologici ritrovati. Questi resti provano che in quel posto si era consumata una gran quantità di carne. Vista la grande quantità di resti animali usati come cibo che sono stati ritrovati, si pensa che in quel sito siano stati preparati dei grandi banchetti a base di carne animale. Ma gli archeologi, con grande stupore, hanno scoperto che tutti i resti animali ritrovati nel sito sono composti da selvaggina, e non da animali da allevamento. Anche i pochi resti di frumento ritrovati sono tutti di origine selvatica, e non coltivata. Questo vorrebbe dire che, sostanzialmente, anche dopo la costruzione di Göbekli Tepe, i costruttori che lo realizzarono erano rimasti dei cacciatori-raccoglitori, e non divennero degli agricoltoriallevatori, cosa che fecero in seguito gli abitanti delle prime città conosciute.
Questa evidenza manda in frantumi un’altra certezza degli antropologi. In precedenza, si pensava che la costruzione delle città fosse solo il “risultato logico” dell’agricoltura e dell’allevamento, che permetteva a molti umani di avere le risorse alimentari per vivere insieme in spazi relativamente ristretti. Ma la scoperta di Göbekli Tepe indica chiaramente che il motivo per cui gli umani scelsero di costruire dei villaggi, o delle piccole città, erano altri. Loro costruirono un luogo che sembra essere il primo “nucleo” di una piccola città, pur continuando ad essere dei cacciatori-raccoglitori. Göbekli Tepe dimostra che il fatto che gli umani fossero dei cacciatoriraccoglitori, non impediva loro di avere le conoscenze di ingegneria, logistica, organizzazione del personale e della forza lavoro, lavorazione artistica della pietra, e tutto quello che era servito per costruire quel sito. Göbekli Tepe è un sito che, per le difficoltà di costruzione paragonate al tempo in cui venne eretto, non ha nulla da invidiare alle Piramidi. Quindi chi ha costruito quelle mura deve aver avuto una struttura organizzativa simile: c’era qualcuno che progettava, qualcuno che comandava, e altri che eseguivano. Ma una struttura simile implica una società che sarebbe esistita almeno 6.000 anni prima di quella Sumera. (In precedenza, si pensava che la civiltà Sumera fosse l’inizio delle prime società umane). Per molti questa evidenza è assolutamente inaccettabile. Inoltre, il concetto di “società” mal si concilia con l’idea che si aveva dei cacciatori-raccoglitori, ossia che fossero “liberi e indipendenti”, svincolati da qualsiasi tipo di legame con altre comunità. Göbekli Tepe dimostra che le strutture sociali sono molto più antiche di quanto si ritenesse un tempo. Volendo tirare le somme, gli archeologi non sanno il motivo per cui è stato costruito Göbekli Tepe. Essendo situato in cima ad una collina, molto probabilmente non era un insediamento stabile. Non era un cimitero, visto che non sono stati ritrovati resti umani. Era un centro religioso? Non esiste nessun motivo per crederlo, ma nulla che obblighi a scartare questa opzione. Quello che si comprende, almeno fino ad ora, è che su quella collina si radunava molta gente, che portava molta selvaggina, e si banchettava assieme. Il resto, per ora, è mistero.
Quanti ne erano? Dopo aver dissotterrato alcuni “recinti”, nella mente degli archeologi è
balenata un’idea che ha mandato in pezzi altri punti fermi che avevano imparato nelle Università. Ossia, se questi cacciatori-raccoglitori erano in grado di costruire in un periodo compreso tra i 12.500 e gli 11.500 anni fa degli insediamenti come Göbekli Tepe, per quale ragione gli altri “uomini dell’età della pietra” sparsi in altre zone della Terra non sarebbero stati in grado di fare altrettanto? Questo “postulato”, ormai, non ha più alcun senso, e deve essere messo da parte. Visto che la tecnologia umana, da quanto è stato scoperto, non sembra essere variata molto nel periodo compreso tra 75.000 e 6.000 anni fa, teoricamente chi ha costruito Göbekli Tepe nel 10.500 a.C. potrebbe averlo costruito più o meno simile anche nel lontano passato, anche 75.000 anni fa. (A parziale conferma di questo, in Siria, nella zona di Tell Qaramel, è stato rinvenuto un insediamento simile a Göbekli Tepe, ma meno elaborato. La sua parte più antica è datata verso il 15.000 a.C. Inoltre, a Wadi Faynan è stata trovata addirittura una struttura simile a un piccolo anfiteatro creato artificialmente, o un insieme di costruzioni disposte in semicerchio, risalente come minimo a 11.500 anni fa).
Una fine misteriosa Un altro aspetto ancora inspiegato del sito è la sua trasformazione nel corso del tempo. Col passare dei secoli le prime strutture circolari in pietra furono seppellite. Successivamente altre vennero erette sopra di esse. Ma per qualche motivo, ciascun cerchio successivo era più piccolo di quello che era stato interrato, e non più grande, come ci si aspetterebbe da una civiltà che si evolve. Stranamente, le capacità dei costruttori sembrano diminuire nel corso del tempo, e non migliorare, come accade per esempio nei nostri giorni. La società di Göbekli Tepe sembra deteriorassi ad ogni “ciclo” di sepoltura/riedificazione. Nessuno sa spiegarsi il perché di questo strano fenomeno. Dopo diversi cicli di sepoltura/riedificazione i resti sono rimasti permanentemente sottoterra, come se avessero esaurito la loro funzione. Ma quale era esattamente questa funzione? Per ora nessuno lo sa con certezza, e si fanno solo congetture. Nessuno degli edifici è stato bruciato o fatto a pezzi, come se si sia voluto distruggerlo, o come se fossero stati attaccati da un popolo nemico. Il sito è stato semplicemente riempito di terra, come per
seppellirlo pacificamente. Alcuni studiosi affermano che, quando gli abitanti della zona dovettero migrare, fecero una sorta di “sepoltura” a edifici che consideravano sacri. Anche se questo può senz’altro essere vero, non spiegherebbe perché sugli edifici sepolti sono stati costruiti altri, del tutto simili, ma più piccoli.
Altre strutture, invece, sembra che abbiano subito un evento climatico che le ha in qualche modo sotterrate. Il periodo coincide abbastanza bene con quello dell’Ultimo Disgelo, avvenuto tra 14.500 e 9.000 anni fa. Non è quindi escluso che, almeno i cerchi più antichi, siano stati soggetti ad uno smottamento della collina originale, forse a causa delle forti piogge dovute al disgelo. La stessa sorte sembra essere accaduta agli altri “insediamenti gemelli” vicini a Göbekli Tepe. Ma per ora non ci sono certezze.
Alcune conclusioni Quello che resta di Göbekli Tepe è sufficiente per cambiare molte delle nostre convinzioni. Quello che solo pochi anni fa sembrava “fantaarcheologia”, ora è una realtà come minimo plausibile, se non addirittura probabile. È ormai provato che almeno alcuni gruppi di uomini che noi
consideravamo “dell’età della pietra” non erano degli stupidi cavernicoli capaci soltanto di cacciare, ma erano molto più simili di quanto potevamo immaginare all’uomo moderno. Erano in grado di ricavare dalla roccia pilastri levigati dal peso di diverse tonnellate. Erano capaci di trasportarli e di erigerli sia come elementi architettonici che a scopo ornamentale. Avevano evidentemente buone capacità ingegneristiche, considerando il tempo in cui vivevano. Inoltre, sicuramente non vivevano in piccoli gruppetti totalmente indipendenti, come si pensava negli anni passati. Per realizzare una struttura come Göbekli Tepe e i vari siti vicini serve il lavoro congiunto di almeno 500 uomini robusti, a cui si aggiungono mogli, figli, anziani, gente che raccoglie e prepara il cibo per tutti, e tutto questo per diverso tempo. Parliamo quindi della collaborazione di alcune migliaia di persone. Gli homo Sapiens che costruirono Göbekli Tepe e le altre strutture simili nelle vicinanze, vivevano in gruppi numerosi comunicanti tra loro. Questo presuppone che avessero una struttura sociale complessa. Inoltre, non vivevano necessariamente in capanne, ma erano perfettamente in grado di costruire solide abitazioni in pietra. Avevano una capacità artistica estremamente sviluppata, ed iniziavano ad usare simboli che si sarebbero poi potuti evolvere in una sorta di scrittura geroglifica. Tecnicamente, quindi, erano sul punto di fondare una civiltà. (Ammesso che le rovine di Göbekli Tepe non siano i resti di un tentativo di ricostruzione di una civiltà precedente, distrutta dallo Younger Dryas. Ma attualmente non esistono prove per affermarlo). Finché tutti i siti attorno a Göbekli Tepe non verranno localizzati, trovati e dissotterrati, non ci potrà essere una risposta definitiva alla domanda: quanto era antica questa cultura? A questo punto potrebbero esistere dei siti simili ma molto più antichi di quello di Göbekli Tepe, e nessuno si sorprenderebbe più di tanto se venissero scoperti. Infatti, la statuetta dell’uomo-leone ritrovata in Germania, nella caverna di Hohlenstein-Stadel, è per molti versi sorprendentemente simile allo stile e alle capacità artistiche espresse dai costruttori di Göbekli Tepe. Ricordiamo che quella statuetta ha quasi 40.000 anni. Per l’archeologia ufficiale, quindi, la scoperta di Göbekli Tepe e lo studio dei suoi resti è stato come aver scoperto che un fantasma esiste realmente. Le
strutture di Göbekli Tepe non sarebbero dovute esistere. Ovviamente gli attrezzi fatti di selce a disposizione degli umani di quel tempo potevano intagliare la tenera roccia calcarea dei blocchi di Göbekli Tepe. Dal punto di vista fisico ciò è perfettamente possibile. Ma è anche vero che, dal punto di vista fisico, un temperino in acciaio può intagliare un intero albero, e farne una statua. Ma quanti di noi si accingerebbero a intagliare un intero albero usando solo un temperino? Ebbene, usando semplici piccoli arnesi di selce per ricavare i loro pilastri, gli artisti di Göbekli Tepe sembra che fecero esattamente questo, e lo ripeterono per centinaia di volte (o forse migliaia), ogni volta che intagliarono uno dei blocchi che compongono le loro costruzioni. Non si compie un lavoro così impari senza avere mezzi adeguati, o un motivo imprescindibile. Noi oggi non conosciamo né i mezzi reali posseduti da quei costruttori, né il motivo per cui venne fatto questo sforzo davvero immane, che in proporzione rivaleggia senza problemi con quello che ci volle per costruire le piramidi. Gli archeologi più seri hanno iniziato ad ammettere che, evidentemente, ci siamo sbagliati, e di molto, sul definire quando ha avuto inizio la moderna civiltà umana.
6 – Misteriose presenze Prima di addentrarci nella conoscenza di alcuni racconti lasciati sulla pietra dagli abitanti di Göbekli Tepe, è utile isolare e spiegare alcuni elementi che troveremo nel corso di questa indagine. Spesso, in molti documentari, gli umani vissuti circa 50.000 anni fa ci vengono presentati sostanzialmente come uomini delle caverne, incapaci di scrivere, incapaci di costruire attrezzi complessi, poco più di scimmie senza pelo. Ma è davvero così? L’homo di Neanderthal, che secondo le ultime scoperte è stata una variazione dell’homo Sapiens, è vissuto tra i 200.000 e i 40.000 anni fa circa (alcuni si spingono a dire fino a 20.000 anni fa). Questa specie umana così antica, che livello di progresso aveva raggiunto? Nel volume 3 della serie “Cassandra” abbiamo scritto: “Come l’homo Sapiens, anche i Neanderthal avevano sviluppato la musica, visto che erano in grado di creare dei flauti usando alcune ossa lunghe su cui applicavano dei fori. Di questi ´flauti dei Neanderthal´ è stato ritrovato un esemplare, che viene chiamato il ´flauto di Divje Babe´, dal nome del sito archeologico in cui è stato ritrovato. È costituito dal femore di un orso delle caverne, su cui sono stati applicati alcuni fori praticati in maniera estremamente precisa. Questo osso ha circa 55.000 anni, e lo strumento realizzato da esso dovrebbe avere circa la stessa età (non tutti sono d’accordo che si tratti di un flauto, ma attualmente questa è la sua designazione ufficiale: flauto neandertaliano). Non bisogna sottovalutare il ritrovamento di questo flauto, né considerarlo un reperto archeologico ´come tanti´. Per creare uno strumento a fiato complesso, come un flauto provvisto di fori, vuol dire che chi lo ha realizzato doveva avere qualche tipo di nozione musicale, e come minimo aveva il concetto delle note musicali. Infatti, solo se si possiede il concetto delle note musicali si può creare uno strumento che, tramite dei fori, può riprodurle. E se ci sono delle note musicali, è certo che esisteva un qualche tipo di musica da riprodurre, dopo averla canticchiata per qualche tempo.
Ma questo non basta. Gli strumenti musicali a fiato più antichi, di solito, emettono un solo suono. Un esempio classico è lo Didgeridoo degli aborigeni australiani, una specie di grossa canna cava sprovvista di fori, capace di emettere un solo tipo di suono. Il secondo passo, di solito, è la costruzione del ´Flauto di pan´. Si tratta di un insieme di canne sprovviste di fori, ognuna capace di emettere un solo suono, ciascuna tagliata in maniera diversa, in modo che ogni canna produca un suono di una altezza diversa. Affiancate l’una all’altra, le varie canne del ´Flauto di pan´ permettono di suonare varie note. La costruzione di un flauto con i fori, in cui con un’unica canna si possono modulare vari suoni chiudendo in maniera alternata i fori, rappresenta una evoluzione musicale enorme rispetto al Didgeridoo e al ´Flauto di pan´. Si tratta a tutti gli effetti di uno strumento moderno, che richiede alle sue spalle un notevole sviluppo musicale per un notevole periodo di tempo. Senza avere una certa conoscenza musicale alle spalle, uno strumento del genere non si potrebbe nemmeno concepire. Da ultimo, ricavare un flauto da un osso non è uno scherzo per nessuno, nemmeno per un moderno liutaio. Che umani di 55.000 anni fa avessero la conoscenza musicale e la capacità tecnica per realizzare un flauto con i fori ricavato da un osso, è quasi come vedere un aereo volare mentre c’erano i dinosauri. Ma non è finita qui. Come tutti gli storici della musica sanno, in ogni cultura i primi strumenti a comparire sono sempre le percussioni, visto che sono i più intuitivi e i più facili da realizzare. Se i Neanderthal erano arrivati a creare flauti con i fori, allora quei flauti erano accompagnati da diversi altri strumenti musicali, a partire dalle percussioni. Di “uomo della pietra”, in questo caso, non ci sarebbe assolutamente nulla. La musica nel genere umano è sempre stata legata indissolubilmente a qualche tipo di cultura. Che i Neanderthal, piuttosto che essere degli “uomini della pietra” fossero dei veri artisti lo dimostrano i loro dipinti murali. In Spagna hanno ritrovato dei dipinti rupestri appartenenti ai Neanderthal, risalenti ad almeno 64.000 anni fa, ossia 20.000 anni prima dei più antichi dipinti attribuiti all'homo Sapiens. Gruppi di animali, punti, figure geometriche e impronte delle mani, dipinti in ocra e nero, compongono dei quadri di rara bellezza. I Neanderthal, quindi, sapevano esprimersi usando la pittura con grande maestria.
L’homo di Neanderthal era anche uno scultore. Erano infatti in grado di scolpire statuette, come la “Venere di Willendorf”, scolpita in pietra calcarea oolitica e dipinta in ocra rossa, risalente al 23.000 a.C. I Neanderthal avevano anche un gusto estetico raffinato: usavano fabbricare indumenti decorativi usando piume di uccelli particolarmente belle. Erano in grado di creare coltelli di selce affilati e senza manico per tagliare la carne. Avevano realizzato dei “denticolati”, i precursori delle moderne seghe “a dente”. Erano in grado di costruire asce di selce. Recenti scoperte dell’uso di “ocra rossa” da parte dei Neanderthal sembrerebbe indicare che praticassero dei riti, e che quindi potessero credere in qualche sorta di divinità. Man mano che la conoscenza sull’homo di Neanderthal progredisce, ci si meraviglia come fino a pochi anni fa venisse considerato da molti studiosi qualcosa di più simile ad una scimmia che ad un umano, forse solo per il fisico un po' più tozzo del nostro. Il suo senso artistico ed estetico era talmente spiccato che si fa davvero fatica a pensare che sia esistito circa 60.000 anni fa. Un senso artistico di quel livello, di solito, presuppone l’esistenza di una civiltà”. Se i nostri “cugini” Neanderthal si erano sviluppati in quel modo già decine di migliaia di anni fa, non c’è ragione per ritenere che noi siamo stati diversi. Anzi, molti ritrovamenti confermano tutto questo. Secondo diversi studiosi, a partire da circa 50.000 anni fa, e quindi dopo la fine del “collo di bottiglia genetico” causato secondo alcuni dall’esplosione del supervulcano Toba, gli homo Sapiens conobbero una vera e propria “esplosione” nelle loro capacità cognitive. E man mano che si cerca in giro per il mondo, si trovano dipinti rupestri sempre più antichi che dimostrano che la capacità espressiva dell’homo Sapiens era già molto evoluta in tempi antichissimi. Ma questa enorme capacità espressiva rivela anche una profondità di pensieri e di sentimenti che fino a poco tempo fa era completamente ignorata. Tra questi sentimenti c’era sin dai tempi antichi il desiderio di entrare in contatto con un mondo diverso dal quotidiano.
Teriomorfismo Tra le espressioni antiche della creatività umana, alcune opere ritrovate lasciano perplessi gli studiosi. Ad esempio, nel 2017, gli archeologi Maxim Aubert e Adam Brumm, della Griffith University di Brisbane, in Australia,
hanno fatto una sensazionale scoperta nell’isola di Sulawesi, in Indonesia. (La stessa isola da cui provengono i Patung, le Kalambas, e il popolo di Sundaland). Il ritrovamento consiste in una parete ampia circa 4,5 metri all’interno di una caverna, raffigurante una scena di caccia. In questa scena si vedono sei animali fuggire via. Due animali sembrano essere la raffigurazione di due babirussa, una specie di cinghiali che vivono solo nell’isola di Sulawesi. Gli altri quattro animali hanno una forma che ricordano degli Anoa, una specie di bufalo che vive anche lui nell’isola di Sulawesi. Questi sei animali vengono cacciati da otto esseri in parte umani e in parte animaleschi, armati di lance e forse corde. I cacciatori sono estremamente piccoli rispetto alle loro prede. Diversi archeologi sono concordi nel dire che non si tratta solo di un dipinto, ma del primo tentativo conosciuto di creare una storia raccontata in scene. Se così fosse, sarebbe la prima raffigurazione di un racconto disegnato nella storia dell’uomo. Sicuramente, almeno per ora, in quella parete è raffigurata la prima scena teriantropica della storia umana. Infatti, nel dipinto si fa un diretto richiamo al teriomorfismo, in quanto gli esseri umani raffigurati hanno alcune sembianze chiaramente riconducibili ad alcuni animali. Un cacciatore ha il corpo umano e la testa di un uccello, e un altro sembra avere una coda. Analizzando con il sistema del decadimento radioattivo gli elementi organici utilizzati per dipingere la scena, i ricercatori hanno stabilito che quella “storia disegnata” ha circa 44.000 anni. Non è comunque l’incisione umana più antica della storia. Questo “record” appartiene all’incisione di un pezzo di silice ritrovato in una caverna a Blombos Cave, in Sud Africa. Quella incisione risale a 73.000 anni fa. Nonostante questo, il dipinto di Sulawesi è finora la storia dipinta più antica mai ritrovata, e il primo chiaro segno di teriomorfismo della storia. I cacciatori raffigurati nella caverna dell’isola di Sulawesi ricordano le antiche divinità egizie, che venivano descritte in parte umane e in parte animali (in particolare era quasi sempre la testa ad avere sembianze non umane). La stessa descrizione di esseri con parti del corpo “animali”, indicati chiaramente come “esseri celesti”, è contenuta anche in alcune parti della Bibbia. Infatti, nella famosa visione di Ezechiele (considerata da molti il racconto dell’incontro di un ebreo del passato con visitatori alieni) descrive
questi “angeli” o “visitatori” come aventi un corpo umano e la testa e i piedi di un toro. In aggiunta lo scrittore dice che avevano delle ali. (Si può confrontare il primo capitolo del libro di Ezechiele). Gli archeologi scartano l’idea che i cacciatori raffigurati in quella scena indossassero delle maschere o altri ornamenti che li rendessero simili agli animali per la caccia. Secondo loro, travestirsi da piccoli animali non sarebbe stato di aiuto ai cacciatori. Secondo gli archeologi queste figure rappresentano degli ibridi tra animali e umani, e quindi raffigurano esseri “mitologici”.
Non sarebbe la prima volta che gli archeologi si imbattono in qualcosa di simile. Ad esempio, in Germania, nella caverna di Hohlenstein-Stadel , nel 1939 venne scoperta una piccola statuetta in avorio, alta circa 31 centimetri. La statuetta risale addirittura al 40.000 a.C., ed è probabilmente una delle
sculture più antiche del mondo. La statuetta è chiamata “l’uomo leone”, a causa del fatto che viene raffigurato un essere umano con la testa di un leone. Un’altra immagine teriantropica antichissima. Anche nella “Grotte de Lascaux”, in Francia, è stata ritrovata una parete dipinta risalente ad almeno 17.000 anni fa, se non di più. Tra le varie scene di animali, una ha lasciato davvero sconcertati gli archeologi. Si vede chiaramente un essere umano con la testa di un uccello, itifallico, cadere a terra sventrato, al lato di un bufalo. Al suo lato c’è uno strano oggetto, come una lunga asta con in cima un volatile. Una specie di reticolato spinato delimita la scena. Un’altra immagine teriantropica. Notiamo quindi un modo comune di raffigurare esseri “provenienti da fuori” o “mitologici”, che va dai territori della Francia alla Turchia, da 17.000 fino ad almeno 44.000 anni fa. Come spiegare una simile “omogeneità” nello spazio e nel tempo? Il teriomorfismo divenne presso gli egiziani il modo consueto con cui rappresentare le divinità. Ad esempio, il dio Horus viene raffigurato con la testa di un falco, Thot ha la testa di un ibis, Anubis ha la testa di uno sciacallo, Tefntu ha la testa di una leonessa, e così via. Che senso hanno queste figure teriantropiche, questi disegni di esseri umani raffigurati con la testa di animale, ritrovati disegnati nelle caverne e risalenti a 44.000 anni fa? Sono davvero una testimonianza che gli uomini di 44.000 anni fa avevano già elaborato le proprie divinità, e pensavano che queste vivessero insieme a loro, partecipando per esempio alle loro battute di caccia? Se la risposta a questa domanda fosse un “Sì”, questo sarebbe il primo caso documentato della storia umana in cui esseri umani raffigurano sulla roccia un “concetto”, ossia qualcosa di “irreale” o “intangibile” trasportato nella vita reale. (Infatti, se quelle entità non fossero esistite, esse avrebbero rappresentato un “concetto astratto” implementato in un contesto reale, una scena di caccia). Ma questa conclusione, secondo cui gli homo Sapiens di 44.000 anni fa non solo avevano dei concetti astratti, ma erano in grado di rappresentarli in maniera artistica, rivoluzionerebbe la storia dell’età della pietra. Renderebbe quegli uomini antichi estremamente moderni, molto simili a noi. Infatti, quei dipinti non sarebbero molto diversi dalla “Cappella Sistina”, dove Michelangelo disegnò diverse scene che racchiudevano un concetto, la “religione cristiana”.
Oppure quelle figure mitologiche sono state solo un tentativo di rappresentare razionalmente qualcosa che gli antichi homo Sapiens non riuscivano a capire? È possibile che quegli esseri mitologici siano solo la raffigurazione di esseri dall’aspetto umano che apparivano agli antichi homo Sapiens delle divinità, e per questo li disegnavano in maniera diversa, facendo appello alla loro fantasia? In questo caso quei disegni raffiguravano semplicemente la quotidianità della vita di allora, e descrivevano un periodo in cui esseri “non umani” avevano visitato gli homo Sapiens di quell’epoca? Una cosa è certa: sia che gli umani di 44.000 anni fa avessero già le loro “divinità” immaginarie, o sia che queste “divinità” fossero la raffigurazione di esseri antropomorfi non appartenenti a quel luogo o a quel tempo, la loro presenza in quei dipinti così antichi cambia profondamente la concezione che noi abbiamo dei nostri antenati della preistoria. In un periodo immediatamente successivo al “collo di bottiglia genetico” conclusosi 50.000 anni fa, i loro pensieri erano già rivolti a esseri “non umani”, sia che fossero oggetto della loro fantasia, sia che fossero loro graditi ospiti. Il libro “Oltre l’orizzonte del tempo - Cassandra 1” dice: “Specialmente durante la Seconda Guerra Mondiale, alcune popolazioni che erano vissute nell’isolamento quasi totale, vennero in contatto con la civiltà moderna. Alcune di queste popolazioni si trovarono, non per loro scelta, vicino alle basi militari di alcune fazioni in lotta. Nello sforzo di rifornire le basi militari poste in questi territori, che non erano raggiungibili via terra o via mare, aerei cargo distribuirono cibo, generi di prima necessità e altre attrezzature effettuando lanci col paracadute. Inevitabilmente, per vari motivi, parte di questi rifornimenti finirono nelle mani degli indigeni, che videro letteralmente cibo ed altre cose utili piovere dal cielo, sotto forma di sacchi o scatolame vario lanciato dagli aerei. Questa era una situazione che faceva molto piacere agli indigeni, che ricevevano cibo e attrezzatura varia gratuitamente. Cosa accadde quando, a guerra finita, i lanci terminarono, e i cargo non arrivarono più in quelle zone? In diversi casi si svilupparono vere e proprie forme di culto per propiziare il ritorno dei cargo attraverso diversi rituali. Vennero creati dei simulacri a forma di aereo. Alcuni indigeni che avevano fatto da guida ai soldati, e che avevano visto le piste di atterraggio degli aerei, “mimarono” le manovre che il personale a
terra eseguiva per indirizzare gli aerei verso l’atterraggio. Altri accesero fuochi di segnalazione, e così via. In breve, queste gestualità divennero dei riti che si mischiarono ad altre credenze antiche possedute dagli indigeni, creando di fatto una nuova religione. C’è voluto davvero poco per trasformare dei semplici esseri umani, perfino degli aerei, in delle sorte di divinità. Il tutto in un brevissimo arco di tempo, solo alcuni anni”. Dei semplici uomini che volavano su degli aerei vennero considerati divinità solo per aver lanciato qualche scatola di cibo e poco altro ad una popolazione più arretrata dal punto di vista tecnologico. Questo può essersi ripetuto anche per esseri simili agli umani ma che venivano “da fuori”? Ne parleremo ancora.
Il fattore religione L’importanza culturale di Göbekli Tepe, probabilmente, è addirittura superiore alla sua valenza archeologica. Fino a questo ritrovamento, si pensava che dall’epoca della sua comparsa, ossia circa 200.000 anni fa, fino a grossomodo alla fondazione della civiltà sumera nel 5.000 a.C., l’homo Sapiens fosse stato sostanzialmente un cacciatore-raccoglitore nomade. Si pensava che successivamente, con la scoperta graduale delle tecniche dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, l’homo Sapiens divenne gradualmente sedentario, e abbia costruito i primi insediamenti umani, che col tempo divennero città. Il concetto di “Dio”, in questo schema, è successivo all’inizio della civiltà. Secondo gli antropologi l’idea di Dio è stata sostanzialmente una invenzione umana elaborata quando, al sicuro dentro le loro città, gli homo Sapiens ebbero il tempo di farsi domande su sé stessi e sul mondo. Ma tra i resti del cibo consumato all’interno di Göbekli Tepe non è stata ritrovata alcuna traccia di carne proveniente da animali da allevamento. Sono stati trovati abbondanti resti di carne consumata sul posto, ma si trattava esclusivamente di selvaggina. Questo vuol dire che la gente che frequentava Göbekli Tepe non allevava animali, ma erano cacciatori. Inoltre, non è stato ritrovato nulla che indichi che i frequentatori di Göbekli Tepe fossero degli agricoltori. Gli unici cereali ritrovati erano selvatici. Le evidenze dimostrano che erano dei cacciatori-raccoglitori.
Anche tutti coloro che, ancora prima degli abitanti di Göbekli Tepe, dipinsero esseri “non umani” o “divinità con la testa di animale” sulle pareti delle caverne in Indonesia, erano “solo” dei cacciatori. Ciononostante, come abbiamo visto precedentemente, è più che evidente che il concetto di esseri “non umani”, e quindi “esseri superiori”, era chiaramente presente nella loro mente, al punto che venivano rappresentati nella vita di tutti i giorni, addirittura in scene di caccia. Questa affermazione mette in crisi l’idea che solo gli agricoltori-allevatori fossero stati in grado di partorire il concetto di Dio, che poi si diffuse nel mondo. Questo dato di fatto, innegabile, è un vero terremoto per l’antropologia. Se Göbekli Tepe fosse, tra le altre cose, un centro religioso, come sostiene la quasi totalità degli archeologi, questa sarebbe la prova che il concetto di “divinità”, da cui poi deriva il concetto di religione, non è un prodotto dell’urbanizzazione umana. Sarebbe piuttosto vero il contrario. Gli umani avrebbero in qualche modo “visto” o “concepito” l’esistenza delle divinità, e per venerarle avrebbero costruito dei centri di culto. Per essere più vicini a questi “centri sacri”, simili a Göbekli Tepe, gli uomini antichi avrebbero quindi iniziato ad “urbanizzarsi”, dando vita nei secoli e nei millenni a villaggi e poi a città costruiti attorno ai “centri sacri”. In questo nuovo schema, l’agricoltura e l’allevamento del bestiame sarebbero solo delle soluzioni pensate per sfamare un gran numero di persone che si concentravano in spazi sempre più stretti per motivi fondamentalmente religiosi, almeno nella fase iniziale. (Ovviamente parliamo del fenomeno dell’urbanizzazione collegato alla nostra civilizzazione più recente. Se prima dello Younger Dryas, si erano sviluppate delle città che poi sono state distrutte, quel fenomeno di urbanizzazione può essere stato legato ad altri motivi). Se le cose stanno così, questa “svolta” non è avvenuta nel 5.000 a.C. come si pensava. Qui ci troviamo come minimo nel 9.500 a.C., e tutto lascia pensare che la comunità che ha costruito Göbekli Tepe sia di migliaia di anni più antica di quelle costruzioni. Le prime scene teriantropiche, infatti, sono di circa 30.000 anni più antiche, risalenti ad almeno 45.000 anni fa. Come abbiamo detto più volte, Göbekli Tepe ridisegna la nostra preistoria.
7 – I due monoliti Secondo diversi archeologi, i due monoliti centrali a forma di T, situati al centro delle strutture circolari di Göbekli Tepe, sono probabilmente “la chiave” per interpretare l’intero sito, e altri siti simili che si trovano nei paraggi. Finora il loro reale significato resta un mistero. Passiamo quindi ad analizzare i monoliti presenti nel cosiddetto “recinto D”. Questi due monoliti sono alti poco meno di 6 metri, spessi circa 30 centimetri e larghi circa 140 centimetri. Moltiplicando il loro volume per il peso della pietra con cui sono stati realizzati, si stima che debbano pesare circa 15 - 20 tonnellate. La testata del monolite è più larga del resto del corpo, per cui mostra la tipica forma a “T” del resto dei pilastri che si trovano a Göbekli Tepe. I due monoliti al centro dei cerchi di pietra sono gli unici ad avere una base su cui incastrarsi, e possono quindi reggersi in piedi da soli, senza doversi appoggiare ad alcun muro. La prima “stranezza” dei monoliti risiede proprio nella loro forma e nella loro posizione. Se fossero stati solo dei pilastri usati per uno scopo puramente edilizio, avrebbero avuto una pianta quasi quadrangolare e sarebbero stati incastrati al suolo. Invece il sistema di mettere una base al pavimento su cui incastrare i monoliti li rende molto “mobili”. Non è affatto detto, quindi, che abbiano occupato sempre quella posizione. Inoltre, la loro forma sottile e allungata li rende molto più simili a delle stele che a degli elementi architettonici. La differenza tra una stele ed un pilastro risiede fondamentalmente nella forma e nello scopo per cui viene costruito. La stele, con un lato largo e uno molto corto, nasce con il preciso scopo di essere incisa. Il pilastro invece, di solito è solo un elemento architettonico. Quindi questi due monoliti, che hanno la forma di una stele, sono stati creati con il preciso scopo di rappresentare qualcosa. Solo come seconda funzione probabilmente aiutavano a reggere un tetto molto leggero in legno.
C’è un secondo aspetto a cui prestare attenzione. Chiediamoci: si tratta forse di due statue? La risposta è: “No!”. Nelle immediate vicinanze di Göbekli Tepe è stata ritrovata la statua nota come “Adamo di Urfa”, o “Statua di Balıklıgöl”. Secondo gli archeologi la statua ha almeno 11.000 anni. È alta 1,90 metri e ritrae in maniera piuttosto realistica le fattezze di un essere umano. Altri scavi effettuati nelle vicinanze hanno dimostrato che i costruttori di questo sito erano perfettamente in grado di creare sculture umane abbastanza realistiche. Inoltre, il sito di Göbekli Tepe è pieno di statue e sculture di animali realizzate con grande realismo. È quindi chiaro che se i costruttori di Göbekli Tepe avessero voluto realizzare due idoli a forma umana, sarebbero stati perfettamente in grado di farlo. Evidentemente i due monoliti non dovevano rappresentare due esseri umani, ragion per cui non hanno fattezze umane.
Una prima ipotesi Perché i due monoliti sono stati creati in questo modo? La prima possibilità è che quelle due stele sono molto più antiche di Göbekli Tepe. Infatti, se questi due monoliti fossero una raffigurazione molto elementare di due esseri umani, probabilmente questi blocchi di roccia potrebbero avere anche 120.000 anni. Perché? Le due figure sono state scolpite a petto nudo, e con le gambe scoperte. Sono in effetti nude, ad eccezione di un perizoma che copre le loro parti intime. Se i monoliti rappresentassero esseri umani, questo indicherebbe che sono stati realizzati quando il clima era piuttosto caldo. Questo indica che le due statue possono provenire o da un luogo caldo, o da
un periodo caldo. L’esame del radiocarbonio ci dice che Göbekli Tepe è stata costruita circa 12.000 anni fa, alcuni secoli dopo l’inizio dello Younger Dryas, che si verificò circa 12.800 anni fa. In quel periodo faceva troppo freddo a qualsiasi latitudine per poter andare in giro nudi. Questo vuol dire che i due monoliti sono stati scolpiti necessariamente in un tempo precedente, quando la temperatura era più calda. Oppure, in un luogo differente. Se le statue provenivano da un “luogo caldo”, allora sono state scolpite molto lontano dai monti della Turchia, e sono un dono di gente venuta dai caldi mari dei tropici. Sundaland? È una seria possibilità. Infatti, come vedremo in seguito, questa che sembra essere una provocazione, può avere una base consistente su cui poggiare. Se viceversa i monoliti sono un “prodotto locale”, allora la loro realizzazione va spostata di molto indietro nel tempo. Volendo riassumere a grandi linee quello che è accaduto dal punto di vista climatico, circa 115.000 anni fa è iniziata l’ultima era glaciale. Questa si è conclusa bruscamente circa 14.500 anni fa. Da quel periodo in poi un “caldo relativo” si è fatto sentire, provocando il disgelo nel Nord Europa e successivamente nell’Emisfero Sud. La temperatura media globale è aumentata tra i 7 e i 14 gradi centigradi. Ma come si nota dalla tabella delle temperature, il periodo di caldo non è stato prolungato. Tutt’altro. Dopo un innalzamento improvviso delle temperature circa 14.500 anni fa, in poco tempo queste hanno iniziato a scendere altrettanto bruscamente.
Successivamente, circa 12.800 anni fa, è addirittura tornata una mini era glaciale, chiamata Younger Dryas, che è durata per diversi secoli, e che ha riportato la temperatura a livelli dell’era glaciale precedente. La temperatura è poi risalita tra gli 11.000 e i 10.000 anni fa, per poi non scendere più. Da questo si comprende che i due periodi in cui la gente andava in giro con solo i perizomi, prima della costruzione di Göbekli Tepe, è il periodo di tempo compreso tra 14.000 e 14.500 anni fa, o quello precedente a 115.000 anni fa. Solo in questi due periodi di tempo la descrizione dei monoliti poteva avere un senso. Ovviamente non possiamo essere dogmatici, visto che potevano esistere delle forme di “micro-clima” particolari. Ma, in linea generale, è davvero difficile pensare che nel periodo in cui venne costruita Göbekli Tepe sulle colline della Turchia, durante il gelo portato dallo Younger Dryas, la gente se ne andasse in giro con i perizomi. Ovviamente potrebbe esistere la possibilità che i monoliti fossero contemporanei a Göbekli Tepe, ma che ritraessero umani dei tempi in cui faceva caldo. Ma affinché questo sia possibile, ci dovrebbero essere altri “monoliti” da cui “copiare” il soggetto, visto che diversamente non si sarebbe preservata la memoria dei “tempi in cui faceva caldo”. Ma questi altri monoliti non sono ancora stati ritrovati.
Una seconda ipotesi L’osservazione sulla nudità dei due monoliti pone chiaramente la loro realizzazione in un periodo di tempo decisamente caldo (che non può essere certo l’era glaciale o lo Younger Dryas). Dal punto di vista artistico, invece, è probabile che gli scultori originali di Göbekli Tepe non fossero del tutto privi di capacità artistiche. Infatti, anche se tutto il monolite sembra molto “spartano”, e fortemente stilizzato, questo non è vero per alcuni dettagli. Ad esempio, la cintura che avvolge entrambe i monoliti al fianco, è estremamente accurata. Si vede chiaramente che si tratta di due perizomi ricavati dalla pelle di un animale, e si notano anche le zampette e la coda dell’animale ucciso e scuoiato. La cintura di uno dei due monoliti riporta raffigurazioni molto precise. Anche le raffigurazioni sulla parte frontale della testata del monolite, e una sulla parte laterale, conservano un tratto estremamente nitido e preciso. È evidente che questi dettagli sono stati realizzati da artisti abili nel loro lavoro, che sapevano lavorare di precisione. Sembra quindi evidente che i due monoliti non sono stati realizzati da artisti che non erano in grado di fare di meglio. Piuttosto, gli artisti che li hanno creati avevano in mente di realizzare proprio quello che tutti vediamo, ossia due monoliti con vaghe fattezze umane. I due monoliti rappresenterebbero quindi due esseri non umani (infatti la loro forma non ha nulla di umano), che però hanno alcuni elementi umanoidi (le braccia, le mani, e il perizoma). Il fatto che questi monoliti occupassero il posto più onorevole del sito, al centro dei recinti di pietra, vuol dire che gli abitanti di Göbekli Tepe li stavano quasi divinizzando. Anche secondo le dichiarazioni del defunto archeologo Klaus Smith, i due blocchi giganti con caratteristiche antropomorfe che si trovano al centro dei cerchi di Göbekli Tepe, non raffigurano semplici esseri umani. Secondo il noto archeologo, il fatto che il loro volto non sia stato scolpito indica che quelle statue stilizzate rappresentavano esseri che “vengono dal di fuori”. Che questo “dal di fuori” sia un posto della psiche umana, del sentimento religioso, o una remota regione dello spazio, è tutto da stabilire. Una ipotesi, al momento, vale l’altra. Non si può quindi eludere la domanda: chi erano i “monoliti senza volto”, che col tempo vennero divinizzati dagli abitanti di Göbekli Tepe? Erano una rappresentazione dei loro defunti, come dicono alcuni? Erano semplici umani
che si proclamavano superiori agli animali, come dicono altri? Erano il parto della fantasia di quei cacciatori, che avevano iniziato ad immaginare “in un tempo molto precoce” degli esseri superiori a loro stessi? O erano il ricordo di un popolo con cui erano venuti in contatto nel loro passato, e che loro consideravano superiori? O addirittura erano esseri provenienti dallo spazio? Continuiamo questa analisi per capirlo.
Senza volto Un aspetto comune ai due monoliti antropomorfi è che sono stati scolpiti volontariamente senza volto (o, secondo altri, senza testa). Cosa può voler dire questo? Va detto che a Göbekli Tepe non è stato ritrovato nessun tipo di scheletro umano, tanto meno uno scheletro senza testa. Ma, se la gente non risiedeva in gran numero a Göbekli Tepe (come sembrano indicare diverse prove), allora vuol dire che i costruttori venivano da qualche altra parte. In alcuni degli insediamenti umani situati nelle vicinanze, e con una età che si avvicina molto a quella di Göbekli Tepe (ne parleremo meglio in seguito), gli archeologi hanno riscontrato un antico rituale che veniva praticato da queste popolazioni. Quando qualcuno moriva, veniva seppellito dai suoi cari nella stessa abitazione dove aveva vissuto da vivo. Qualche tempo dopo aver inumato il cadavere di un defunto, questo veniva riesumato e gli veniva amputata la testa. Visto che erano i familiari dei defunti che si preoccupavano di questi rituali, è assai improbabile che questo gesto avesse qualcosa di dispregiativo o negativo. Probabilmente era un rituale che, nella mente dei consanguinei sopravvissuti, dava onore e potere al defunto. In qualche modo lo avvicinava “alle divinità”. Quindi ritrarre degli umani senza volto equivaleva a dargli onore, come se si trattasse di un semidio. Ma, a ben guardare, gli abitanti di Göbekli Tepe non erano gli unici a pensarla così. Tanto per fare un esempio, secondo il libro di Esodo, quando Mosè scese dal monte Sinai, dopo aver ricevuto la Legge, il suo viso non era più visibile, perché “emetteva raggi” (vedi Esodo 34:35). Quindi gli israeliti riconobbero Mosè solo attraverso i suoi abiti, visto che non potevano discernere il volto. Anche per loro, in quel momento, Mosè non aveva alcun volto. Se, per assurdo, gli artisti di Göbekli Tepe avessero scolpito il volto di Mosè in quel momento, lo avrebbero sicuramente realizzato senza alcun
lineamento. Sarebbe stato un “uomo senza testa” o “senza volto”. Anche nei vangeli viene detto che nel momento della “trasfigurazione”, quando Gesù manifestò il suo lato celeste, il suo volto non era più visibile, perché divenne luminoso come il Sole. (Vedi Matteo 17:1-8; Marco 9:2-8 e Luca 9:28-36). Dal punto di vista degli artisti di Göbekli Tepe, anche lui era un “uomo senza volto”. Un viso simile (ma con due occhi grandi) compare anche nelle raffigurazioni dei Nasca, in Sud America. In quel caso l’essere antropomorfo viene chiamato dai commentatori “l’astronauta”. In diversi luoghi e in diverse epoche, quindi, l’assenza del volto o della testa in esseri antropomorfi viene collegata al “super-umano”, a cose celesti. Non c’è nessuna ragione per cui Göbekli Tepe debba fare eccezione. Quindi l’assenza del volto nei due monoliti rappresenta qualcosa di non umano, di celeste, più vicino allo spazio che alla Terra. I due monoliti su cui vengono incise poche ma chiare fattezze umane, sembrano essere una sorta di “memoriale” o “ricordo”, di qualcosa o di qualcuno.
Il monolite “A” Continuando ad esaminare l’aspetto dei monoliti, ci rendiamo conto che, anche se molto simili tra loro, i due pilastri non sono identici. Ci sono infatti delle diversità. Per semplificare, chiameremo i due monoliti attribuendo loro la lettera A e B. Il basamento del monolite B contiene le sculture di una serie di uccelli, che invece mancano al monolite A. Entrambi i monoliti hanno scolpito una specie di “perizoma” attorno ai fianchi, ma quella del monolite B è piena di simboli che possono rappresentare ideogrammi, o una sorta di proto-scrittura. Questa simbologia manca sul monolite A.
Nel monolite A, nella zona che dovrebbe corrispondere al collo (o alla testa secondo altri) si trova la raffigurazione stilizzata della testa di un “Bos taurus primigenius”, in italiano “Uro”. Si tratta dell’antenato del bue odierno. Giulio Cesare scrisse di questi animali nella Guerra gallica al capitolo 6,28, dicendo: “[Gli uri] sono leggermente più piccoli degli elefanti, assomigliano ai tori per aspetto, colore e forma. Sono molto forti, estremamente veloci, non risparmiano né uomini, né animali che abbiano scorto. I Germani si danno molto da fare per catturarli per mezzo di fosse, e poi li uccidono: i giovani si temprano e si esercitano in queste fatiche e genere di cacce. Chi ha ucciso diversi uri, ne espone le corna pubblicamente, a testimonianza della sua impresa, ricevendo grandi elogi. Non si riesce ad abituare gli uri alla presenza degli uomini, né ad addomesticarli, neppure se catturati da piccoli. Le corna, per ampiezza, forma e aspetto, sono molto diverse da quelle dei nostri buoi. Sono un pezzo molto ricercato, le guarniscono d'argento negli orli e le usano come coppe nei banchetti più sontuosi”. Come abbiamo letto, gli uri erano noti per la loro incredibile potenza e per il
loro temperamento molto aggressivo. Nelle culture antiche ucciderne uno era visto come un grande atto di coraggio. Il simbolo dell’uro è presente su diverse incisioni di Göbekli Tepe, come anche negli insediamenti vicini che furono costruiti fino a 3000 anni dopo. Da essere simbolo di forza e coraggio, probabilmente il teschio dell’uro col tempo divenne una sorta di divinità. Perfino la Bibbia (dove l’uro è chiamato re'em) associa questo animale ai Cherubini e a Dio stesso. Pur identificandolo con il termine “šō·wr”, applicato di solito al toro comune, in Ezechiele 1:10 gli esseri celesti chiamati “cherubini” hanno una faccia da toro, o potremmo dire, da uro. Anche l’apostolo Giovanni, secoli dopo, attorno all’altare di Dio vide una creatura celeste con la testa di toro (vedi Apocalisse 4:7). Il monolite A, con il simbolo dell’uro sul suo collo, può quindi ben rappresentare un essere “che veniva dal di fuori”, ritenuto molto potente e molto coraggioso. Come vedremo analizzando alcune stele, due esseri “che venivano dal di fuori” sono descritti come metà umani e metà uccello. Unendo questi simbolismi, ossia le ali, il toro, e la presenza delle sole mani in una figura non umana, sembra davvero di vedere qualcosa di molto simile al cherubino descritto in Ezechiele capitolo 1. La presenza di un perizoma su di un corpo nudo, nei popoli antichi, di solito associa quella figura al sesso maschile, come gli ebrei pensavano fossero i cherubini,
Il monolite B La base del monolite B riporta scolpita una fila di uccelli dall’aspetto piuttosto “tozzo”, dotati di un forte becco. Come spiegheremo nel dettaglio in seguito, questo tipo di uccello può raffigurare un rappresentante della famiglia dei Dromornithidae, simile allo struzzo e all’emù, che viveva solo in Australia. Poteva raggiungere i 3 metri di altezza e i 500 chilogrammi di peso. Sono descritti come delle “gigantesche oche carnivore”, vissute tra i 35.000.000 e i 20.000 anni fa. Ma su questo ci torneremo. Il punto che ora vogliamo evidenziare è che questi strani uccelli alla base del monolite possono indicare che la scultura è stata realizzata al tempo degli “uccelli feroci”. Se così fosse, il monolite non potrebbe avere meno di 20.000 – 30.000 anni. Dopo quel periodo, i soggetti da ritrarre, ossia gli “uccelli feroci”, erano estinti. Questo, quindi, è un ulteriore indizio che addita un periodo estremamente antico per la realizzazione dei due monoliti.
Simili ai Patung Entrambi i monoliti non hanno gambe, e in questo sono simili ai Patung della zona di Sundaland. Il monolite B porta sul lato destro, sotto il braccio, l’altorilievo di un cane (secondo altri è una volpe). Sembrerebbe voler dire che il cane sia stato portato, o addomesticato, da quel monolite. La separazione tra lupo e cane, e il conseguente addomesticamento del cane, risale secondo diversi studiosi a 40.000 anni fa. Se l’immagine del cane (o volpe) vicino al braccio del monolite vuole indicare che loro in qualche modo “portarono i cani”, questa è una ulteriore conferma del tempo antichissimo in cui vennero scolpiti.
Nel punto in cui si dovrebbe trovare il collo (o il viso secondo altri), questo monolite ha due strani simboli. Compare una sorta di “H” o “I” ruotata, che si trova anche sulla sua cintura, ma sembra esservi un buco al centro, fatto intenzionalmente. Sotto questa H compare un cerchio (che forse in origine era un disco a cui è stato applicato un buco), con quella che sembra essere una mezzaluna. Potrebbe essere un simbolo “sole-luna”, ma anche rappresentare qualcosa di completamente diverso. Ai due bordi rispetto al simbolo, ci sono due linee che sembrano disegnare i resti di una doppia “V”. Comparando il monolite con la statua dell’Adamo di Urfa, la raffigurazione di un uomo trovata nelle vicinanze, si vede che in quella statua la “doppia V” era situata all’altezza delle spalle e si congiungeva sul petto, come una collana. Sovrapponendo le due sculture si comprende che la “H” e il “cerchio e la mezzaluna” dovrebbero trovarsi sul petto del visitatore, a scopo ornamentale.
Come oggi i religiosi cristiani usano il crocifisso, o i generali usano le loro medaglie, così evidentemente quei due simboli erano “appesi al collo” dei monoliti, e in qualche modo li identificavano. Il simbolo dell’uro, “appeso al collo” del monolite A, lo identificava come un “potente”, attributo dato dalla
Bibbia ai cherubini di Dio. Il simbolo “H” appeso al collo del monolite B, e presente molte volte nelle sculture di Göbekli Tepe, probabilmente rappresentava il suo luogo di provenienza, il suo popolo. Questo faceva del monolite B una sorta di “messaggero”. Il secondo simbolo, il “cerchio con la mezzaluna”, probabilmente rappresentava il suo rango. Essendo il Sole e la Luna le cose situate più in alto di tutte per un uomo di quel tempo, evidentemente quel simbolo indicava qualcuno di altissimo rango.
Resti di un sistema di scrittura? Anche il monolite B, come il suo compagno, ha una specie di cintura a cui è appesa la pelle di un animale a 4 zampe munito di una coda, come se fosse un perizoma. Probabilmente si tratta della pelle di una volpe. I dettagli sono scolpiti con molta cura. La cintura di questo monolite è forse la cosa più misteriosa di tutta Göbekli Tepe. Infatti, lungo la fibbia della cintura scorrono una serie di simboli che sembrano essere delle lettere. Sul davanti si possono indicare una sorta di “I” maiuscola, con le estremità piuttosto larghe, seguita da 2 “I” simili ruotate a 90 gradi. Al centro della cintura, direttamente sulla pelle dell’animale, sembra esserci una grossa “U”, e una più piccola al suo interno. A destra ci sono quelle che sembrano essere 2 “I” maiuscole, poste una sull’altra.
Passando ad osservare i fianchi del monolite, nella zona in cui scorre la cintura, il messaggio è ancora più complesso. Si trovano diverse “U” ruotate di 90 gradi in entrambi i sensi (possono essere descritte anche come delle “C” maiuscole). Compare qualcosa di simile a questa scritta: “C C H C H C (capovolta)”. Gli stessi simboli compaiono anche in altri punti di Göbekli Tepe. Qualsiasi cosa vogliano dire, non sono la rappresentazione di nessun animale o di nessuna cosa tangibile. Sono chiaramente dei simboli astratti, e quindi possono essere considerati degli ideogrammi, se non proprio delle lettere. Il defunto prof. Klaus Smith, il responsabile degli scavi, mentre lavorava a questo sito fece osservare che i disegni presenti sui pilastri di Göbekli Tepe non sono stati scolpiti a caso, ma hanno un senso molto preciso. Secondo il professore, oltre a raffigurare animali reali, i disegni contengono anche alcuni simboli astratti e altri simboli logici. La presenza di simboli astratti e logici tra i disegni di Göbekli Tepe eleva quelle incisioni ad un nuovo livello, al punto tale che si possono considerare come i “progenitori” di una forma di scrittura. Questo paragone esplose come una vera “bomba atomica” nelle idee degli antropologi, perché la prima forma scritta umana ufficialmente riconosciuta, quella cuneiforme, compare solo 6.000 – 7.000 anni dopo la
costruzione di Göbekli Tepe.
Questo non vuol dire che le incisioni di Göbekli Tepe siano un vero sistema di scrittura posseduto da quel popolo. Se questo fosse stato il loro modo di scrivere, probabilmente il sito sarebbe pieno di questi simboli. Ma non è così. Questi simboli compaiono molto di rad o a Göbekli Tepe, anche se sono presenti. Se avevano un sistema di scrittura, perché non compare da nessuna altra parte? E perché non si è sviluppato in seguito? Non ci sono risposte. Per questo motivo i simboli sulla cintura del monolite B sono la vera “nota stonata” di tutto il sito. Se gli scultori potevano aver immaginato nella loro fantasia qualcosa di simile ai due monoliti (che fossero dei visitatori reali o immaginari poco importa), sicuramente non potevano aver immaginato il concetto di “scrittura”. Il “salto” sarebbe stato troppo grande. E allora cosa ci fanno degli ideogrammi sulla cintura di una scultura precedente al 10.000 a.C.? Vedere quegli ideogrammi su di una scultura di 12.000 anni fa, corrisponde a vedere un dinosauro a New York. Ma il mistero si complica ulteriormente. Come vedremo in seguito, nel vicino villaggio di Jerf el-Ahmar, costruito almeno 11.500 anni fa, prima che venisse inondato erano stati ritrovati “simboli mnemonici incisi 5.000 anni prima della comparsa della scrittura”. Esaminandoli, i ricercatori hanno scoperto che somigliano a dei disegnini, come quelli che si trovano in antiche caverne. Probabilmente sono i “genitori” o i “nonni” dei geroglifici. Ma sono
completamente diversi dai simboli che compaiono sul monolite B, che assomigliano invece paurosamente a delle “lettere” o degli “ideogrammi”. L’unico modo per spiegare quegli ideogrammi presenti sulla cintura del Monolite B è ipotizzare che non sia “farina del sacco di Göbekli Tepe”. Quella cintura viene “dal di fuori”. Quei simboli somigliano troppo ad un sistema di scrittura per essere casuali, ma sono usati troppo di rado nel sito per poter pensare che siano un prodotto locale. Sembra che nessuno dei villaggi vicini li abbia mai usati. Ci possono essere quindi solo due ipotesi plausibili. (1) L’intero monolite appartiene ad un altro luogo e ed un altro tempo, come tutto finora sembra indicare. (2) Gli scultori che realizzarono il monolite B hanno semplicemente cercato di “copiare” qualcosa di cui non si rendevano pienamente conto, qualcosa che potevano anche essere delle “lettere” o dei “simboli”, facendoli entrare poi nella loro cultura. I segni sulla cintura di questo monolite potrebbero indicare che un nostro progenitore ha davvero visto qualcosa di “strano” in passato? Ha cercato di “copiare” dei simboli che ha visto addosso ad un “visitatore”? Oppure si tratta di un sistema di scrittura che hanno visto usare a dei “visitatori umani”, e che hanno cercato goffamente di copiare? Indipendentemente dall’origine di quei simboli, sembra che ci siano davvero delle “scritte” sulla cintura del monolite B a Göbekli Tepe. Ma sembra che la scrittura non fosse la loro, e che non provenga da li. E questo rende quella cintura ancora più inquietante.
Cosa rappresentano Dopo aver visto nel dettaglio come erano formati i due monoliti, possiamo dedurre qualcosa in più su cosa o chi rappresentassero? Se i popoli del passato rappresentavano esseri “non umani” dando loro delle teste di animale, gli scultori di Göbekli Tepe fanno un passo oltre: li rappresentano senza volto. Era un modo di dire che non erano umani. Quindi, l’usanza di staccare la testa ai morti, probabilmente era un effetto di questa credenza, e non una causa. Togliendo la testa ai morti, e quindi facendoli diventare “senza volto”, probabilmente si credeva di elevarli allo stesso rango di ciò che i due monoliti rappresentavano.
Averli raffigurati come delle colonne di pietra probabilmente era un simbolo della loro potenza. Erano inamovibili come delle colonne. Da notare che il loro “davanti” corrisponde al lato stretto della stele, e non al lato largo, come ci si aspetterebbe per delle sculture (sul lato largo, infatti, si possono scolpire molte più cose). In tutto il mondo, l’unica scultura simile, dove il lato frontale di un essere vivente viene scolpito sul lato stretto di una stele, si trova a San Agustín, in Colombia, lo stesso sito che ospita i “gemelli” dei Patung di
Sundaland. Infatti, tra le rovine di San Agustín si può trovare, scolpito su una roccia stretta e lunga come i monoliti di Göbekli Tepe, uno strano essere umanoide. Ha la faccia incisa sul lato stretto del blocco di roccia., e ha braccia e mani disposte in maniera identica. Sembra avere il lato anteriore “umano” e il lato posteriore, molto profondo, animalesco. A vederlo meglio, sembra quasi che uno strano attrezzo a forma di animale sia “montato” sulle spalle di quell’essere umano, con una apertura superiore e una inferiore. Come dimostra il monolite A, alcuni di quegli esseri erano considerati potenti e invincibili, come l’uro, il toro selvatico. La ricchezza di simboli del monolite B indica che alcuni di loro rappresentavano il loro popolo. Se il cerchio e la mezzaluna rappresentassero il Sole e la Luna, questa sarebbe una indicazione, almeno nella loro fantasia, che quel monolite avesse un rango altissimo, o che provenisse addirittura da dove si trovano il Sole e la Luna, ossia dallo spazio. È piuttosto evidente che i due monoliti rappresentino esseri “venuti dal di fuori”, potenti come un uro, discesi da dove si trovano il Sole e la Luna. La loro forma indica che erano imbrigliati in una struttura che dava loro una forma strana, come la statua rinvenuta a San Agustín. Inoltre, diversi indizi additano che, almeno gli originali, vennero realizzati moltissimo tempo prima della costruzione di Göbekli Tepe (è del tutto possibile che gli originali vennero usati come “copie” per altri monoliti simili). Tutto ciò era il parto della fantasia degli scultori, o è solo il tentativo un po' goffo di descrivere, come meglio erano capaci, qualcosa o qualcuno che videro realmente arrivare da lontano?
8 – Prima dei Sumeri Sembra che Göbekli Tepe non avesse abitanti che risedessero in maniera stabile, o se ci sono stati erano davvero in numero molto esiguo. La principale motivazione che porta i ricercatori a questa conclusione è che non è stato ritrovato alcun resto umano, fino ad ora, in quel sito. Nelle culture della zona, i morti venivano sepolti comunemente nelle abitazioni dove avevano vissuto da vivi. La mancanza dei resti dei cadaveri, quindi, lascia pensare che nessuno, o quasi, sia mai vissuto in quel sito in maniera stabile. Inoltre, sembra che le provviste di acqua disponibili nella zona non fossero sufficienti per dissetare quotidianamente un insediamento stabile abbastanza numeroso. Sembra quindi che la gente andasse a Göbekli Tepe, banchettasse e poi se ne tornasse da dove era venuta. La domanda a questo punto è: da dove veniva tutta quella gente? Da quanto ne sappiamo, in quel tempo non esistevano le strade, le popolazioni locali non conoscevano la ruota, e non usavano i cavalli o altri animali da soma come mezzo di locomozione. Si andava tutti a piedi su terreni spesso accidentati, e quindi si poteva percorrere solo qualche chilometro al giorno. È quindi piuttosto logico pensare che coloro che si recavano in visita a Göbekli Tepe, ma soprattutto coloro che l’hanno costruita, non provenivano da un posto “troppo lontano”. Infatti, per costruire un insediamento come Göbekli Tepe servono dai 300 ai 500 operai, che dovevano lavorare insieme per diverso tempo, forse alcuni mesi, forse alcuni anni. A questo numero dobbiamo aggiungere i bimbi e gli anziani che ovviamente li seguivano. Inoltre, vanno aggiunte le donne che erano sicuramente impegnate a procurare il cibo per tutti, e anche altri soggetti che si occupavano di altre faccende necessarie. Il numero di persone coinvolte nella costruzione di Göbekli Tepe poteva raggiungere le 2.000 – 3.000 unità. Per quei tempi, quella era la popolazione di una cittadina di medie dimensioni.
Inoltre, la costruzione di un sito simile presuppone l’esistenza di una gerarchia: c’era chi dava ordini e chi li eseguiva. Questo aspetto lascia pensare che a costruire Göbekli Tepe sia stata una società già organizzata, che non poteva esistere se gli umani vivevano separati in tende o capanne, come si riteneva un tempo che facessero gli uomini 12.000 anni fa. Göbekli Tepe è frutto della collaborazione di cittadini, abituati ad essere organizzati insieme per conseguire obiettivi comuni. A questo possiamo aggiungere che non è possibile che tutti avessero la stessa abilità nel lavorare la pietra in maniera artistica. O non possiamo pensare che tutti avessero la stessa forza per innalzare i pilastri, o per costruire i muri a secco. Sembra quindi che gli operai fossero abili in diverse specializzazioni. Per costruire Göbekli Tepe, almeno alcuni “mestieri” avevano già fatto la loro comparsa da diverso tempo. Tutto questo rivoluziona l’idea che gli umani di 12.000 anni fa fossero solo dei cacciatori-raccoglitori “generici”. Il numero delle persone coinvolte nel progetto, l’evidenza di un’ottima organizzazione dei lavori, la specializzazione di alcuni operai, mal si concilia con l’idea che gli abitanti della zona fossero sparsi in piccoli gruppetti indipendenti. È praticamente impossibile che una comunità non organizzata possa aver dato vita a Göbekli Tepe. Alle spalle di Göbekli Tepe doveva esserci uno o più centri urbani, che esistevano almeno da alcuni secoli. Questo manda in frantumi l’idea che avevamo della cosiddetta “età della pietra”. Stiamo dicendo che prima di Göbekli Tepe, anche se è antica di 12.000 anni, doveva necessariamente esserci almeno una cittadina. Quindi se vogliamo trovare in maniera realistica chi possano essere stati i probabili costruttori di Göbekli Tepe, dobbiamo guardare attorno, in un raggio non superiore ai 100 chilometri, se esistevano insediamenti abitati nello stesso periodo di tempo. Loro sarebbero i principali indiziati della costruzione del sito. Esiste qualche insediamento che possa corrispondere a questo identikit? Forse uno è stato trovato.
Jerf el-Ahmar Circa 20 anni fa, nella totale indifferenza generale, per costruire una diga nel Nord della Siria, finiva sott´acqua uno degli insediamenti più antichi della storia umana, probabilmente contemporaneo a Göbekli Tepe. Era stato
ritrovato da pochissimo tempo, quindi c’era ancora moltissimo lavoro da fare per capire chi lo aveva costruito e perché. Parliamo del sito di Jerf el-Ahmar , che venne sommerso quando venne costruita la diga di Tishrin. Le prime indagini avevano rivelato che era antico di almeno 11.600 anni, ma forse lo era ancora d più. Bernadette Arnaud, corrispondente di “Archeology” a Parigi, descrisse in maniera dettagliata tutto l’accaduto. Rileggiamo il suo pezzo, che dice: “Un sito siriano, unico al mondo, allagato dopo il completamento di una diga. Era uno degli insediamenti umani più antichi del mondo. Nel luglio del 1999, le acque alluvionali della diga di Tishrin, a 75 miglia da Aleppo, nel nord della Siria, hanno inondato Jerf el-Ahmar (Red Cliffs), uno degli insediamenti più antichi del mondo, risalente a 11.600 anni fa. Funzionari siriani hanno detto che la diga avrebbe fornito l'elettricità e l'acqua tanto necessari per l'irrigazione, lo stesso motivo per cui i funzionari turchi hanno autorizzato l'inondazione parziale del sito di Eugma, più in alto lungo l'Eufrate. Ma per Danielle Stordeur e i membri del suo team di ricerca francosiriano, che stavano scavando il sito dal 1995, la perdita per l'archeologia è stata catastrofica. ´Non c'è mai stato nulla di simile ritrovato in Medio Oriente´, ha detto Stordeur, pochi giorni prima che il sito venisse allagato. ´Ogni scoperta fatta qui non ha fatto altro che evidenziare l'importanza unica del sito´. Il team di Stordeur aveva trovato più di 40 case ben conservate, un numero incredibile per quel periodo di tempo, rivelando un'evoluzione da spazi abitativi rotondi a spazi abitativi rettangolari. Il team ha scoperto piccole placche di terracotta con simboli mnemonici incisi 5.000 anni prima della comparsa della scrittura, e cereali, come il grano, che indicavano le prime tracce di coltivazione. Infine, pochi mesi prima dell'allagamento, Stordeur scoprì una struttura di 11.600 anni con panchine che rivestivano le pareti interne del locale, suggerendo che in quell’ambiente si svolgesse una sorta di attività rituale comune. Jerf el-Ahmar, in realtà, è composta da una dozzina di villaggi accatastati uno sopra l'altro e occupati tra il 9600 e l'8500 a.C. I numerosi strati del sito possono aiutare gli studiosi a comprendere meglio l'evoluzione da abitazioni rotonde a abitazioni rettangolari. Si pensava in precedenza che questa
trasformazione si fosse verificata verso la fine del X millennio a.C., ma le prove erano frammentarie e le sue fasi poco comprese. ´Abbiamo scoperto case rotonde negli strati più antichi, e quelle rettangolari che le sovrastano´, dice Stordeur. Circa 11.000 anni fa, in questa curva dell'Eufrate, la gente imparò a mettere insieme le pietre per formare angoli retti. Questa tecnica ha dato origine a una grande varietà di stili architettonici rettangolari, ellittici e semicircolari, gli elementi costitutivi di piccoli villaggi con spazio aperto progettato. "C'era una gestione civica collettiva, un tentativo di urbanistica", dice Stordeur. – Fine citazione
Le implicazioni di Jerf el-Ahmar Purtroppo, oggi non è più possibile visitare quel “tentativo di urbanistica” antico almeno di 11.600 anni, ossia il fantastico villaggio di Jerf el-Ahmar . Ma confrontando il materiale fotografico lasciato dagli studiosi che hanno effettuato gli scavi, con le informazioni pubblicate sui periodici scientifici, non si può non notare le enormi somiglianze con Göbekli Tepe. È estremamente probabile che parte della popolazione di Jerf el-Ahmar, abbia contribuito in qualche modo alla costruzione di Göbekli Tepe. Le implicazioni di tutto questo sono enormi. Come abbiamo letto, a Jerf el-Ahmar erano stati ritrovati “simboli mnemonici incisi 5.000 anni prima della comparsa della scrittura”. Che è un modo elegante per dire che gli abitanti del posto stavano elaborando un sistema di scrittura 5.000 anni prima dei Sumeri. Questo potrebbe spostare di almeno 5.000 anni indietro la data della comparsa della scrittura, e di conseguenza, della civiltà. Per sapere se il tentativo di creare un sistema di scrittura da parte di quei popoli è andato a buon fine, bisognerebbe continuare a scavare intorno. E, possibilmente, non inondare i villaggi che vengono scoperti, come è accaduto a Jerf el-Ahmar. Se questo sistema di scrittura venisse effettivamente trovato, il “primato” dell’invenzione della scrittura passerebbe dai Sumeri ai costruttori di Göbekli Tepe. Secondo le parole del ricercatore francese Stordeur, ci sono chiari segni dell’inizio della coltivazione di cereali a Jerf el-Ahmar. Lo stesso è stato notato ad Abu Hureyra, in Siria, ben 12.800 anni fa. Anche il “primato” dell’introduzione dell’agricoltura, quindi, andrebbe tolto ai Sumeri e dato a queste popolazioni, più antiche di almeno 5.000 anni. Stordeur ci dice che
avevano rinvenuto almeno 40 case. Gli edifici di Jerf el-Ahmar erano circolari, come quelli di Göbekli Tepe. Dalle foto scattate alle costruzioni, si vede che gli ambienti interni di queste abitazioni circolari erano suddivisi, formando molte stanze. In questo sito le mura delle abitazioni circolari erano in parte scavate sotto il livello del terreno, e in parte innalzate come delle normali mura. Considerata la grandezza degli edifici circolari, a Jerf elAhmar potevano vivere comodamente anche 1.000 persone. Anche a Jerf el-Ahmar erano presenti dei pilastri simili a quelli di Göbekli Tepe, ma questi erano in legno, e servivano a reggere una copertura che fungeva da tetto per gli edifici circolari. La copertura era come una sorta di “Iurta”, realizzata con del legno leggero, lo stesso tipo di copertura che si sospetta sia stata realizzata per gli edifici circolari antichi di Göbekli Tepe. Anche nel villaggio di Jerf el-Ahmar erano presenti edifici a pianta rettangolare, come a Göbekli Tepe. Si svolgevano attività comuni, con locali adibiti per questo scopo, esattamente come i resti di carne rinvenuti a Göbekli Tepe testimoniano l’afflusso periodico di un gran numero di persone. Quindi anche il primato delle “prime città edificate” andrebbe tolto ai Sumeri, e dato ai costruttori di Göbekli Tepe. Sul sito di Jerf el-Ahmar sono stati trovati due scheletri senza testa. Ma la decapitazione è avvenuta dopo la loro morte. Quindi non può considerarsi come qualcosa di negativo, come una esecuzione violenta. Piuttosto si trattava di un rituale visto in maniera positiva dalla gente del posto, che avrebbe dato prestigio al morto. Il concetto degli “uomini senza testa”, e dei relativi monoliti, era quindi presente a Jerf el-Ahmar come a Göbekli Tepe.
I Natufiani A completare il quadro di coloro che vivevano attorno a Göbekli Tepe, possiamo citare il villaggio di Çatalhöyük, situato diverse centinaia di chilometri ad Ovest. Secondo la datazione del radiocarbonio corrisponderebbe al 7.400 a.C., ma alcuni studiosi pensano che sia ancora più antico. Questo villaggio era ormai una cittadina di 8.000 persone. Le strutture circolari sono sparite, e le case sono tutte rettangolari, messe una sull’altra, con un’unica apertura sul tetto. Partendo dal villaggio di Jerf el-Ahmar , passando per Göbekli Tepe, fino ad
arrivare a Çatalhöyük, sembra esserci una evoluzione. Gli edifici di Jerf elAhmar sono circolari e seminterrati, con pochi edifici rettangolari. A Göbekli Tepe gli edifici circolari sono tutti al livello del terreno, e gli edifici rettangolari sono molti. A Çatalhöyük ci sono solo edifici rettangolari. Sembra di assistere ad uno spostamento da Sud a Nord-Ovest, sia geografico che di tipo tecnologico. Quindi probabilmente i costruttori di Göbekli Tepe vennero da Sud. L’insieme di genti che occupava in quel periodo il Sud di Göbekli Tepe viene chiamato in genere con il termine di “Natufiani”, una cultura inquadrata tra il 12.500 a.C. e il 9.500 a.C. circa. Ma il termine “Natufiani” nei nostri giorni è estremamente generico. La cultura natufiana è considerata molto insolita dagli antropologi. Era una popolazione sedentaria anche prima dell'introduzione dell'agricoltura. Questo è esattamente quanto si è osservato a Göbekli Tepe. I costruttori, pur essendo dei cacciatori-raccoglitori, e non degli agricoltori, diedero origine a qualcosa di stabile, e anche di grandioso. Si ritiene che i Natufiani possano essere gli antenati dei costruttori dei primi insediamenti neolitici della regione. Si pensa che la più antica città abitata in maniera continuativa al mondo, ossia Gerico, sia una città natufiana. Questo li porterebbe ad essere i costruttori dei primi insediamenti stabili al mondo, scalzando anche i Sumeri. Come abbiamo detto a proposito di Jerf el-Ahmar, sembra che i primi che abbiano coltivato deliberatamente la segale siano stati i Natufiani, a Tell Abu Hureyra, come minimo 12.800 anni fa. In Giordania, a Shubayqa, si trova la prima prova di pianificazione agricola al mondo, risalente a 14.500 anni fa. A Raqefet, sul Monte Carmelo, vicino ad Haifa, in Israele, si trova la prima traccia di produzione di birra, e risale a circa 13.000 anni fa. Alcune delle prime prove archeologiche sull'addomesticamento del cane provengono proprio dai siti natufiani. Nel sito natufiano di Ain Mallaha in Israele, datato 12.000 a.C., sono stati trovati sepolti insieme i resti di un anziano umano e di un cucciolo di quattro-cinque mesi. Questo dettaglio richiama alla mente il monolite B di Göbekli Tepe, che porta sulla destra quello che sembra essere un cane. Anche questo dettaglio avvicina i Natufiani a Göbekli Tepe . Le abitazioni dei Natufiani erano semi-sotterranee, come quelle ritrovate a
Jerf el-Ahmar. La sovrastruttura era probabilmente fatta con pannelli di legno. C’è comunque una netta distinzione tra le costruzioni di Göbekli Tepe e quelle dei Natufiani in generale. I natufiani non usavano né mattoni di fango, né rocce nelle loro costruzioni. Usavano solo il legno. Inoltre, le costruzioni circolari avevano un diametro tra i tre e i sei metri, e contenevano un camino rotondo centrale. Le costruzioni di Göbekli Tepe erano invece molto più grandi, erano fatte con roccia di calcare, e al centro non contenevano un camino, ma avevano i due monoliti centrali. È quindi piuttosto chiaro che Göbekli Tepe apparteneva ad un periodo di tempo diverso rispetto alle comuni costruzioni natufiane. Chi è venuto prima? Le costruzioni di Göbekli Tepe o quelle natufiane in generale? Gli scavi a Göbekli Tepe hanno dimostrato che le costruzioni più antiche erano più grandi e di migliore qualità rispetto a quelle più recenti. Inoltre, le indagini col carbonio 14 indicano che le costruzioni più antiche di Göbekli Tepe corrispondono al più antico periodo natufiano, o addirittura lo precedono. In senso lato, quindi, potremmo dire che i “Natufiani” che noi conosciamo provengono da Göbekli Tepe, piuttosto che il contrario. Da qualche parte devono esserci i villaggi dei “nonni” dei Natufiani, con abitazioni molto più grandi di quelle comunemente ritrovate, ed in pietra, molto simili a Jerf elAhmar. Con ogni probabilità sono stati loro i costruttori di Göbekli Tepe. E avevano sviluppato la loro civiltà molto prima dei Sumeri.
9 – Gli uomini da Sundaland Alcuni anni fa, ha suscitato una certa curiosità un libro di Bruce Fenton, “The Forgotten Exodus”. Secondo un articolo comparso sul “New Dawn Magazine” del luglio 2017, a firma dello stesso Fenton, in questo libro l’autore sostiene che i primi homo Sapiens in realtà non hanno origini africane, ma australiane. Secondo Fenton, i primi homo Sapiens sarebbero migrati dall’Australia in Africa, e non viceversa, come affermano in generale gli antropologi. Per dare forza a questa idea, Fenton ha evidenziato come alcuni dei simboli scolpiti a Göbekli Tepe sembrano avere un diretto collegamento con alcuni simboli usati dagli aborigeni australiani. Ad esempio, i pilastri di Göbekli Tepe sono a forma di “T”. Similmente, secondo Fenton, alcune tribù aborigene australiane usano dipingersi una “T” sul petto a scopo religioso. Secondo Fenton, a Göbekli Tepe ci sarebbe la raffigurazione di Yingarna, una divinità aborigena. Nella cultura aborigena, questa divinità è raffigurata anche come un serpente dai grandi occhi che porta un certo numero di borse. Nelle borse è presente il seme umano che permette di produrre nuove razze umane. In altre raffigurazioni Yingarna viene dipinta come una donna nell’atto di essere fecondata. Il sito di Göbekli Tepe è pieno di raffigurazioni di serpenti, ma contiene un’unica raffigurazione di una donna. In questo unico dipinto femminile, la donna viene ritratta a gambe aperte, con un organo sessuale estremamente vistoso. La sua testa sembra avere una forma piuttosto strana. Può considerarsi simile a una foglia, o forse più precisamente, alla testa di un serpente, così come vengono raffigurati a Göbekli Tepe. Secondo Fenton, questa incisione è molto simile alla raffigurazione australiana di Yingarna. Inoltre, come abbiamo accennato, a Göbekli Tepe c’è un simbolo presente su diversi pilastri. È composto da due semicerchi e da una sorta di “H” al centro. Almeno in una circostanza, al posto della “H” sembra esserci una “I”. Nessuno sa cosa voglia significare questo simbolo. Fenton fa notare come nel
libro "The Northern Tribes of Central Australia", di Spencer B., pubblicato per la prima volta nel 1923, a pag. 58 viene riportato questo simbolo. Infatti, nella pagina di quel libro è riportata la foto del ritratto di un “uomo della medicina” della tribù dei Worgaia . Questo aborigeno ha dipinto sul petto un simbolo molto simile ai due semicerchi con la “I” nel mezzo, che si trova a Göbekli Tepe. Secondo Fenton, quindi, Göbekli Tepe sarebbe una sorta di colonia degli aborigeni australiani.
È possibile? Fenton ha ragione nelle sue affermazioni? Ovviamente tutto è possibile, e non si può essere dogmatici su argomenti su cui gli stessi ricercatori non sono ancora in grado di dare risposte certe. Comunque, allo stato attuale delle cose, non sembra che le tesi di Fenton abbiano una seria base su cui poggiare. È molto improbabile che gli homo Sapiens siano di origine australiana. Da un punto di vista antropologico, gli ominidi presenti in Australia, chiamati australopitechi, erano a tutti gli effetti delle scimmie, e scomparvero, si pensa, 2 milioni di anni fa. Non c’è nessuna linea di collegamento diretta tra gli australopitechi e l’homo Sapiens. La ricerca sul DNA ci dice che un contatto tale da lasciare tracce tra degli esemplari di homo di Denisova (che era stato sicuramente in Malesia, e quindi a Sundaland) e gli homo Sapiens occidentali avvenne sicuramente, ma oltre 400.000 anni fa. Ma che dire di epoche più storiche, più recenti? Allo stato attuale delle cose possiamo escludere che il popolo di Göbekli Tepe provenga da Sundaland. Sembra quindi che la teoria degli homo Sapiens provenienti dall’Australia, al momento sia poco più di una provocazione. Cosa possiamo dire del simbolo a forma di “T” dipinto sul petto di alcuni aborigeni? A dire il vero, la “T” (o il Tau), è un simbolo ripreso da moltissime civiltà in tutta la terra, e molte di queste non sono collegate tra loro. Inoltre, sembra che a Göbekli Tepe (ad eccezione dei due monoliti centrali) i pilastri erano a forma di “T” per ragioni architettoniche, e non simboliche. Infatti, è probabile che sulla cima larga della “T” poggiasse qualcosa, e questo spiegherebbe la forma dei pilastri. Da ultimo, si può dire con una certa sicurezza che solo “alcuni” aborigeni hanno disegnato sul loro petto una specie di “T”, mentre moltissimi altri hanno disegnato altre figure, anche completamente astratte. Onestamente non
si può dire che il simbolo “T” sia il simbolo “unico” degli aborigeni australiani, e nemmeno uno dei loro simboli principali. Solo un numero molto esiguo di aborigeni ha usato questo simbolo, e sembra lo abbiano fatto per ragioni del tutto personali. Considerata da questo punto di vista, quindi, questa teoria cade da sola. Che dire del simbolo delle due mezzelune con la sbarra centrale che compare su diversi pilastri a Göbekli Tepe, e che sembra sia stato dipinto sul petto di un “uomo della medicina” della tribù dei Worgaia? Va detto che il simbolo che compare spesso a Göbekli Tepe è diverso da quello che compare sul petto di quell’aborigeno. Nel simbolo scolpito sui monoliti di Göbekli Tepe, in mezzo alle due semilune non c’è un bastoncino, ma una sorta di “H”. In alternativa, sembra solo in una circostanza, compare una I con le due estremità molto pronunciate (oppure è una H inclinata di 90 gradi). Sembra che in nessun caso a Göbekli Tepe compaia un “bastoncino” liscio come sul petto dell’aborigeno raffigurato. Quindi i due simboli sono solo “simili” e non “identici”. Da nessun punto di vista, quindi, né genetico né culturale, si può sostenere che Göbekli Tepe sia una sorta di “colonia” degli aborigeni australiani. O almeno, uno può sostenere quello che vuole, ma ha l’onere di provare quello che dice. Nel caso di Göbekli Tepe, intesa come “colonia” australiana, queste prove mancano. Viceversa, alcune “tracce” che non provano una colonizzazione, ma un qualche “contatto” tra una civiltà proveniente da Sundaland e gli abitanti di Göbekli Tepe potrebbero esistere.
Esploratori da Sundaland? Un simbolo presente sui monoliti di Göbekli Tepe e che fa parte a pieno titolo della cultura dell’Oceania, e quindi di Sundaland, è il segno delle due “U” capovolte a 90 gradi, poste una di fronte all’altra, o se vogliamo di due “C” maiuscole poste una di fronte all’altra, di cui una ruotata. In effetti questo è uno dei simboli più importanti della cultura aborigena, universalmente riconosciuto. Sembra che il simbolo voglia dire “due umani che si incontrano”. Il luogo dell’incontro dipende da cosa si trova in mezzo alle due “C” o “U”. Una “U” solitaria inclinata, indica infatti un “essere umano”, senza pero alcuna attribuzione sessuale.
Questi simboli sono presenti molte volte nelle sculture di Göbekli Tepe. Non si possono confondere con il simbolo della “mezzaluna”, perché questo è stato scolpito, per esempio, nel “monolite B” del recinto D, ed è completamente diverso dalle “C” o “U”. In questo caso la somiglianza tra i simboli di Sundaland, Sahuland e Göbekli Tepe è innegabile. Certo, potrebbe anche essere una coincidenza. Ma potrebbe anche non esserlo. Come abbiamo detto precedentemente, Fenton e altri fanno notare che l’unica figura femminile ritratta a Göbekli Tepe è una donna sotto alcuni aspetti simile ad una delle rappresentazioni di Yingarna, la divinità australiana. Questo può essere vero, ma bisogna dire che in giro per il mondo, anche oggi, si vedono molti graffiti o disegni simili, anche sui muri. Questi disegni di donne a gambe aperte non hanno oggettivamente nulla a che fare con la divinità di Yingarna, o con qualsiasi altra religione. D’altra parte, si possono fare anche altre considerazioni. Trattandosi di una immagine unica, questa non è un motivo ricorrente a Göbekli Tepe, ma è una eccezione. Se si trattasse davvero di una divinità locale, questa immagine sarebbe stata riprodotta molte altre volte. Ma non è così. Questa immagine è solo una rappresentazione sessuale? Ovviamente può esserlo. Ma la testa della donna non sembra avere sembianze umane. Allo stesso tempo, però, sembra essere nettamente diversa dalle rappresentazioni australiane di Yingarna. Sul perché quella donna sembra avere la testa di un serpente, così come viene di solito rappresentato a Göbekli Tepe, ci possono essere varie spiegazioni. I
lineamenti non sono molto definiti, ma potrebbe trattarsi dell’unica figura teriantropica femminile della storia antica. (Infatti, ad eccezione degli antichi egizi, tutte le immagini di umani con testa di animale si riferiscono ad individui maschi, e non a donne come in questo caso). Si tratterebbe della prima raffigurazione di una sorta di “dea madre”. Una “nuova versione” di Yingarna? Potrebbe essere. Ma anche in questo caso, come nei precedenti, una “singola” somiglianza può indicare, al massimo, un “contatto”, ma non una fusione culturale. Quindi anche la figura femminile presente a Göbekli Tepe può indicare che c’è stato un breve ma significativo contatto tra “visitatori di Sundaland” e abitanti della zona di Göbekli Tepe. Oppure può essere una seconda coincidenza. Ma c’è un terzo, notevolissimo indizio, che sembra indicare che ci sia stato un passaggio di almeno un gruppo di “esploratori” proveniente da Sundaland che in qualche modo ha raggiunto i costruttori di Göbekli Tepe.
Un uomo a cavallo di un uccello In una delle stele presenti nel “recinto D” di Göbekli Tepe, chiamata “Stele dell’Avvoltoio”, sono stati scolpiti diversi soggetti. In basso alla stele è stato inciso quello che appare chiaramente come un essere umano itifallico e senza testa. Si tratta di un cadavere? No. Infatti, anche se raffigurato senza testa, questo uomo non è “sdraiato”, o “seppellito”, o “impalato”, o in qualche altra posizione associata alla morte. Il piccolo uomo senza testa è scolpito in posizione verticale, mentre muove il braccio destro e lo piega. Quindi nel contesto in cui è stato posto, questo essere umano è assolutamente vivo. Ovviamente gli esseri umani non vivono senza testa. Raffigurandolo in questo modo, lo scultore ha voluto dire che questo uomo è “senza testa” nel senso che ha uno “status sociale” simile ai due monoliti senza volto che sono situati al centro degli edifici circolari di Göbekli Tepe. È un simbolo di onore.
Ma il dettaglio che spicca maggiormente, è che il piccolo uomo senza testa si trova alle spalle di un uccello enorme. Infatti, il piccolo uomo senza testa è raffigurato chiaramente su di un uccello gigante, come se lo stesse cavalcando. Ad una prima impressione superficiale, sembrerebbe quasi un uomo a cavallo di uno struzzo. È così? Questo non dovrebbe sorprendere più di tanto noi occidentali. Gli struzzi venivano usati come animali da lavoro sia dai romani che dagli Egizi, e probabilmente anche nelle coste del Pacifico. Infatti, in Cina sono stati ritrovati resti di struzzo risalenti a 25.000 anni fa. Inoltre, in molte parti del mondo gli struzzi vengono comunemente cavalcati come se fossero dei cavalli, e ci sono varie competizioni che li riguardano. Quindi se quella stele raffigurerebbe un uomo cavalcare uno struzzo, non sarebbe nulla di troppo “straordinario”. Sarebbe solo la conferma che le corse degli struzzi con fantini umani sono più antiche di quanto pensavamo. La vera domanda è: si tratta davvero di uno struzzo?
A guardarlo bene, non sembra. Se le proporzioni sono corrette, quell’animale è alto almeno il doppio di uno struzzo. Il collo dell’uccello è lungo quanto l’intera altezza dell’umano. Nella realtà si tratterebbe di un uccello alto almeno 3 metri. Gli artisti di Göbekli Tepe erano in grado di disegnare gli animali con grande maestria e precisione, e i dettagli non erano mai messi a caso. Sembra improbabile, anche se non impossibile, che le dimensioni siano state volutamente esagerate dallo scultore. Inoltre, il becco leggermente ricurvo, con un taglio tipico del rostro dei rapaci, sembra appartenere al mondo dei predatori. La sagoma di questi uccelli ricorda moltissimo quella che gli aborigeni australiani chiamavano “mihirungs”, un uccello della famiglia dei Dromornithidae , simile allo struzzo e all’emù, che viveva solo a Sundaland e
Sahuland, o come diciamo oggi, in Australia. Poteva raggiungere i 3 metri di altezza e i 500 chilogrammi di peso. Sono descritte come delle “gigantesche oche carnivore”, vissute tra i 35.000.000 e i 20.000 anni fa. L’ultima variante di questa specie, chiamata Genyornis, era un grosso uccello australiano ormai estinto, che aveva un’altezza di circa 2 metri ed un peso di 225-230 chilogrammi. Questa scultura non sembra essere solo una suggestione da parte dello scultore. Infatti, nel pilastro n. 33 dell’edificio circolare denominato “D”, lo stesso in cui si trova la Stele dell’Avvoltoio, si trovano raffigurati ben 4 uccelli che per le loro fattezze somigliano moltissimo a dei “mihirungs”. La somiglianza è davvero notevole. In aggiunta, come abbiamo detto, in altri punti del sito sono state scolpite delle file di uccelli che sembrano oche molto tozze, e col becco molto robusto, con delle zampe esageratamente robuste. Sembrano quasi delle “oche carnivore”. Secondo altri sono solo “oche normali” disegnate in maniera feroce. Ma è difficile pensare che un animale innocuo come un’oca possa essere raffigurata in maniera rapace. Sembrano piuttosto dei “mihirungs” in miniatura.
Da ultimo, ci sono prove inconfondibili che antichi abitanti dell’Australia
realizzarono dei dipinti raffiguranti dei “mihirungs”. Uno di questi, realizzato con un pigmento rosso, è stato ritrovato nella Arnhem Land, a Nord dell’Australia. Secondo diversi studiosi questo dipinto ha almeno 40.000 anni (e non potrebbe essere diversamente, visto che nessuno potrebbe ritrarre un uccello estinto da millenni). La somiglianza tra questi uccelli australiani ritratti in ocra rossa e quelli del pilastro 33 di Göbekli Tepe è impressionante. Non sorprende se in diversi pensino che sia lo stesso uccello. Se anche gli uccelli raffigurati nelle stele di Göbekli Tepe fossero davvero delle Dromornithidae, dei “mihirungs”, questo indicherebbe un qualche tipo di contatto tra gli antenati dei costruttori del sito di Göbekli Tepe e una popolazione proveniente dall’Oceania in un periodo simile. Ma anche se i quattro animali in cima alla stele raffigurassero il suo parente non estinto, l'Emù, risulterebbe difficile capire come un popolo vissuto nella attuale Turchia abbia potuto conoscere un uccello che vive solo in Australia. (Comunque, l'Emù è troppo piccolo per somigliare al “grande uccello” raffigurato nella Stele dell’Avvoltoio). Se davvero l’uccello raffigurato è uno della famiglia dei Dromornithidae, come il Genyornis, questo dettaglio darebbe una indicazione precisa su quando avvenne il contatto tra gli abitanti di Göbekli Tepe e qualche popolazione proveniente dall’Oceania: parliamo di un periodo risalente ad almeno 20.000 anni fa, prima che gli ultimi esemplari di quell’uccello si estinguessero. Allora la civiltà che ha partorito Göbekli Tepe deve essere ancora più antica del periodo in cui quell’animale si è estinto. Solo in questo modo il Dromornithidae può essere diventato un simbolo pittorico da tramandarsi di generazione in generazione. Ovviamente non stiamo dicendo che Göbekli Tepe in sé stesso sia così antico (anche se alcune singole parti potrebbero esserlo). Piuttosto, i ricordi e la gente a cui si riferisce, sono molto più antichi della stessa costruzione. Al momento non sono stati ritrovati resti di Dromornithidae al di fuori dell’Australia. Quindi è improbabile che quel tipo di uccello sia vissuto in Turchia. Se ha mai messo piedi a Göbekli Tepe, dopo essere venuto, è tornato indietro con i suoi padroni. Inoltre, solo poche stele ritraggono questi uccelli, rispetto alla maggioranza che non lo fanno. Quindi quelle sculture non indicano una colonizzazione da parte di visitatori australiani, o un mescolarsi
di culture. Viceversa, possono ben raffigurare la breve visita di alcuni che vennero da lontano, forse esploratori, forse profughi, e che lasciarono una tale impressione nella popolazione locale che entrarono nei loro ricordi comuni. È possibile che esploratori di Sundaland siano arrivati fin qui? Ricordiamo che prima del disgelo si poteva arrivare a piedi da Sundaland fino in Europa. E ricordiamo anche che è stato provato tramite esami del DNA che almeno 400.000 anni fa gli homo di Denisova raggiunsero la Spagna, la Malesia (ossia Sundaland) e la Siberia. Ovviamente in questo caso si tratta probabilmente di lente migrazioni avvenute nel corso di molte generazioni, ma non dovrebbero sorprenderci viaggi così grandi nel nostro passato. Ci sono prove schiaccianti che molto tempo prima della costruzione di Göbekli Tepe, alcuni abitanti della Siberia arrivarono via mare fino in Perù, diventando i progenitori di quelli che tutti conoscono come i “Nasca”. Fino a poco tempo fa uno spostamento simile via mare sarebbe sembrato fantascientifico per uomini di quel periodo. E invece oggi, usando l’esame del DNA sui resti ritrovati, dobbiamo accettare che gli umani vissuti 20.000 anni fa erano in grado di effettuare una traversata simile, anche se probabilmente si tennero sotto costa. Se un popolo che non era conosciuto per le sue doti da navigatore è riuscito a raggiungere il Perù dalla Siberia circa 20.000 anni fa, un popolo di grandi navigatori come sono gli abitanti dell’Oceania poteva raggiungere il Medio Oriente passando dal Golfo Persico. Ovviamente il fatto che “potevano” non vuol dire che lo abbiano fatto, ma è una possibilità reale. La raffigurazione sulla Stele dell’Avvoltoio sembra indicare che, secondo il suo scultore, gli “uomini senza testa” cavalcavano un uccello australiano estinto. Il piccolo uomo a cavallo del grande uccello sembrerebbe indicare che almeno alcuni esemplari di una qualche specie di questo uccello gigante erano stati addomesticati. Ma se questo “contatto” ci fosse davvero stato, allora bisognerebbe capire perché la popolazione di Göbekli Tepe onorava a tal punto questi visitatori da considerarli “senza testa” (simili quindi ai due monoliti). Probabilmente era l’onore più grande che gli abitanti di Göbekli Tepe erano in grado di esprimere. Cosa avevano di così particolare questi “visitatori” per ricevere un tale onore? Gli abitanti di Sundaland
nascondevano un segreto? Continuiamo la nostra ricerca.
10 – Un mondo che tramonta Cosa è la famosa “Stele dell’Avvoltoio” di Göbekli Tepe? Con questo termine si intende un pilastro catalogato con il n. 43 nell’edificio circolare “D”, all’interno del complesso di Göbekli Tepe. Questo pilastro ha attirato l’attenzione di molti studiosi a causa della ricchezza dei dettagli contenuti nella sua decorazione. In molti pensano che l’artista che lo ha decorato abbia voluto raccontarci una storia. Ma qual era il tema del suo racconto?
Nell’agosto del 2017 il prof. Sweatman e il prof. Tsikrstisis, dell’Istituto di Ingegneria dell’Università di Edimburgo, dissero di poter dimostrare che il sito di Göbekli Tepe originariamente era una specie di “centro astronomico”. I due professori dell’Università di Edimburgo, analizzando la “Stele
dell’Avvoltoio”, dicono di poter datare con precisione quel manufatto, attribuendolo al 10.950 a.C. ± 250 anni. I due docenti spiegano che la “Stele dell’Avvoltoio” è in realtà una registrazione su pietra dello Younger Dryas . Come sono riusciti i professori dell’Università di Edimburgo ad associare la “Stele dell’Avvoltoio” allo Younger Dryas? Secondo gli studiosi, i vari animali scolpiti su questo pilastro sono in realtà delle costellazioni. I due studiosi sono partiti dal presupposto che gli antichi abitanti di Göbekli Tepe usassero le nostre stesse costellazioni, associate però ad un animale diverso. Usando il planetario virtuale “Stellarium”, che riesce a ricreare la volta celeste in qualsiasi periodo della storia, i due studiosi dicono di essere riusciti a far coincidere quelle raffigurazioni di animali con alcune “costellazioni” visibili intorno al 10.950 a.C. circa. Secondo loro questa datazione coincide in maniera sufficiente sia con l’età che si pensa abbia Göbekli Tepe sia con l’evento dello Younger Dryas. Secondo il prof. Sweatman e il prof. Tsikrstisis, il sito di Göbekli Tepe non è solo un osservatorio astronomico, ma anche un memoriale. Infatti, le figure che rappresentano la volpe e il cinghiale non indicherebbero costellazioni, ma sciami di meteore, e probabilmente una cometa. Se questo fosse vero, allora quella stele sarebbe il “ricordo astronomico” di quando gli sciami dei frammenti delle comete colpirono la Terra. I due studiosi di Edimburgo affermano che si sarebbe trattato probabilmente di due sciami meteorici appartenenti alle Beta Tauridi. Questo sciame è stato originato dalla frantumazione della cometa 2P/Encke. Siamo in possesso di un’altra prova piuttosto certa (ma appartenente ad un evento totalmente diverso), dell’impatto nell’atmosfera terrestre di un frammento proveniente da Beta Tauridi. Il 30 giugno 1908, un meteorite con un diametro variabile tra i 60 e i 100 metri, probabilmente proveniente dal medesimo sciame, avrebbe causato una catastrofica esplosione nel cielo della Siberia, nota come “Evento di Tunguska”. (Secondo le ultime scoperte, il meteorite, fatto di ferro, non si sarebbe schiantato, ma avrebbe semplicemente attraversato l’atmosfera in quel punto). A causa della sua velocità, quel singolo piccolo meteorite avrebbe causato una detonazione di circa 15 Megatoni, il corrispondente di 1.000 bombe atomiche sganciate su Hiroshima. Secondo i professori di Edimburgo, l’impatto degli sciami di
meteoriti del 10.950 a.C. si sarebbe verificato nel Nord America. L’effetto collaterale dell’impatto avrebbe poi generato lo Younger Dryas, una sorta di “inverno nucleare” esteso a tutta la Terra.
Una diversa interpretazione L’evento dello Younger Dryas verificatosi circa 12.800 anni fa, è ormai accettato dalla comunità scientifica, almeno a grandi linee, come un fatto estremamente probabile. I resti di una o più comete hanno effettivamente bombardato la Terra, causando l’effetto di una sorta di “Terza Guerra Mondiale Termonucleare” su gran parte della superficie terrestre. A questo si associò anche una nuova breve era glaciale. In base a questo, probabilmente i due professori di Edimburgo hanno ragione nel ritenere che i costruttori di Göbekli Tepe siano stati testimoni di questo evento catastrofico. Ma, probabilmente, non tutto quello che è stato affermato dai due studiosi è corretto. Innanzitutto, la struttura di Göbekli Tepe non è stata costruita tutta in una volta, come alcuni vorrebbero far credere. Alcune strutture circolari sono più antiche di altre. Tutte le strutture circolari sono più antiche di quelle rettangolari. Inoltre, le strutture situate più in profondità nel terreno sono più antiche di quelle che si trovano ai livelli più alti. Quindi quello che può essere valido per la “Stele dell’Avvoltoio” e per l’edificio in cui è situata, non è necessariamente valido per tutto il resto della struttura. La costruzione “a strati” di Göbekli Tepe rende impossibile che ogni dettaglio di un singolo edificio possa essere messo in relazione con altri edifici costruiti in tempi diversi. Questo incide su alcuni “allineamenti” e “correlazioni” pensate da alcuni studiosi. Inoltre, i resti dissotterrati nei nostri giorni non sono esattamente identici a quello che gli architetti di Göbekli Tepe costruirono. Questo è evidente da alcuni aspetti. I due monoliti al centro di ogni struttura circolare sono stati concepiti proprio per essere “spostati” in base al bisogno. Quindi nessuno ci può assicurare che la posizione odierna dei due monoliti sia la stessa di 12.000 anni fa. Come hanno dimostrato i resti di Jerf el-Ahmar, è estremamente probabile che sugli edifici di Göbekli Tepe ci fosse una sorta di copertura leggera, forse in legno, che è andata perduta.
Se questo fosse vero, sarebbe più complicato, anche se non impossibile, immaginare Göbekli Tepe come un osservatorio astronomico. Il cielo non era osservabile da dentro i recinti, se questi erano chiusi da una copertura. E non si può immaginare che in pieno Younger Dryas ci fossero edifici scoperti, con il freddo che faceva. C’erano altre mura che poi sono state eliminate? Semplicemente non lo sappiamo. Quindi qualsiasi attuale tentativo di allineamento tra questi pilastri ritrovati e le stelle del cielo non ha molto senso.
Inoltre, si nota come la “Stele dell’Avvoltoio” sia scolpita anche nella zona che attualmente è nascosta da un muretto a secco, da cui spunta solo qualcosa di simile all’incisione di un cane/volpe e di quello che sembra essere un piccolo serpente (ma l’identificazione non è chiara in quel punto). Perché scolpire qualcosa che poi doveva essere parzialmente coperto? L’unica
spiegazione è che la stele venne scolpita in maniera indipendente dal muro. Quindi non è detto che, quando la stele fu scolpita, si trovasse necessariamente nel punto in cui si trova oggi. Oppure, come seconda ipotesi, possiamo pensare che il muretto a secco non faceva parte del progetto originale, e venne aggiunto successivamente, coprendo quindi parte dei pilastri.
Uno zoo di pietra Gli aspetti già menzionati, ci fanno capire come sarebbe un errore pensare che ogni piccolo dettaglio di Göbekli Tepe sia stato progettato e voluto in quel modo sin dal suo concepimento. Questo pensiero sarebbe evidentemente un errore, che potrebbe portare a conclusioni imprecise o affrettate. Nonostante questo, è possibile che gli animali raffigurati a Göbekli Tepe rappresentino costellazioni? Oggettivamente è probabile che la raffigurazione di alcuni animali intagliati su alcuni pilastri a Göbekli Tepe rappresentino davvero dei gruppi di stelle. L’uomo ha da sempre visto nelle stelle forme e oggetti della sua realtà quotidiana. Ma anche se alcuni animali scolpiti su alcune rocce probabilmente rappresentano delle costellazioni, non è detto che “tutti” gli animali incisi su “tutte” le pietre di Göbekli Tepe rappresentino “sempre” dei gruppi di stelle. Se, per fare un esempio, noi vedessimo due pesci, un leone e un ariete raffigurati in un giornale di astrologia odierno, capiremmo che si tratta di costellazioni. Se vedessimo gli stessi animali raffigurati in un giornale di zoologia, capiremmo che sono animali reali. Gli stessi animali vengono considerati reali o simboli astratti a seconda del contesto in cui compaiono. Quindi non è tanto l’animale in sé a giustificare la sua attribuzione come “costellazione” o meno, ma il contesto dove è posto. Qual è il contesto di Göbekli Tepe?
Nei vari pilastri che formano gli edifici circolari di Göbekli Tepe, i serpenti vengono spesso raffigurati in gruppo, a volte anche in gruppi molto numerosi. Non possono quindi rappresentare delle costellazioni, visto che in cielo non esistono costellazioni identiche che si ripetono in gruppo. Anche le figure di uccelli, che sembrano essere delle gru, sono state spesso scolpite in gruppi numerosi nei vari pilastri. Per i motivi che abbiamo già accennato, anche loro non possono rappresentare delle costellazioni. Anche le “oche carnivore” sono state spesso scolpite in gruppo. Non possono quindi rappresentare soltanto costellazioni.
Continuando il nostro esame, notiamo che almeno in un caso un animale simile ad un leone viene raffigurato mentre azzanna una preda. Il leone in questo caso viene raffigurato in quanto animale, e non rappresenta una
costellazione. Inoltre, se i disegni dei vari animali rappresentassero solo delle costellazioni, l’ordine in cui vengono raffigurati dovrebbe seguire uno schema fisso. Ad esempio, nel nostro moderno zodiaco, il Sagittario segue sempre lo Scorpione, il Capricorno segue sempre il Sagittario, l’Acquario segue sempre il Capricorno e così via. Nelle varie raffigurazioni degli animali di Göbekli Tepe questo invece non avviene. Ad esempio, in una raffigurazione si vede la sequenza Uro, Volpe, Gru, mentre in un’altra si vede la sequenza Volpe, Cinghiale e molte Gru. È evidente che questi animali non rappresentano il susseguirsi di segni zodiacali. Quindi, ne deduciamo che, anche se è probabile che alcuni degli animali raffigurati a Göbekli Tepe possano rappresentare delle costellazioni, questa non è la regola. Anzi, probabilmente è l’eccezione. Inoltre, nei pochi episodi in cui gli artisti di Göbekli Tepe hanno davvero voluto rappresentare le costellazioni tramite animali, nessuno può sapere con assoluta certezza a quali costellazioni si riferissero i vari animali raffigurati. Voler paragonare a tutti i costi quegli animali alle costellazioni conosciute nei nostri giorni è un esercizio troppo azzardato, un vero tirare a indovinare.
Da ultimo, si deve osservare che la disposizione di questi animali/costellazioni scolpite sulle stele, è troppo imprecisa per essere definita un vero calendario astronomico da cui ricavare una data precisa di un dato evento. Volerlo fare è una vera forzatura che si basa su argomenti troppo fragili per definirsi “scientifici”. Nel migliore dei casi si tratta solo di indicazioni piuttosto vaghe.
11 - Un racconto su pietra Se vogliamo ragionare in maniera logica e imparziale, dobbiamo mettere da parte l’idea che la Stele dell’Avvoltoio possa essere usata come una sorta di “calendario”, utile per ricavare la data precisa di alcuni avvenimenti astronomici, come ad esempio l’evento dello Younger Dryas. Questo, onestamente, sarebbe un esercizio con un margine di errore davvero troppo grande per essere accettabile.
D’altra parte, non si può non notare l’evidente sforzo dell’autore della Stele dell’Avvoltoio di raccontare una storia. Una storia la cui lettura e decifrazione sarà sembrata ovvia a chi l’ha creata, ma a noi che non
conosciamo il significato dei simboli usati, risulta essere estremamente oscura. Volendo essere coerenti, senza dover per forza legare questa storia ad un evento astronomico o a una data, possiamo cercare di capire a grandi linee il senso della Stele dell’Avvoltoio tenendo conto del punto di vista di chi l’ha scolpita. Nulla lascia pensare che sia stata scolpita da un astronomo. Tutto lascia pensare, invece, che sia stata scolpita da un artista di un tempo lontano, per comunicarci qualcosa. Cerchiamo quindi di immedesimarci nei suoi panni, e sforziamoci di vedere la stele con i suoi occhi.
Un primo aspetto che possiamo subito evidenziare, è che la stele nel suo complesso viene suddivisa in 2 aree, o zone. La prima zona è la parte superiore del pilastro, la testata, che indichiamo come zona A. La seconda, che indichiamo come zona B, è la zona sottostante, che abbraccia tutto il resto della stele. La zona B si può immaginare come un cerchio, il cui centro è costituito da un piccolo cerchio posto proprio al centro della stele.
A sua volta, la zona B può essere divisa in altre zone più piccole, come i diversi quadranti di un orologio da polso analogico. Possiamo evidenziare la zona B1, una zona quasi triangolare che si restringe fino a toccare il disco al centro della stele. Notiamo le zone B2, B3, B4, che sono sezioni di questo quadrante, ciascuna con i suoi simboli. Teoricamente può essere aggiunta una zona B5, visto che anche il bordo del pilastro contiene l’incisione di due animali. Ma questa zona è da considerarsi un tutt’uno con il resto della zona B.
La zona A Concentriamoci ora ad esaminare la “zona A” che si trova in cima alla stele. Come si può vedere confrontando le altre stele di Göbekli Tepe dove è stato scolpito un racconto (come la Stele delle Gru), la zona superiore dei pilastri viene spesso utilizzata come una sorta di intestazione. Come il titolo di un libro, la zona in alto descrive il contesto del racconto. Come possiamo descrivere il “titolo” di questa stele? Potremmo usare questa frase: “Quando sulle nostre case tutto divenne buio”. Vediamo il perché di questa affermazione.
La prima cosa che notiamo sono tre piccoli archi, attaccati ad un bordo di un certo spessore. Li abbiamo contrassegnati nell’immagine con i numeri 1, 2, 3.
Secondo alcuni autori questi tre archi rappresenterebbero tre soli che tramontano. Ma non sembra che questa sia una spiegazione corretta. Se avesse voluto scolpire tre tramonti o tre albe, lo scultore non avrebbe realizzato un bordo così evidente attorno ai semicerchi che rappresenterebbero il sole. Avrebbe semplicemente scolpito tre emicicli senza nessun bordo. (Infatti, più giù viene inciso un cerchio senza alcun bordo che raffigura probabilmente il Sole, la Luna, o secondo alcuni la Terra). Lo spesso bordo attorno ai tre emicicli probabilmente vuole esprimere il concetto che tra lo spazio all’interno degli emicicli e l’esterno c’era qualcosa che si interponeva, come un muro circolare. Si può notare che tutti i recinti più antichi di Göbekli Tepe, come anche quelli di Jerf el-Ahmar, sono a forma circolare. Al di sotto dei tre emicicli c’è qualcosa molto simile ad un muro verticale. Si tratta quindi di costruzioni circolari munite di un tetto, in tutto e per tutto simili agli edifici rinvenuti a Jerf el-Ahmar, e a come probabilmente erano in origine le strutture a cerchio di Göbekli Tepe. Nella parte alta della Stele dell’Avvoltoio sono quindi scolpite tre di queste case a forma circolare. Nella zona che dovrebbe rappresentare il cielo sulle tre piccole costruzioni circolari, si vede un motivo con linee a zig-zag, che riempie l’intera atmosfera al di sopra delle costruzioni. Cosa rappresenta questo motivo? Ovviamente qualcosa riempiva il cielo, o qualcosa cadeva dall’alto fino a saturare tutto l’ambiente. Cosa può cadere in maniera così fitta dal cielo, al punto tale da essere rappresentato da un artista con una linea continua a zigzag? Il disegno indica che all’interno dei tre rifugi circolari ci si riusciva a riparare da quel qualcosa che sembra cadere dal cielo. Infatti, il motivo a zigzag non è presente dentro le tre case, che evidentemente vengono descritte in questo caso come una sorta di “rifugio”. Si trattava di pioggia o neve? Gli abitanti di Göbekli Tepe vivevano in un periodo freddo. Erano abituati alle intemperie. Una tempesta di neve non li avrebbe minimamente impressionati. Probabilmente, quindi, l’elemento a zigzag si riferiva ad una sorta di “fall-out” estremamente fitto, che riempiva il cielo, ma che non riusciva a penetrare all’interno dei tre rifugi semicircolari. Probabilmente si trattava di nubi di detriti, o polvere, che si mischiavano con l’atmosfera.
Quei tre muri a semicerchio ben raffigurano le costruzioni in pietra in cui, durante quel periodo, ci si rifugiava da un evento atmosferico improvviso, e probabilmente mai visto prima. Essendo pieno di un elemento estraneo, evidentemente il cielo doveva apparire molto scuro. Di cosa si poteva trattare? Probabilmente delle cause che portarono allo Younger Dryas. A causa del bombardamento dei frammenti di cometa, il cielo era diventato oscuro, e di colpo era tornata una piccola era glaciale. Per sopravvivere bisognava ripararsi all’interno delle costruzioni. Il tutto è descritto con sorprendente realismo. Sembra che questa scultura contenga anche un elemento di carattere cronologico. A fianco ad ogni rifugio si nota la presenza di un diverso animale, che abbiamo indicato con i numeri 4, 5, 6. Il primo sembra essere un uccello, probabilmente una gru. Il secondo sembra essere un uro, un toro selvatico. La disposizione delle zampe del terzo animale, insieme alla forma della coda e della testa, lascia pensare che rappresenti qualche forma di anfibio, una specie di rana con la coda. Comunque, non è possibile la sua esatta identificazione, ma in questo contesto non è nemmeno indispensabile sapere esattamente di che animale si tratti. Non è possibile che la vicinanza degli animali alle costruzioni semicircolari voglia dire che gli esemplari di quelle specie sono stati allevati dagli abitanti delle costruzioni raffigurate. La gru, il toro selvatico e in genere gli anfibi non sono animali da allevamento. Inoltre, come abbiamo detto precedentemente, a Göbekli Tepe non esiste alcun resto di animali da allevamento. In questo caso le raffigurazioni dei tre animali potrebbero indicare dei simboli di alcuni clan. In base alla raffigurazione incisa sulla stele, se i tre animali dovevano raffigurare dei clan, allora vuol dire che i componenti di diversi clan si dovettero rifugiare nelle costruzioni semicircolari a causa di quello che cadeva dal cielo. Ma se questa spiegazione potrebbe essere realistica per l’uro, visto che molti lo esibivano come trofeo, non sembra che lo stesso avvenisse per la gru e per la rana. In nessun punto di Göbekli Tepe questi animali sembrano essere indicati come ornamenti di qualche clan. Più realisticamente, quei tre animali in questo contesto possono rappresentare delle costellazioni. (Come abbiamo detto precedentemente, un singolo
animale può indicare in contesti diverse cose diverse. In questo caso la gru, che in altri contesti viene raffigurata come un semplice animale, o come simbolo degli uomini-uccello, sembra assumere il significato di costellazione). Se i tre animali rappresentano tre diverse costellazioni, allora l’intera scena descritta in cima alla cosiddetta Stele dell’Avvoltoio rappresenterebbe un periodo di tempo.
Quali tre periodi di tempo vengono indicati? Ci sono almeno due opzioni. Ad esempio, i cinesi usano indicare ogni nuovo anno con una costellazione diversa, chiamandolo, ad esempio, “l’anno del dragone, l’anno del maiale”, e così via, in base al nome che danno alle costellazioni. Quindi le tre costellazioni potrebbero indicare un periodo di tre anni. Questo breve periodo di tempo sarebbe compatibile con la “fase acuta” dello Younger Dryas. Oppure, loro assegnavano a ciascuna costellazione, in base al suo sorgere da qualche punto all’orizzonte, un certo periodo di tempo. La raffigurazione dei tre animali potrebbe voler dire che l’avvenimento sia durato un periodo di tempo che loro usavano indicare con quelle tre costellazioni. Questo è del tutto plausibile. Il problema è che noi non possiamo sapere in alcun modo a quali costellazioni si riferissero, e nemmeno quale periodo di tempo associassero ad ogni costellazione. Ogni tentativo di associare il loro modo di suddividere il cielo alle nostre costellazioni, o ricorrendo a fenomeni come la “precessione degli equinozi” è solo un azzardo. Non abbiamo nessuna prova, né diretta né indiretta, di queste similitudini. L’unica constatazione che
possiamo fare è che gli animali che identificano queste tre costellazioni sono molto più piccoli rispetto a quelli incisi nella parte inferiore della stele. Molto probabilmente, quindi, indicano periodi di tempo più brevi. Al di là della durata effettiva del periodo descritto sulla cima della Stele dell’Avvoltoio, sembra abbastanza evidente che l’artista abbia voluto descrivere un determinato periodo di tempo. Durante quel tempo, qualcosa dal cielo si abbatteva sulle costruzioni. La linea a zig-zag può indicare qualche tipo di fall-out di polvere e detriti, associato al buio e al freddo. Sicuramente si trattava di qualcosa di assolutamente fuori dalla norma, al punto tale che gli abitanti sono stati costretti a vivere al riparo, in costruzioni umane o in caverne che servivano da rifugi. La somiglianza con la descrizione degli effetti dello Younger Dryas è notevole.
Il cerchio della zona B Se la parte alta della Stele dell’Avvoltoio, ossia la zona A, serve come “titolo” del racconto, nella parte sottostante, la zona B, abbiamo il racconto vero e proprio, ovviamente in forma simbolica. L’elemento centrale della zona B è il cerchio che si trova al centro della scena. Di cosa si tratta? Secondo alcuni, considerando l’abitudine della gente dei villaggi vicini a Göbekli Tepe di tagliare la testa ai defunti qualche tempo dopo che erano stati inumati, e considerando che in basso si vede un uomo senza testa, questa sfera dovrebbe rappresentare una testa umana. Ma i fatti smentiscono questa idea. Non solo a Göbekli Tepe non è mai stato trovato un teschio umano separato dal corpo, ma non sono mai stati ritrovati resti umani di alcun tipo. Nessuno venne mai decapitato, né da morto né tantomeno da vivo, a Göbekli Tepe. Quel sito non venne mai usato per seppellire nessuno. Inoltre, basta vedere l’abilità usata dall’artista per rappresentare i diversi becchi dei vari uccelli, per capire che era perfettamente in grado di disegnare una testa umana molto più realistica di un semplice cerchio, se avesse voluto farlo davvero. Come abbiamo visto esaminando i due monoliti centrali, gli “uomini senza volto”, o “senza testa”, sono un elemento centrale nella cultura locale. Il piccolo uomo senza testa rappresenta qualcosa che ha una stretta connessione con i due personaggi raffigurati dai due monoliti. (Ne abbiamo parlato approfonditamente nel capitolo 7). Trattandosi di uomini che sono già “senza testa”, non ci dovrebbe essere nessuna testa da staccare. Quindi quel
cerchio posto al centro della scena deve rappresentare qualcos’altro.
È evidente che l’autore ha inciso sulla pietra la forma di un disco. Alcuni pensano che si tratti del disco del Sole. Certo è una possibilità. Infatti, uno dei simboli presenti sul monolite B sembra essere un emisfero unito ad una mezzaluna, forse a rappresentare il simbolo Sole/Luna. Ma preso come entità unica, il Sole visto ad occhio nudo appare come un disco solo all’alba e al tramonto. Nella restante parte del giorno è visibile solo la corona solare, ma
questa è accecante se vista ad occhio nudo. È piuttosto difficile pensare che il Sole sia stato rappresentato con un semplice disco, senza i raggi solari che lo circondano. Un tale disegno non avrebbe rappresentato fedelmente la sua forte luminosità. Per gli antichi abitanti di Göbekli Tepe, l’unico disco visibile in cielo senza particolari problemi era la Luna piena. Il nostro satellite, con la sua debole luminosità, ogni volta che era visibile come “Luna piena”, poteva essere ben rappresentato da un disco. Ma sembra sia piuttosto raro che i popoli antichi rappresentassero la Luna con un disco, visto che per la maggior parte del tempo il nostro satellite è visibile sotto forma di mezzaluna. Infatti, nel Monolite B la Luna è rappresentata da una falce. Non esiste, quindi, una risposta univoca e inconfutabile su cosa rappresenti il disco nel cielo inciso nella Stele dell’Avvoltoio. L’unica cosa certa è che era visibile a tutti, essendo posizionato al centro della stele. Alcuni pensano che si tratti di un disco volante. Questa possibilità non può essere esclusa a priori. Infatti, non è escluso che si possa trattare di qualcosa di simile al “Falso Sole” di Fatima. Il 13 Ottobre del 1917, in Portogallo, vicino alla cittadina di Fatima, tra le 30.000 e le 40.000 persone si radunarono per assistere ad un fenomeno che era stato preannunciato. Oltre a fedeli e religiosi, erano presenti anche atei, scettici, giornalisti e professori universitari. Secondo molti testimoni, ad un certo punto tra le nuvole apparve come un disco opaco e argenteo, che in molti scambiarono per “il Sole”. (Oggettivamente non poteva essere il Sole, visto che la nostra stella non è argentea e tantomeno opaca di giorno). Secondo molti testimoni questo disco iniziò ad emettere diverse gradazioni di luce, e a muoversi in maniera veloce e convulsa. Da notare che, anche se il disco argentato si muoveva, non sembra che le ombre e le luci nella zona circostante cambiassero in qualche modo. Questa è una ulteriore conferma che il “vero Sole” continuava a splendere come al solito, e quella gente stava guardando qualcosa di diverso. Ad un certo punto quel disco iniziò ad avere un moto a “foglia morta”, e perse gradualmente quota fino a scendere quasi sulla testa della folla. Ne potevano avvertire il calore, e secondo molti i loro abiti bagnati vennero asciugati in un raggio di 70 metri, mentre il fenomeno sembra essere stato visibile da circa 20 chilometri. Chi ha scolpito la Stele
dell’Avvoltoio ha visto lo stesso “Sole”? Non possiamo escluderlo. L’ultima opzione, che da un punto di vista logico sarebbe la più calzante, è che quel cerchio raffiguri semplicemente la Terra, sospesa in mezzo alle costellazioni. Il ragionamento non farebbe una piega, se non ché uno scultore di 12.000 anni fa non poteva conoscere né la forma della Terra né che questa era sospesa “tra le stelle”. Sarebbe stato necessario che qualcuno, venuto dal di fuori della Terra, avesse dovuto spiegare allo scultore che la Terra altro non è che una “pallina” sospesa tra le costellazioni. Che è, oggettivamente, quello che è stato scolpito sulla Stele dell’Avvoltoio. Lasciamo che ciascuno tragga le sue conclusioni.
La zona B1 Attorno a questo “disco” si svolge tutta la scena pensata dallo scultore. Quello che nella zona A viene riassunto con un’unica immagine, nella zona B viene spiegato con una serie di immagini. Tutto ruota attorno all’elemento del disco, come i numeri di un ipotetico orologio da polso si trovano attorno al suo centro. Continuando la descrizione della Stele dell’Avvoltoio, possiamo notare le incisioni della “zona B1”, che formano quasi un triangolo capovolto, immediatamente sotto la “zona A”. In questa parte della stele compare nuovamente il tema a zig-zag visto nella parte superiore.
Evidentemente questa “fetta” di quadrante descrive il periodo di tempo in cui dal cielo cadeva un “fall-out” di detriti e polvere, qualcosa da cui doversi riparare nelle case. Quindi, il racconto sembra dire che c’è stato un periodo di tempo in cui qualcosa riempiva tutta l’aria circostante, come se cadesse dal cielo, e che produceva probabilmente un clima freddo che costringeva la gente a rifugiarsi al chiuso. In quel periodo di tempo la gente è stata costretta a vivere dentro un riparo. Questo non vuol dire che lo scultore della Stele dell’Avvoltoio fosse in vita in quel periodo, o che in generale gli abitanti di Göbekli Tepe assisterono tutti personalmente a quell’evento. Si tratta solo di una storia scritta su pietra, qualcosa di tramandato dalle generazioni passate, e che doveva essere tramandato alle generazioni future. Ad un certo punto questo motivo a zig-zag viene interrotto da una sorta di muro, o una fila di mattoni. Probabilmente quel muro indica il muretto che delimitava i recinti circolari di Göbekli Tepe, o di altre strutture simili. Il muro compare due volte. È interessante notare come alcuni dei recinti circolari avessero davvero un doppio muro. L’artista sta quindi ripetendo la scena che compare sulla testata del pilastro, ma da un punto di vista diverso: l’interno dei recinti. Indica il tempo in cui, a causa di dense nubi e freddo che calarono improvvisamente nel loro insediamento, dovettero di corsa rifugiarsi al chiuso. Tutta la facciata della zona B della stele è costruita come una sorta di orologio. Prima e dopo la comparsa del “elemento a zig-zag” il cielo era limpido, e si potevano vedere le costellazioni, simboleggiate dagli animali incisi sulla stele. Bisogna ora capire da quale verso gira l’orologio. Come vedremo in seguito, è molto probabile che le incisioni a destra della zona B1 siano quelle che descrivono avvenimenti più recenti. Quindi a sinistra della zona B1, ossia la zona B2, rappresenta il passato più lontano. Poi accadono gli avvenimenti della zona B3, poi B4 e B5, e infine il “clou”, descritto nella zona B1.
I due esseri alati Non tutte le figure attorno al disco centrale rappresentano delle costellazioni. Come abbiamo detto precedentemente, alcuni elementi vengono ripetuti
almeno due volte nel contesto. Ma ovviamente non possono rappresentare “costellazioni gemelle”, perché queste non esistono. Quindi devono rappresentare qualcos’altro. Fra questi simboli ripetuti troviamo quelli che sembrano essere due gru, che abbiamo indicato con il numero 13. Ma ad un più attento esame si nota una particolarità fondamentale. Questi due uccelli raffigurati hanno gambe che si piegano al contrario, come quelle umane. Specialmente l’incisione 13 sembra avere la tipica muscolatura delle gambe umane. Se si paragona questo con l’incisione 2 in alto a sinistra, nella “zona A”, dove compare una gru, si vede perfettamente che in quel caso questo uccello è stato scolpito correttamente. Evidentemente le figure 13 e 14 vogliono rappresentare qualcosa di diverso. Non si tratta quindi di un errore dell’artista, ma di una deformazione intenzionale. Lo scultore ha deciso di raffigurare in quel punto esseri metà uccello e metà uomo. Secondo alcuni studiosi, tra cui il defunto Klaus Smith, quelle due gru rappresenterebbero degli sciamani che, da umani, si trasformerebbero in uccelli. Questa è senza dubbio una spiegazione interessante e che può avere una sua logica. Ma non è l’unica. Basta guardare quelle immagini da un punto di vista diverso, e si comprende che di esseri umani “con le ali” è piena la mitologia di quella regione. La religione Zoroastriana, Ebraica, Cristiana, Islamica, ma anche le religioni precedenti che si erano affermate nella zona, avevano tutte in comune la figura dei “messaggeri celesti”, chiamati angeli, rappresentati sempre e comunque come esseri umani con le ali. È vero che tutte queste religioni sono sorte millenni dopo la costruzione di Göbekli Tepe. Ma è possibile che i due esseri “metà uccello e metà umani” possano essere il prototipo di queste figure mitologiche, a cui in seguito hanno attinto le grandi religioni monoteistiche del Medioriente?
Le immagini teriantropiche di Sulawesi risalenti a 44.000 anni fa, l’uomoleone scoperto in Germania e datato come risalente a 40.000 anni fa, l’uomo uccello della “Grotte de Lascaux” in Francia , e qualsiasi altro ritrovamento simile che verrà scoperto nei prossimi anni, rovesciano completamente l’idea che avevamo sulla “nascita della religione”. Questi ritrovamenti ci dicono che “gli dèi” comparvero nella storia umana molto prima di quanto ci si aspettasse. Anzi, a questo punto si può dire che le realizzazioni artistiche più significative degli homo Sapiens che sono state ritrovate, raffigurino sempre e in ogni caso almeno uno di questi esseri mitologici. Diversi ricercatori sono ora portati a credere che questo concetto, ossia l’idea che gli umani abbiano avuto contatti con esseri “non umani” e definiti “divinità”, siano essi contatti reali o immaginari, qualsiasi cosa abbia voluto dire questo nel passato, sia un
concetto vecchio quanto l’homo Sapiens. Questo aspetto non va preso per scontato. Tanto per fare un esempio, i dipinti rupestri degli homo Neanderthalensis, molto più antichi di quelli degli homo Sapiens, risalenti al 65.000 a.C., non raffigurano mai questi esseri teriantropici. Va detto che le ultime scoperte sul DNA affermano che gli homo Neanderthalensis possono considerarsi come una semplice variazione dell’homo Sapiens. Come gli homo Sapiens, anche gli homo Neanderthalensis dipingevano, creavano piccole statuine, e avevano tutti gli atteggiamenti tipici dei nostri antenati. L’unica cosa che ci differenziava nettamente era che l’homo Neanderthalensis era più adatto dell’homo Sapiens alle rigidità del clima freddo, perché viveva da molto tempo in Europa, che in quel tempo era una zona molto fredda. Per questo motivo era più tarchiato, più forte e più peloso. Gli homo Neanderthalensis, che a differenza dell’homo Sapiens non ritraevano nei loro dipinti esseri “che vengono dal di fuori”, si estinsero tra il 40.000 a.C. e il 25.000 a.C. Non ne è restato in vita nemmeno uno. Invece, l’homo Sapiens, nettamente più debole dal punto di vista fisico, sopravvisse. Ancora nessuno sa spiegarsi in maniera convincente il perché. Si propongono varie idee, ma per il momento nessuna di esse viene accettata dalla comunità scientifica come “definitiva”. La risposta può trovarsi, tra le altre cose, nel contatto, o nella mancanza di esso, con “coloro che venivano dal di fuori”? La vicinanza, reale o immaginaria, degli homo Sapiens a questi esseri che provenivano dal di fuori, e la mancanza di questa vicinanza negli homo Neanderthalensis può essere stato un fattore discriminante? È un’idea provocatoria, ma considerando quanto poco ne sappiamo sul nostro passato, non può nemmeno essere “cassata” a priori. Cosa rappresentano “realmente” i due esseri metà umani e metà uccelli? È difficile dirlo a 12.000 anni di distanza. Quello che però si può dire, è cosa rappresentassero per gli artisti di Göbekli Tepe che li hanno realizzati. Come vedremo in seguito, secondo le leggende o la storia di Göbekli Tepe, questi due “uomini-uccello” rappresentavano entità celesti che sono intervenute nella storia degli abitanti del luogo in un preciso periodo storico. Ovviamente il fatto che gli abitanti di Göbekli Tepe pensavano che questo intervento fosse davvero accaduto, non è un motivo sufficiente per crederci alla cieca. Il
mondo è pieno di leggende inattendibili. Ma, come vedremo nel prossimo capitolo, conoscere il loro punto di vista su questo aspetto risulta indispensabile per chiarire l’idea che questo popolo aveva del suo passato. Queste due immagini compaiono immediatamente a destra della zona B1. Quindi la scultura sembra voler dire che, immediatamente prima che si verificasse lo Younger Dryas (raffigurato nella stele come un “elemento a zig-zag”), e quindi poco prima di 12.800 anni fa, questi esseri fecero la loro comparsa. Una descrizione molto più accurata di questo avvenimento compare nella Stele delle Gru, che esamineremo nel prossimo capitolo.
Il simbolo del serpente Un altro simbolo ripetuto due o più volte, e che per questo motivo nel contesto non può indicare una costellazione, è il simbolo del serpente, che abbiamo indicato con i numeri 8 e 13. In tutto il sito di Göbekli Tepe, sono stati raffigurati 23 gruppi di serpenti, per un totale di oltre 200 serpenti. Questo luogo si potrebbe quindi chiamare “il sito del serpente”. Il numero dei serpenti raffigurati supera di molte volte il numero di tutti gli altri animali messi insieme. Con poche eccezioni, tutti i serpenti si muovono dall’alto verso il basso. Sembra, quindi, che cadano dal cielo. Un movimento certo inusuale per un serpente. Inoltre, nel recinto C, successivo al primo recinto, il “D”, i serpenti non compaiono. Questo fa pensare che la figura del serpente non indichi le vipere presenti nella zona, altrimenti sarebbero state raffigurate in tutti i recinti, e non solo in alcuni. Nella Stele dell’Avvoltoio, un grosso serpente sembra passare di fronte ai due uomini-uccello. In alcuni pilastri sembra essere raffigurata una vera invasione di serpenti. Cosa rappresentano? Molto probabilmente rappresentano comete o asteroidi. La coda tipica di una cometa è il risultato del vento solare che soffia sulla sua “chioma”, man mano che questa si avvicina al Sole. Questo vuol dire che quando è possibile osservare una cometa ad occhio nudo, quasi certamente questa deve aver già sviluppato la sua “coda”. Man mano che la cometa si avvicina alla Terra, questa coda estremamente rarefatta diventa sempre più visibile. Una cometa estremamente vicina alla Terra, mostrerebbe una “testa” molto luminosa, e una lunghissima “coda” luminosa al suo seguito. Potrebbe quindi
avere l’aspetto di un “serpente di luce”. Quindi il simbolo del serpente potrebbe rappresentare effettivamente una cometa che si è avvicinata molto alla Terra. Spesso, le comete che si avvicinano troppo al Sole, esplodono in mille pezzi. Se questo fosse accaduto anche a quella cometa, mentre raggiungeva il suo perielio rispetto alla Terra, per forza di gravità i suoi frammenti sarebbero precipitati sul nostro pianeta, come sembra sia effettivamente accaduto. Dal punto di vista di un osservatore del passato, sarebbe sembrato che da un “grosso serpente di luce” siano nati tantissimi “piccoli serpentelli di luce”, che è esattamente quello che si vede nelle sculture di Göbekli Tepe. Secondo lo scultore, il “grosso serpente” passa davanti ai due uomini-uccello immediatamente prima che compaia “l’elemento a zig-zag”, quindi immediatamente prima dello Younger Dryas. Questo è confermato da molti astronomi e astrofisici, secondo cui una o più comete si avvicinarono alla Terra, esplodendo. I loro frammenti bombardarono la Terra provocando come effetto collaterale lo Younger Dryas. Possiamo dire che il simbolo del serpente, nella Stele dell’Avvoltoio, rappresenta un evento accaduto circa 12.800 anni fa, quando una o più comete, o frammenti di esse, impattarono sulla Terra. Secondo lo scultore, gli uomini-uccello, o i prototipi degli “angeli”, in quel periodo di tempo erano già qui.
Il simbolo dei monoliti Il terzo elemento che si ripete due volte, e che quindi non può raffigurare una costellazione, è rappresentato da due bastoncini disposti perpendicolarmente tra loro, con entrambe le estremità ingrossate. Sembrano quasi una “I” maiuscola e una “I” ruotata a 90 gradi. Li abbiamo indicati con il n. 14. Questo è forse il simbolo più profondo tra quelli raffigurati nella stele, perché non rappresenta qualcosa di reale, come un animale o un uomo. Viceversa, rappresenta un’idea o un concetto. È quindi un vero ideogramma, un concetto messo per iscritto da uomini vissuti almeno 12.000 anni fa. Come abbiamo detto in precedenza, questo è lo stesso simbolo che compare sulla cintura di uno dei due monoliti posti al centro dell’edificio circolare “D” a Göbekli Tepe. Possiamo ritrovarlo rispettivamente a destra e a sinistra del perizoma di quel monolite. Che relazione c’è tra gli avvenimenti descritti nella stele e quel simbolo? L’artista vuole forse dirci che i due monoliti compirono qualche azione in quel punto del racconto? Se il cerchio al centro di tutto dovesse rappresentare la Terra, allora sembra che lo scultore indichi
che la cometa (rappresentata dal Serpente), si trovava tra i due uomini-uccello (che erano vicini alla Terra) e i due monoliti, che erano oltre la cometa. Questo porrebbe i due monoliti, o ciò che essi rappresentano, chiaramente “nello spazio”. C’è un dettaglio che potrebbe essere una coincidenza o qualcosa di voluto. Ingrandendo l’immagine, si vede come la “coda del serpente” sembra generarsi da uno dei due simboli dei monoliti, quasi come se la “cometa” provenisse da loro. Non sembra essere solo un caso, perché cambiando i soggetti, la Stele delle Gru sembra dire esattamente la stessa cosa. (Ovviamente, il fatto che lo scultore fosse convinto che la cometa provenisse da due “oggetti” nello spazio, non vuole dire che il racconto sia automaticamente vero. Stiamo solo cercando di decifrare quello che lo scultore voleva esprimere). Volendo riassumere, da questo dettaglio della stele sembra di capire che, mentre la cometa che ha causato lo Younger Dryas sfrecciava nel cielo, da questa parte si trovavano esseri che apparivano come se fossero “alati” (e la cui presenza compare in tutti i testi sacri mediorientali, dove vengono chiamati “angeli”). Oltre la cometa c’erano altri esseri solo vagamente umani, descritti con la potenza di un uro, probabilmente l’essere vivente più potente conosciuto da quegli abitanti. La cometa sembrerebbe provenire da uno dei due schieramenti. Lo scultore voleva descrivere una fantasiosa “guerra tra divinità”? Stava assistendo davvero ad uno scontro tra esseri celesti? O erano solo degli osservatori? Erano lì per aiutare? Riprenderemo in seguito il discorso. Ad ogni modo, in base ai dati disponibili, tutto questo dovrebbe essere accaduto circa 12.800 anni fa.
Un aspetto cronologico Osservando il racconto scolpito sulla Stele dell’Avvoltoio, si nota che le incisioni continuano anche sul bordo piatto dalla parte destra della roccia. Visto che questo non accade negli altri punti della stele, è segno che evidentemente lo scultore aveva bisogno di “più spazio” per terminare il suo ragionamento. Sul bordo della stele è stata incisa quella che sembra essere una grossa formica (per altri è un ragno), che abbiamo indicato con il numero 15. Le antenne in cima alla testa e le tre paia di zampette sembrano indicare in maniera netta che si tratti di una formica (i ragni normalmente hanno otto
zampe e non hanno le antennine). Ma la cosa strana, che fa credere ad alcuni che si tratti di un ragno, è il corpo della formica che è stata incisa. Ha una pancia talmente gonfia da far credere che sia un ragno. Non sembra che attualmente in natura esistano formiche simili. Almeno non nei nostri giorni. Per trovare una formica “monstre” di quel tipo, con un ventre molto gonfio, dobbiamo pensare che si tratti di una “formica regina”, che ha il ventre molto più grande del resto del corpo, perché partorisce tutte le larve della colonia. Ma questa non sembra essere una spiegazione convincente. La possibilità che un essere umano, durante la sua vita, possa vedere una formica regina è estremamente limitata. Ne esiste solo una ogni formicaio, e trascorre tutta la sua vita da “regina” all’interno di esso.
Per trovare una formica simile che poteva essere vista durante la vita di un
uomo normale, dobbiamo andare molto indietro nel tempo, e scomodare la “Titanomyrma lubei”, una formica preistorica estinta, che era grande quanto un piccolo colibrì. Ma secondo molti studiosi, questa formica è scomparsa prima che l’homo Sapiens avesse fatto la sua comparsa sulla Terra. La “formica panciuta” è un errore dell’artista, o la raffigurazione di qualche parente di questo insetto preistorico che esisteva ancora in quel tempo, e che poi si è estinto? Non possiamo saperlo. Vicino alla formica è stato inciso una specie di scorpione, ma che sembra possedere soltanto le due chele, senza zampette, e con la coda molto più lunga di uno scorpione normale. Lo abbiamo indicato con il numero 16. Sembra raffigurare un Mixopterus, una specie di “scorpione preistorico” lungo circa 75 centimetri. Ma anche se la somiglianza è notevole, c’è un problema: anche questo animaletto doveva essere già estinto quando sulla Terra è comparso l’homo Sapiens. Da dove l’artista abbia preso un Mixopterus come “modello” è davvero un mistero. La risposta più semplice è che esisteva in quel tempo una specie di artropode, simile al Mixopterus, che poi si estinse. Possiamo notare che in una sola stele compaiono almeno tre animali “apparentemente preistorici”, che si pensa fossero già estinti al tempo della realizzazione di Göbekli Tepe. (1) Un uccello gigante della famiglia dei Dromornithidae (forse un Genyornis). (2) Una specie di scorpione preistorico estinto, forse un parente stretto del Mixopterus (3) Una formica gigante estinta, simile alla “Titanomyrma lubei”. Ovviamente qualcuno potrà pensare che siano stati errori dell’artista, o che abbia lavorato di fantasia. E questo può senz’altro essere vero. Ma se a questo aggiungiamo che anche i due monoliti hanno caratteristiche che sembrano spostarli di molto nel passato, le domande su quanto fossero antichi i ricordi a cui potevano attingere gli abitanti di Göbekli Tepe diventano imbarazzanti. Le informazioni contenute nella Stele dell’Avvoltoio potrebbero essere tra le più antiche della storia umana. (La stele stessa, invece, come vedremo, può avere circa 12.000 anni). In ogni caso, cosa rappresentano la “formica panciuta” e lo “scorpione dalla lunga coda”? Rappresentano sicuramente delle costellazioni, e costituiscono il “fattore tempo” di questa scena. È come se lo scultore abbia voluto dirci: “Nel periodo compreso tra la comparsa della costellazione della
Titanomyrma lubei e la comparsa della costellazione del Mixopterus, è apparsa la cometa che poi ci ha colpiti”. Di questo periodo di tempo conosciamo solo il finale, lo schianto avvenuto circa 12.800 anni fa. Non siamo in grado di dire a che periodo di tempo corrispondano le due costellazioni, ossia quando la cometa iniziò ad apparire nel cielo. Però, analizzando il resto della stele, possiamo farci un’idea di massima.
Il resto della stele Abbiamo isolato i simboli che descrivono quello che è accaduto circa 12.800 anni fa, ossia: (1) Il “serpente”: gli abitanti locali hanno visto sfrecciare nel cielo una cometa. (2) la “formica panciuta” e lo “scorpione dalla lunga coda”: questo avvenimento è avvenuto mentre quelle due costellazioni, a noi ignote, erano visibili. (3) I due uomini-uccello e i due simboli dei monoliti: durante quel periodo erano presenti esseri che “venivano dal di fuori”, e la cometa è nata dai monoliti. (4) Il triangolo con il “motivo a zig-zag”: dopo lo schianto, tutto il cielo si riempì di qualcosa di scuro, e gli abitanti furono costretti a vivere al chiuso per un certo periodo di tempo, probabilmente a causa anche del freddo intenso. Proseguendo in senso antiorario, lo scultore ci dice anche cosa accadde “prima” che la cometa apparisse nel cielo. Il simbolo con il numero 11 è uno scorpione. L’animale raffigurato è identico in tutto e per tutto ad un “Hottentotta hottentotta”, una specie di scorpioni ancora oggi presente in Turchia. Solo un dettaglio lo rende diverso dagli attuali scorpioni: l’animaletto ucciso sembra avere due antenne sulla testa, che normalmente gli scorpioni del nostro tempo non possiedono. (Il modo con cui queste protuberanze vengono raffigurate, rende improbabile che si tratti dei cheliceri di uno scorpione). Si tratta anche in questo caso di una specie scomparsa? O di un errore dello scultore? Con ogni probabilità questo scorpione rappresenta una costellazione. Non esiste nessuna prova che la loro costellazione dello scorpione corrisponda a quella che noi usiamo chiamare nello zodiaco con lo stesso nome. La ragione è semplice: nel cielo non esiste nessuno scorpione. È solo la nostra fantasia che ci fa unire con punti immaginari le luci delle varie stelle, e in base a chi le osserva quei punti possono ricordare uno scorpione, o un granchio, o una lucertola. Quello che a noi interessa sapere è che, secondo lo scultore, durante
il periodo di tempo in cui era visibile la costellazione dello scorpione accadde qualcosa. Cosa? Il simbolo 10 rappresenta rispettivamente un uccello enorme e un piccolo uomo senza testa (o senza volto) che sembra essere sopra di lui. Ne abbiamo già abbondantemente parlato in precedenza. La sproporzione tra il grande collo dell’uccello e il piccolo umano senza testa è troppo marcata per essere casuale. Sembra che l’artista voglia dire che, mentre era visibile la costellazione dello scorpione, i loro antenati si incontrarono con uomini venuti in groppa a degli struzzi giganti. Uccelli di quelle dimensioni sono esistiti solo in Oceania. Lo scultore descriverebbe quindi un incontro tra “esploratori” venuti da Sundaland, e i loro antenati. Questi “esploratori” vengono descritti come “senza testa” in segno di rispetto. Nel loro linguaggio, è come se fossero stati considerati dei semi-dei. Furono loro ad aver insegnato agli abitanti locali il culto dei monoliti senza testa? O furono addirittura loro a fargliene dono? Ad ogni modo il piccolo uomo è itifallico, e quindi è evidente che si tratti di esseri umani. A quanto può risalire questo incontro? Gli uccelli giganti australiani si estinsero tra i 30.000 e i 20.000 anni fa. Se il grande uccello veniva da Sundaland, l’incontro deve essere precedente alla sua estinzione. Alcuni ipotizzano che, quando nelle antiche sculture si vedono uomini a cavallo di uccelli giganti, questi rappresentino degli aerei. Allo stato attuale delle cose, non esiste nessuna traccia che una civiltà passata avesse una tecnologia tale da permettere loro di avere aerei come i nostri moderni caccia. Potevano invece possedere degli strumenti più semplici per il volo, come dei deltaplani, che permettevano loro di librarsi in aria usando le correnti? Questo non può essere escluso del tutto, visto che in Siberia e in Perù sono stati ritrovati dei geoglifici sul terreno talmente grandi (si parla anche di alcuni chilometri) che possono essere osservati solo in volo. Leonardo da Vinci aveva progettato “macchine volanti” diversi secoli prima che la nostra tecnologia producesse degli aerei. Quindi non è qualcosa di impossibile a priori. Ma finché nulla di tutto questo viene ritrovato, restano solo ipotesi da confermare. Comunque, di questo parleremo in seguito.
Avvenimenti passati Continuando ad osservare i simboli che si trovano sempre più a sinistra,
continuiamo il nostro viaggio nel tempo nella memoria degli abitanti di Göbekli Tepe. Si nota subito che, mentre sul lato destro i simboli si accavallano per quanto sono numerosi, man mano che ci si sposta verso sinistra questi diventano meno numerosi. Questo è piuttosto naturale, perché andando indietro nel tempo, i ricordi sono sempre più vaghi e imprecisi. Purtroppo, da questo punto in poi la stele risulta parzialmente rovinata, quindi la sua lettura è solo un tentativo. Altri due simboli, che abbiamo indicato con i numeri 8 e 9, sono parzialmente nascosti dal muro in cui la stele è stata incastonata. Da quello che si vede sembra trattarsi di una volpe comune, e di un secondo serpente. Ma il riconoscimento non è facile. Se quello che si vede è un serpente, questo è più piccolo del precedente. Sembra che lo scultore voglia dirci che, immediatamente prima della comparsa della costellazione dello Scorpione, apparve in cielo un’altra cometa. Per essere ricordata, doveva essere qualcosa di impressionante. Infatti, confrontando la Stele delle Gru, si comprende come anche questa prima cometa abbia generato uno sciame di meteore che ha colpito la Terra. Ma non sembrano essere descritti fenomeni associati a questa cometa. Quindi o gli impatti sono stati più leggeri, oppure l’evento è accaduto in un luogo lontano. Immediatamente vicino al simbolo del serpente, compare quello del cane/volpe (ammesso che l’animale sia quello). Rappresenta una costellazione, ed è un’altra indicazione di tipo temporale. Ma manca un pezzo della stele, quindi non possiamo dire cosa indichi. Il racconto termina con la figura che conferisce il nome a questa stele, ma che a conti fatti, sembra essere la meno significativa. Infatti, si aggiunge il simbolo numero 7, che raffigura un avvoltoio dal collare. L’avvoltoio sembra tenere sulla sua ala il cerchio centrale, o potrebbe essere solo una coincidenza. Secondo lo scultore il loro “tempo” inizia con la costellazione dell’Avvoltoio.
Riassumendo Volendo usare simboli più moderni per raffigurare il racconto della Stele dell’Avvoltoio, questa potrebbe essere raffigurata come nell’immagine in questa pagina. Riassumendo quanto detto finora, possiamo dire che gli elementi chiave sono quattro: (1) Il disco centrale. (2) Il triangolo capovolto. (3) Gli animali che si trovano attorno al disco centrale. (4) Altri simboli che raccontano eventi. Nella Stele dell’Avvoltoio sono raffigurati alcuni animali
disposti attorno al cerchio che potrebbe rappresentare la Terra. Di questi animali, quelli che dovrebbero rappresentare delle costellazioni, a partire da sinistra, sono: l’Avvoltoio, la Volpe/il Cane, lo Scorpione, la Formica e il Mixopterus. È evidente che il modo in cui queste costellazioni sono state incise non mira assolutamente alla “precisione astronomica”. L’artista che ha realizzato la Stele dell’Avvoltoio non stava incidendo una carta stellare. Infatti, come è facile notare, all’appello mancano le tre costellazioni incise nella “Zona A”, vale a dire l’Uro, la Rana e la Gru “normale”. Il numero complessivo delle costellazioni conosciute dagli abitanti locali salirebbe quindi ad 8, ma esaminando le altre stele del sito sembra che gli abitanti di Göbekli Tepe ne annoverassero molte di più. Quindi la Stele dell’Avvoltoio rappresenta solo alcune costellazioni di fra le tante usate dalla gente di quel tempo per immaginare il cielo. Alcuni pensano che, nell’insieme, la stele descriva il cielo come lo vedevano gli abitanti di Göbekli Tepe. Ma è poco probabile che la soluzione sia questa. Diversi simboli incisi, come abbiamo detto precedentemente, non rappresentano delle costellazioni, ma “eventi” di cui quel popolo era stato testimone. Se la stele rappresentasse la mappa del cielo in maniera statica, senza movimenti, questo vorrebbe dire che tutti gli eventi raffigurati nella stele si sarebbero verificati contemporaneamente. Ma, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, questo non può essere corretto. Il modo in cui sono state disposte le costellazioni, tutte attorno al disco centrale, sembra voglia dire che ruotassero attorno ad esso. (Che il disco rappresenti la Luna o la Terra poco importa). Non può trattarsi di un movimento reale di quelle costellazioni intorno ad un punto centrale. Le costellazioni ruotano in quel modo solo al Polo Nord e al Polo Sud. Per questo motivo, nemmeno questa spiegazione può essere quella giusta. Deve quindi trattarsi di una “rotazione” di tipo logico, e non reale. Questo ci porta a ritenere che, per l’artista che le ha incise, quelle 5 costellazioni rappresentavano 5 diversi periodi di tempo. (Lo stesso ragionamento sembra valere per le tre costellazioni che sormontano i tre rifugi nella zona A). Queste 5 costellazioni usate dall’artista e poste in cerchio attorno alla Terra (o qualsiasi cosa il cerchio rappresenti) erano quelle
che gli servivano per rappresentare una specie di “orologio”. Come le lancette dell’orologio indicano di volta in volta un numero diverso, e in questo modo scandiscono il passare del tempo, allo stesso modo l’osservatore poteva ripercorrere a ruota diversi avvenimenti che erano accaduti nel lontano passato del suo popolo. In questa specie di “orologio”, o “calendario circolare”, si nota che l’elemento che occupa tutta la parte alta, e che divide letteralmente il calendario in due, è una sorta di triangolo capovolto. Guardando ancora più in alto, nella “zona A”, lo scultore indica cosa facessero gli abitanti di Göbekli Tepe in quel tempo: erano dentro i rifugi per ripararsi dal “elemento a zig-zag”, l’evento conosciuto come Younger Dryas. Secondo gli archeologi (ed è confermato anche dal suo contenuto), questa stele è stata incisa verso il 10.000 a.C. Dalle informazioni ricavate dagli antropologi, sembra che i primi resti di homo Sapiens nella zona risalgano a circa il 60.000 a.C. Quindi, in linea di massima, la stele può raccontare avvenimenti che si verificarono tra il 60.000 e i 10.000 a.C. Questo vuol dire che, in media, ogni “costellazione” potrebbe anche indicare un periodo approssimativo di 10.000 anni (Ovviamente non stiamo dicendo che sia per forza così, ma è solo un ragionamento indicativo per capire di che arco di tempo stiamo parlando). Non sappiamo in base a quali cicli astronomici lo scultore assegnasse ad ogni costellazione la durata di un certo periodo di tempo, e non è nostra intenzione tirare a indovinare. Questi dettagli ci sono semplicemente ignoti. Considerando che non era intenzione dello scultore fornire delle date precise, possiamo parlare solo di “datazioni indicative”. Analizzando la stele, abbiamo compreso che gli avvenimenti sono stati descritti in senso antiorario. Il “triangolo capovolto” è quindi il “gran finale”, e gli avvenimenti descritti raccontano come si è arrivati a quell’evento. Partendo quindi dalla sinistra del triangolo, e procedendo in senso antiorario, il primo simbolo che troviamo è quello dell’Avvoltoio. Trattandosi della rappresentazione di una costellazione, questa non raffigura un evento, ma un periodo di tempo. Ci troviamo circa nel 60.000 – 50.000 a.C., e la popolazione è uscita dal “collo di bottiglia genetico” dovuto al “grande freddo”. (Ne abbiamo parlato in “Cassandra 3 – Il cammino dei
sopravvissuti”). La costellazione successiva in senso antiorario, la Volpe, ci porta attorno al 50.000 - 40.000 a.C. Quella successiva, lo Scorpione, indicherebbe il 40.000 - 30.000 a.C. circa. Procedendo in senso antiorario troviamo la costellazione della Formica, che indicherebbe un periodo di tempo intorno al 30.000 - 20.000 a.C. L’ultima costellazione è quella del Mixopterus , che ci porterebbe verso il 20.000 - 10.000 a.C., che è esattamente il periodo di tempo in cui si pensa sia stata scolpita questa stele. Parallelamente a queste 5 costellazioni, sulla stele sono stati incisi 5 eventi, che evidentemente erano della massima importanza per gli abitanti locali. Se si osserva la stele, si nota come questi 5 eventi non si trovino precisamente tra una costellazione e l’altra, ma sparsi un po’ al loro interno. Questo rende ancora più evidente che non era intenzione di chi ha realizzato la stele creare un vero “calendario” o un vero “orologio” da lasciare ai posteri. Le datazioni vanno fatte “a occhio”, e quindi sono largamente imprecise. Si può solo comprendere in linea di massima a quale millennio si riferiscono i vari eventi.
Una lettura di un antico racconto Con questo in mente, notiamo che in quella stele tutto ha inizio con la costellazione dell’Avvoltoio, che sembra quasi tenere in mano il cerchio centrale, o la Terra. Perché? Probabilmente la gente del posto vedeva gli avvoltoi abbattersi sui cadaveri lasciati sul terreno. È quindi naturale che venissero associati alla morte, e di riflesso alla vita. È probabile che rappresentassero il confine con l’ultraterreno. Quindi, la prima costellazione che gli abitanti del posto riuscirono a identificare in qualche modo, venne associata all’Avvoltoio. Questo può coincidere con il periodo di tempo in cui quella popolazione arrivò nella zona. Perché possiamo affermarlo? Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne che si trova nella Francia sud-occidentale. Sono chiamate “la cappella sistina del Paleolitico”, perché su questa grotta verso il 15.500 a.C., e quindi circa 17.500 anni fa, vennero dipinte delle stupende scene di animali, tra cui l’uro. Come riferisce un recente numero di Focus, una entoastronoma francese, Chantal JéguesWolkiewiez, asserisce di aver individuato in alcuni di questi animali delle costellazioni, tra cui quelle dell’uro e dell’unicorno. Secondo la studiosa, le grotte vennero scelte in base al loro ingresso, che in determinati periodi dell’anno permettevano particolari allineamenti con le stelle.
Se questo risultasse vero (e molti indizi sembrano accreditare almeno nei punti principali questa idea), questo vorrebbe dire che già 5.000 anni prima di Göbekli Tepe esistevano astronomi, o come minimo astrofili, che avevano già tratteggiato la mappa delle loro prime costellazioni. Sorprendentemente, quindi, l’astronomia è un’attività che precede l’agricoltura e la pastorizia, e nessuno può dire con precisione quando sia iniziata. Forse, è compagna dell’uomo da sempre. È quindi probabile che la prima costellazione identificata dagli abitanti di Göbekli Tepe risale grosso modo al periodo di tempo in cui questi si stabilirono nella zona. Continuando ad esaminare i simboli incisi sulla stele in senso antiorario, troviamo la costellazione della Volpe/del Cane. Anche questo simbolo è parzialmente coperto, e quindi la sua identificazione non può essere del tutto certa. Da quel poco che si vede, il simbolo sembra simile al cane che compare in uno dei due monoliti. Ma non possiamo sapere cosa ci sia nella parte coperta, quindi inutile speculare. Il primo “evento” che compare in senso antiorario dopo la costellazione del Cane/Volpe, è un serpente. Sulla stele, comunque, questo simbolo è parzialmente coperto da un muretto. Abbiamo detto che il simbolo del serpente rappresenta una cometa o un meteorite. Questo vorrebbe dire che, in quel periodo di tempo, è precipitato un meteorite o una cometa non di proporzioni estintive, ma sufficientemente grande da dover essere menzionato tra gli avvenimenti “memorabili”. Fino ad oggi sono stati rinvenuti 3 diversi crateri che, verso il 45.000 a.C., si sono formati in seguito all’impatto di corpi celesti con la Terra: il Meteor Crater in Arizona, lo Xiuyan in Cina, e il Lonar in India. Sembra che questi crateri si siano formati come risultato dell’impatto di un asteroide/cometa del diametro compreso tra 1 e 2 chilometri. L’esplosione derivata dall’impatto deve essere stata violentissima, pari a una potentissima bomba all’idrogeno di svariati megatoni. Il “piccolo” serpente della stele può riferirsi a uno di questi impatti, o a qualche altro di cui non siamo ancora a conoscenza. Comunque, secondo la Stele delle Gru anche questa cometa si sarebbe rotta in mille pezzi, bombardando la superficie del suolo. Dopo la costellazione della Volpe, compare la costellazione dello Scorpione. In corrispondenza di questa costellazione, e quindi verso il 30.000 a.C., si
verifica il secondo evento “degno di nota” nella storia dei costruttori di Göbekli Tepe. Nella stele compare un piccolo uomo senza testa sopra un enorme uccello. Come abbiamo spiegato precedentemente, probabilmente questa incisione si riferisce all’incontro degli antenati dei costruttori di Göbekli Tepe con umani che cavalcavano dei grandi uccelli, forse dei Genyornis. Diversi indizi sembrano indicare che provenivano dal Sud-Est Asiatico, dalla zona di Sundaland e Sahuland. Il contatto con quella popolazione, per dover essere ricordato tra i “grandi eventi”, in qualche modo deve aver profondamente influito sulla vita della gente del posto. Probabilmente sono stati portatori di nuove conoscenze, o nuovi culti. Furono loro, in seguito, a costruire Nan Madol, i Patung e le Kalambas? È molto probabile. (Ne parliamo in maniera approfondita nel prossimo volume). Continuando in senso antiorario, troviamo la costellazione della Formica, che ci porta al 20.000 a.C. circa. La costellazione successiva, quella del Mixopterus , ci porta intorno al 10.000 a.C. Tra queste due costellazioni, si vede un vero “accavallarsi di simboli”, che corrisponde ad un “accavallarsi di eventi”. Evidentemente, secondo chi ha inciso la stele, in quel periodo si sono verificati una serie di avvenimenti di natura “epocale”. A partire da sinistra, il primo evento descritto è quello dei due esseri metà uccello metà uomo, l’archetipo degli “angeli”. L’artista indica che, in qualche modo, i suoi antenati erano venuti in contatto (reale o presunto) con queste entità. Di chi o di cosa si trattava? Indipendentemente dal fatto che ci sia stato davvero questo contatto, o che si trattasse solo di una legenda popolare, questo avvenimento è molto diverso da quello descritto dal piccolo uomo senza testa a cavallo di un grande uccello. Gli uomini a cavallo degli uccelli vengono descritti fondamentalmente come esseri umani, probabilmente molto avanzati culturalmente, e quindi percepiti come delle semi-divinità. Viceversa, gli uomini-uccello non sono più esseri umani. Sono esseri simili agli umani, ma capaci di volare. Erano quindi qualcosa di non umano. Possiamo considerarli divinità, o esseri provenienti da altri pianeti. Dal punto di vista degli umani di 10.000 anni fa che abitavano Göbekli Tepe, tra le due cose non ci sarebbe stata alcuna differenza. Che ruolo hanno avuto queste entità? Un’altra stele, la “Stele delle Gru”, che esamineremo a fondo nel prossimo capitolo, si occupa di rispondere a questa domanda.
Immediatamente a destra dei due “angeli” si trova il simbolo di un grosso serpente. Quel simbolo inciso ci dice che, secondo l’autore, dopo la comparsa “degli angeli”, la Terra è stata colpita da una grossa cometa. (Più precisamente, secondo i ricercatori, si tratterebbe di uno sciame di comete che si fecero in mille pezzi prima di raggiungere la Terra, creando un vero e proprio bombardamento di frammenti). Sappiamo che a questo punto ci troviamo in un tempo pari a circa 12.740 anni fa. Le città e i villaggi che si trovarono lungo la traiettoria dei frammenti di cometa vennero disintegrati. Quelli che si trovavano nelle vicinanze dei luoghi dell’impatto vennero rasi al suolo dall’onda d’urto. Quelli che restarono in piedi dovettero affrontare il gelo dello Younger Dryas. Ancora più a destra del serpente è stato inciso il simbolo contenuto nella cintura di uno dei due monoliti. Viene posizionato tra la cometa e le due costellazioni: un chiarissimo riferimento a qualcosa che si trovava nello spazio. La coda del serpente è piegata in maniera tale che sembra provenire dal simbolo dei monoliti. Quindi, secondo l’artista che ha realizzato la stele, la coda della cometa sembrava provenire dal secondo monolite. Può essere una allusione alla possibilità che l’impatto sia stato causato dai monoliti, come una sorta di “punizione divina”? È molto probabile che il senso del racconto sia quello. È utile ricordare un punto fondamentale: nella Stele dell’Avvoltoio non è narrata nessuna “verità assoluta”. Sono scolpiti avvenimenti che, secondo l’autore della stele, sono accaduti nel lontano passato del suo popolo. Ma non è affatto detto che tutti corrispondano a fatti reali. Potrebbero anche essere semplici leggende tramandate di generazione in generazione. Li prendiamo quindi per ciò che sono, semplici parti di un racconto antico. Ma abbiamo anche visto che affiancando a questi racconti la storia geologica e antropologica della Terra, almeno in alcuni dei punti principali elencati, questi racconti non sembrano affatto una leggenda, ma poggiano su fatti davvero accaduti. L’intera scena potrebbe essere considerata come una sorta di cronologia, utile non a tenere il computo del tempo, ma ad avere una sorta di “elenco degli eventi da non dimenticare”. Ma, come ci si poteva aspettare, la Stele dell’Avvoltoio non è, e non poteva essere, l’unica cronaca dei “grandi eventi”
descritti dagli artisti di Göbekli Tepe. Anche altri pilastri nella stessa zona sembrano raccontare i dettagli di questi avvenimenti, anche se probabilmente la Stele dell’Avvoltoio contiene il racconto più accurato. Esaminiamo nel prossimo capitolo un altro di questi “racconti su pietra” che sono attualmente disponibili. Probabilmente, col tempo, ne verranno trovati altri.
12 – Attaccati? Come abbiamo detto nel capitolo precedente, oltre alla Stele dell’Avvoltoio, altri pilastri a Göbekli Tepe contengono il racconto di avvenimenti accaduti nel lontano passato. Alcune di queste storie si riallacciano in maniera diretta al racconto contenuto nella Stele dell’Avvoltoio. Una di queste storie compare nel pilastro n. 33 dell’edificio circolare denominato con la lettera “D”, lo stesso in cui si trova la Stele dell’Avvoltoio. Chiameremo il pilastro 33 con il nome di “Stele delle Gru”.
L’intestazione Come per le altre stele che formano i “recinti di pietra”, anche in questo caso il pilastro è composto da un lato largo e da un lato corto, che corrisponde allo spessore della stele. La parte alta del pilastro è un po' più ampia del resto della stele, formando la classica “T” dei pilastri di Göbekli Tepe. Nella parte superiore della stele, compare una sorta di “intestazione”. In questo caso sono stati scolpiti quelli che, ad un esame superficiale, possono sembrare 4 grossi
struzzi. Ma il loro collo, il loro becco e la loro testa è incisa in maniera molto simile al “grande uccello” cavalcato “dall’uomo senza testa” visto nella Stelle dell’Avvoltoio, e ad altri uccelli simili che compaiono nel sito. Si tratta quindi dello stesso tipo di uccello gigante, le cui fattezze ricordano gli uccelli della famiglia dei Dromornithidae, gli uccelli giganti australiani. Potrebbe trattarsi quindi di quattro Genyornis.
A cosa si riferiscono questi uccelli? Altri due pilastri ci aiutano a capire il senso di questa immagine. Nel pilastro P1 del recinto “A”, successivo di alcuni secoli al recinto “D”, si assiste ad una “stilizzazione” del tema dei serpenti. L’intreccio dei serpenti che cade dall’alto, e che sembra stia per colpire una pecorella, è disegnato quasi come se fosse una “rete”. Questa forma stilistica successiva, evidentemente, serve ad indicare che i serpenti erano numerosissimi. Lo stesso tema “a rete”, che indica una moltitudine di serpenti, è presente anche nel pilastro P12 del recinto “C”. Anche se in questo recinto, successivo al recinto “D”, non compaiono serpenti disegnati normalmente, in questo pilastro si vede chiaramente come dietro gli “uccelli giganti” si cela quella
sorta di “rete” di serpenti. Abbiamo detto precedentemente che, nella simbologia della Stele dell’Avvoltoio, i serpenti rappresentano i frammenti delle comete caduti circa 12.800 anni fa. Tutto lascia pensare che anche nella Stele delle Gru gli sciami di serpenti abbiano un significato simile. Non si tratta quindi di serpenti letterali, ma di sciami di frammenti di comete.
Ma a quale sciame di comete si riferisce? Il messaggio, infatti, può avere diversi significati. Il primo è che gli “uccelli giganti” provenienti da Sundaland, e i loro cavalieri, si trovassero a Göbekli Tepe quando ci fu il bombardamento di meteoriti che portò allo Younger Dryas. Ma questo porterebbe l’incontro tra gli uomini che venivano da Sundaland e gli abitanti locali a 12.800 anni fa circa. Questo sembra molto improbabile, visto che in quel tempo gli animali descritti dovevano già essere estinti da almeno 10.000 anni. Se guardiamo meglio nella Stele dell’Avvoltoio, come abbiamo visto precedentemente, notiamo che non compare solo uno, ma ben due “serpenti”. Questo indica che ci sono stati non uno, ma due impatti con una cometa. Il primo serpente era stato scolpito molto vicino al simbolo dello Scorpione. Questo vuol dire che, nel ricordo dello scultore, il primo bombardamento di frammenti di cometa avvenne nel periodo di tempo della costellazione dello Scorpione. Immediatamente sotto all’incisione dello Scorpione, compariva un uomo senza testa a cavallo di un uccello enorme, probabilmente appartenente alla famiglia dei Dromornithidae. Questo vuol dire che il primo bombardamento di comete si verificò in un periodo di tempo molto vicino a
quando gli abitanti di Göbekli Tepe incontrarono il popolo a cavallo dei “grandi uccelli”, il popolo di Sundaland. La Stele delle Gru, insieme alle altre Stele di Göbekli Tepe, potrebbero voler dire la stessa cosa. I grandi uccelli comparvero in un periodo molto vicino al primo bombardamento delle comete di cui gli scultori di Göbekli Tepe ebbero notizia, che è diverso dal “secondo bombardamento” che poi portò allo Younger Dryas. In questo caso le due stele racconterebbero due episodi simili ma diversi. Ma esiste anche una seconda possibilità. Ossia che questo racconto si riferisca a qualcosa che avvenne nella “Terra degli uccelli giganti”, ossia Sundaland e Sahuland. In questo caso gli uccelli non rappresenterebbero esemplari di Genyornis ancora in vita in quel tempo, ma semplicemente il “popolo a cavallo dei grandi uccelli”. Questo spiegherebbe perché l’intestazione della stele è occupata da questi animali. La stele vorrebbe dirci, quindi, che anche loro, il “popolo di Sundaland”, subirono il bombardamento di meteoriti. Questa potrebbe essere una spiegazione logica, ma implica che da Sundaland qualcuno sia arrivato per poterlo raccontare. I ricercatori hanno stabilito che in tre circostanze, nel 12.500 a.C., nel 9.500 a.C. e nel 5.500 a.C., la banchina dell’Antartide ha avuto dei cedimenti improvvisi, dovuti al disgelo. Questa enorme mole di ghiaccio sciolto ha provocato tre diversi innalzamenti improvvisi dell’acqua a Sundaland. Specialmente i primi due eventi, quello del 12.500 a.C. e del 9.500 a.C. possono aver spinto la gente di Sundaland molto lontano da casa loro. Arrivarono di nuovo fino a Göbekli Tepe? Non può essere escluso. Secondo gli studi sugli effetti dello Younger Dryas effettuati dalla dottoressa Monica Karmin e dai suoi collaboratori, per conto della Genome Research, la zona di Sundaland è stata una di quelle maggiormente colpita dal fenomeno del “Collo di bottiglia genetico” successivo. È quindi del tutto possibile che, se davvero Göbekli Tepe è stata raggiunta da “fuggitivi” o “esploratori” provenienti da Sundaland, questi avranno condiviso la loro amarissima esperienza della loro fine come popolo. Ad ogni modo, l’intestazione del racconto è molto triste. Mostra i grandi uccelli senza i loro cavalieri. L’intento dello scultore, forse, era quello di descrivere come e quando i cavalieri dei “grandi uccelli” smisero di esistere come popolo.
Il racconto della zona B1 Guardando il lato largo della Stele delle Gru, la scena è praticamente identica, anche nei dettagli, a quella che compare nella zona in alto a destra della Stele dell’Avvoltoio. Nel lato largo della Stele delle Gru si vedono due esseri alati, praticamente identici a quelli descritti nella Stele dell’Avvoltoio. Sono due uccelli simili a due gru ma che hanno gambe chiaramente umane. Sono quindi esseri metà umani e metà uccelli, l’archetipo degli “angeli”. Sono esseri considerati delle divinità, o che provenivano da “oltre la Terra”. Questa stele dimostra come questa iconografia, ossia i due esseri alati semi-umani, era un tema fondamentale nella cultura che ha prodotto Göbekli Tepe. Si tratta evidentemente di un ricordo profondamente impresso nella loro storia.
Subito accanto ai due “angeli”, come nella Stele dell’Avvoltoio, compaiono i simboli che si trovano sulla cintura del monolite B del recinto “D”. Il simbolo viene ripetuto diverse volte, anche se la roccia, piuttosto consumata in quel punto, ne rende un po’ difficile la visualizzazione. Anche secondo questa stele, questi due gruppi di entità (gli “angeli” e i monoliti), erano presenti nel medesimo periodo di tempo, mentre nel cielo passava una o più comete. Questo dettaglio dell’incisione può avere due significati. La prima spiegazione è di ordine temporale. Immaginiamo che la stele raffiguri una linea del tempo che va da sinistra verso destra. In questo caso potremmo dire che le due figure alate e i due monoliti comparvero immediatamente prima dello sciame di comete, ma che i due eventi si accavallarono almeno per un periodo. Questo spiegherebbe perché uno dei due esseri alati viene visto sovrapposto allo sciame di serpenti/comete. Un secondo possibile significato, invece, è molto più inquietante. Se la sovrapposizione non indicasse un aspetto cronologico, l’incisione sembra voler dire che uno sciame di serpenti (nella parte sottile del pilastro se ne vedono altri), sembra provenire da uno dei due esseri alati. In questo secondo caso, lo scultore credeva (a torto o a ragione, ma non è questo che ci interessa al momento), che parte del bombardamento di comete sia stato causato da questi esseri celesti. La Stele dell’Avvoltoio, anche se fa partire il “serpente” dai due monoliti, e non dai due “angeli”, dice fondamentalmente la stessa cosa. Nella Stele dell’Avvoltoio si vede chiaramente come la “coda del grande serpente” è piegata da un lato. In questo modo l’animale sembra provenire dal simbolo dei due monoliti. Sarebbe come dire che la cometa era originata da quegli esseri celesti. Nella Stele delle Gru compare lo stesso identico concetto. La “dipartita” degli “uomini senza volto” a cavallo dei grandi uccelli, sarebbe avvenuta “con la forza”, con un vero bombardamento a tappeto “ante litteram”. Infatti, secondo lo scultore, il bombardamento di comete sarebbe stato causato o pilotato dai due esseri alati. Ovviamente è solo un racconto, e non è detto che sia tutto vero. Può darsi che lo scultore di Göbekli Tepe abbia solo voluto dare un significato comprensibile ad un fenomeno per lui inspiegabile. Abbiamo visto nei capitoli precedenti come la distruzione di una città vicino al Mar Morto,
sempre dovuta ad una cometa, può aver dato origine al mito di Sodoma e Gomorra. È stato un tentativo di razionalizzare qualcosa di inspiegabile. Oggettivamente, anche il bombardamento di comete che viene descritto nella Stele delle Gru, deve aver provocato morte e distruzione tra gli abitanti di quel tempo. I superstiti si saranno dati delle risposte, anche immaginarie, su quale fosse stata la causa di tutto ciò. Una punizione “celeste” da parte di esseri alati potrebbe essere la risposta che si sono dati. Tutte le possibilità, quindi, restano aperte. Resta il fatto che, purtroppo per loro, i frammenti di comete precipitati in quel periodo erano assolutamente reali. Ammettendo per un attimo che i due esseri alati dovessero appartenere alla leggenda, e che lo stesso si possa dire per i due monoliti, che dire del resto? Il popolo degli “uomini senza volto” che sembra essere stato spazzato via da questo evento, era ugualmente leggendario? Oppure, almeno nei suoi elementi essenziali, è esistito davvero? Anche se la conclusione secondo cui le comete fossero originate da esseri celesti può essere stata una loro deduzione, i dettagli contenuti in queste stele sono troppi, e troppo distanti dalla vita di uomini di 12.000 anni fa, per essere soltanto il frutto di leggende.
Secondo Nik Pope Ora facciamo un balzo di almeno 12.000 anni. Lasciamo le colline della Turchia, e facciamo un giro per la grande Londra del XXI secolo. Qui troviamo un gentile signore, Nik Pope, che oggi fa il giornalista e saggista. Ma fino a poco tempo fa, il signor Pope ha fatto qualcosa di molto diverso. Ha lavorato per circa 25 anni nel Ministero della Difesa (MOD) del Regno Unito. Ma non era un impiegato qualsiasi. Dopo essere stato mandato in missione su diversi fronti, come in Afganistan o in Iraq durante la “Guerra del Golfo”, Il signor Pope venne scelto per lavorare in un dipartimento davvero speciale. Dal 1991 al 1994 venne impiegato in una sezione chiamata Secretariat (Air Staff), nota come Sec (AS) 2a. Il suo compito era quello di visionare tutte le segnalazioni riguardanti avvistamenti di UFO (in italiano OVNI), per verificare che non vi fossero dei pericoli per la Difesa del Regno Unito. Secondo le sue stesse parole, Pope accettò questo incarico con grande diffidenza, visto che lui non credeva minimamente in questi UFO. Il
materiale “segreto” che visionò durante il suo lavoro, evidentemente gli fece cambiare idea. Infatti, dopo 4 anni si dimise dal suo incarico in segno di protesta contro il Ministero della Difesa del Regno Unito, perché a suo dire non aveva un comportamento corretto nei confronti di questo tema. In poche parole, Pope sostiene che i militari inglesi non dicevano tutta la verità su questo argomento. Abbiamo fatto questa breve digressione su Nick Pope per un motivo molto specifico. Mentre la stragrande maggioranza di coloro che si occupano di “UFO” o di “Alieni” crede fondamentalmente che siano amici, Pope è di un parere diametralmente opposto. Secondo lui, che evidentemente ha avuto accesso a materiale di cui noi non disponiamo, “non è detto che siano tutti amici lì fuori”, riferendosi a civiltà che si trovano oltre la Terra. Il signor Pope non fa mistero che, al tempo delle sue dimissioni dal Ministero della Difesa, ha firmato delle liberatorie per cui è tenuto a mantenere il segreto sul materiale che ha visionato. Quindi non ha mai raccontato nulla di quello che ha studiato, tranne ciò che è già di dominio pubblico. Eppure, in una circostanza, ha “lanciato un sasso” nascondendo poi subito la mano. Ha invitato a rileggere l’episodio della “Torre di Babele”, contenuto nel libro di Genesi, con occhi diversi. Cosa vuol dire davvero quel racconto, se togliamo la sua “aurea religiosa”?
Il primo “attacco alieno” documentato La cosa può lasciare sconvolti alcuni, ma il racconto della Stele delle Gru e della Stele dell’Avvoltoio, non sono gli unici ad affermare che esseri “celesti” hanno in qualche modo “attaccato” un popolo di umani. Ne parla a chiare lettere anche la Bibbia, nel suo libro di Genesi. Anche in questo caso, come nel caso della Stele delle Gru, sottolineiamo che il fatto che Genesi ne parli, non rende questo avvenimento automaticamente vero. Ma è una interessante coincidenza da esaminare. Tra le storie e le leggende del libro della Genesi, ce ne sono alcune che sono anteriori alla nascita di Israele come popolo, e quindi quei racconti non riguardano la loro storia nazionale. Tra queste storie di respiro “globale”, viene riportata la “leggenda della Porta del Cielo”, meglio nota come “la storia della Torre di Babele”. Questa storia è contenuta in Genesi 11:1-9, che dice:
Inizio citazione - Ora tutta la Terra aveva una sola lingua e un solo lessico. Avvenne che venendo da Est trovarono una zona pianeggiante nella terra di Sin-Ar e vi si stabilirono. Poi si dissero l’un l’altro: “Venite! Facciamoci dei mattoni e cuociamoli al fuoco”. Quindi usarono mattoni al posto delle pietre e bitume al posto della malta. “Venite!”, dissero. “Costruiamoci una città e una torre con la cima alta fino ai cieli, e facciamoci un nome, così non saremo dispersi sulla faccia di tutta la Terra”. Ma Yahweh scese ad osservare la città e la torre che i figli di Adàm avevano costruito. E Yahweh disse: “Sono un solo popolo e hanno una sola lingua. E questo è quello che si sono messi in testa di fare. Ora, qualunque progetto avranno in mente, niente sarà impossibile per loro da raggiungere. Venite, scendiamo, e confondiamo la loro lingua, così che nessuno di loro comprenda la lingua dell’altro”. Così Yahweh li disperse da quel punto fin su tutta la Terra, e un po’ alla volta smisero di costruire la città. Ecco perché fu chiamata Migdàl Bavèl, perché là Yahweh confuse la lingua di tutta la terra, e da lì Yahweh disperse gli uomini su tutta la Terra. – Fine citazione. Una notevole coincidenza tra il racconto di Genesi e la Stele delle Gru, riguarda chi divenne il bersaglio di questo “attacco” da parte di Yahweh e degli altri che con lui “scesero” sulla Terra. Genesi racconta di un popolo che veniva da Est, dalla stessa direzione da cui sarebbe arrivato il popolo degli “uomini senza volto”, da Sundaland. Secondo Genesi, questo popolo che veniva da Est era in grado di costruire “una torre” la cui cima poteva raggiungere i cieli. Nel linguaggio moderno diremmo un “grattacielo”. Era implicitamente un popolo molto avanzato nella costruzione dei megaliti. In aggiunta a questo, viene detto che “il popolo che arrivava da Est” voleva costruire una città. Questa dichiarazione oggi non susciterebbe scalpore, visto
che esistono decine di migliaia di città in tutto il mondo. Ma, in Genesi, il racconto della Torre di Babele segue immediatamente quello del Diluvio. Quindi il popolo venuto dall’Est non voleva costruire solo “una città”, ma la “prima città in assoluto” dopo il Diluvio. Era quindi un popolo di nomadi che voleva urbanizzarsi, e quindi progredire come civiltà. La stessa cosa che, ad un certo punto, fecero a Göbekli Tepe e nelle vicinanze, verso il 10.000 a.C. Ma, dal racconto, si capisce che questo sarebbe accaduto già una volta 50.000 anni prima, poco tempo dopo l’avvenimento che la Bibbia descrive come un “Diluvio”. (Ne parliamo approfonditamente su “Il cammino dei Sopravvissuti – Cassandra 3). Quindi, se il racconto di Genesi fosse vero, questo vorrebbe dire che tra la civiltà che ha seguito il disgelo avvenuto circa 15.000 anni fa, e il “Collo di bottiglia genetico” di 75.000 anni fa, che noi chiamiamo “Diluvio”, ci sarebbe stato in mezzo un altro tentativo di civilizzazione, spazzato via da esseri esterni alla Terra. Il racconto riporta il pensiero di “Yahweh”, che avrebbe detto: “Sono un solo popolo e hanno una sola lingua, ed ecco quello che hanno cominciato a fare. Ora, qualunque progetto possano avere, niente sarà impossibile per loro da realizzare”. Pur di impedire questa “evoluzione incontrollata” degli umani, Yahweh sarebbe stato disposto a “scendere” sulla Terra insieme ad altri suoi simili (infatti invita altri esseri celesti dicendo “Venite, scendiamo, e confondiamo la loro lingua”). Si parla di un vero e proprio attacco contro gli umani, per confondere le loro menti e obbligarli con la forza a continuare ad essere “cacciatori-raccoglitori”, senza poter quindi urbanizzarsi. Secondo il racconto, come conseguenza di questo “attacco”, col tempo gli edificatori smisero di costruire sia la “torre” che la città. Impedendo la costruzione della città, di fatto questo “Yahweh” impediva la loro evoluzione culturale e tecnologica. (Come abbiamo spiegato in “Cassandra 2 – Alla ricerca del libro di Yahweh”, il nome “Yahweh” era il nome con cui il popolo nomade degli Shasu chiamava la propria divinità protettrice. Fu solo in seguito che questo nome venne affibbiato al “Dio di Israele”). La storia del libro di Genesi non menziona il mezzo usato per bloccare la costruzione della città. Quanto di attendibile c’è in questo aspetto del racconto della Torre di Babele? Eliminando gli argomenti “mitici”, ci restano alcuni punti importanti.
Secondo questo racconto, gli “uomini che provenivano da Est” decisero di non essere dispersi in tutta la Terra, ma di costruirsi una città. Questa dichiarazione ha una valenza fondamentale. Prima della fondazione delle prime città sumere, è opinione comune che gli uomini fossero davvero “dispersi in tutta la Terra” come cacciatori-raccoglitori. Ora abbiamo scoperto che non è esattamente così. Insediamenti come Jerf el-Ahmar e Göbekli Tepe ci dicono che gli uomini iniziarono ad urbanizzarsi almeno 5.000 anni prima. Ma prima di questi insediamenti stabiliti circa 12.000 anni fa, gli uomini erano davvero dei cacciatori-raccoglitori, che si muovevano in piccoli gruppi, e si spostavano in continuazione. Col tempo, costruirono piccoli villaggi come Jerf el-Ahmar, e nel corso dei secoli, alcuni di questi divennero le prime città del nostro passato recente, che include gli ultimi 10.000 anni circa. Secondo il racconto di Genesi, questo processo è stato bloccato almeno una volta, dopo che gli umani si erano ripresi dal “Collo di bottiglia genetico” verificatosi 75.000 anni fa, e volevano urbanizzarsi. Anzi, il racconto dice esplicitamente che gli umani vennero obbligati dopo quell’evento a “disperdersi in tutta la Terra”. Come abbiamo spiegato nel volume “Il cammino dei sopravvissuti – Cassandra 3”, il “collo di bottiglia genetico”, che le leggende chiamano “Diluvio”, si verificò mentre tutti gli umani si trovavano in Nord Africa. L’antropologia ci dice che proprio dopo questo evento, gli homo Sapiens, per qualche motivo non chiaro, partirono di lì per emigrare in tutta la Terra. Questo evento viene chiamato dai ricercatori come “Out of Africa”, ossia “fuori dall’Africa”. Sorprendentemente, questo è esattamente quello che dice il racconto di Genesi. Infatti, il racconto dice che dopo il Diluvio gli umani si sparsero in tutta la Terra. Come facesse lo scrittore a sapere che di lì gli uomini migrarono in tutta la Terra è davvero un mistero, visto che noi lo abbiamo scoperto solo pochi decenni fa. A meno che lo scrittore, chiunque egli sia, abbia davvero assistito a quell’evento epocale. Ma il libro di Genesi fa qualcosa in più. Ci dice anche perché questo è avvenuto. Secondo il racconto della Torre di Babele siamo stati “forzati” a migrare in tutta la Terra, contro la nostra volontà. È vero? Secondo la Stele delle Gru e la Stelle dell’Avvoltoio, almeno una seconda volta, decine di migliaia di anni dopo, è accaduto qualcosa di simile. Gli umani sarebbero stati nuovamente colpiti per il volere di “esseri superiori”, che avrebbero
“deviato” una o più comete per farle precipitare sulla Terra. O almeno, questo è ciò che loro pensavano. Ribadiamo che il “Collo di bottiglia genetico” di 75.000 anni fa, e il bombardamento dei frammenti delle comete di 12.800 anni fa, sono fatti reali e documentati dalla scienza. Viceversa, le spiegazioni che le varie culture hanno dato a questi avvenimenti non possono considerarsi fatti scientifici “a priori”. Nel migliore dei casi è la loro interpretazione dei fatti. Dobbiamo quindi prenderli per quello che sono, non una “verità assoluta”, ma il loro punto di vista, che può essere corretto o completamente sbagliato. Servono altre prove. D’altra parte, non si può non vedere come i riscontri e le coincidenze sono davvero numerose.
La distruzione della conoscenza Il tema del “rallentamento forzato” dell’evoluzione dell’uomo è trattato in maniera schietta e senza giri di parole nel famoso dialogo “Crizia”, scritto da Platone circa 2.600 anni fa. Volendo riassumere brevemente il contenuto, in questo brano Solone, un famosissimo statista ateniese vissuto tra il 638 e il 558 a.C., cerca di far colpo su dei sacerdoti egiziani dimostrando la sua conoscenza degli avvenimenti antichi. I sacerdoti egiziani bonariamente lo deridono, dicendo che le storie dei greci sull’antichità dell’uomo sono poco più di semplici favole. Non solo questo: gli spiegano anche il perché. Tra le altre cose gli dicono: “… tutte le cose degne di essere ricordate che accadono, da voi o in un altro luogo, sono scritte e conservate nei templi. Ma non appena qualcuno del vostro popolo o di un popolo vicino inventi l'uso della scrittura e di tutto ciò che serve per la città, ecco che di nuovo, nel giro di pochi anni, come una malattia si abbatte il terribile Diluvio dal cielo. Di voi lascia vivi solo coloro che sono ignoranti nelle lettere e nelle arti. In questo modo voi diventate di nuovo dal principio come bambini, non sapendo nulla di ciò che accadde da noi, né di ciò che accadde presso di voi, e che avvenne in tempi antichi. Dunque, queste vostre genealogie che hai appena esposto, caro Solone, sono poco diverse dalle favole dei bambini. In primo luogo, perché voi ricordate un solo Diluvio della terra, mentre in precedenza ve ne sono stati molti altri. In secondo luogo, voi non sapete che nella vostra regione, presso di voi, ha
avuto origine la stirpe più onorevole e più nobile di uomini, dai quali provenite tu e tutta la città che adesso è vostra, essendo allora rimasto un piccolo seme; ma voi lo ignorate perché i superstiti per molte generazioni morirono muti per non conoscere la scrittura…”. In parole povere, il sacerdote egiziano gli dice che su molti popoli, tra cui i greci, si ripeteva una distruzione “ciclica” della conoscenza. Un evento distruttivo come il Diluvio colpiva un popolo, e particolarmente la sua classe intellettuale. Con la scomparsa degli intellettuali e della scrittura, scompariva anche la memoria di quel popolo, che ad ogni “reset” era convinto di ripartire sempre da zero. Fa davvero impressione leggere questo ragionamento in un dialogo di 2.600 anni fa. Nel suo “Crizia”, Platone aggiunge: “Gli dèi, infatti, un tempo si divisero a sorte tutta quanta la Terra. Sarebbe difatti un ragionamento non giusto pensare che gli dèi ignorino ciò che conviene a ciascuno di loro, e che poi non cerchino di procurarselo. … Dopo esservisi stabiliti, come i pastori le loro greggi, ci allevavano beni propri e proprie creature. Ma lo fanno senza usare violenza con la forza fisica sul corpo, come i pastori che conducono al pascolo le bestie sotto i colpi della sferza. Lo fanno nel modo in cui si tratta un animale docile, guidando da poppa, attaccandosi all'anima con la persuasione come un timone, secondo il loro volere. In questo modo guidavano e governavano tutto il genere umano”. In pratica Platone dice che con la distruzione della conoscenza, e con opera di persuasione sotto forma della religione, esseri superiori conducevano gli umani dove volevano. Ovviamente non perché Platone disse quelle parole bisogna prenderle per “oro colato”. Può anche essere una riflessione sulla fragilità della famiglia umana. Ma se uniamo questa riflessione, a quella della Torre di Babele, e alle Stele di Göbekli Tepe, ne uscirebbe fuori che gli umani sono sottoposti a “cicli distruttivi” che di fatto “resettano” la nostra cultura e la nostra società. Per così dire, ripartiamo sempre da Adamo ed Eva, senza sapere che ogni “Adamo ed Eva” non è che la replica di un film visto già chissà quante volte.
13 - Il fattore tempo Nella stele dell’Avvoltoio, probabilmente per ragioni di spazio, per indicare il bombardamento delle comete è stato inciso un solo grosso serpente. Un unico serpente potrebbe far pensare che si sia schiantata un’unica cometa. Viceversa, nella Stele delle Gru, nella parte larga della stele compare un intero gruppo di serpenti proveniente da uno degli esseri alati. Questo vuol dire che la cometa ha generato uno sciame di detriti che ha colpito la Terra. Inoltre, se si esamina anche il lato corto della stele, si può notare come gli sciami di serpenti provengano praticamente dai quattro punti cardinali. Tutto questo sembra dare ragione ai ricercatori che affermano che in quella circostanza non si sia schiantata una singola cometa sulla Terra. Piuttosto si trattava di migliaia di frammenti di una o più comete, che piovvero praticamente da ogni direzione, bombardando la Terra.
Un orologio interno Come nel caso della Stele dell’Avvoltoio, anche la Stele delle Gru contiene una specie di “orologio interno”, che fornisce una sorta di cronologia dell’evento. Anche in questo caso, questa specie di “orologio” non serve a datare in maniera precisa gli eventi, ma a fornire delle indicazioni di massima sull’epoca in cui si sono verificati i fatti.
Nella Stele dell’Avvoltoio l’aspetto cronologico della scena è stato descritto con una raffigurazione di tipo circolare. Tutta la scena ruotava in senso antiorario intorno ad un disco posto al centro. Viceversa, nel caso della Stele delle Gru, la cronologia ha un aspetto “verticale”. Si tratta infatti di una successione di avvenimenti che vengono descritti nella stele con piccole incisioni che si susseguono in ordine verticale. Un aspetto importante è che gli avvenimenti scorrono dal basso verso l’alto. Quindi la base del lato corto della stele racconta l’inizio della storia, e la sommità la sua conclusione. Il simbolo che si trova nella zona più in basso della stele, e che abbiamo contrassegnato con la lettera “g”, purtroppo non è chiaramente visibile.
Sembra essere un artropode con le antenne sulla testa, e sembra avere quattro paia di zampette. Non può essere una formica, visto che quell’insetto ha solo 3 paia di zampe. La parte restante della scultura è sotto il terreno, e quindi non si capisce esattamente che animale sia. La roccia è rovinata, quindi non si capisce nemmeno se la prima coppia di zampette abbia o meno le chele. Ad ogni modo, vista la forma che si intuisce e la sua posizione, deduciamo che quel piccolo animale dovrebbe essere uno scorpione, o qualcosa di molto simile ad esso (anche lo scorpione sulla Stele dell’Avvoltoio è stato scolpito con qualcosa sulla testa che sembrano essere “due antenne”). Quindi “l’orologio interno” della Stele delle Gru ci dice che vengono descritti avvenimenti che si verificano dopo la comparsa della costellazione dello Scorpione. Nei tre archi in cima alla stele dell’Avvoltoio compaiono tre piccoli animali, uno accanto a ciascun arco. Come abbiamo detto, sembrano essere costellazioni che descrivono un periodo di tempo. Comunque, in proporzione, questi tre animali sono molto più piccoli degli altri che compaiono nella parte bassa della stele. Quindi, probabilmente indicano un periodo di tempo più breve. Nella Stele delle Gru, una di queste “minicostellazioni” compare subito dopo lo Scorpione, ed è raffigurata come un Uro. L’abbiamo indicata con la lettera “f”. Probabilmente la coppia “Scorpione + piccolo Uro”, nella mente dello scultore, voleva dire qualcosa tipo “Millennio + secolo”, o “decennio + anno”, o qualcosa del genere. Ovviamente non siamo in grado di dire a che periodo di tempo ammonti esattamente questa combinazione di simboli.
Salendo ancora più in alto lungo la stele, si vede come la costellazione successiva sia quella della Formica, con la lettera “d”. Questa costellazione compare anche sulla Stele dell’Avvoltoio, sul bordo corto. Dal punto di vista temporale, ci troviamo esattamente nel punto in cui, secondo la Stele dell’Avvoltoio, nel cielo si vide una cometa, che poi diede origine allo Younger Dryas. La Stele delle Gru dice la stessa cosa. Prima e dopo la costellazione della Formica, da destra e da sinistra, quasi a “circondarla”, si
vedono tantissimi serpenti, da ogni direzione. Il senso di questa descrizione è che il numero di frammenti di meteore che colpisce la Terra sembra essere altissimo. Dopo la costellazione della Formica compaiono i due simboli dei monoliti, che abbiamo indicato con la lettera “b”. In mezzo ai due simboli dei monoliti compare un gruppo di serpenti, che abbiamo indicato con la lettera “c”. Questi vanno dall’alto verso il basso, come se “piovessero” sulla Terra. Questa è la replica di quanto viene descritto nella parte larga della stele. Ma in quel punto lo scultore descrive la scena in modo che siano due “angeli” a liberare i serpenti. Quindi la Stele delle Gru sembra voler essere più precisa della Stele dell’Avvoltoio anche sotto questo aspetto. Sembrerebbe che siano stati i due “angeli” a scagliare la maggioranza dei meteoriti sulla Terra durante il “primo tempo”. Successivamente anche i due monoliti fanno lo stesso, ma in quantità minore. A questo punto si nota come ai due bordi della stele inizi il “motivo a zigzag” che avevamo visto anche nella Stele dell’Avvoltoio, e che abbiamo indicato con la lettera “a”. Questo simbolo indica probabilmente un “fall-out” di polvere e detriti associato al freddo, che costrinse la gente a rifugiarsi al riparo per un notevole periodo di tempo. Lo scultore, quindi, ci dice che dopo questo primo bombardamento iniziò lo Younger Dryas, una nuova breve era glaciale. Ma aggiunge un altro particolare. Il bombardamento delle comete, anche se in tono molto minore, continuò anche durante lo Younger Dryas. Questa doppia conferma ci fa capire che, sia che si trattasse di una leggenda o di un fatto realmente accaduto, il racconto descritto nella Stele dell’Avvoltoio e nella Stele delle Gru era parte integrante del retaggio di quel popolo. Loro erano davvero convinti che le cose fossero andate così, e le hanno incise sulla roccia, forse per tramandare questa conoscenza ai posteri. La parte alta del bordo della Stele delle Gru sembra avere altri simboli, che purtroppo sono irrimediabilmente cancellati dal passare del tempo.
Tirando le somme Molte delle incisioni sulle pietre di Göbekli Tepe raccontano soltanto storie di battute di caccia di uomini del passato, o descrivono paesaggi a loro noti. È quindi errato voler vedere in ogni particolare di quelle sculture un mistero da
svelare. Allo stesso tempo è probabile che su una minoranza di esse, come la Stele dell’Avvoltoio e la Stele delle Gru, gli artisti di Göbekli Tepe abbiano voluto tramandarci qualcosa di più importante: un ricordo, vero o leggendario, di cose accadute nel loro passato. Comunque, il semplice fatto che quegli antichi artisti abbiano sentito la necessità di tramandare le loro storie, non le rende automaticamente vere. Questi ricordi vanno quindi presi con le dovute cautele. Infatti, i racconti contenuti nelle varie stele tramandano solo quello che gli antichi abitanti di Göbekli Tepe “credono” che sia accaduto. Ma resta, appunto, solo una loro convinzione. Allo stesso tempo va riconosciuto che alcuni aspetti di quei racconti, come il bombardamento di frammenti di cometa, il “grande freddo” dovuto allo Younger Dryas, l’esistenza di uccelli giganti, e diversi altri aspetti che abbiamo menzionato, hanno un riscontro diretto nella scienza. Quindi, almeno in parte, i ricordi trasmessi da quella popolazione hanno un fondamento di verità. Fino a questo punto abbiamo visto come nella attuale Turchia è stato ritrovato un insediamento megalitico risalente ad almeno 12.000 anni fa, chiamato Göbekli Tepe. Alcune incisioni su queste antichissime sculture sembrano riferirsi a popoli dell’Oceania, o Sundaland. Interpretando i vari disegni, sembra che una popolazione proveniente dall’Australia li abbia visitati in un tempo particolare. Questo popolo venne considerato “senza testa”, un attributo che gli abitanti di Göbekli Tepe davano solo alle divinità. Se gli uomini a cavallo dei grandi uccelli che giunsero a Göbekli Tepe, provenienti dall’Oceania, erano davvero i costruttori di Nan Madol, dei Patung e delle Kalambas, allora la possibilità che si trattasse di un popolo tecnologicamente più avanzato è concreta. (Non si parla di dischi volanti o armi nucleari, ma di semplice superiorità tecnologica. Anche saper lavorare il ferro, o conoscere l’uso della ruota, renderebbe “tecnologicamente superiore” un popolo rispetto ad un altro che non possiede queste conoscenze). Questo spiegherebbe, almeno in parte, la “divinizzazione” di questi visitatori da parte degli abitanti di Göbekli Tepe. La domanda è: come mai quel popolo dell’Oceania sembra essersi evoluto molto prima della loro controparte Europea? Proprio sull’aspetto della rapidità dell’evoluzione, si apre un “giallo”. Che
questo popolo sia esistito o sia solo una leggenda, resta il fatto che Nan Madol, con la sua costruzione “impossibile”, non è una leggenda, ma una affascinante realtà. I Patung che sembrano essere “piovuti dal cielo” sono li, sia in Indonesia che in Colombia. Le Kalambas, a qualsiasi cosa servissero, sono lì, sia nel Laos che in Indonesia. Ma tranne le incisioni che li ricordano nel loro passaggio a Göbekli Tepe, di questo “antico popolo” non c’è quasi traccia. Gli archeologi stanno cercando in ogni modo un qualche tipo di civiltà a cui collegare queste creazioni. Ma finora tutte le ricerche non hanno dato esito. Nessuna ricerca archeologica, mitologica, antropologica, etnologica o storica ha fornito informazioni sull’età, la provenienza o lo scopo dei Patung e delle Kalambas. Anche le informazioni su Nan Madol sono troppo contraddittorie per considerarsi definitive. Il buio più totale circonda questo popolo. Che fine hanno fatto? Il giallo si tinge di “rosso” cercando di “leggere” le stele di Göbekli Tepe. La prima stele, la Stele dell’Avvoltoio, ci dice in maniera generica che circa 12.800 anni fa una pioggia di frammenti di comete ha colpito la Terra, innescando lo Younger Dryas. Questi due aspetti sono scientificamente dimostrabili, e sono dati come fatti praticamente certi. Quello che non può essere dimostrato, invece, è un dettaglio di questa stele. La cometa, descritta come un serpente, sembra essere originata da una entità “celeste”. Per lo scultore, il bombardamento di comete non sarebbe un fatto casuale, ma doloso, voluto da queste “entità”. La seconda stele che abbiamo analizzato va molto oltre queste accuse generiche. L’intestazione della Stele delle Gru dipinge proprio gli “uccelli giganti” che dovrebbero essere stati cavalcati da questo “popolo di Sundaland”. In questa stele gli “uccelli giganti” vengono ritratti senza i loro cavalieri. E nel racconto viene descritto nel dettaglio come esseri non umani bombardarono la terra con comete. Furono loro a “togliere dalla sella” degli uccelli giganti quei cavalieri? Sembra essere l’accusa di un genocidio. Fu questa la fine improvvisa dei costruttori di Nan Madol? Da ultimo, la Bibbia, nel suo racconto della Torre di Babele, ci dice chiaramente che non sarebbe la prima volta che questo accade. Già in passato, secondo il libro di Genesi, un certo “Yahweh” avrebbe radunato i suoi simili per impedire agli umani di urbanizzarsi e civilizzarsi. Ovviamente
si tratta solo di racconti. Il mondo è pieno di miti, e potrebbero esserlo anche questi, o almeno in parte. La domanda per capire se si tratta di miti o meno è: ma esistono davvero esseri non umani che hanno visitato regolarmente la Terra? Risponderemo a questa domanda nel prossimo capitolo.
14 – Siamo soli? Siamo soli nell’Universo? A questa domanda, oltre il 99% dei componenti della comunità scientifica oggi risponderebbero con un secco: “No, non siamo soli nell’Universo”. Questa affermazione ormai è diventata sempre meno un’opinione personale di un singolo scienziato, e sempre più una constatazione oggettiva. Infatti, con l’avvento dei nuovi telescopi, tra cui il famoso Hubble, si sono scoperti un numero estremamente elevato di “esopianeti”, ossia pianeti situati al di fuori del nostro sistema solare. Molti di questi esopianeti si trovano in una “zona abitabile”, ossia percorrono un’orbita attorno ad una stella che permette al pianeta di avere una temperatura favorevole alla vita. Inoltre, diversi di questi esopianeti avrebbero una massa paragonabile a quella della Terra. La forza di gravità esercitata su eventuali esseri viventi, quindi, non sarebbe né troppo forte né troppo debole. In aggiunta a tutto questo, se in passato si riteneva che l’acqua fosse l’elemento più raro dell’Universo, oggi si inizia a capire che è semmai il contrario. Diversi pianeti e satelliti del sistema solare contengono acqua, in varie forme. Quindi è del tutto probabile che l’acqua sia un elemento piuttosto comune nell’Universo. Tutti questi aspetti sono stati osservati scrutando una porzione davvero piccola, infinitesimale, dell’Universo conosciuto. Moltiplicando il numero di pianeti “abitabili” trovati in questa piccola zona di ricerca, per i milioni di miliardi di stelle simili al nostro Sole di cui è composto l’Universo, si ottiene un numero di pianeti “potenzialmente abitabili” di svariati miliardi. È probabile che in almeno alcuni milioni di questi esopianeti si sia sviluppata la vita, ed è del tutto plausibile che in almeno alcune migliaia di essi la vita abbia raggiunto uno sviluppo del tutto simile a quello della razza umana, se non addirittura molto più progredito. Quindi la probabilità che esistano forme di vita intelligenti e tecnologiche nell’Universo è infinitamente più alta della probabilità che non ce ne siano. Ecco perché la comunità scientifica dà ormai praticamente per certo che ci siano altre civiltà intelligenti là fuori.
Ci stanno cercando? Dando per certo che queste forme di vita intelligenti esistano, ci poniamo una domanda ulteriore: queste civiltà stanno esplorando lo spazio? Anche in questo caso, la risposta può essere solo affermativa. L’homo Sapiens esiste da non più di 200.000 anni. Eppure, non appena l’uomo ha avuto la tecnologia per farlo, ha mandato satelliti e sonde verso ogni pianeta del Sistema Solare, e anche al di fuori del Sistema Solare. Diversi umani hanno già lasciato il pianeta Terra per far visita al nostro satellite, la Luna, e si stanno programmando viaggi per mandare esseri umani su altri pianeti, come ad esempio Marte. Se ci pensiamo, i 200.000 anni di esistenza della razza umana sono un tempo davvero insignificante rispetto agli svariati miliardi di anni di esistenza dell’Universo. Non sembra quindi che siamo la forma di vita intelligente più antica dell’Universo. È molto più probabile che siamo tra gli ultimi arrivati sulla scena. È del tutto realistico, perfino logico, pensare che esistono forme di vita intelligenti dotate di una tecnologia sufficientemente evoluta, e che esistano da milioni di anni prima di noi. Ed è altrettanto realistico pensare che questi esseri intelligenti abbiano iniziato ad esplorare lo spazio attorno a loro molto prima di noi.
Ci hanno trovati? Questa ovvietà ci obbliga a porci un’altra domanda: fin dove si sono spinte queste civiltà nell’esplorazione dello spazio attorno a loro? Sono già arrivate ad esplorare la Terra? In effetti, l’assoluta certezza dell’esistenza di altre forme di vita nello spazio, fa sì che la domanda da porsi non è più “se il pianeta Terra ha mai avuto un contatto con una civiltà extraterrestre”, ma piuttosto “quando il pianeta Terra ha avuto o avrà un contatto con una civiltà extraterrestre”. Perché parliamo di “pianeta Terra” e non di “civiltà umana”? Il proverbiale egocentrismo umano ci fa credere che la Terra sia nata con noi, con la nostra civiltà. Ma questa è una palese bugia. Il pianeta Terra è vissuto tranquillamente senza di noi per oltre 4,5 miliardi di anni, e sembra essersela cavata benissimo. Noi, con i nostri miseri 200.000 anni di esistenza come specie, siamo gli ultimi arrivati anche sulla scena terrestre. Questo vuol dire che, nei passati 4,5 miliardi di anni, una o più
civiltà non umane, teoricamente, abbiano potuto tranquillamente visitare il nostro pianeta, o anche colonizzarlo, mentre l’homo Sapiens semplicemente non esisteva. È un boccone amaro da mandare giù per alcuni, ma è meglio iniziare ad aprire gli occhi. L’Universo esiste da almeno 13.000.000.000 di anni (ammesso che abbia avuto un vero inizio, cosa non del tutto scontata). Sulla Terra esistevano forme di vita estremamente complesse come i dinosauri già 230.000.000 di anni fa. Esiste qualche ragione di tipo scientifico che abbia impedito ad eventuali civiltà extraterrestri di visitare il nostro pianeta durante il periodo in cui l’uomo nemmeno esisteva sulla Terra? L’unica vera obiezione che si può fare alla possibilità che forme di vita aliene abbiano visitato la Terra in passato, o nel nostro presente, riguarda le distanze che ci separano dalle altre stelle o dalle altre galassie. In base alla Teoria della Relatività, attualmente riteniamo che un oggetto non possa spostarsi ad una velocità uguale o superiore a quella della luce. Ma anche ammesso che si riesca a viaggiare a questa fantastica velocità, occorrerebbero circa 100.000 anni solo per attraversare la nostra galassia, e altrettanti per tornare indietro. Rapportata alla nostra breve vita di circa 70 – 80 anni, anche viaggiare alla velocità della luce non sarebbe sufficiente nemmeno per permetterci di esplorare uno dei bracci della nostra galassia, figurarsi l’Universo. I pianeti del nostro Sistema Solare sembrano essere privi di vita intelligente evoluta. Quindi, se la Terra è stata visitata da altre forme di vita intelligenti in passato, o nel presente, queste vengono probabilmente da molto lontano. Questi eventuali visitatori, che sistema di trasporto hanno usato o usano per poter viaggiare nel cosmo? Bisognerebbe ipotizzare che esista una Fisica che noi non conosciamo, e che consenta di poter viaggiare perfino a migliaia di volte più veloce della luce, ad esempio curvando lo spazio. O addirittura di viaggiare nel tempo o in altre dimensioni (il tempo, infatti, è solo una delle diverse dimensioni esistenti). Ma su questo punto, gli stessi scienziati che ammettono candidamente di credere che c’è vita intelligente nello spazio, storcono il naso. Infatti, questi modi di spostarsi “alternativi”, anche se ipotizzabili in base alla fisica relativistica e quantistica, per ora sono solo “ipotesi”, e il loro utilizzo pratico è sperimentabile sono nei film di fantascienza. Ecco perché diversi
scienziati, benché del tutto certi che esista vita intelligente nell’Universo, sono piuttosto scettici quando si parla di visitatori alieni sulla Terra. Ma l’obiezione è solo di natura tecnica, che si potrebbe riassumere in questa frase: “Esistono di sicuro, ma secondo la nostra Fisica non sarebbero in grado di raggiungerci, come noi non siamo in grado di raggiungere loro”.
Hanno lasciato tracce? Finora, a quanto ne sappiamo, non è ancora stato trovato nessun oggetto che possa essere definito senza ombra di dubbio un “marcatore tecnologico”. Questo vuol dire che non è stato trovato nessun oggetto artificiale, appartenente a ere passate, che possa essere associato in maniera inequivocabile ad un tempo o una civiltà diversa da quella umana. O almeno, noi come specie non siamo ancora riusciti ad identificare qualcosa di simile sulla Terra. Ecco perché da alcuni anni a questa parte stiamo ristudiando il nostro passato con occhi nuovi. Il ragionamento è semplice: se si trovasse un oggetto chiaramente artificiale, e si arrivasse alla conclusione che in nessun modo gli umani di quel tempo possano averlo realizzato, allora quel manufatto diventerebbe un “marcatore tecnologico”. Sarebbe una prova evidente che qualcuno, non umano, ha come minimo contribuito a crearlo. In giro per il mondo sono stati ritrovati “oggetti insoliti”, che sembrano ritrarre astronauti o navi spaziali, ma bisogna ammettere che questa è solo una nostra interpretazione. Per sapere cosa fossero davvero quelle raffigurazioni, bisognerebbe interrogare gli artisti che le hanno realizzate, e questo oggettivamente non è più possibile. Quindi, nella migliore delle ipotesi, quegli artisti hanno cercato di raffigurare qualcosa di strano che loro avevano visto. Ma tenendo conto che la società antica era più dominata dalla superstizione che dalla scienza, è davvero difficile dare a questi disegni o statuette un valore scientifico. Potevano voler raffigurare di tutto. Ovviamente potevano anche raffigurare un alieno, ma questo accostamento è tutto da provare, ed è solo uno dei molti significati attribuibili a quegli oggetti Inoltre, tutti gli oggetti ritrovati sono costruiti con materiale tipico del loro tempo, come pietra, argilla o rame. Non è mai stato ritrovato alcun tipo di circuito digitale, o nanotecnologia, o qualcosa di simile. Ma su questo punto,
non tutti sono unanimi come una volta. Alcuni rispettabili ricercatori iniziano ad avanzare un’idea che solo qualche tempo fa avrebbe generato le risa della comunità scientifica, ma che oggi viene presa con la dovuta serietà. Cerchiamo di spiegarla.
Una riflessione profonda Alle volte, dei ricercatori occidentali hanno voluto avere contatti con una civiltà meno sviluppata, per motivi pacifici o di studio. Sia che questa civiltà si trovasse nella giungla amazonica, nella giungla africana o in quella del Sud-Est asiatico, questi ricercatori pacifici hanno cercato di preservare la cultura locale. Quando i ricercatori hanno dimorato presso di loro, hanno cercato il più possibile di costruire case o rifugi simili agli abitanti locali, di nutrirsi di cibi locali, usare attrezzatura locale e imitare i modi e i costumi locali. Si è cercato di fare in questo modo per non distruggere la loro cultura, che non sarebbe sopravvissuta se i visitatori avessero fatto sfoggio di elicotteri, computers, raggi laser e ogni ritrovato moderno. I visitatori sarebbero apparsi come delle semi-divinità a cui sottomettersi, e questo non è mai lo scopo di chi arriva “in pace”. Alcuni archeologi, quindi, si iniziano a chiedere: e se una civiltà proveniente da un altro pianeta avesse fatto lo stesso con noi? Se una civiltà molto simile a quella umana, in passato, fosse entrata in contatto con noi per fini pacifici o di studio? Se non hanno voluto alterare troppo la nostra cultura, e si siano resi il più possibile simili a noi, costruendo edifici in pietra simili agli edifici locali, e avessero lasciato sculture simili a quelle locali? In questo caso noi vedremmo oggetti fabbricati con materiali antichi, come il calcare o il granito, ma lavorati con una tecnologia estremamente moderna. Questo è esattamente quello che vediamo in molte zone della Terra: oggetti in pietra dura, come granito, lavorati in una maniera tale che per le popolazioni di quel tempo e di quel luogo sarebbe stato impossibile. Ovviamente questa sarebbe “l’ultima risposta”, da prendere in considerazione solo se non si riuscisse a trovare una spiegazione più convenzionale su come quei popoli antichi siano riusciti a realizzare certe costruzioni (ne parleremo ampiamente in un prossimo volume). Ma, almeno in un numero estremamente limitato di casi, i decenni passano, e nonostante gli sforzi dei ricercatori, le “altre risposte” iniziano a scarseggiare. Sempre più persone
iniziano quindi a prendere in considerazione “l’ultima risposta”. Che relazione ha tutto questo con Göbekli Tepe? Il ragionamento secondo il quale, se un popolo alieno “venisse in pace” sulla Terra, noi non riusciremmo probabilmente nemmeno a distinguerli, ha un grande fondamento di logica e razionalità. Questo vorrebbe dire che, parlando in termini generali, se un popolo alieno venisse sulla Terra sfoggiando la sua alta tecnologia, sarebbero implicite le sue intenzioni ostili. Questo vuol dire che, se davvero gli scultori di Göbekli Tepe videro qualcosa in cielo, talmente spaventosa da fargli credere che fossero dei “semi-dei”, allora non c’è da meravigliarsi se abbiano subito reazioni ostili da parte loro. Se sono voluti apparire come divinità, allora volevano impaurirli e, forse, sottometterli. Tutto questo è teoria. Ma venendo alla pratica, abbiamo prove che entità aliene siano mai venute in contatto con la Terra? Per rispondere a questa domanda, non useremo fonti provenienti dal web, o da vari scrittori o blogger che possono avere i loro interessi ad affermare una cosa piuttosto che un’altra. Viceversa, chiederemo a chi ha la tecnologia, le competenze e le risorse finanziarie per dare risposte che possono essere considerate almeno “attendibili”: le forze armate di alcuni degli stati più avanzati del mondo. Ne parleremo nel prossimo capitolo.
15 – Visitatori moderni Bisogna ammettere che, nei nostri giorni, le uniche organizzazioni in grado di poter gestire in maniera seria ed efficace la questione “alieni” ruotino tutte attorno alle organizzazioni militari. Radar ad onde millimetriche, sistemi di rilevazioni agli infrarossi, telecamere superveloci, sensori laser, sono tutte tecnologie a cui solo i militari hanno accesso, e solo loro hanno il permesso di usarle. Loro sono gli unici, quindi, a poter registrare i dati di un avvistamento “alieno”, essendo certi che non si tratti di un qualche tipo di allucinazione umana. Le macchine possono sbagliarsi, ma non hanno allucinazioni. Ecco perché, sull’argomento “alieni”, i militari ne sanno più di chiunque altro. Nei tempi moderni, i primi militari a vedere “cose strane” in cielo furono i piloti americani e inglesi. Questi volavano con i loro bombardieri sopra la Francia e la Germania durante la Seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi, tra il 1942 e il 1952. Molti di loro si accorsero di essere seguiti da “strane luci” o “globi luminosi”. Questi avvistamenti si moltiplicarono al punto tale che i piloti pensarono si trattasse di un’arma nazista, e chiamarono queste luci con il nome di “foo fighters”. Dal canto loro anche i piloti tedeschi osservavano lo stesso fenomeno, e pensavano si trattasse di un’arma degli eserciti alleati. Fu solo con la fine della guerra che si comprese che quelle luci non appartenevano a nessuno degli eserciti che si combattevano in Europa. Con la fine della Seconda Guerra mondiale questi avvistamenti si moltiplicarono a dismisura, fino a che nel 1952 si potevano contare punte di 27 avvistamenti al giorno nei soli Stati Uniti d’America. I militari americani diedero quindi vita a dei programmi per catalogare e studiare questi oggetti che solcavano il cielo.
I triangoli Benché per additare gli “oggetti volanti non identificati”, i giornali, i film e le
televisioni usino comunemente il termine “disco volante”, in realtà secondo i rapporti dei militari non sono questi gli oggetti non identificati più visti nel cielo. Su circa 100.000 segnalazioni di fenomeni atmosferici non identificati, eliminando gli “incerti”, si nota una casistica molto precisa. • • • • • •
17.631 Vengono definiti come “luci” generiche. 14.475 Vengono definiti come “sfere” o “luci a forma di sfera”. 15.931 Vengono definiti come “luci circolari”. 12.700 Vengono definiti come “triangoli”. 7.500 Vengono definiti come oggetti a forma di “disco”. 3.146 Vengono definiti come oggetti a forma di sigaro.
Confrontando le statistiche si nota che, escludendo i fenomeni di tipo “luminoso” (dietro una luce ci può essere un oggetto di qualsiasi forma), la gran parte degli avvistamenti di oggetti “solidi” non identificati riguarda oggetti a forma triangolare. Gli avvistamenti dei cosiddetti “dischi volanti” sono solo una minoranza del totale. Questo è un aspetto notevole. Tutta l’industria di Hollywood e quella fantascientifica ha sempre messo davanti agli occhi delle persone l’assioma che un oggetto misterioso deve essere “per definizione” simile a un disco volante. Allora, tutta la gente che afferma di aver visto qualcosa di diverso, un triangolo in cielo, non può essere stata spinta da fenomeni di “emulazione”. La probabilità che abbia visto davvero qualcosa è quindi molto più elevata. In particolare, dagli anni 80 - 90, molti militari (e tantissimi altri non militari) hanno avvistato oggetti definiti come “triangoli neri”, e le descrizioni sono molto simili tra loro. Questi triangoli possedevano una forte luce bianca vicina ad ogni vertice del triangolo, e una debole luce rossa al centro. Sono stati descritti in generale come oggetti piuttosto piccoli, della grandezza di un deltaplano o di un piccolo aereo da turismo. Non emettevano suoni quando volavano. In altre circostanze sono stati avvistati “triangoli” che, viceversa, avevano una sagoma enormemente più grande, stimata da alcuni della grandezza compresa tra i 500 e i 1000 metri. Questi enormi oggetti sono comparsi addirittura su delle metropoli, vicino basi nucleari, in luoghi alla vista di tutti. Non hanno cercato in nessun modo di essere “discreti”, evitando di essere avvistati. Secondo alcune ricerche avvenute in ambienti governativi, sembra che i voli dei “triangoli” avvengano sempre nelle vicinanze di
installazioni altamente “sensibili”, come depositi di armi nucleari, centrali nucleari o altre strutture simili. Gli avvistamenti più noti dei “triangoli neri”, e più difficili da spiegare, sono i seguenti: • • • • • • • •
Il caso di Carson Sink del 24 luglio 1952 Il caso della foresta di Rendlesham del 27 Dicembre 1980 La cosiddetta “Ondata belga” del 1989 - 1990 Il caso di Cosford-Shawbury, nel Regno Unito, del 31 marzo 1997 L’avvistamento di Phoenix, negli USA, del 31 marzo 1997 Il caso di St. Clair, negli USA, del 5 gennaio 2000 Il caso di Tinley Park, negli USA, fra il 2004 e il 2006 Gli incontri con le squadre di cacciabombardieri del gruppo di battaglia delle superportaerei USS Nimtz e USS Theodore Roosevelt, nel 2004 e nel 2014.
Analizziamo nel dettaglio i più eclatanti.
1980 – Il caso Rendlesham - Bentwaters Il testimone principale del “Caso Rendlesham - Bentwaters” è stato Charles I. Halt, nato nel 1939, Colonnello dell’Aviazione degli Stati Uniti d’America. Durante la sua carriera prestò servizio nel Vietnam, in Giappone e in Corea. Dopo di questo venne assegnato come vicecomandante della base di Bentwaters, a Suffolk, in Inghilterra, vicino alla foresta di Rendlesham. Il 16 Marzo 1951 la base di Bentwaters era stata affidata all’Aviazione degli Stati Uniti, che ne fece la principale base NATO in Europa. Ospitava la più grande base di caccia al mondo, oltre a bombardieri strategici dotati di armi nucleari. Essere il vicecomandante generale di quella base rendeva Charles I. Halt una delle persone più affidabili dell’intero blocco della NATO. Il 27 Dicembre 1980, alle ore 3:00, nella foresta di Rendlesham si videro strane luci. Vennero quindi mandati alcuni agenti a verificare di cosa si trattasse. Alla base di Bentwaters tutti erano convinti che fosse precipitato un aereo da turismo nelle vicinanze, visto che per un attimo il radar aveva segnalato qualcosa. Tre militari della base si recarono sul posto per controllare, ma non trovarono nessun aereo precipitato. Piuttosto videro una
strana luce fuori dalla base, che non riuscirono a identificare. Uno dei militari si avvicinò fino a poterlo toccare, e vide un oggetto di piccole dimensioni, triangolare, con delle scritte che a lui sembrarono ideogrammi o una sorta di geroglifici. Dopo pochi minuti, l’oggetto si sollevò e volò via ad una velocità impressionante. Riguardo a questo contatto, c’è un aspetto interessante che venne riportato in seguito dai soldati. I tre militari, nel momento in cui si avvicinarono all’oggetto, erano convinti che fossero passati solo pochi minuti prima della sua partenza. In realtà, vedendo in seguito l’orologio, si accorsero che erano passati 45 minuti. I militari testimoniarono che avevano avvertito una sorta di distorsione temporale quando si erano avvicinati all’oggetto, come se il tempo avesse iniziato a scorrere più piano. I tre militari stesero quindi un rapporto ufficiale da sottoporre ai loro superiori Il 28 Dicembre 1980, alle ore 6:00, il vicecomandante Charles I. Halt venne informato di quello che era accaduto la notte precedente nella foresta. Charles I. Halt minimizzò l’accaduto, e suggerì ai militari di scrivere nel loro rapporto finale che avevano visto soltanto delle luci, e nulla di più. La cosa sembrò finire lì. Il 31 Dicembre 1980, alle ore 22:00, mentre alla base di Rendlesham festeggiavano l’ultimo giorno dell’anno, sia il Comandante della base che il vice Comandante vennero chiamati in disparte da un altro tenente. Il tenente disse loro: “L’UFO è tornato”. Il vicecomandante Halt prese con sé un gruppo di uomini, un rilevatore di radiazioni e un registratore, ed uscì immediatamente dalla base per ispezionare il fenomeno. Il vicecomandante Halt si portò con sé la metà delle forze di sicurezza della base di Rendlesham, inclusi sette veicoli carichi di soldati, più diversi militari specializzati, tra cui un esperto in disastri. Trattandosi di una base NATO contenente armi nucleari, era suo dovere proteggerla da qualsiasi probabile minaccia, anche se questa non era chiaramente identificata. Dopo aver esplorato la foresta e avendo constatato che non c’era nessun pericolo reale per la base, il vicecomandante Halt disse alla maggioranza dei soldati di rientrare, per non far credere all’opinione pubblica che la base fosse sotto attacco. Poi si diresse personalmente con una squadra di pochi uomini nel luogo del presunto avvistamento.
Ad un certo punto il rilevatore di radiazioni registrò anomalie, e seguendo questa traccia i militari vennero guidati in una piccola zona di foresta dove era evidente che i rami degli alberi erano stati spezzati. Sul terreno c’era la chiara impronta di un oggetto triangolare. L’impronta era poco più grande di quella che avrebbe lasciato un deltaplano. I livelli di radiazione registrati dal contatore erano dieci volte più alti di quelli della norma. I militari ebbero quindi la prova che qualcosa di materiale, e non una semplice luce, era davvero atterrata lì nelle ore precedenti, anche se non erano in grado di dire cosa fosse. Dopo un po’ i soldati videro nuovamente la luce rossa delle sere precedenti muoversi tra gli alberi della foresta. Avvicinandosi alla luce, i soldati videro un oggetto ovale luminoso di color rosso, con un centro nero, che si muoveva a zig-zag a poco più di un metro d’altezza dal suolo. La luce si avvicinò ai soldati, e di colpo si divise in cinque oggetti bianchi per poi scomparire. Poco dopo videro a circa 1.000 metri di altezza 5 oggetti ellittici in formazione che si muovevano a grande velocita, creando disturbo alle apparecchiature radio. Non riuscirono a capire se fossero 5 oggetti distinti, o 5 luci appartenenti ad un unico oggetto di grandi dimensioni (come quello che apparirà anni dopo su Phoenix, negli USA). Alcuni militari videro che questo oggetto emanava fasci di luce sui depositi di armi della vicina base NATO, come se effettuassero una specie di scansione (da notare che in quegli anni le scansioni laser non erano ancora state inventate). Mentre la formazione degli oggetti andava via, uno di questi si fermò sui soldati puntando il raggio di luce dello spessore di una matita vicino ai loro piedi, come una intimazione a non cercare di seguirli. Indipendentemente da cosa fossero quelle luci e quell’oggetto triangolare, la sicurezza della base di Rendlesham, una base NATO di importanza strategica, era stata violata. Trovandosi in piena Guerra Fredda, nessuno poteva escludere a priori che si trattasse di qualche sorta di “aereo sperimentale” in possesso dell’URSS. Potenzialmente quell’incidente poteva scatenare una guerra. Il tenente Halt era consapevole che raccontare quello che aveva visto insieme ai suoi uomini avrebbe potuto compromettere la sua carriera militare. Ma era anche il vicecomandante della base, ed era quindi obbligato a scrivere ai suoi superiori un rapporto completo e veritiero di
quello che era accaduto. Visto che la base americana era sul suolo inglese, il rapporto venne inviato al Ministero della Difesa inglese. Stranamente, senza fare alcuna indagine, il Ministero della Difesa affermò che l’incidente non aveva compromesso la sicurezza della base. Il caso venne quindi subito chiuso, e il tenente Halt e i suoi uomini non subirono alcuna conseguenza. Si fece finta come se il fatto semplicemente non fosse mai accaduto. Nel 1994, Nik Pope, impiegato in una sezione nota come Secretariat (Air Staff) Sec (AS) 2a del Ministero della Difesa britannico, con la mansione di accertarsi che gli avvistamenti di UFO non mettessero a rischio la difesa del Regno Unito, si trovò a riesaminare l’incidente della base di RendleshamBentwaters. Si rese subito conto che c’erano delle anomalie nel modo in cui venne trattato quell’episodio da parte delle autorità militari. Oltre a dire che non si era verificato alcun problema per la sicurezza della base, non ci fu una risposta ufficiale del governo su cosa fosse realmente accaduto. Nessuno spiegò cosa fosse quell’oggetto, né da dove provenisse. Inoltre, c’era un curioso “errore”. Secondo uno degli addetti al radar, l’atterraggio di quell’oggetto era stato segnalato per alcuni secondi dal radar della base. Ma a causa di un “errore” burocratico, la traccia radar d quell’avvistamento non era stata conservata, ma distrutta subito dopo. Nik Pope intervistò quindi il sergente James Pennistone, che la sera in cui avvenne “l’incidente” era il responsabile della sicurezza della base di Rendlesham - Bentwaters. Lui era stato uno dei tre soldati che il 27 Dicembre 1980 alle ore 3:00 era andato fuori della base, credendo che fosse precipitato un aereo nelle vicinanze. Il militare tracciò per Nik Pope uno schizzo di quello che avevano visto, e disegnò una sorta di veicolo triangolare, del tutto simile all’impronta che il giorno dopo il tenente Halt e suoi uomini avevano visto sul terreno. Il sergente rivelò che da quell’oggetto proveniva un forte disturbo elettrico alle apparecchiature radio, e che la zona risentiva di forti cariche elettrostatiche, rilevabili in tutto il territorio circostante. Il sergente Pennistone e i suoi compagni osservarono l’oggetto per 45 minuti circa, e notarono delle strane scritture ai suoi bordi, che ricordavano loro vagamente i geroglifici egiziani (ovviamente il sergente non era un egittologo, e quindi la sua conoscenza dei geroglifici era del tutto superficiale). Secondo Pennistone circa 80 militari della base avevano visto
l’oggetto decollare, ma avevano ricevuto l’ordine di trattare il caso come Top Secret. Molti anni dopo, quando un gruppo di avvocati riuscì ad obbligare il governo USA a “desegretare” alcuni documenti inerenti a oggetti “non identificati”, alcuni di questi militari, compreso il vicecomandante Halt, decisero di parlare e descrivere quello che avevano visto.
1989 – Ondata Belga Il 28 Novembre 1989, verso le ore 17:00, diversi agenti della polizia belga videro due oggetti triangolari, con una differente luce posta ad ogni angolo del triangolo, fluttuare nelle vicinanze della città. Molta altra gente inondò di telefonate la polizia dicendo di aver visto oggetti simili nelle vicinanze. Tra gli agenti che si misero a dare la caccia agli oggetti c’era Dieter Plummans, ispettore capo della polizia di Kelmis, che insieme al suo collega in quel momento era a caccia di spacciatori al confine con l’Olanda. Ma si vide costretto a cambiare obiettivo quando, come altri agenti, ricevette via radio l’ordine di inseguire un oggetto misterioso a forma triangolare. Anche in questo caso dall’oggetto era visibile una luce lampeggiante ovoidale rossa, come quella vista vicino alla base di Rendlesham-Bentwaters. Altri 13 agenti di polizia fecero rapporto dell’avvistamento dello stesso velivolo triangolare, tutti vicino alla città di Eupen. Altri 60 civili videro la stessa cosa e chiamarono la polizia. Il giorno dopo, il 29 Novembre, il comandante generale dell’aeronautica belga Wilfred de Brouwer venne messo a capo di una commissione di inchiesta. Il comandante rivelò in seguito che ci furono circa 143 avvistamenti simili in quel periodo nell’aria di Eupen. Il Comandante Wilfred de Brouwer si mise immediatamente in contatto con il Pentagono, negli USA, per sapere se avessero fatto sul Belgio dei voli con aerei di tipo “stealth”. La risposta fu immediata e negativa: gli aerei “stealth” non avevano fatto alcun tipo di volo sul Belgio nella data indicata. (Questo è un dettaglio notevole. Ci troviamo nel 1989, mentre il primo aereo “stealth” americano, F-117 Nighthawk , che ha una forma vagamente triangolare, era entrato in servizio il 15 Ottobre 1983, ed era stato impiegato per la prima volta a Panama nel 1989. Il secondo aereo “stealth”, il B2 Spirit, aveva effettuato il suo primo volo il 17 Luglio 1989. La loro esistenza era segretissima, e solo un generale
della NATO poteva chiedere informazioni riguardo ai loro piani di volo. Questo testimonia che le indagini vennero effettuate ai massimi livelli). Col passare dei giorni gli avvistamenti continuarono, e coinvolsero piloti di aerei, agenti di polizia, personale diplomatico, ricercatori scientifici, tutta gente considerata molto affidabile. Le testimonianze erano tutte molto simili: tutte le persone coinvolte avevano visto la stessa cosa, ossia dei triangoli neri con delle luci muoversi silenziosamente nel cielo. L´11 Dicembre 1989, nella cittadina di Ernage, in Belgio, il Colonnello André Amond, ingegnere civile e direttore delle infrastrutture per l’esercito belga, si accorse che un oggetto triangolare simile a quello descritto dai giornali lo seguiva affiancando la sua macchina. Quando lui si fermava, l’oggetto si fermava. Quando ripartiva, l’oggetto ripartiva. A suo dire era evidente che cercava proprio lui. Alla fine, il Colonnello decise di scendere dalla macchina. L’oggetto lo raggiunse a breve distanza, emettendo un fascio di luce nella sua direzione. Successivamente sfrecciò via ad una velocità impressionante, senza emettere alcun suono. Il Colonnello si dice assolutamente certo che né nel 1989 né oggi poteva esistere un oggetto fabbricato dall’uomo che potesse manovrare come l’oggetto visto da lui. Il Colonnello Amond aggiunse il suo rapporto a quello di molti altri membri delle forze di sicurezza belga. A quel punto il governo belga autorizzò lo “scramble”, o intercettazione aerea, con gli aerei da combattimento F-16 se ci fossero stati ulteriori avvistamenti nel territorio del Belgio. Il 30 Marzo 1990, alle ore 01:00, Yves Milberg, uno dei piloti della 350ª squadriglia belga situata a Glons, venne chiamato ad effettuare uno “scramble” a bordo del suo F-16. La notte del 30 Marzo 1990 il radar aveva segnalato un avvistamento “misterioso” ad est di Bruxelles. Venne dato l’ordine immediato di “scramble” a due caccia F-16, che si alzarono immediatamente in volo. L’oggetto venne “agganciato” dalle strumentazioni di bordo. Secondo i piloti sembrava avere la forma di un diamante. Inizialmente volava a bassa quota, a circa 1833 km/h, una velocità supersonica molto superiore a quella a cui vola normalmente un aereo da combattimento a quell’altitudine. (A bassa quota gli aerei trovano una resistenza dell’aria molto più forte, e quindi volano tutti molto più lentamente. A bassa quota si vola normalmente a meno di 800 km/h). Ma le
variazioni di direzione e di altitudine di quell’oggetto erano talmente rapide e imprevedibili, che ci volle poco ai due esperti piloti per capire che non si trovavano di fronte ad un aereo, né di linea né militare. Secondo la testimonianza dei piloti, che sono i massimi esperti in materia, la tecnologia umana non è in grado di far cambiare di quota e di velocità un oggetto a quel modo. I caccia F-16 attivarono le armi di bordo, pronti a colpire. Ma ripetutamente i loro caccia perdevano il contatto con l’oggetto, fino a perderlo definitivamente. Stranamente, secondo le fonti “ufficiali”, solo uno dei due F-16 registrò le informazioni sull’oggetto misterioso. L’altro no. Non essendoci due prove radar distinte di quanto visto dai piloti, il governo belga non può confermare “ufficialmente” il tentativo di “scramble” da parte dei due F-16. O almeno questo è quanto è stato dichiarato alla stampa. Il 4 Aprile 1990, alle ore 22:00, nella cittadina di Basecles, nella zona di Petit Rechan, un giovane di cui si conosce “ufficialmente” solo il nome, “Patrick”, per caso scattò una foto a uno di questi oggetti triangolari, e consegnò il negativo ad un gruppo di esperti. Un fisico nucleare della Accademia Militare Reale di Bruxelles, il professor Mark Cascherouch, esaminò per circa 1 anno la diapositiva, avvalendosi di tutte le strumentazioni all’avanguardia. Successivamente il negativo venne analizzato dal professor André Marion, fisico nucleare dell’Università di Parigi, e da altri scienziati in giro per il mondo. Questi scienziati si dissero convinti che la diapositiva non era un falso. Il professor Marion disse di comprendere dalla diapositiva che un campo magnetico circondava l’oggetto fotografato. Questo lasciò supporre che il veicolo si spostasse grazie a un motore magneto-dinamico, il che spiegherebbe l’assenza di alcun rumore proveniente dall’oggetto. I motori di un cacciabombardiere umano, invece, emettono un suono talmente assordante che il personale addetto al decollo su una portaerei deve portare cuffie protettive, o rischierebbe di diventare sordo. Circa 21 anni dopo, un giovane che disse di essere lo stesso “Patrick” che aveva scattato la foto, contattò l’emittente tedesca RTL dicendo che quella foto era un falso artigianale. Questa confessione “anonima” e non “provabile” ha lasciato molti nel dubbio che si tratti solo di un mitomane. Infatti, non si conosce né la vera identità di chi ha scattato la foto e consegnato il negativo,
né quella di colui che ha detto si tratti di un falso. Successivamente il Comandante Wilfred de Brouwer, che aveva avuto l’incarico di fronteggiare “l’Ondata Belga” di avvistamenti, raccontò che i fenomeni durarono per circa 18 mesi. Vennero segnalati in tutto circa 2000 avvistamenti. Di questi, circa 600 sono stati considerati meritevoli di approfondimento. Di questi, circa 500 sono rimasti senza una spiegazione. Pur non potendosi sbilanciare nello spiegare di cosa si trattasse, il Comandante Wilfred de Brouwer, ha potuto dire cosa NON erano di sicuro quegli oggetti: non erano aerei, non erano elicotteri, non erano dirigibili, non erano droni e non erano aerei ultraleggeri. Non era nulla di “nostro”.
1997 – Il caso di Phoenix, Arizona Ma i militari non sono le uniche voci attendibili che ci informano che negli ultimi anni la Terra è stata “osservata” da oggetti non di origine umana. Anche importanti uomini politici hanno ammesso che sono accadute cose non spiegabili. Ad esempio, il 13 Marzo del 1997, alle 20:15, circa 10.000 persone hanno visto un oggetto a forma triangolare, o di boomerang, largo circa 1 chilometro, con 5 luci sottostanti, muoversi lentamente sui cieli di Phoenix. Tutte le radio e le televisioni diedero la notizia, e una enorme folla di gente si riversò sulle strade per osservare il fenomeno. Successivamente l’aeronautica militare spiegò l’evento dicendo che verso le 22:00 del 13 Marzo avevano lanciato dei razzi luminosi vicino alla città. Secondo loro, vedendo queste luci in cielo in formazione, la gente le avrebbe confuse con un unico oggetto scuro molto grande. Ma, come molti giornalisti e altri hanno fatto notare, l’avvistamento del “grande triangolo nero” nel cielo era stato riportato verso le 20:15, e non alle 22:00, quando furono sparati i razzi di segnalazione. Quindi, anche se verso le 22:00 effettivamente furono visibili vicino alla città una formazione di luci provenienti dai razzi di segnalazione (e vennero anche filmati), si trattava di due eventi nettamente diversi, separati tra loro da un intervallo temporale di circa 2 ore. Un certo Mitch Stanley, un astrofilo, che osservò le luci usando il suo telescopio dobsoniano attrezzato con un oculare Tele Vue 32 mm, disse che le luci non erano altro che aerei in formazione. Le autorità si affrettarono a diffondere questa versione. Ma né l’aeronautica militare né quella civile
hanno mai segnalato la presenza di formazioni di aerei quella sera sulla città di Phoenix. Quindi Mitch Stanley non avrebbe potuto osservare nulla del genere. Entrambe le spiegazioni, del tutto superficiali e in contraddizione sia tra loro sia con gli eventi che in migliaia avevano osservato quella sera, sono sembrate a molti solo un tentativo da parte delle autorità per mettere a tacere il caso. John Fife Symington III (New York, 12 agosto 1945) era stato Governatore dello Stato dell’Arizona (di cui fa parte la città di Phoenix) tra il 6 Marzo del 1991 e il 5 Settembre del 1997. Era quindi il Governatore al tempo dell’avvistamento del “grande triangolo nero” in cielo. In un primo momento, dopo i fatti del 13 Marzo, il Governatore ridicolizzò la popolazione di Phoenix che aveva riferito l’avvistamento. Addirittura, si presentò in conferenza stampa con un suo collaboratore travestito da alieno, per dare l’impressione che i cittadini di Phoenix stessero ingigantendo qualcosa di ridicolo e fantasioso. Ma circa dieci anni dopo, quando non rivestiva più cariche pubbliche, in una intervista confessò di aver volontariamente mentito alla popolazione riguardo a quell’avvistamento. Disse di averlo fatto a fin di bene per evitare il panico tra la gente, che secondo lui si sarebbe inevitabilmente generato se il Governatore di uno Stato avesse confermato l’accaduto. In una intervista al The Daily Courier in Prescott, quello che era ormai l’exgovernatore Symington disse: “Io sono un pilota e ne so abbastanza su qualunque veicolo possa volare. (L’oggetto in volo sopra Phoenix) era più grande di qualunque cosa io abbia mai visto, e rimane un mistero. Altre persone l'hanno visto, persone affidabili … Era enorme e inspiegabile. Chi sa da dove è venuto? Molte persone l'hanno visto, e l'ho visto anche io. È stato drammatico. Non potevano essere luci, perché era troppo simmetrico. Aveva un profilo geometrico, una forma costante”. Symington ha inoltre detto di aver chiamato quella stessa sera il capo della Guardia Nazionale e, tramite il suo staff, la vicina base dell’Aeronautica Militare degli USA di Luke, per avere informazioni. Nessuno di loro ne sapeva niente, e nessuno era in grado di dire cosa fosse quell’oggetto. I radar non lo rilevavano, anche se alcuni piloti affermavano di aver avuto un contatto visivo. L’avvistamento è durato poco meno di due ore.
Perfino il famoso senatore americano John McCain, uno degli uomini politici più importanti degli USA, si occupò del caso di Phoenix, cercando di avere risposte. Secondo la testimonianza di un pilota, due caccia F-15 della US Air Force vennero lanciati all’inseguimento di quell’oggetto, anche se non era stato rilevato dai radar. I piloti avrebbero effettivamente visto un oggetto che si dirigeva verso l’aeroporto di Sky Harbor, mentre scendeva di quota. I piloti non erano stati in grado di stabilire cosa fosse. In una dichiarazione ufficiale, l’Aeronautica Militare degli USA, però, ha negato questa intercettazione.
2004 – Coinvolta la US Navy Negli anni recenti, anche la US Navy, ossia la marina militare americana, ha rilasciato sia filmati che dichiarazioni in relazione ad avvistamenti fatti dai propri uomini, ad occhio nudo o tramite mezzi tecnologici, che non sembrano avere una spiegazione di origine terrestre. Analizziamo ora alcuni di questi casi dove, oltre alle dichiarazioni di esperti militari, seguono i tracciati e i filmati di alcuni dei sistemi di sorveglianza più avanzati del pianeta: i radar e i sistemi di rilevazione degli incrociatori lanciamissili della classe Tychonderoga, quelli delle superportaerei nucleari della classe Nimtz (la USS Nimtz e la USS Theodore Roosevelt), e i sensori degli aerei F18 Super Hornet F/A, gli aerei a cui la Marina degli Stati Uniti affida la sua capacità di difesa, ricognizione e attacco. Il 4 Novembre 2004, la superportaerei nucleare USS Nimtz, venne coinvolta in un caso che è stato catalogato con il nome “FLIR1”. L’avvenimento è accaduto nei pressi di San Diego, in California. L’incrociatore lanciamissili della marina degli Stati Uniti USS Princeton si trovava in una zona a circa 150 km da San Diego. Nei giorni precedenti al 4 Novembre 2004, grazie al suo avanzatissimo radar AN / SPY-1B, la nave da guerra aveva rilevato alcuni deboli segnali radar non identificati. Il sottufficiale capo della Marina, Kevin Day, riferisce di aver notato nuovamente sul radar, il 10 Novembre 2004, sei giorni dopo, una decina di oggetti non identificati. Questi oggetti vennero notati anche da un “radar volante” modello Grumman E-2 Hawkeye. Secondo i militari questi oggetti avevano una velocità troppo bassa per trattarsi di aerei, in quanto viaggiavano a circa 150 km/h. Un aereo normale precipiterebbe ad una velocità così bassa. Il fenomeno si ripresentò 4 giorni dopo, il 14 Novembre, verso le 9:30 del
mattino. Questa volta Kevin Day diede ordine a due cacciabombardieri F/A18 E/F Super Hornet, appartenenti al gruppo di volo della portaerei Nimtz, che si trovavano in zona e in volo, di dirottare verso gli oggetti sconosciuti. La visibilità era eccellente, il mare era calmo. La prima grande “stranezza” si verificò quando l’oggetto a cui i due aerei avrebbero dovuto dare la caccia, precipitò in un solo secondo da circa 10.000 metri fino a livello del mare, fermandosi di colpo sul pelo dell’acqua. Una accelerazione di questa entità è ritenuta fisicamente impossibile. Non esiste nessun tipo di aereo o di oggetto costruito dall’uomo che può scendere di 10.000 metri in pochi istanti e poi fermare di colpo la sua discesa. Nessun oggetto di tipo naturale avrebbe mai potuto accelerare in quel modo e poi non colpire l’acqua. I piloti inizialmente non videro nessun oggetto, ma una specie di “ombra” che increspava l’acqua, larga una sessantina di metri. Poi comparve un oggetto a forma cilindrica con i due lati estremi a forma emisferica. Il cilindro era molto corto. Dopo non molto tempo l’oggetto iniziò a salire, seguendo gli aerei. Quando i piloti tentarono una manovra per intercettarlo, l’oggetto diede una accelerazione talmente impressionante che non solo sparì dalla vista dei piloti, ma anche la strumentazione di bordo degli stessi aerei perse ogni contatto con l’oggetto. L’incrociatore Princeton rilevò nuovamente l’oggetto a circa 100 km da loro, indicando che aveva viaggiato a svariate volte oltre la barriera del suono. Quando nuovi caccia vennero mandati per l’intercettazione, l’oggetto era nuovamente scomparso. Dopo il ritorno della prima squadra sulla portaerei Nimtz, una seconda squadra decollò verso le 12:00, questa volta dotata di una telecamera a infrarossi avanzata (pod FLIR). Questa videocamera ha registrato un oggetto volante non identificato in un video. Il filmato all’infrarosso effettuato da uno dei caccia, in qualche modo venne reso disponibile il 16 dicembre 2017. Circa 1 anno e mezzo dopo, la Marina degli Stati Uniti d’America dichiarò che quel filmato era autentico, ma che non aveva autorizzato in alcun modo la sua diffusione. Joseph Gradisher, portavoce ufficiale del vicecapo delle operazioni navali per la guerra dell’informazione della Marina degli Stati Uniti d’America, verso il 10 Settembre 2019, a nome della Marina Militare degli Stati Uniti dichiarò: “La
Marina designa gli oggetti contenuti in questi video come fenomeni aerei non identificati”. Tradotto vuol dire: le immagini sono reali, ma non sappiamo cosa siano. Secondo Gradisher, le indagini su oggetti non identificati sono motivate dal pericolo che rappresentano per i piloti. Ha affermato: “Le incursioni di [fenomeni aerei non identificati] rappresentano un pericolo per la sicurezza degli aviatori e un problema di sicurezza per le loro operazioni”. Poi ha aggiunto: “La Marina sta studiando le incursioni osservate nei tre video rilasciati”, e ha ammesso che questi avvistamenti “si verificano frequentemente”. Joseph Gradisher ha sottolineato che quel video è considerato ancora Top Secret, e quindi non dovrebbe comparire in rete. Ad ogni modo, le parole di Joseph Gradisher a nome della Marina Militare degli Stati Uniti d’America restano nella storia come la prima ammissione diretta, esplicita e ufficiale da parte di un organismo di uno Stato, che i “fenomeni aerei non identificati” non sono una fantasia di persone squilibrate o “allucinazioni di gruppo”. Sono avvenimenti reali, registrati dai mezzi di intercettazione più sofisticati del mondo, quelli dei modernissimi aerei da guerra occidentali. Probabilmente è stata la prima volta in assoluto in cui un “oggetto non identificato” è stato filmato da un sistema di tipo militare, togliendo sul nascere qualsiasi obiezione che possa essere una “fake news”. Nell’estate del 2014, un’altra superportaerei nucleare, la USS Roosevelt, venne coinvolta in un caso che venne archiviato con il nome di “GoFast”. Il tenente Ryan Graves era un militare laureato in ingegneria aerospaziale, pilota istruttore della Marina Militare USA, con dieci anni di esperienza come addestratore sulle portaerei. Aveva alle spalle decine di voli in missioni di guerra sui cacciabombardieri in Medio Oriente. Era un vero “Top Gun” dell’aviazione della Marina Militare USA, non una matricola qualsiasi. Nel 2014 il tenente Ryan si trovava vicino alla base di Virginia Beach, nella zona in cui operava il gruppo navale della superportaerei nucleare Theodor Roosevelt. Il tenente stava conducendo l’addestramento del suo squadrone di piloti F18 Super Hornet F/A, i Red Rippers. Ad un certo punto uno dei radar della squadriglia segnalò una strana traccia radar. Uno dei piloti riuscì a stabilire il contatto visivo con l’oggetto, e riferisce di aver visto sfrecciare nel cielo “un cubo all’interno di una sfera”, e gli angoli del cubo toccavano la
sfera. Secondo i piloti, ad un certo punto questo oggetto si posizionò tra due aerei, causando quasi una collisione, dopo di che sparì. In seguito, i piloti hanno riferito ai loro superiori che gli oggetti non avevano motore visibile, o pennacchi di scarico simili a quelli che escono dai motori dei jet, e che potevano raggiungere i 30.000 piedi di altezza (circa 10.000 metri) a velocità ipersoniche. Ma la cosa non fini li. Questi oggetti si sono ripresentati nella zona per circa due mesi, di continuo. Molti piloti li videro, e i radar di molti F18 imbarcati sulla portaerei li tracciarono. Vennero realizzati anche dei video usando la strumentazione ad infrarossi degli aerei. Il tenente Ryan Graves ha riferito: “Questi oggetti sono rimasti là fuori tutto il giorno”. Nel suo rapporto, che è stato inviato anche al Pentagono, ha aggiunto: “Mantenere un aereo in aria richiede una quantità significativa di energia. Con le velocità che abbiamo osservato (riguardo a questi oggetti), 12 ore di volo da parte loro sono 11 ore in più di quanto ci aspettassimo”. Il tenente Ryan Graves ha dichiarato che uno squadrone di UFO ha seguito il suo squadrone di caccia su e giù per la costa orientale degli Stati Uniti per diverse settimane. E a marzo 2015, dopo che la superportaerei Roosevelt venne dispiegata nel Golfo Persico, Graves disse che gli UFO riapparvero. “Abbiamo avuto problemi con loro quando siamo usciti in Medio Oriente”, ha detto il tenente Graves. Lui e altri piloti hanno deciso di parlare perché ciò che hanno visto ha sollevato preoccupazioni per la sicurezza nazionale. Secondo il Times, nel 2015, a seguito di questa serie di avvistamenti UFO, la Marina degli Stati Uniti ha pubblicato linee guida ufficiali per il personale. Tutti i dati saranno classificati come informazioni sensibili e non saranno resi disponibili al pubblico. La Marina, stranamente, non avvia nessuna investigazione e non emana nessun comunicato. La faccenda resta Top Secret finché il 16 Dicembre 2017 viene rilasciato un breve filmato di questo evento effettuato con la telecamera ad infrarossi di uno degli aerei. Nel 2018 la Marina Militare degli Stati Uniti dichiara questo fenomeno come autentico e non spiegabile. Dopo il fenomeno definito “GoFast”, l’equipaggio della portaerei nucleare USS Theodore Roosevelt è rimasta coinvolta in un altro avvistamento, classificato con il nome di “Gimbal”. In particolare, il 21 Gennaio del 2015 i
caccia F18 Super Hornet F/A hanno individuato e filmato, con le loro strumentazioni di bordo, un oggetto nel cielo che appariva al sensore a infrarossi come una chiazza scura che girava su sé stessa, emettendo calore al suo esterno. Un altro pilota, il tenente Accon, ha affermato: “Sembrava che fossero a conoscenza della nostra presenza, perché si muovevano attorno a noi”. Secondo il tenente, “quando una strana traccia si presenta per la prima volta sul radar, è possibile interpretarlo come un falso allarme, ma quando più sensori rilevano la stessa identica cosa, e poi questa compare sul display, diventa una certezza”. Accon disse al Times di aver avvistato due volte gli UFO, durante voli a distanza di pochi giorni. Ha anche affermato che sebbene le apparecchiature di localizzazione, i radar e le telecamere a infrarossi sui suoi aerei rivelassero entrambe le volte questo oggetto, non è stato in grado di filmarli con la fotocamera del casco. Come per il caso “Flirt1” e il caso “GoFast”, anche nel caso del fenomeno noto come “Gimbal” tutti i video e i tracciati dell’avvistamento vennero inviati al Pentagono, e considerati Top Secret. Come per gli altri due casi, anche nel caso di “Gimbal” il 17 Dicembre del 2017 venne rilasciato un brevissimo filmato dell’avvistamento, e nel 2018 la Marina degli Stati Uniti lo ha dichiarato autentico, anche se non era in grado di dire di cosa si trattasse. Alcuni ricercatori amatoriali o dilettanti hanno ipotizzato che i sensori a infrarossi dei Super Hornet 18 - F/A abbiano filmato il calore dato dallo scarico di un aereo in lontananza. Ma questa spiegazione offende l’intelligenza dei lettori. Infatti, il rivelatore ad infrarossi è solo una delle tante strumentazioni di rilevamento in possesso delle portaerei nucleari classe Nimtz, degli incrociatori Tychonderoga e dei caccia bombardieri. Questi mezzi da guerra riescono ad individuare oggetti grandi come una palla da baseball ad oltre 100 chilometri di distanza, a patto che siano di metallo e che non dispongano di dispositivi tipo “stealth”. Se si fosse trattato di un aereo di linea, questi avrebbero volato con il trasponder acceso, segnalando la loro presenza a tutti gli aerei e torri di controllo della zona. Ma questo non è avvenuto. Se fosse stato un aereo da guerra americano, sarebbe stato immediatamente riconoscibile con i codici amico/nemico. Se fosse stato un
prototipo stealth americano, ai piloti sarebbe stato semplicemente detto: “È uno dei nostri, non ne parlate in giro”. Ma non è stato così. Era forse un aereo nemico? Nessuno degli aerei più avanzati in possesso a paesi stranieri può nemmeno sognare di eguagliare le prestazioni di quell’oggetto volante, che, per inciso, trovandosi in territorio americano, avrebbe scatenato una guerra se fosse stato scoperto come appartenente a Cina o Russia. Cosa era? Se persino la Marina Militare degli Stati Uniti ha dovuto ammettere che quell’oggetto non corrisponde a nessuno degli aerei, o dei prototipi di aerei, di sua conoscenza, e a nessun fenomeno fisico o atmosferico di loro conoscenza, non resta che credergli, visto che in passato erano riusciti a trovare una spiegazione (anche fasulla) per la gran parte di questo tipo di fenomeni. Se poi consideriamo che le Forze Armate USA dispongono di un budget di 700.000.000.000 di dollari all’anno, hanno tutti i mezzi tecnologici necessari per capire se qualcosa che vola è di origine umana o meno. Col tempo il tenente Ryan ha rilasciato ulteriori dettagli dell’avvistamento all’emittente History TV. Il tenente rivela che gli oggetti mostrati dal Pentagono sono solo una parte di quelli filmati. Si trattava di una vera squadriglia di oggetti non identificati, che volavano liberamente vicino ai cacciabombardieri USA. C’era 1 oggetto centrale che restava fermo, e 5 oggetti in formazione che gli giravano intorno. Il tenente Ryan, con la sua esperienza da addestratore di cacciabombardieri, ha spiegato come quell’oggetto ha compiuto manovre teoricamente impossibili se fatte con mezzi aerei disponibili nei nostri giorni. L’oggetto, infatti, ha compiuto una manovra cambiando direzione ad angolo retto, vale a dire a 90 gradi, di colpo. Questo è, per i nostri sistemi umani, attualmente impossibile. Un oggetto che resta fermo, immobile, in altezza, nonostante un vento contrario di 120 nodi, che ruota a 90 gradi e prende velocita supersoniche di colpo, non è costruito da uomini (e non può avere uomini al suo interno, visto che una accelerazione simile ucciderebbe qualsiasi essere umano).
Alcune riflessioni Prima dell’avvistamento alla base NATO di Bentwaters nel 1980, i “triangoli volanti” non facevano parte degli oggetti comunemente associati agli UFO. Probabilmente l’unico film di fantascienza che ha goduto di una certa fama e
che ha proposto UFO vagamente triangolari è stato “La Guerra dei Mondi”, nel 1953. L’industria della fantascienza presentava quasi esclusivamente “dischi volanti”, anche se di diversa fattura. Quindi nel 1980 il vicecomandante della base e i suoi uomini videro un fenomeno relativamente nuovo. Non potevano essere stati condizionati da qualcosa vista in TV o al cinema. Inoltre, non potevano nemmeno essere persone in cerca di “fama” o con manie di protagonismo, visto che, consultando i documenti, si legge che tutti i militari mantennero il segreto per circa 20 anni, finché il Freedom Act tolse il vincolo di segretezza ai documenti che parlavano del caso. Il rapporto fatto dai militari non venne mai messo in dubbio dai loro superiori, e la loro sanità mentale e capacità operativa non venne mai messa in dubbio da nessuno. I loro rapporti vennero accettati come veritieri da tutti. Anche i fatti accaduti in Belgio nel 1990, che riguardarono anche le più alte sfere militari delle forze armate della nazione, vennero confermati da rapporti ufficiali dei vari militari. Nessuno all’interno della gerarchia militare mise mai in discussione che qualcosa di non conosciuto stesse volando sui cieli del Belgio. Semplicemente dissero che non avevano idea di cosa si trattasse. Implicitamente ammisero la totale impotenza dei mezzi militari a disposizione contro quegli oggetti che raggiungevano velocità pazzesche. Inoltre, quando nel 1990 i militari e molti cittadini del Belgio videro e inseguirono dei “triangoli volanti”, nessuno di loro era a conoscenza di quanto era avvenuto a Rendlesham – Bentwaters, visto che per almeno altri 10 anni quei fatti erano stati archiviati come Top Secret. E allora perché gli oggetti avvistati in Belgio avevano esattamente la stessa forma di quelli visti nella base di Rendlesham – Bentwaters? Anche quello che accade in Arizona, a Phoenix, nei cieli di una città con oltre 1 milione e mezzo di abitanti, era qualcosa di troppo grande per essere considerato come una allucinazione collettiva. Nei cieli della città doveva esserci per forza qualcosa che ha attirato l’attenzione della popolazione. Il fatto che le autorità militari della vicina base asserirono che alle 20:15 di quella sera il cielo sulla città fosse completamente sgombro, non può essere preso sul serio. Come rivelò il Governatore dell’Arizona molti anni dopo, probabilmente nemmeno i militari sapevano cosa fosse quell’oggetto. Da un
punto di vista militare questo equivale a dire di non essere in grado di garantire la sicurezza di un pezzo di cielo del proprio paese. Per i militari questo è uno smacco difficile da digerire. A Bentwaters venne visto un oggetto triangolare della grandezza di un deltaplano. In Belgio vennero visti centinaia di oggetti simili, della stessa grandezza. Invece a Phoenix videro un “triangolo” con una apertura alare stimata attorno ad un chilometro. Sembra quasi che ci sia stata una progressione lineare negli avvistamenti dei “triangoli”. A Bentwaters se ne videro pochi, di cui sembra che uno solo abbia toccato terra. In Belgio accadde la stessa cosa, ma gli “esploratori” erano molti di più. Il passo successivo, a Phoenix, sembra indicare la presenza di una sorta di “astronave madre” gigantesca che sorvola una grande metropoli. È quindi un fenomeno che ha una data di inizio ben precisa, il Dicembre del 1980. Circa 10 anni dopo è ricomparso in maniera massiccia, in Belgio, e 7 anni dopo in maniera ancora più massiccia a Phoenix. Dopo questo ultimo “sorvolo” i “triangoli neri” sono spariti. (successivamente la US Navy ha filmato strane “luci”, ma non erano “triangoli neri”). Torneranno ancora?
Conclusione Se l’Apocalisse ha mai avuto una data, questa è il 10.794 a.C., circa 12.800 anni fa. Il filosofo Platone, riportando una storia raccontata dai sacerdoti egiziani Psenofi di Eliopoli e Sonchi di Sais, ci dice che proprio in quel secolo Atlantide veniva distrutta nel giro di un giorno e di una notte. Non solo questo, ma anche tutte le truppe della vittoriosa Atene morivano insieme ai loro odiati nemici. I più recenti studi sul nostro DNA, portati avanti da una equipe di oltre 100 scienziati provenienti da tutto il mondo, guidati dalla dottoressa Monica Karmin, per conto della Genome Research, ci dicono che proprio in quel periodo è iniziato il “Secondo grande collo di bottiglia genetico” della razza umana, noto come “Catastrofe del cromosoma Y”. In diverse parti del mondo, ci fu un crollo demografico verticale. Verso il 5.000 a.C. la popolazione mondiale era praticamente dimezzata. Recenti studi di geologia ci dicono che a partire da quell’anno alcune comete precipitarono sulla Terra, con risultati disastrosi. Le stesse pagine della Bibbia raccontano di un intero gruppo di città incenerito da un misterioso “fuoco che cadde dal cielo”. E recentissime scoperte archeologiche ci dicono che un antico popolo, finora sconosciuto, ha scolpito un messaggio in codice sulla pietra, risalente proprio a quel periodo. Durante gli scavi sono state ritrovate alcune stele che raccontano una storia inquietante: gli ultimi giorni di quel popolo, a causa di qualcosa di spaventoso che proveniva dal cielo. In questo messaggio ci viene detto che ricevettero dei “Visitatori” che influirono profondamente nella loro storia. Quel messaggio era un avvertimento per chi sarebbe venuto dopo di loro? Stavano soltanto tramandando una leggenda? Descrivevano fatti più grandi di loro, che non si riuscivano a spiegare? O dobbiamo considerare quelle stele come il “diario dell’ultima Apocalisse” subita dall’umanità? Da una breve disamina di documenti militari riguardo agli OVNI, o UFO, comprendiamo che non ci sarebbe stato nulla di strano se gli abitanti di Göbekli Tepe avessero visto strani oggetti in cielo, o avessero incontrato “esseri provenienti dal di fuori”. Dopo 12.000 anni, esperti piloti di caccia
militari e altri operatori professionisti delle forze armate, con decenni di carriera sulle spalle, continuano a vedere le stesse cose. A questo punto, il racconto di Göbekli Tepe è perfettamente plausibile. Questo non vuol dire che tutto quello che descrissero nelle loro stele sia vero. Può darsi che alcuni dettagli non siano stati compresi, o siano stati interpretati male. Tanto per fare un esempio, la vicinanza di questi “visitatori” alle comete può averli indotti a credere che siano stati loro a mandarle, ma può essere solo una loro deduzione errata. Ma da quando perfino la US Navy ha gettato la spugna, ammettendo pubblicamente l’esistenza di questi fenomeni, quanto descritto nelle stele di Göbekli Tepe “può essere vero”. Questo spiegherebbe i vari riferimenti della Bibbia, dei sacerdoti egiziani tramite Platone, e di molte altre culture, secondo cui in realtà gli umani sono “sotto osservazione” quasi da sempre. Ma chi sono questi “osservatori”? Da quanto sono qui? E cosa vogliono? Affronteremo queste domande, con lo stesso rigore e sobrietà, in un prossimo volume della serie Cassandra.
Riferimenti Nature - “Evidence of Cosmic Impact at Abu Hureyra, Syria at the Younger Dryas Onset (~12.8 ka): High-temperature melting at >220 0 °C”. Potential Consequences of the YDB Cosmic Impact at 12.8 kya: Climate, Humans, and Megafauna - James P. Kennett Advances.sciencemag.org - A large impact crater beneath Hiawatha Glacier in northwest Greenland - Kurt H. Kjær Genome.cshlp.org - A recent bottleneck of Y chromosome diversity coincides with a global change in culture - Monika Karmin “Collo di bottiglia della popolazione umana del tardo Pleistocene, inverno vulcanico e differenziazione dei moderni umani”, pubblicato dal professor Stanley H. Ambrose nel 1998 Animals in the symbolic world of Pre-Pottery Neolithic Göbekli Tepe, southeastern Turkey: a preliminary assessment – Joris Peters, Klaus Schimdt Mattias Oskarsson, Analysis of the origin and spread of the domestic dog using Y-chromosome DNA and mtDNA sequence data, Division of Gene Technology, School of Biotechnology, Royal Institute of Technology (KTH), Stockholm, Sweden, 2012 Stephen Oppenheimer, Out-of-Africa, the peopling of continents and islands: tracing uniparental gene trees across the map, Philosophical Transactions of The Royal Society B (2012) Tatiana M Karafet, Fernando L Mendez, Herawati Sudoyo, J Stephen Lansing and Michael F Hammer, Improved phylogenetic resolution and rapid diversification of Y-chromosome haplogroup K-M526 in Southeast Asia, European Journal of Human Genetics (2015) Using Ancient Mitochondrial DNA Signatures, PLoS ONE 7(7) Peter Savolainen et al, Out of southern East Asia: the natural history of domestic dogs across the world, Cell Research 26:21-33, 2015
Platone, Opere complete, 6 Editori Laterza, Roma 2003
Altri libri della serie “Cassandra” Cassandra 1 – Oltre l’orizzonte del tempo 151 pagine Pubblicato da Amazon. Versione Kindle - ASIN: B07N98BZS9 Versione cartacea – ASIN: 1091796505 Alla ricerca del libro di Yahweh 137 pagine Pubblicato da Amazon. Versione Kindle - ASIN: B07S6GZZBZ Versione cartacea – ASIN: 1070466565 Il cammino dei sopravvissuti (Cassandra Vol. 3) 246 pagine Pubblicato da Amazon. Versione Kindle - ASIN: B08FMQJQLZ Versione cartacea – ASIN: B08FP38RNK