06 - Il Ritorno Di Sherlock Holmes [PDF]

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Zitiervorschau

IL RITORNO DI SHERLOCK HOLMES

SHERLOCK HOLMES

cap. 1°

L'avventura di Charles Augustus Milverton

L'avventura della casa vuota

cap. 8°

cap. 2°

L'avventura dei sei Napoleoni

L'avventura del costruttore di Norwood

cap. 9°

cap. 3°

L'avventura dei tre studenti

L'avventura degli uomini danzanti

cap. 10°

cap. 4°

L'avventura degli occhialini d'oro

L'avventura della ciclista solitaria

cap. 11°

cap. 5°

L'avventura del giocatore scomparso

L'avventura del maestro di scuola

cap. 12°

cap. 6°

L'avventura di Abbey Grange

L'avventura di Peter il Pirata

cap. 13°

cap. 7°

L'avventura della seconda macchia

IL RITORNO DI SHERLOCK HOLMES

L'avventura della casa vuota Era la primavera del 1894. Tutta Londra e tutti gli ambienti più alla moda erano rimasti colpiti e sconvolti dall'assassinio dell'onorevole Roland Adair, avvenuto in circostanze straordinarie e inspiegabili. Il pubblico era già al corrente di quei particolari del delitto che erano emersi dalle indagini condotte dalla polizia anche se in quell'occasione molti dettagli erano stati tenuti nascosti, poiché i capi d'accusa erano talmente tanti e precisì che non era necessario divulgare i fatti per intero. Solo oggi, dopo che sono trascorsi dieci anni, mi è consentito fornire gli anelli mancanti di quella incredibile catena di eventi. Il delitto era già sensazionale in sé e per sé, ma mai quanto l'inconcepibile sequenza di circostanze che mi sconvolsero e stupirono più di ogni altro evento della mia vita avventurosa. Anche oggi, dopo un intervallo così lungo, trasalisco nel ricordarli e sento di nuovo quell'improvvisa ondata di gioia, sbigottimento e incredulità che all'epoca mi invase l'animo. A coloro che hanno dimostrato un certo interesse per quelle fugaci immagini che ho loro offerto circa i pensieri e le azioni di un uomo straordinario, desidero prima di tutto chiedere che non mi giudichino male se non li ho fatti partecipi di quanto io sapevo - come sarebbe stato mio

primo dovere - ma mi era stato tassativamente proibito proprio per bocca sua, e solo il giorno 3 del mese scorso il divieto è stato annullato. Come si può facilmente immaginare, la mia stretta amicizia con Sherlock Holmes aveva finito con l'interessarmi profondamente all'attività criminale in genere e, dopo la sua scomparsa, non mancavo mai di leggere con attenzione i vari problemi che via via sì presentavano al pubblico. Più di una volta, per mia soddisfazione personale, tentai perfino di risolverli applicando i suoi metodi, anche se con scarsissimo successo. Nessun enigma, però, mi fece tanta impressione come la tragedia di Ronald Adair. Leggendo i resoconti dell'inchiesta, che portò a un verdetto di omicidio volontario per mano di persona o persone sconosciute, mi resi conto, più chiaramente che mai, della perdita subita dalla comunità con la morte di Sherlock Holmes. L'inte-

ra, strana faccenda presentava degli aspetti che avrebbero senza dubbio suscitato la sua attenzione e il lavoro della polizia sarebbe stato integrato, o più probabilmente anticipato, dalle acute doti di osservazione e dall'agile mente del più grande detective europeo. Durante tutto il giorno, mentre facevo il mio giro di visite, avevo pensato e ripensato al caso senza riuscire a trovarne una spiegazione adeguata. A rischio di ripetere una storia oramai nota a tutti, riassumerò i fatti come furono esposti al pubblico alla conclusione dell'inchiesta. L'onorevole Ronald Adair era il secondogenito del conte di Maynooth, all'epoca governatore di una delle colonie australiane. La madre di Adair era rientrata dall'Australia per farsi operare di cataratta e, insieme con il figlio Ronald e la figlia Hilda, abitava al 427 di Park Lane. Il giovane frequentava i migliori ambienti sociali e - per quanto se ne sapeva - non aveva nemici, né vizi particolari. Era stato fidanzato con la signorina Edith Woodley, di Carstairs, ma il fidanzamento era stato rotto qualche mese prima, per reciproco accordo, e nulla faceva ritenere che avesse lasciato profondi strascichi sentimentali. Per il resto, la sua vita si svolgeva in circoli ristretti e convenzionali, grazie anche alle sue abitudini tranquille e al suo carattere impassibile. Eppure proprio su questo pacifico giovane aristocratico si abbatté la morte, una morte quanto mai strana e inaspettata, fra le 10 e le 11,20 della notte del 30 marzo 1894. Ronald Adair amava giocare a carte - giocava sempre, ma mai per cifre tali che potessero arrecargli danno. Era membro di vari club dove si giocava a carte - il Baldwin, il Cavendish e il Bagatelle. Fu dimostrato che, subito dopo pranzo, nel giorno in cui era morto, aveva giocato una mano di whist proprio al Bagatelle. Nello stesso club aveva giocato anche il pomeriggio. La testimonianza dei suoi compagni di gioco - il signor Murray, Sir John Hardy e il colonnello Moran - confermò che si trattava ancora una volta di una partita di whist e che vincite e perdite erano state più o meno uguali per tutti. Adair poteva aver perso cinque sterline, non di più. Disponeva di un cospicuo patrimonio e una perdita del genere non gli avrebbe fatto alcun effetto. Giocava quasi ogni giorno, ora in un club ora in un altro, ma era un giocatore prudente e, in genere, vinceva. Dalle testimonianze, risultò anche che, giocando in coppia col colonnello Moran qualche settimana prima, aveva vinto ben 420 sterline in una sola volta all'altra coppia composta da Godfrey Milner e da Lord Balmoral. Questo era quanto emerse dall'inchiesta in merito agli eventi più recenti. La sera del delitto, era rientrato dal club alle dieci precise. La

madre e la sorella erano andate a passare la serata con un parente. La domestica testimoniò di averlo sentito entrare nella stanza sul davanti, al secondo piano, che egli generalmente usava come salotto. Poi era andata ad accendere il fuoco e, poiché faceva fumo, aveva aperto la finestra. Dalla stanza non era provenuto alcun rumore fino alle 11 e 20, quando Lady Maynooth e la

figlia erano tornate. Desiderando augurare la buona notte al figlio, la signora tentò di entrare nella stanza. La porta era chiusa a chiave dall'interno e, malgrado lo chiamassero e bussassero, non ebbero risposta. Mandarono a chiamare qualcuno e forzarono la porta. Il povero giovane fu trovato disteso a terra accanto al tavolo, col cranio orrendamente mutilato da un proiettile dirompente sparato con un revolver, ma nella stanza non fu rinvenuta nessuna arma. Sul tavolo c'erano due banconote da dieci sterline ciascuna più diciassette sterline e dieci scellini in monete d'oro e d'argento, sistemate in piccole pile di varie altezze. C'era anche un foglietto con scritte delle cifre accanto ai nomi di alcuni amici del club e si pensò che, prima della morte, stesse calcolando quanto aveva vinto o perso alle carte. Un'accurata analisi delle circostanze non fece che infittire il mistero. In primo luogo, non si capiva per quale motivo il giovane doveva chiudersi a chiave dentro la stanza. C'era la possibilità che a girare la chiave fosse stato l'assassino che si era poi dileguato attraverso la finestra. Finestra che, però, si trovava a un'altezza da terra di circa venti piedi e sotto la quale c'era un' aiuola di crochi in piena fioritura. Né i fiori né il terreno apparivano smossi e non c'erano impronte sulla stretta striscia d'erba che separava la casa dalla strada. A quanto sembrava, quindi, era stato lui stesso a chiudere la porta. Ma in quale modo era morto? Nessuno poteva aver scalato la finestra dall'esterno senza lasciare tracce. Anche supponendo che qualcuno avesse sparato attraverso la finestra, doveva essere veramente un tiratore eccezionale per infliggere una ferita così mortale. E inoltre Park Lane è un'arteria di grande traffico; a cento metri dalla casa c'è un posteggio di vetture da piazza. Nessuno aveva sentito lo sparo. Eppure lì c'era il morto, e il proiettile del revolver che, aprendosi al momento dell'impatto, aveva prodotto una ferita tale da causare il decesso istantaneo. Queste erano le circostanze del Mistero di Park Lane, reso ancor più complicato dalla totale assenza di movente dato che, come ho già detto, non risultava che il giovane Adair avesse dei nemici e nessun tentativo era stato fatto di rubare denaro o oggetti di valore dalla stanza. Ci pensai e ripensai per tutto il giorno, in cerca di qualche teo-

ria che si adattasse a tutti i fatti e costituisse quella linea di minor resistenza che, secondo il mio povero amico, era il punto di partenza di ogni indagine. Confesso che non feci molti passi avanti. Nel tardo pomeriggio, attraversai a piedi il Parco e, verso le sei, mi trovai all'estremità di Park Lane, dalla parte di Oxford Street. Sul marciapiede, un gruppo di sfaccendati, tutti col naso all'aria a guardare verso una particolare finestra, mi indicarono automaticamente la casa che ero venuto a vedere. Un uomo alto e magro, con gli occhiali di vetro colorato, che avevo il forte sospetto altro non fosse che un detective in borghese, stava enunciando una qualche sua teoria a tutti coloro che gli stavano intorno ad ascoltarlo. Mi avvicinai a lui il più possibile ma le sue osservazioni mi parvero così strampalate che, disgustato, mi tirai indietro. Così facendo, urtai un vecchio deforme che si trovava alle mie spalle, facendo cadere dei libri che teneva in mano. Ricordo che, raccogliendoli, notai il titolo di uno di essi, Origine del Culto degli Alberi, e pensai che quel tizio fosse un quaiche povero diavolo di bibliofilo che, per lavoro o per hobby, collezionava oscure opere letterarie. Cercai di scusarmi per l'incidente ma era ovvio che quei libri, da me purtroppo così maltrattati, erano estremamente preziosi per il loro proprietario. Con un ringhio di disprezzo girò sui tacchi e vidi la sua schiena incurvata e i suoi favoriti bianchi sparire fra la folla. Il mio sopraluogo al 427 di Park Lane servì ben poco a chiarire il mistero che mi interessava. La casa era separata dalla strada da un muro basso e da un'inferriata, il tutto non più alto di cinque piedi. Era quindi facilissimo per chiunque entrare nel giardino; ma la finestra era assolutamente inaccessibile, dal momento che non c'erano tubature d'acqua o altro che potessero

aiutare una persona, anche molto agile, ad arrampicarsi. Più perplesso che mai, ritornai sui miei passi verso Kensington. Ero nel mio studio da nemmeno cinque minuti quando entrò la domestica per dirmi che una persona desiderava vedermi. Con mia grande meraviglia, il visitatore altro non era se non il mio strano collezionista di libri, con il suo viso rugoso e scarno incorniciato dai capelli bianchi e i suoi preziosi volumi, almeno una dozzina, stretti sotto il braccio destro. «Lei è sorpreso di vedermi, signore», gracchiò con una strana voce chioccia. Ammisi che, in effetti, lo ero. «Be', sono un uomo di coscienza, signore, e quando per caso l'ho vista entrare in questa casa, mentre la seguivo zoppicando, mi sono detto, entrerò un attimo per vedere quel cortese signore

e dirgli che, se i miei modi sono stati un po' bruschi, non intendevo offenderlo, e che gli sono molto grato per aver raccolto i miei libri.» «Lei si sta preoccupando troppo per una sciocchezza», risposi. «Posso chiederle come faceva a sapere chi ero?» «Be', signore, se non sono troppo sfacciato, sono un suo vicino; troverà infatti il mio negozietto all'angolo di Church Street e sarò felicissimo di vederla, le assicuro. Forse anche lei, signore, è un collezionista. Ecco qui, Uccelli della Gran Bretagna, e Catullo, e La Guerra Santa - tutte occasioni d'oro. Con cinque volumi potrebbe riempire quello spazio vuoto sul secondo scaffale. È un po' in disordine, vero, signore?» Girai la testa per guardare la libreria alle mie spalle. Quando mi voltai di nuovo, Sherlock Holmes mi sorrideva attraverso la scrivania. Mi alzai in piedi, lo guardai sbigottito per qualche secondo poi, a quanto pare, svenni - per la prima e ultima volta in vita mia. Davanti agli occhi mi roteò una nebbia grigia e, quando si dissipò, mi ritrovai col colletto sbottonato e un pungente sapore di brandy sulle labbra. Holmes era chino sulla mia poltrona, con la sua fiaschetta in mano. «Mio caro Watson», disse la voce che ricordavo così bene, «le devo mille scuse. Non pensavo che sarebbe rimasto così sconvolto.» Lo agguantai per le braccia. «Holmes!», gridai. «È davvero lei? Può veramente essere che lei è vivo? È possibile che sia riuscito a risalire da quello spaventoso abisso?» «Aspetti un attimo», disse. «È sicuro di sentirsi proprio bene, tanto da parlare di questo?» «Sto benissimo, ma onestamente, Holmes, non credo ai miei occhi. Santo cielo! Pensare che lei - proprio lei - sia qui, nel mio studio!» Gli afferrai di nuovo la manica e, sotto la stoffa, sentii il suo braccio sottile e muscoloso. «Be', in ogni caso non è un fantasma», dissi. «Amico mio, non so dirle quanto sia felice di rivederla. Si sieda, e mi racconti in che modo è uscito vivo da quell'orrenda voragine.» Mi si sedette di fronte, accendendo una sigaretta con quella sua caratteristica nonchalance. Indossava ancora la logora palandrana del libraio, ma per il resto quell'individuo era scomparso; sul tavolo c'era una parrucca bianca e una catasta di vecchi libri. Holmes appariva ancora più magro e affilato di un tempo ma il pallore del suo volto aquilino mi diceva che, recentemente, la sua salute non era stata troppo buona. «Mi fa piacere stiracchiarmi, Watson», disse. «Non è uno

scherzo, per una persona di alta statura, dover sembrare di un piede più basso per parecchie ore di seguito. E adesso, amico mio, a proposito di queste spiegazioni, ci aspetta, se posso chiedere la sua collaborazione, una nottata di lavoro, lunga e pericolosa. Sarebbe forse meglio se le facessi un resoconto della situazione quando quel lavoro sarà terminato.» «Brucio di curiosità. Preferirei ascoltarlo adesso.»

«Verrà con me questa sera?» «Quando vuole e dove vuole.» «È proprio come ai vecchi tempi. Avremo tempo di mandar giù un boccone prima di metterci in cammino. Bene, dunque, parliamo della voragine. Non ho avuto particolari difficoltà ad uscirne, per il semplicissimo motivo che non c'ero mai stato.» «Come sarebbe a dire?» «Sarebbe a dire, Watson, che non sono mai caduto nella voragine. Il biglietto che le ho lasciato era assolutamente autentico. Quando scorsi la sinistra figura del professor Moriarty, dritto in piedi su quel sentiero che portava alla salvezza, ero effettivamente certo di essere arrivato al termine della mia carriera. I suoi occhi grigi esprimevano una fermezza irremovibile. Ci scambiammo due parole, e ottenni il suo cortese permesso di scrivere quella breve nota che poi lei ha trovato. La lasciai lì, col mio portasigarette e il bastone, e mi incamminai lungo il sentiero, con Moriarty alle calcagna. Quando arrivai alla fine ero veramente con le spalle al muro. Moriarty non era armato ma mi si precipitò addosso circondandomi con le sue lunghe braccia. Sapeva che oramai aveva perso la partita e il suo unico desiderio era quello di vendicarsi. Barcollammo insieme sull'orlo dell'abisso. Possiedo, però, una certa conoscenza del baritsu, il sistema di lotta giapponese, che più di una volta mi è stato utile. Scivolai fuori dalla sua stretta e lui, con un grido lacerante, scalciò nel vuoto per qualche secondo agguantando l'aria con le mani. Malgrado tutti i suoi sforzi, non riuscì a riprendere l'equilibrio e volò di sotto. Guardando dall'orlo del baratro lo vidi cadere una lunga caduta. Poi finì su una roccia, rimbalzò e piombò nell'acqua.» Ascoltavo sorpreso quella spiegazione che Holmes mi dava fra una boccata e l'altra della sua sigaretta. «Ma le impronte!», esclamai. «Le ho viste con i miei occhi; due file che andavano lungo il sentiero e nessuna che tornava indietro! » «Le cose sono andate così. Nell'attimo stesso in cui il professore scompariva nell'abisso, mi resi conto che il destino mi stava offrendo un'occasione più unica che rara. Sapevo che Moriarty

non era il solo che aveva giurato di vedermi morto. C'erano almeno altre tre persone la cui sete di vendetta nei miei confronti sarebbe stata acuita dalla morte del loro capo. Tutti uomini estremamente pericolosi. Uno o l'altro di loro mi avrebbe certamente raggiunto. D'altro canto, se tutto il mondo avesse pensato che ero morto, quegli individui avrebbero allentato i freni, si sarebbero presto esposti e, prima o poi, sarei riuscito ad annientarli. Solo allora avrei potuto far sapere che ero ancora nel mondo dei vivi. Tale è la rapidità con cui agisce la mente che credo di aver pianificato tutto questo prima ancora che Moriarty toccasse il fondo della Cascata Reichenbach. Mi rizzai ed esaminai la parete di roccia alle spalle. Nel suo pittoresco resoconto della vicenda, che ho letto con estremo interesse qualche mese dopo, lei asserisce che si trattava di una parete a picco. Il che non è del tutto esatto. C'era qualche punto di appiglio e anche un qualcosa che poteva essere una cornice. La scogliera è talmente alta che, ovviamente, era impossibile inerpicarsi fino in cima; e altrettanto impossibile ripercorrere il sentiero umido senza lasciare impronte. Certo, avrei potuto infilarmi gli stivali a rovescio, come ho fatto altre volte in situazioni analoghe, ma una triplice traccia di impronte tutte nella stessa direzione avrebbe suscitato dei sospetti. Date le circostanze, quindi, la cosa migliore era cercare di arrampicarsi. Non è stata un'esperienza piacevole, Watson. La cascata mugghiava sotto di me. Non sono tipo da abbandonarmi alle fantasie, Watson, ma le dò la mia parola che avevo l'impressione di sentire l'urlo di Moriarty che saliva dalla voragine. Il minimo errore sarebbe stato fatale. Più di una volta, quando un ciuffo d'erba mi rimaneva in mano, o il piede mi sdrucciolava negli incavi bagnati della roccia, ho pensato che fosse giunta la mia ora. Ma continuai

faticosamente a inerpicarmi e, alla fine, raggiunsi una cornice abbastanza larga, coperta di soffice muschio verde, dove potevo rimanere, non visto, con tutto il comodo. Ed ero steso proprio lassù, mio caro Watson, quando lei e gli altri stavate cercando, nel modo più sollecito e inefficace, di scoprire le circostanze della mia morte. Infine, dopo aver raggiunto le vostre inevitabili, e totalmente errate, conclusioni, faceste ritorno all'albergo lasciandomi solo. Credevo di essere arrivato alla fine delle mie peripezie quando un evento inaspettato mi convinse che il destino aveva in serbo ancora delle sorprese per me. Un grosso masso, cadendo dall'alto, mi sfiorò con un rombo, colpi il sentiero e rimbalzò nell'abisso. Per un istante pensai che si trattasse di un caso ma un attimo dopo, alzando gli occhi, vidi il capo di un uomo stagliarsi

contro il cielo che si stava oscurando e un altro macigno colpì proprio la cornice sulla quale ero disteso, mancandomi per poco. Ovviamente, tutto quello poteva significare una cosa sola. Un complice - e quell'unica occhiata era stata più che sufficiente a darmi un'idea di quanto pericoloso fosse quell'individuo - era rimasto di guardia mentre il professore mi attaccava. Da lontano, senza che io lo vedessi, era stato testimonio della morte del suo compare e del fatto che io me l'ero cavata. Aveva aspettato e poi, portandosi in cima alla scogliera, aveva cercato di completare l'opera che il suo camerata aveva lasciato incompiuta. Non mi ci volle molto a capirlo, Watson. Vidi di nuovo quel viso minaccioso affacciarsi dall'alto della scogliera e capii che stava per far rotolare giù un altro masso. Faticosamente, mi calai di nuovo sul sentiero. Non credo che ci sarei riuscito, a mente fredda. La discesa fu cento volte più difficile della salita. Ma non avevo tempo di preoccuparmi perché un altro pietrone mi sibilò alle orecchie mentre ero appeso con le mani al bordo della cornice. A metà della discesa scivolai ma, per grazia di Dio, atterrai, lacero e sanguinante, sul sentiero. Me la diedi a gambe, percorsi dieci miglia fra le montagne, immerse nell'oscurità e, una settimana dopo, mi trovavo a Firenze, con la certezza che nessuno al mondo sapeva che fine avessi fatto. Avevo un solo confidente - mio fratello Mycroft. Le devo moltissime scuse, mio caro amico, ma era indispensabile che tutti mi credessero morto; e senza dubbio lei non avrebbe potuto scrivere un resoconto così convincente della mia tragica scomparsa se lei stesso non ne fosse stato più che certo. Molte volte, durante questi ultimi tre anni, ho preso la penna in mano per scriverle ma mi sono sempre trattenuto, nel timore che l'affetto che lei nutre per me la portasse a commettere una qualche indiscrezione che avrebbe tradito il mio segreto. Per questo motivo mi sono allontanato da lei questa sera, quando ha fatto cadere i miei libri, perché in quel momento ero in pericolo e qualsiasi espressione di sorpresa e di emozione da parte sua avrebbe richiamato l'attenzione sulla mia identità, con conseguenze deplorevoli e irreparabili. In quanto a Mycroft, ho dovuto confidarmi con lui per avere il denaro che mi serviva. A Londra, le cose non andavano lisce come avevo sperato perché il processo alla banda Moriarty aveva lasciato in libertà due dei suoi accoliti più pericolosi e vendicativi. Per due anni, quindi, viaggiai nel Tibet, mi divertii a visitare Lhassa e trascorsi qualche giorno con il Dalai Lama. Forse avrà avuto occasione di leggere le interessanti esplorazioni condotte da un norvegese, un certo Siger-

son, ma sono sicuro che non le è mai passato per la mente che, così facendo, lei aveva notizie del suo amico. Attraversai poi la Persia, andai a vedere la Mecca e feci una breve ma interessante visita al Califfo di Khartoum, riferendone poi i risultati al Foreign Office. Tornato in Francia, trascorsi qualche mese nelle ricerche sui derivati del catrame minerale in un laboratorio di Montpellier, nel sud della Francia. Una volta concluse, con suc-

cesso, le mie ricerche e venuto a sapere che ora uno solo dei miei nemici era rimasto in Inghilterra, ero sul punto di rientrare in patria quando dovetti accelerare i miei piani per via di questo stranissimo Mistero di Park Lane che non solamente mi interessava in sé e per sé ma che sembrava offrirmi un' occasione eccezionale. Tornai immediatamente a Londra, mi presentai a Baker Street, facendo quasi venire un infarto alla signora Hudson, e scoprii che Mycroft aveva conservato il mio alloggio e le mie carte esattamente com'erano. Ed è così, mio caro Watson, che alle due del pomeriggio di oggi mi trovavo nella mia vecchia poltrona, nella mia vecchia stanza, con l'unico desiderio che, nell'altra poltrona, fosse seduto, come sempre, il mio amico Watson.» Tale fu lo straordinario racconto che ascoltai in quella sera d'aprile - un racconto che avrei ritenuto assolutamente incredibile se non fosse stato confermato da quella figura alta e magra e dal viso intento e concentrato che non avevo più sperato di rivedere. In qualche modo era venuto a sapere del mio doloroso lutto e mi dimostrava la sua simpatia con i modi più che con le parole. «Il miglior antidoto al dolore è il lavoro, mio caro Watson», disse; «e questa sera ho un lavoretto per noi due che, se si concluderà felicemente, basterà a giustificare la presenza di un uomo su questa terra.» Invano lo scongiurai di dirmi qualcosa di più. «Ascolterà e vedrà abbastanza prima che sia mattina», rispose. «Abbiamo tre anni del nostro passato di cui parlare. Che questo ci basti fino alle nove e mezza, quando ci imbarcheremo nella strana avventura della casa vuota.» Fu davvero come tornare ai vecchi tempi quando, a quell'ora, mi trovai in carrozza accanto a lui, con la pistola in tasca e il brivido dell'avventura nel cuore. Holmes era freddo, severo e silenzioso. All'intermittente luce dei fanali vedevo la sua fronte aggrottata e pensierosa, le labbra sottili serrate. Ignoravo quale fosse l'animale selvaggio cui stavamo per dare la caccia nell'oscura giungla della criminalità londinese ma, dal comportamento del capocaccia, capivo che si trattava di una cosa grave - e il sorrisetto sardonico che occasionalmente rischiarava quella sua cupezza ascetica, non faceva presagire nulla di buono per la preda.

Pensavo che ci saremmo diretti a Baker Street, ma Holmes fece fermare la carrozza all'angolo di Cavendish Square. Notai che, scendendo, si guardò attentamente intorno, e lì e agli angoli successivi, per assicurarsi che non fossimo seguiti. Il nostro itinerario era certamente insolito. Holmes conosceva a menadito ogni traversa, ogni vicolo, ogni stradina di Londra e, in questa occasione, traversò con passo sicuro un dedalo di stalle e scuderie di cui ignoravo totalmente l'esistenza. Alla fine, sbucammo su una stradina fiancheggiata da vecchi edifici fatiscenti, che ci condusse a Manchester Street e di qui a Blandford Street. A questo punto svoltò rapidamente in uno stretto andito, attraversò una cancellata di legno, entrò in un cortile deserto e, con una chiave, aprì una porta sul retro di una casa. Entrammo insieme e richiuse la porta alle nostre spalle. Era buio pesto, ma mi parve evidente che si trattava di una casa vuota. I nostri passi scricchiolavano sulle assi di legno dell'impiantito e la mia mano tesa toccò un muro da cui pendevano lembi di carta da parati. Le dita fredde e sottili di Holmes mi afferrarono il polso guidandomi attraverso una grande sala fino a quando intravidi vagamente una tenue striscia di luce sopra una porta. A quel punto Holmes girò bruscamente a destra e ci trovammo in un ampio locale quadrato e vuoto, con gli angoli ricolmi d'ombra e debolmente illuminato al centro dal riflesso dei fanali della strada sottostante. Non c'erano lampade nelle vicinanze e la finestra era incrostata di polvere così che riuscivamo solo a distinguerci vagamente l'un l'altro. Il mio amico mi mise una mano sulla spalla accostando la bocca al mio orecchio. «Sa dove ci troviamo?», sussurrò. «Sicuramente quella è Baker Street», risposi guardando fuori dalla finestra offuscata.

«Esattamente. Siamo a Camden House, proprio dirimpetto al nostro vecchio appartamento.» «Ma per quale motivo ci troviamo qui?» «Perché da qui abbiamo un'ottima veduta di quel pittoresco fabbricato. La prego, caro Watson, si accosti un po' di più alla finestra, stando bene attento a non farsi scorgere, e osservi il nostro vecchio appartamento - punto di partenza di tanti dei suoi amabili e fantasiosi racconti. Vediamo se, dopo tre anni di assenza, ho davvero perduto la facoltà di stupirla.» Mi accostai cautamente e guardai la finestra che tanto mi era famillare. E lanciai un grido soffocato di sorpresa. La persiana era abbassata e nella stanza brillava una luce intensa. All'interno, su una poltrona, si vedeva l'ombra di un uomo la cui sagoma scura si stagliava nettamente contro la luce della finestra,

Non c'era da sbagliarsi sulla posa del capo, le spalle larghe, i lineamenti affilati. Il capo era semigirato da una parte e l'effetto era uguale a quello delle silhouette nere che i nostri nonni amavano tanto mettere in cornice. Era il ritratto perfetto di Holmes. Ero talmente sbalordito che allungai la mano per assicurarmi che lui fosse ancora accanto a me, in carne e ossa. Lo sentii vibrare di un riso silenzioso. «Allora?», mi chiese. «Santo cielo! È incredibile», esclamai. «Vedo che l'età e la consuetudine non hanno diminuito la mia abilità istrionica», disse e, nella sua voce, riconobbi la gioia e l'orgoglio dell'artista per la sua creazione. «Mi somiglia abbastanza, non trova?» «Giurerei che è lei.» «Il credito di quel piccolo capolavoro va a Monsieur Oscar Meunier, di Grenoble, che ha impiegato parecchi giorni a modellarlo. È un busto di cera. Il resto, l'ho sistemato io stesso questo pomeriggio, durante la mia visita a Baker Street.» «Ma perché mai?» «Perché, mio caro Watson, avevo tutte le mie buone ragioni per far sì che certa gente creda che sono in casa, quando in realtà sono altrove.» «Pensava che l'appartamento fosse sorvegliato?» «So di certo che era sorvegliato.» «Da chi?» «Dai miei vecchi nemici, Watson. Da quella affascinante congrega il cui capo giace sul fondo della Reichenbach Fall. Non dimentichi che loro, e solo loro, sapevano che ero ancora vivo. Presto o tardi, hanno pensato, avrei fatto ritorno a casa. Hanno tenuto costantemente sotto sorveglianza l'appartamento e questa mattina mi hanno visto arrivare.» «Come lo sa? » «Perché guardando fuori dalla finestra ho riconosciuto la loro sentinella. Un tipo abbastanza innocuo, un certo Parker, strangolatore di professione e ottimo suonatore di arpa ebraica. Di lui non mi preoccupavo affatto. Mi preoccupavo invece, e molto, dell'uomo, ben più formidabile, che si nascondeva dietro di lui, l'amico del cuore di Moriarty, la persona che aveva spinto i massi giù dalla scogliera, il più astuto e pericoloso criminale di Londra. È lui l'uomo che questa notte mi sta dando la caccia, Watson, e che non immagina nemmeno lontanamente che noi stiamo dando la caccia a lui.» Poco a poco, il mio amico rivelava i suoi piani. Da quel comodo rifugio, i sorveglianti erano sorvegliati e i braccatori, bracca-

ti. Quell'ombra spigolosa, laggiù, era l'esca e noi eravamo i cacciatori. Rimanemmo fianco a fianco al buio, in silenzio a guardare le figure che passavano e ripassavano frettolose davanti a noi. Holmes, immobile, non fiatava ma sapevo che stava all'erta, scrutando attentamente il flusso dei passanti. Era una notte squallida e tempestosa, il vento fischiava e sibilava incanalandosi lungo le vie. C'era molta gente per la strada, quasi tutti in-

tabarrati in cappotti e sciarpe. Una o due volte mi sembrò di vedere una figura già vista prima, e notai particolarmente due uomini che sembravano ripararsi dal vento sul portone di una casa poco distante. Cercai di richiamare su di loro l'attenzione del mio amico; ma, con una breve esclamazione d'impazienza, continuò a guardare la strada. Più di una volta mosse nervosamente i piedi, tamburellando con le dita sul muro. Era evidente che cominciava a fremere e che i suoi piani non andavano esattamente come avrebbe voluto. Finalmente, verso mezzanotte, quando il via vai per la strada cominciò gradatamente a diradarsi, si mise a passeggiare su e giù per la stanza, in preda a un' emozione incontrollabile. Stavo per fare un'osservazione quando alzai gli occhi verso la finestra illuminata; rimasi sbigottito. Afferrai Holmes per un braccio, indicando verso l'alto. «L'ombra si è mossa! », esclamai. Infatti ora non era più girata di profilo, ma ci dava le spalle. Tre anni non erano certo bastati a smussare il suo carattere spigoloso o la sua irritazione verso coloro la cui intelligenza non era scattante come la sua. «Certo che si è mossa», disse. «Secondo lei, Watson, sono talmente sprovveduto da ricorrere così ovviamente a un manichino e da aspettarmi che gente fra la più acuta d'Europa si lasci trarre in inganno? Siamo in questa stanza da due ore, e la signora Hudson ha cambiato otto volte la posizione della figura, una volta ogni quarto d'ora. Lo fa dal davanti, così che la sua ombra non si vede. Ah!» Inspirò il fiato con una specie di singhiozzo eccitato. Nella penombra, lo vidi sporgere il capo in avanti, col corpo rigido, in attesa. Fuori, la strada era completamente deserta. I due uomini forse stavano ancora acquattati nell'ombra del portone, ma non riuscivo più a scorgerli. Non c'era che buio e silenzio, eccezion fatta per il riquadro luminoso di fronte a noi nel cui centro si stagliava la figura nera. E di nuovo, nel silenzio, sentii quella tenue nota sibilante che tradiva l'eccitazione soffocata. Un attimo dopo, mi trascinò nell'angolo più scuro della stanza e mi posò la mano sulle labbra, in segno di avvertimento. Le dita che stringevano il mio braccio vibravano. Non lo avevo mai visto così agitato; eppure, la strada si stendeva davanti a noi, solitaria e senz'ombra di movimento.

Ma improvvisamente mi resi conto di ciò che i suoi sensi, più acuti dei miei, avevano già percepito. Mi giunse all'orecchio un rumore tenue e furtivo, non dalla direzione di Baker Street ma dal retro della casa nella quale stavamo nascosti. Una porta era stata aperta e chiusa. Dopo un istante si sentirono dei passi cauti nel corridoio - passi che dovevano essere silenziosi ma, in realtà, sembravano rimbombare nella casa vuota. Holmes si accucciò contro il muro ed io feci lo stesso, mentre con la mano afferravo il calcio della pistola. Scrutando nel buio, vidi la sagoma vaga di un uomo, leggermente più scura dell'oscurità che riempiva il vano della porta aperta. Rimase ferma per un istante poi, ricurva e minacciosa, scivolò avanti all'interno della stanza. Era a tre metri da noi, quella figura sinistra, e mi ero già preparato ad affrontare il suo slancio quando mi resi conto che non si era affatto accorto della nostra presenza. Ci passò accanto, avanzò fino alla finestra e cautamente, senza far rumore, l'alzò di un palmo. Mentre si abbassava al livello dell'apertura la luce della strada, non più smorzata dal vetro polveroso, gli illuminò il volto. L'uomo appariva fuori di sé per l'eccitazione. Gli occhi gli brillavano come stelle e i lineamenti si agitavano in modo convulso. Era un uomo anziano, con il naso sottile e sporgente, la fronte alta e stempiata, e grossi baffi brizzolati. Un gibus era spinto indietro, sulla nuca, e il pastrano aperto lasciava intravedere il davanti di una camicia da sera. Aveva un viso scarno e abbronzato, segnato da profondi solchi. In mano teneva quello che all'apparenza sembrava un bastone ma, quando lo posò sul pavimento, diede un suono metallico. Poi, dalla tasca del cappotto, tirò fuori un oggetto voluminoso e cominciò ad armeggiare finché non si sentì uno scatto secco, come quello di una

molla o di un chiavistello. Sempre inginocchiato per terra, si chinò in avanti appoggiandosi con tutto il suo peso e tutta la sua forza su una qualche leva, producendo il rumore di qualcosa che si avvitava stridendo per terminare ancora una volta con un violento scatto. Allora si rialzò e vidi che teneva in mano una specie di fucile, con uno strano calcio informe. Lo aprì al punto del caricatore, inserì qualcosa e chiuse di scatto l'otturatore. Poi, accovacciandosi, appoggiò l'estremità della canna sul davanzale della finestra aperta e scorsi i suoi lunghi baffi che ricadevano sul calcio dell'arma e l'occhio che guardava nel mirino. Lo sentii emettere un piccolo sospiro di soddisfazione mentre si appoggiava il calcio alla spalla e osservava il suo straordinario obiettivo, l'uomo scuro sullo sfondo chiaro, che si presentava nettamente ai suoi occhi. Per un secondo rimase rigido e immobile. Poi, il dito premette il grilletto. Si sentì uno strano, forte sibilo e

il tintinnio cristallino di vetri infranti. Nello stesso istante, Holmes balzò come una tigre alle spalle del tiratore scaraventandolo a faccia per terra. Si rialzò in un secondo afferrando Holmes per la gola in uno sforzo convulso, ma gli diedi un colpo in testa col calcio della pistola e ricadde sul pavimento. Mi lanciai addosso a lui e, mentre lo immobilizzavo, il mio amico tirò fuori un fischietto lanciando un suono acutissimo. Si sentì il rumore di passi di corsa sul marciapiede e due poliziotti in uniforme, accompagnati da un ispettore in borghese, irruppero nell'ingresso principale e dentro la stanza. «È lei, Lestrade?», disse Holmes. «Sì, signor Holmes. Di questo caso, mi sono occupato personalmente. È bello rivederla a Londra, signore.» «Penso che le occorra un po' di aiuto ufficioso. Tre omicidi non risolti, in un anno, sono troppi, Lestrade. Devo dire che del Mistero Molesey lei si è occupato con meno...- voglio dire, meglio del solito.» Eravamo tutti in piedi e il prigioniero, affiancato da due poliziotti, respirava a fatica. Già nella strada si erano radunati alcuni sfaccendati. Holmes si accostò alla finestra, la chiuse e calò le persiane. Lestrade aveva tirato fuori due candele e i poliziotti avevano tolto lo schermo alle loro lampade. Finalmente, riuscii a dare un'occhiata al nostro prigioniero. Era un volto quanto mai virile eppure sinistro. La fronte di un filosofo sulla mascella di un sensualista; un individuo che alla nascita doveva possedere grandi capacità per il bene o per il male. Ma non si potevano guardare quegli occhi azzurri e spietati, con le palpebre abbassate in atteggiamento cinico, quel naso aggressivo e prominente, la fronte corrugata e minacciosa, senza scoprirvi i più chiari segnali di pericolo che madre Natura poteva lanciare. Ignorava tutti noi, con lo sguardo fisso sul viso di Holmes, uno sguardo in cui odio e ammirazione si mescolavano in egual misura. «Demonio!», continuava a borbottare, «furbo, maledetto demonio!» «Ah, colonnello!», disse Holmes aggiustandosi il colletto sgualcito, «"I viaggi si concludono nell'incontro degli amanti", come dice il Bardo. Non credo di avere avuto il piacere di vederla dal giorno in cui lei mi ha favorito con le sue attenzioni mentre ero steso sulla cornice sopra la Reichenbach Fall.» Il colonnello continuava a fissare il mio amico come in trance. «Demonio! Astuto demonio!», era tutto quello che riusciva a dire. «Non vi ho ancora presentati», esclamò Holmes. «Signori, questo è il colonnello Sebastian Moran, già dell'Esercito India-

no di Sua Maestà, il miglior tiratore di caccia grossa che il nostro Impero d'Oriente ci abbia mai dato. Ritengo di non sbagliare, colonnello, nel dire che lei detiene ancora il record di tigri uccise?» Il feroce Vecchio non rispose ma continuò a fissare il mio amico con occhi che mandavano lampi. Con quello sguardo selvag-

gio e i folti baffi, somigliava straordinariamente a una tigre, lui stesso. «Mi sorprende che il mio semplicissimo stratagemma abbia potuto trarre in inganno un così esperto shikari», disse Holmes. «Doveva conoscerlo fin troppo bene. Non ha mai legato un agnello sotto un albero, sul quale poi è salito col suo fucile, aspettando la tigre attirata dall'esca? Questa casa vuota è il mio albero, e lei è la mia tigre. Probabilmente, teneva altri fucili di scorta, in caso le tigri fossero più di una o nella remota eventualità che potesse sbagliare il colpo. Questi», disse con un gesto circolare, «sono i miei fucili di scorta. Il parallelo è calzante. » Con un ringhio di furore, il colonnello Moran balzò in avanti ma i poliziotti lo trascinarono indietro. Il suo viso esprimeva un furore terrificante. «Confesso che lei aveva in serbo per me una piccola sorpresa», disse Holmes. «Non immaginavo che anche lei si sarebbe servito di questa casa vuota e di questa comoda finestra. Pensavo che avrebbe agito dalla strada, dove il mio amico Lestrade e la sua gaia brigata la stavano aspettando. Tranne per questa trascurabile eccezione, tutto il resto si è svolto come prevedevo.» Il colonnello Moran si rivolse all'ispettore. «Lei può avere o meno una giusta causa per arrestarmi», disse, «ma quanto meno non c'è alcun motivo per cui io debba sopportare le beffe di quest'individuo. Se sono nelle mani della legge, che le cose siano fatte in modo legale.» «Be', questo è abbastanza ragionevole», rispose Lestrade. «Ha altro da dire, signor Holmes, prima che ce ne andiamo?» Holmes aveva raccolto dal pavimento la potente carabina e ne stava esaminando il meccanismo. «Un'arma straordinaria, unica», osservò, «silenziosa e potentissima: conoscevo Von Herder, l'artigiano tedesco cieco che la costruì per il fu professor Moriarty. Ne conoscevo l'esistenza da anni, anche se non avevo mai avuto l'occasione di tenerla fra le mani. La raccomando in modo particolare alla sua attenzione, Lestrade; l'arma e i relativi proiettili.» «Stia tranquillo, signor Holmes», rispose Lestrade mentre il gruppetto andava verso la porta. «C'è altro?» «Una sola domanda. Quale sarà il suo capo d'accusa?»

«Capo d'accusa, signore? Ovviamente, tentato omicidio nei confronti del signor Sherlock Holmes.» «No, no, Lestrade. In questa faccenda non voglio comparire. A lei, e solo a lei, va il credito per questo eccezionale arresto. Certo, Lestrade, mi congratulo con lei! Con la sua solita astuzia unita all'audacia, è riuscito ad acciuffarlo.» «Acciuffarlo! Acciuffare chi, signor Holmes?» «L'uomo al quale tutte le forze di polizia hanno invano dato la caccia - il colonnello Sebastian Moran, che ha ucciso l'onorevole Ronald Adair con un proiettile dirompente sparato da una carabina attraverso la finestra aperta al secondo piano, fronte strada, del numero 427 di Park Lane, il trenta del mese scorso. Questa è l'accusa, Lestrade. E adesso, Watson, se se la sente di sopportare la corrente da una finestra rotta, direi che una mezz'oretta nel mio studio, con un buon sigaro, potrebbe costituire per lei un istruttivo relax. » Il nostro vecchio appartamento era rimasto tale e quale, grazie alla supervisione di Mycroft Holmes e alle cure della signora Hudson. Ammetto che, entrando, lo trovai stranamente in ordine, ma le vecchie cose erano al loro posto. L'angolo della chimica, con il suo tavolo di abete, macchiato dagli acidi. Sullo scaffale, l'imponente raccolta degli album dei ritagli e dei libri di consultazione, che tanta gente avrebbe voluto vedere fra le fiamme. I grafici, l'astuccio del violino, la rastrelliera delle pipe - perfino la pantofola persiana entro cui c'era il tabacco - tutto mi balzò agli occhi mentre mi guardavo intorno. Nella stanza c' erano due occupanti - la signora Hudson, che ci accolse con un ampio sorriso, e il bizzarro manichino che tanta parte aveva

avuto nelle nostre avventure notturne. Era una riproduzione in cera del mio amico, talmente ben fatta da esserne la copia perfetta. Era poggiato su un basso tavolinetto a piede centrale e avvolto in una delle vestaglie di Holmes, drappeggiata in modo tale che dalla strada l'illusione era assolutamente perfetta. «Mi auguro che lei abbia agito con tutte le precauzioni che le ho suggerito, signora Hudson», disse Holmes. «Mi sono inginocchiata per terra, signore, proprio come mi aveva detto lei. » «Benissimo. È stata davvero brava. Ha notato dove è finito il proiettile?» «Sì, signore. Temo che abbia rovinato quel suo bel busto perché ha attraversato la testa, appiattendosi poi contro il muro. Eccolo qui. L'ho raccolto dal tappeto!» Holmes me lo mostrò. «Come vede, Watson, si tratta di un

proiettile a punta morbida. Geniale; chi mai si aspetterebbe un proiettile del genere per una carabina? Benissimo, signora Hudson, le sono molto grato per il suo aiuto. E adesso, Watson, si accomodi di nuovo nella sua poltrona perché ci sono vari punti che vorrei discutere con lei.» Si era tolto il cappotto sdrucito ed era tornato ad essere lo Sherlock Holmes di una volta, paludato nella vestaglia color topo che aveva tolto dal manichino. «Il vecchio shikari ha ancora nervi saldi e vista acuta», disse ridendo mentre esaminava la testa fracassata del manichino. «Dritto nella nuca e attraverso il cervello. Era il miglior tiratore di tutta l'India e credo anche che a Londra non ce ne siano molti migliori di lui. Lo aveva mai sentito nominare?» «No, mai.» «Bene, con buona pace della fama! Ma, se ben ricordo, lei non aveva mai sentito nominare nemmeno il professor Moriarty, una delle più grandi menti del secolo. Per favore, mi prenda dallo scaffale il mio indice biografico.» Sfogliò oziosamente le pagine, sprofondato in poltrona fra nuvolette di fumo. La mia raccolta sotto la lettera M è eccellente», disse. «Del resto, basterebbe il nome di Moriarty a dar lustro a una lettera dell'alfabeto; e qui ci sono anche Morgan l'avvelenatore, e Merridew, di infame memoria, e Mathews, che con un pugno mi ruppe un dente nella sala d'aspetto di Charing Cross, e infine, ecco, il nostro amico di questa notte.» Mi porse il volume e lessi: Moran, Sebastian, colonnello. Nullafacente. Un tempo appartenente alla prima brigata dei Bangalore Pioneers. Nato a Londra, 1840. Figlio di Sir Augustus Moran, C. B., già ministro britannico in Persia. Ha studiato a Eton e Oxford. Ha prestato servizio nella Campagna di Jowaki, nella Campagna Afghana, a Charasiab (come corrispondente), a Sherpur, e a Cabul. Autore di Caccia grossa sull'Himalaya Occidentale, (1881); Tre mesi nella giungla (1884). Indirizzo: Conduit Street. Club: l'Anglo-Indiano, il Tankerville, il Bagatelle.

A margine, c'era una nota nella nitida grafia di Holmes: Il secondo individuo più pericoloso di Londra.

«È incredibile», dissi restituendogli il volume. «La sua carriera militare è di tutto rispetto. » «Proprio così», rispose Holmes. «Fino a un certo momento si è comportato bene. Ha sempre avuto nervi d'acciaio e in India ancora si racconta di come si sia incuneato in un canale di scari-

co per inseguire una tigre mangiatrice d'uomini che era rimasta ferita. Ci sono alberi, Watson, che crescono fino a una certa altezza poi, d'improvviso, sviluppano una qualche sgradevole stortura. È una cosa che vedrà spesso negli esseri umani. Ho una mia teoria secondo cui l'individuo, nel suo sviluppo, rappresen-

ta tutta la serie dei suoi progenitori e la cui improvvisa deviazione verso il bene o verso il male rivela una qualche pesante influenza ereditaria. Quella persona diventa, per così dire, il simbolo della storia della sua famiglia.» «Una teoria piuttosto fantasiosa.» «Be', lasciamo perdere. Comunque, quale che ne fosse la causa, il colonnello Moran prese una brutta strada. Non ci fu un vero e proprio scandalo ma l'India cominciò a scottargli sotto i piedi. Si congedò, venne a Londra, e anche qui si fece una cattiva fama. E fu allora che venne scelto dal professor Moriarty di cui divenne, per un certo tempo, il braccio destro. Moriarty gli dava denaro in abbondanza e si servì di lui solamente per uno o due lavoretti di alta classe, che nessun criminale comune avrebbe potuto svolgere. Ricorderà forse la morte della signora Stewart, di Lauder, nel 1887. No? Bene, sono certo che dietro tutta la faccenda c'era Moran, ma non è stato mai possibile provare niente. Il colonnello era così ben nascosto che, anche quando la banda Moriarty fu sgominata, non è stato possibile incriminarlo. Ricorderà come, il giorno in cui venni a casa sua, io chiusi le persiane per timore delle carabine? Senza dubbio, lei mi avrà preso per un visionario. Ma sapevo esattamente quello che facevo; infatti, ero al corrente dell'esistenza di questo particolare fucile e anche del fatto che uno dei migliori tiratori del mondo sarebbe stato dietro il mirino. Quando eravamo in Svizzera ci seguì insieme con Moriarty e, senza dubbio, fu proprio lui a farmi passare quel brutto quarto d'ora sulla cornice di Reichenbach. Come può immaginare, durante il mio soggiorno in Francia leggevo con attenzione i giornali, alla ricerca di un'occasione per potergli mettere le mani addosso. Fino a quando si aggirava libero per le strade di Londra, davvero non valeva la pena di vivere. Notte e giorno quell'ombra mi sarebbe gravata sulle spalle e, presto o tardi, gli si sarebbe presentata l'occasione che aspettava. Cosa potevo fare? Non potevo sparargli a vista, o in galera ci sarei finito io. Inutile appellarsi alla magistratura. Non poteva interferire sulla base di quello che certamente avrebbe considerato un sospetto infondato. Quindi, non potevo fare niente. Ma seguivo la cronaca nera e sapevo che prima o poi l'avrei preso. Poi, ci fu la morte di questo Ronald Adair. La mia occasione

era arrivata. Sapendo ciò che sapevo, non avevo dubbi sul fatto che Moran fosse l'assassino. Aveva giocato a carte con quel giovanotto, lo aveva seguito fino a casa dal club, gli aveva sparato attraverso la finestra. Non c'era il minimo dubbio. Già i proiettili sono sufficienti a mettergli il cappio al collo. Venni subito a Londra. Fui visto dal sorvegliante che, sapevo, avrebbe riferito al colonnello la mia presenza. Moran non poteva fare a meno di collegare il mio improvviso ritorno col delitto e ne rimase allarmatissimo. Ero sicuro che avrebbe cercato di farmi fuori subito e che, per quello scopo, si sarebbe affidato a quella sua arma micidiale. Gli lasciai un bersaglio perfetto alla finestra e, dopo aver avvisato la polizia che avrei potuto aver bisogno di loro - a proposito, Watson, lei è riuscito subito a individuare la loro presenza in quel portone - mi sono appostato in quello che ritenevo un ottimo punto d'osservazione, mai immaginando che avrebbe scelto proprio quello stesso posto per il suo attacco. E adesso, mio caro Watson, è tutto chiaro?» «No», risposi. «Non mi ha ancora detto per quale motivo il colonnello Moran ha ucciso l'onorevole Ronald Adair.» «Ah, amico mio! Qui entriamo nel campo delle ipotesi, dove anche la mente più logica può sbagliare. Tutti possono farsi una propria teoria in base alle prove e la sua vale quanto la mia.» «Dunque lei ha una teoria.» «Credo che la spiegazione dei fatti sia abbastanza semplice. Dalle testimonianze è venuto fuori che, fra loro due, il colonnello Moran e il giovane Adair avevano vinto un mucchio di soldi. Naturalmente, Moran aveva barato - e questo lo sapevo da un pezzo. Ritengo che il giorno dell'omicidio Adair avesse scoperto

che Moran barava. Probabilmente gli ha parlato privatamente, minacciando di denunciarlo se non si fosse dimesso spontaneamente dal club, promettendo di non giocare mai più a carte. È poco verosimile che un giovanotto come Adair intendesse veramente provocare un terribile scandalo denunciando una persona nota e tanto più anziana di lui. Probabilmente, agì come le ho detto. Ma l'esclusione dal club sarebbe stata la rovina per Moran che viveva con i proventi delle sue partite truccate. Quindi uccise Adair, proprio mentre stava calcolando quanto denaro dovesse rifondere lui stesso, dal momento che non intendeva approfittare degli imbrogli del partner. Chiuse a chiave la porta per evitare di essere sorpreso dalle signore e di sentirsi chiedere cosa stesse facendo con quei nomi e quelle monete. Che ne dice?» «Sono sicuro che è andata proprio così.» «Vedremo se la mia ipotesi sarà confermata o respinta al pro-

cesso. Frattanto, qualsiasi cosa accada, il colonnello Moran non ci darà più fastidio. La famosa carabina di Von Herder andrà ad arricchire il Museo di Scotland Yard e Sherlock Holmes sarà nuovamente libero di dedicarsi a quei piccoli, interessanti problemi che la complessa vita londinese offre con tanta dovizia.» Next Page

L'avventura del costruttore di Norwood «Dal punto di vista del criminologo», osservò Sherlock Holmes, «Londra è diventata una città priva di qualsiasi interesse da quando è morto il compianto professor Moriarty.» «Non credo che troverebbe molti cittadini disposti a darle ragione», risposi. «Bene, bene, non devo essere egoista», disse sorridendo e alzandosi dal tavolo della colazione. «La società ci ha sicuramente guadagnato, e nessuno ci ha rimesso tranne il povero specialista, oramai disoccupato. Finché quel gentiluomo era in azione, i giornali del mattino offrivano infinite possibilità. Spesso non più di una minima traccia, Watson, di un'indicazione estremamente vaga ma sufficiente a dirmi che quel grande genio del male era ancora in circolazione, come la più lieve vibrazione di un filo della rete ci rammenta che al centro di essa il malvagio ragno è sempre in agguato. Furtarelli, aggressioni ingiustificate, violenze gratuite - per colui che possedeva la chiave tutto rientrava in un quadro generale. Per chi voleva dedicarsi seriamente allo studio della criminologia ad alto livello, nessuna capitale europea offriva, allora, gli stessi vantaggi di Londra. Ma adesso...», si strinse nelle spalle in ironica disapprovazione dello stato di cose che lui stesso aveva contribuito in notevole misura a creare. Al tempo di cui sto parlando, Holmes era di nuovo a Londra già da qualche mese e io, dietro sua richiesta, mi ero trasferito di nuovo con lui nel vecchio appartamento di Baker Street. Un giovane medico, un certo Verner, aveva rilevato il mio piccolo studio a Kensington senza sollevare, stranamente, alcuna obiezione al prezzo altissimo che mi ero avventurato a chiedergli - e capii il perché qualche anno dopo, quando venni a sapere che Verner era un lontano parente di Holmes e che a sborsare la somma era stato, in realtà, il mio amico. I nostri mesi di collaborazione non erano stati così piatti e tranquilli come lui aveva sostenuto; riguardando, infatti, i miei appunti, vedo che a quel periodo risale il caso dei documenti dell'ex presidente Murillo, nonché l'incredibile vicenda del va-

pore olandese Friesland che, per poco, non costò la vita ad entrambi. Ma il suo carattere chiuso e orgoglioso rifuggiva da qualsiasi espressione di pubblico plauso e mi fece promettere nel modo più assoluto di non parlare più di lui, dei suoi metodi, o dei suoi successi - divieto che, come ho già spiegato, solo adesso è stato rimosso. Dopo quella sua bizzarra lamentela, Holmes se ne stava sdraiato in poltrona a leggersi tranquillamente i giornali del mattino, quando la nostra attenzione fu colpita da una violenta scampanellata seguita immediatamente da un sordo tambureggiare, come se qualcuno battesse con i pugni al portone esterno. Quando il portone venne aperto si sentì qualcuno che correva a perdifiato nell'androne, saliva di corsa le scale e, un istante dopo, un giovane frenetico e terrorizzato, pallido, scarmigliato e ansante, irruppe nella stanza. Girò gli occhi dall'uno all'altro di noi e, sotto il nostro sguardo interrogativo, sembrò rendersi conto che il suo ingresso così poco cerimonioso richiedeva delle scuse. «Mi dispiace, signor Holmes», esclamò. «La prego di non volermene. Sto diventando matto. Signor Holmes, davanti a lei c'è lo sfortunato John Hector McFarlane.» Fece questo annuncio come se bastasse il suo nome a spiegare la visita e i suoi modi irruenti ma, dall'espressione apatica del mio amico, compresi che quel nome a lui, come a me, non diceva assolutamente nulla. «Prenda una sigaretta, signor McFarlane», disse spingendo verso di lui il suo astuccio. «Sono certo che, osservando i suoi sintomi, il mio amico qui presente, il dottor Watson, le prescriverebbe un sedativo. Ha fatto molto caldo in questi ultimi giorni. E ora, se si è calmato un po', la prego di accomodarsi in questa poltrona e di dirci, molto lentamente e con molta calma, lei chi è e che cosa vuole. Ci ha detto il suo nome, come se io dovessi riconoscerlo, ma le assicuro che, tranne il fatto ovvio che lei è scapolo, che è un procuratore legale, un Massone, e soffre di asma, di lei non so proprio nulla.» Dato che i metodi del mio amico mi erano molto familiari, non ebbi difficoltà a seguire le sue deduzioni, osservando l'abbigliamento disordinato, il mucchio di scartoffie legali, il ciondolo dell'orologio e il respiro ansante che lo avevano condotto alle conclusioni. Ma il nostro cliente lo guardò sbalordito. «È vero, sono tutto questo, signor Holmes; e inoltre, in questo momento, sono l'essere più sfortunato di Londra. Per amor del cielo, non mi abbandoni, signor Holmes! Se vengono ad arrestarmi prima che io abbia terminato di raccontarle la mia sto-

ria, veda di farli aspettare, così che io possa dirle tutta la verità. Andrei in prigione felice, se sapessi che, da fuori le sbarre, lei sta lavorando per me.» «Arrestarla!», esclamò Holmes. «Questo è davvero molto gratif... interessante. Dietro quale accusa si aspetta di essere arrestato?» «Dietro l'accusa di omicidio nei confronti del signor Jonas Oldacre, di Lower Norwood.» Il volto espressivo del mio amico mostrava una comprensione non del tutto scevra, temo, da una certa soddisfazione. «Però!», disse. «Proprio poco fa, a colazione, stavo dicendo al mio amico Watson che dai nostri giornali sono sparite le notine sensazionali.» Il nostro visitatore stese una mano tremante e prese il Daily Telegraph che Holmes teneva ancora sulle ginocchia. «Se lei l'avesse letto, signore, avrebbe capito subito il motivo che mi ha portato da lei questa mattina. Ho l'impressione che il mio nome e la mia disgrazia siano sulla bocca di tutti.» Piegò il giornale per mettere in vista la pagina centrale. «Ecco qui, e col suo permesso glielo leggerò. Ascolti, signor Holmes. Il titolo dice: "Misterioso Evento a Lower Norwood. Scomparsa di un Noto Costruttore. Sospetti di Omicidio e Incendio Doloso. Un Indizio sul colpevole". Questo è l'indizio che stanno già seguen-

do, signor Holmes, e so che conduce inevitabilmente a me. Sono stato seguito dalla Stazione di London Bridge e sono certo che stanno solo aspettando il mandato per arrestarmi. A mia madre si spezzerà il cuore! Le si spezzerà il cuore! » Si torse le mani in una crisi di angoscia, dondolandosi avanti e indietro sulla poltrona. Osservai con interesse quell'uomo accusato di un tale misfatto. Aveva i capelli biondo-paglia e lo si poteva definire bello, di una bellezza slavata, con gli occhi azzurri spaventati, un volto glabro con una bocca sensibile e debole. Poteva avere all'incirca ventisette anni, e i suoi modi, come il suo abbigliamento, denotavano una persona civile. Dalla tasca del suo leggero soprabito estivo spuntava un rotolo di documenti firmati che attestavano la sua professione. «Dobbiamo usare il tempo a nostra disposizione», disse Holmes. «Watson, vorrebbe avere la cortesia di prendere il giornale e leggere l'articolo in questione?» Sotto il titolo a caratteri di scatola citato dal nostro cliente lessi il seguente racconto, davvero suggestivo. Nella tarda serata di ieri o nelle prime ore di questa mattina si è verificato, a

Lower Norwood, un incidente che, purtroppo, fa pensare a un delitto. Il signor Jonas Oldacre è un ben noto abitante del quartiere dove, da anni, esercita la sua attività di costruttore. Il signor Oldacre è scapolo, ha cinquantadue anni e abita a Deep Dene House, alla fine dell'omonima strada, dalla parte di Sydenham. Ha la reputazione di persona eccentrica, chiusa e riservata. Da qualche anno si è praticamente ritirato dalla sua attività che, a quanto si dice, gli ha permesso di ammassare una fortuna. Sul retro della sua abitazione, però, esiste ancora un piccolo deposito di legname e la scorsa notte, verso mezzanotte, è stato dato l'allarme perché una delle cataste aveva preso fuoco. I pompieri sono arrivati quasi subito, ma il legname secco bruciava con estrema violenza e non è stato possibile spegnere l'incendio prima che tutte le cataste fossero consumate dalle fiamme. Fin qui, l'incidente non presentava niente di straordinario, ma ulteriori tracce sembrano indicare un grave crimine. Ci si meravigliò che il proprietario del deposito non fosse presente all'incendio e, a questo proposito, sono state fatte delle indagini dalle quali è risultato che era scomparso da casa. Perquisendo la sua camera da letto si è visto che il letto era intatto, che una cassaforte, in un angolo della stanza, era aperta, che vari documenti importanti erano sparsi alla rinfusa sul pavimento e, infine, che doveva esserci stata una violentissima e letale colluttazione perché nella stanza sono state trovate macchie di sangue e un bastone di quercia, il cui pomo era anch'esso macchiato di sangue. È stato appurato che quella sera tardi il signor Jonas Oldacre aveva ricevuto un visitatore, proprio in camera da letto, e il bastone rinvenuto è stato identificato come appartenente all'ospite, un giovane avvocato londinese, un certo John Hector McFarlane, socio giovane della Graham e McFarlane, con ufficio al numero 426 di Gresham Buildings, E.C. Secondo la polizia, gli indizi attualmente in loro possesso indicherebbero un preciso movente per il delitto e, senza dubbio, si avranno quanto prima sensazionali sviluppi della vicenda. ULTIME NOTIZIE. Mentre andiamo in macchina si è sparsa la voce che il signor John Hector McFarlane sia stato effettivamente arrestato con l'accusa di omicidio nella persona del signor Jonas Oldacre. Quantomeno, è stato sicuramente emesso mandato di cattura. Le indagini sul caso di Norwood hanno portato alla luce ulteriori, sinistri sviluppi. Oltre ai segni della colluttazione nella stanza del povero costruttore, si apprende ora che la porta-finestra della sua camera da letto (al piano terra) è stata trovata aperta; che sono state rilevate delle tracce come se un oggetto pesante fosse stato trascinato fino alle cataste di legname e, infine, ci risulta che, fra le ceneri dell'incendio, sono stati trovati dei resti carbonizzati. La polizia ritiene che sia stato commesso un orrendo delitto, che la vittima sia stata colpita a morte con il bastone, nella sua stanza, che il cadavere sia poi stato trascinato fino alle cataste alle quali è stato appiccato il fuoco per cancellare ogni traccia del crimine. La direzione delle indagini è affidata alle capaci mani dell'ispettore Lestrade, di Scotland Yard, che segue il caso con la sua consueta energia e sagacia.

Holmes aveva ascoltato ad occhi chiusi, con le punte delle dita congiunte, questo straordinario resoconto. «Il caso presenta senza dubbio degli aspetti interessanti», osservò nel suo tipico modo distaccato. «Per prima cosa, signor McFarlane, posso chiederle come mai lei è ancora in libertà dal momento che, a quanto pare, esistono prove sufficienti per giustificare il suo arresto?» «Vivo a Torrington Lodge, Blackheath, con i miei genitori,

signor Holmes, ma la scorsa notte, dovendo sbrigare degli affari con il signor Jonas Oldacre a un'ora molto tarda, ho affittato una stanza in un albergo di Norwood, da dove ho preso il treno per recarmi in ufficio. Non sapevo nulla di tutta questa storia fino a quando, sempre in treno, ho letto il giornale. Mi sono immediatamente reso conto di quanto fosse pericolosa la mia posizione e mi sono affrettato a venire da lei per affidarle il caso. Senza dubbio mi avrebbero arrestato, all'ufficio o a casa. Un tale mi ha seguito dalla Stazione di London Bridge, e sono certo.... Santo cielo! Che succede?» Era squillato il campanello e, subito dopo, si sentirono dei passi pesanti su per le scale. Un secondo dopo, il nostro vecchio amico Lestrade apparve sulla porta. Alle sue spalle, intravidi un paio di poliziotti in divisa. «Il signor John Hector McFarlane?», chiese Lestrade. Il nostro sfortunato cliente si alzò col viso spettrale. «Lei è in arresto per l'omicidio volontario del signor Jonas Oldacre, di Lower Norwood.» McFarlane si volse verso di noi con un gesto di disperazione, lasciandosi cadere di nuovo sulla poltrona, totalmente distrutto. «Un momento, Lestrade», disse Holmes. «Mezz'ora in più o in meno non fa alcuna differenza e il signore stava appunto per farci un resoconto di questa faccenda, che potrebbe aiutarci a risolverla.» «Credo che non ci sarà alcuna difficoltà a risolverla», ribatté cupamente Lestrade. «Comunque, col suo permesso, vorrei ascoltare il suo resoconto.» «Be', signor Holmes, mi è difficile rifiutarle qualcosa dal momento che in passato, una o due volte, lei ha aiutato la polizia e, a Scotland Yard, siamo in debito verso di lei», rispose Lestrade. «Debbo però rimanere col prigioniero e avvisarlo che, qualunque cosa dirà, potrà essere usata contro di lui.» «Non chiedo di meglio», disse il nostro cliente. «Chiedo solamente che vogliate ascoltarmi e convincervi che sto dicendo la pura verità.» Lestrade guardò l'orologio. «Le dò mezz'ora di tempo», rispose. «Per prima cosa», disse McFarlane «devo spiegare che del signor Jonas Oldacre non ne sapevo niente. Il suo nome mi era familiare perché, molti anni fa, i miei genitori lo conoscevano, ma poi si sono persi di vista. Rimasi quindi molto sorpreso quando ieri, verso le tre del pomeriggio, venne nel mio ufficio nella City.

Ma mi sorpresi ancora di più quando mi disse lo scopo della sua visita. Aveva in mano molti foglietti presi da un taccuino, coperti da una scrittura quasi illeggibile - eccoli - e li posò sulla mia scrivania. "Questo è il mio testamento", disse. "Voglio che lei, McFarlane, lo trascriva in forma legale. Intanto io mi siederò qui." Mi accinsi a copiarlo e può immaginare il mio stupore nello scoprire che, tranne per qualche lascito, aveva lasciato a me tutti i suoi beni. Leggendo quel testamento non credevo ai miei occhi; ma mi spiegò che lui era scapolo, non aveva parenti vivi, aveva conosciuto i miei genitori in gioventù, aveva sempre sentito parlare di me come di un bravo ragazzo ed era certo che il suo denaro sarebbe finito in buone mani. Naturalmente, riuscii solo a balbettare qualche parola di ringraziamento. Il testamento fu debitamente trascritto, firmato, e convalidato con la firma del mio impiegato. È questo, sulla carta azzurra, e questi foglietti, come ho già spiegato, sono la brutta copia. Il signor Oldacre mi disse poi che c'erano vari documenti - licenze di costruzione, diritti di proprietà, ipoteche, certificati azionari provvisori e via dicendo - che dovevo vedere ed esaminare. Aggiunse che non si sarebbe sentito tranquillo fino a quando non fosse tutto sistemato e mi pregò di andare a casa sua, a Norwood, quella sera,

portando con me il testamento, per sistemare le cose. "Ricordi, ragazzo mio, non una parola ai suoi genitori fino a quando le cose non saranno completamente in ordine. La terremo in serbo come una piccola sorpresa." Insistette molto su quel punto e mi fece promettere solennemente che avrei fatto come diceva. Come può immaginare, signor Holmes, non me la sentivo certamente di rifiutare quel suo desiderio. Era il mio benefattore e volevo accontentarlo in tutto e per tutto. Telegrafai quindi a casa per avvisare che dovevo sbrigare degli affari importanti e non sapevo a che ora sarei rientrato. Il signor Oldacre mi aveva invitato a cena da lui per le nove, dal momento che forse non sarebbe tornato a casa prima di quell'ora. Ho avuto però qualche difficoltà a trovare la sua casa e quando sono arrivato erano quasi le nove e mezza. L'ho trovato....» «Un momento!», lo interruppe Holmes. «Chi ha aperto la porta?» «Una donna di mezz'età; immagino fosse la sua governante.» «Ed è lei, suppongo, che ha fatto il suo nome?» «Esattamente», rispose McFarlane. «Prego, continui.» McFarlane si asciugò la fronte sudata e proseguì il suo racconto.

«La donna mi fece entrare in un salotto dove era preparata una cena frugale. Più tardi, il signor Oldacre mi portò nella sua stanza, dove c'era una grossa cassaforte. La aprì e ne tirò fuori un pacco di documenti che esaminammo insieme. Erano fra le undici e mezzanotte quando terminammo. Disse che non dovevamo disturbare la governante e mi fece uscire dalla portafinestra della sua camera, che era rimasta sempre aperta.» «La persiana era abbassata?», chiese Holmes. «Non ne sono sicuro, ma credo che lo fosse a metà. Sì, rammento che la tirò su per aprire la finestra. Non riuscivo a trovare il mio bastone e Oldacre disse, "non importa, ragazzo mio, ci rivedremo spesso d'ora in avanti, almeno lo spero, e le terrò da parte il bastone fino a quando tornerà a riprenderlo." Lo lasciai lì, con la cassaforte spalancata e i documenti impacchettati sul tavolo. Era così tardi che non potevo tornare a Blackheath, così pernottai all'Anerley Arms; solo al mattino sono venuto a conoscenza della tragedia. » «C'è altro che desidera chiedere, signor Holmes?», disse Lestrade le cui sopracciglia si erano marcate un paio di volte durante quello straordinario racconto. «Non prima di essere andato a Blackheath.» «Vuol dire a Norwood», lo corresse Lestrade. «Sì, certo, senza dubbio volevo dire proprio questo», rispose Holmes col suo sorriso enigmatico. Lestrade aveva imparato per esperienza - più esperienza di quanto avrebbe voluto ammettere - che quella mente affilata come un rasoio era in grado di sviscerare ciò che per lui era impenetrabile. Vidi che osservava il mio amico con aria incuriosita. «Penso che dovrei scambiare due parole con lei, signor Holmes», disse. «Signor McFarlane, alla porta ci sono due dei miei uomini e una carrozza sta aspettando fuori.» Il povero giovanotto si alzò e, lanciandoci un ultimo sguardo implorante, uscì dalla stanza. I poliziotti lo scortarono alla carrozza, ma Lestrade si trattenne. Holmes aveva preso le pagine che formavano la brutta copia del testamento e le stava osservando con molta attenzione. «Un documento che dà da pensare, non le sembra, Lestrade?», disse porgendo i fogli all'ispettore che li osservò perplesso. «Riesco a decifrare le prime righe, e queste, a metà della seconda pagina, e un paio di righe alla fine; sono scritte con una grafia molto chiara, quasi a stampatello», rispose, «ma tutto il resto è scritto in maniera quasi illeggibile, ci sono dei punti che non riesco assolutamente a leggere.»

«E cosa ne deduce?», chiese Holmes. «Cosa ne deduce lei?» «Che sono state scritte in treno. Le righe leggibili rappresentano le fermate; quelle meno chiare, il treno in movimento, e quelle indecifrabili, i sobbalzi sugli scambi. Un esperto affermerebbe senz'altro che sono stati scritti su una linea periferica, dal momento che solo nell'immediata vicinanza di una grande città ci possono essere tanti scambi, uno appresso all'altro. Ammettendo che la stesura del testamento abbia occupato tutto il tempo del percorso, allora si trattava di un treno espresso, con una sola fermata fra Norwood e London Bridge.» Lestrade scoppiò a ridere. «Quando comincia con le sue teorie, signor Holmes, mi mette a terra. Che importanza ha tutto questo sul caso?» «Be', conferma il racconto del giovanotto, nel senso che il testamento è stato redatto da Jonas Oldacre durante il suo viaggio di ieri. Strano - no? - che una persona rediga un documento così importante in maniera tanto precaria. Dà l'idea che lo considerasse una cosa di scarso rilievo pratico. Qualcosa che non intendeva fosse mai convalidata.» «Ma al tempo stesso ha redatto la sua sentenza di morte», osservò Lestrade. «Oh, è questo che crede?» «Lei no?» «È possibile, ma la cosa non mi è chiara.» «Non le è chiara? Ma se non è chiaro questo, cosa lo è? Abbiamo un giovanotto che all'improvviso viene a sapere che, se un certo tizio muore, lui eredita una fortuna. Allora che fa? Non dice niente a nessuno ma fa in modo, con una scusa o con l'altra, di recarsi quella sera a casa del suo cliente. Aspetta finché l'altro occupante dell'appartamento è a letto poi, quando si trova solo col suo uomo lo uccide, brucia il suo corpo nella legnaia e se ne va in un albergo delle vicinanze. Le macchie di sangue sia nella stanza che sul bastone sono molto leggere. Probabilmente pensava di compiere un delitto non cruento e sperava che, bruciando il cadavere, avrebbe distrutto ogni traccia delle cause della morte - tracce che, per qualche motivo, potevano portare fino a lui. Non le sembra che tutto questo sia ovvio?» «Mio caro Lestrade, mi sembra un tantino troppo ovvio», disse Holmes. «Fra le sue grandi qualità, manca l'immaginazione, ma provi per un momento a mettersi nei panni del giovanotto: sceglierebbe proprio la sera successiva alla redazione del testamento per compiere il suo delitto? Non le sembrerebbe pericoloso creare un rapporto così stretto fra i due eventi? E, inol-

tre, sceglierebbe proprio un'occasione in cui tutti sanno che lei si trova in quella casa, quando è stato fatto entrare da una domestica? E, infine, si darebbe tanta pena per nascondere il corpo lasciando però lì il suo bastone a indicare che l'omicida è lei? Lo ammetta, Lestrade, è molto poco verosimile.» «In quanto al bastone, signor Holmes, lei sa quanto me che un criminale spesso è innervosito e fa cose che una persona più padrona dei propri nervi non farebbe. Probabilmente aveva paura di rientrare nella stanza. Mi dia un'altra teoria che si adatti ai fatti.» «Potrei dargliene una mezza dozzina», rispose Holmes. «Ecco, per esempio, questa è molto possibile, anzi, probabile. Gliela regalo. Il vecchio sta mostrando dei documenti, evidentemente di valore. Un vagabondo di passaggio lo vede attraverso la finestra che ha le persiane semi-abbassate. Esce l'avvocato. Entra il vagabondo! Afferra un bastone che vede lì, da una parte, uccide Oldacre e se ne va dopo aver bruciato il corpo.» «Ma perché il vagabondo dovrebbe bruciare il corpo?» «E perché dovrebbe farlo il signor MeFarlane?» «Per nascondere il corpo del reato. » «E magari il vagabondo voleva nascondere il fatto che era stato commesso un delitto.» «E perché il vagabondo non ha portato via niente?»

«Perché si trattava di documenti che non poteva vendere.» Lestrade scosse il capo anche se mi sembrò avesse perduto un po' della sua precedente sicurezza. «Bene, signor Holmes, lei cerchi pure il suo vagabondo e intanto noi ci teniamo il nostro uomo. Il futuro dimostrerà chi ha ragione. Rammenti una cosa, però, signor Holmes: per quanto ne sappiamo, le carte non sono state toccate e il prigioniero è proprio l'unica persona al mondo che non aveva nessun interesse a farle sparire, dal momento che era il legittimo erede e ne sarebbe venuto in possesso comunque.» Il mio amico sembrò colpito da quell'osservazione. «Non nego che, in qualche modo, l'evidenza appoggia la sua teoria», disse. «Voglio solo farle presente che esistono altre teorie possibili. Come dice lei, il futuro deciderà. Arrivederci! Prevedo che in giornata farò un salto a Norwood a vedere come vanno le cose.» Quando l'ispettore se ne fu andato, il mio amico si alzò accingendosi a pianificare il lavoro della giornata con l'aria scattante di chi ha un compito gradevole davanti a sé. «La mia prima mossa, Watson», disse infilandosi il soprabito, «dev'essere, come ho detto, quella di recarmi a Blackheath. »

«E perché non a Norwood?» «Perché in questo caso abbiamo uno strano incidente che si verifica subito dopo un altro strano incidente. La polizia sta commettendo l'errore di concentrarsi sul secondo poiché è quello che presenta il risvolto criminale. Ma secondo me, l'unico modo logico di affrontare questo caso è quello di cercare di far luce sul primo incidente - quello strano testamento, redatto così d'improvviso, e a favore di un erede così inaspettato. Chiarendo questo punto probabilmente sarà più facile chiarire il resto. No, amico mio, non credo che lei mi possa aiutare. Non c'è alcun pericolo, altrimenti non mi sognerei di andare senza di lei. Spero che quando la rivedrò questa sera sarò in grado di dirle che ho potuto fare qualcosa per questo giovanotto che si è affidato alla mia protezione.» Era molto tardi quando Holmes tornò e fu sufficiente un'occhiata al suo viso stanco e preoccupato per farmi capire che le sue speranze della mattina erano andate deluse. Per un'ora strimpellò sul suo violino cercando di calmarsi i nervi. Alla fine, gettò via lo strumento e si lanciò in un resoconto dettagliato delle sue disavventure. «Sta andando tutto storto, Watson - più storto di così non potrebbe andare. Davanti a Lestrade ho fatto finta di niente ma, parola mia, credo che una volta tanto lui sia sulla pista giusta e noi su quella sbagliata. Il mio istinto mi conduce da una parte ma i fatti sono tutti dall'altra e temo proprio che le giurie britanniche non abbiano ancora raggiunto quel culmine di intelligenza da avallare le mie teorie, anziché i fatti di Lestrade.» «È andato a Blackheath?» «Sì, Watson, ci sono andato e ben presto ho scoperto che il compianto Oldacre era un emerito farabutto. Il padre era andato in cerca del figlio. La madre era a casa - una donnina frivola, dagli occhi azzurri, tremante di paura e di indignazione. Naturalmente, non ammetteva nemmeno la possibilità che fosse colpevole. Ma non ha manifestato né sorpresa né rimpianto per la fine di Oldacre. Al contrario, ne ha parlato con tanta amarezza che, senza saperlo, non faceva che rafforzare le conclusìoni della polizia perché, naturalmente, se il figlio l'aveva sentita parlare di quell'uomo con tanta acredine, lui stesso si sarebbe sentito spinto all'odio e alla violenza. "Somigliava più a una scimmia astuta e malvagia che a un essere umano", mi ha detto, "ed è stato sempre così, fin da quando era giovane." "Lei lo ha conosciuto da giovane?", le ho chiesto. "Sì, lo conoscevo bene, in realtà era uno dei miei spasimanti. Grazie a Dio ho avuto il buon senso di lasciarlo perdere e di spo-

sare un uomo molto migliore di lui, anche se meno ricco. Ero fidanzata con lui, signor Holmes, quando venni a conoscenza di un episodio orribile, di come aveva messo un gatto in un'uccelliera, e rimasi così sconvolta da quella brutale crudeltà che non volli più saperne di lui". Frugò in una scrivania e mi fece vedere la fotografia di una donna, sfregiata e mutilata con un temperino. Quella è una mia fotografia", disse. "Me la mandò, conciata in questo modo, accompagnata dalla sua maledizione, la mattina delle mie nozze". "Be' "dissi, "se non altro, adesso l'ha perdonata, visto che ha lasciato tutti i propri averi a suo figlio." "Né mio figlio né io vogliamo niente da Jonas Oldacre, morto o vivo!", esclamò infuriata. "C'è un Dio in cielo, signor Holmes, e quel Dio che ha punito quell'uomo malvagio dimostrerà, quando Lui lo vorrà, che le mani di mio figlio sono innocenti del suo sangue." Bene, mi sono dedicato a una o due tracce ma non ho trovato niente che potesse convalidare la nostra ipotesi, e molto, invece, che la smentiva. Alla fine ho rinunciato e sono andato a Norwood. Questo luogo, Deep Dene House, è una grossa villa moderna, coi mattoni a vista, circondata da un appezzamento di terreno, davanti alla quale si stende un prato con numerose piante di alloro. A destra, un po' distante dalla strada, c'era il deposito di legname dove era scoppiato l'incendio. Ne ho tracciato uno schizzo qui, sul mio taccuino. La finestra a sinistra è quella che dà nella stanza di Oldacre. Come vede, dalla strada si può vedere all'interno. E questa è l'unica briciola di consolazione che ho avuto oggi. Lestrade non c'era, ma il suo assistente di fiducia ha fatto gli onori di casa. Avevano appena scoperto un tesoro. Per tutta la mattina avevano frugato fra le ceneri del legname bruciato e, oltre ai resti organici carbonizzati, avevano trovato molti dischi di metallo ossidati. Li esaminai attentamente e non c'era dubbio che si trattava di bottoni da pantaloni. Osservai perfino che su uno di essi si leggeva il nome "Hyams", che era il sarto di Oldacre. Ispezionai con cura il prato in cerca di tracce o indizi, ma la siccità ha reso il terreno duro come il ferro. Non si distingueva niente, tranne il fatto che un corpo o un fagotto era stato trascinato attraverso una piccola siepe di ligustro che si trova sulla stessa linea della legnaia. Tutto questo, naturalmente, coincide con la teoria ufficiale. Ho perlustrato il prato palmo a palmo, sotto il sole d'agosto che mi picchiava sulla schiena ma, dopo un'ora, ero al punto di partenza. Bene, dopo questo fiasco, andai a ispezionare la stanza da let-

to. Le macchie di sangue erano molto leggere, semplici sbaffi e scolorature, ma senza dubbio erano recenti. Il bastone era stato rimosso ma anche su quello le macchie erano lievissime. Non c'è dubbio che il bastone appartenga al nostro cliente. Lo ammette lui stesso. Sul tappeto, si potevano scorgere le impronte dei due uomini, ma di nessun altro, il che è un altro punto a favore dell'accusa. La polizia stava accumulando prove su prove e noi non facevamo un passo avanti. C'era un unico barlume di speranza - che però si spense nel nulla. Esaminai il contenuto della cassaforte, che era stato quasi tutto estratto e lasciato sulla tavola. Le carte erano state raccolte in buste sigillate, un paio delle quali erano state aperte dalla polizia. Per quanto potevo vedere, erano documenti di scarso rilievo e l'estratto conto del signor Oldacre non faceva pensare a una persona molto danarosa. Ebbi però l'impressione che mancasse qualche documento. C'erano delle allusioni ad alcuni contratti - forse quelli che avevano più valore - che non sono riuscito a trovare. Naturalmente, se potessimo provarlo con certezza, la teoria di Lestrade gli si ritorcerebbe contro; perché chi mai ruberebbe qualcosa che sa di ereditare quanto prima? Alla fine, dopo aver frugato dappertutto senza trovare il minimo indizio, cercai di cavare qualcosa dalla governante. La signora Lexington, così si chiama, è una donnina silenziosa e ri-

servata, con gli occhi sospettosi che guardano sempre di traverso. Se avesse voluto, avrebbe potuto dirci qualcosa - di questo sono sicuro. Ma era muta come un pesce. Sì, aveva fatto entrare il signor McFarlane alle nove e mezza. Magari le si fosse seccata la mano prima di aprirgli la porta! Era andata a coricarsi alle dieci e mezza. La sua camera era all'estremità opposta della casa, e non aveva sentito niente. Il signor MeFarlane aveva lasciato il cappello e, per quanto ne sapeva, il bastone, nell'ingresso. Era stata svegliata dall'allarme d'incendio. Il suo povero, amato padrone era stato certamente assassinato. Se aveva dei nemici? Be', tutti hanno dei nemici, ma il signor Oldacre era una persona molto riservata e incontrava altre persone solo per affari. Aveva visto i bottoni ed era certa che appartenevano agli abiti che indossava quella sera. Il legname era molto asciutto perché non pioveva da un mese. Era bruciato come la paglia e, quando era arrivata sul posto, non si vedevano altro che fiamme. Lei e i pompieri avevano sentito l'odore di carne bruciata che proveniva dall'interno. Non sapeva niente delle carte né delle faccende private del signor Oldacre. E questo, mio caro Watson, è il resoconto del mio fiasco. Eppure... eppure...», strinse le dita sottili in un parossismo di con-

vinzione. «Io so che è tutto sbagliato. Me lo sento nelle ossa. C'è qualcosa che non è venuto fuori e di cui la governante è a conoscenza. Nei suoi occhi c'era quell'espressione testarda di sfida che si accompagna sempre a una conoscenza colpevole di qualcosa. Comunque, inutile parlarne, Watson; ma, a meno di un colpo di fortuna, temo proprio che il Caso della Scomparsa di Norwood non comparirà fra le cronache dei nostri successi che, prevedo, i pazienti lettori dovranno prima o poi sopportare.» «Ma senza dubbio», obiettai, «l'aspetto del nostro cliente dovrebbe influenzare favorevolmente la giuria?» «Un'argomentazione molto pericolosa, caro Watson. Ricorda quel feroce assassino, Bert Stevens, che nell'87 voleva che lo facessimo mettere in libertà? Aveva mai visto un uomo più mite, più simile a un maestro di scuola parrocchiale?» «Già, è vero.» «Se non riusciamo a formulare un'ipotesi alternativa, quel giovanotto è spacciato. Non c'è una falla nelle accuse che, al momento, possono venire formulate contro di lui, e ogni ulteriore indagine non ha fatto che rafforzarle. A proposito, c'è una piccola stranezza circa quei documenti che potrebbe servirci da punto di partenza. Esaminando l'estratto conto della banca, ho notato che l'ammontare piuttosto limitato del suo credito era dovuto principalmente a dei sostanziosi assegni che aveva emesso l'anno scorso a favore di un certo signor Cornelius. Confesso che mi piacerebbe tanto sapere chi è questo signor Cornelius con cui un costruttore in pensione conduceva transazioni così rilevanti. È possibile che abbia qualcosa a che fare con questa faccenda? Cornelius potrebbe essere un agente di cambio, ma non abbiamo trovato nessun certificato d'acquisto di titoli o azioni che corrisponda a quei sostanziosi pagamenti. In mancanza di altre indicazioni, le mie ricerche devono ora rivolgersi verso la banca, per cercar di scoprire chi ha incassato quegli assegni. Ma temo proprio, caro amico, che il nostro caso avrà un esito inglorioso; Lestrade farà impiccare il nostro cliente e Scotland Yard segnerà un trionfo.» Non so fino a che punto Holmes riuscisse a dormire quella notte ma, quando scesi a colazione, lo vidi pallido e affaticato, con delle ombre scure sotto gli occhi che ne mettevano in risalto la lucentezza. Il tappeto attorno alla sua seggiola era cosparso di mozziconi di sigarette e delle prime edizioni dei giornali del mattino. Sul tavolo c'era un telegramma aperto. «Che ne pensa di questo, Watson?», mi disse, gettandolo verso di me. Proveniva da Norwood e diceva così:

Scoperte nuove importanti prove. Colpevolezza di McFarlane decisamente accertata. Le consiglio abbandonare caso. Lestrade

«Sembra una faccenda seria», dissi. «È il piccolo chicchirichì di vittoria di Lestrade», rispose Holmes con un sorriso amaro. «Eppure, può essere prematuro abbandonare il caso. Dopo tutto, scoprire nuove importanti prove può essere un'arma a doppio taglio e magari condurre in una direzione totalmente diversa da quello che Lestrade immagina. Faccia colazione, Watson, poi usciremo insieme e vedremo cosa possiamo fare. Oggi, ho proprio bisogno della sua compagnia e del suo appoggio morale.» Holmes non aveva fatto colazione; era infatti una delle sue stranezze quella di rimanere a digiuno nei momenti di maggior tensione e, a volte, l'ho visto fare talmente affidamento sul suo fisico di ferro da svenire per pura e semplice inedia. «In questo momento non posso sprecare energie e forza nervosa per la digestione», era solito rispondere alle mie rimostranze come medico. Non mi sorpresi quindi, quella mattina, quando lasciò il piatto intatto sul tavolo e si avviò, insieme a me, a Norwood. Una folla di perdigiorno, mossi da morbosa curiosità, si addensavano ancora intorno a Deep Dene House che era proprio quel tipo di villa suburbana che avevo immaginato. All'interno del cancello ci accolse Lestrade, tronfio ed esultante per la sua vittoria. «Allora, signor Holmes, è già riuscito a dimostrare che abbiamo torto? Ha trovato il suo vagabondo?», esclamò. «Non ho ancora tirato nessuna conclusione», rispose il mio amico. «Ma noi abbiamo tirato le nostre ieri e, adesso, abbiamo la prova che erano le conclusioni giuste; deve riconoscere che questa volta l'abbiamo battuta sul tempo, signor Holmes.» «Certo, dal suo aspetto si direbbe che è successo qualcosa di insolito», disse Holmes. Lestrade rise di gusto. «Anche a lei, come a tutti noi, non piace essere sconfitto», osservò. «Ma non ci si può aspettare di aver sempre ragione, non le pare, dottor Watson? Da questa parte, prego, signori, e credo di potervi convincere una volta per tutte che a commettere il delitto è stato proprio John McFarlane.» Attraverso il corridoio, ci portò in un'anticamera scura, sul retro. «Di qui dev'essere uscito il giovane McFarlane dopo l'omici-

dio», disse. «Guardate qui.» Con gesto teatrale accese un fiammifero e illuminò una macchia di sangue sulla parete imbiancata. Mentre avvicinava il fiammifero notai che era ben più di una macchia. Era l'impronta, estremamente nitida, di un pollice. «La osservi con la sua lente, signor Holmes.» «È quello che sto facendo.» «Lei sa che non esistono due impronte uguali di un pollice?» «Ho sentito qualcosa del genere.» «Bene, allora per favore confronti questa impronta con il calco in cera dell'impronta del pollice destro di McFarlane rilevata, per mio ordine, stamattina.» Accostò il calco alla macchia di sangue e non c'era bisogno di una lente per vedere che le impronte erano evidentemente state lasciate dallo stesso pollice. E altrettanto evidentemente vedevo che il nostro sfortunato cliente era spacciato. «Questa è una prova definitiva», disse Lestrade. «Già, definitiva», gli feci involontariamente eco. «Definitiva», ripeté Holmes. Qualcosa mi colpì nel suo tono e mi girai a guardarlo. Un cambiamento straordinario si era verificato sul suo viso che vibrava di allegria nascosta. Gli occhi lucevano come stelle. Ebbi l'impressione che facesse uno sforzo disperato per soffocare un attacco di risa convulse. «Bene, bene!», esclamò alla fine. «Bene! Chi l'avrebbe mai

detto? E come possono ingannare le apparenze! Un'aria tanto da bravo ragazzo! Questo ci insegna a non fidarci del nostro giudizio, non è così, Lestrade?» «Proprio così, alcuni fra noi sono un po' troppo prodivi ad essere convinti di aver sempre ragione, signor Holmes», disse Lestrade. L'insolenza di quell'uomo era insopportabile, ma non potevamo avercene a male. «Che provvidenziale combinazione che questo giovanotto abbia premuto il pollice destro sul muro mentre prendeva il cappello dal piolo. Del resto, a pensarci bene, un gesto così naturale.» Esteriormente Holmes conservava la sua calma, ma tutto il suo corpo fremeva di eccitazione repressa mentre parlava. «A proposito, Lestrade, chi ha fatto questa mirabolante scoperta?» «È stata la signora Lexington, la governante, che ha richiamato su di essa l'attenzione del poliziotto di notte.» «Dove stava questo poliziotto?» «Era rimasto di guardia nella camera da letto dove è stato commesso il delitto per assicurarsi che niente venisse toccato.» «Ma come mai ieri la polizia non ha visto questa impronta?»

«Be', non avevamo un motivo specifico per esaminare attentamente l'anticamera. E poi, come vede, è in un punto poco in vista.» «Già, già... proprio così. Immagino non ci siano dubbi sul fatto che l'impronta c'era anche ieri.» Lestrade guardò Holmes come chiedendosi se era impazzito. Confesso che io stesso mi stupivo dei suoi modi scherzosi e di quella sua osservazione, piuttosto avventata. «A meno che lei pensi che MeFarlane sia uscito di prigione nel cuore della notte, per aggravare le prove a suo carico», disse Lestrade. «Sfido qualunque esperto del mondo a dimostrare che quella non è l'impronta del suo pollice.» «È senza dubbio l'impronta del suo pollice.» «E allora, tanto basta», ribatté Lestrade. «Sono un uomo pratico, signor Holmes, e quando ho le mie prove ne traggo le mie conclusioni. Se ha qualcosa da dirmi mi troverà in salotto, a scrivere il mio rapporto.» Holmes aveva riacquistato la sua imperturbabilità anche se ancora scorgevo tracce di ilarità nella sua espressione. «Povero me, questa è davvero una complicazione, Watson, non le pare?», disse. «Eppure, presenta determinati aspetti che lasciano qualche speranza per il nostro cliente.» «Sono felice di sentirglielo dire», risposi in tutta sincerità. «Temevo proprio che per lui non ci fosse più niente da fare.» «Non arriverei a fare un'affermazione del genere, mio caro Watson. Il fatto è che la prova alla quale il nostro stimato ispettore attribuisce tanta importanza, contiene un errore macroscopico.» «Veramente? E quale sarebbe?» «Solo questo: so che quell'impronta non c'era ieri quando ho esaminato la parete. E adesso, Watson, andiamo a fare due passi al sole.» Con la mente confusa, ma con un filo di speranza che mi ritornava in cuore, lo accompagnai a fare un giro del giardino. Holmes esaminò con estremo interesse ogni facciata della casa. Poi rientrò e ispezionò l'intero fabbricato, dalle cantine alla soffitta. Le stanze erano in massima parte prive di qualsiasi mobilia ma Holmes le ispezionò ugualmente, con gran cura. Alla fine, sul corridoio all'ultimo piano, che fiancheggiava tre camere da letto disabitate, fu colto da un altro accesso di ilarità. «Questo caso presenta degli aspetti veramente unici, Watson», disse. «Credo sia giunto il momento di confidarci con Lestrade. Ha avuto il suo piccolo divertimento a nostre spese e forse potremo fare altrettanto con lui se la mia interpretazione del

problema è corretta. Sì, sì, credo di vedere da quale ottica dob-

biamo affrontarlo.» L'ispettore stava ancora scrivendo in salotto quando Holmes lo interruppe. «A quanto ho capito, lei sta scrivendo un rapporto su questo caso», disse. «Esatto.» «Non crede che sia un po' prematuro? Non posso non pensare che le sue prove siano incomplete.» Lestrade lo conosceva troppo bene per ignorare le sue parole. Posò la penna guardandolo perplesso. «Cosa intende dire, signor Holmes?» «Solo che c'è ancora un testimonio importante che lei non ha interrogato. » «Può portarlo qui?» «Credo di sì. » «Allora, lo faccia.» «Farò del mio meglio. Quanti uomini ha a sua disposizione?» «Ce ne sono tre a portata di voce.» «Perfetto!», esclamò Holmes. «Posso chiederle se si tratta di uomini robusti, sani e con una voce stentorea?» «Sono certo di sì, anche se non capisco cosa c'entri la loro voce.» «Può darsi che io riesca a farle capire questa e un altro paio di cosette», disse Holmes. «La prego, chiami i suoi uomini, e ci proverò.» Cinque minuti dopo, tre poliziotti erano nell'anticamera. «Nella rimessa troverete parecchia paglia», disse Holmes. «Vi prego di portarne dentro due bracciate. Credo che ci sarà utilissima per presentare il testimonio che mi serve. Mille grazie. Se non sbaglio, lei ha dei fiammiferi in tasca, Watson. Ora, signor Lestrade, vi chiederò di accompagnarmi tutti all'ultimo piano.» Come ho detto, a quel piano c'era un ampio corridoio sul quale si aprivano tre camere da letto disabitate. Holmes ci condusse tutti all'estremità del corridoio; i poliziotti sghignazzavano e Lestrade lo guardava con aria volta a volta stupita, speranzosa e ironica. Holmes si fermò davanti a noi come un prestigiatore che si accinge ad eseguire il suo numero. «Avrebbe la cortesia di mandare uno dei suoi poliziotti a prendere due secchi d'acqua? Ecco, mettete la paglia qui, sul pavimento, lontano dalle due pareti. E ora, credo che siamo pronti.» Lestrade stava diventando rosso di rabbia.

«Non so se lei ci sta prendendo in giro, signor Holmes», disse. «Se sa qualcosa, certo può dirla senza tutta questa messinscena.» «Le assicuro, caro Lestrade, che ho degli ottimi motivi per tutto ciò che sto facendo. Ricorderà forse, qualche ora fa, lei si è un po' burlato di me, quando sembrava che il sole splendesse dalla sua parte; ora non può negarmi un po' di pompa e cerimonia. Watson, vuole per favore aprire quella finestra e poi accostare il fiammifero all'orlo della paglia?» Così feci e, spinta dalla corrente, una colonna di fumo grigio invase il corridoio, mentre la paglia sfrigolava e bruciava. «Vediamo adesso di scovarle questo testimonio, Lestrade. Posso chiedervi di gridare tutti insieme "al fuoco"!? Adesso: uno, due, tre...» «Al fuoco!», urlammo tutti. «Grazie. Un'altra volta, per piacere.» «Al fuoco! » «Ancora un'altra, signori, tutti insieme.» «Al fuoco!», il grido dev'essere echeggiato per tutta Norwood. Se n'era appena spenta l'eco quando accadde una cosa incredibile. Una porta si spalancò all'improvviso in quella che sembrava una solida parete in muratura all'estremità del corridoio e ne sbucò un ometto rugoso, come un coniglio dalla sua tana.

«Perfetto», esclamò tranquillamente Holmes. «Watson, un secchio d'acqua sulla paglia. Basta così. Lestrade, mi permetta di presentarle il principale testimonio che le mancava, il signor Jonas Oldacre.» L'ispettore guardò sbalordito il nuovo venuto che sbatteva gli occhi nella luce violenta del corridoio, scrutando noi e le fiamme che si stavano spegnendo. Aveva un viso repellente - astuto, vizioso, malevolo, due occhi irrequieti di un grigio chiaro, e le ciglia bianche. «Che significa tutto questo?», disse finalmente Lestrade. «Dove è stato tutto questo tempo, eh?» Oldacre, con un risolino imbarazzato, arretrò davanti al viso infuriato e paonazzo dell'ispettore inviperito. «Non ho fatto niente di male.» «Ah no? Ha fatto del suo meglio per mandare alla forca un innocente. Se non fosse per questi due signori, forse ci sarebbe riuscito.» Il disgustoso individuo cominciò a piagnucolare. «Ma signore, era solo uno scherzo!» «Uno scherzo, eh! Be', le assicuro che a riderne non sarà lei.

Portatelo giù e tenetelo nel salotto fino a che arrivo io. Signor Holmes», proseguì quando poliziotti e prigioniero si furono allontanati, «non potevo parlare davanti ai miei uomini ma, davanti al dottor Watson, non mi perito di affermare che questa è l'impresa più brillante che lei abbia mai compiuto, anche se non riesco a capire come abbia fatto. Lei ha salvato la vita a un innocente e ha impedito un grosso scandalo che avrebbe rovinato la mia reputazione agli occhi della polizia.» Holmes sorrise e gli batté una mano sulla spalla. «Anziché rovinata, ispettore, vedrà che la sua reputazione ci ha guadagnato enormemente. Basteranno poche modifiche al rapporto che stava scrivendo e tutti capiranno come sia difficile far vedere lucciole per lanterne all'ispettore Lestrade.» «E lei non vuole che si faccia il suo nome?» «Assolutamente no. La mia ricompensa è il successo. Forse, un giorno, avrò anche io la mia parte di credito, quando permetterò al mio zelante cronista di sfornare un altro dei suoi raccontini - eh, Watson? Bene, adesso vediamo dove si nascondeva questo topo,» A sei piedi dall'estremità del corridoio era stato eretto un divisorio di compensato e cemento, nel quale era abilmente dissimulata una porta. Il locale così ottenuto era rischiarato da fessure sotto le tegole. All'interno, c'erano pochi mobili sparsi e una scorta di acqua e viveri, oltre a un certo numero di libri e giornali. «Ecco il vantaggio di essere un costruttore», disse Holmes mentre ne uscivamo. «Ha potuto farsi da solo il suo piccolo rifugio nascosto, senza bisogno di altri aiuti - tranne naturalmente quella impareggiabile governante che, al suo posto, Lestrade, aggiungerei al suo carniere senza perdere un momento.» «Seguirò il suo consiglio. Ma come ha scoperto questo posto, signor Holmes?» «Ero convinto che quel bel tipo si nascondeva qui in casa. Quando ho misurato coi passi uno dei corridoi e ho scoperto che era sei piedi più breve dell'altro, era facile capire dove si trovasse. Pensavo che non sarebbe stato capace di rimanersene tranquillo a un allarme d'incendio. Certo, potevamo andare a prelevarlo direttamente, ma mi divertiva l'idea di farlo uscire spontaneamente allo scoperto. Poi, le dovevo un piccolo trucco, Lestrade, dopo la sua ironia di questa mattina.» «Be', senza dubbio ha pareggiato i conti con me, signore. Ma come diamine sapeva che si trovava nella casa?» «L'impronta del pollice, Lestrade. Lei ha detto che era una prova definitiva; e lo era, ma in senso molto diverso. Sapevo

con certezza che il giorno prima non c'era. Come avrà notato,

dedico un'estrema attenzione ai dettagli, avevo esaminato l'anticamera, ed ero sicuro che sulla parete non c'era nessuna impronta. Quindi, era stata fatta durante la notte.» «Ma in che modo?» «Semplicissimo. Quando quei pacchetti vennero sigillati, Jonas Oldacre fece in modo che McFarlane apponesse uno dei sigilli, premendo il pollice sulla cera morbida. La cosa dev'essere avvenuta tanto rapidamente e naturalmente che credo il giovanotto nemmeno se ne ricordi. Dev'essere andata così e lo stesso Oldacre ancora non sapeva in che modo se ne sarebbe servito. Rimuginandoci sopra nella sua tana, dev' essersi improvvisamente reso conto che poteva fabbricare una prova assolutamente inconfutabile contro McFarlane servendosi di quell'impronta. Era la cosa più semplice del mondo rilevare un calco in cera del sigillo, inumidirlo col proprio sangue ottenuto pungendosi un dito e, durante la notte, stampare l'impronta sulla parete, personalmente o facendolo fare alla sua governante. Se darà un'occhiata ai documenti che si era portato nel suo nascondiglio, scommetto qualunque cosa che troverà il sigillo con l'impronta del pollice.» «Fantastico!» esclamò Lestrade. «Fantastico! Come la espone lei, la faccenda è chiara come il sole. Ma a che scopo tutto questo imbroglio, signor Holmes?» Mi divertiva vedere come l'atteggiamento arrogante dell'ispettore si fosse improvvisamente trasformato in quello di uno scolaretto che chiede delucidazioni all'insegnante. «Be', credo che la spiegazione sia abbastanza semplice. Quel galantuomo che ci sta aspettando dabbasso è un individuo subdolo, malvagio e vendicativo. Lei sa che una volta è stato respinte dalla madre di McFarlane? Non lo sa! Le avevo detto che sarebbe dovuto andare prima a Blackheath e poi a Norwood. Bene, quell'offesa, come lui la considerava, gli rodeva quel suo cervello malsano e contorto; per tutta la vita aveva cercato il modo per vendicarsi, ma non gli si era mai presentata l'occasione. Negli ultimi due anni le cose gli erano andate male - probabilmente in seguito a speculazioni occulte - ed era venuto a trovarsi in cattive acque. Decide allora di imbrogliare i suoi creditori e, a tale scopo, versa cospicui assegni a un certo signor Cornelius che, immagino, non è che un nome fittizio che lui stesso ha assunto. Non ho ancora rintracciato gli assegni ma sono sicuro che siano stati incassati sotto quel nome in qualche cittadina di provincia dove Oldacre, di quando in quando, soggiornava, vivendo una doppia vita. L'intenzione era quella di cambiare

definitivamente nome, ritirare il suo denaro e scomparire, per cominciare una nuova vita altrove.» «Questo è abbastanza verosimile.» «Deve aver pensato che, scomparendo, avrebbe potuto non solo levarsi di torno i creditori ma, al tempo stesso, vendicarsi in maniera totale e schiacciante, della sua antica fidanzata se solo fosse riuscito a far credere di essere stato ucciso dall'unico figlio della donna. Un capolavoro di infamia, eseguito da maestro. L'idea del testamento, che avrebbe costituito un ovvio movente per il delitto, la visita segreta all'insaputa dei genitori, la sottrazione del bastone, il sangue, la carcassa di un animale e i bottoni nella legnaia - veri e propri colpi di genio. Aveva intessuto una rete dalla quale, fino a poche ore fa, non riuscivo a trovare una via d'uscita. Ma gli mancava il tocco supremo dell'artista - sapere quando fermarsi. Ha voluto migliorare ciò che era già perfetto - stringere ancora più strettamente il cappio al collo della sua infelice vittima - e così ha rovinato tutto. Andiamo giù, Lestrade. Vorrei rivolgergli un paio di domande.» Quella maligna creatura se ne stava seduta in salotto, affiancata da due poliziotti. «Si trattava di uno scherzo, mio caro signore - nient'altro che uno scherzo», continuava a piagnucolare. «Le assicuro, signore, che mi ero nascosto unicamente per vedere che effetto avrebbe fatto la mia scomparsa, e sono certo

che lei non vorrà essere così ingiusto da credere che avrei permesso che succedesse qualcosa al povero MeFarlane.» «Questo lo decideranno i giurati», disse Lestrade. «Comunque, la accuseremo di congiura, se non addirittura di tentato omicidio.» «E probabilmente scoprirà che i suoi creditori bloccheranno il conto bancario del signor Cornelius», aggiunse Holmes. L'ometto sussultò, volgendo uno sguardo carico di rancore al mio amico. «Devo proprio ringraziarla, per parecchie cose», sibilò. «Forse un giorno salderò il mio debito.» Holmes lo ricambiò con un benevolo sorriso. «Credo proprio che per qualche anno non avrà molto tempo a disposizione», rispose. «A proposito, cosa ha messo nella legnaia, oltre ai suoi vecchi pantaloni? La carcassa di un cane, dei conigli, o cosa? Non vuole dirmelo? Ah, lei è davvero poco gentile! Bene, bene, credo proprio che un paio di conigli spiegherebbero il sangue e i resti carbonizzati. Se mai scriverà un resoconto di questa storia, Watson, penso che i conigli andrebbero benissimo. » Next Page

L'avventura degli omini danzanti Già da qualche ora Holmes sedeva in silenzio con la schiena curva su un contenitore chimico nel quale stava manipolando una sostanza particolarmente maleodorante. Teneva il capo chino sul petto e, ai miei occhi, appariva simile a uno strano uccello allampanato, col piumaggio di un grigio smorto e una cresta nera. «Allora, Watson», disse all'improvviso, «ha dunque deciso di non investire nei titoli Sudafricani?» Ebbi un moto di sorpresa. Anche avvezzo com'ero alle peculiari facoltà di Holmes, quella subitanea intrusione nei miei pensieri più reconditi era del tutto inspiegabile. «Come diamine fa a saperlo?», chiesi. Si girò sullo sgabello, con una provetta fumante in mano e una espressione divertita negli occhi infossati. «Andiamo Watson, confessi che l'ho presa in contropiede», disse. «Certo.» «Dovrei farglielo mettere per iscritto.» «Perché?» «Perché fra cinque minuti lei dirà che è una cosa assurdamente semplice.» «Sono sicuro che non dirò nulla del genere.» «Vede, caro Watson» - infilò la provetta nella piccola rastrelliera e cominciò a pontificare nel tono cattedratico di un professore che si rivolge agli allievi - «in realtà non è difficile costruire una serie di illazioni, una dipendente dall'altra e ciascuna semplice in sé. Se, dopo questo processo, si eliminano le illazioni centrali e si offre al pubblico semplicemente l'inizio e la conclusione, si ottiene un effetto sorprendente anche se forse un po' teatrale. Ora, esaminando il solco che lei ha fra il pollice e l'indice sinistro, non era difficile dedurre che lei non si proponeva di investire il suo piccolo capitale nelle miniere aurifere.» «Non vedo il nesso.» «È probabile; ma posso subito illustrarle uno stretto collegamento. Ecco gli anelli mancanti della semplicissima catena:

1. Ieri sera, rientrando dal Club, lei aveva del gesso fra l'indice e il pollice della mano destra. 2. È lì che strofina il gesso quando gioca a biliardo, per una migliore presa della stecca. 3. Lei gioca a biliardo esclusivamente con Thurston. 4. Quattro settimane fa, mi ha detto che Thurston aveva un'opzione su una qualche proprietà su-

dafricana, che sarebbe scaduta dopo un mese e che desiderava entrarne in comproprietà con lei. 5. Il suo libretto d'assegni è chiuso nella mia scrivania e lei non mi ha chiesto la chiave. 6. Ergo, non intende investire il suo denaro in quell'impresa.» «È ridicolmente semplice!», esclamai. «Appunto!», ribatté un po' infastidito. «Ogni volta che glielo si spiega, qualsiasi problema diventa per lei elementare. Qui ce n'è uno irrisolto. Veda cosa può cavarne, amico Watson.» Gettò un foglio di carta sul tavolo e si dedicò nuovamente alle sue analisi chimiche. Osservai stupito i bizzarri geroglifici sul foglio. «Ma Holmes, è il disegno di un bambino», esclamai. «È questo ciò che le sembra?» «Cos'altro potrebbe essere?» «È proprio quello che il signor Hilton Cubitt, di Riding Thorpe Manor, Norfolk, vorrebbe tanto sapere. Questo piccolo indovinello è arrivato con la posta del mattino e il signor Cubitt doveva seguirlo, col primo treno. Suonano il campanello, Watson. Non mi sorprenderei se fosse lui.» Si sentirono dei passi rapidi su per le scale e un istante dopo entrò un signore alto, rubicondo, sbarbato, i cui occhi chiari e le guance floride parlavano di una vita trascorsa lontano dalle nebbie di Baker Street. Con lui, sembrò entrare nella stanza una folata dell'aria fresca e corroborante della costa orientale. Dopo averci stretto la mano stava per sedersi quando gli cadde l'occhio sul foglio con quel bizzarro disegno che avevo poggiato sul tavolo dopo averlo esaminato. «Bene, signor Holmes, che ne pensa?», disse. «Mi hanno detto che a lei piacciono gli enigmi insoliti, e credo proprio che non possa trovarne di più insoliti di questo. Le ho spedito il foglio perché avesse il tempo di esaminarlo prima del mio arrivo.» «Certo, è una creazione abbastanza strana», disse Holmes. «A prima vista, sembrerebbe lo scherzo di un bambino. Delle figurine che ballano sulla carta. Perché dà tanta importanza a una cosa così grottesca?» «Personalmente, non gliene darei nessuna, signor Holmes. Ma mia moglie la pensa diversamente. È spaventata a morte, non parla, ma leggo il terrore nei suoi occhi. Ecco perché voglio andare a fondo della cosa.»

Holmes tenne il foglio in maniera che fosse illuminato in pieno dal sole. La pagina era stata staccata da un blocco. I disegni erano a matita e si presentavano così:

Holmes li esaminò per qualche minuto poi, ripiegando accuratamente il foglio, se lo mise in tasca. «Questo caso promette di essere interessante e insolito», disse. «Nella sua lettera, signor Cubitt, lei ha dato qualche particolare ma le sarei grato se volesse ripetere tutto a beneficio del mio amico, il dottor Watson.» «Non sono molto bravo a raccontare», disse il nostro ospite incrociando e sciogliendo le dita delle mani grandi e robuste. «Mi interrompa se non sono chiaro. Comincerò dall'epoca del mio matrimonio, l'anno scorso, ma prima di tutto voglio dirle che, anche se non sono ricco, la mia famiglia vive a Riding Thorpe da cinque secoli ed è una delle più note della contea di Norfolk. L'anno scorso venni a Londra per il cinquantesimo anniversario dell'Incoro-

nazione e presi alloggio in una pensione di Russell Square poiché lì alloggiava anche Parker, il nostro vicario. Nella pensione c'era anche una signorina americana - la signorina Patrick - Elsie Patrick. Non so come, diventammo amici e, prima ancora che fosse trascorso un mese, ero innamorato pazzo. Ci sposammo senza fasto nell'ufficio di stato civile e tornammo a Norfolk come marito e moglie. Le sembrerà pazzesco, signor Holmes, che un uomo di buona famiglia si sposi in questo modo, senza sapere niente del passato o della famiglia della moglie ma, se la vedesse o la conoscesse, forse capirebbe. È stata molto onesta nei miei confronti, la mia Elsie. E non posso dire che non mi abbia offerto ogni possibilità di tirarmi indietro se lo avessi voluto. "Ho avuto dei rapporti molto sgradevoli nella mia vita", disse, "e non desidero altro che dimenticarli. Preferirei non parlare mai del passato perché è una cosa molto penosa per me. Se tu mi sposi, Hilton, sposerai una donna che, personalmente, non ha nulla di cui vergognarsi; ma dovrai accontentarti della mia parola su questo, e consentirmi di tacere su quanto è accaduto prima che io t'incontrassi. Se queste condizioni ti sembrano troppo difficili, allora ritorna a Norfolk e lasciami alla mia vita solitaria." Mi disse queste pre-

cise parole proprio alla vigilia delle nozze. Le risposi che ero disposto a sposarla alle sue condizioni e ho mantenuto la mia parola. Bene, ora è trascorso quasi un anno e siamo stati molto felici. Ma circa un mese fa, alla fine di giugno, vidi per la prima volta segnali di pericolo. Un giorno mia moglie ricevette una lettera dall'America. Ho notato il francobollo. Diventò bianca come un panno lavato, lesse la lettera e la gettò nel fuoco. In seguito, non ne fece mai cenno, né lo feci io, perché una promessa è una promessa; ma da quel momento, non ha più avuto un'ora di pace. Ha sempre l'aria terrorizzata - come se stesse continuamente in attesa di qualche cosa. Farebbe meglio a confidarsi con me. Scoprirebbe che sono il suo migliore amico. Ma fino a quando non deciderà lei di parlare, io non posso dire niente. Badi, è una donna sincera, signor Holmes, e qualsiasi problema ci sia stato nel suo passato, non ne ha colpa. Non sono che un semplice signorotto del Norfolk ma non esiste in Inghilterra uomo che più di me tenga all'onore della sua famiglia. Lei lo sa benissimo, e lo sapeva anche prima di sposarmi. Non macchierebbe mai quell'onore - di questo sono sicuro. Bene, veniamo adesso alla parte più strana della storia. Circa una settimana fa - martedì della settimana scorsa - trovai sul davanzale di una delle finestre una serie di pupazzetti danzanti, come quelli disegnati sul foglio. Erano stati fatti col gesso. Pensai che li avesse disegnati il mozzo di stalla, ma il ragazzo giurò di non saperne niente. Comunque, erano stati fatti durante la notte. Feci lavare il davanzale, e solo più tardi ne parlai a mia moglie. Con mia grande sorpresa, prese la cosa molto sul serio e mi scongiurò di farglieli vedere se ce ne fossero stati degli altri. Tutto rimase tranquillo per una settimana e poi, ieri mattina, trovai quel foglio poggiato sulla meridiana in giardino. Lo mostrai ad Elsie che, al vederli, svenne. Da quel momento si muove come in trance, stordita, con lo sguardo sempre terrorizzato. È stato allora, signor Holmes, che le ho scritto inviandole il foglio. Non potevo portarlo alla polizia perché mi avrebbero riso dietro, ma lei mi dirà cosa devo fare. Non sono ricco ma se un qualche pericolo minaccia mia moglie, sono disposto a spendere fino all'ultimo centesimo per proteggerla.» Era un brav'uomo, quell'esemplare della vecchia Inghilterra - semplice, schietto e cortese, con i suoi grandi e sinceri occhi azzurri, il suo volto ampio e dignitoso. Da tutti i suoi lineamenti trasparivano l'amore e la fiducia che nutriva nei confronti della moglie. Holmes aveva ascoltato attentamente il suo racconto e rimase silenzioso, a riflettere.

«Non crede, signor Cubitt», disse alla fine, «che la cosa migliore sarebbe che lei si rivolgesse direttamente a sua moglie chiedendole di condividere con lei il suo segreto?» Hilton Cubitt scosse il capo massiccio. «Una promessa è una promessa, signor Holmes. Se Elsie avesse voluto parlarmene, l'avrebbe fatto. Altrimenti, non posso forzarla a confidarsi con me. Ma ho tutti i motivi per agire a modo mio - e così farò.» «In questo caso, l'aiuterò molto volentieri. In primo luogo, le risulta che siano stati notati degli sconosciuti nelle vicinanze?» «No.» «Immagino che sia un posto molto tranquillo. Una faccia nuova attirerebbe l'attenzione.» «Nelle immediate vicinanze, sì. Ma poco lontano ci sono vari piccoli stabilimenti termali. E i contadini affittano stanze.» «Ovviamente, questi geroglifici hanno un significato. Se è un significato puramente arbitrario, potrebbe rivelarsi impossibile da scoprire. Se, invece, hanno un significato preciso, allora sono certo che risolveremo la faccenda. Ma questo campione è troppo breve e limitato; troppo, perché io possa agire; e i fatti da lei riferiti sono così vaghi da non offrire alcuna base d'indagine. Le suggerirei di tornare a Norfolk, di tenere gli occhi bene aperti e di fare una copia esatta di eventuali omini danzanti che potessero fare la loro apparizione. È davvero un peccato che non abbiamo una riproduzione dì quelli disegnati col gesso sul davanzale della finestra. Si informi anche, con discrezione, se nelle vicinanze si sono visti dei forestieri. Quando avrà raccolto altre prove torni da me. È il consiglio migliore che posso darle, signor Cubitt. Se ci fossero nuovi sviluppi importanti, sarò sempre pronto a raggiungerla nella sua casa a Norfolk.» Quel colloquio lasciò Holmes molto pensieroso e parecchie volte, nei giorni seguenti, lo vidi tirar fuori di tasca quel foglio e osservare a lungo, minuziosamente, le strane figurine che vi erano disegnate. Non fece però nessun cenno alla cosa fino al pomeriggio di una quindicina di giorni dopo. Stavo uscendo quando mi richiamò indietro. «È meglio che lei rimanga qui, Watson.» «Perché?» «Questa mattina ho ricevuto un telegramma da Hilton Cubitt. Si rammenta di Hilton Cubitt, il cliente degli omini danzanti? Doveva arrivare a Liverpool Street all'una e venti. Potrebbe essere qui fra pochi minuti. Per quanto ho capito dal suo telegramma ci sono stati altri incidenti, piuttosto rilevanti.» Non dovemmo attendere a lungo. Il nostro signorotto del

Norfolk venne direttamente dalla stazione a casa nostra con tutta la velocità consentitagli da una carrozza di piazza. Appariva preoccupato e depresso, con gli occhi stanchi e la fronte corrugata. «Questa storia mi sta dando sui nervi, signor Holmes», disse lasciandosi cadere in poltrona con l'aria stanca. «È già sgradevole sentirsi circondati da gente invisibile e sconosciuta che sta tramando qualcosa ai nostri danni ma quando, oltre a ciò, sapete che la faccenda sta distruggendo poco a poco vostra moglie, allora la cosa diventa intollerabile. Mia moglie si sta consumando - letteralmente consumando sotto i miei occhi.» «Non ha ancor parlato?» «No, signor Holmes, non ha parlato. E ci sono state volte in cui quella povera figlia voleva parlare ma non riusciva a trovare il coraggio di farlo. Ho cercato di aiutarla, ma forse ho peccato di goffaggine, spaventandola ancora di più. Ha parlato della mia famiglia, della nostra reputazione nella contea, del nostro orgoglio per un nome onorevole, senza macchia, e sentivo sempre che stava per arrivare al punto, ma poi finiva sempre col cambiare discorso.» «Lei personalmente ha scoperto qualcosa?» «Ho scoperto parecchio, signor Holmes. Le ho portato da esaminare altre figurine danzanti e, cosa più importante, ne ho

scoperto l'autore.» «Vuole dire l'uomo che le disegna?» «Sì, l'ho sorpreso all'opera. Ma le racconterò tutto dal principio. Rientrando a Norfolk dopo essere stato qui da lei, la prima cosa che ho visto il mattino seguente è stata un'altra serie di omini danzanti. Erano stati disegnati col gesso sulla porta di legno nera del capanno degli attrezzi, che si trova accanto al prato, in piena vista delle finestre sul davanti. Ecco una copia dei geroglifici.»

«Eccellente», esclamò Holmes. «Eccellente. Continui, la prego.» «Dopo averne fatto una copia li ho cancellati ma, due mattine dopo, ce n'era un'altra serie. Ho copiato anche quella; eccola.»

Holmes si fregò le mani, chiocciando di gioia. «Il nostro materiale si sta accumulando rapidamente», disse. «Tre giorni dopo, un altro messaggio, scarabocchiato su un pezzo di carta, era stato lasciato sulla meridiana, fermato con una pietruzza. Dopo di che, decisi di appostarmi, così tirai fuori la mia pistola e mi misi di guardia nel mio studio, da cui si vedono il prato e il giardino. Verso le due del mattino, stavo seduto alla finestra; fuori, era tutto buio tranne che per il chiarore della luna. Sentii dei passi dietro di me e apparve mia moglie, in vestaglia. Mi implorò di andare a letto. Le dissi francamente che volevo vedere chi si divertiva a farci quegli scherzi assurdi. Rispose che si trattava di una burla senza senso e che dovevo ignorarla. "Se davvero ti secca tanto, Hilton, andiamo a fare un viaggetto, tu ed io, così non avrai più questa seccatura." "Che cosa? Farci praticamente cacciare di casa da un buffone?", esclamai. "Ci faremmo ridere dietro da tutta la contea." "Be', intanto vieni a letto", disse, "e ne riparleremo domattina." Improvvisamente, mentre parlava, la vidi impallidire sotto la luna e la sua mano si strinse sulla mia spalla. Qualcosa si muoveva nell'ombra del capanno degli attrezzi. Vidi una figura scura e furtiva che strisciava intorno all'angolo e si accovacciò davanti alla porta. Afferrando la pistola stavo per precipitarmi fuori ma mia moglie mi gettò le braccia al collo, trattenendomi con la forza della disperazione. Cercai di divincolarmi ma, per l'angoscia, la sua stretta era spasmodica. Alla fine riuscii a liberarmi ma, nel tempo che ci volle ad aprire la porta e a raggiungere il capanno, quella creatura era sparita. Aveva però lasciato una traccia della sua presenza perché lì, proprio sulla porta, c'era lo stesso disegno degli omini danzanti che era già apparso altre due volte e che ho copiato su quel foglio. Correndo, ispezionai tutto il prato, ma di quell'individuo non c'era traccia. La cosa strana è che, pure, doveva essere rimasto lì tutto il tempo perché la mattina, esaminando di nuovo la porta, c'erano altre figure scarabocchiate sotto quelle che avevo già visto.» «Le ha copiate?» «Sì. Sono molte poche, ma le ho copiate; eccole.»

«Mi dica», continuò Holmes - e gli leggevo l'eccitazione negli occhi - «queste sono state solo aggiunte alle prime o sono state disegnate separatamente?»

«Erano su un pannello diverso della porta.» «Benissimo! Per i nostri scopi sono le più importanti di tutte. Mi riempiono di speranza. E adesso, signor Cubitt, continui il suo interessante racconto, la prego.» «Non ho altro da aggiungere, signor Holmes, tranne il fatto che quella notte ero furioso con mia moglie perché mi aveva trattenuto quando avrei potuto cogliere sul fatto quel subdolo farabutto. Disse che aveva temuto che potesse farmi del male. Per un attimo, mi balenò l'idea che forse aveva temuto che io potessi far del male a lui, perché ero sicurissimo che sapesse chi era quell'uomo, e cosa volevano dire quegli strani segnali. Ma nella voce di mia moglie, signor Holmes, e nel suo sguardo, c'è qualcosa che scaccia ogni dubbio e sono certo che si era veramente preoccupata per la mia incolumità. Questo è tutto; e adesso vorrei che mi dicesse cosa devo fare. La mia voglia sarebbe quella di piazzare una mezza dozzina dei miei giovani braccianti fra i cespugli e, quando quel tizio torna alla carica, fargli dare una tale lezione da levargli la voglia di disturbarci ancora.» «Temo che sia un caso troppo complesso per un rimedio così semplice», disse Holmes. «Quanto tempo può trattenersi a Londra?» «Devo rientrare in giornata. Non intendo assolutamente lasciare mia moglie da sola durante la notte. È molto nervosa, e mi ha pregato di tornare a casa.» «Penso che lei abbia ragione. Ma, se avesse potuto trattenersi, forse mi sarebbe stato possibile tornare con lei, in un paio di giorni. Per il momento, mi lasci questi fogli; è probabile che, quanto prima, io venga a trovarla e a fare un po' di luce su questa storia.» Holmes mantenne la sua pacatezza professionale fino a che il visitatore fu uscito anche se, conoscendolo così bene, potevo vedere che era eccitatissimo. Nel momento stesso in cui l'ampia schiena di Hilton Cubitt era sparita dalla nostra porta, il mio amico corse al tavolo, allineò davanti a sé tutte le strisce di carta con gli omini danzanti, e si sprofondò in un calcolo complicatissimo ed elaborato. Per due ore, lo osservai mentre copriva foglio dopo foglio di cifre e lettere, talmente assorto nel suo lavoro da dimenticare la mia presenza. A volte, faceva dei progressi e allora fischiettava e canticchiava; altre volte, rimaneva perplesso e stava seduto, immobile, con la fronte aggrottata e lo sguardo perso nel vuoto. Alla fine, saltò su dalla seggiola con un grido di soddisfazione e si mise ad andare su e giù per la stanza, fregandosi le mani. Poi, prese un modulo e scrisse un lungo telegramma. «Se la risposta che riceverò è quella che spero, avrà un

altro bel caso da aggiungere alla sua raccolta, Watson», mi disse. «Prevedo che domani potremo recarci a Norfolk e portare al nostro amico delle informazioni precise circa il mistero che tanto lo irrita.» Ammetto che ero divorato dalla curiosità ma sapevo che ad Holmes piaceva scoprire le sue carte a tempo debito, così aspettai che fosse di umore adatto a confidarsi con me. Ma la risposta al telegramma tardava ad arrivare e seguirono due giorni d'impazienza, durante i quali Holmes drizzava le orecchie ad ogni squillo di campanello. Alla sera del secondo

giorno, ricevemmo una lettera di Hilton Cubitt. Non c'erano novità, tranne che la mattina, sul basamento della meridiana, era comparsa una lunga iscrizione. Ne allegava copia:

Holmes studiò per qualche minuto quel grottesco disegno poi, improvvisamente, saltò in piedi con un'esclamazione di sorpresa e di sgomento. Aveva il volto teso per l'ansia. «Abbiamo permesso che questa faccenda andasse troppo oltre», disse. «C'è un treno per North Walsham questa sera?» Consultai l'orario. L'ultimo era appena partito. «Allora, faremo colazione molto presto e prenderemo il primo treno del mattino», disse. «C'è assoluto bisogno della nostra presenza. Ah! Ecco il telegramma che aspettavamo. Un momento, signora Hudson, forse c'è risposta. No, è proprio quello che mi aspettavo. E questo messaggio rende ancora più essenziale che non perdiamo tempo, nemmeno un'ora, nell'informare Hilton Cubitt di come stanno le cose; è una ragnatela insolita e pericolosa quella in cui si è trovato invischiato il nostro ingenuo signorotto del Norfolk.» I fatti gli diedero ragione. E, arrivando alla cupa conclusione di una storia che mi era parsa unicamente infantile e bizzarra, provo di nuovo lo sgomento e l'orrore che provai allora. Vorrei tanto poter riferire ai miei lettori un finale più lieto ma questa è la cronistoria dei fatti e devo seguire fino al suo fosco epilogo la catena di eventi che per qualche giorno rese il nome di Riding Thorpe Manor famoso in tutta l'Inghilterra. Eravamo appena scesi dal treno a North Walsham e avevamo appena menzionato la nostra destinazione, che il capostazione

ci corse incontro. «Immagino che voi siate gli investigatori di Londra?», disse. Un'espressione seccata si dipinse sul volto di Holmes. «Cosa glielo fa pensare?» «È appena passato l'ispettore Martin, da Norwich. Ma forse, siete i medici. Non è morta - almeno non lo era secondo le ultime notizie. Forse, farete ancora in tempo a salvarla - sia pure per la forca.» Holmes aveva quasi la fronte imperlata per l'ansia. «Siamo diretti a Riding Thorpe Manor», disse, «ma non abbiamo saputo nulla di quanto è successo.» «Una cosa terribile», rispose il capostazione. «Sparati tutti e due, il signor Hilton Cubitt e sua moglie. Lei ha sparato a lui e poi a se stessa - così dicono i domestici. Lui è morto e la moglie è in fin di vita. Mio Dio, pensare che sono una delle più antiche famiglie della contea, e delle più onorate.» Senza una parola Holmes si affrettò verso una carrozza e, durante le sette lunghe miglia del tragitto, non aprì bocca. Raramente lo avevo visto così abbattuto. Era stato irrequieto durante tutto il viaggio e avevo notato che aveva sfogliato i giornali del mattino con ansiosa attenzione; ma adesso, quell'improvviso avverarsi delle sue paure peggiori, gli aveva messo addosso una profonda tristezza. Se ne stava seduto, appoggiato allo schienale, perduto in cupe fantasticherie. Eppure intorno a noi c'erano molte cose interessanti da vedere, perché stavamo attraversando il più straordinario paesaggio della campagna inglese, con alcuni cottage, sparsi qua e là, che rappresentavano la popolazione attuale, mentre, da ogni lato, spuntavano delle enormi chiese col campanile squadrato che costellavano la campa-

gna verde e piatta e parlavano della gloria e della prosperità dell'antica East Anglia. Alla fine, sopra il margine smeraldino della costa del Norfolk, apparve la striscia violetta del German Ocean e il cocchiere ci indicò con la frusta due antichi comignoli di legno e mattoni che svettavano da un boschetto. «Quello è Riding Thorpe Manor», disse. Mentre ci appressavamo al portone d'ingresso, sormontato da un portico, osservai di fronte ad esso, accanto al campo da tennis, il capanno degli attrezzi e la meridiana sul piedistallo con i quali ci eravamo venuti a trovare così stranamente coinvolti. Un ometto azzimato, dai movimenti rapidi e scattanti e i baffi impomatati, era appena sceso da un calessino. Si presentò come ispettore Martin, della polizia di Norfolk, e rimase non poco stupito nel sentire il nome del mio compagno.

«Ma, signor Holmes, il delitto è stato commesso solo alle tre di questa mattina. Come ha fatto a saperlo, stando a Londra, e ad arrivare qui contemporaneamente a me?» «Lo avevo previsto. Ed ero venuto con la speranza di prevenirlo.» «In questo caso, deve essere in possesso di prove molto consistenti, di cui noi siamo all'oscuro; tutti li consideravano, infatti, una coppia molto unita.» «L'unica prova che ho sono gli omini danzanti», rispose Holmes. «Le spiegherò poi. Frattanto, dal momento che è troppo tardi per impedire la tragedia, desidero vivamente sfruttare ciò di cui sono a conoscenza per assicurarci che giustizia sia fatta. Vuole associarsi a me nelle sue indagini o preferisce che io agisca in maniera indipendente?» «Sarei onorato di lavorare al suo fianco, signor Holmes», rispose con entusiasmo l'ispettore. «In questo caso, vorrei che mi elencasse le prove di cui dispone e vorrei anche ispezionare la casa, senza perdere un minuto.» L'ispettore Martin ebbe il buon senso di lasciare che il mio amico agisse a modo suo, accontentandosi di appuntarsi scrupolosamente i risultati. Il chirurgo locale, un uomo anziano, dai capelli bianchi, era appena sceso dalla camera della signora Cubitt, e ci disse che le ferite riportate dalla donna erano gravi ma non necessariamente mortali. Il proiettile le aveva trapassato anteriormente il cervello e probabilmente ci sarebbe voluto un po' di tempo prima che riprendesse i sensi. In quanto al fatto se le avevano sparato o si era sparata, non si sbilanciò a esprimere un parere definitivo. Certo, il colpo era partito da distanza ravvicinata. L'unica pistola era quella ritrovata nella stanza, e risultava che il tamburo fosse scattato due volte. Il signor Hilton era stato colpito dritto al cuore. Poteva darsi che a sparare fosse stato lui, prima alla moglie poi a se stesso; ma poteva anche darsi che a compiere il delitto fosse stata la signora, dato che la pistola era per terra, a eguale distanza fra i due. «Il corpo del signor Cubitt è stato spostato?», chiese Holmes. «Non abbiamo spostato nulla, eccetto la signora. Non potevamo lasciarla ferita sul pavimento.» «Da quanto tempo è qui, dottore?» «Dalle quattro. » «C'era nessun altro?» «Sì, il poliziotto qui presente. » «E non avete toccato nulla?» «Nulla.»

«Lei ha agito con molta discrezione. Chi l'ha mandata a chiamare?» «La domestica, Saunders.» «È stata lei a dare l'allarme?» «Lei e la cuoca, la signora King.» «Dove si trovano, adesso?» «In cucina, credo.»

«Allora, sarà meglio che vada subito a parlare con loro.» La vecchia sala, rivestita con pannelli di quercia e con le finestre molto alte, era stata trasformata nel quartier generale delle indagini. Holmes si accomodò in un'enorme poltrona vecchio stile, col viso stanco e uno sguardo implacabile negli occhi. In essi potevo leggere la sua ferma determinazione a dedicarsi a questo caso anima e corpo fino a quando il cliente, che non era riuscito a salvare, fosse almeno vendicato. L'azzimato ispettore Martin, l'anziano medico di campagna dai capelli grigi, io e un flemmatico poliziotto locale formavamo il resto di quella strana congrega. Le due donne riferirono con sufficiente chiarezza la loro storia. Erano state svegliate dal rumore di una esplosione seguita, un attimo dopo, da un'altra. Dormivano in camere adiacenti e la signora King si era precipitata dalla Saunders. Erano scese insieme. La porta dello studio era aperta e, sulla tavola, ardeva una candela. Il padrone giaceva bocconi per terra, al centro della stanza. Era senza dubbio morto. Accanto alla finestra stava accucciata la moglie, col capo appoggiato alla parete. Era orribilmente ferita e la parte sinistra del viso era coperta di sangue. Respirava a fatica, e non riusciva ad articolare parola. Tanto il corridoio che la stanza erano pieni di fumo e dell'odore di polvere da sparo. La finestra era chiusa e fermata dall'interno. Su questo, le due donne non avevano dubbi. Avevano subito mandato a chiamare il medico e la polizia. Poi, con l'aiuto dello stalliere e del mozzo di stalla, avevano trasportato la padrona, ferita, in camera sua. Appariva evidente che tanto lei che il marito si erano coricati. Lei era vestita - lui, indossava la vestaglia sull'abbigliamento da notte. Nello studio non era stato spostato niente. Per quanto ne sapevano, marito e moglie non avevano mai litigato. Li avevano sempre considerati una coppia molto unita. Questi erano i punti salienti della testimonianza delle domestiche. In risposta a una domanda dell'ispettore Martin, confermarono che tutte le porte erano chiuse dall'interno e che nessuno era potuto uscire dalla casa. E a una domanda di Holmes, ricordarono di aver notato odore di polvere da sparo fin dal mo-

mento in cui erano uscite di corsa dalle loro stanze al piano superiore. «La prego di prendere accuratamente nota di questa circostanza», disse Holmes al suo collega ufficiale. «E ora, credo che possiamo procedere a una minuziosa ispezione della stanza.» Lo studio era un locale non molto grande, coperto su tre pareti dai libri, con uno scrittoio di fronte a una finestra che dava sul giardino. Per prima cosa, dedicammo la nostra attenzione al corpo del povero signor Cubitt, la cui massiccia figura giaceva in mezzo alla stanza. Le vesti in disordine indicavano che era stato bruscamente risvegliato dal sonno. Il proiettile, sparato dal davanti, era rimasto nel corpo dopo avere attraversato il cuore. Non c'erano tracce di polvere da sparo né sulla vestaglia né sulle mani. Secondo il medico, la signora invece mostrava tracce di polvere sul viso ma non sulle mani. «L'assenza di tracce di polvere sulle mani non significa nulla; avrebbe avuto molto significato, invece, la loro presenza», disse Holmes. «Se il proiettile non è difettoso e la polvere non schizza indietro, si possono sparare molti colpi senza che ne rimanga traccia. Ora, suggerirei di rimuovere il corpo del signor Cubitt. Immagino, dottore, che lei non abbia recuperato il proiettile che ha ferito la signora?» «Prima di poterlo recuperare occorre un complicato intervento chirurgico. Ma nella pistola ci sono ancora quattro proiettili. Due sono stati sparati, provocando due ferite, quindi il conto dei proiettili torna.» «Così sembrerebbe», convenne Holmes. «Forse può anche dirmi che fine ha fatto il proiettile che ha ovviamente colpito il bordo della finestra?» Si era improvvisamente girato indicando, col lungo indice

sottile, un foro che attraversava l'estremità inferiore del telaio della finestra, circa un pollice sopra il bordo. «Per Giove!», esclamò l'ispettore. «Come diamine ha fatto a vederlo?» «L'ho visto perché lo stavo cercando.» «Fantastico!», disse il dottore. «Lei ha senz'altro ragione, signore; e allora, ci dev'essere stata una terza persona. Ma chi poteva essere, e come ha fatto ad andarsene?» «È questo il problema che dobbiamo risolvere», disse Holmes. «Ispettore Martin lei ricorderà che le domestiche hanno dichiarato di aver sentito odore di polvere da sparo uscendo dalle loro stanze, e che le ho detto che si trattava di un elemento di estrema importanza?»

«Sì, lo ricordo; ma confesso di non aver capito il motivo della sua raccomandazione.» «Ci porta a desumere che, al momento dello sparo, tanto la finestra che la porta della stanza erano aperte. Altrimenti, il fumo dell'esplosione non si sarebbe potuto diffondere così rapidamente nella casa. Per questo, bisognava che nella stanza ci fosse corrente. Porta e finestra, però, sono rimaste aperte solo per pochi minuti.» «Come può provarlo?» «Perché la candela non aveva sgocciolato.» «Magnifico!», esclamò l'ispettore. «Magnifico! » «Essendo certo che, al momento della tragedia, la finestra era aperta, ho pensato che nella faccenda poteva essere coinvolta una terza persona, che aveva sparato dall'esterno. Un proiettile diretto contro questa persona avrebbe potuto colpire il telaio della finestra. Ho cercato e, voilà, c'era il segno del proiettile.» «Come mai, allora, la finestra era chiusa e fermata?» «Il primo istinto della donna sarebbe stato quello di chiudere la finestra. Ma... be'.,. cos'è questa?» Si trattava di una borsetta da signora posata sulla scrivania un grazioso oggetto di coccodrillo e argento. Holmes l'aprì, rovesciandone fuori il contenuto. C'erano venticinque sterline in biglietti di banca tenuti insieme da un elastico - nient'altro. «Questa bisogna conservarla perché dovrà essere esibita al processo», disse Holmes porgendo la borsetta col suo contenuto, all'ispettore. «Ora dobbiamo cercar di scoprire qualcosa sul terzo proiettile che, a giudicare dalle scheggiature nel legno, è stato sicuramente sparato dall'interno di questa stanza. Vorrei parlare di nuovo con la cuoca, la signora King. Signora King, lei ha detto di essere stata svegliata da una violenta esplosione. Dicendo violenta intende dire che le è sembrata più forte della seconda?» «Be', signore, mi ha svegliato dal sonno, quindi è difficile dirlo. Ma sembrava molto forte.» «Non pensa che potesse trattarsi di due colpi, sparati contemporaneamente?» «Non lo so proprio, signore.» «Io credo che sia stato sicuramente così. Penso, ispettore Martin, che oramai abbiamo scoperto tutto quanto questa stanza poteva rivelarci. Se gentilmente vuole accompagnarmi, andiamo a vedere quali nuove prove può offrirci il giardino.» Un'aiuola fiorita arrivava fino alla finestra e, accostandoci, lanciammo tutti un'esclamazione. I fiori erano calpestati e il terreno soffice era ricoperto di impronte. Grandi impronte di piedi

maschili, che avevano calzato strane scarpe a punta lunga e affilata. Holmes frugava fra l'erba e le foglie come un cane da riporto in cerca di un volatile ferito. Alla fine, con un grido di soddisfazione, si chinò a raccogliere un minuscolo cilindro di ottone. «È come pensavo», disse; «il revolver aveva un espulsore, ed ecco qui il terzo proiettile. Credo proprio, ispettore Martin, che il nostro caso sia quasi completo.»

Il viso dell'ispettore aveva mostrato profonda meraviglia ai rapidi e decisivi progressi delle indagini di Holmes. In principio, sembrava che volesse in qualche modo far valere la propria posizione, ma adesso era sopraffatto dall'ammirazione e dispostissimo a seguire ciecamente la guida di Holmes. «Di chi sospetta?», chiese. «Ne parleremo dopo. In questa faccenda ci sono ancora molti aspetti che non sono riuscito a spiegare. A questo punto, però, sarà meglio che agisca a modo mio e poi le chiarirò la cosa una volta per tutte.» «Come preferisce, signor Holmes. L'importante è che acciuffiamo il nostro uomo.» «Non ho nessuna intenzione di fare il misterioso ma, quando si è in azione, non è possibile imbarcarsi in una spiegazione lunga e complessa. Ho in mano tutti i fili della vicenda. Anche se la signora non dovesse mai riacquistare la conoscenza, possiamo ugualmente ricostruire quanto è accaduto la scorsa notte e assicurarci che sia fatta giustizia. Per prima cosa vorrei sapere se da queste parti c'è una locanda conosciuta come "Elridge"?» Furono interrogate le domestiche, ma nessuna di loro aveva mai sentito parlare di un posto del genere. Ci illuminò il mozzo di stalla, rammentando che un agricoltore che rispondeva a quel nome viveva a poche miglia di distanza, in direzione di East Ruston. «È una fattoria isolata?» «Molto isolata, signore.» «Forse, non hanno ancora saputo quello che è successo qui durante la notte?» «Può darsi, signore.» Holmes rifletté un momento e uno strano sorriso gli si dipinse sul volto. «Sella un cavallo, ragazzo mio», disse. «Vorrei che portassi un biglietto a Elridge Farm.» Tirò fuori di tasca i vari foglietti con gli omini danzanti, se li mise davanti, e rimase per un po' a lavorare alla scrivania. Alla fine, diede un biglietto al ragazzo raccomandandogli di

consegnarlo personalmente al destinatario e, soprattutto, di non rispondere a nessuna domanda che gli venisse rivolta. Vidi l'esterno del biglietto, indirizzato in una grafia incerta e disordinata, ben diversa da quella nitida e precisa di Holmes. Era diretto al signor Abe Snaley, Elridge's Farm, East Ruston, Norfolk. «Credo, ispettore, che farebbe bene a telegrafare e richiedere rinforzi», disse Holmes, «perché, se i miei calcoli sono corretti, dovrà accompagnare al carcere della contea un prigioniero particolarmente pericoloso. Il ragazzo che porta il biglietto potrà senza dubbio spedire anche il suo telegramma. Se c'è un treno del pomeriggio per Londra, Watson, penso che dovremmo prenderlo; devo completare un'analisi chimica piuttosto interessante e questa indagine si sta rapidamente avviando alla conclusione.» Una volta mandato il ragazzo a recapitare il biglietto, Holmes diede disposizioni ai domestici. Se qualcuno fosse venuto a chiedere notizie della signora Cubitt, non bisognava dargli nessuna informazione sulle sue condizioni ma introdurlo immediatamente in salotto. Impresse ben chiare queste istruzioni nella loro mente, poi ci condusse nel salotto osservando che, a quel punto, la cosa non dipendeva più da noi e dovevamo occupare il nostro tempo come meglio potevamo, aspettando di vedere cosa sarebbe successo. Il medico se n'era tornato dai suoi pazienti e rimanemmo solamente io e l'ispettore. «Credo di potervi aiutare a passare un' oretta in modo interessante e proficuo», disse Holmes avvicinando la sedia al tavolo su cui stese i vari foglietti che mostravano le evoluzioni degli omini danzanti. «In quanto a lei, amico Watson, le devo le mie profonde scuse per aver tenuto tanto a lungo in sospeso la sua curiosità. A lei, ispettore, l'intera faccenda può interessare co-

me singolare studio professionale. Per prima cosa, devo riferirvi le interessanti circostanze emerse dai miei colloqui con il signor Hilton Cubitt a Baker Street.» Riassunse quindi brevemente i fatti che ho già esposto in precedenza. «Ho davanti a me questi strani disegni che potrebbero far sorridere, se non si fossero dimostrati presagio di una così terribile tragedia. Sono abbastanza al corrente di ogni forma di scrittura cifrata e ho scritto io stesso una monografia sull'argomento, nella quale analizzavo centosessantasei codici diversi; ma confesso che questo mi è del tutto nuovo. Lo scopo di chi ha inventato questo codice era evidentemente quello di nascondere il fatto che questi pupazzetti contenevano un messaggio, facendo pensare che si trattasse unicamente di disegnetti infantili.

Una volta scoperto, però, che i simboli stavano per altrettante lettere, e applicate le regole esistenti in ogni forma di scrittura segreta, la soluzione è stata abbastanza semplice. Il primo messaggio sottoposto alla mia attenzione era talmente breve che non ho potuto fare altro che decidere, con una certa sicurezza, che il simbolo

indicava la lettera E. Come sapete, E è la lettera più usata dell'alfabeto inglese, a un punto tale che si è quasi certi di trovarla ripetuta spesso anche in una frase breve. Dei quindici simboli nel primo messaggio, quattro erano uguali, quindi era ragionevole pensare che stessero per la lettera E . È vero che in alcuni casi il pupazzetto aveva una bandierina e in altri no ma, dal modo in cui queste bandierine erano distribuite, appariva probabile che indicassero lo stacco fra una parola e l'altra della frase. Partendo da questa ipotesi, notai che la lettera E era simboleggiata da

Ora, pero, arrivava il difficile. L'ordine di frequenza delle lettere inglesi, dopo quello della E, non è molto marcato e qualsiasi preponderanza possa apparire mediamente su un foglio stampato può benissimo essere addirittura capovolta in un' unica breve frase. Grosso modò, l'ordine numerico in cui si presentano le lettere è T, A, O, i, N, S, H, R, D e L; la frequenza delle lettere T, A, O, ed I è molto ravvicinata e ci vorrebbe un'eternità a provare tutte le combinazioni per arrivare a un qualche risultato. Aspettai quindi di avere altro materiale a disposizione. Nel nostro secondo incontro, il signor Cubitt fu in grado di darmi altre due brevi frasi e un messaggio che - a giudicare dall'assenza di bandierine - doveva consistere in una sola parola. Ecco i simboli. Ora, nel monoverbo, ho già isolato le due E al secondo e quarto posto di una parola di cinque lettere. Potrebbe trattarsi di "seve?', o "lever", o "never"'. Senza dubbio, come risposta a un appello, l'ultima è di gran lunga la più probabile e le circostanze indicavano che si trattava di una risposta scritta dalla signora. Dato questo per scontato, possiamo ora affermare che i simboli

stanno, rispettivamente, per N, V, e R. 1«Separare»,

«leva», «mai», (N.d. T).

Le difficoltà erano però sempre notevoli, ma una felice illuminazione mi fece scoprire molte altre lettere. Pensai che se, come presumevo, questi appelli provenivano da qualcuno che era stato in rapporti intimi con la signora quando era giovane, una combinazione composta da due E intervallate da altre tre lettere poteva benissimo indicare il nome di "Elsie". Un attento esame, mi rivelò che quella combinazione costituiva la fine del messaggio ripetuto tre volte. Senza dubbio, si trattava di un appello a "Elsie". Ottenni così la L, la s, e la i. Ma di che appello poteva trattarsi? Nella parola che precedeva "Elsie" figuravano solo quattro lettere, di cui l'ultima era E. Sicuramente, la parola doveva essere «COME»2 Provai tutte le altre parole di quattro lettere terminanti con E ma nessuna si adattava al caso. Quindi, ora ero in possesso della C, della O, e della M e potevo dedicarmi di nuovo al primo messaggio, dividendolo in parole e mettendo dei punti al posto dei simboli ancora non decifrati. Ne venne fuori: .M .ERE ..E SL . NE La prima lettera non poteva che essere A, scoperta molto utile in quanto si presenta non meno di tre volte in questa breve frase e, nella seconda parola, è evidente anche la H. Ora leggiamo. AM HERE A.E SLANE3. O, riempiendo i vuoti: AM HERE ABE SLANEY4. Ora avevo lettere a sufficienza per affrontare il secondo messaggio che si presentava così: A.ELRID.ES [AT ELRIDGE'S -FARM-] In questo caso, si poteva arrivare a un senso compiuto solo mettendo una T e una G al posto delle lettere mancanti, supponendo che si trattasse del nome di una casa o di una locanda dove lo scrivente alloggiava.» L'ispettore ed io avevamo ascoltato con estremo interesse il 2

«Vieni» (N.d. T.). «Sono qui A.E. Slane» (N.d. T.). 4 «Sono qui Abe Slane» (N.d. T.). 3

resoconto chiaro e completo di come il mio amico fosse giunto a quei risultati che ci avevano consentito di appianare le nostre difficoltà. «Poi cos'ha fatto, signore?», chiese l'ispettore. «Avevo tutte le ragioni di supporre che questo Abe Slaney fosse un americano, dato che Abe è un abbreviativo americano, appunto, e dato che la causa prima di tutti i problemi era stata una lettera giunta dall'America. Avevo anche motivo di ritenere che la cosa nascondesse qualche trama criminosa. L'allusione della signora al suo passato e il suo rifiuto a confidarsi col marito, entrambi puntavano nella stessa direzione. Telegrafai per-

tanto al mio amico Wilson Hargreave, del New York Police Bureau, il quale più di una volta si è avvalso della mia conoscenza della malavita londinese. Gli domandai se il nome Abe Slaney gli diceva nulla. Ecco la sua risposta: "Il più pericoloso malfattore di Chicago". La stessa sera in cui ricevetti questa risposta, Hilton Cubitt mi fece pervenire l'ultimo messaggio di Slaney. Operando con le lettere che già avevo a mia disposizione, ne venne fuori: ELSIE . RE . ARE TO MEET THY GO. L'aggiunta di due P e una D completò il messaggio (Elsie prepare to meet thy God)5, dimostrandomi così che il malvivente stava passando dalle persuasioni alle minacce; e la mia conoscenza della malavita di Chicago mi portava a credere che sarebbe ben presto passato dalle parole ai fatti. Venni subito a Norfolk col mio amico e collega dottor Watson ma, purtroppo, arrivai solo in tempo per scoprire che il peggio era già accaduto.» È un privilegio collaborare con lei a un caso», disse calorosamente l'ispettore. «Mi scuserà, però, se sarò franco con lei. Lei non deve rispondere che a se stesso, ma io devo rispondere ai miei superiori. Se questo Abe Slaney, che alloggia a Elridge, è realmente l'assassino e se, mentre me ne sto qui seduto, si dà alla fuga, andrei incontro a grossi guai.» «Non si preoccupi. Non cercherà di fuggire.» «Come lo sa?» «Una fuga equivarrebbe a una confessione di colpevolezza.» «Allora andiamo ad arrestarlo.» «Lo aspetto qui da un momento all'altro.» «Perché mai dovrebbe venire qui?» «Perché gliel'ho chiesto nel mio biglietto. » 5«Elsie,

preparati ad affrontare il tuo Dio» (N. d. T.).

«Ma questo è incredibile, signor Holmes! Dovrebbe venire solo perché lei glielo ha chiesto? Non crede che una richiesta del genere possa invece insospettirlo e farlo fuggire?» «Ritengo di aver compilato la lettera in modo adatto», rispose Holmes. «In effetti, se non mi sbaglio di grosso, ecco qui il nostro galantuomo che sta arrivando lungo il viale.» Un uomo percorreva effettivamente il sentiero che conduceva alla porta d'ingresso. Un tipo alto, bello, col viso abbronzato, che indossava un completo di flanella grigia, un panama, aveva una barba nera e ispida, un aggressivo naso a becco e, camminando, roteava un bastone da passeggio. Avanzava baldanzoso sul sentiero come se il posto gli appartenesse e sentimmo la sua scampanellata, forte e decisa. «Credo, signori», disse Holmes in tono pacato, «che faremo meglio a prendere posizione dietro la porta. Quando si tratta con tipi del genere, meglio prendere tutte le precauzioni. Ci sarà bisogno delle sue manette, ispettore. Lasci parlare me.» Aspettammo in silenzio per un minuto - uno di quei minuti che si ricordano per sempre. Poi la porta si aprì e l'uomo fece il suo ingresso nella stanza. Holmes, fulmineo, gli puntò la pistola alla testa e Martin gli fece scattare le manette ai polsi. Tutto si svolse con tanta rapidità e destrezza che quell'individuo si trovò ridotto all'impotenza prima ancora di accorgersene. Ci fulminò con lo sguardo poi scoppiò in una risata amara. «Be', signori, questa volta mi avete incastrato. A quanto sembra, sono andato a sbattere contro un muro. Ma sono qui in risposta a una lettera della signora Cubitt. Non ditemi che anche lei fa parte di questo complotto! Non ditemi che vi ha aiutato a mettermi in trappola! » «La signora Cubitt è stata gravemente ferita e adesso sta fra la vita e la morte.» L'uomo mandò un urlo rauco di dolore che risuonò per tutta la casa. «Siete pazzi!», esclamò con violenza. «Lui è stato ferito, non

lei! Chi avrebbe fatto del male alla piccola Elsie? Posso averla minacciata - Dio mi perdoni - ma non le avrei mai torto un capello. Ditemi che non è vero! Che non è ferita!» «È stata rinvenuta accanto al cadavere del marito, gravemente ferita.» Con un gemito straziante si lasciò cadere sul divano nascondendosi il viso fra le mani ammanettate. Per cinque minuti non aprì bocca; poi rialzò il capo rivolgendosi a noi con la fredda compostezza della disperazione. «Non ho nulla da nascondervi, signori», disse. «Se ho spara-

to a quell'uomo è perché lui aveva sparato a me. E questo non è omicidio ma autodifesa. Se però pensate che avrei potuto far del male a quella donna, allora non conoscete né lei né me. Vi assicuro che mai uomo al mondo amò una donna più di quanto io amassi lei. Avevo dei diritti su di lei. Molti anni fa si era promessa a me. Chi era quest'inglese per frapporsi fra noi? Vi ripeto che lei era mia, e che ero semplicemente venuto a reclamare la mia donna.» «Si è sottratta alla sua influenza dopo aver scoperto che tipo era lei», disse severamente Holmes. «È fuggita dall'America per liberarsi di lei e, in Inghilterra, ha sposato un onorevole gentiluomo. Lei l'ha perseguitata, l'ha seguita, le ha reso la vita un inferno, per convincerla ad abbandonare un marito che amava e rispettava e fuggire con lei, che invece temeva e odiava. Lei ha finito col provocare la morte di una degna persona e di spingerne la moglie al suicidio. Questa è stata la sua bella impresa, signor Abe Slaney, e ne risponderà davanti alla legge.» «Se Elsie muore, di quello che succede a me non m'importa», rispose l'americano. Aprì una mano e guardò un biglietto appallottolato. «Guardi qui, signore», esclamò con un lampo di sospetto negli occhi. «Non è che sta cercando di spaventarmi, vero? Se la signora è ferita tanto gravemente come lei dice, allora chi ha scritto questo biglietto?», e lo gettò sulla tavola. «L'ho scritto io, per farla venire qui.» «L'ha scritto lei? Nessuno al mondo, all'infuori del Gruppo, conosceva il segreto degli omini danzanti. Come ha fatto a scriverlo?» «Ciò che un uomo può inventare, un altro può scoprire», disse Holmes. «Sta arrivando una carrozza per portarla a Norwich, signor Slaney. Ma, nel frattempo, lei può, sia pure in minima parte, rimediare al male che ha fatto. Si rende conto che la stessa signora Cubitt era fortemente indiziata dell'assassinio del marito e che solo la mia presenza qui, e le cognizioni che per caso sono in mio possesso, l'hanno salvata da questa tremenda accusa? Il meno che possa fare per lei è rendere chiaro a tutti che non era in alcun modo, né direttamente né indirettamente, responsabile per la tragica fine del marito.» «Non chiedo di meglio», rispose l'americano. «Penso che la mia migliore difesa sia quella di raccontare la verità.» «È mio dovere informarla che sarà usata contro di lei», intervenne l'ispettore, da autentico campione di lealtà britannica in fatto di codice penale. Slaney fece una spallucciata. «Correrò il rischio», disse. «Per prima cosa, desidero che voi

signori sappiate che conoscevo questa donna fin da bambina. Eravamo in sette a formare una banda di Chicago e il padre di Elsie era il capo del Gruppo. Un uomo molto sveglio, il vecchio Patrick. Fu lui a inventare quel tipo di scrittura che poteva sembrare lo scarabocchio di un bambino a meno che non ne possedeste la chiave. Bene, Elsie era abbastanza al corrente delle nostre imprese ma non le piacevano; aveva un po' di soldi del suo - soldi puliti; ci piantò quindi in asso e venne a Londra. Eravamo fidanzati e mi avrebbe sposato, credo, se avessi cambiato mestiere, ma non voleva aver nulla a che fare con azioni disoneste. Fu solo dopo il suo matrimonio con quest'inglese che riuscii

a scoprire dove si trovava. Le scrissi, ma non rispose. Venni anche io in Inghilterra e, dal momento che le mie lettere cadevano nel nulla, misi i miei messaggi dove poteva leggerli. Bene, ormai è un mese che sono qui. Vivevo in quella fattoria, in una stanza al seminterrato, e potevo entrare e uscire ogni notte senza che nessuno se ne accorgesse. Feci di tutto per convincere Elsie a venire via con me. Sapevo che leggeva i miei messaggi perché una volta scrisse la risposta sotto uno di essi. Allora persi le staffe e cominciai a minacciarla. Mi mandò una lettera implorandomi di andarmene, dicendo che le si sarebbe spezzato il cuore se il marito fosse rimasto coinvolto in uno scandalo. Disse che sarebbe scesa mentre il marito dormiva, verso le tre del mattino, per parlarmi, dall'ultima finestra, se dopo me ne fossi andato e l'avessi lasciata in pace. Venne, effettivamente, portando con sé del denaro con cui sperava di convincermi ad andarmene. Questo mi fece salire il sangue alla testa, l'afferrai per un braccio cercando di tirarla fuori dalla finestra. In quel momento entrò di corsa il marito con la pistola in mano. Elsie si era afflosciata sul pavimento e noi due ci trovammo faccia a faccia. Ero anche spaventato e gli puntai contro la pistola per intimorirlo, così che mi lasciasse scappare. Sparò, mancandomi. Io sparai quasi nello stesso istante, e lui cadde a terra. Me la squagliai attraverso il giardino e sentii la finestra che veniva richiusa alle mie spalle. Questa, signori, è la sacrosanta verità, parola per parola; e non seppi più niente fino a quando arrivò quel ragazzo a cavallo con un biglietto che mi indusse a venire qui, come un allocco, e a consegnarmi nelle vostre mani.» Mentre parlava, era arrivata la carrozza. All'interno, sedevano due agenti in divisa. L'ispettore Martin si alzò e toccò il prigioniero sulla spalla. «E ora di andare.» «Posso prima vederla?» «No, non ha ancora ripreso i sensi. Signor Holmes, spero solo

che, se mi capiterà un altro caso importante, avrò la fortuna di averla dalla mia parte.» Rimanemmo alla finestra a guardare la carrozza che si allontanava. Voltandomi, mi cadde l'occhio sul foglietto appallottolato che il prigioniero aveva buttato sulla tavola. Era il messaggio con cui Holmes l'aveva attirato. «Veda se riesce a leggerlo, Watson», mi disse sorridendo. Il messaggio consisteva unicamente in questa riga di omini danzanti:

«Se usa il codice che le ho spiegato», continuò Holmes, «vedrà che significa semplicemente "Vieni subito". Ero certo che non avrebbe saputo resistere a questo invito, dal momento che non poteva immaginare che l'avesse scritto un'altra persona che non fosse la signora. E così, caro Watson, siamo riusciti a usare a fin di bene quegli omini danzanti che tanto spesso hanno fatto del male, e penso di aver mantenuto la mia promessa di fornirle qualcosa di insolito per le sue cronache. Il nostro treno è alle tre e quaranta e credo che saremo a Baker Street in tempo per la cena.» Solo una parola di epilogo. L'americano, Abe Slaney, fu condannato alla pena capitale nella sessione invernale della Corte d'Assise di Norwich; pena che gli venne poi commutata nell'ergastolo grazie alle attenuanti e al fatto incontestabile che il primo a sparare era stato Hilton Cubitt. In quanto alla signora Cubitt, so solo quello che mi hanno detto: che si è del tutto ripresa, che non si è risposata, e che dedica tutto il suo tempo ad assistere i poveri e ad amministrare la proprietà del marito.

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L'avventura della ciclista solitaria Negli anni dal 1894 al 1901 incluso, Sherlock Holmes fu occupatissimo. Si può dire che non ci fu caso che suscitò scalpore in quegli otto anni in cui lui non fosse chiamato a consulto; oltre a centinaia di casi privati, alcuni estremamente complessi e insoliti, nei quali ebbe un ruolo di primo piano. Questo lungo periodo di attività ininterrotta portò a molti successi straordinari e a qualche inevitabile fallimento. Ho conservato resoconti dettagliati di tutti questi casi, in molti dei quali mi sono trovato coinvolto personalmente, ed è quindi comprensibile che non sappia quale scegliere per raccontarlo ai miei lettori. Ho deciso quindi di attenermi alla mia vecchia regola e di dare la preferenza a quelli che presentano un particolare interesse non tanto per la brutalità del crimine quanto per l'ingegnosità e la teatralità della soluzione. Per questo motivo, mi accingo a narrare gli eventi relativi alla signorina Violet Smith, la ciclista solitaria di Charlington, e lo strano svolgimento delle nostre indagini culminate in una tragedia inaspettata. È vero che le circostanze non richiesero uno degli exploit per cui il mio amico andava famoso, ma è anche vero che quel caso presentò certi aspetti che lo fecero emergere dalla lunga serie di crimini dai quali raccolgo il materiale per questi miei brevi racconti. Consultando il mio taccuino per l'anno 1895 vedo che fu un sabato, il 23 di aprile, quando sentimmo parlare per la prima volta della signorina Violet Smith. Ricordo che Holmes accolse molto male la sua visita, perché in quel momento era immerso in un problema molto astruso e complesso relativo alla strana persecuzione cui era stato sottoposto John Vincent Harden, il ben noto milionario del tabacco. Il mio amico, che sopra ogni cosa amava la precisione e la concentrazione del pensiero, si irritava per tutto ciò che poteva distrarre la sua attenzione dal problema cui si stava dedicando. Eppure, senza una dose di asprezza, molto estranea alla sua natura, non era possibile rifiutare di ascoltare la storia di una donna giovane e bella, alta, aggraziata e regale che una sera, sul tardi, si era presentata a Baker Street implorando il suo aiuto e il suo consiglio. Inutile ripeterle che in quel pe-

riodo non aveva tempo disponibile; la ragazza era venuta decisa a raccontare la sua storia ed era evidente che non avrebbe lasciato la stanza, se non buttata fuori a forza, prima di averlo fatto. Con aria rassegnata e un sorriso poco convinto, Holmes invitò la graziosa intrusa ad accomodarsi e a dirci cosa la stava preoccupando. «Se non altro, non può trattarsi di un problema di salute», disse scrutandola col suo sguardo intenso; «una ragazza che si dedica con tanto ardore alla bicicletta dev'essere piena di energia.» La signorina Smith, sorpresa, si guardò i piedi e io osservai il leggero logoramento delle suole dovute allo sfregamento contro il pedale. «Sì, vado molto in bicicletta, signor Holmes, e questo ha qualcosa a che fare con la mia visita.» Il mio amico le prese la mano, priva di guanto, esaminandola con l'attenzione e il distacco di uno scienziato che esamina un campione. «La prego di scusarmi, naturalmente. È il mio mestiere», disse lasciando ricadere la mano. «Avevo quasi commesso l'errore di pensare che lei fosse una dattilografa. Ma è ovvio che si occupa di musica. Vede i polpastrelli a spatola, Watson, comuni a entrambe le professioni? Ma il suo viso ha una spiritualità, però, che» - gentilmente la donna si girò verso la luce - «che non nasce da una macchina da scrivere. Questa signora è una musicista.»

«Infatti, signor Holmes. Insegno musica.» «In campagna, immagino, a giudicare dalla sua carnagione.» «Sì, presso Farnham, al confine col Surrey.» «Una bella zona, piena di ricordi interessanti. Rammenta, Watson, che fu da quelle parti che mettemmo le mani su Archie Stamford, il falsario? Allora, signorina Violet, sentiamo, cosa le è successo presso Farnham, al confine col Surrey?» Con molta calma e molta chiarezza, la ragazza ci fece questo strano racconto: «Mio padre è morto, signor Holmes. Mio padre era James Smith, direttore d'orchestra del vecchio Imperiai Theatre. Mia madre ed io restammo senza un parente al mondo, eccezion fatta per uno zio, Ralph Smith, che venticinque anni fa andò in Africa, e dal quale non abbiamo mai più ricevuto notizie. Quando papà morì, ci trovammo praticamente senza un soldo ma un giorno ci dissero che nel Times c'era un annuncio nel quale si chiedeva il nostro recapito. Può immaginare quanto fossimo eccitate; pensavamo che qualcuno ci avesse lasciato in eredità una

fortuna. Ci recammo subito dall'avvocato il cui nome figurava nell'annuncio. E lì incontrammo due signori, il signor Carruthers e il signor Woodley, che erano rientrati in Inghilterra da un viaggio in Sud Africa. Ci dissero che mio zio era un loro amico, che qualche mese prima era morto a Johannesburg, in miseria nera, e che sul letto di morte aveva chiesto a loro di cercare le sue parenti e assicurarsi che non avessero bisogno di nulla. Ci sembrava strano che lo zio Ralph, dopo averci completamente ignorate finché era in vita, si preoccupasse tanto di noi dopo morto, ma il signor Carruthers ci spiegò che mio zio aveva appena saputo del decesso di mio padre e quindi si sentiva responsabile del nostro destino». «Mi scusi», interruppe Holmes, «quando si svolse questo colloquio?» «Quattro mesi fa - a dicembre.» «Continui, la prego.» «Il signor Woodley mi sembrò una persona insopportabile. Continuava a farmi gli occhi dolci - un giovanotto volgare, col viso gonfio, i baffi rossi e i capelli appiccicati alle tempie. Un tipo odioso - ed ero certa che Cyril non avrebbe voluto che facessi la conoscenza di un tipo del genere.» «Ah, si chiama Cyril!», commentò Holmes sorridendo. La ragazza arrossì e scoppiò a ridere. «Sì, signor Holmes, Cyril Morton, un ingegnere elettrotecnico, e speriamo di sposarci alla fine dell'estate. Povera me, come mai ho cominciato a parlare di lui? Quello che volevo dire è che il signor Woodley era un individuo odioso, mentre il signor Carruthers, molto più anziano, era una persona gentilissima. Piuttosto silenzioso, scuro di carnagione, magro, sbarbato ma dai modi cortesi e un sorriso simpatico. Ci domandò come ci trovavamo e, sentito che eravamo molto povere, suggerì che avrei potuto dare lezioni di musica alla sua unica figlia, di dieci anni. Risposi che non mi andava l'idea di lasciare mia madre e allora disse che sarei potuta tornare a casa ogni fine settimana, e mi offrì un compenso di cento sterline l'anno - una cifra davvero allettante. Così finii con l'accettare e andai a vivere a Chiltern Grange, circa sei miglia da Farnham. Il signor Carruthers era vedovo ma aveva assunto una governante, una rispettabilissima signora di mezz'età, la signora Dixon, perché si occupasse dell'andamento di casa. La bambina era molto cara, e tutto prometteva bene. Il signor Carruthers era molto cortese, amante della musica, e abbiamo passato delle splendide serate. Ogni fine settimana tornavo in città da mia madre. La prima ombra su questa felicità fu l'arrivo del baffuto si-

gnor Woodley. Venne a farci visita per una settimana e mi sembrarono tre mesi. Era una persona spiacevolissima - si comportava in modo arrogante con tutti ma in modo ancor più in-

sopportabile con me. Mi fece delle proposte, quanto mai sgradite, vantandosi dei suoi soldi, dicendo che, se l'avessi sposato, avrei avuto i più bei diamanti di Londra e infine, quando capì che di lui proprio non ne volevo sapere, una sera dopo cena mi strinse fra le braccia - era terribilmente forte - giurando che non mi avrebbe lasciata andare finché non gli avessi dato un bacio. Il signor Carruthers entrò e lo tirò violentemente indietro, al che lui gli si rivoltò contro prendendolo a pugni e ferendolo al viso. Come può immaginare, quella fu la fine della sua permanenza. Il giorno seguente, il signor Carruthers mi fece le sue scuse, assicurandomi che mai più sarei stata esposta a un simile insulto. Da allora, non ho più visto il signor Woodley. E adesso, signor Holmes, vengo al motivo particolare per cui oggi sono venuta a chiederle consiglio. Deve sapere che ogni sabato mattina vado in bicicletta fino alla Stazione di Farnham per prendere il treno delle 12,22 per Londra. La strada da Chiltern Grange è solitaria, specialmente in un tratto che si stende per circa un miglio fra Charlington Heath da una parte e il bosco circostante dall'altra. Non si potrebbe trovare tratto più solitario di strada; raramente si incontra un carretto, o un contadino, fino a quando si raggiunge la strada maestra nei pressi di Crooksbury Hill. Due settimane fa stavo appunto percorrendo quel tratto quando, guardandomi alle spalle, vidi un altro ciclista, a circa duecento metri dietro di me. Sembrava un uomo di mezz'età, con una corta barba nera. Guardai di nuovo prima di raggiungere Farnham, ma era sparito, e così non ci pensai più. Immagini la mia sorpresa, signor Holmes, quando, tornando il lunedì, vidi lo stesso uomo, nello stesso punto della strada. E ancor più stupita rimasi quando l'incidente si ripeté, esattamente come la prima volta, il sabato e il lunedì successivi. Sì teneva sempre a distanza e non mi molestava in alcun modo, ma certo la cosa era molto strana. Ne accennai al signor Carruthers il quale sembrò colpito dalle mie parole e mi disse che aveva ordinato un cavallo e un calessino così che, in futuro, non avrei dovuto attraversare da sola quelle strade così deserte. Cavallo e calessino sarebbero dovuti arrivare questa settimana ma, per un qualche motivo, non sono stati consegnati e ho dovuto di nuovo recarmi alla stazione in bicicletta. Questo è successo stamattina. Capirà che, arrivata a Charlington Heath, mi sono guardata intorno ed ecco lì quell'uomo, esattamente come le due settimane precedenti. Si teneva sempre lontano da

me così che non potevo vederlo bene in faccia, ma sicuramente era qualcuno che non conoscevo. Indossava un vestito scuro e un cappello di stoffa. L'unica parte del suo viso che potevo distinguere chiaramente era la barba scura. Oggi, non ero spaventata ma incuriosita e decisi di scoprire chi fosse e cosa volesse. Rallentai, ma rallentò anche lui. Poi mi fermai del tutto, e lui fece altrettanto. Allora decisi di tendergli un tranello. A un certo punto, la strada fa una curva a gomito, girai pedalando rapidamente, poi mi fermai ad aspettare. Immaginavo di vedermelo passare davanti prima che riuscisse a fermarsi. Ma non comparve. Allora tornai indietro a guardare dalla curva. Potevo scorgere un miglio di strada, ma lui non c'era. E il fatto più straordinario è che in quel punto non esiste alcuna strada secondaria che potesse avere imboccato.» Holmes ridacchiò fregandosi le mani. «Questo caso presenta dei lati davvero insoliti», disse. «Quanto tempo è trascorso da quando lei ha girato la curva fino a quando ha scoperto che la strada era deserta?» «Due o tre minuti.» «Allora non poteva essere tornato indietro, e lei mi dice che in quel punto non ci sono diramazioni?» «Nessuna.» «Allora, deve aver sicuramente imboccato un sentiero, da una parte o dall'altra.» «Non può essere stato dal lato della brughiera, o l'avrei visto.»

«Quindi, per eliminazione, non resta che dedurre che si sia diretto verso Charlington Hall che, se ho ben capito, sorge su un terreno proprio di fianco alla strada. C'è altro?» «Nient'altro, signor Holmes, tranne il fatto che ero così perplessa da sentire che non avrei avuto pace fino a quando non fossi venuta da lei per un consiglio.» Holmes rimase per un po' seduto in silenzio. «Dove abita il giovane con cui è fidanzata?», chiese alla fine. «Lavora per la Midland Electrical Company, a Coventry.» «Non è che sarebbe venuto a trovarla per farle una sorpresa?» «Ma signor Holmes! Come se non lo avrei riconosciuto!» «Ha avuto altri spasimanti?» «Parecchi, prima di conoscere Cyril.» «E in seguito?» «Quell'orribile individuo, Woodley, se può chiamarlo uno spasimante.» «Nessun altro?» La nostra graziosa cliente apparve un po' confusa.

«Chi era?», chiese Holmes. «Oh, forse l'ho solo immaginato; ma, a volte, ho avuto l'impressione che il mio datore di lavoro, il signor Carruthers, si interessi molto a me. Capita spesso che stiamo insieme. Di sera, lo accompagno al pianoforte. Non mi ha mai detto nulla. È un perfetto gentiluomo. Ma una ragazza capisce sempre queste cose.» «Ah!», esclamò con aria grave. «Che mestiere fa per vivere?» «È ricco.» «Senza né carrozze né cavalli.» «Be', quantomeno è benestante. Ma due o tre volte la settimana si reca in città. Si interessa molto alle azioni aurifere sudafricane.» «Mi tenga informato di qualsiasi nuovo sviluppo, signorina Smith. Al momento sono occupatissimo, ma troverò il tempo per svolgere qualche indagine sul suo caso. Frattanto, non prenda iniziative senza informarmene prima. Arrivederci, e mi auguro che da lei non riceveremo altro che buone notizie.» «È una legge di natura che una ragazza simile abbia degli spasimanti», osservò Holmes fumando la sua pipa con aria meditabonda. «Ma per sua scelta, non in bicicletta su strade solitarie di campagna. Senza dubbio, si tratta di qualcuno che la ama in silenzio. Ma ci sono degli elementi strani e suggestivi in questa storia, Watson.» «Per esempio, che compaia solo in quel punto della strada?» «Esattamente. Per prima cosa dobbiamo scoprire chi sono gli inquilini di Charlington Hall. E poi, che legame c'è fra Carruthers e Woodley, dato che mi sembrano due tipi così diversi fra loro. Come mai entrambi si sono dati tanto da fare per rintracciare i parenti di Ralph Smith? E un altro punto: che razza di ménage è quello che paga il doppio del salario corrente per una istitutrice ma non possiede un cavallo, pur essendo distante sei miglia dalla stazione? Strano, Watson - molto strano!» «Ci andrà?» «No, amico mio, ci andrà lei. Potrebbe trattarsi di una cosa da niente e non posso interrompere le altre mie importanti ricerche solo per questo. Lunedì, lei arriverà di buon'ora a Farnham; si nasconderà nei pressi di Charlington Heath; osserverà i fatti con i suoi occhi e agirà come ritiene meglio. Poi, dopo avere assunto informazioni circa gli abitanti di Charlington Hall, tornerà qui a riferirmi. E adesso, Watson, non parliamone più fino a quando non avremo qualche solido punto d'appoggio su cui possiamo sperare di costruire una soluzione.» Avevamo appurato dalla ragazza che sarebbe rientrata il lunedì col treno delle 9,50 da Waterloo; così mi avviai per tempo,

e presi quello delle 9,13. Arrivato alla Stazione di Farnham non ebbi difficoltà a farmi indicare la strada per Charlington Heath. Impossibile sbagliarsi sulla scena dell'avventura della signorina

dato che la strada corre fra la brughiera da una parte e una siepe di antichi cipressi dall'altra, intorno a un parco pieno di alberi stupendi. C'era un accesso principale di pietra, ricoperta da licheni, con i due pilastri laterali sormontati da uno stemma araldico che cadeva a pezzi; a fianco di questo ingresso principale notai però vari punti dove la siepe presentava dei varchi attraversati da un viottolo. La casa era invisibile dalla strada, ma tutta la zona circostante parlava di decadimento e abbandono. La brughiera era coperta dalle macchie dorate della ginestra in fiore che risplendeva sotto il luminoso sole di primavera. Mi sistemai accanto a uno di quei cespugli, in modo da poter vedere sia l'accesso a Charlington Hall che un lungo tratto di strada da entrambi i lati. Quando l'avevo percorso la prima volta, era deserto ma adesso scorsi un ciclista che veniva dalla direzione opposta a quella dalla quale ero venuto io. Indossava un abito scuro e vidi che aveva una barba nera. Arrivato al confine della proprietà Charlington scese e portò la bicicletta attraverso un varco della siepe, scomparendo alla mia vista. Passò un quarto d'ora e apparve un secondo ciclista. Questa volta si trattava della ragazza che proveniva dalla stazione. Arrivata alla siepe di confino la vidi guardarsi intorno. Un attimo dopo, l'uomo uscì dal suo nascondiglio, inforcò la bicicletta e si mise a seguirla. Erano le uniche due figure in movimento in quel vasto panorama: la ragazza, eretta, che pedalava con grazia sul suo veicolo e l'uomo dietro di lei, curvo sul manubrio, con una strana aria furtiva in ogni suo movimento. La signorina si guardò alle spalle, lo vide, e rallentò. Altrettanto fece l'uomo. Si fermò. E si fermò immediatamente anche lui, tenendosi a circa duecento metri di distanza. Il successivo movimento della ragazza fu tanto inaspettato quanto audace. Girò rapidamente la bicicletta dirigendosi direttamente verso l'inseguitore. Che però fu svelto quanto lei e si diede a una fuga precipitosa. Poco dopo la ragazza tornò sulla strada, a testa alta, senza degnare di un altro sguardo la sua silenziosa scorta, che aveva fatto la stessa manovra e ancora si teneva a distanza; poi scomparvero dietro la curva della strada. Rimasi nel mio nascondiglio e ben feci perché, quasi subito, l'uomo ricomparve e tornò indietro pedalando lentamente. Svoltò ai cancelli della Hall e scese dalla bicicletta. Lo vidi per qualche minuto, fermo tra gli alberi. Aveva le mani alzate e sembrava che stesse aggiustandosi la cravatta. Poi, risalì in sella e si

allontanò da me lungo la carrozzabile che portava alla Hall. Corsi attraverso la brughiera e sbirciai fra gli alberi. In lontananza intravedevo il vecchio edificio grigio con i suoi comignoli Tudor ma dell'uomo non c'era traccia. Comunque, pensai che la mattinata era stata fruttuosa e, tutto allegro, me ne tornai a Farnham. L'agente immobiliare locale non seppe dirmi nulla su Charlington Hall e mi rimandò a una ben nota agenzia di Pall Mall. Mi fermai lì, sulla via del ritorno, e l'incaricato mi accolse molto cortesemente. No, non potevo affittare Charlington Hall per l'estate. Ero arrivato troppo tardi. Era stata affittata circa un mese prima. L'inquilino era un certo signor Williamson. Un anziano e rispettabile signore. No, temeva proprio di non potermi dare altre informazioni, in quanto non era autorizzato a discutere gli affari dei clienti. Quella sera, Holmes ascoltò con estrema attenzione il mio lungo rapporto ma non riuscii a cavargli di bocca quella sia pur minima lode che speravo, e avrei gradito, di ricevere. Al contrario, il suo volto austero era ancor più severo del solito mentre commentava le cose che avevo e che non avevo fatto. «Il posto che ha scelto per nascondersi, mio caro Watson, era completamente sbagliato. Avrebbe dovuto mettersi dietro la siepe, così avrebbe visto da vicino questa interessante persona. Invece, si trovava a qualche centinaio di metri di distanza e può dirmi ancora meno di quanto ci ha detto la signorina Smith. La ragazza crede di non conoscere quell'uomo; io sono sicuro che lo conosce. Altrimenti, perché quell'individuo dovrebbe far di

tutto per non farla avvicinare così da vederlo in faccia? Lei dice che era curvo sul manubrio. Vede, anche questo è un modo per nascondersi. Se devo dire la verità, se l'è cavata proprio male. Quel tizio fa ritorno alla casa, lei vuole scoprire chi è, e si rivolge a un'agenzia di Londra!» «Che avrei dovuto fare, allora?», esclamai, un po' risentito. «Andare all'osteria più vicina. È quello il centro delle chiacchiere locali. Le avrebbero detto tutti i nomi, dal padrone alla sguattera. Williamson? Un nome che non mi dice niente. Se è un uomo anziano non è quel ciclista esperto che sfugge all'atletico inseguimento della nostra signorina. Che ne abbiamo cavato dalla sua spedizione? La conferma che la storia della ragazza è vera. Non ne avevo mai dubitato. C'è un collegamento fra il ciclista e Charlington Hall. E anche su questo non avevo mai avuto dubbi. La Hall è stata presa in affitto da un certo Williamson. E allora? Bene, bene, vecchio mio, non se la prenda. C'è ben poco che possiamo fare fino a sabato prossimo e, nel frattempo, farò qualche indagine io stesso.»

Il mattino seguente ricevemmo dalla signorina Smith un biglietto nel quale riassumeva accuratamente l'incidente al quale avevo assistito io, ma il nocciolo della lettera stava nel poscritto: Sono certa che lei rispetterà il segreto, signor Holmes, quando le dico che la mia posizione qui si è fatta difficile, perché il mio datore di lavoro mi ha chiesto di sposarlo. Sono sicura che i suoi sentimenti sono profondi e onorevoli. Ma, naturalmente, sono promessa a un altro. Ha accolto il mio rifiuto con molto dispiacere ma anche con molta cortesia. Lei capisce, però, che la situazione è un po' tesa.

«A quanto pare, la nostra giovane amica si trova nei pasticci», osservò Holmes pensieroso dopo aver letto la lettera. «Questo caso presenta certamente più aspetti interessanti e più possibilità di sviluppi di quanto avessi pensato in un primo tempo. Credo che non ci rimetterei nulla a trascorrere una tranquilla giornata in campagna e penso proprio che ci farò una scappata questo pomeriggio per controllare un paio di ipotesi che mi frullano per la mente.» La tranquilla giornata in campagna ebbe un epilogo inatteso perché Holmes arrivò a Baker Street la sera tardi, con un labbro spaccato, un bernoccolo sulla fronte e, in genere, un aspetto così trasandato che quasi poteva essere proprio lui il soggetto di un'indagine di Scotland Yard. Era estremamente divertito per le sue peripezie e rise di cuore mentre le raccontava. «Sono così sedentario che un po' d'esercizio fa sempre bene», disse. «Lei sa che possiedo una certa abilità nel sano, vecchio sport britannico del pugilato. Ogni tanto, serve. Oggi, per esempio, avrei fatto una fine ignominiosa senza questa mia abilità.» Lo pregai di raccontarmi cos'era successo. «Ho trovato l'osteria di campagna su cui avevo già richiamato la sua attenzione, e ci sono andato per fare qualche discreto sondaggio. Ero al banco del bar e un proprietario ciarliero mi stava raccontando tutto quello che volevo sapere. Williamson è un tizio con la barba bianca, che vive solo alla Hall con un esiguo numero di domestici. Corre voce che sia, o sia stato, un prete; ma un paio di incidenti verificatisi durante il suo ancor breve soggiorno mi sono sembrati stranamente poco ecclesiastici. Ho già fatto delle indagini presso un'agenzia del clero e mi hanno detto che, nell'ordine, figurava effettivamente un sacerdote con quel nome, la cui carriera però è stata singolarmente dubbia. Il padrone dell'osteria mi ha anche detto che alla Hall generalmente ci sono ospiti per il fine settimana - "un gruppetto piuttosto animato, signore" - specialmente un gentiluomo di nome Woodley, coi baffi rossi, che non mancava mai. Eravamo

arrivati a questo punto quando chi ti entra se non il gentiluomo in questione che era rimasto a bere la sua birra nel bar e aveva sentito tutta la conversazione. Io chi ero? Cosa volevo? Perché

diavolo facevo tante domande? Aveva un eloquio molto scorrevole e i suoi aggettivi erano estremamente vigorosi. Concluse una sfilza di insulti con un manrovescio che non riuscii ad evitare del tutto. I successivi pochi minuti furono deliziosi. Un diretto sinistro contro un farabutto che tirava colpi alla cieca. Ne sono uscito come mi vede, Watson. Il signor Woodley è andato a casa in un carretto. Così si è conclusa la mia gita in campagna e devo confessare che, per quanto divertente, la mia giornata al confine del Surrey non è stata molto più proficua della sua.» Il giovedì ci portò un'altra lettera della nostra cliente. Non rimarrà sorpreso, signor Holmes [scriveva] nel sentire che lascio l'impiego con il signor Carruthers. Nemmeno l'ottimo salario può compensare il disagio della mia posizione. Sabato verrò in città e non intendo tornare da lui. Il signor Carruthers ha acquistato un calessino e quindi i pericoli di una strada solitaria, se mai ce ne sono stati, adesso sono finiti. In quanto al motivo specifico per cui lascio l'impiego, non è tanto quel po' di tensione nei rapporti col signor Carruthers quanto la ricomparsa di quell'individuo odioso, Woodley. É stato sempre ripugnante ma adesso lo è anche più del solito, perché sembra che abbia avuto un incidente ed è sfigurato. L'ho visto dalla finestra ma, per fortuna, non ci siamo incontrati. Ha avuto un lungo colloquio col signor Carruthers che, dopo, sembrava molto agitato. Woodley dovrebbe abitare nelle vicinanze perché non ha dormito qui ma, questa mattina, l'ho intravisto di nuovo mentre si aggirava furtivo fra i cespugli. Mi farebbe meno paura se ci fosse in giro una belva feroce in libertà. Lo detesto e lo temo più di quanto io riesca a dire. Come può il signor Carruthers sopportare, anche per un solo momento, un essere del genere? Comunque, con sabato tutti i miei guai saranno finiti.

«Lo spero, Watson, lo spero proprio», disse Holmes cupamente. «C'è qualche grosso intrigo che ruota intorno a quella giovane donna ed è nostro compito assicurarci che nessuno la molesti durante questo suo ultimo viaggio. Credo, Watson, che dovremo trovare il tempo per andare là insieme, sabato mattina, e fare in modo che questa strana e inconcludente indagine non finisca male.» Confesso che, fino a quel momento, non avevo dato molto peso a quella faccenda, secondo me più grottesca e bizzarra che pericolosa. Che un uomo si nasconda per aspettare e poi seguire una bella ragazza è abbastanza normale; e se il nostro sconosciuto ciclista aveva tanto poco fegato da non osare nemmeno di rivolgerle la parola ma, anzi, fuggiva al suo approssimarsi, non poteva essere un aggressore molto pericoloso. Quella canaglia di Woodley era un altro paio di maniche ma, tranne che in

un' occasione, non aveva molestato la nostra cliente e adesso frequentava la casa di Carruthers senza interferire con la sua presenza. L'uomo in bicicletta era senza dubbio uno dei frequentatori del fine settimana alla Hall di cui aveva parlato il taverniere; ma quelle che ancora non si conoscevano erano la sua identità e le sue intenzioni. Fu solo l'espressione cupa di Holmes ed il fatto che, prima di uscire di casa, si facesse scivolare in tasca la pistola a suggerirmi che forse, dietro quella curiosa serie di incidenti, fosse in agguato una tragedia. A una notte di pioggia era succeduta una mattinata radiosa e la distesa della brughiera costellata dai cespugli luminosi delle ginestre in fiore, appariva ancora più bella dopo il grigiore monotono e deprimente dello scenario londinese. Holmes ed io camminavamo lungo l'ampia strada bianca respirando l'aria fresca del mattino, godendoci il canto degli uccelli e il fresco profumo della primavera. Dalla cima di una salita al margine di Crooksbury Hill si scorgeva la massa cupa della Hall che spuntava fra le antiche querce che, malgrado la loro età, erano più giovani dell'edificio cui facevano corona. Holmes indicò il lungo tratto di strada che si snodava come un nastro arancione fra il marrone della brughiera e il verde tenero dei boschi. Lontano, come un puntolino nero, vedemmo un veicolo che avanzava nella nostra direzione. Holmes ebbe un'esclamazione d'impazienza. «Ho calcolato un margine di mezz'ora», disse. «Se quello laggiù è il suo calessino, vuol dire che la nostra cliente intende pren-

dere il treno che parte prima. Ho paura, Watson, che avrà superato Charlington prima che noi possiamo incontrarla.» Appena superato il dosso il veicolo scomparve alla nostra vista ma procedemmo talmente in fretta che la mia vita sedentaria cominciò a far sentire i suoi effetti e fui costretto a rimanere indietro. Holmes invece era sempre allenato, grazie alle sue inesauribili fonti di energia nervosa. Non rallentò mai il passo fino a che, improvvisamente, quando era a un centinaio di metri davanti a me, si fermò alzando le braccia in un gesto di rabbia e disperazione. Nello stesso istante un calessino vuoto tirato da un cavallo al piccolo galoppo, con le redini che strisciavano per terra, apparve alla curva della strada avanzando rapidamente verso di noi. «Troppo tardi, Watson, troppo tardi!» esclamò Holmes mentre lo raggiungevo di corsa, col fiato grosso. «Che stupido sono stato a non pensare al treno anticipato! Si tratta di rapimento, Watson - rapimento! Omicidio! Dio solo sa che! Blocchi la strada! Fermi il cavallo! Sì, così. Adesso saliamo, presto, e vediamo se posso rimediare al mio errore.»

Saltammo sul calessino e Holmes, girato il cavallo, gli diede un violenta frustata e filammo a tutta velocità lungo la strada. Girando la curva, ci si parò davanti l'intero tratto di strada fra la Hall e la brughiera. Afferrai Holmes per un braccio. «Eccolo là!», gridai ansimando. Un ciclista solitario pedalava verso di noi. Teneva la testa bassa e la schiena curva, spingendo con tutte le sue forze. Correva sulla sua bicicletta come un campione. Improvvisamente alzò il viso barbuto, ci vide così vicini e bloccò la bicicletta saltando giù dal sellino. La barba nera come l'inchiostro contrastava stranamente con il pallore del volto e gli occhi gli ardevano come avesse la febbre. Guardò ad occhi sgranati noi e il calessino. Poi un'espressione di stupore gli si dipinse in viso. «Ehi! Fermatevi!», gridò bloccandoci la strada con la bicicletta. «Dove avete preso quel calesse? Fermi!» urlò tirando fuori di tasca una pistola. «Fermi vi dico, o per Giove pianto un proiettile in testa al cavallo.» Holmes mi gettò in grembo le redini, saltando giù dal calesse. «Lei è proprio la persona che cercavamo. Dov'è la signorina Violet Smith?», disse con il suo tono rapido e tagliente. «E quello che chiedo a voi. Quel calessino è suo. Dovreste sapere dov'è.» «Abbiamo incontrato il calessino per la strada. Era vuoto. Siamo tornati indietro per aiutare la signorina.» «Mio Dio! Mio Dio! Che faccio adesso?», gridò angosciato lo sconosciuto. «L'hanno presa, quel demonio di Woodley e quella canaglia del parroco. Andiamo, venga, se è davvero un suo amico. Rimanga con me e la salveremo, anche se dovessi rimetterci la pelle qui a Charlington Wood.» Pistola in pugno, corse disperato verso un varco nella siepe. Holmes lo seguì e io, lasciando il cavallo a brucare sul ciglio della strada, seguii Holmes. «Ecco da dove sono passati», disse indicando numerose impronte sul sentiero fangoso. «Un momento! Aspettate un momento! Chi c'è nel cespuglio?» Si trattava di un ragazzo sui diciassette anni, vestito come uno stalliere, con pantaloni e uose di pelle. Era disteso supino, con le ginocchia alzate e una bruttissima ferita al capo. Era privo di sensi, ma vivo. Diedi un'occhiata alla ferita e vidi che non aveva leso l'osso. «È Peter, lo stalliere», esclamò lo sconosciuto.«Guidava lui il calesse. Quelle canaglie l'hanno tirato giù e gli hanno dato una botta in testa. Lasciamolo qui; non possiamo fare niente per lui ma possiamo salvare lei dalla sorte peggiore che possa toccare a una donna.»

Corremmo a perdifiato lungo il sentiero fra gli alberi. Aveva-

mo raggiunto il boschetto che circondava la casa quando Holmes si arrestò. «Non si sono diretti verso la casa. Ecco le loro impronte qui, a sinistra - qui, accanto al cespuglio di alloro. Ah! L'avevo detto.» Mentre parlava, il grido acuto di una donna - un grido di angoscia e di orrore - risuonò dalla folta massa verde dei cespugli di fronte a noi, e si spense di colpo sul tono più alto con un gorgoglio soffocato. «Di qui, da questa parte! Sono nel punto dove c'è la corsia per giocare a birilli», esclamò lo sconosciuto lanciandosi attraverso i cespugli. «Maledetti vigliacchi! Seguitemi, signori! Troppo tardi! Troppo tardi! Per la miseria.» Eravamo improvvisamente sbucati in una splendida radura erbosa circondata da antiche piante. All'estremità, sotto l'ombra di una maestosa quercia, c'era uno strano gruppetto di tre persone. Una era una donna, la nostra cliente, semisvenuta e imbavagliata. Di fronte a lei un giovane, un bestione dal volto massiccio e i baffi rossi, a gambe larghe, una mano sul fianco e l'altra che brandiva un frustino; tutto il suo aspetto suggeriva una spavalderia trionfante. Fra i due, un uomo anziano dalla barba grigia che indossava una corta cotta su un abito di tweed chiaro, aveva ovviamente appena terminato la cerimonia nuziale perché, mentre arrivavamo noi, si mise in tasca il breviario dando una pacca sulla schiena al bieco sposo, in gesto di gioviale congratulazione. «Sono sposati?», balbettai. «Andiamo! » gridò la nostra guida; «andiamo!» attraversò di corsa la radura, con Holmes e me alle calcagna. Williamson, l'ex-prete, si inchinò con ironica cortesia e quel bravaccio di Woodley, avanzò verso di noi con una sonora risata, di bestiale esultanza. «Puoi pure toglierti quella barba, Bob», disse. «Tanto, ti riconosco benissimo. Tu e i tuoi compari siete arrivati giusto in tempo perché io possa presentarvi la signora Woodley.» Per tutta risposta, il nostro accompagnatore si strappò la barba nera con cui si era camuffato e la gettò per terra, rivelando un viso magro e glabro. Poi alzò la pistola puntandola contro il giovane furfante che avanzava verso di lui roteando minacciosamente il frustino. «Sì», disse il nostro alleato, «sono proprio Bob Carruthers, e farò in modo che sia resa giustizia a questa donna, anche se dovessi finire sulla forca. Ti avevo avvisato di ciò che avrei fatto se

tu l'avessi importunata e, per tutti i Santi! Manterrò la mia parola.» «Troppo tardi. È mia moglie.» «No, è la tua vedova.» La pistola sparò e vidi il sangue sgorgare dal panciotto di Woodley. Girò su se stesso con un grido poi ricadde supino, mentre quel suo repellente faccione rosso si illividiva d'improvviso. Il vecchio, con la cotta ancora addosso, esplose in una sfilza di bestemmie quali non avevo mai sentito e tirò fuori una pistola, a sua volta ma, prima che potesse puntarla, si trovò davanti al naso la canna del revolver di Holmes. «Adesso basta», disse freddamente il mio amico. «Butti quella pistola! Watson, la raccolga! Gliela punti alla testa! Grazie. Lei, Carruthers, mi consegni la sua. Basta con la violenza. Andiamo, me la dia!» «Ma lei chi è?» «Il mio nome è Sherlock Holmes.» «Santo cielo! » «Vedo che ha sentito parlare di me. Farò le veci della polizia ufficiale fino al loro arrivo. Ehi, tu!», gridò a un ragazzotto spaurito che era comparso sul bordo della radura. «Vieni qui. Porta questo biglietto a Farnham, a briglia sciolta.» Scarabocchiò qualche parola su un foglietto che strappò dal suo taccuino. «Consegnalo al sovrintendente della stazione di polizia. Fi-

no al suo arrivo, vi prendo tutti in custodia, io personalmente.» La forte e imperiosa personalità di Holmes dominava la tragica scena, e tutti erano ormai dei fantocci nelle sue mani. Williamson e Carruthers si trovarono a trasportare in casa il ferito, Woodley, ed io diedi il braccio alla ragazza terrorizzata. Il ferito fu adagiato sul letto e, dietro richiesta di Holmes, lo esaminai; andai poi a riferirgli quello che avevo trovato nella vecchia sala da pranzo, con gli arazzi alle pareti, dove stava seduto davanti ai suoi due prigionieri. «Se la caverà», dissi. «Cosa!», esclamò Carruthers balzando su dalla sedia. «Prima, salgo io a finirlo. Vuole dirmi che quella ragazza, quell'angelo, dovrà rimanere legata a Jack Woodley lo Sbruffone per tutta la vita?» «Di questo non si preoccupi», disse Holmes. «Ci sono due ottimi motivi per cui, in nessun caso, può essere sua moglie. In primo luogo, possiamo tranquillamente mettere in dubbio che il signor Williamson abbia la facoltà di celebrare un matrimonio.» «Sono stato ordinato sacerdote», protestò la vecchia canaglia.

«Ed è anche stato sospeso a divinis.» «Chi è stato una volta prete, lo rimane per sempre.» «Non credo proprio. E che mi dice della licenza?» «Avevamo la Licenza di matrimonio. Ce l'ho qui in tasca.» «Allora, l'avete ottenuta con l'inganno. Ma, in ogni caso, un matrimonio forzato non è un matrimonio bensì un crimine molto grave, come scoprirà ben presto. Se non mi sbaglio, avrà tempo di pensarci sopra per i prossimi dieci anni. In quanto a lei, Carruthers, avrebbe fatto meglio a tenere la pistola in tasca.» «Comincio a crederlo anch'io, signor Holmes, ma quando ho pensato a tutte le precauzioni che avevo preso per proteggere questa ragazza - l'amavo, signor Holmes, e per la prima volta in vita mia ho capito cos'è l'amore - sono quasi impazzito al pensiero che fosse nelle mani del peggior mascalzone e gradasso di tutto il Sud Africa - un individuo il cui nome suscita un sacro terrore da Kimberley fino a Johannesburg. Forse non ci crederà, signor Holmes, ma da quando quella ragazza è stata alle mie dipendenze mai, nemmeno una volta, l'ho lasciata passare davanti a questa casa, dove sapevo che erano in agguato questi mascalzoni, senza seguirla in bicicletta per accertarmi che non le succedesse nulla. Mi tenevo a distanza e mi ero messo una barba finta perché non mi riconoscesse, dato che è una brava ragazza, intelligente, e non sarebbe rimasta a lungo da me se avesse sospettato che la seguivo per le strade di campagna.» «Perché non l'ha informata del pericolo?» «Perché, anche in quel caso, se ne sarebbe andata e non potevo sopportare l'idea di non vederla più. Se non poteva amarmi, avevo almeno il conforto di vedere la sua figurina che girava per casa, di sentire il suono della sua voce.» «Be'», lo interruppi, «lei lo chiama amore, signor Carruthers, ma io lo chiamerei egoismo.» «Forse i due sentimenti vanno di pari passo. Comunque, non potevo lasciarla andare. Inoltre, con questa gentaglia nelle vicinanze, doveva avere qualcuno vicino che si prendesse cura di lei. Poi, quando arrivò il telegramma, seppi che avrebbero dovuto agire.» «Quale telegramma?» Carruthers tolse di tasca un foglio. «Questo», disse. Era breve e conciso: IL VECCHIO È MORTO «Hum!», brontolò Holmes. «Ora capisco cosa è successo e

posso facilmente comprendere come questo messaggio li abbia

costretti, come ha detto lei, a prendere una decisione. Mentre aspettiamo, potrebbe raccontarmi quello che sa.» Il vecchio reprobo con la cotta esplose in una raffica di imprecazioni. «Per tutti i diavoli! », disse, «Se canti sul conto nostro, Bob, ti sistemo come tu hai sistemato Jack Woodley. Biatera quanto ti pare sulla ragazza, quelli sono affari tuoi, ma se fai la spia sui tuoi compagni a questo piedipiatti in borghese, vedrai quello che ti capita.» «Non si agiti, reverendo», osservò Holmes accendendosi una sigaretta. «Le accuse a suo carico sono abbastanza chiare; chiedo solo qualche dettaglio, per mia curiosità personale. In ogni modo, se ci sono difficoltà a che parli lei, parlerò io, così vedrà quante speranze ha di poter tenere nascosti i suoi segreti. In primo luogo, per questo giochetto siete venuti in tre dal Sud Africa - lei, Williamson, lei, Carruthers, e Woodley.» «Errore numero uno», ribatté il vecchio. «Fino a due mesi fa non avevo mai visto nessuno dei due e non ho mai messo piede in Africa, quindi, prenda e porti a casa, signor Impiccione!» «Sta dicendo la verità», confermò Carruthers. «Bene, bene, allora siete venuti in due. Sua Reverenza è il nostro campione locale. In Sud Africa avevate conosciuto Ralph Smith e avevate buoni motivi di pensare che non sarebbe vissuto molto a lungo. Avete scoperto che la nipote avrebbe ereditato il suo patrimonio. Allora, come sto procedendo - eh?» Carruthers annuì col capo e Williamson bestemmiò. «Era la parente più prossima e sapevate che il vecchio non voleva fare testamento.» «Non sapeva né leggere né scrivere», disse Carruthers. «Così, voi due siete venuti qui per dar la caccia alla ragazza. Il piano era che uno di voi l'avrebbe sposata e l'altro si sarebbe preso una fetta della torta. Per qualche motivo, Woodley fu scelto come il marito. Perché?» «Ce la siamo giocata a carte durante il viaggio. Ha vinto lui.» «Capisco. Lei ha assunto la ragazza e Woodley doveva farle la corte. Ma la signorina ha capito che razza di canaglia e di ubriacone fosse e non ne ha voluto sapere. Frattanto, i vostri piani stavano andando un po' a rotoli perché lei si era innamorata della ragazza. Non poteva più sopportare l'idea che finisse in braccio a questo farabutto?» «No, per Giove, non potevo proprio!» «Avete litigato. Woodley se n'è andato furibondo e ha cominciato a fare i suoi piani, indipendentemente da lei.»

«Ho l'impressione, Williamson, che non ci sia molto che possiamo dire a questo signore», esclamò Carruthers con una risata amara. «Sì, abbiamo litigato e mi ha preso a pugni. Comunque, almeno in questo adesso siamo pari. Poi lo persi di vista. E fu allora che si mise con questo spretato. Scoprii che erano andati ad abitare insieme in questo posto, davanti al quale la signorina doveva per forza passare andando alla stazione. Da quel momento, la tenni d'occhio perché sapevo che c'era qualche diavoleria per l'aria. Ogni tanto mi vedevo con loro perché volevo scoprire cosa stessero tramando. Due giorni fa, Woodley venne a casa mia con questo telegramma che annunciava la morte di Ralph Smith. Mi chiese se volevo tener fede al patto. Risposi di no. Mi chiese se volevo sposare io la ragazza e dare a lui una parte dei soldi. Risposi che l'avrei fatto volentieri ma che la ragazza avrebbe rifiutato di sposarmi. "Intanto sposiamola," disse, "e dopo una settimana o due potrebbe pensarla diversamente." Risposi che non volevo assolutamente fare ricorso alla violenza. Se ne andò bestemmiando, da quello sboccato mascalzone che è, giurando che se la sarebbe presa. La signorina mi avrebbe lasciato questo fine settimana e le avevo procurato un calesse per andare alla stazione, ma non mi sentivo affatto tranquillo e la seguii in bicicletta. Era già uscita da un po', però, e prima che potessi raggiungerla il misfatto era stato compiuto. Venni a saperlo solo quando vidi voi due signori che tornavate indietro col

suo calessino.» Holmes si alzò gettando la sigaretta nel caminetto. «Sono stato proprio ottuso, Watson», disse. «Quando nel suo rapporto lei mi ha detto di aver visto il ciclista aggiustarsi - così lei credeva - la cravatta nel boschetto, solo da quello avrei dovuto capire tutto. In ogni modo, possiamo sentirci soddisfatti per aver risolto un caso insolito e, sotto certi aspetti, unico. Vedo sul viale tre poliziotti di contea e noto con piacere che il nostro giovane stalliere riesce a tenere il passo con loro; quindi è probabile che né lui né il nostro sposo novello debbano riportare danni permanenti dalle loro vicende mattutine. Credo che lei, Watson, come medico, dovrebbe andare dalla signorina Smith e dirle che, se si sente abbastanza in forze, saremo felici di accompagnarla a casa da sua madre. Se ancora non si è del tutto ripresa, vedrà che le basterà accennare alla nostra intenzione di telegrafare a un giovane elettrotecnico dei Midlands, per guarirla completamente. In quanto a lei, signor Carruthers, ritengo lei abbia fatto quanto poteva per riscattare la sua partecipazione a un complotto così malvagio. Ecco il mio biglietto e, se la mia testimonianza potrà esserle di aiuto al processo, sarò a sua disposizione.»

Nel vortice della nostra incessante attività mi è stato spesso difficile, come il lettore avrà probabilmente notato, concludere i miei racconti e fornire quei pochi, ultimi dettagli necessari ad appagare la curiosità. Ogni caso è stato preludio di un altro e, una volta risolto, i protagonisti sono scomparsi per sempre dalla nostra vita. Trovo però una breve nota, alla fine del mio manoscritto relativo a questo caso: la signorina Violet Smith ha effettivamente ereditato un'ingente fortuna e ora è la moglie di Cyril Morton, socio anziano della Morton & Kennedy, la famosa Compagnia Elettrica di Westminster. Williamson e Woodley vennero processati per rapimento e lesioni volontarie; il primo fu condannato a sette anni, il secondo a dieci. Non trovo nessun appunto sulla sorte di Carruthers ma sono sicuro che la Corte è stata piuttosto indulgente con lui dal momento che Woodley aveva fama di essere una pericolosissima canaglia, e credo che se la sia cavata con pochi mesi di carcere. Next Page

L'avventura del maestro di scuola Il nostro piccolo palcoscenico di Baker Street è stato testimonio di molti ingressi e molte uscite spettacolari, ma non ricordo niente di più improvviso e sconcertante della prima apparizione di Thorneycroft Huxtable, M.A., Ph. D., ecc. Il suo biglietto da visita, che appariva troppo piccolo per reggere il peso di tutti i suoi titoli accademici, lo aveva preceduto di qualche secondo; poi entrò lui in persona - così imponente, pomposo e dignitoso da essere l'incarnazione dell'autocontrollo e della solidità. Eppure, appena la porta si chiuse dietro di lui, il suo primo gesto fu quello di barcollare contro il tavolo e scivolare sul pavimento: ed ecco lì quella figura maestosa accasciata, priva di sensi, sulla pelle d'orso davanti al caminetto. Eravamo entrambi balzati in piedi e per qualche attimo restammo a guardare in silenzioso stupore quell'imponente relitto che faceva pensare a qualche subitanea e fatale tempesta al largo dell'oceano della vita. Poi Holmes si affrettò a mettergli un cuscino sotto la testa e io a cercare di fargli mandar giù un po' di brandy. Il massiccio viso bianco era solcato da rughe di inquietudine, e le pesanti borse sotto le palpebre chiuse avevano un colore plumbeo; la bocca semiaperta si incurvava malinconicamente agli angoli, i rotoli di grasso sotto il mento avevano bisogno di una rasatura. Colletto e camicia recavano le polverose tracce di un lungo viaggio e i capelli si rizzavano ispidi e scompigliati sulla testa ben formata. Avevamo davanti un uomo vera-

mente sottoposto a dura prova. «Che è successo, Watson?» chiese Holmes. «Spossatezza totale - forse anche solo fame e stanchezza», dissi sentendogli il polso di cui si percepiva a stento il battito leggero. «Un biglietto di andata e ritorno per Mackleton, nel nord dell'Inghilterra», disse Holmes tirandolo fuori dal taschino del panciotto; «Non è ancora mezzogiorno. Dev'essere partito prestissimo.» Le palpebre raggrinzite avevano cominciato a tremolare e adesso due occhi grigi dallo sguardo vacuo ci fissavano. Un atti-

mo dopo l'uomo si era faticosamente rialzato, avvampando di vergogna. «Perdoni questa debolezza, signor Holmes, sono stato sovraccarico di lavoro. Grazie, se potessi avere un bicchiere di latte e un biscotto sono certo che mi sentirei meglio. Sono venuto di persona, signor Holmes, per essere sicuro di riportarla indietro con me. Temevo che un telegramma non sarebbe stato suffidente a convincerla dell'estrema urgenza del caso.» «Quando si sarà ripreso...» «Ora mi sento bene. Non riesco a immaginare come mi sia potuto accadere. Signor Holmes, desidero che lei venga a Mackleton con me, col prossimo treno.» Holmes scosse la testa. «Come può confermare il mio collega, il dottor Watson, in questo periodo siamo oberati di lavoro. Mi sto occupando della faccenda dei Documenti Ferrers e sta per avere inizio il processo per l'omicidio di Abergavenny. Solo una questione di grande importanza potrebbe allontanarmi da Londra in questo momento.» «Di grande importanza!», il nostro visitatore alzò le braccia al cielo. «Ma non ha saputo del rapimento dell'unico figlio del duca di Holdernesse?» «Cosa? L'ex ministro di Gabinetto?» «Proprio lui. Abbiamo cercato di tenere lontana la stampa ma ieri sera c'era qualche accenno nel Globe. Pensavo ne avesse sentito parlare.» Holmes allungò il braccio sottile a prendere il volume «H» nel suo enciclopedico schedario di riferimenti. «Holdernesse, sesto duca K.G., P.C.,... mezzo alfabeto! "barone Beverley, conte di Carston"... mamma mia, che sfilza! "luogotenente di Contea nell'Hallamshire dal 1900. Coniugato con Edith, figlia di Sir Charles Appledore, 1888. Erede ed unico figlio, Lord Saltire. Proprietario di circa 250.000 acri. Proprietà minerarie nel Lancashire e nel Galles. Indirizzo: Carlton House Terrace; Holdernesse Hall, Hallamshire; Carston Castie, Bangor, Galles. Lord dell'Ammiragliato, 1872; primo segretario di Stato per..." Bene, bene, uno dei sudditi più eminenti di Sua Maestà!» «Il più eminente e probabilmente il più ricco. Conosco la sua assoluta serietà professionale, signor Holmes, e so che è disposto a lavorare per amore del lavoro. Posso dirle che Sua Grazia ha già fatto sapere che un assegno di cinquemila sterline verrà consegnato a chi saprà indicargli dove si trova suo figlio, e un al-

tro assegno per mille sterline a chi potrà fare il nome dell'uomo, o degli uomini, che lo hanno rapito.» «Un'offerta principesca», disse Holmes. «Watson, credo che dovremo accompagnare il dottor Huxtable nel nord dell'Inghilterra. E adesso dottor Huxtable, quando ha finito il suo latte, vorrà avere la cortesia di raccontarmi cosa, quando e come è successo e, infine, che ha a che fare con questa faccenda il dottor Thorneycroft Huxtable, della Priory School vicino a Mackleton e perché viene qui tre giorni dopo l'accaduto - lo vedo dalle condizioni del suo mento - a chiedere i miei umili servigi.» Il nostro ospite aveva finito il suo latte con i biscotti. Gli occhi

avevano ripreso luce e le guance colore; si accinse dunque a spiegarci la situazione con grande vigore e lucidità. «Devo informarvi, signori, che la mia è una scuola preparato~ ria, di cui sono fondatore e direttore. Forse l'Huxtable Sidelights on Horace1 richiamerà alla vostra memoria il mio nome. La mia scuola, la Priory School è, senza eccezione, la migliore e più selettiva scuola elementare inglese. Lord Leverstoke, il conte di Blackwater, Sir Cathcart Soames - tutti mi hanno affidato i loro figli. Ma sentii che il mio istituto aveva toccato il vertice quando, tre settimane fa, il duca di Holdernesse mandò il signor James Wilder, il suo segretario, a comunicarmi che il giovane Lord Saltire, di dieci anni, suo unico figlio ed erede, sarebbe stato affidato alle mie cure. Non pensavo certo che quello sarebbe stato il preludio alla peggior disgrazia della mia vita. Il bambino arrivò il primo maggio, per l'inizio del trimestre estivo. Un delizioso ragazzino che non ebbe difficoltà ad adattarsi. Posso dirle - mi auguro di non essere indiscreto ma in un caso simile le mezze confidenze sono assurde - che non era molto felice in famiglia. È un "segreto" di pubblico dominio che il matrimonio del duca non è stato molto tranquillo e si è concluso con una separazione consensuale; la duchessa è andata a vivere nel sud della Francia. Tutto questo era avvenuto poco tempo prima, e pare che il bambino fosse molto legato a sua madre. Dopo la sua partenza da Holdernesse Hall si era intristito e per questo motivo il duca desiderava mandarlo da me. Dopo nemmeno quindici giorni il ragazzo si trovava perfettamente a suo agio con noi e sembrava felicissimo. L'ultima volta è stato visto la notte del 13 maggio - vale a dire la notte di lunedì scorso. La sua stanza era al secondo piano e per entrarci bisognava attraversare un'altra stanza più grande, 1Chiarimenti

su Orazio di T. Huxtable (N. d. T.).

dove dormivano due ragazzi. Questi non hanno visto né sentito niente e quindi sicuramente il giovane Saltire non è passato di là. La sua finestra era aperta e accanto ad essa c'è una robusta pianta d'edera che sale su dal basso. A terra non abbiamo trovato impronte ma quella è l'unica possibile via d'uscita. La sua assenza fu scoperta alle sette di martedì mattina. Il letto era disfatto. Prima di andarsene, si era vestito da capo a piedi con la solita uniforme scolastica - giacchetta nera a vita e pantaloni grigio scuro. Non c'erano segni a indicare che qualcuno fosse penetrato nella stanza ed è assolutamente certo che eventuali grida o rumori di lotta sarebbero stati sentiti poiché Caunter, il ragazzo più grande che dorme nella stanza di passaggio, ha il sonno molto leggero. Quando fu scoperta la scomparsa di Lord Saltire, feci immediatamente l'appello di tutti i presenti - ragazzi, insegnanti e domestici. Fu allora che ci accorgemmo che Lord Saltire non era fuggito da solo. All'appello mancava anche Heidegger, l'insegnante tedesco, la cui stanza era al secondo piano, all'estremità dell'edificio, rivolta dalla stessa parte su cui dava la stanza di Lord Saltire. Anche il suo letto era disfatto ma sembrava che si fosse allontanato vestito solo a metà, dal momento che la sua camicia e le sue calze erano sul pavimento. Senza dubbio, si era calato aggrappandosi all'edera perché abbiamo trovato le impronte dei suoi piedi nel punto dove era atterrato sul prato. In un capanno accanto al prato teneva la sua bicicletta, e anche questa era sparita. Heidegger era con me da due anni e si era presentato con le migliori referenze, ma era un tipo scontroso e introverso, non molto popolare fra gli insegnanti o i ragazzi. Dei fuggiaschi non si è trovata nessuna traccia e oggi, giovedì mattina, non ne sappiamo più di quanto ne sapessimo martedì. Naturalmente, furono subito fatte delle ricerche a Holdernesse Hall. Dista solo poche miglia e abbiamo pensato che, per un improvviso attacco di nostalgia, il ragazzo fosse tornato da suo padre; ma nessuno l'a-

veva visto né sentito. Il duca è agitatissimo e, in quanto a me, avete visto voi stessi in quale stato di prostrazione sono ridotto, per l'ansia e la responsabilità. Se mai lei ha chiamato a raccolta tutte le sue risorse, signor Holmes, la scongiuro di farlo adesso perché mai nella sua vita le capiterà una situazione in cui ce ne sia maggior bisogno.» Holmes aveva ascoltato con grande interesse il racconto dello sfortunato pedagogo. Le sopracciglia aggrottate in un profondo solco indicavano che non era necessario esortarlo a concentrare la sua attenzione su un problema che, a parte le gravi impli-

cazioni, attizzava senza dubbio la sua passione per le complicazioni e l'eccezionalità. Tirò fuori il suo taccuino e prese qualche appunto. «È davvero imperdonabile che lei non sia venuto prima da me», disse severamente. «Così facendo, mi costringe ad avviare le mie indagini con un pesante handicap. Per esempio, è inconcepibile che l'edera e il prato non potessero fornire informazioni a un osservatore esperto.» «Non è stata colpa mia, signor Holmes. Sua Grazia voleva assolutamente evitare uno scandalo pubblico. Temeva infatti che le sfortunate vicende di famiglia venissero date in pasto al pubblico. Ha orrore di questo genere di cose.» «Ma ci sono state indagini ufficiali?» «Sì, e totalmente infruttuose. In un primo tempo sembrava che si fosse trovata una pista, poiché era giunta voce che un ragazzo e un giovanotto fossero stati visti salire su un treno del mattino, in una stazione nelle vicinanze. Ieri sera, ci hanno comunicato che i due erano stati rintracciati a Liverpool ma avevano potuto dimostrare di non avere assolutamente nulla a che fare con la nostra vicenda. È stato allora che, disperato e deluso, dopo una notte insonne, sono venuto da lei col primo treno.» «Suppongo che mentre si stava seguendo quella pista le indagini siano state abbandonate?» «Completamente.» «E così abbiamo sprecato tre giorni. L'intera vicenda è stata condotta in maniera veramente deplorevole.» «Sono pienamente d'accordo con lei.» «Eppure, è un problema senz'altro risolvibile. Sarò lietissimo di occuparmene. Ha scoperto qualche collegamento fra il ragazzo scomparso e l'insegnante tedesco?» «Nessuno.» «Era nella sua classe?» «No; per quanto ne so, non si sono mai nemmeno parlati.» «Molto strano. Il ragazzo aveva una bicicletta?» «No.» «Sicuro?» «Sicurissimo.» «Be', non vorrà venire a dirmi che questo tedesco se n'è andato in bicicletta, nel cuore della notte, portandosi in braccio il ragazzo?» «No certo.» «Allora, qual è la sua ipotesi?» «La bicicletta potrebbe essere stata una falsa pista. Possono averla nascosta da qualche parte, andandosene a piedi.»

«D'accordo, ma non le sembra un sotterfugio piuttosto assurdo? C'erano altre biciclette nel capanno?» «Parecchie.» «In questo caso, se avesse voluto far credere che si erano allontanati in bicicletta, il maestro non ne avrebbe nascoste due?» «Suppongo di sì.» «Ma certo che è così. L'ipotesi della falsa pista non regge. Ma costituisce un ottimo punto di partenza per un'indagine. Dopo tutto, non è poi così facile nascondere o distruggere una bicicletta. Un'altra domanda. Qualcuno è venuto a trovare il ragazzo il giorno prima della scomparsa?»

«No.» «Ha ricevuto qualche lettera?» «Sì, una.» «Da chi?» «Dal padre.» «Lei apre la corrispondenza dei ragazzi?» «No.» «Come sa, allora, che era del padre?» «C'era lo stemma sulla busta e l'indirizzo era scritto nella tipica calligrafia spigolosa del duca. Inoltre, il duca stesso ricorda di averla scritta.» «E prima di allora, quando aveva ricevuto una lettera?» «Molti giorni prima.» «Ne ha mai ricevuto una dalla Francia?» «Mai.» «Lei capisce, naturalmente, il perché delle mie domande. O il ragazzo è stato portato via con la forza o se ne andato di sua spontanea volontà. E in questo caso ci si aspetterebbe una sollecitazione esterna per convincere un ragazzino così giovane a fare una cosa del genere. Se non ha ricevuto visite, la sollecitazione dev'essere arrivata per lettera; per questo sto cercando di scoprire chi gli scriveva.» «Non credo di poterla aiutare su questo punto. A quanto ne so, l'unica persona che gli scriveva era il padre.» «Che gli ha scritto il giorno stesso della sua scomparsa. Padre e figlio erano in rapporti molto amichevoli?» «Il duca non è mai molto amichevole con nessuno. È totalmente assorbito dai grandi problemi sociali e piuttosto refrattario alle emozioni comuni. Ma, a modo suo, è sempre stato gentile col ragazzo.» «Che, però, era più legato alla madre?» «Sì.» «Lo ha detto lui?»

«No.» «Il duca, allora?» «Santo ciclo, no!» «E allora lei come fa a saperlo?» «Ho avuto dei colloqui riservati col signor James Wilder, il segretario di Sua Grazia. È stato lui a informarmi dei sentimenti di Lord Saltire.» «Capisco. A proposito, quell'ultima lettera del duca - è stata trovata nella stanza del ragazzo, dopo la scomparsa?» «No, l'aveva portata con sé. Credo sia tempo di avviarci a Euston, signor Holmes.» «Ordinerò una carrozza. Fra un quarto d'ora saremo a sua disposizione. Se telegrafa a casa, signor Huixtable, sarebbe bene far credere ai suoi vicini che le investigazioni sono ancora in corso a Liverpool, o dovunque quella falsa pista abbia condotto la sua muta. Frattanto, condurrò qualche piccola ricerca sul posto e forse le tracce sono ancora abbastanza fresche perché due segugi come Watson e me riescano ancora a fiutarle.» Quella sera ci trovò nella fresca e corroborante atmosfera della campagna di Peak, dove sorge la famosa scuola del dottor Huxtable. Era già buio quando arrivammo. C'era un biglietto da visita sul tavolo e il maggiordomo sussurrò qualcosa al padrone che si rivolse verso di noi in preda a un'estrema agitazione. «Il duca è qui», disse. «Il duca e il signor Wìlder sono nello studio. Venite, signori, vi presenterò.» Naturalmente, avevo visto spesso fotografie del famoso statista, ma di persona era molto diverso da come appariva nelle immagini. Era un uomo alto e imponente, vestito con estrema cura, con un viso magro e tirato, e un lungo naso grottescamente ricurvo. La carnagione era pallidissima, in violento contrasto con una lunga barba a punta di un rosso acceso che gli scendeva sul panciotto bianco quasi nascondendo la catena dell'orologio. Tale era la solenne figura che ci squadrava gelidamente dal cen-

tro del tappeto. Al suo fianco c'era un uomo molto giovane che ci venne presentato come Wilder, il segretario privato. Un uomo minuto, nervoso, attento, con due intelligenti occhi azzurro chiaro e un volto mobile. Fu lui ad aprire la conversazione in tono incisivo e deciso. «Ero venuto questa mattina, dottor Huxtable, ma troppo tardi per impedirle di andare a Londra. Mi hanno detto che si proponeva di invitare il signor Sherlock Holmes ad assumere le indagini su questo caso. Sua Grazia è molto stupita, dottor Huxtable, che lei abbia preso una tale decisione senza prima consultarlo.» «Dal momento che la polizia aveva fallito...»

«Sua Grazia non è affatto del parere che la polizia abbia fallito.» «Ma, signor Wilder, senza dubbio...» «Lei sa molto bene, dr. Huxtable, che Sua Grazia desidera evitare ad ogni costo uno scandalo pubblico. Preferisce che il minor numero possibile di persone sia al corrente della cosa.» «A questo si rimedia facilmente», rispose intimidito il dottore; «il signor Sherlock Holmes può far ritorno a Londra col treno della mattina.» «Non credo proprio, dottore, non credo proprio», disse Holmes nel suo tono più affabile. «Quest'aria del nord è piacevole e tonificante, quindi mi propongo di trascorrere qualche giorno sulle vostre brughiere e occupare la mia mente come meglio posso. Naturalmente, sta a lei decidere se troverò rifugio sotto il suo tetto o sotto quello della locanda del villaggio.» Il povero dottore era evidentemente molto, molto indeciso ma, a salvarlo, risuonò la voce profonda e roboante del duca barbarossa, che tuonò come un gong. «Convengo col signor Wilder che lei, dottor Huxtable, avrebbe fatto meglio a consultarmi. Ma, dal momento che il signor Holmes è già stato messo al corrente della faccenda, sarebbe veramente assurdo se rinunciassimo a valerci dei suoi servigi. Non andrà affatto alla locanda, signor Holmes, ma sarò anzi lieto se vorrà alloggiare da me a Holdernesse Hall.» «Sono grato a Vostra Grazia. Ma per le mie indagini ritengo sarebbe più consigliabile che io rimanessi sulla scena del mistero.» «Come preferisce, signor Holmes. Qualsiasi informazione che il signor Wilder o io possiamo fornirle è, naturalmente, a sua disposizione.» «Probabilmente, sarà necessario che io venga a trovarla alla Hall», disse Holmes. «Per ora, signore, vorrei solo chiederle se lei ha qualche ipotesi circa la misteriosa scomparsa di suo figlio?» «No, signore, nessuna.» «Mi perdoni se accenno a qualcosa che le procura dispiacere, ma non ho alternativa. Pensa che la duchessa abbia qualcosa a che fare con questa faccenda?» Il grande ministro esitò visibilmente. «Non credo», disse alla fine. «L'altra spiegazione ovvia è che il bambino sia stato rapito per ottenere un riscatto. Non ha ricevuto richieste in questo senso?» «No, signore.»

«Un'altra domanda, Vostra Grazia. Mi risulta che lei abbia scritto a suo figlio il giorno dell'incidente.» «No, gli ho scritto il giorno prima.» «Esatto. Ma la lettera è arrivata proprio quel giorno?» «Sì.» «C'era in essa qualcosa che avrebbe potuto turbarlo o spingerlo a compiere un passo del genere?» «Assolutamente no.» «Ha impostato personalmente la lettera?» La risposta del gentiluomo fu interrotta dal segretario che si

intromise con una certa veemenza. «Sua Grazia non ha l'abitudine di impostare personalmente la sua corrispondenza», disse. «Quella lettera era insieme alle altre sulla scrivania e l'ho impostata io di persona.» «È sicuro che fosse con le altre lettere?» «Sì, l'ho notata.» «Quante lettere ha scritto Vostra Grazia quel giorno?» «Venti o trenta. Ho una voluminosa corrispondenza. Ma questo mi sembra un particolare irrilevante.» «Non del tutto», disse Holmes. «Per quanto mi riguarda», continuò il duca, «ho consigliato alla polizia di rivolgere le loro ricerche al sud della Francia. Come ho già detto, non ritengo che la duchessa avrebbe incoraggiato un gesto così mostruoso ma il ragazzo aveva delle opinioni totalmente errate, ed è possibile che sia corso dalla madre, con l'aiuto e la complicità di quel tedesco. Credo, dottor Huxtable, che ora faremo ritorno al maniero.» Potevo vedere che Holmes avrebbe voluto porgli altre domande, ma i modi bruschi del nobiluomo indicavano che il colloquio era terminato. Evidentemente, per la sua aristocratica natura, quella discussione sui suoi affari privati di famiglia era intollerabile e temeva che altre domande avrebbero fatto ancor più luce nei recessi discretamente avvolti nell'ombra della sua ducale storia. Dopo che lui e il segretario se ne furono andati, il mio amico, con la sua tipica energia, si lanciò immediatamente nelle indagini. La stanza del ragazzo fu esaminata attentamente ma l'unica cosa che venne messa in chiaro fu che era potuto uscire solo dalla finestra. Anche una perquisizione della stanza e degli effetti personali dell'insegnante tedesco non portò a niente di nuovo. Tranne il fatto che il tralcio d'edera aveva ceduto sotto il suo peso e, alla luce di una lanterna, si vedevano sul prato le tracce dove erano affondati i tacchi delle sue scarpe. Quell'impronta sul-

l'erba verde e rasata era l'unico indizio concreto di quell'inspiegabile fuga notturna. Holmes uscì da solo e rientrò dopo le undici. Si era procurato una grande mappa militare della zona, la portò nella sua stanza, la spiegò sul letto e, poggiando al centro la lampada, cominciò a studiarla, fumando la sua pipa e, ogni tanto, indicandone vari punti col cannello d'ambra. «Questo caso comincia ad affascinarmi, Watson», disse. «Decisamente, presenta degli aspetti molto interessanti. In questa prima fase voglio che lei tenga a mente quegli elementi geografici che possono avere una parte rilevante nelle nostre indagini. Osservi questa mappa. Il quadratino scuro è la Priory School. Lo segno con uno spillo. Questa linea è la strada principale. Come vede, si estende verso est e verso ovest a partire dalla scuola; e vede anche che non ci sono traverse per un miglio su entrambe le direzioni. Se quei due se ne sono andati lungo una strada, non può essere che questa.»

«Giustissimo.» «Per una strana e felice combinazione, siamo in grado di controllare fino a un certo punto chi è passato per questa strada durante la notte in questione. In questo punto, che indico con la pipa, c'era una guardia di turno da mezzanotte alle sei. Come noterà, si tratta del primo incrocio ad est. La guardia asserisce di non essersi mai mossa di lì, ed è certissimo che né un uomo né un bambino sarebbero potuti passare inosservati. Ho parlato questa sera con la guardia e mi ha dato l'impressione di una persona affidabilissima. Così, possiamo eliminare questa direzione. Ci rimane l'altra. Qui c'è una locanda, il Toro Rosso, la cui proprietaria era malata. Aveva mandato a chiamare un medico a Mackleton, ma il dottore arrivò solo la mattina perché era in visita a un altro paziente. Il personale della locanda è rimasto sveglio tutta la notte aspettandolo e tenendo sempre d'occhio la strada. Dicono tutti che non è passato nessuno. Se c'è da prestare fede alla loro testimonianza, possiamo eliminare anche il tratto ad ovest e quindi affermare che i fuggiaschi non hanno usato affatto la strada.» «Ma la bicicletta?», obiettai. «Appunto. Fra poco parleremo anche della bicicletta. Per continuare il nostro ragionamento: se non si sono serviti della strada devono essere passati attraverso i campi a nord o a sud della casa. Al sud, come vede, c'è un'ampia distesa di terreno coltivabile, suddiviso in piccoli appezzamenti separati da muretti di mattoni. E qui riconosco che è impossibile passare con una bicicletta. Possiamo scartare l'ipotesi. Esaminiamo allora la zona a nord. Qui c'è un boschetto, indicato col nome "Ragged Shaw" e, più in là, si stende la brughiera, Lower Gill Moor, per dieci miglia, in leggera salita. In questo punto, da una parte della landa, sorge Holdernesse Hall, a dieci miglia dalla strada ma solo a sei miglia attraverso la brughiera. È una distesa stranamente desolata. Ci sono delle piccole proprietà dove i contadini allevano pochi capi di bestiame ma, tranne questi, gli unici esseri viventi sono pivieri e chiurli, giù, fino alla strada maestra di Chesterfield. Lì, vede, c'è una chiesa, qualche cottage e una locanda. Al di là, la collina scende a picco. Senza dubbio, quindi, è a nord che dobbiamo cercare.» «Ma la bicicletta?», insistei. «D'accordo, d'accordo», rispose Holmes con impazienza.

«Un buon ciclista non ha bisogno di una strada provinciale. La brughiera è solcata da numerosi sentieri e c'era la luna piena. Be'! Che succede?» Sentimmo un frenetico bussare alla porta e un attimo dopo

entrò il dottor Huxtable tenendo in mano un berretto da cricket blu gallonato di bianco. «Finalmente un indizio!», esclamò. «Grazie a Dio! Finalmente siamo sulle tracce del bambino! È il suo berretto.» «Dove è stato trovato?» «Nel carrozzone degli zingari accampati sulla brughiera. Sono andati via martedì. Oggi la polizia li ha rintracciati e ha perquisito la carovana. Hanno trovato il berretto.» «Come l'hanno spiegato?» «Hanno tergiversato e mentito - hanno detto di averlo trovato nella brughiera martedì mattina. Quelle canaglie sanno dov'è! Grazie al cielo sono al sicuro, sottochiave. Se non la paura della legge, sarà la borsa del duca a cavar loro di bocca quello che sanno.» «Fin qui tutto bene», disse Holmes quando il dottore finalmente uscì dalla stanza. «Se non altro, conferma la nostra teoria che è dalla parte di Lower Gill Moor che dobbiamo cercare. In realtà, qui sul posto la polizia non ha fatto niente, se non arrestare gli zingari. Guardi qui, Watson! C'è un corso d'acqua attraverso la brughiera. Vede, è segnato sulla mappa. In alcuni punti si allarga fino a diventare una palude; specialmente nella zona fra Holdernesse Hall e la scuola. Con questo tempo asciutto, inutile cercare tracce altrove; ma in quel punto sicuramente avranno lasciato delle impronte. La chiamerò domattina presto e andremo a vedere se possiamo fare un po' di luce in questo mistero.» Stava appena albeggiando quando mi svegliai con l'alta ed esile figura di Holmes accanto al letto. Era vestito di tutto punto e, a quanto sembrava, era già uscito e rientrato. «Ho ispezionato il prato e il capanno delle biciclette», disse. «Ho anche dato un'occhiata al Ragged Shaw. Nella stanza accanto è pronto il cacao, Watson. La prego di fare in fretta perché ci aspetta una lunga giornata di lavoro.» Gli brillavano gli occhi, e le gote erano imporporate con la gioia dell'artista che vede il lavoro pronto davanti a sé. Un Holmes attivo, vigile, molto diverso dal pallido e introspettivo sognatore di Baker Street. Osservando la sua figura agile e slanciata, fremente di energia, capii che ci aspettava una giornata davvero stressante. Che però cominciò con un'amara delusione. Pieni di speranza, ci incamminammo sul terreno torboso e rossastro della brughiera, intersecato da una miriade di sentieri per le greggi, finché arrivammo all'ampia fascia verde chiaro che segnava la palude fra noi e Holdernesse. Senza dubbio, se il ragazzo si era diretto verso casa, doveva averlo attraversato e non

avrebbe potuto farlo senza lasciare delle tracce. Ma niente indicava che lui o il tedesco fossero passati di lì. Scuro in volto, il mio amico avanzava a grandi passi lungo il margine, osservando attentamente ogni macchia di fango sulla superficie muschiosa. C'erano una quantità di tracce di pecore e in un punto, poche miglia più in giù, anche tracce di mucche. Niente altro. «Scacco numero uno», disse Holmes osservando corrucciato la distesa ondulata della brughiera. «C'è un'altra palude, laggiù, e una strozzatura fra le due. Bene, bene, bene! Cos'abbiamo qui?» Eravamo giunti a uno stretto sentiero; nel bel mezzo, chiaramente impresse nel terreno bagnato, le impronte di ruote di bicicletta. «Evviva! », gridai. «Ci siamo.» Ma Holmes scuoteva il capo con espressione perplessa e speranzosa, più che gioiosa. «Senza dubbio una bicicletta, ma non quella bicicletta», dis-

se. «Conosco 42 diverse impronte di gomme. Queste, come vede, sono Dunlop, con una toppa sul rivestimento esterno. Quelle della bicicletta di Heidegger erano del tipo Palmer, con delle scanalature longitudinali. Aveling, l'insegnante di matematica è tassativo su questo punto. Quindi, non sono le impronte lasciate da Heidegger.» «Quelle del ragazzo, allora?» «È possibile, se riuscissimo a dimostrare che possedeva una bicicletta. Il che non siamo riusciti a fare. Questa impronta, come vede, è stata lasciata da qualcuno che pedalava venendo dalla parte della scuola.» «O dirigendosi verso di essa?» «No, no, caro Watson. La traccia più profonda è naturalmente quella della ruota posteriore dove grava il peso. Noti come, in vari punti, abbia attraversato e cancellato l'impronta meno profonda di quella anteriore. Senza alcun dubbio, si stava allontanando dalla scuola. Può essere collegata o meno alla nostra indagine comunque, prima di andare oltre, la seguiremo nella direzione inversa.» Così facemmo e, dopo poche centinaia di metri, perdemmo le tracce emergendo dall'area bagnata della brughiera. Seguendo il sentiero a ritroso trovammo un altro punto in cui il terreno era inumidito da una piccola sorgente e qui ritrovammo l'impronta della bicicletta, pur se mezza cancellata dagli zoccoli del bestiame. Le tracce finivano lì, ma il sentiero conduceva direttamente a Ragged Shaw, il bosco alle spalle della scuola. Da quel bosco doveva essere uscita la bicicletta. Holmes si sedette su un masso,

col mento nella mano. Avevo finito di fumare due sigarette prima che si riscuotesse dai suoi pensieri. «Bene, bene», disse alla fine. «Certo, un uomo astuto potrebbe benissimo cambiare le gomme della bicicletta per confondere le tracce. Un criminale capace di pensare a una cosa del genere sarebbe una persona con cui sarei fiero di lavorare. Per ora, lasciamo la cosa in sospeso e torniamocene alla nostra palude, perché c'è ancora molto da esplorare.» Continuammo a ispezionare sistematicamente il margine della zona bagnata della brughiera e presto la nostra costanza fu brillantemente ricompensata. Proprio attraverso il fondo dell'acquitrino c'era un sentiero melmoso. Con un grido di gioia Holmes si accostò. Al centro, si stagliava una traccia simile a un sottile groviglio di cavi telegrafici. L'impronta di pneumatici Palmer. «Ecco qui il nostro Herr Heidegger, non c'è dubbio!», esclamò esultante Holmes. «A quanto pare, Watson, il mio ragionamento non faceva una piega.» «Congratulazioni.» «Ma abbiamo ancora molta strada da fare. Faccia attenzione a non calpestare il sentiero. Ora seguiamo le tracce. Temo che non ci porteranno molto lontano.» Avanzando in quel punto della brughiera scoprimmo che è cosparsa di zone dove il terreno è più morbido e, anche se spesso smarrivamo le tracce, riuscivamo poi sempre a ritrovarle. «Ha notato», chiese Holmes, «che il nostro ciclista sta forzando il passo? Non c'è alcun dubbio in proposito. Osservi questa impronta, che mostra chiaramente entrambe le ruote. Presentano la stessa profondità. Il che può solo indicare che il ciclista ha spostato il peso sul manubrio, come si fa quando si vuole accelerare. Per Giove! è caduto! » Alcuni metri di terreno erano coperti da una larga chiazza irregolare. Poi seguivano alcune impronte di passi, e poi, di nuovo, le due ruote. «Una slittata», suggerii. Holmes aveva raccolto un ramo calpestato di ginestra in fiore. Con orrore mi resi conto che i petali gialli erano spruzzati di scarlatto. Anche sul sentiero e fra l'erica si vedevano macchie scure di sangue coagulato. «Brutto affare!», disse Holmes. «Brutto affare! Stia attento,

Watson! Non deve lasciare la minima impronta. Cosa mi dicono queste macchie? È caduto, ferito - si è rialzato - è risalito in bicicletta - ha proseguito. Ma non ci sono altre impronte. Solo bestiame, in questo sentiero laterale. Potrebbe essere stato

incornato da un toro? Impossibile! Ma non vedo altre tracce. Andiamo avanti, Watson. Ora che a guidarci abbiamo non solo le impronte ma le macchie di sangue, non può sfuggirci.» Non dovemmo cercare a lungo. Le impronte delle gomme cominciarono a compiere strane giravolte sul terreno bagnato e lucido del sentiero. D'improvviso, guardando avanti, mi colpì uno scintillio metallico fra i cespugli di ginestra. Ne tirammo fuori una bicicletta, con le gomme Palmer, un pedale storto e la parte anteriore orribilmente coperta di sangue. Dall'altra parte dei cespugli, sbucava una scarpa. Facemmo di corsa il giro ed ecco lì il povero ciclista che giaceva al suolo. Era un uomo alto, con la barba, e gli occhiali, di cui una lente era saltata via per un colpo. A causare la morte era stato un tremendo colpo in testa che gli aveva in parte sfondato il cranio. Che fosse riuscito ad andare avanti dopo un colpo del genere, la diceva lunga sulla vitalità e il coraggio della vittima. Indossava le scarpe ma non i calzini, e sotto il cappotto aperto si vedeva la camicia da notte. Senza dubbio si trattava dell'insegnante tedesco. Holmes girò con delicatezza il corpo, esaminandolo attentamente. Poi si sedette per un po' di tempo a riflettere e, dalla sua fronte corrugata, capii che quella macabra scoperta non ci aveva fatto compiere, secondo lui, grandi passi avanti nell'indagine. «Sono incerto sul da farsi, Watson», disse alla fine. «Il mio istinto sarebbe quello di proseguire nelle ricerche dato che abbiamo già perso molto tempo e non possiamo permetterci di perdere nemmeno un'altra ora. D'altro canto, dobbiamo informare la polizia della scoperta e far sì che qualcuno si prenda cura del cadavere di questo disgraziato.» «Potrei tornare io indietro con un biglietto.» «Ma io ho bisogno della sua compagnia e del suo aiuto. Aspetti un attimo! Laggiù c'è un tizio che sta tagliando della torba. Lo porti qui; sarà lui a guidare la polizia.» Accompagnai da lui il contadino, molto spaventato, e Holmes lo spedì dal dottor Huxtable con un biglietto. «Dunque, Watson», continuò, «questa mattina abbiamo raccolto due indizi. Uno, la bicicletta con le gomme Palmer, e abbiamo visto dove ci ha condotto. L'altro, è la bicicletta con la gomma Dunlop rappezzata. Prima di occuparci di quella, vediamo cosa realmente sappiamo così da trarne il massimo vantaggio e separare l'essenziale dal marginale.» «Per prima cosa, voglio che lei tenga bene a mente che sicuramente il ragazzo se n'è andato di sua spontanea volontà. Si è ca-

lato dalla finestra e se l'è squagliata, da solo o con qualcun altro. Questo è sicuro.» Feci un cenno di assenso. «Veniamo ora a questo povero insegnante tedesco. Quando è scappato, il ragazzo era completamente vestito. Quindi, aveva progettato la fuga. Ma il tedesco è uscito senza calze. Quindi ha agito d'impulso.» «Sicuramente.» «Perché è uscito? Perché, dalla finestra della sua stanza, aveva assistito alla fuga del ragazzo; perché voleva raggiungerlo e riportarlo indietro. Ha preso la bicicletta, si è messo a inseguire il ragazzo e quell'inseguimento lo ha condotto alla morte.» «Così sembrerebbe.» «E adesso arrivo al punto critico della mia teoria. Il gesto naturale per un uomo che insegue un ragazzino sarebbe quello di corrergli dietro, sapendo di poterlo facilmente raggiungere. Ma il tedesco agisce diversamente. Prende la bicicletta. Mi dicono che era un ottimo ciclista. Non l'avrebbe presa se non avesse vi-

sto che il ragazzo aveva qualcosa che gli consentiva una rapida fuga.» «L'altra bicicletta.» «Proseguiamo nella nostra ricostruzione dei fatti. L'insegnante viene ucciso a cinque miglia dalla scuola - e, badi bene, non da un proiettile che, tutto sommato, anche un ragazzino potrebbe sparare, bensì da un colpo violentissimo inferto da una persona vigorosa. Il ragazzo, quindi, aveva un compagno di fuga. E si era trattato di una fuga molto veloce, perché ci sono volute cinque miglia prima che un esperto ciclista potesse raggiungerli. Abbiamo esaminato il terreno intorno al teatro della tragedia. Ma che abbiamo trovato? Poche tracce di bestiame, e niente altro. Ho fatto un largo giro e non c'è nessun sentiero nel raggio di cinquanta metri. Non c'è quindi un altro ciclista che avrebbe potuto avere a che fare con l'omicidio, e non ci sono impronte di piedi umani.» «Ma, Holmes», esclamai, «questo è impossibile!» «Eccellente! », disse. «Un'osservazione estremamente chiarificatrice. Come l'ho descritta io, la cosa è impossibile, quindi, sotto qualche aspetto, l'ho descritta erroneamente. Pure, ha visto anche lei con i suoi occhi. Può suggerirmi dov'è lo sbaglio?» «Non potrebbe essersi fratturato il cranio cadendo?» «In un acquitrino, Watson?» «Non capisco proprio.» «Via, via, abbiamo risolto problemi peggiori. Se non altro, disponiamo di molto materiale, se solo sapremo servircene.

Adesso che abbiamo esaurito il mistero delle gomme Palmer, andiamo a vedere cosa ha da offrirci la ruota Dunlop rappezzata.» Riprendemmo le tracce seguendole fino a una certa distanza, ma ben presto la brughiera salì in un dosso ricoperto di erica e ci lasciammo dietro il corso d'acqua. Non c'era da sperare in altre tracce che potessero aiutarci. Dal punto in cui avevamo visto le ultime tracce del pneumatico Dunlop, si poteva andare sia a Holdernesse Hall, le cui imponenti torri svettavano a distanza di qualche miglio sulla nostra sinistra, oppure a un villaggio grigio, giù in basso davanti a noi, che segnava la posizione della strada statale di Chesterfield. Mentre ci avvicinavamo alla locanda, inospitale e squallida, con l'insegna di un gallo da combattimento sulla porta, Holmes diede improvvisamente un gemito, afferrandomi la spalla per non cadere. Si era preso una tremenda storta alla caviglia, di quelle che bloccano una persona. Con difficoltà, arrivò zoppicando fino alla porta dove un tipo anziano, tozzo e scuro di carnagione stava fumando una pipa nera di gesso. «Come va, signor Reuben Hayes?», chiese Holmes. «Lei chi è, e come fa a sapere il mio nome?», rispose il bifolco con un lampo di sospetto negli occhi astuti. «Be', è stampato sull'insegna sopra la sua testa. È facile riconoscere un uomo che è padrone della sua casa. Suppongo che nelle sue stalle non ci sia qualcosa che somigli a una carrozza?» «No, non c'è.» «Non riesco a posare il piede per terra.» «E allora non ce lo posi.» «Ma non posso camminare.» «E allora, saltelli su una gamba sola.» I modi del signor Reuben Hayes non erano quel che si direbbe gentili, ma Holmes prese la cosa con ammirevole buon umore. «Senta, brav'uomo», disse. «Questo per me è davvero un guaio. Non m'importa con quale mezzo posso proseguire.» «Non importa nemmeno a me», rispose il padrone, scorbutico. «Si tratta di una faccenda molto importante. Le do una sovrana se mi presta una bicicletta.» Il locandiere drizzò le orecchie. «Dove vuole andare?» «A Holdernesse Hall.»

«Amiconi del duca, immagino», disse squadrando ironicamente i nostri abiti incrostati di fango. Holmes rise cordialmente.

«Comunque, sarà felice di vederci.» «Perché?» «Perché gli portiamo notizie del figlio perduto.» Il bifolco sussultò visibilmente. «Allora siete sulle sue tracce?» «Se ne sono avute notizie a Liverpool. Si aspettano di trovarlo da un'ora all'altra.» Un rapido cambiamento passò di nuovo su quel viso pesante, con la barba lunga. All'improvviso, diventò tutto gentile. «Ho meno motivi di chiunque altro per augurare del bene al duca», disse; «una volta ero il suo capo cocchiere, e mi ha trattato da cane. È stato lui a sbattermi fuori senza una riga di referenze, solo sulla parola di un bugiardo di un venditore di granaglie. Ma sono contento di sentire che si hanno notizie del signorino a Liverpool, e vi aiuterò a portare le vostre informazioni alla Hall.» «Grazie», disse Holmes. «Prima mangeremo un boccone. Poi, ci può prestare la bicicletta.» «Non ho una bicicletta.» Holmes gli alzò davanti al naso una sovrana. «Amico, le dico che non ce l'ho. Vi darò due cavalli per raggiungere il maniero.» «Bene, bene», rispose Holmes, «ne parleremo dopo che avremo mangiato qualcosa.» Quando restammo soli nella cucina col pavimento di pietra, fu straordinaria la rapidità con cui guarì la sua caviglia. Eravamo quasi al cader della notte e non avevamo mangiato niente dalla mattina presto, così ce la prendemmo calma con la nostra cena. Holmes era immerso nei suoi pensieri e un paio di volte si accostò alla finestra guardando attentamente fuori. Dava su uno squallido cortile. Nell'angolo più lontano c'era un fucina, dove un ragazzo sudicio stava lavorando. Nel lato opposto c'erano le stalle. Dopo una di quelle passeggiatine alla finestra Holmes si era appena seduto che saltò di nuovo in piedi con una violenta esclamazione. «Perbacco, Watson, adesso, credo, ci sono!», gridò «Sì, sì dev'essere così. Watson, ricorda di avere visto oggi delle impronte di bovini?» «Sì, parecchie.» «Dove?» «Dappertutto. All'acquitrino, poi sul sentiero, e poi vicino al punto dove è stato ucciso il povero Heidegger.» «Esattamente. E, mi dica, Watson, quante mucche ha visto sulla brughiera?»

«Non rammento di averne vista nessuna.» «Strano, Watson, che abbiamo visto impronte di bovini lungo tutto il nostro percorso ma nemmeno una mucca in tutta la brughiera. Molto strano, Watson, non le pare?» «Già, è strano.» «E ora, amico, faccia uno sforzo, torni indietro col pensiero. Riesce a visualizzare quelle impronte sul sentiero?» «Sì.» «Ricorda che a volte si presentava più o meno così» - e indicò il tracciato con delle briciole di pane - ::::: - «e a volte così» - :.:.:.:. - «e altre ancora, così» - . · . · . · . · «lo ricorda?» «Veramente, no. » «Ma io sì. Potrei giurarci. Comunque, ci torneremo con calma, per controllare. Sono stato cieco come un pipistrello a non trarne una conclusione.» «E qual è la sua conclusione?» «Solo che si tratta di una mucca davvero eccezionale che cammina, trotta e galoppa. Per Giove! A pensare a un trucco del ge-

nere non puo sicuramente essere stato un oste di campagna. Sembra che ci sia via libera, a parte quel ragazzo nella fucina. Filiamocela e vediamo un po' cosa riusciamo a trovare.» Nella stalla diroccata c'erano un paio di cavalli, maltenuti e col pelo arruffato. Holmes alzò la zampa di uno di essi e scoppiò a ridere. «Ferri vecchi ma applicati di recente - ferri vecchi ma chiodi nuovi. Questo caso merita di diventare un classico del suo genere. Andiamo alla fucina.» Il ragazzo continuò a lavorare, ignorandoci. Vidi lo sguardo di Holmes che saettava a destra e a sinistra fra la limatura di ferro e i trucioli sparsi per terra. D'improvviso, però, sentimmo un passo alle nostre spalle ed ecco il padrone, con le pesanti sopracciglia aggrottate sugli occhi feroci, i lineamenti contorti dall'ira. Teneva in mano un corto bastone con l'impugnatura di ferro e avanzava con un'aria così minacciosa che fui ben lieto di sentire in tasca il peso della mia pistola. «Maledetti spioni! », gridò. «Che state facendo qui?» «Davvero, signor Hayes», rispose freddamente Holmes, «si direbbe che lei abbia paura che scopriamo qualcosa.» Con uno sforzo violento l'uomo riuscì a controllarsi schiudendo le labbra serrate in una falsa risata, ancor più minacciosa del suo cipiglio. «Liberissimi di trovare quello che volete nella mia fucina», disse, «ma, senta bene, signore, non mi piace la gente che va a

ficcare il naso negli affari miei senza neanche chiedermi il permesso, perciò prima pagate e vi levate di torno, meglio è.» «Benissimo, signor Hayes, non c'era niente di male», rispose Holmes. «Stavamo semplicemente dando un'occhiata ai cavalli ma adesso credo che andrò a piedi, dopo tutto. Non è così lontano, mi sembra.» «Non più di due miglia fino all'ingresso della Hall. La strada è quella là, a sinistra.» Rimase a guardarci con aria tetra fino a quando uscimmo dalla sua proprietà. Non facemmo molta strada; Holmes si fermò nel momento stesso in cui la curva ci nascose alla vista del taverniere. «Come dicono i bambini, potevamo dire "fuoco, fuochino" in quella locanda», osservò. «Ma diventa "acqua, acqua", via via che ce ne allontaniamo. No, non posso assolutamente andarmene. » «Sono sicuro che questo Reuben Hayes sa tutto», dissi. «Mai visto una faccia di farabutto come la sua.» «È questa l'impressione che ne ha ricevuto? Ci sono i cavalli, c'è la fucina. Già, un posticino davvero interessante questa locanda del Fighting Cock. Credo che andremo a dare un'altra occhiatina di nascosto.» Un lungo pendio collinare disseminato di massi di calcare grigio si stendeva davanti a noi. Avevamo lasciato la strada e ci stavamo inerpicando su per la collina quando, dalla parte di Holdernesse Hall, vidi un ciclista che si avvicinava rapidamente. «A terra, Watson!», gridò Holmes spingendomi giù con la mano. Ci eravamo appena nascosti alla vista quando un uomo sfrecciò davanti a noi sulla strada. In una nuvola di polvere intravidi una faccia pallida e agitata - con i lineamenti contratti dall'orrore, la bocca aperta, gli occhi fissi e spalancati davanti a sé. Quasi una bizzarra caricatura dell'animato James Wilder che avevamo visto la sera prima. «Il segretario del duca!», esclamò Holmes. «Venga, Watson, vediamo che fa.» Ci arrampicammo di roccia in roccia e, in pochi minuti, raggiungemmo un punto da dove potevamo vedere l'ingresso principale della locanda. La bicicletta di Wilder era appoggiata al muro. In casa sembrava che non ci fosse nessuno; nessun volto alle finestre. Lentamente calò il crepuscolo mentre il sole scompariva die-

tro le alte torri di Holdernesse Hall. Poi, nella semi-oscurità, i due fanali laterali di un calesse si accesero nel cortile

delle stalle, giù alla locanda, e poco dopo sentimmo lo scalpitio degli zoccoli mentre il calesse usciva sulla strada procedendo poi a tutta velocità in direzione di Chesterfield. «Che ne pensa, Watson?», sussurrò Holmes. «Sembra una fuga.» «Per quanto ho potuto vedere, nel calesse c'era solo un uomo. Be', certo non era il signor James Wilder; eccolo là, sulla porta.» Un riquadro rossastro di luce si era acceso nell'oscurità. E nel mezzo si stagliava la figura del segretario, che scrutava nella notte col capo proteso. Evidentemente, aspettava qualcuno. Alla fine, risuonarono dei passi sulla strada e per un attimo una seconda figura si stagliò controluce; poi la porta si richiuse e tutto ripiombò nelle tenebre. Cinque minuti dopo una lampada brillò in una stanza al primo piano. «Sembra che la locanda ospiti degli strani clienti», disse Holmes. «Il bar è dall'altra parte.» «Esatto. Questi sono quelli che si potrebbero chiamare ospiti privati. Ma che diamine ci fa il nostro James Wilder in quel covo, a quest'ora di notte, e chi è il tipo che viene a incontrarlo lì? Coraggio, Watson, dobbiamo assolutamente correre il rischio e andare a dare un'occhiata più da vicino.» Percorremmo cautamente la strada avvicinandoci in punta di piedi alla porta della locanda. La bicicletta era ancora appoggiata al muro. Holmes accese un fiammifero, illuminò la ruota posteriore e lo sentii ridacchiare quando la fiammella rivelò una gomma Dunlop rappezzata. La finestra con la luce accesa era sopra le nostre teste. «Devo assolutamente dare una sbirciatina, Watson. Se si appoggia al muro e china la schiena, credo di farcela.» Un secondo dopo mi era salito sulle spalle ma ridiscese quasi immediatamente. «Andiamo, amico mio», disse, «per oggi abbiamo lavorato abbastanza. Credo che abbiamo raccolto tutte le informazioni possibili. C'è un bel pezzo di strada fino alla scuola e più presto ci avviamo meglio è.» Durante la faticosa scarpinata attraverso la brughiera non aprì bocca e, quando arrivammo finalmente alla scuola, non volle entrare ma proseguì per la Stazione di Mackleton da dove poteva spedire dei telegrammi. A notte inoltrata, lo sentii confortare il dottor Huxtable, prostrato dalla tragica morte del suo insegnante, e, ancora più tardi, entrò in camera mia arzillo e vispo come lo era stato la mattina. «Va tutto bene, amico mio»,

disse. «Le prometto che, prima di domani sera, avremo la soluzione del mistero.» Alle undici del mattino seguente Holmes ed io stavamo percorrendo il famoso viale di cipressi di Holdernesse Hall. Fummo accompagnati attraverso il magnifico ingresso elisabettiano fino allo studio di Sua Grazia. E lì trovammo il signor James Wilder, riservato e cerimonioso ma con ancora tracce del disperato terrore della sera prima nello sguardo furtivo e nei lineamenti che si contraevano. «Sieti venuti per vedere Sua Grazia? Mi spiace, ma il duca in realtà non sta affatto bene. La tragica notizia l'ha sconvolto profondamente. Ieri pomeriggio abbiamo ricevuto un telegramma dal dottor Huxtable, con il quale ci informava della vostra scoperta.» «Devo vedere il duca, signor Wilder.» «Ma è in camera sua.» «E allora devo andare in camera sua.» «Ma credo che sia a letto.» «Lo vedrà a letto.»

Il comportamento freddo e inflessibile di Holmes convinse il segretario che era inutile discutere. «Va bene, signor Holmes, gli dirò che lei è qui.» Dopo un'ora comparve finalmente il gran nobiluomo. Il viso era più cadaverico del solito, le spalle si erano incurvate e, nell'insieme, sembrava molto più vecchio di quanto non fosse apparso la mattina precedente. Ci salutò con cerimoniosa cortesia e si sedette allo scrittoio, con la barba rossa e fluente che sfiorava il piano del tavolo. «Bene, signor Holmes? », chiese. Ma il mio amico fissava il segretario, in piedi accanto al duca. «Credo, Vostra Grazia, che potrei parlare più liberamente in assenza del signor Wilder. » Il segretario si fece ancor più pallido gettando a Holmes un'occhiata malevola. «Se Vostra Grazia lo desidera....» «Sì, sì, adesso è meglio che lei vada. Dunque, signor Holmes, cos'ha da dirmi?» Il mio amico attese fino a che il segretario si chiuse la porta alle spalle. «Il fatto è, Vostra Grazia», rispose, «che il mio collega, dottor Watson, ed io abbiamo ricevuto assicurazione dal dottor Huxtable che è stata offerta una ricompensa. Vorrei che me lo confermasse lei stesso.» «Infatti è così, signor Holmes.»

«Ricompensa che, se sono stato bene informato, ammonta a cinquemila sterline per chiunque sia in grado di dirle dove si trova suo figlio?» «Esattamente.» «E altre mille sterline andranno a chi potrà fare il nome della persona o delle persone, che lo tengono in custodia?» «Esattamente.» «Senza dubbio, quest'ultima definizione include non solamente chi può averlo rapito ma anche i fiancheggiatori che ancora lo tengono prigioniero?» «Sì, certo», esclamò il duca spazientito. «Se lei farà bene il suo lavoro, signor Holmes, non avrà di che lamentarsi.» Il mio amico si fregò le mani sottili con una espressione di avidità che, conoscendo i suoi gusti frugali, mi lasciò molto sorpreso. «Se non sbaglio, vedo sulla scrivania il libretto d'assegni di Vostra Grazia», disse. «Le sarei grato se volesse compilare un assegno per seimila sterline a mio nome. Sarebbe forse meglio che lo facesse "non trasferibile". La Capital & Counties Bank, agenzia di Oxford Street.» Sua Grazia sedeva rigido e impettito osservando il mio amico con uno sguardo gelido. «È uno scherzo, signor Holmes. Non mi pare che sia argomento su cui scherzare.» «Niente affatto, Vostra Grazia. Non sono mai stato più serio in vita mia.» «Allora, cosa intende dire?» «Intendo dire che mi sono guadagnato la ricompensa. So dove si trova suo figlio e so anche, almeno in parte, il nome delle persone che lo tengono in custodia.» La barba del duca si era fatta di un rosso ancor più aggressivo contro il pallore spettrale del volto. «Dov'è?», chiese ansimando. «E, o era ieri sera, alla locanda del Fighting Cock, a circa due miglia dall'ingresso del suo parco.» Il duca ricadde sulla sedia. «E chi accusa?» La risposta di Holmes fu stupefacente. Fece un rapido passo avanti toccando il duca sulla spalla. «Accuso lei», disse. «E ora, prego Vostra Grazia di compilare l'assegno.» Non dimenticherò mai l'aspetto del duca mentre balzava su

dalla sedia con le mani artigliate, come un uomo che stia sprofondando in una voragine. Poi, con un incredibile sforzo di ari-

stocratico autocontrollo, si sedette di nuovo prendendosi il volto fra le mani. Passò qualche minuto prima che parlasse. «Quanto sa?», domandò alla fine senza alzare la testa. «Vi ho visti insieme ieri notte.» «Lo sa qualcun altro oltre al suo amico?» «Non ho parlato con nessuno.» Con mano tremante, il duca prese una penna e aprì il libretto degli assegni. «Manterrò la mia parola, signor Holmes. Sto per compilare il suo assegno, per sgradita che mi sia l'informazione che lei è riuscito ad avere. Quando offrii la ricompensa non pensavo certo che gli eventi avrebbero preso questa svolta. Ma lei e il suo amico siete persone discrete, signor Holmes?» «Spiacente, Vostra Grazia, non la seguo.» «Sarò esplicito, signor Holmes. Se solamente voi due siete a conoscenza di questo incidente, non c'è motivo perché altri debbano venirlo a sapere. Se non erro, vi devo 12.000 sterline, vero?» Holmes scosse il capo sorridendo. «Ho paura, Vostra Grazia, che non si possano sistemare le cose così facilmente. Dobbiamo considerare la morte dell'insegnante.» «Ma James non ne sapeva niente. Non può fargli carico di questo. È stato quella brutale canaglia di cui ha avuto la sfortuna di servirsi.» «Vostra Grazia, sono costretto a ritenere che, quando una persona si imbarca in un delitto è moralmente responsabile di ogni altro crimine che ne possa derivare.» «Moralmente, signor Holmes. Su questo ha ragione. Ma certo non davanti alla legge. Un uomo non può essere condannato per un omicidio al quale non ha assistito e che depreca e aborrisce quanto lei. Nel momento stesso in cui ne è venuto a conoscenza, mi ha reso una confessione completa, tanto era pieno di orrore e di rimorso. Oh, signor Holmes, lei deve salvarlo! - deve salvarlo! Le ripeto che deve salvarlo!» Il duca oramai non cercava nemmeno più di controllarsi e si aggirava per la stanza coi lineamenti sconvolti, artigliando l'aria con le mani. Alla fine, riuscì a ricomporsi e si sedette di nuovo alla scrivania. «Apprezzo il fatto che lei sia venuto a parlare con me prima che con chiunque altro», disse. «Se non altro, possiamo consigliarci sul come minimizzare questo spaventoso scandalo.» «Esattamente», rispose Holmes. «Ritengo, Vostra Grazia, che a questo si possa giungere solo con un'assoluta franchezza reciproca. Sono disposto a fare del mio meglio per aiutare Vo-

stra Grazia ma, per farlo, devo conoscere esattamente come stanno le cose, fino all'ultimo particolare. Mi rendo conto che lei si stava riferendo al signor James Wilder, e che non è lui l'assassino.» «No. L'assassino è riuscito a fuggire.» Holmes sorrise con aria sorniona. «Vostra Grazia certo non ha mai sentito parlare dell'umile reputazione di cui godo, o non penserebbe mai che sia così facile sfuggirmi. Il signor Reuben Hayes è stato arrestato a Chesterfield, dietro mia segnalazione, alle undici di ieri sera. Ho ricevuto un telegramma dal capo della polizia locale questa mattina, prima di lasciare la scuola.» Il duca si appoggiò allo schienale della sedia guardando sbalordito il mio amico. «Lei sembra avere poteri sovrumani», disse. «Così, hanno preso Reuben Hayes? Sono felicissimo di saperlo, purché questo non si ripercuota sulla sorte di James.» «Il suo segretario?» «No, signore, mio figlio.»

Questa volta fu Holmes a restare sbalordito. «Confesso che la cosa mi giunge nuova, Vostra Grazia. La prego di essere più esplicito.» «Non le nasconderò nulla. Convengo con lei che, per penoso che possa essermi, una sincerità assoluta sia la linea migliore in questa disperata situazione in cui ci ha messo la follia e la gelosia di James. Quando ero molto giovane, signor Holmes, mi innamorai come ci si innamora una sola volta nella vita. Chiesi alla signora di sposarmi ma rifiutò, dicendo che un simile matrimonio avrebbe nuociuto alla mia carriera. Se fosse vissuta, certo non avrei mai sposato nessun'altra. Ma morì, lasciando quest'unico figlio che, per amor suo, ho allevato e amato. Non potevo riconoscere ufficialmente di essere suo padre ma gli ho dato l'educazione migliore che si potesse avere e, quando si è fatto uomo, l'ho tenuto al mio fianco. Una volta scoprì il mio segreto e, da quel momento in poi, ha sfruttato i diritti che aveva nei miei confronti e il fatto che, volendo, avrebbe potuto provocare uno scandalo spaventoso. La sua presenza ha, in certo qual modo, a che fare con l'infelice conclusione del mio matrimonio. Soprattutto, fin dal principio, ha odiato di un odio implacabile il mio giovane, legittimo erede. Lei certo mi chiederà, date le circostanze, per quale motivo continuavo a tenere James sotto il mio stesso tetto. Le rispondo, perché nel suo viso vedevo ancora il viso di sua madre e, per amore di quella donna, le mie sofferenze non hanno mai avuto tregua. I suoi modi, il suo garbo -

James li possedeva tutti e me li riportava continuamente alla memoria. Non potevo mandarlo via. Ma avevo un tale timore che potesse far del male ad Arthur - Lord Saltire, cioè - che, per proteggerlo, mandai il bambino alla scuola del dottor Huxtable. James entrò in contatto con questo Hayes in quanto era un mio inquilino e James operava come mio intermediario. Quel tipo si dimostrò una canaglia fin dal principio ma, per qualche strano motivo, James ne divenne amico. Aveva sempre avuto il gusto delle compagnie volgari. Quando James decise di rapire Lord Saltire, fu dei servigi di questo individuo che si servì. Ricorderà che quell'ultimo giorno avevo scritto ad Arthur. Bene, James aprì la lettera aggiungendo una nota in cui chiedeva ad Arthur di incontrarsi con lui in un boschetto chiamato Ragged Shaw, che è accanto alla scuola. Firmò col nome della duchessa e, in questo modo, convinse il ragazzo ad andare all'appuntamento. Quella sera, James andò in bicicletta al boschetto - le sto dicendo quello che lui stesso mi ha confessato - e disse ad Arthur, che si era fatto trovare lì anche lui, che sua madre moriva dalla voglia di vederlo, che lo stava aspettando sulla brughiera e che, se fosse tornato lì a mezzanotte, avrebbe trovato un uomo con un cavallo che lo avrebbe condotto da lei. Il povero Arthur cadde nella trappola. Andò all'appuntamento e trovò questo Hayes con un pony. Arthur salì in groppa e si allontanarono insieme. Sembra - anche se James lo ha saputo soltanto ieri che qualcuno li abbia seguiti, che Hayes abbia colpito l'inseguitore con il bastone, e che l'uomo sia morto per le ferite riportate. Hayes condusse Arthur alla sua locanda, il Fighting Cock, confinandolo in una stanza al piano superiore, affidandolo alle cure della moglie, una donna gentile ma completamente succube del brutale marito. Bene, signor Holmes, così stavano le cose quando la incontrai per la prima volta, due giorni fa. Come lei, non avevo la minima idea della verità. Mi chiederà per quale motivo James avesse agito in quel modo. Le risponderò che odiava il mio legittimo erede di un odio quasi fanatico o maniacale. Riteneva che avrebbe dovuto ereditare lui tutto il mio patrimonio ed era profondamente risentito per quelle leggi sociali che glielo impedivano. Al tempo stesso, aveva anche un motivo ben definito. Voleva che infrangessi l'inalienabilità ereditaria, convinto che fosse in mio potere fare una cosa simile. Voleva patteggiare con me - restituirmi Arthur se avessi agito come lui voleva, così da lasciare a lui la

proprietà per testamento. Sapeva benissimo che non avrei mai volontariamente chiesto l'aiuto della polizia contro di lui. Ho

detto che avrebbe voluto propormi quell'accordo; ma non l'ha fatto perché gli eventi sono precipitati e non ha avuto il tempo di mettere in atto il suo piano. Quello che ha mandato all'aria il suo malvagio complotto è stata la sua scoperta del cadavere di Heidegger. La notizia lo ha inorridito. Ne siamo venuti a conoscenza ieri, mentre eravamo insieme qui nello studio. Il dottor Huxtable ci aveva spedito un telegramma. James ne rimase talmente sconvolto e agitato che i miei sospetti, sempre latenti, si trasformarono subito in certezza, e lo accusai del misfatto. Ha confessato spontaneamente tutto. Poi mi ha scongiurato di mantenere il suo segreto ancora per tre giorni, così da offrire a quello sciagurato del suo complice, l'opportunità di salvare la sua miserabile vita. Cedetti - come sempre - alle sue preghiere e subito James si precipitò alla locanda per avvisare Hayes e dargli modo di fuggire. Non potevo recarmi là di giorno, senza dare nell'occhio ma, al cader della notte, mi precipitai dal mio caro Arthur. Lo trovai sano e salvo, ma terrorizzato oltre ogni dire per l'orribile delitto di cui era stato testimonio. In rispetto alla mia promessa, anche se molto a malincuore, acconsentii a lasciarlo lì per tre giorni, affidato alle cure della signora Hayes, dato che era impossibile informare la polizia del suo nascondiglio senza rivelare anche il nome dell'assassino; e la punizione dell'assassino avrebbe significato la rovina per il mio sfortunato James. Lei mi ha chiesto di essere franco, signor Holmes, e io l'ho presa in parola; ora le ho detto tutto, senza perifrasi. La prego di essere a sua volta franco con me.» «Lo sarò», rispose Holmes. «In primo luogo, Vostra Grazia, devo dirle che si è messo in una posizione molto grave agli occhi della legge. Ha taciuto su un delitto e ha contribuito alla fuga di un assassino; sono sicuro infatti, che qualsiasi somma James Wilder abbia portato al suo complice veniva dalla borsa di Vostra Grazia.» Il duca fece un cenno di assenso. «E questa è una cosa molto grave. Ma, a parer mio, ancora più colpevole è l'atteggiamento di Vostra Grazia nei confronti di suo figlio minore. Lo ha lasciato in quel covo per tre giorni.» «Dietro solenne promessa...» «Cos'è una promessa per gente di quella risma? Niente le garantisce che suo figlio non venga fatto sparire di nuovo. Per accondiscendere ai malvagi disegni del suo figlio maggiore, lei ha esposto quel bambino innocente a un pericolo imminente e inutile. Un gesto assolutamente imperdonabile.» L'orgoglioso signore di Holdernesse non era avvezzo a sentir-

si così strapazzare nel suo ducale maniero. Gli salì il sangue alla faccia ma la sua coscienza gli impedì di protestare. «La aiuterò, ma solo a una condizione. Che lei chiami il valletto e lasci che io gli dia gli ordini che ritengo più opportuni.» Senza una parola, il duca premette il bottone del campanello. Entrò un domestico. «Sarà lieto di sapere», disse Holmes, «che il padroncino è stato ritrovato. Il duca desidera che una carrozza si rechi immediatamente alla locanda del Fighting Cock per riportare Lord Saltire a casa.» «Ora», disse Holmes quando il domestico, tutto allegro, se ne fu andato, «avendo provveduto al futuro possiamo permetterci di essere più condiscendenti col passato. Non opero in veste ufficiale e quindi, purché sia servito il fine della giustizia, non c'è motivo per cui io debba divulgare ciò che so. In quanto ad Hayes, non ho niente da dire. Lo aspetta la forca e non alzerei un dito per salvarlo. Non so quanto quell'individuo potrà rivelare, ma senza dubbio Vostra Grazia può fargli capire che ha tutto l'interesse a tacere. Agli occhi della polizia, avrà rapito il

ragazzo per ottenere un riscatto. Se non lo scoprono loro non vedo perché dovrei suggerirgli io di allargare la loro visuale. Voglio però avvisare Vostra Grazia di una cosa: la continua presenza del signor James Wilder in questa casa non può che causare del male.» «Me ne rendo conto, signor Holmes, ed è già stabilito che se ne andrà per sempre, a cercar fortuna in Australia. » «In tal caso, Vostra Grazia, dal momento che lei stesso ha riconosciuto che le sue difficoltà matrimoniali erano dovute alla presenza di quel giovane, le suggerirei di farsi perdonare dalla duchessa e di cercar di riannodare quel rapporto così sfortunatamente interrotto.» «Ho pensato anche a questo, signor Holmes. Ho scritto alla duchessa questa mattina.» «Così stando le cose», disse Holmes alzandosi, «credo che il mio amico ed io possiamo rallegrarci dei molti, felici risultati della nostra visitina al nord. C'è un solo piccolo punto che vorrei chiarire. Quell'individuo, Hayes, aveva ferrato i suoi cavalli con ferri che riproducevano le impronte di bovini. È dal signor Wilder che ha imparato un trucco così straordinario?» Il duca rimase fermo per un attimo, con un'espressione di intensa sorpresa dipinta sul volto. Poi aprì una porta facendoci entrare in una grande stanza arredata come un museo. Ci guidò a una teca di vetro, in un angolo, indicandoci l'iscrizione. «Questi ferri», c'era scritto, «sono stati rinvenuti nel fossato

di Holdernesse Hall. Sono destinati ai cavalli ma sono forgiati a forma di zoccolo fesso, così da confondere le tracce per sviare gli inseguitori. Si ritiene siano appartenuti a qualcuno dei Baroni di Holdernesse, dediti al saccheggio durante il Medio Evo.» Holmes aprì la teca e, bagnandosi l'indice, lo passò sullo zoccolo. Sulla pelle gli rimase un leggero strato di fango fresco. «Grazie», disse richiudendola. «È il secondo oggetto estremamente interessante che ho visto nel nord. » «Il primo sarebbe?» Holmes ripiegò l'assegno riponendolo accuratamente fra le pagine del suo taccuino. «Sono povero», disse, battendosi un colpetto sulla tasca più interna nella quale lo aveva infilato. Next Page

L'avventura di Peter il Pirata Non ho mai visto il mio amico in forma fisica e mentale migliore di quanto lo era nel 1895. La sua fama sempre crescente gli aveva procurato una miriade di clienti e sarei veramente colpevole di indiscrezione se accennassi al nome di alcune delle illustri personalità che varcarono la nostra umile soglia di Baker Street. Ma Holmes, come tutti i grandi artisti, viveva per amore della sua arte e, tranne nel caso del duca di Holdernesse, raramente l'ho sentito chiedere elevate ricompense per i suoi inestimabili servigi. Era così disinteressato - o così capriccioso - da rifiutarsi spesso di aiutare i ricchi e i potenti quando il loro problema non lo interessava, mentre era capacissimo di dedicare settimane di frenetica attività a un cliente qualsiasi, il cui problema presentava quegli aspetti insoliti e drammatici che accendevano la sua immaginazione e sfidavano la sua abilità. Nel corso di quel memorabile `95, una strana e incongrua sequela di casi lo aveva tenuto occupato, dalla famosa indagine nell'improvviso decesso del cardinale Tosca - inchiesta da lui condotta dietro espresso desiderio di Sua Santità il pontefice fino all'arresto di Wilson, il famoso allevatore di canarini, in seguito al quale l'East End di Londra fu liberato da un bubbone della malavita. Subito dopo quei due famosi casi, ci fu la tragedia di Woodman's Lee, e le misteriose circostanze relative alla morte del capitano Peter Carey. Una cronistoria delle avventure

di Sherlock Holmes non sarebbe completa senza il resoconto di quest'ultimo, incredibile caso. Durante la prima settimana di luglio, il mio amico era rimasto così spesso e così a lungo assente da casa da farmi capire che era alle prese con qualche problema. Il fatto che, in quel periodo, molti tipi sospetti venissero a cercare di lui e a chiedere notizie del capitano Basil mi indusse a pensare che Holmes stesse lavorando da qualche parte sotto uno dei vari travestimenti o vari nomi con i quali mascherava la sua pericolosa identità. Aveva almeno cinque diversi rifugi, sparsi in tutta Londra, dove poteva cambiare personalità e identità. Non mi aveva accennato a cosa si stesse dedicando e non avevo l'abitudine di insistere per-

ché si confidasse con me. Il primo cenno positivo che mi diede circa la piega che stava prendendo la sua indagine, fu straordinario. Era uscito molto per tempo e io mi ero appena seduto per fare colazione quando entrò nella stanza, col cappello in testa e una grossa lancia a punta uncinata sotto il braccio, a mo' di ombrello. «Santo cielo, Holmes ! », esclamai. «Non vorrà dirmi che se n'è andato in giro per Londra con quell'arnese!» «Sono di ritorno da una scarrozzata dal macellaio.» «Dal macellaio?» «E sono tornato affamato. Indubbiamente, caro Watson, camminare prima di colazione è un ottimo esercizio. Ma scommetto che lei non immagina di che tipo di esercizio si tratta.» «Non ci provo nemmeno.» Ridacchiò, versandosi una tazza di caffè. «Se avesse potuto sbirciare nel retrobottega di Allardyce, avrebbe visto un maiale ucciso che penzolava da un gancio nel soffitto e un gentiluomo in maniche di camicia che lo colpiva violentemente con quest'arma. Ero io l'energico gentiluomo e mi sono accertato che, anche usando tutta la mia forza, era impossibile trafiggere il maiale con un colpo solo. Vorrebbe provarci anche lei?» «Nemmeno se mi paga. Ma perché faceva questo?» «Perché mi sembrava che fosse in relazione, sia pure indiretta con il mistero di Woodman's Lee. Ah, Hopkins, ho avuto il suo telegramma ieri sera, e la stavo aspettando. Venga, si accomodi.» Il nostro visitatore era un uomo sulla trentina, con un' aria molto svelta, un sobrio vestito di tweed e il portamento eretto di chi è abituato a indossare un'uniforme. Lo riconobbi subito: era Stanley Hopkins, un giovane ispettore di polizia sul cui futuro Holmes nutriva grandi speranze, che il giovane ricambiava con l'ammirazione e il rispetto di un allievo nei confronti dei metodi scientifici del famoso dilettante. Hopkins appariva preoccupato e si sedette con aria demoralizzata. «No, grazie, signore, ho fatto colazione prima di venire. Ho passato la notte in città perché sono arrivato ieri per fare rapporto.» «E che notizie?» «Fiasco, signore, fiasco totale.» «Nessun progresso?» «Nessuno.» «Perbacco! Dovrò proprio dare un'occhiata a questa faccenda.»

«Mi auguro con tutto il cuore che lei lo faccia, signor Holmes. È il mio primo caso importante e non so dove sbattere la testa. Per amor del cielo, venga con me e mi dia una mano.» «Bene, bene, si dà il caso che io abbia già letto tutte le testimonianze disponibili, compreso il rapporto delle indagini. A proposito, che ne pensa di quella borsa da tabacco rinvenuta sulla scena del delitto? Non può offrirci nessun indizio?» Hopkins sembrò sorpreso. «Apparteneva al morto, signore. All'interno c'erano le sue

iniziali. Ed era di pelle di foca - e lui era un vecchio cacciatore di foche.» «Ma non possedeva una pipa.» «Infatti, signore, non abbiamo trovato nessuna pipa. Anzi, fumava molto poco; ma poteva tenere del tabacco per gli amici.» «Certamente. Ne ho accennato solo perché, se fossi io ad occuparmi del caso, sarei partito da lì per le mie indagini. Comunque, il mio amico, dottor Watson, è all'oscuro di tutto e a me non farebbe male riascoltare ancora una volta la sequenza degli eventi. Ci riassuma brevemente i fatti principali.» Stanley Hopkins tirò fuori dalla tasca un foglietto. «Ho qui qualche data che vi darà un'idea della carriera del defunto, il capitano Peter Carey. È nato nel `45 - ha cinquant'anni. Era un cacciatore di foche e di balene, molto coraggioso e molto fortunato. Nel 1883 comandava la baleniera Sea Unicorn, di Dundee. Compì, una dopo l'altra, varie spedizioni di successo e l'anno seguente, il 1884, si ritirò dalla professione. Dopo di che, viaggiò per qualche anno e, alla fine, acquistò una piccola proprietà chiamata Woodman's Lee, accanto a Forest Row, nel Sussex. Ci visse per sei anni e lì è morto, esattamente una settimana fa. Come individuo, presentava dei lati piuttosto strani. Nella vita di tutti i giorni, era un rigido puritano - cupo e silenzioso. La sua famiglia si componeva di sua moglie, sua figlia, di vent'anni, e due domestiche. Le due domestiche cambiavano in continuazione perché non si trovavano bene in un posto così poco allegro che, a volte, si faceva addirittura insopportabile. Carey era un ubriacone intermittente e, quando era in quello stato, diventava un demonio. A volte, sbatteva fuori di casa moglie e figlia, nel cuore della notte, e le inseguiva a colpi di frusta per tutto il parco finché le loro grida svegliavano l'intero villaggio. Un'altra volta, è stato denunciato per violenze e percosse contro l'anziano vicario che era andato da lui a protestare per il suo comportamento. In breve, signor Holmes, sarebbe difficile tro-

vare un individuo più pericoloso di Peter Carey e ho sentito dire che aveva la stessa fama quando comandava la sua nave. Nell'ambiente, era soprannominato Peter il Pirata, non solo per la carnagione scura e la barba nera ma per le sue sfuriate che terrorizzavano chiunque. Non occorre che le dica che i suoi vicini lo odiavano e lo evitavano e che non ho sentito una sola parola di rimpianto per la sua tragica fine. Avrà letto, nei resoconti dell'inchiesta, del suo capanno, signor Holmes, ma forse il suo amico qui presente non ne è informato. Si era costruito un casotto di legno - lo chiamava sempre "la cabina" - a poche centinaia di metri dalla casa, ed è lì che dormiva ogni notte. Si trattava di una piccola capanna, una sola stanza, di sedici piedi per dieci. Ne conservava la chiave in tasca, si rifaceva il letto e la riordinava da solo, e non permetteva a nessuno di metterci piede. Nei due lati del capanno ci sono delle piccole finestre, schermate dalle tendine, che non venivano mai aperte. Una di queste finestre dava sulla strada principale e quando, di notte, era illuminata, la gente del posto la indicava a dito, chiedendosi cosa mai stesse facendo Peter il Pirata. È quella finestra, signor Holmes, che ci ha fornito i pochissimi indizi positivi emersi all'inchiesta. Ricorderà che un muratore, un certo Slater, che veniva a piedi da Forest Row verso l'una del mattino - due giorni prima dell'omicidio - si fermò passando accanto alla proprietà e notò il riquadro di luce che ancora brillava fra gli alberi. L'uomo giura che, sulle persiane, si disegnava nettamente l'ombra di qualcuno col capo girato da una parte, e che quel qualcuno non era sicuramente Peter Carey, che conosceva bene. Era l'ombra di un uomo barbuto, ma con una barba ispida e sporgente in fuori, totalmente diversa da quella del capitano. Questo è quanto sostiene, ma era rimasto per due ore all'osteria e dalla strada alla finestra c'è una discreta distanza. Inoltre, la testimonianza del mu-

ratore si riferisce alla giornata di lunedì, mentre il delitto è stato compiuto il mercoledì. Il martedì, Peter Carey era in preda a una delle sue crisi, ubriaco fradicio e selvaggio come una bestia feroce. Si aggirava tempestoso per la casa e le donne fuggivano quando lo sentivano arrivare. A tarda sera, se ne andò nel suo capanno. Verso le due del mattino successivo la figlia, che dormiva con la finestra aperta, sentì un urlo spaventoso provenire da quella direzione; ma non era insolito che il padre sbraitasse e schiamazzasse quando era ubriaco, quindi non ci fece caso. Alzandosi alle sette, una delle domestiche notò che la porta del capanno era aperta; ma era tale il terrore che quell'individuo provocava che nes-

suno osò avventurarsi per vedere cosa gli fosse successo, prima di mezzogiorno. Sbirciando dalla porta aperta videro uno spettacolo che li fece fuggire al villaggio in preda al panico. Entro un'ora ero sul posto e avevo preso le redini della situazione. Lei sa, signor Holmes, che ho i nervi abbastanza saldi, ma le assicuro che quando misi la testa in quel capanno mi venne un colpo. Ronzava come un organo per le mosche e i calabroni, il pavimento e le pareti facevano pensare a un mattatoio. L'aveva chiamata cabina e cabina era, senza dubbio, perché sembrava di stare a bordo di una nave. C'era una cuccetta da una parte, una cassetta da marinaio, mappe e carte nautiche, una fotografia della Sea Unicorn, una fila di diari di bordo su uno scaffale, tutto quello che ci si aspetterebbe di trovare nella cabina di un capitano. E lì, nel bel mezzo, c'era Carey - il volto contratto come quello di un' anima dannata, col suo barbone striato puntato verso l'alto in una convulsione di agonia. Un arpione d'acciaio gli trapassava da parte a parte l'ampio torace conficcandosi profondamente nella parete di legno alle sue spalle. Era infilzato come uno scarabeo su un cartone. Naturalmente, era morto; morto all'istante, dopo quel suo ultimo urlo agonizzante. Conosco i suoi metodi, signore, e li ho applicati. Prima di consentire che fosse spostato qualcosa ho esaminato accuratamente il terreno esterno e il pavimento della stanza. Non c'erano impronte.» «Vuole dire che non ne ha viste?» «Le garantisco, signore, che non c'era nessuna impronta.» «Mio caro Hopkins, mi sono occupato di molti delitti ma ancora non ne ho incontrato uno compiuto da una creatura alata. Fino a quando il criminale si muove su due gambe, deve necessariamente esserci qualche avvallamento, qualche abrasione, qualche minimo spostamento che un ricercatore scientifico è in grado di determinare. È incredibile che quella stanza coperta di sangue non contenesse una traccia che potesse aiutarci. Mi risulta, però, dai verbali dell'inchiesta, che c'erano alcuni oggetti che non sono sfuggiti alla sua attenzione.» All'ironico commento del mio amico, il giovane ispettore accusò il colpo. «Sono stato uno sciocco a non chiamarla subito, signor Holmes. Oramai, quel che è fatto è fatto. Sì, nella stanza c'erano vari oggetti che richiamavano l'attenzione. Uno, era l'arpione con cui è stato commesso il delitto. Era stato preso da una rastrelliera sulla parete. Ce n'erano altri due, e il posto vuoto dove era stato il terzo. Su tutti era inciso "SS. Sea Unicorn, Dundee." Questo sembrava indicare definitivamente che il delitto era sta-

to commesso in uno scatto d'fra e che l'assassino aveva afferrato la prima arma che si era trovato a portata di mano. Il fatto che il crimine fosse avvenuto alle due del mattino, ma che Peter Carey fosse completamente vestito, fa pensare che avesse un appuntamento con il suo assassino; ipotesi avvalorata dalla presenza di una bottiglia di rum e due bicchieri usati sul tavolo.» «Già», osservò Holmes, «ritengo che entrambe le deduzioni siano accettabili. L'unico alcolico nella stanza era il rum?» «No, c'era anche uno stipo contenente brandy e whisky, sulla

cassetta da marinaio. Ma la cosa per noi non ha importanza, in quanto le caraffe erano piene e quindi non erano state usate.» «Comunque, è una presenza significativa», disse Holmes. «Ma sentiamo qualche altra cosa sugli oggetti che a lei sembrano avere un qualche riferimento col caso. » «C'era la sua borsa del tabacco sul tavolo.» «In che punto del tavolo?» «Proprio al centro. Era di pelle di foca non conciata - foca a pelo corto, con una fettuccia di cuoio per chiuderla. All'interno della linguetta c'erano le iniziali "P.C." Conteneva mezza oncia di trinciato grosso.» «Eccellente. E che altro?» Stanley Hopkins tirò fuori di tasca un taccuino con la copertina scura, ruvido e logoro all'esterno, con i fogli scoloriti. Sulla prima pagina erano scritte le iniziali «J.H.N» e la data «1883». Holmes lo posò sulla tavola e lo esaminò con attenzione mentre Hopkins ed io guardavamo da sopra le sue spalle. Sulla seconda pagina, erano stampate le lettere «C.P.R.»; seguivano poi molte pagine di numeri. Un'altra intestazione era «Argentina», un'altra «Costa Rica» e un'altra ancora «San Paulo», ciascuna seguita da un certo numero di pagine coperte di segni e di cifre. «Che ne pensa?», chiese Holmes. «Sembra una lista di titoli di Borsa. Ho pensato che "J.H.N." potevano essere le iniziali di un agente di cambio, e che "C.P.R." fossero quelle del suo cliente.» «Provi Canadian Pacific Railways», disse Holmes. Stanley Hopkins imprecò fra i denti, battendosi un pugno sul ginocchio. «Che cretino sono stato!», esclamò. «Certo, è come dice lei. Allora, le uniche iniziali che dobbiamo risolvere sono "J.H.N.". Ho già esaminato i vecchi listini di Borsa e non ho trovato niente per il 1883, sia in Borsa che fra gli agenti esterni, le cui iniziali corrispondano. Eppure, sono convinto che questo sia l'indizio più importante che ho. Ammetterà, signor Holmes, che c'è la possibilità che queste iniziali corrispondano alla se-

conda persona presente - in altre parole, all'assassino. Vorrei anche sottolineare che la presenza di un documento relativo a grossi pacchetti azionari di valore ci dà, per la prima volta, una qualche indicazione circa un movente per il delitto.» L'espressione di Sherlock Holmes rivelò come quest'ultima informazione l'avesse davvero sconcertato. «Devo concederle entrambi questi punti», disse, «confesso che questo taccuino, che non ha figurato all'inchiesta, altera qualsiasi teoria io possa essermi fatto. Nella mia ipotesi circa il delitto, non c'è posto per questo. È riuscito a rintracciare qualcuno dei titoli qui menzionati?» «Sono in corso indagini nei vari uffici, ma temo che il registro completo degli azionisti di queste imprese sud americane sia in Sud America, e che ci vorranno delle settimane prima di rintracciare le azioni.» Holmes frattanto aveva esaminato la copertina del taccuino con la sua lente. «Qui c'è senza dubbio una macchia», disse. «Sì, signore, una macchia di sangue. Le ho detto che ho raccolto il taccuino dal pavimento.» «La macchia di sangue era sopra o sotto?» «Di lato, accanto agli scaffali.» «Il che naturalmente prova che il taccuino è stato lasciato cadere dopo il delitto.» «Proprio così, signor Holmes. Me ne ero reso conto anche io e ho pensato che forse l'aveva lasciato cadere l'assassino nella sua fuga precipitosa. Era accanto alla porta.» «Suppongo che fra gli effetti personali del morto non siano stati trovati titoli di questo elenco?» «Nessuno, signore.» «Ha qualche motivo per supporre un furto?» «No. Sembrava che niente fosse stato toccato.»

«Questo è davvero un caso molto interessante. Poi c'era un coltello, no?» «Un coltello a lama fissa, ancora nel fodero. Era ai piedi del morto. La signora Carey l'ha identificato come appartenente al marito.» Holmes rimase per un po' a riflettere. «Be'», disse alla fine, «immagino che dovrò venire fin là a dare un'occhiata.» Stanley Hopkins ebbe un'esclamazione di gioia. «Grazie, signore. Mi toglie davvero un grosso peso dal cuore.» Holmes lo ammonì col dito.

«Sarebbe stato un compito più semplice una settimana fa», disse. «Ma anche adesso, la mia visita non sarà forse del tutto inutile. Watson, se ne ha il tempo, sarei felicissimo se volesse accompagnarmi. Chiami una carrozza, Hopkins; fra un quarto d'ora saremo pronti a partire per Forest Row.» Scendemmo alla stazioncina periferica e proseguimmo per qualche miglio attraverso quello che restava di immensi boschi, una volta parte di quella grande foresta che per tanto tempo aveva tenuto in scacco gli invasori Sassoni - l'impenetrabile «weald», la regione boscosa, per sessant'anni baluardo della Britannia. Erano state create ampie radure perché questa è la culla delle prime ferriere della nazione e gli alberi furono abbattuti e usati come combustibile per la fusione del metallo. Ora, le ferriere sono state rimpiazzate con le più ricche coltivazioni del nord e solamente le tracce dei boschi sradicati e le profonde cicatrici nel terreno restano a ricordare il lavoro del passato. In questa zona, su una radura in cima al verde pendio di una collina, sorgeva una lunga e bassa casa di pietra raggiungibile da una sinuosa carrozzabile che si snodava fra i campi. Più vicino alla strada e circondata su tre lati da fitti cespugli, c'era una piccola capanna, con una finestra e la porta che davano nella nostra direzione. Era la scena del delitto. Stanley Hopkins ci condusse prima alla casa e ci presentò a una donna smunta, dai capelli grigi, la vedova dell'ucciso, il cui viso emaciato e solcato e gli occhi arrossati nei quali balenava un furtivo sguardo di terrore, raccontavano i lunghi anni di stenti e maltrattamenti che aveva dovuto sopportare. Con lei c'era la figlia, una ragazza pallida e bionda, che con un lampo di sfida negli occhi ci disse che era felice che il padre fosse morto, e che benediceva la mano che l'aveva ucciso. Peter Carey il Pirata si era creato una famiglia davvero terribile e fu con un senso di sollievo che ci ritrovammo fuori, nel sole, lungo un sentiero che i piedi del defunto avevano spianato attraverso i campi. Il capanno era una costruzione semplicissima con le pareti in legno, il tetto di assi, una finestra accanto alla porta e un'altra nella parete più distante. Stanley Hopkins tirò fuori la chiave e si era chinato per infilarla nella serratura quando si arrestò con una espressione di sorpresa e di allarme. «Qualcuno ha cercato di forzarla», disse. In effetti, il legno era tagliuzzato e i graffi spiccavano bianchi sotto la vernice, come se fossero stati fatti un momento prima. Holmes stava esaminando la finestra. «Qualcuno ha cercato di forzare anche questa. Chiunque sia

stato, non è riuscito a entrare. Dev'essere stato uno scassinatore da quattro soldi.» «Forse, qualche paesano curioso», suggerii. «Molto improbabile. Pochi di loro oserebbero mettere piede nella proprietà, figuriamoci poi cercare di entrare nel casotto. Che ne pensa, signor Holmes?» «Penso che la fortuna ci è molto propizia.» «Intende dire che quella persona ritornerà?» «È assai probabile. È venuta pensando di trovare la porta

aperta. Ha cercato di entrare aiutandosi con la lama di un minuscolo temperino. Non c'è riuscito. Che farà, allora?» «Tornerà la notte successiva, con un arnese più efficiente.» «È quello che dico anch'io. Sarà colpa nostra se non ci troveremo qui a riceverlo. Intanto, diamo un'occhiata all'interno.» Le tracce della tragedia erano state cancellate ma i pochi mobili erano rimasti come erano al momento del delitto. Per due ore, Holmes esaminò accuratamente tutti gli oggetti, uno per uno, ma dalla sua espressione si vedeva che non ne cavava niente. Solo una volta si interruppe nel suo metodico esame. «Ha tolto qualcosa da questo scaffale, Hopkins?» «No. Non ho toccato niente.» «Manca qualcosa. In questo angolo dello scaffale c'è meno polvere. Forse si trattava di un libro appoggiato di piatto. O forse una scatola. Bene, qui non posso fare altro. Andiamo a farci una passeggiata in questi bei boschi, Watson, dedicando qualche ora ai fiori e agli uccelli. Ci ritroveremo qui più tardi, Hopkins, e vedremo se riusciremo a incontrare a distanza più ravvicinata il gentiluomo che questa notte è venuto a fare una visitina.» Erano le undici passate quando preparammo la nostra piccola imboscata. Hopkins voleva lasciare aperta la porta del capanno ma Holmes era dell'opinione che, così facendo, lo sconosciu- to si sarebbe insospettito. Il lucchetto era semplicissimo e bastava una lama robusta per aprirlo. Holmes suggerì anche di aspettare non all'interno ma fuori, fra i cespugli che crescevano intorno alla finestra più lontana. In quel modo, avremmo potuto vedere in faccia il nostro uomo se avesse acceso un fiammifero e avremmo anche potuto comprendere il motivo di quella sua furtiva visita notturna. Fu un'attesa lunga e deprimente che pure riuscì a darci un po' della suspense che prova il cacciatore quando, disteso accanto allo stagno, aspetta che la sua preda si avvicini per abbeverarsi. Quale creatura selvaggia poteva sbucare dall'oscurità? Una tigre assassina, che sì sarebbe strenuamente difesa con unghioni e

zanne, oppure un circospetto sciacallo, pericoloso solo per i deboli e gli sprovveduti? In assoluto silenzio, ci rannicchiammo fra i cespugli, in attesa. In principio, la nostra veglia fu confortata dai passi di qualche paesano ritardatario o dal suono di voci provenienti dal villaggio ma, poco a poco, ogni rumore si spense e ci trovammo immersi nel silenzio assoluto, rotto solamente dai rintocchi della chiesa lontana che scandiva le ore notturne, e dal frusciante mormorio della pioggerella fra il fogliame sopra di noi. L'orologio della chiesa aveva battuto le due e mezza, l'ora più oscura che precede l'alba, quando sussultammo a un click, smorzato ma netto, che proveniva dalla direzione del cancello. Qualcuno era entrato nel viale. Di nuovo cadde il silenzio e avevo cominciato a pensare che si fosse trattato di un falso allarme quando, dall'altro lato del capanno, si sentì un passo furtivo e, un attimo dopo, lo strofinio e il tintinnio del metallo. L'uomo stava cercando di forzare la serratura. Questa volta, o era più abile o disponeva di uno strumento migliore, perché d'improvviso si sentì uno schianto e il cigolio dei cardini. Si accese un fiammifero e un attimo dopo la placida luce di una candela illuminò l'interno del capanno. Attraverso la tendina di garza i nostri occhi erano inchiodati sulla scena dentro il capanno. Il visitatore notturno era un giovanotto, fragile ed esile, con dei sottili baffetti neri che facevano risaltare ancor più il pallore del viso. Non poteva avere molto più di vent'anni. Non avevo mai visto un essere umano in un così pietoso stato di terrore, batteva i denti e tremava come una foglia. Era abbigliato come un gentiluomo, ampia giacca con cintura, calzoni alla zuava e berretto di panno. Lo osservammo guardarsi intorno con occhi spauriti. Poi appoggiò il mozzicone di candela sulla tavola e si diresse verso un angolo, scomparendo alla nostra vista. Ne tor-

nò con un grosso volume, uno dei libri di bordo che erano sullo scaffale. Chino sul tavolo, lo sfogliò rapidamente fino a trovare la pagina che cercava. Poi, con un gesto irato del pugno, lo richiuse, lo rimise a posto e spense la candela. Si era appena girato per uscire quando Hopkins lo afferrò per il colletto, e sentii il suo singulto di terrore nel rendersi conto che era stato scoperto. La candela fu riaccesa, ed ecco lì il nostro misero prigioniero, che tremava e si faceva piccino piccino nella stretta dell'ispettore. Si lasciò poi cadere sulla cassetta girando lo sguardo implorante dall'uno all'altro. «Allora, mio bel signorino», disse Holmes, «chi è, e cosa cerca?»

Il giovane si ricompose e ci affrontò cercando di riguadagnare un po' di dignità. «Siete ispettori di polizia, suppongo?», disse. «Credete che io sia coinvolto con la morte del capitano Peter Carey. Vi assicuro che sono innocente.» «Questo lo vedremo», rispose Hopkins. «Per prima cosa, come si chiama?» «John Hopley Neligan.» Vidi Holmes e Hopkins scambiarsi una rapida occhiata. «Che sta facendo qui?» «Mi promettete di tenerlo per voi?» «No, no di certo.» «Perché dovrei dirvelo?» «Perché altrimenti potrebbe trovarsi nei guai al processo.» Il giovane trasalì. «Bene; ve lo dirò. Perché poi non dovrei? Anche se odio l'idea che questo vecchio scandalo venga riesumato. Avete mai sentito parlare di Dawson e Neligan?» Dal viso di Hopkins capii che quei nomi non gli dicevano nulla, ma Holmes era interessatissimo. «Si riferisce ai banchieri di West Country?» disse. «Fallirono per un milione di sterline, mandarono in rovina metà delle famiglie della Cornovaglia, e Neligan scomparve.» «Esattamente. Neligan era mio padre.» Finalmente avevamo qualche informazione precisa, anche se era difficile vedere un nesso fra un banchiere latitante e il capitano Peter Carey inchiodato al muro con uno dei suoi arpioni. Ascoltammo attentamente il racconto del giovane. «L'unico veramente coinvolto era mio padre. Dawson si era ritirato. All'epoca avevo solo dieci anni, ma ero abbastanza grande da sentire tutta la vergogna e l'orrore di quell'incubo. Si è sempre detto che mio padre si appropriò di tutti i titoli e si diede alla fuga. Non è vero. Era certo che, se gli avessero dato il tempo di convertirli in denaro liquido, i creditori sarebbero stati totalmente rimborsati e tutto si sarebbe aggiustato. Col suo piccolo yacht, si mise in viaggio per la Norvegia, proprio prima che fosse spiccato un mandato d'arresto contro di lui. Ricordo quell'ultima sera, quando si congedò da mia madre. Ci lasciò un elenco dei titoli che portava con sé, giurò che al suo ritorno avrebbe dimostrato di essere una persona onesta e che nessuno di coloro che gli avevano affidato il proprio denaro avrebbe avuto a soffrirne. Bene, non ne avemmo mai più notizie. Lui e la sua imbarcazione erano scomparsi. Mia madre ed io pensammo che fosse naufragato e che oramai si trovasse in fondo al mare

con tutti i titoli. Avevamo però un amico fedele, un uomo d'affari, il quale scoprì, un po' di tempo fa, che alcuni dei titoli che mio padre aveva portato con sé erano ricomparsi sul mercato londinese. Può immaginare la nostra costernazione. Per mesi cercai di rintracciarli e finalmente, dopo incertezze e difficoltà, scoprii che a venderli era stato il capitano Peter Carey, il proprietario di questo capanno. Naturalmente, indagai sul suo conto. Venni a sapere che era stato al comando di una baleniera che doveva rientrare da una

spedizione artica proprio nel periodo in cui mio padre attraversava quei mari diretto in Norvegia. In quell'anno, l'autunno era stato tempestoso e si era verificata una lunga serie di tempeste provenienti dal sud. Era molto probabile che lo yacht di mio padre fosse stato spinto verso nord e avesse incontrato la nave di Carey. Ma, in quel caso, che ne era stato di mio padre? Comunque, se avessi potuto dimostrare, con la testimonianza di Peter Carey, in che modo quei titoli erano finiti sul mercato avrei se non altro provato che mio padre non li aveva venduti, e che non li aveva presi a scopo di profitto personale. Venni nel Sussex, con l'intenzione di parlare col capitano, ma proprio in quei giorni successe questa tragedia. Durante l'inchiesta, lessi una descrizione del suo capanno; in essa si specificava che, al suo interno, erano conservati i vecchi diari di bordo della sua nave. Pensai che da quei volumi avrei potuto scoprire cosa fosse successo nell'agosto del 1883 a bordo della Sea Unicorn, e chiarire il mistero della scomparsa di mio padre. Ieri sera ho cercato di mettere le mani su quei libri, ma non sono riuscito ad aprire la porta. Questa notte ho provato di nuovo, ci sono riuscito, ma ho scoperto che le pagine che si riferiscono a quel mese sono state strappate. E poi, mi avete preso.» «È tutto?», chiese Hopkins. «Sì, è tutto.» Ma mentre lo diceva distolse lo sguardo. «Non ha altro da dirci?» Esitò. «Non è mai stato qui prima di ieri sera?» «No.» «E allora questo come lo spiega?», esclamò Hopkins sbandierando il taccuino rivelatore con le iniziali del nostro prigioniero sulla prima pagina e la macchia di sangue sulla copertina. Il povero ragazzo crollò. Si nascose il viso fra le mani, scosso da un tremito convulso. «Dove l'avete preso?», gemette. «Non lo sapevo. Credevo di averlo perduto in albergo.» «Basta così», disse severamente Hopkins. «Qualunque altra

dichiarazione lei voglia fare, la farà in tribunale. Ora, verrà con me alla stazione di polizia. Bene, signor Holmes, sono molto grato a lei e al suo amico per essere venuti fin qui ad aiutarmi. Come abbiamo visto, la vostra presenza non era necessaria e avrei risolto il caso senza di voi, ma vi sono ugualmente grato. Vi abbiamo prenotato le stanze al Brambletye Hotel, così possiamo recarci tutti insieme al villaggio.» «Be', Watson, che ne pensa di tutta questa storia?», chiese Holmes il giorno dopo mentre stavamo facendo ritorno a casa. «Vedo che lei non è soddisfatto.» «Oh sì, caro Watson, sono soddisfattissimo. Però, non approvo i metodi di Stanley Hopkins. Mi ha deluso. Lo credevo capace di meglio. Bisognerebbe sempre cercare una possibile alternativa, ed eliminarla. È la prima regola per un investigatore.» «E quale sarebbe l'alternativa?» «La linea d'indagini che io stesso ho seguito. Forse non ci porterà a niente. Non lo so. Ma quanto meno la seguirò fino in fondo.» A Baker Street c'erano molte lettere per Holmes. Ne afferrò una, l'aprì, e scoppiò in una trionfante risata. «Eccellente, Watson! L'alternativa sta prendendo forma. Ha dei moduli per telegramma? Per favore, ne scriva un paio per me: "Agenzia Marittima Sumner, Ratcliff Highway. Inviate tre uomini, per arrivo ore dieci domattina. Basil" - Mi conoscono sotto questo nome. L'altro è: "Ispettore Stanley Hopkins, 46 Lord Street, Brixton. La attendo domattina per colazione ore nove e trenta. Importante. Se impossibilitato venire, telegrafi. Sherlock Holmes." Questo maledetto caso mi perseguita da dieci giorni, Watson. Da ora in poi, lo dimentico. Sono convinto che domattina ne sentiremo parlare per l'ultima volta.» Puntuale all'ora indicata arrivò Hopkins e ci sedemmo tutti a

gustare l'ottima colazione che ci aveva preparato la signora Hudson. Il giovane ispettore era raggiante per il successo. «È proprio sicuro di essere arrivato alla soluzione giusta?», chiese Holmes. «Non potrei immaginare un caso più completo.» «A me non è sembrato conclusivo.» «Mi sorprende, signor Holmes. Cosa si potrebbe chiedere di più?» «La sua spiegazione copre tutti i punti?» «Senza dubbio. Il giovane Neligan è arrivato al Brambletye Hotel proprio il giorno del delitto. Con la scusa di giocare a golf. La sua stanza era al pianterreno e poteva uscire quando vo-

leva. Quella stessa notte è andato a Woodman's Lee, ha incontrato Peter Carey al capanno, ha litigato con lui, e lo ha ucciso con l'arpione. Poi, inorridito per quanto aveva fatto, è fuggito dal capanno lasciando cadere il taccuino che si era portato appresso per interrogare Carey sui vari titoli. Noterà che alcuni di essi sono contrassegnati da una crocetta mentre altri - la maggior parte - no. Quelli contrassegnati sono i titoli rintracciati sul mercato londinese mentre gli altri, presumibilmente, erano ancora nelle mani di Carey e il giovane Neligan, stando alle sue stesse dichiarazioni, era ansioso di recuperarli per pagare i creditori del padre. Dopo la fuga, per un certo tempo non ha avuto il coraggio di tornare al capanno ma, alla fine, si è imposto di farlo per ottenere le informazioni che gli servivano. Mi sembra ovvio e semplicissimo.» Holmes sorrise scuotendo il capo. «Questa sua teoria presenta una sola pècca, Hopkins, e cioè che è materialmente impossibile. Ha mai provato ad affondare un arpione in un corpo? No? Ahi, ahi, mio caro signore, deve stare attento a questi particolari. Il mio amico Watson potrebbe dirle che ho passato un'intera mattinata a provarci. Non è facile, e richiede forza e pratica. Nel nostro caso il colpo è stato inferto con tale violenza che la punta dell'arpione si è conficcata profondamente nella parete. Crede proprio che quel giovanotto anemico fosse in grado di scagliare un attacco così brutale? È lui l'uomo che si è amichevolmente scolato rum e acqua con Peter il Pirata nel cuore della notte? Era suo il profilo scorto due notti prima attraverso la persiana? No, no, Hopkins, dobbiamo cercare un'altra persona, ben più agguerrita.» Il viso del detective si era fatto sempre più lungo via via che Holmes esponeva il suo punto di vista. Speranze e ambizioni gli stavano crollando intorno. Ma non abbandonò la sua posizione senza lottare. «Lei non può negare che Neligan fosse lì quella notte, signor Holmes. Il libro lo dimostrerà. Credo di avere prove sufficienti per la giuria, anche se lei ci trova una falla. Inoltre, signor Holmes, io ho messo le mani sul mio uomo. Dov'è questo energumeno di cui parla lei?» «Ho l'impressione che sia per le scale», rispose calmo Holmes. «Watson, credo farebbe meglio a tenere la pistola a portata di mano.» Si alzò, posando un foglio scritto su un tavolinetto. «Adesso siamo pronti», disse. Fuori dalla porta si era sentito un parlottio confuso e rauco, ed entrò la signora Hudson per dire che tre uomini chiedevano del capitano Basil.

«Li faccia entrare uno alla volta», disse Holmes. Il primo a entrare fu un ometto rinsecchito come una prugna, con le guance arrossate e favoriti bianchi e fioccosi. Holmes tirò fuori di tasca una lettera. «Che nome?», chiese. «James Lancaster.» «Spiacente, signor Lancaster, ma siamo al completo. Eccole mezza sovrana per il suo disturbo. Entri qui, prego e attenda qualche minuto.»

Il secondo era un individuo alto e secco, magro, con i capelli lisci. Si chiamava Hugh Pattins. Anche lui fu congedato, con la sua mezza sovrana e l'ordine di aspettare. Il terzo aspirante era un tipo notevole. Un viso da bulldog incorniciato da una massa di capelli ricci e dalla barba, due occhi scuri e sfrontati sotto le sopracciglia cespugliose e sporgenti. Salutò e rimase in piedi come fanno i marinai, rigirandosi il berretto fra le mani. «Il suo nome?», chiese Holmes. «Patrick Cairns.» «Ramponiere?» «Sì signore. Ventisei viaggi.» «Dundee, immagino.» «Sissignore. » «Pronto a partire con un battello «Sissignore.» «Paga?» «Otto sterline al mese. » «Potrebbe imbarcarsi subito?» «Appena preso il mio bagaglio.» «Ha i documenti?» «Sissignore.» Tirò fuori di tasca un mucchietto di fogli logori e bisunti. Holmes diede un'occhiata poi li restituì. «Lei è proprio la persona che cercavo», disse. «Su quel tavolino c'è l'accordo d'ingaggio. Lo firmi, e tutto è sistemato. » Il marinaio attraversò la stanza dondolando sulle gambe e prese la penna. «Devo firmare qui?», chiese, chinandosi sul tavolo. Holmes gli arrivò alle spalle prendendolo per il collo. «Basta così», disse. Sentii lo scatto dell'acciaio e un muggito di toro infuriato. L'attimo dopo, Holmes e il marinaio si stavano rotolando sul pavimento. L'uomo aveva una tale forza che, anche con le manette che Holmes gli aveva così abilmente messo ai polsi, avrebbe ben presto sopraffatto il mio amico se Hopkins ed io non fos-

simo accorsi in suo aiuto. Solo quando sentì sulla tempia il freddo della canna della mia pistola capì finalmente che era inutile opporre resistenza. Gli legammo le caviglie con una corda e lo tirammo su, ansante per la lotta. «Devo proprio farle le mie scuse, Hopkins», disse Holmes. «Temo che le uova strapazzate oramai siano fredde. Ma credo che si godrà di più il resto della colazione pensando che ha brillantemente risolto il caso.» Stanley Hopkins era rimasto senza parole. «Non so cosa dire, signor Holmes», farfugliò alla fine, rosso in viso. «Mi sembra di essermi comportato da idiota fin dal principio. Ora capisco quello che non avrei mai dovuto dimenticare e cioè che io sono l'allievo e lei il maestro. Anche adesso che vedo quanto lei ha fatto non riesco ancora a capire come l'abbia fatto o cosa significhi.» «Bene, bene», rispose Holmes, di buon umore. «Impariamo tutti dall'esperienza e questa volta la sua lezione è che non deve mai perdere di vista la soluzione alternativa. Era così concentrato sul giovane Neligan che non ha pensato affatto a Patrick Cairns, l'assassino di Peter Carey.» La voce del marinaio si intromise nella conversazione. «Senta un po', capo», disse, «passi l'essere maltrattato in questo modo ma vorrei che lei chiamasse le cose col loro nome. Lei dice che ho assassinato Peter Carey, io dico che ho ucciso Peter Carey, c'è una bella differenza. Magari lei non mi crede. Magari crede che le stia raccontando una frottola.» «Niente affatto», rispose Holmes. «Sentiamo cos'ha da dirci. » «Presto fatto, e giuro davanti a Dio che ogni parola è la pura verità. Sapevo bene che tipo era Peter Carey, e quando ha tirato fuori il coltello, l'ho infilzato con l'arpione; o lui o io. Ecco come è morto. Lei lo chiama omicidio. Ma preferisco finire con

una corda al collo che con il coltello di Peter il Pirata nel cuore.» «Cosa l'ha portata qui?» «Le racconterò tutto dal principio. Mi tiri un po' su, seduto, così posso parlare meglio. Fu nell'83 che successe - nell'agosto di quell'anno. Peter Carey comandava la Sea Unicorn e io ero ramponiere di riserva. Tornavamo dal pack, in rotta verso casa, col vento a prua e una tempesta dal sud che durava da una settimana, quando incrociammo una piccola imbarcazione che i venti avevano spinto a nord. A bordo c'era un uomo - un marinaio inesperto. L'equipaggio, temendo che l'imbarcazione affondasse, si era diretto verso la Norvegia con il canotto. Credo che affogarono tutti. Bene, lo prendemmo a bordo, quel pove-

raccio, e lui e lo skipper si chiusero in cabina a parlare per un pezzo. Tutto il bagaglio che aveva era una scatola di latta. Per quanto mi risulta, non fu fatto mai il suo nome e, la seconda notte, sparì come se non fosse mai esistito. Si disse che, o si era buttato a mare o era caduto in acqua a causa della tempesta. Uno solo sapeva cosa gli fosse realmente accaduto, e quell'uno ero io perché, con i miei occhi, vidi lo skipper prenderlo per i piedi e buttarlo giù dalla murata durante il suo turno di guardia in una notte scura, due giorni prima di arrivare in vista delle luci di segnalazione di Shetland. Be', tenni la bocca chiusa e restai a vedere che sarebbe successo. Quando tornammo in Scozia la faccenda fu messa a tacere senza difficoltà, e nessuno fece domande. Uno sconosciuto era morto accidentalmente e non c'era motivo perché qualcuno ci ficcasse il naso. Poco tempo dopo Peter Carey smise di andar per mare e passarono molti anni prima che potessi scoprire dove stava. Immagino che avesse fatto quello che aveva fatto per amore del contenuto di quella scatola di latta e che, adesso, poteva permettersi di pagare bene il mio silenzio. Scoprii dove abitava tramite un marinaio che lo aveva incontrato a Londra, e venni qui per spremerlo un po'. La prima notte fu abbastanza ragionevole, ed era disposto a darmi quanto mi sarebbe bastato per finirla una volta per tutte col mare. Dovevamo sistemare tutto due notti dopo. Quando arrivai, era già per tre quarti ubriaco e di umore bestiale. Ci sedemmo a bere ancora e a chiacchierare dei vecchi tempi, ma più lui beveva, meno mi piaceva la sua espressione. Vidi l'arpione sulla parete e pensai che forse ne avrei avuto bisogno prima che la faccenda fosse finita. Poi, alla fine, mi si rivoltò contro, insultandomi e bestemmiando, pronto a farmi fuori, con un grosso coltello in mano. Ma non aveva nemmeno fatto a tempo a tirarlo fuori che lo avevo oltrepassato con l'arpione. Mammamia, che urlo diede! Rivedo ancora la sua faccia, che non mi fa dormire. Rimasi lì, col suo sangue che mi schizzava tutt'intorno, e aspettai per un po', ma tutto era tranquillo e ripresi un po' di coraggio. Mi guardai in giro e vidi sullo scaffale la scatola di latta. Dopotutto, era mia quanto di Peter Carey, così la presi e lasciai il capanno. Come un idiota, dimenticai la borsa del tabacco sul tavolo. E adesso viene la parte più strana della storia. Avevo appena messo il naso fuori dal capanno che sentii arrivare qualcuno e mi nascosi fra i cespugli. Un uomo si avvicinò cautamente, entrò, diede un grido come se avesse visto un fantasma e se la diede a gambe con tutte le sue forze fino a che sparì. Chi fosse o cosa volesse, non ne ho la minima idea. In quanto a me, me ne andai a

piedi per dieci miglia, presi un treno a Tunbridge Wells, arrivai a Londra, e buonanotte. Be', quando aprii la scatola, trovai che non c'erano soldi ma solo carte che non osavo vendere. Non potevo più mungere Peter Carey e mi trovavo arenato a Londra senza un soldo in tasca. Mi restava solo il mio mestiere. Vidi questi avvisi per un ramponiere, la paga era buona, così andai all'agenzia marittima e loro mi hanno mandato qui. Questo è tutto quello che so e vi ripeto che se ho ucciso Peter Carey, i giudici dovrebbero darmi un pre-

mio perché gli ho fatto risparmiare il prezzo della corda di canapa.» «Un resoconto molto chiaro», disse Holmes alzandosi e accendendo la pipa. «Credo che dovrebbe portare subito il suo prigioniero in qualche luogo sicuro, Hopkins. Questa stanza non è adatta come cella e il signor Patrick Cairns occupa troppo spazio sul nostro tappeto.» «Non so davvero come esprimerle la mia gratitudine, signor Holmes», disse Hopkins, «ancora non sono riuscito a capire come ha fatto.» «Semplicemente grazie alla fortuna di aver trovato l'indizio giusto fin dal principio. É possibilissimo che, se avessi saputo dell'esistenza di questo taccuino, mi sarei fatto fuorviare, come è successo a lei. Ma tutto ciò che avevo sentito puntava in un unica direzione. La forza straordinaria, l'abilità nell'uso dell'arpione, il rum con acqua, la borsa del tabacco in pelle di foca, il tipo di tabacco - tutto stava ad indicare un marinaio, e un marinaio che era stato baleniere. Ero convinto che le iniziali "P.C." sulla borsa del tabacco non fossero che una coincidenza e non avessero niente a che fare con Peter Carey, il quale fumava raramente, tanto che nel capanno non si è trovata nessuna pipa. Ricorderà che le domandai se nel capanno c'era del whisky e del brandy. Lei mi ha risposto di sì. Quante sono le persone non di mare - che, avendo a disposizione questi due tipi di alcolici, sceglierebbero il rum? Sì, non avevo dubbi: si trattava di un marinaio.» «E come lo ha rintracciato?» «Mio caro, il problema oramai era semplicissimo. Se si trattava di un marinaio, non poteva essere altro che qualcuno che era stato con Carey a bordo della Sea Unicorn. Per quanto ero riuscito a sapere, era l'unica nave su cui aveva navigato. Mi ci sono voluti tre giorni per mandare vari telegrammi a Dundee e, finalmente, riuscii ad ottenere i nominativi dell'equipaggio che era a bordo della Sea Unicorn nel 1883. Quando fra i ramponieri trovai Patrick Cairns, capii che le mie ricerche erano alla fine. Pen-

sai che probabilmente l'uomo si trovava a Londra, e che avrebbe desiderato allontanarsi per un po' dal paese. Trascorsi alcuni giorni nell'East End, architettai una fantomatica spedizione artica, offrii condizioni allettanti ai ramponieri che si fossero imbarcati col capitano Basil - e voilà!» «Fantastico! », esclamò Hopkins. «Davvero fantastico!» «Deve far rilasciare il giovane Neligan appena possibile», disse Holmes. «Secondo me, gli deve delle scuse. Bisogna restituirgli la scatola di latta ma, naturalmente, i titoli venduti da Peter Carey ormai sono perduti per sempre. Ecco la carrozza, Hopkins, può portarsi via il suo uomo. Se avrà bisogno di me al processo, troverà me e Watson in qualche parte della Norvegia - le farò avere i particolari in seguito.» Next Page

L'avventura di Charles Augustus Milverton Gli eventi che mi accingo a narrare risalgono a molti anni fa, eppure è con una certa difficoltà che accenno ad essi. Per molto tempo, sia pure usando la massima discrezione e la massima reticenza, sarebbe stato impossibile renderli di pubblico dominio ma oggi il loro protagonista principale è al di là della legge umana e, debitamente sfrondata, la vicenda si può raccontare senza nuocere a nessuno. Si tratta di un'esperienza assolutamente unica nella carriera sia di Sherlock Holmes che mia. Il lettore vorrà perdonarmi se ometto date o altri fatti che potrebbero far risalire alla reale vicenda. Eravamo usciti, Holmes ed io, per una delle nostre passeggiate pomeridiane ed eravamo rientrati verso le sei di una gelida se-

rata invernale. Quando Holmes accese la lampada, la luce cadde su un biglietto poggiato sul tavolo. Gli diede un'occhiata poi, con un'esclamazione di disgusto, lo gettò per terra. Lo raccolsi e lessi: Charles Augustus Milverton Appledore Towers Hampstead Agente «Chi è?», domandai. «L'uomo peggiore di Londra», rispose Holmes sedendosi e stendendo le gambe verso il caminetto acceso. «C'è scritto qualcosa sul retro?» Girai il biglietto. «Sarò da lei alle 6,30 - C.A.M.», lessi. «Hum! Sarà qui a momenti. Lei, Watson, non prova un vago senso di repulsione davanti ai serpenti dello zoo, nel vedere quelle creature viscide, striscianti, velenose, con quegli occhietti letali, e quelle malevole teste schiacciate? Be', questa è l'impressione che mi fa Milverton. Nel corso della mia carriera ho avuto a che fare con cinquanta assassini ma nemmeno il peggiore di loro mi diede mai quel senso di repulsione che provo per questo in-

dividuo. Eppure, non posso rifiutarmi di lavorare per lui - anzi, è qui dietro mio invito.» «Ma chi è?» «Glielo dirò, Watson. È il re dei ricattatori. Dio abbia pietà dell'uomo - e ancor più della donna - i cui segreti e la cui reputazione cadono nelle mani di Milverton! Col sorriso sulle labbra e un cuore di pietra, li spremerà fino all'ultima goccia. A modo suo, è un genio e, se avesse scelto una professione meno disgustosa, sarebbe arrivato in alto. Ecco come agisce. Fa sapere di essere disposto a pagare ingenti cifre per lettere che siano compromettenti per persone ricche e potenti. Riceve la sua merce non solo da lacchè o cameriere infedeli ma anche, spesso, da smancerosi farabutti che si sono conquistati la fiducia e l'affetto di donne credule. E non è certo tirchio. Per caso, so che ha pagato settecento sterline a un lacchè per un biglietto di due righe; e il risultato è stata la rovina di una nobile famiglia. Tutto ciò di cui il mercato in questo campo dispone va a Milverton e, in questa città, centinaia di persone impallidiscono solo a sentirlo nominare. Nessuno sa dove può colpire perché è troppo ricco e troppo astuto per sbucciare subito la patata bollente. È capace di conservare un biglietto per anni, così da servirsene al momento giusto, quando la posta ne vale la pena. Ho detto che è l'uomo peggiore di Londra e vorrei chiederle come si potrebbe paragonare un mascalzone che, in un momento d'ira, fracassa la testa al compare con quest'individuo che, metodicamente e senza fretta, tortura l'anima e sconvolge i nervi per impinguare la sua già rigonfia borsa?» Raramente avevo sentito il mio amico esprimersi con tanta veemenza. «Ma senza dubbio», dissi, «la legge potrebbe intervenire.» «In teoria, certamente, ma in pratica, no. Cosa ci guadagnerebbe, per esempio, una donna a farlo finire in carcere per qualche mese se questo comporta la sua immediata rovina? Le vittime non osano ribellarsi. Se mai ricattasse un innocente, allora, certo, lo avremmo in pugno; ma è scaltro come il demonio. No, no, dobbiamo cercare altri modi per combatterlo.» «E perché viene qui?» «Perché un'illustre cliente mi ha affidato il suo caso pietoso. Si tratta di Lady Eva Blackwell, la più graziosa debuttante dell'ultima stagione. Fra due settimane dovrebbe sposare il conte di Dovercourt. Questa canaglia è in possesso di varie lettere imprudenti - imprudenti, Watson, nulla di più - scritte a un giovane signorotto squattrinato. Sarebbero sufficienti a mandare all'aria il matrimonio. E Milverton manderà le lettere al conte se

non gli verrà versata una grossa somma di denaro. Sono stato incaricato di incontrarmi con lui, e di raggiungere un accordo, il migliore possibile.» In quell'istante, si sentì per la strada un rumore di ruote. Guardando fuori, vidi un'elegante carrozza con una splendida pariglia di sauri le cui groppe lucide e setose erano illuminate dai fanali. Un lacchè aprì lo sportello e ne discese un ometto tarchiato, avvolto in un cappotto di astrakhan. Un minuto dopo, era nella nostra stanza. Charles Augustus Milverton aveva una cinquantina d'anni, la fronte ampia e intelligente, il viso tondo, grassoccio, sbarbato, un perpetuo sorriso congelato sulle labbra e due acuti occhi grigi che scintillavano dietro le grosse lenti cerchiate d'oro. C'era una benevolenza alla Pickwick nel suo aspetto, smentita però da quel sorriso stereotipato e insincero e dal bagliore d'acciaio di quegli occhi irrequieti e penetranti. Holmes ignorò la mano tesa guardandolo con una faccia di pietra. Il sorriso di Milverton si fece più ampio, alzò le spalle, si tolse il cappotto piegandolo con molta cura sulla spalliera di una seggiola, poi si sedette. «Questo signore?», chiese con un cenno verso di me. «È discreto? A posto?» «Il dottor Watson è mio amico e mio socio.» «Benissimo, signor Holmes. Mi preoccupavo solo nell'interesse della sua cliente. La faccenda è talmente delicata... » «Il dottor Watson ne è già al corrente.» «Allora, possiamo parlare d'affari. Lei dice di agire per conto di Lady Eva. L'ha autorizzata ad accettare le mie condizioni?» «Quali sarebbero le sue condizioni?» «Settemila sterline.» «Altrimenti?» «Mio caro signore, mi rattrista il doverne discutere ma, se il denaro non sarà pagato il giorno 14, sicuramente non ci sarà alcun matrimonio il giorno 18.» Quel suo indisponente sorriso era più compiaciuto che mai. Holmes rifletté per un attimo. «Mi sembra», disse alla fine, «che lei prenda le cose troppo per scontate. Sono, naturalmente, informato del contenuto di quelle lettere. La mia cliente seguirà sicuramente il mio consiglio. Che sarà quello di raccontare tutto al suo futuro sposo, affidandosi alla sua generosità.» Milverton ridacchiò. «Evidentemente, lei non conosce il conte», disse. Dall'espressione sconcertata di Holmes compresi che effettivamente era così.

«Cosa c'è di male in quelle lettere?», chiese. «Sono vivaci - molto vivaci», rispose Milverton. «La signorina era una corrispondente affascinante. Ma le assicuro che il conte di Dovercourt non le apprezzerebbe affatto. Comunque, dato che lei è di diverso avviso, lasciamo perdere. È una pura e semplice transazione d'affari. Se lei ritiene che sia nel miglior interesse della sua cliente che queste lettere finiscano nelle mani del conte, certo sarebbe molto sciocco pagare una tale cifra per rientrarne in possesso.» Si alzò prendendo il cappotto di astrakhan. Holmes era pallido per l'ira e la mortificazione. «Aspetti un momento», disse. «Non abbia tanta fretta. Naturalmente, faremo di tutto per evitare uno scandalo in una questione così delicata.» Milverton tornò a sedersi. «Ero certo che l'avrebbe vista in questa luce», disse in tono sornione. «Lady Eva, però», proseguì Holmes, «non è ricca. Le assicuro che già duemila sterline prosciugherebbero quasi per intero le sue risorse e non dispone assolutamente della somma che lei chiede. La prego, pertanto, di moderare le sue richieste e di restituire le lettere al prezzo che le ho indicato e che, le assicuro, è

il massimo che può ottenere.» Il sorriso di Milverton si fece più largo mentre gli occhi scintillavano ironici. «So perfettamente che quanto lei dice sulle disponibilità della signora è esatto», rispose. «Al tempo stesso, non può negare che l'occasione del matrimonio è l'ideale perché amici e parenti facciano qualche sacrificio a suo nome. Potrebbero essere incerti su cosa regalarle per le nozze. Lasci che li informi che questo mucchietto di lettere sarebbe assai più bene accetto che tutti i candelabri e i piattini per il burro di Londra.» «Impossibile », disse Holmes. «Che peccato! È davvero un peccato!», esclamò Milverton tirando fuori un grosso portafoglio. «Non posso fare a meno di pensare che le signore siano davvero sconsiderate a rifiutarsi di compiere un piccolo sforzo. Guardi qui!» Mostrò un bigliettino con uno stemma sulla busta. «Questo appartiene a... be', forse non sarebbe onesto rivelarne il nome prima di domattina. Ma domattina, sarà nelle mani del marito della signora in questione. E tutto perché non è riuscita a trovare una misera somma che avrebbe potuto facilmente ottenere sostituendo i suoi gioielli autentici con delle imitazioni. Un vero peccato! Mi dica, rammenta l'improvvisa rottura del fidanzamento fra la signorina

Miles e il colonnello Dorking? Solo due giorni prima delle nozze è apparso un trafiletto nel Morning Post con cui veniva disdetta la cerimonia. E perché? È quasi incredibile, ma sarebbero state sufficienti 1200 sterline a risolvere tutto. Non è un peccato? E lei, un uomo di buon senso, se ne sta qui a cavillare sulle condizioni quando sono in ballo il futuro e l'onore della sua cliente. Mi meraviglio, signor Holmes.» «Le ho detto la verità», rispose Holmes. «Impossibile trovare tutto quel denaro. Non sarebbe meglio per lei accettare la rispettabile cifra che le ho offerto anziché rovinare l'avvenire di questa donna senza cavarne alcun profitto?» «E qui che lei si sbaglia, signor Holmes. Uno scandalo mi sarebbe, sia pure indirettamente, molto utile. Ho altri otto o dieci casi del genere. Se si spargesse la voce che ho voluto dare un esempio con Lady Eva, tutti gli altri sarebbero molto più disposti a ragionare. Afferra il concetto?» Holmes si alzò di scatto dalla seggiola. «Gli vada alle spalle, Watson! Gli impedisca di uscire! E adesso, egregio signore, vediamo un po' cosa contiene quel portafoglio.» Milverton, rapido come un sorcio, era scivolato in un angolo della stanza, mettendosi con le spalle al muro. «Attento, signor Holmes», disse aprendosi la giacca per mostrare il calcio di una grossa pistola nella tasca interna. «Mi aspettavo qualche mossa avventata da parte sua. È successo molto spesso e non ne è mai venuto niente di buono. Le garantisco che sono armato fino ai denti, e prontissimo a servirmi delle armi, sapendo che la legge mi darebbe ragione. Inoltre, la sua supposizione che io sarei venuto qui portando le lettere nel portafoglio è totalmente sbagliata. Non farei mai una cosa tanto stupida. E adesso, signori, devo ancora incontrare un paio di persone questa sera, e il tragitto da qui ad Hampstead è lungo.» Fece un passo avanti, prese il cappotto, posò la mano sul calcio della pistola e si avviò alla porta. Afferrai una sedia ma Holmes scosse la testa e la rimisi a terra. Con un inchino, un sorriso e una strizzatina d'occhio Milverton uscì dalla stanza e, pochi istanti dopo, sentimmo sbattere lo sportello della carrozza e le ruote cigolarono, rimettendosi in moto. Holmes sedeva immobile accanto al fuoco, con le mani sprofondate in tasca, il mento sul petto, gli occhi fissi sui tizzoni ardenti. Rimase così, fermo e in silenzio, per una mezz'ora. Poi, col gesto di un uomo che ha preso una decisione, si alzò di scatto andando in camera sua. Poco dopo, un disinvolto giovane operaio con la barbetta a punta e la camminata ciondolante, accese

la sua pipa di gesso alla fiamma della lampada, prima di scendere in strada. «Prima o poi sarò di ritorno, Watson», disse, e svanì nella notte. Capii che aveva aperto le ostilità contro Charles Augustus Milverton ma non potevo certo immaginare quale strana forma era destinata ad assumere la sua campagna. Per qualche giorno, Holmes continuò ad andare e venire a tutte le ore, con quel suo travestimento; ma, tranne che per un accenno al fatto che trascorreva il tempo ad Hampstead e che non era tempo sprecato, ero totalmente all'oscuro dei suoi movimenti. Finalmente, una sera cupa e tempestosa, col vento che ululava alle finestre scrollando i vetri, rientrò dalla sua ultima spedizione e, toltosi il travestimento, si sedette davanti al fuoco ridendo di cuore con quella sua risata silenziosa e introversa. «Lei mi definirebbe un tipo adatto al matrimonio, Watson?» «No davvero!» «Le interesserà sapere che mi sono fidanzato.» «Amico mio! Congrat...» «Con la cameriera di Milverton.» «Santo cielo, Holmes! » «Avevo bisogno di informazioni, Watson.» «Ma non le sembra eccessivo?» «Era indispensabile. Sono un idraulico, con un'attività bene avviata, mi chiamo Escott. Ho passeggiato con lei ogni sera, e abbiamo chiacchierato. Mio Dio, che discorsi! Comunque, ho ottenuto ciò che volevo. Conosco la casa di Milverton come il palmo della mia mano.» «Ma, Holmes, e la ragazza?» Si strinse nelle spalle. «Non so che farci, Watson. Quando in tavola c'è una posta del genere, bisogna giocare le proprie carte meglio che si può. Tuttavia, sono lieto di poter dire che ho un odiato rivale che senza dubbio mi soffierà la ragazza appena volto le spalle. Che splendida serata! » «Con questo tempo?» «Adatto al mio scopo, Watson. Questa notte intendo scassinare la casa di Milverton.» Mi si mozzò il fiato e cominciai a sudare freddo a quelle parole enunciate in tono di incrollabile decisione. Come un lampo nella notte rende subitaneamente visibile ogni dettaglio di un panorama selvaggio così mi parve di vedere, a colpo d'occhio, tutti i possibili risultati di un'impresa del genere - la scoperta in flagrante, l'arresto, l'irreparabile fine ignominiosa di un'onorata carriera, lo stesso mio amico gila mercé di quel detestabile Milverton.

«Per amor di Dio, Holmes, pensi a quello che fa», gridai. «Mio caro amico, ci ho pensato a lungo, non agisco mai in maniera precipitosa né ricorrerei a un sistema così drastico, anzi, così pericoloso, se ci fosse un'altra strada. Esaminiamo spassionatamente la cosa. Immagino converrà con me che è un' azione moralmente giustificabile anche se, tecnicamente, criminosa. Svaligiare la sua casa equivale a sottrargli con la forza quel suo portafoglio - un'azione in cui lei era pronto ad aiutarmi.» Ci pensai sopra. «Sì», risposi, «è moralmente giustificabile fino a quando il nostro fine è esclusivamente quello di impadronirsi di qualcosa che viene usato per scopi illegali.» «Esattamente. Quindi, dato che è moralmente giustificabile, devo solo considerare il problema del rischio personale. Ma un gentiluomo non dovrebbe preoccuparsene eccessivamente, quando una signora ha disperatamente bisogno del suo aiuto, non le pare?» «Verrà a trovarsi in una posizione così falsa.» «Fa parte del rischio. Non esiste altro modo per recuperare quelle lettere. Quella povera ragazza non ha il denaro e non ha nessuno con cui confidarsi. Domani è l'ultimo giorno di tregua e, a meno di recuperare le lettere questa notte, quel farabutto manterrà la sua minaccia e le distruggerà la vita. Quindi, o ab-

bandono la mia cliente al suo destino, o gioco quest'ultima carta. Detto fra noi, Watson, è praticamente una sfida fra Milverton e me. Come ha visto, le prime schermaglie sono state a suo favore, ma ci sono in ballo la mia autostima e la mia reputazione, e devo combattere fino alla fine.» «Be', non mi piace affatto, ma suppongo che non ci sia altro da fare», risposi. «Quando andiamo?» «Lei non viene.» «Allora, non ci va nemmeno lei», dissi. «Le do la mia parola d'onore - alla quale non ho mai mancato in vita mia - che, se non mi lascia dividere con lei quest'avventura, andrò difilato a denunciarla alla stazione di polizia.» «Non può essermi di nessun aiuto.» «E come lo sa? Non può dire cosa potrebbe accadere. Comunque, la mia decisione è presa. Non è solo lei ad avere autostima e reputazione.» Holmes era sembrato seccato ma a questo punto la fronte gli si spianò e mi batté una mano sulla spalla. «D'accordo, d'accordo, vecchio mio. Così sia. Dividiamo questa stanza da anni e sarebbe divertente finire col dividere la stessa cella. Sa, Watson, non mi vergogno di confessarle che ho

sempre pensato che avrei potuto essere un efficientissimo criminale. E questa è l'occasione buona per dimostrarlo; dia un'occhiata!» Tirò fuori da un cassetto un piccolo astuccio di cuoio e lo aprì, mostrando una serie di ferri scintillanti. «Questa è un'attrezzatura completa per scassinatori, aggiornata, di ottima qualità, grimaldello placcato in nichel, tagliavetro con la punta di diamante, chiavi universali, e ogni raffinatezza che il cammino della civilizzazione richiede. Ecco, ho anche la lanterna cieca. Tutto a posto. Ha un paio di scarpe che non facciano rumore?» «Scarpe da tennis, con la suola di gomma.» «Eccellente! E una maschera?» «Posso ricavarne un paio da un pezzo di seta nera.» «Vedo che ha una forte tendenza congenita per questo tipo di cose. Benissimo, prepari le maschere. Faremo una cena fredda prima di metterci in cammino. Adesso sono le nove e mezza. Alle undici, raggiungeremo in carrozza Church Row. Da lì, in un quarto d'ora, arriveremo ad Appledore Towers. Ci metteremo all'opera prima di mezzanotte. Milverton ha il sonno pesante, e si corica puntualmente alle dieci e mezza. Con un po' di fortuna, potremo essere di ritorno per le due, con le lettere di Lady Eva in tasca. » Holmes ed io indossammo gli abiti da sera, così da apparire come due signori di ritorno dal teatro. A Oxford Street prendemmo una carrozza di piazza facendoci condurre a un indirizzo di Hampstead. Una volta giunti, pagammo il vetturino e, con i soprabiti abbottonati contro il freddo pungente e il vento che sembrava infilarsi dappertutto, procedemmo a piedi lungo il margine della brughiera. «È una faccenda che va trattata con cautela», disse Holmes. «I documenti si trovano in una cassaforte, nello studio di quell'individuo, e lo studio costituisce l'anticamera della sua stanza da letto. D'altro canto, come tutti gli ometti tarchiati che si trattano bene, dorme come un sasso. Agatha - sarebbe la mia fidanzata - dice che tutti i domestici scherzano sul fatto che svegliare il padrone è un'impresa impossibile. Ha un segretario molto devoto che non si muove dallo studio tutto il giorno. Ecco perché ci andiamo di notte. Questa è la casa, questa grande, circondata dal parco. Passiamo il cancello - adesso a destra, fra i cespugli di lauro. A questo punto credo che possiamo indossare le maschere. Vede, non c'è un barlume di luce alle finestre e tutto procede a meraviglia.» Con le nostre maschere di seta nera che ci trasformavano in due delle più truculente figure londinesi, ci accostammo cauta-

mente alla casa, tetra e silenziosa. Lungo uno dei lati correva una specie di veranda coperta, sulla quale si aprivano varie finestre e due porte. «Quella è la sua camera da letto», bisbigliò Holmes. «Questa porta dà direttamente nello studio. Sarebbe la strada migliore ma è chiusa a chiave e sprangata e faremmo troppo rumore per entrare. Venga da questa parte. C'è una serra che dà nel soggiorno.» La vetrata era chiusa a chiave ma Holmes tagliò un cerchio di vetro e girò la chiave dall'interno. Un secondo dopo aveva chiuso la porta alle nostre spalle e, agli occhi della legge, eravamo diventati due delinquenti. L'aria calda e pesante della serra e la fragranza intensa e soffocante delle piante esotiche ci strinse alla gola. Nell'oscurità, mi prese per mano conducendomi rapidamente lungo file di cespugli che ci sfioravano la faccia. Holmes aveva la strana facoltà, accuratamente coltivata, di vederci al buio. Sempre tenendomi per mano, aprì una porta e mi resi vagamente conto che eravamo entrati in una grande stanza dove ancora ristagnava l'odore di un sigaro fumato di recente. Si fece strada fra i mobili, aprì un'altra porta e la richiuse dietro di noi. Tendendo la mano, sentii vari soprabiti che pendevano dalle pareti e capii di essere in un corridoio. Lo percorremmo e Holmes, molto cautamente, aprì una porta sulla destra. Qualcosa ne sbucò fuori di corsa e il cuore mi saltò in gola, poi mi venne da ridere, rendendomi conto che era il gatto. In questa stanza ardeva il fuoco e l'aria era di nuovo impregnata dall'odore di tabacco. Holmes entrò in punta di piedi, mi fece cenno di seguirlo, poi richiuse piano piano la porta. Eravamo nello studio di Milverton e una portiera all'estremità indicava l'ingresso alla sua camera da letto. La fiamma del caminetto era ancora vivace e rischiarava la stanza. Accanto alla porta vidi il luccichio di un interruttore elettrico ma non c'era bisogno, ammesso che potessimo farlo senza rischio, di accendere la luce. Da un lato del camino, una tenda pesante schermava la finestra che avevamo scorto dall'esterno. Dall'altro lato, c'era la porta di comunicazione con la veranda. Al centro della stanza, una scrivania, con una poltrona girevole di lucido cuoio rosso. Dirimpetto, una grande libreria sormontata dal busto marmoreo di Minerva. Nell'angolo, fra la libreria e la parete, una cassaforte molto alta, di color verde, le cui manopole di ottone lucidato riflettevano il bagliore del fuoco sul viso della dèa. Holmes si avvicinò a dare un'occhiata. Poi, in punta di piedi, si accostò alla porta della camera da letto e rimase ad ascoltare con l'orecchio teso. Dall'interno, non ve-

niva nessun suono. Nel frattempo, avevo pensato che sarebbe stato saggio garantirci una via d'uscita attraverso la porta che dava all'esterno, e quindi la esaminai attentamente. Con mia enorme sorpresa, vidi che non era chiusa a chiave; né sbarrata. Toccai il braccio di Holmes e, mentre girava il volto mascherato da quella parte, lo vidi trasalire, evidentemente sorpreso quanto me. «Non mi piace», mi bisbigliò all'orecchio. «Non mi convince. Comunque, non c'è tempo da perdere.» «Posso fare qualcosa?» «Sì, resti accanto alla porta. Se sente arrivare qualcuno, metta il paletto dall'interno così potremo andarcene come siamo venuti. Se invece arriva qualcuno dall'altra parte, possiamo svignarcela da quella porta, se abbiamo finito o, in caso contrario, nasconderci dietro le tende della finestra. Capito?» Feci cenno di sì con la testa e rimasi accanto alla porta. Il senso di paura era svanito e adesso provavo un brivido di entusiasmo più intenso di quanto avessi mai provato quando difendevamo la legge anziché infrangerla. Il nobile scopo della nostra missione, la consapevolezza che si trattava di un'impresa altruistica e cavalleresca, la spregevole personalità del nostro avversario - tutto aggiungeva sapore alla nostra avventura. Lungi dal sentirmi colpevole, mi rallegravo ed esultavo del pericolo

che stavamo correndo. Con fervida ammirazione osservavo Holmes che apriva il suo astuccio di strumenti, scegliendo quello che gli occorreva con la calma e la precisione scientifica di un chirurgo impegnato in un delicato intervento. Sapevo che aprire le casseforti era un suo hobby particolare, e comprendevo quale gioia gli desse l'affrontare quel mostro verde e oro, il drago che teneva nelle fauci la reputazione di tante belle signore. Rimboccandosi i polsini dello smoking - aveva appoggiato il soprabito su una sedia - Holmes allineò due trapani, un grimaldello, e varie chiavi universali. Io stavo in piedi presso la porta centrale scrutando le altre, pronto per ogni emergenza anche se, a dir la verità, non avevo un'idea chiara di cosa avrei fatto se fossimo stati interrotti. Holmes lavorò con estrema concentrazione per una mezz' oretta, deponendo uno strumento, prendendone un altro, maneggiando ogni cosa con la forza e la delicatezza del meccanico esperto. Finalmente sentii un click, il grosso sportello verde girò sui cardini, e scorsi all'interno vari pacchetti di carte, ciascuno legato, sigillato e annotato. Holmes ne prese uno, ma era difficile leggere al tremolante chiarore del fuoco e quindi tirò fuori la sua piccola lanterna cieca dato che, con Milverton nella stanza accanto, sarebbe stato troppo pericoloso accendere

la luce. D'improvviso lo vidi fermarsi, ascoltare attentamente e, un attimo dopo, aveva richiuso lo sportello della cassaforte, afferrato il suo soprabito, infilato i ferri in tasca e saettato dietro la tenda, facendomi cenno di fare altrettanto. Solo dopo che gli fui a fianco sentii quello che aveva messo in allarme il suo udito finissimo. C'era rumore da qualche parte della casa. Lontano, sbatté una porta. Poi, un suono soffocato e confuso si trasformò nella cadenza misurata di passi pesanti che si stavano avvicinando rapidamente. Erano nel corridoio fuori della stanza. Fermi davanti alla porta. La porta si aprì. Con uno scatto secco si accese la luce elettrica. La porta si richiuse e ci arrivò alle nari l'aroma pungente di un sigaro. Poi i passi continuarono, avanti e indietro, avanti e indietro, a pochi metri da noi. Alla fine, si sentì lo scricchiolio di una seggiola e i passi s'interruppero. Una chiave girò in una serratura e udii un fruscio di carte. Fino a quel momento non avevo osato guardar fuori ma a quel punto scostai appena appena le due metà della tenda e sbirciai fuori. Dalla pressione della spalla di Holmes contro la mia, capii che stava facendo altrettanto. Proprio di fronte a noi, tanto vicino che quasi avremmo potuto toccarla, c'era l'ampia schiena curva di Milverton. Era evidente che ci eravamo sbagliati in pieno circa i suoi movimenti, che non era mai stato in camera da letto, ma che era rimasto in una qualche stanza, soggiorno o biliardo, nell'ala più distante della casa e di cui non avevamo visto la finestra. Il testone con i capelli brizzolati dove qua e là brillavano lucide zone di calvizie, ci stava proprio davanti agli occhi. Era semisdraiato nella poltrona di cuoio rosso, a gambe tese, con un lungo sigaro nero all'angolo della bocca. Indossava una giacca da camera di tipo semi-militare, color bordò, col collo di velluto nero. In mano teneva un lungo documento legale che stava leggendo con aria distratta, soffiando in aria anelli di fumo. Quel suo atteggiamento tranquillo e rilassato non induceva certo a sperare che se ne sarebbe andato presto. Sentii la mano di Holmes insinuarsi nella mia con una stretta rassicurante, quasi a farmi capire che la situazione era sotto controllo e che non c'era da preoccuparsi. Non sapevo però se aveva visto quello che, dalla mia posizione, era fin troppo evidente e cioè che lo sportello della cassaforte non era ben chiuso e Milverton avrebbe potuto accorgersene da un momento all'altro. Dentro di me avevo deciso che, se dalla fissità del suo sguardo avessi capito che se n'era accorto, sarei saltato fuori buttandogli sulla testa il mio soprabito, immobilizzandolo e lasciando che Holmes si occupasse del resto. Ma Milverton non sollevò

mai gli occhi. Si interessava senza fretta ai documenti che stava leggendo e, pagina dopo pagina, seguiva la dissertazione dell'avvocato. Perlomeno, pensai, quando avrà terminato documento e sigaro se ne andrà in camera sua; ma prima che arrivasse alla fine di uno dei due si verificò uno strano evento che indirizzò i nostri pensieri da tutt'altra parte. A più riprese avevo notato che Milverton guardava l'orologio e una volta si era alzato poi si era rimesso a sedere con un gesto d'impazienza. Ma non mi era venuta in mente l'idea che potesse avere un appuntamento a un'ora così insolita, fino a quando le mie orecchie percepirono un leggero rumore dalla veranda esterna. Milverton lasciò cadere le carte rimanendo seduto rigidamente sulla poltrona. Il suono si ripeté, poi si senti bussare cautamente alla porta. Milverton si alzò e andò ad aprire. «Bene», osservò seccamente, «sei in ritardo di quasi mezz'ora.» Dunque era questa la spiegazione della porta non chiusa a chiave e della veglia notturna di Milverton. Si sentì il delicato fruscio di una veste femminile. Avevo chiuso le tende quando Milverton si era voltato nella nostra direzione, ma adesso mi azzardai cautamente a riaprirle di nuovo. Si era rimesso a sedere, col sigaro che ancora gli pendeva sfrontatamente dall'angolo della bocca. Di fronte a lui, in piena luce, stava una donna bruna, alta e sottile, col viso coperto da una veletta e un mantello chiuso fino al mento. Respirava rapidamente, a fatica, e ogni centimetro della sua esile figura tremava di agitazione. «Be'», disse Milverton, «mi hai fatto perdere una buona nottata di sonno, bellezza mia. Spero che ne sia valsa la pena. Non potevi venire in un altro momento, eh?» La donna scosse il capo. «Be', se non potevi, non potevi. Se la contessa è una padrona severa adesso hai l'occasione di pareggiare i conti. Benedetta ragazza, perché stai tremando? Ecco, così. Mettiti tranquilla. E adesso, veniamo agli affari.» Prese un taccuino dal cassetto della scrivania. «Dici che sei in possesso di cinque lettere compromettenti per la contessa d'Albert. Vuoi venderle. E io voglio comperarle. Fin qui, tutto bene. Non resta che stabilire il prezzo. Naturalmente, dovrò prima esaminare le lettere. Se sono davvero autentiche... Santo cielo! Lei?» Senza parlare, la donna aveva sollevato la velata e sbottonato il mantello, scoprendo un viso attraente, dai lineamenti incisivi e dalla pelle dorata che fronteggiava Milverton - un volto dal naso aquilino, folte sopracciglia nere su due occhi duri e lu-

centi, una bocca diritta, dalle labbra sottili incurvate in un sorriso minaccioso. «Proprio io», disse, «la donna alla quale lei ha rovinato la vita.» Milverton scoppiò a ridere ma nella sua risata tremava la paura. «Lei era così ostinata», disse. «Perché mi ha spinto a tali estremi? Le assicuro che, per quanto mi riguarda, non farei male a una mosca, ma tutti hanno i loro affari, e che altro potevo fare? Il prezzo era ampiamente nelle sue possibilità. Lei ha rifiutato di pagare.» «E così lei ha mandato le lettere a mio marito, e a lui - all'uomo più nobile che mai sia esistito, un uomo cui non ero degna di legare i lacci delle scarpe - a lui si è spezzato il suo povero, coraggioso cuore, ed è morto. Ricorderà l'ultima sera in cui sono passata da quella porta. L'ho scongiurata, l'ho implorata di avere pietà, e lei mi ha riso in faccia, come sta cercando di ridere adesso, solo che il suo cuore vile non riesce a trattenere il tremito delle sue labbra. Già, lei non credeva mai di rivedermi qui, ma fu proprio quella notte a suggerirmi come avrei potuto incontrarmi di nuovo con lei, faccia a faccia, e da soli. Bene, Charles Milverton, cos'ha da dire?» «Non creda di impressionarmi», rispose alzandosi in piedi. «Non ho che da alzare la voce, chiamare i domestici e farla arre-

stare. Ma sarò tanto generoso da perdonare questo suo accesso di collera. Esca subito dalla stanza, come è entrata, e dimenticherò tutto.» La donna rimaneva con le braccia incrociate sul petto, e lo stesso funesto sorriso sulle labbra sottili. «Non rovinerà più altre vite come ha rovinato la mia. Non tormenterà altri cuori come ha tormentato il mio. Libererò il mondo da un insetto velenoso. Prendi questo, sciacallo - e questo! - e questo! - e questo! » Aveva estratto una piccola pistola lucente e aveva scaricato colpo dopo colpo nel corpo di Milverton, con la canna a pochi centimetri dal suo petto. L'uomo arretrò barcollando, poi cadde a faccia avanti sul tavolo, tossendo spaventosamente e artigliando le carte. Poi si drizzò, vacillante, fu colpito da un altro proiettile, e rotolò sul pavimento. «Mi hai ammazzato», gridò, e giacque immobile. La donna lo guardò fissamente e affondò il tacco della scarpa nel volto rivolto al soffitto. Lo guardò di nuovo, ma non ci fu né movimento né rumore. Solo un fruscio, l'aria fresca della notte penetrò nella stanza riscaldata, e la Nemesi era scomparsa. Nessun intervento da parte nostra avrebbe potuto salvare

l'uomo da quella fine ma, mentre la donna scaricava un proiettile dietro l'altro nel corpo indietreggiante di Milverton, stavo per saltare fuori quando la mano fredda e vigorosa di Holmes mi afferrò il polso. Capii tutto il significato di quella stretta decisa e repressiva - non era cosa che ci riguardasse il fatto che la mano della giustizia avesse colpito una canaglia, non dovevamo perdere di vista il nostro dovere e il nostro scopo. Ma la donna era appena uscita dalla stanza che Holmes, a passi rapidi e silenziosi, era arrivato all'altra porta, girandone la chiave nella serratura. Nello stesso istante, sentimmo delle voci e il suono di passi frettolosi. Le revolverate avevano svegliato tutta la casa. Con la massima freddezza, Holmes andò alla cassaforte, fece una bracciata dei pacchetti di lettere e le gettò nel fuoco. E continuò fino a che la cassaforte non fu svuotata. Qualcuno girò la maniglia, bussando alla porta dall'esterno. Holmes diede una rapida occhiata in giro. La lettera che era stata messaggera di morte per Milverton giaceva sulla scrivania, imbrattata di sangue. Holmes gettò nel fuoco anche quella. Poi prese la chiave della porta che dava all'esterno, uscì dopo di me, e la richiuse dal di fuori. «Da questa parte, Watson», disse, «possiamo scalare il muro del giardino in questa direzione.» Non avrei mai creduto che un allarme potesse diffondersi così rapidamente. Guardando indietro, vidi che la casa era illuminata a giorno. Il giardino formicolava di gente, un tale lanciò un richiamo mentre uscivamo dalla veranda e si mise a inseguirci da vicino. Holmes sembrava orientarsi perfettamente, aprendosi rapidamente un varco fra un boschetto di alberelli, con me alle calcagna e il nostro inseguitore alle spalle, col fiato grosso. Il muro che ci sbarrava la strada era alto sei piedi ma lo scavalcò con un salto, passando dall'altra parte. Mentre facevo la stessa cosa sentii la mano dell'uomo che mi afferrava la caviglia, ma me ne liberai con un calcio, inerpicandomi su una cimasa coperta di muschio. Caddi bocconi dall'altra parte, fra i cespugli, ma Holmes mi rialzò in un istante e insieme fuggimmo a perdifiato attraverso la distesa di Hampstead Heath. Credo che corremmo per un paio di miglia, poi Holmes finalmente si fermò rimanendo in ascolto. Dietro di noi tutto era silenzio. Ci eravamo liberati degli inseguitori, eravamo salvi. Il giorno successivo alla straordinaria esperienza che ho raccontato, avevamo terminato di far colazione e stavamo fumando la nostra pipa mattutina quando il signor Lestrade, di Scotland Yard, molto solenne e imponente, venne fatto accomodare nel nostro modesto salotto.

«Buon giorno, signor Holmes», disse; «buon giorno. Posso chiederle se al momento è molto occupato?» «Mai troppo per ascoltarla.» «Ho pensato che forse, se non era impegnato in qualcosa di speciale, le avrebbe fatto piacere aiutarci in una stranissima faccenda accaduta non più tardi della notte scorsa ad Hampstead.» «Ma davvero!», disse Holmes. «Di che si tratta?» «Un omicidio - un tragico, inspiegabile omicidio. So quanto queste cose la interessano e lo riterrei un grosso favore personale se volesse venire ad Appledore Towers e favorirci di un consiglio. Non è un delitto comune. Tenevamo d'occhio questo signor Milverton già da un certo tempo e, detto fra noi, era una canaglia. Ci risulta che fosse in possesso di documenti di cui si serviva a scopo di ricatto. Gli assassini hanno bruciato tutti i documenti. Non è stato portato via nessun oggetto di valore ed è probabile che i criminali fossero persone molto perbene, il cui solo obiettivo era di evitare uno scandalo sociale.» «Criminali?», disse Holmes. «Al plurale?» «Sì, erano in due. C'è mancato un soffio che fossero colti in flagrante. Abbiamo le loro impronte, e una loro descrizione, e scommetto che li troveremo. Il primo di loro era molto svelto, ma il secondo è stato raggiunto dall'aiuto giardiniere e si è liberato solo dopo una colluttazione. Un uomo di media statura, robusto - mascella quadrata, collo grosso, baffi, una maschera sul viso.» «È piuttosto vago», disse Sherlock Holmes. «Perbacco, potrebbe essere una descrizione di Watson!» «Già», rispose divertito l'ispettore. «Potrebbe corrispondere al dottor Watson!» «Be', temo di non poterla aiutare, Lestrade», replicò Holmes. «Il fatto è che conoscevo questo Milverton, lo consideravo uno degli individui più pericolosi di Londra, e credo che esistano crimini che sfuggono alla legge e che quindi, fino a un certo punto, giustificano la vendetta privata. No, inutile discutere, ho deciso. Le mie simpatie vanno al criminale, più che alla vittima, e non intendo occuparmi di questo caso.» Holmes non mi aveva detto una parola circa la tragedia alla quale avevamo assistito ma notai che rimase pensieroso per tutta la mattina e, dallo sguardo assente e l'aria distratta, mi diede l'impressione di un uomo che cerca di ricordare qualcosa. Eravamo nel bel mezzo del pranzo, quando improvvisamente balzò in piedi. «Per Giove, Watson, ci sono!», gridò. «Prenda il cappello! Venga con me!», percorse velocemente Baker Street e Ox-

ford Street, fino quasi a Regent Circus. Qui, a sinistra, c'è una vetrina piena di fotografie delle celebrità e delle bellezze del momento. Holmes fissò lo sguardo su una di esse e, seguendo i suoi occhi, vidi il ritratto di una regale e statuaria signora, in abito di Corte, con un'alta tiara di diamanti sul capo. Osservai quel naso delicatamente arcuato, le sopracciglia marcate, la bocca diritta e il piccolo mento deciso. Poi sussultai leggendo l'antico e onorevole nome del grande nobiluomo e statista di cui era stata moglie. Il mio sguardo incontrò quello di Holmes, che si pose un dito sulle labbra mentre ci allontanavamo dalla vetrina. Next Page

L'avventura dei sei Napoleoni Non era insolito, per l'ispettore Lestrade di Scotland Yard, venirci a trovare la sera; e le sue visite erano sempre bene accette a Sherlock Holmes perché lo tenevano informato di quanto avveniva al quartier generale di polizia. In cambio delle notizie che Lestrade gli portava, Holmes era sempre disposto ad ascoltare con attenzione i particolari del caso al quale l'ispettore stava la-

vorando in quel momento e occasionalmente, pur senza interferire nel suo lavoro, era in grado di fornirgli accenni o suggerimenti basati sulle proprie cognizioni e la propria esperienza. In quella particolare sera, Lestrade aveva parlato del tempo e dei giornali. Poi si era ammutolito, tirando pensierose boccate dal suo sigaro. Holmes lo scrutava attentamente. «Alle prese con qualche caso interessante?», domandò. «Oh, no, signor Holmes - niente di molto speciale.» «Me ne parli.» Lestrade si mise a ridere. «Be', signor Holmes, inutile negare che effettivamente sono un po' preoccupato. Pure, è una faccenda così assurda che esitavo a disturbarla. D'altro canto, anche se banale, è innegabilmente strana e so che a lei piacciono le cose fuori dal comune. Ma, secondo me, questa volta rientra più nel campo del dottor Watson che nel nostro.» «Una qualche malattia?», chiesi. «Una follia, comunque. E una follia molto bizzarra, per giunta. Non ci si crederebbe che, oggi come oggi, esista qualcuno che odia a tal punto Napoleone da distruggerne ogni immagine che vede.» Holmes si sprofondò in poltrona. «Questo esula dal mio campo», commentò. «Appunto. È quello che ho detto. Ma quando quest'uomo diventa scassinatore per distruggerne delle immagini che non gli appartengono, allora esce di scena il medico ed entra il poliziotto.» Holmes si rizzò di nuovo. «Scasso! Questo è più interessante. Sentiamo i particolari. »

Lestrade tirò fuori il suo inseparabile taccuino per rinfrescarsi la memoria. «Il primo incidente denunciato risale a quattro giorni fa», disse. «Nel negozio di Morse Hudson, che vende ritratti e statue a Kennington Road. Il commesso era andato per un momento nel retrobottega quando sentì uno schianto; tornò indietro di corsa e trovò un busto di gesso di Napoleone, che stava con altri oggetti d'arte sul bancone, a terra, in mille pezzi. Si precipitò in strada ma, anche se vari passanti dichiararono di aver visto un uomo fuggire dal negozio, non riuscì a scorgere nessuno né a identificare, in qualche modo, il furfante. Sembrava essere uno dei tanti sconsiderati atti di teppismo che si verificano di quando in quando e come tale venne riferito all'agente di pattuglia. Il busto di gesso non valeva che pochi scellini e tutta la faccenda dava l'impressione di uno scherzo da ragazzi e quindi non venne svolta nessuna indagine. Il secondo caso, però, fu più serio e anche più singolare. È accaduto ieri sera. A Kennington Road, a poche centinaia di metri dal negozio di Morse Hudson, abita un medico generico molto noto, un certo dottor Barnicot, che ha una delle clientele più vaste a sud del Tamigi. L'abitazione e lo studio principale sono a Kennington Road, ma ha anche uno studio e un ambulatorio a Lower Brixton Road, a due miglia di distanza. Questo dottor Barnicot è un ardente ammiratore di Napoleone e la sua casa è piena di libri, ritratti e cimeli del Primo Console di Francia. Un po' di tempo fa, aveva comperato da Morse Hudson una coppia di calchi in gesso della famosa testa di Napoleone scolpita dall'artista francese Devine. Uno l'aveva messo in anticamera, nella casa di Kennington Road, e l'altro sulla mensola del caminetto nell'ambulatorio di Lower Brixton. Bene, scendendo questa mattina, il dottor Barnicot ha avuto la sorpresa di scoprire che qualcuno si era introdotto in casa durante la notte, ma non era stato portato via niente tranne la testa di gesso dall'anticamera. Era stata portata fuori e sbattuta violentemente contro il muro del giardino, ai piedi del quale sono stati trovati i frammenti.» Holmes si fregò le mani. «Questo è davvero insolito», disse.

«Immaginavo che le sarebbe piaciuto. Ma non ho ancora finito. Il dottor Barnicot doveva trovarsi all'ambulatorio a mezzogiorno e può immaginare il suo stupore quando, arrivando, vide che la finestra era stata forzata durante la notte e che i frammenti del secondo busto erano sparsi per tutta la stanza. Era stato ridotto in briciole lì dove si trovava. In entrambi i casi non c'era

assolutamente nulla che potesse fornirci un indizio sull'autore del danno, pazzo o criminale che fosse. E questi, signor Holmes, sono i fatti.» «Molto singolari, per non dire grotteschi», osservò Holmes. «Posso chiederle se i due busti frantumati dell'abitazione e l'ambulatorio del dottor Barnicot erano gli esatti duplicati di quello che era stato distrutto nel negozio di Morse Hudson?» «Provenivano tutti dallo stesso stampo.» «E questo è sufficiente a smentire la teoria che il distruttore è qualcuno che odia Napoleone. Considerando quante centinaia di statue dell'Imperatore esistono sicuramente a Londra è impossibile pensare che sia per pura coincidenza che un indiscriminato iconoclasta debba cominciare proprio da tre copie dello stesso busto.» «Bene, ci ho pensato anche io», disse Lestrade. «Ma d'altro canto questo Morse Hudson è quello che fornisce quei busti di gesso in quella zona di Londra, e i tre in questione erano gli unici che teneva in negozio da anni. Quindi, anche se, come lei dice, esistono centinaia di statue di Napoleone a Londra, molto probabilmente quelle tre erano le sole esistenti in quel quartiere. Di conseguenza, un fanatico locale comincerebbe da quelle. Che ne pensa, dottor Watson?» «Le monomanie offrono possibilità illimitate», risposi. «È la condizione che oggi gli psicologi francesi chiamano idée fixe, non grave in sé e per sé, e che spesso si accompagna a una completa sanità mentale sotto tutti gli altri aspetti. Un individuo che sia rimasto turbato leggendo qualcosa su Napoleone, o i cui antenati abbiano subito qualche torto a causa della grande guerra, potrebbe verosimilmente concepire questa sorta di idée fixe, capace di spingerlo a gesti inconsulti.» «Non ci siamo, caro Watson», disse Holmes scuotendo la testa. «Non c'è idée fixe che potrebbe mettere in grado il suo interessante monomaniaco di scoprire dove si trovino quei busti.» «E allora, lei come lo spiega?» «Non lo spiego. Mi limito a constatare che c'è un certo metodo nella follia di quel galantuomo. Per esempio, nell'anticamera del dottor Barnicot, dove un rumore avrebbe messo in allarme la famiglia, il busto fu portato fuori prima di essere rotto mentre invece nell'ambulatorio, dove il pericolo di allarme era minore, venne frantumato sul posto dove si trovava. Sembrerebbe un particolare secondario, ma non mi sento di definire nulla "secondario" dato che alcuni dei miei casi più emblematici presentavano gli inizi meno promettenti. Ricorderà, Watson, in che modo sono venuto a sapere per la prima volta della spa-

ventosa vicenda della famiglia Abernetty: da quanto profondamente il prezzemolo era affondato nel burro in una giornata calda. Pertanto, caro Lestrade, non posso permettermi di sorridere davanti ai suoi tre busti fracassati, e le sarò molto grato se mi terrà al corrente di eventuali ulteriori sviluppi in questa singolare faccenda. » Gli sviluppi che il mio amico auspicava si presentarono più rapidamente e in modo infinitamente più tragico di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Il mattino seguente stavo ancora vestendomi, in camera mia, quando sentii bussare alla porta ed entrò Holmes, con un telegramma. Lesse ad alta voce: Venga immediatamente, 131 Pitt Street, Kensington.

Lestrade

«Che è successo?», chiesi. «Non lo so - potrebbe essere qualsiasi cosa. Ma sospetto che si tratti ancora della storia dei busti di Napoleone. Il che vorrebbe dire che il nostro amico iconoclasta ha spostato la sua attività in un altro quartiere di Londra. Il caffè è pronto, Watson, e la carrozza è già alla porta.» In mezz'ora eravamo arrivati a Pitt Street, una tranquilla stradina secondaria proprio alle spalle di una delle arterie più congestionate di Londra. Il n. 131 contrassegnava uno dei tanti edifici piatti, rispettabili e amorfi che la fiancheggiavano. Avvicinandoci, vedemmo che, alla cancellata di fronte alla casa, si accalcava una massa di curiosi. Holmes fischiò. «Perbacco, deve trattarsi per lo meno di tentato omicidio. Un fattorino londinese non si fermerebbe per qualcosa di più banale. Le spalle curve e il collo proteso di quel tipo, parlano di un atto di violenza. Guardi, guardi, Watson. I gradini superiori sono stati appena lavati mentre gli altri sono asciutti. Comunque, un infinità di impronte! Bene, bene, ecco Lestrade alla finestra, presto sapremo tutto.» L'ispettore ci accolse con aria preoccupata, facendoci entrare in un soggiorno dove un uomo anziano, molto trasandato e agitato, con addosso una vestaglia di flanella, stava camminando avanti e indietro. Ce lo presentò come il padrone di casa - il signor Horace Harker, del Central Press Syndicate. «È ancora la faccenda del busto di Napoleone», disse Lestrade. «Ieri sera ho avuto l'impressione che la cosa l'interessasse,

signor Holmes, quindi ho pensato che le avrebbe fatto piacere essere presente, adesso che le cose stanno prendendo una brutta piega. » «Che tipo di piega?» «Omicidio. Signor Harker, vorrebbe raccontare a questi signori esattamente cosa è successo?» L'uomo in vestaglia si rivolse a noi con espressione molto triste. «É incredibile», esordì. «Per tutta la vita ho raccolto notizie sugli altri e adesso che mi trovo fra le mani una notizia scottante, sono così confuso e turbato che non riesco a mettere due parole insieme. Se fossi venuto qui in veste di giornalista, avrei intervistato me stesso e avrei pubblicato un pezzo a due colonne su tutti i giornali della sera. Invece, sto rinunciando a un servizio di prim'ordine, raccontando la mia storia un'infinità di volte a un'infinità di gente, senza potermene servire. Comunque, ho sentito parlare di lei, signor Sherlock Holmes, e se riuscirà a chiarire questa inquietante faccenda mi riterrò ripagato della fatica di raccontare un'altra volta tutto da principio.» Holmes si sedette ad ascoltare. «Sembra che tutto ruoti intorno al busto di Napoleone che ho acquistato, proprio per metterlo in questa stanza, circa quattro mesi fa. L'ho comperato a buon mercato da Harding Brothers, accanto alla High Street Station. Gran parte della mia attività giornalistica si svolge di notte e spesso rimango a scrivere fino all'alba. Così è stato oggi. Ero nella mia tana, sul retro dell'ultimo piano, verso le tre del mattino, quando ho avuto la netta impressione di aver sentito un rumore dabbasso. Rimasi in ascolto, ma il rumore non si ripeté e conclusi che doveva essere venuto dall'esterno. Poi d'improvviso, circa cinque minuti dopo, sentii un urlo spaventoso - il suono più terribile che avessi mai sentito, signor Holmes. Mi risuonerà nelle orecchie finché vivo. Per un paio di minuti restai seduto, paralizzato dal terrore. Poi afferrai l'attizzatoio e scesi giù. Entrando in questa stanza, trovai la finestra spalancata e notai subito che il busto era sparito dalla mensola. Perché poi un ladro dovesse rubare un oggetto del genere non riesco proprio a capirlo; non era che un calco in gesso, di nessun valore.

Come lei stesso può vedere, chiunque esca da quella finestra può raggiungere il gradino della porta con un unico, lungo passo. Evidentemente, era ciò che aveva fatto il ladro, perciò andai ad aprire la porta. Uscendo, nel buio, quasi caddi sopra un corpo che giaceva a terra. Tornai indietro di corsa a prendere una lampada e vidi così quel povero diavolo, con la gola squarciata,

in un lago di sangue. Giaceva supino, con le ginocchia rialzate e la bocca spalancata. Continuerò a vederlo nei miei sogni. Ebbi giusto il tempo di soffiare nel mio fischietto di allarme, poi devo essere svenuto, perché l'unica cosa che ricordo è il poliziotto chino su di me in anticamera.» «Ma chi era il morto?» «Non c'è nulla che possa identificarlo», rispose Lestrade. «Lo vedrà all'obitorio ma, fino a questo momento, non siamo riusciti a scoprire chi fosse. È un uomo alto, abbronzato, molto vigoroso, sui trent'anni al massimo. È vestito poveramente, ma non ha l'aria di un operaio. Accanto a lui, in una pozza di sangue, abbiamo trovato un coltello col manico di corno. Non so se è l'arma del delitto o se, invece, apparteneva al morto. Niente etichette sui vestiti, e niente nelle tasche tranne una mela, un pezzo di corda, una pianta di Londra da uno scellino, e una fotografia. Eccola.» Era evidentemente ricavata da un'istantanea scattata con una macchinetta da poco. Raffigurava un uomo dall'aria sveglia, i lineamenti scimmieschi, sopracciglia molto folte e un viso stranamente prognato, come il muso di un babbuino. «E del busto che ne è stato?», chiese Holmes dopo aver studiato a lungo la fotografia. «Ne abbiamo avuto notizie poco prima del suo arrivo. È stato ritrovato nel giardino di una casa vuota a Campden House Road. A pezzi. Sto appunto andando a vederlo. Vuole venire?» «Certo. Devo solo dare un'occhiata in giro.» Holmes esaminò il tappeto e la finestra. «Il nostro amico o aveva le gambe molto lunghe o era straordinariamente agile», osservò. «A quest'altezza non dev'essere stato molto facile arrivare al davanzale e aprire la finestra. È stato relativamente più facile il ritorno. Viene con noi a vedere quello che resta del suo busto, signor Harker?» L'afflitto giornalista si era seduto a una scrivania. «Devo cercare di cavarne fuori qualcosa», rispose, «anche se sicuramente i giornali della sera sono già usciti in prima edizione con i titoli a quattro colonne. La mia solita fortuna! Rammenta quando crollò la tribuna a Doncaster? Be', ero l'unico giornalista in tribuna, e il mio giornale fu l'unico che non pubblicò la notizia perché ero rimasto troppo scosso per scrivere il pezzo. E adesso, sarò in ritardo per un omicidio compiuto proprio sulla porta di casa mia.» Mentre uscivamo dalla stanza, sentimmo il pennino che strideva sui fogli protocollo. Il punto dove erano stati rinvenuti i frammenti del busto di-

stava solo poche centinaia di metri. Per la prima volta posammo gli occhi sull'immagine del grande imperatore che sembrava scatenare un odio maniacale e distruttivo nella mente del nostro sconosciuto iconoclasta. Giaceva sull'erba, in mille pezzi. Holmes ne raccolse parecchi, esaminandoli con attenzione. Dalla sua espressione concentrata e decisa, capii che finalmente aveva trovato un indizio. «Bene?», chiese Lestrade. Holmes si strinse nelle spalle. «Abbiamo ancora molta strada da fare», disse. «Eppure... eppure... be', abbiamo qualche suggestivo punto di partenza. Agli occhi di questo strano criminale, il possesso di questo busto aveva molto più valore di una vita umana. Questo è un primo punto. Il secondo, è il fatto strano che non si sia introdotto nella casa o subito fuori di essa, se il suo unico scopo era quello di fare

a pezzi il busto.» «Era rimasto sconcertato e spaventato trovandosi di fronte quell'altro. Aveva perduto la bussola.» «Sì, può darsi. Ma vorrei richiamare la sua attenzione sulla posizione di questa casa nel cui giardino è stato distrutto il busto.» Lestrade si guardò intorno. «Era una casa vuota e quindi sapeva che nessuno l'avrebbe disturbato.» «D'accordo, ma a poca distanza c'è un'altra casa vuota e sicuramente dev'esserci passato davanti prima di arrivare a questa. Perché non si è fermato là, dal momento che, evidentemente, ogni metro in più che percorreva portando in braccio il busto aumentava il rischio che qualcuno lo vedesse?» «Ci rinuncio», disse Lestrade. Holmes indicò i lampioni sopra di noi. «Qui aveva abbastanza luce per vedere quello che faceva, là no. Ecco il motivo.» «Perbacco! Ha ragione!», esclamò l'ispettore. «Ora che ci penso, il busto del dottor Barnicot è stato rotto poco lontano dalla sua lampada rossa. Bene, signor Holmes, a che ci serve questa informazione?» «A ricordarla - a registrarla nella memoria. In seguito, potremmo trovare qualcosa che si collega a questo fatto. Adesso, che intende fare, Lestrade?» «Secondo me, la prima cosa è identificare il morto. Non dovrebbe essere difficile. Una volta scoperto chi è e chi frequentava, potremmo essere sulla buona strada per sapere cosa stava facendo ieri notte a Pitt Street, e chi è la persona che lo ha incon-

trato e ucciso sulla soglia di casa del signor Horace Harker. Non le pare?» «Sicuramente; ma non è esattamente questo il modo in cui, personalmente, affronterei il caso.» «Cosa farebbe?» «Oh, non voglio influenzarla in alcun modo. Propongo che lei segua la sua strada e io la mia. In seguito, confronteremo gli appunti e ciascuno di noi integrerà quelli dell'altro.» «D'accordo», assentì Lestrade. «Se torna a Pitt Street, potrebbe passare dal signor Harker. Gli dica da parte mià che sono arrivato a una conclusione, e che era sicuramente un pericoloso maniaco omicida con fissazioni napoleoniche quello che si è introdotto in casa sua ieri notte. Gli servirà per l'articolo.» Lestrade lo guardò con gli occhi spalancati. «Non penserà seriamente una cosa simile?» Holmes sorrise. «Dice? Be', forse no. Ma sono certo che interesserà al signor Horace Harker e agli abbonati del Central Press Syndicate. Adesso, Watson, credo che ci aspetti una lunga e complicata giornata di lavoro. Le sarei grato, Lestrade, se potesse venire a Baker Street questa sera alle sei. Fino ad allora, vorrei tenere questa foto trovata nelle tasche del morto. Può darsi che io debba chiedere la sua compagnia e il suo aiuto per una piccola spedizione che ho in mente di fare questa notte, se la mia ipotesi si dimostra corretta. Per adesso, arrivederci e buona fortuna! » Holmes e io ci avviammo a piedi ad High Street e ci fermammo al negozio della Harding Brothers, dove era stato acquistato il busto. Un giovane commesso ci disse che il signor Harding sarebbe venuto solo nel pomeriggio e che lui era stato assunto da poco e quindi non poteva darci informazioni. Holmes non nascose il disappunto e il malumore. «Be', non possiamo aspettarci che tutto fili sempre liscio, Watson», disse alla fine. «Se il signor Harding non c'è prima del pomeriggio, torneremo il pomeriggio. Come lei ha senza dubbio intuito, sto cercando di risalire alla fonte di quei busti per vedere se non ci sia qualcosa di strano che giustifichi la loro sistematica distruzione. Andiamo dal signor Morse Hudson, a Kennington

Road, e vediamo se può illuminarci su questo problema.» Dopo un'oretta di strada arrivammo al negozio del nostro venditore di ritratti. Hudson era un uomo non molto alto, tarchiato, col viso rubino e un carattere irascibile. «Già, signore. Proprio sul mio bancone, signore», disse.

«Non so davvero perché paghiamo un mucchio di tasse e di imposte, quando il primo furfante che capita può entrare nel negozio e rompere quello che gli capita sottomano. Sì, ho venduto io i due busti al dottor Barnicot. Una vergogna! Un complotto nichilista - ecco che cos'è! Solo un anarchico se ne andrebbe in giro a fracassare statue. Repubblicani rossi - così li chiamo io. Da chi ho preso le statue? Non vedo questo che c'entri. Be', se proprio lo vuole sapere, le ho prese da Gelder & Co., a Church Street, Stepney. È una ditta molto conosciuta in questo campo, da vent'anni. Quanti ne avevo? Tre - due e uno, tre - due, quelli del dr. Barnicot, e uno fracassato in pieno giorno, proprio sul mio bancone. Se riconosco quella foto? No, proprio no. Aspetti, però... forse sì. Ma certo, è Beppo. Una specie di cottimista, un italiano, che mi dava una mano in negozio. Sapeva scolpire un po', fare le dorature, le cornici, lavoretti del genere. Si è licenziato la settimana scorsa, e non ne ho saputo più niente. No, non so da dove veniva né dove è andato. Finché è rimasto qui, non me ne potevo lamentare. Se n'è andato due giorni prima che il busto venisse fatto a pezzi.» «Bene, questo è quanto potevamo ragionevolmente aspettarci da Morse Hudson», disse Holmes mentre uscivamo dal negozio. «Abbiamo questo Beppo come comun denominatore sia nel caso di Kensington che in quello di Kennington, quindi vale la pena di fare una scarrozzata di dieci miglia. Adesso, Watson, andiamo da Gelder & Co. a Stepney, la fonte originaria dei busti. Mi meraviglierei se non ne ricavassimo qualche aiuto.» In rapida successione, attraversammo i quartieri della Londra bene, della Londra teatrale, della Londra letteraria, della Londra commerciale e, infine, della Londra marittima, fino ad arrivare a una cittadina del lungofiume, con centomila abitanti, dove i casamenti formicolano e olezzano dei paria di tutt'Europa. Qui, in una grande arteria, un tempo residenza dell'élite mercantile della città, trovammo la fabbrica di sculture che stavamo cercando. All'esterno, si apriva un ampio cortile pieno di enormi costruzioni in muratura. All'interno, un vasto locale dove una cinquantina di operai erano intenti a scolpire o a modellare. Il direttore, un grosso tedesco biondo, ci accolse cortesemente, rispondendo con chiarezza a tutte le domande di Holmes. Un controllo dell'archivio rivelò che centinaia di calchi erano stati ottenuti da una copia in marmo della testa di Napoleone scolpita da Devine, ma che i tre, spediti più o meno un anno prima a Morse Hudson facevano parte di un gruppo di sei: gli altri tre erano stati mandati alla Harding Brothers, di Kensington. Non c'era motivo perché i sei busti fossero diversi da tutti

gli altri calchi. Non poteva suggerirci alcuna ragione per cui qualcuno volesse distruggerli - anzi, trovava divertente l'idea. Il prezzo all'ingrosso era di sei scellini, ma al dettaglio se ne potevano ricavare dodici, o anche più. Il calco era ottenuto con due fusioni, una per ogni lato della faccia; poi, le due metà in gesso venivano unite per formare il busto completo. Il lavoro veniva generalmente eseguito da operai italiani, proprio nel locale dove eravamo. Una volta finiti, i busti venivano collocati su un tavolo nel corridoio, ad asciugare, poi andavano in magazzino. Era tutto quanto poteva dirci. Ma la fotografia, che Holmes gli mostrò, ebbe un notevole effetto sul direttore. S'imporporò di collera e aggrottò le sopracciglia su quei suoi azzurri occhi teutonici. «Ah, quel cialtrone!», esclamò. «Certo, lo conosco benissimo. Questa è sempre stata un'azienda rispettabile e l'unica volta che abbiamo ricevuto una visita della polizia è stato proprio per

questo individuo. Oramai è passato più di un anno. Aveva accoltellato un altro italiano per la strada, poi era venuto a lavorare con la polizia alle calcagna, e qui lo hanno arrestato. Si chiamava Beppo - non ho mai saputo il cognome. Mi sta bene. Non dovevo assumere un tipo con quella faccia. Ma era un buon operaio - uno dei migliori.» «Che condanna ha avuto?» «Il ferito non è morto, e se l'è cavata con un anno. Sicuramente adesso è in libertà, ma non ha avuto il coraggio di farsi vedere qui. Da noi lavora un suo cugino, immagino che potrà dirle dove si trova adesso.» «No, no, non una parola al cugino», esclamò Holmes. «La prego, non una parola. Si tratta di una faccenda molto importante e più vado avanti più importante sembra farsi. Quando lei ha controllato sui registri la vendita di quei calchi, ho notato che la data era il 3 giugno dell'anno scorso. Saprebbe dirmi in che giorno è stato arrestato Beppo?» «Potrei dirglielo grosso modo in base alla lista paga», rispose il direttore. «Vediamo», continuò sfogliando le pagine. «Ecco, è stato pagato per l'ultima volta il 20 maggio.» «Grazie», disse Holmes, «credo che ora non dovrò più abusare del suo tempo e della sua pazienza.» Con un'ultima raccomandazione di non parlare delle nostre indagini, ci dirigemmo di nuovo ad est. Era già pomeriggio inoltrato quando riuscimmo a mangiare un boccone in un ristorante. All'ingresso, un bollettino d'informazione annunciava: «Delitto a Kensington. Un pazzo uccide», e il contenuto dell'articolo dimostrava che, dopotutto, il signor

Harker era riuscito a mandare il suo pezzo in tempo. Un resoconto drammatico e fiorito dell'incidente occupava ben due colonne. Holmes appoggiò il giornale all'oliera e si mise a leggerlo mentre mangiava. Un paio di volte ridacchiò. «Senta che bello, Watson», disse. «I lettori saranno lieti di sapere che in merito a questo caso esiste una concordanza di vedute; infatti l'ispettore Lestrade, uno dei più esperti funzionari della nostra polizia, e il signor Sherlock Holmes, il famoso consulente criminologo, sono giunti entrambi alla conclusione che la grottesca serie di incidenti sfociati, poi, in una simile tragedia, sono frutto di una mente malata più che di una deliberata intenzione criminosa. L'unica spiegazione dei fatti è quella di un'aberrazione mentale.» «La stampa, caro Watson, è un'istituzione preziosa se solo si sa farne uso. E ora, se ha terminato di mangiare, torniamo a Kensington e sentiamo cos'ha da dirci il direttore della Harding Brothers.» Il titolare del grande emporio era un ometto vispo e arzillo, azzimato e intelligente, con le idee chiare e la lingua sciolta. «Sì, signore, ho già letto il resoconto nei giornali della sera. Il signor Horace Harker è un nostro cliente. Gli abbiamo venduto il busto qualche mese fa. Ne avevamo ordinati tre, di quel tipo, alla Gelder & Co. di Stepney. Sono stati tutti venduti. A chi? Credo che potremmo dirglielo facilmente, consultando il registro delle vendite. Sì, ecco le registrazioni. Vede, uno al signor Harker, uno al signor Josiah Brown, di Laburnum Lodge, Laburnum Vale, Chiswick, e uno al signor Sandeford, Lower Orove Road, Reading. No, non ho mai visto quest'uomo della fotografia. Sarebbe difficile dimenticarlo, non è vero? Non ho mai visto una faccia più brutta. Se abbiamo italiani fra il personale? Sì, parecchi, specialmente operai e addetti alle pulizie. Certo, volendo potrebbero benissimo dare un'occhiata al registro delle vendite. Non abbiamo particolari motivi per tenerlo sotto chiave. Bene, è davvero una strana faccenda e spero che mi terrà informato se scoprirà qualcosa.» Mentre il signor Harding ci offriva la sua testimonianza, Holmes aveva preso molti appunti e vedevo che era soddisfattissimo per la piega che stavano prendendo le cose. Non fece commenti, però, tranne quello che, se non ci affrettavamo, saremmo arri-

vati in ritardo al nostro appuntamento con Lestrade. E infatti, quando arrivammo a Baker Street, era già lì ad aspettarci, camminando avanti e indietro in preda all'impazienza. La sua aria gongolante indicava che la giornata aveva dato i suoi frutti. «Bene», chiese, «come sono andate le cose, signor Holmes?»

«È stata una giornata movimentata e non del tutto sprecata», spiegò il mio amico. «Abbiamo parlato sia con i dettaglianti che con i grossisti. Adesso sono in grado di rintracciare il percorso compiuto da quei busti fm dal principio.» «I busti! », esclamò Lestrade. «Be', lei ha i suoi metodi, signor Holmes e non tocca a me discuterli, ma credo che la mia giornata sia stata più fruttuosa della sua. Ho identificato il morto.» «Ma non mi dica!» «E scoperto il movente del crimine.» «Fantastico! » «Abbiamo un ispettore che conosce a menadito Saffron Hill e il Quartiere Italiano. Bene, il morto aveva intorno al collo un qualche emblema cattolico e questo, unito al colore della sua pelle, mi aveva fatto pensare che venisse dal sud. L'ispettore Hill lo ha riconosciuto subito, appena l'ha visto. È un certo Pietro Venucci, napoletano, uno dei peggiori tagliagole di Londra. È legato alla Mafia che, come lei sa, è una società politica segreta che ricorre all'omicidio per far rispettare le sue leggi. Vede che le cose cominciano a chiarirsi. Anche l'altro uomo probabilmente è italiano e membro della Mafia. In qualche modo, ha infranto il loro codice. Gli mettono alle costole Pietro. Probabilmente, la foto che gli abbiamo trovato in tasca è proprio quella dell'uomo che sta cercando, in modo da non accoltellare la persona sbagliata. Segue la sua vittima, la vede entrare in una casa, l'aspetta fuori e, nella colluttazione, viene ferito a morte. Che ne dice, signor Holmes?» Holmes applaudì. «Eccellente, Lestrade, eccellente! Ma non ho seguito bene la sua spiegazione circa la distruzione dei busti.» «I busti! Non riesce a levarsi dalla testa quei busti. Dopo tutto, è una sciocchezza; furto di poca entità, sei mesi al massimo. È l'omicidio che stiamo investigando, e le assicuro che sto raccogliendo tutte le fila.» «La sua prossima mossa?» «Semplicissima. Andrò con Hill al Quartiere Italiano, troverò l'uomo della foto, e lo arresterò sotto l'imputazione di omicidio. Vuole venire con noi?» «Non credo. Ho idea che potremo raggiungere il nostro scopo in maniera più semplice. Non posso affermarlo con sicurezza perché tutto dipende... be', dipende da un fattore totalmente al di fuori del nostro controllo. Ma ho buone speranze -anzi, scommetto due a uno - che se lei verrà con noi questa sera l'aiuterò a inchiodarlo.»

«Nel Quartiere Italiano?» «No, sono dell'avviso che sia molto più probabile rintracciarlo a Chiswick. Se lei questa sera viene a Chiswick con me, Lestrade, le prometto che domani verrò con lei al Quartiere Italiano e il ritardo non sarà in alcun modo pregiudizievole. Adesso, penso che qualche ora di sonno ci farebbe bene a tutti; conto di uscire non prima delle undici e probabilmente non saremo di ritorno prima di domattina. Lei cenerà con noi, Lestrade, poi si farà un sonnellino sul divano fino all'ora di metterci in moto. Frattanto, Watson, la prego di chiamare un fattorino espresso perché devo mandare una lettera ed è importante che parta subito.» Holmes trascorse la serata a rovistare fra i ritagli dei vecchi quotidiani che riempivano uno dei nostri ripostigli. Quando finalmente ridiscese aveva una luce di trionfo negli occhi ma non ci disse una parola circa il risultato delle sue ricerche. Per conto

mio, avevo seguito passo per passo i metodi con i quali aveva tracciato le circonvoluzioni di quel caso tanto complesso e, pur non riuscendo ancora a capire quale scopo avremmo raggiunto, mi rendevo chiaramente conto che Holmes sperava che quel buffone criminale prendesse di mira i due busti che ancora restavano, uno dei quali, ricordai, si trovava a Chiswick. Senza dubbio, la nostra spedizione mirava a coglierlo sul fatto, e non potevo che ammirare l'astuzia con cui il mio amico era riuscito a inserire un indizio sbagliato nei giornali della sera così da far credere a quel furfante che avrebbe potuto seguire il suo schema senza pericolo. Non fui sorpreso quando Holmes mi consigliò di portare la pistola. Lui stesso, aveva preso il frustino col manico rinforzato, che era la sua arma preferita. Una carrozza ci attendeva alla porta, alle undici, e arrivammo in un punto al di là di Hammersmith Bridge. Qui, ordinò al cocchiere di aspettarci. Una breve passeggiata ci portò in una strada isolata, fiancheggiata da belle case, ciascuna col suo giardino. Alla luce di un lampione, leggemmo sul cancello di una di esse «Laburnum Villa». Gli occupanti si erano evidentemente già coricati perché l'unica luce era quella di una lunetta a ventaglio sopra l'ingresso, che spandeva un semicerchio di luce fioca sul viale del giardino. La staccionata che divideva il giardino dalla strada proiettava un'ombra nera all'interno e in quel preciso punto ci acquattammo. «Temo che l'attesa sarà lunga», bisbigliò Holmes. «Per fortuna non piove. Credo che non potremo nemmeno permetterci il lusso di fumare per passare il tempo. Comunque, scommetto due a uno che la nostra fatica sarà ricompensata.»

In realtà, però, la nostra attesa fu più breve di quanto Holmes aveva previsto e si concluse in maniera molto improvvisa e singolare. Dopo un attimo, senza il minimo rumore, il cancello si spalancò e una figura agile, scura, rapida e vivace come una scimmia, corse su per il viale. La vedemmo sfrecciare oltre la luce che proveniva dall'ingresso e scomparire nell'ombra nera della casa. Seguì una lunga pausa, durante la quale trattenemmo il fiato, poi sentimmo un leggero scricchiolio. Quel tizio aveva aperto la finestra. Poi il rumore cessò e di nuovo ci fu silenzio. Il tizio stava entrando nella casa. Vedemmo l'improvviso bagliore di una lanterna cieca all'interno della stanza. Evidentemente, quello che cercava non era lì perché la luce ricomparve attraverso un'altra finestra, e un'altra ancora. «Andiamo alla finestra che è aperta. Lo acciufferemo quando scende», sussurrò Lestrade. Ma prima che si muovesse, l'uomo era riemerso. Mentre si avvicinava al cerchio di luce vedemmo che teneva qualcosa di bianco sotto il braccio. Si guardò intorno con aria furtiva. Il silenzio della strada deserta sembrò rassicurarlo. Dandoci le spalle, appoggiò l'oggetto a terra e subito dopo ci fu il rumore di una martellata secca, seguito da un acciottolio e un tintinnio. L'uomo era così preso da quello che stava facendo che non sentì i nostri passi che si avvicinavano cautamente sull'erba. Con un balzo da tigre, Holmes l'afferrò per le spalle e un attimo dopo Lestrade ed io l'avevamo afferrato per i polsi e ammanettato. Girandolo verso di noi vidi un'orribile faccia giallognola, sconvolta dall'ira, che ci guardava infuriata; quello che avevamo preso era proprio l'uomo della foto. Ma non era al prigioniero che Holmes stava dedicando la sua attenzione. Accovacciato sulla soglia, stava esaminando attentamente l'oggetto che l'uomo aveva portato fuori dalla casa. Si trattava di un busto di Napoleone, identico a quello che avevamo veduto la mattina, e si era rotto in pezzi altrettanto simili. Holmes li guardò uno per uno controluce ma sembravano in tutto e per tutto semplici frammenti di gesso. Aveva appena terminato la sua ispezione che si accese la luce nell'ingresso, si aprì la porta e comparve il padrone di casa, una figura grassoccia e gioviale in maniche di camicia. «Il signor Josiah Brown, suppongo?», disse Holmes.

«In persona; e lei, senza dubbio, è il signor Sherlock Holmes? Ho ricevuto il biglietto che mi ha mandato ieri col fattorino e ho fatto esattamente quello che mi ha detto. Bene, sono lieto di vedere che ha acciuffato quel furfante. Spero, signori, che vogliate entrare a bere qualcosa. »

Ma Lestrade era ansioso di mettere il suo uomo al sicuro perciò, in pochi minuti, era arrivata la carrozza e tutti e quattro ci stavamo dirigendo verso Londra. Il nostro prigioniero non diceva una parola ma girava lo sguardo dall'uno all'altro, da sotto la zazzera che gli gettava un'ombra sul viso e una volta, quando la mia mano sembrava a portata della sua, tentò di azzannarla come un lupo famelico. Ci trattenemmo nella stazione di polizia quel tanto che bastò a sapere che una perquisizione del nostro uomo non aveva fruttato che pochi scellini e un lungo coltello in una guaina, col manico ampiamente schizzato di sangue fresco. «Tutto a posto», disse Lestrade mentre prendevamo congedo. «Hill conosce tutti questi galantuomini e ci dirà come si chiama. Vedrà che la mia teoria circa la Mafia si dimostrerà esatta. Comunque, signor Holmes, le sono infinitamente grato per la professionalità con cui è riuscito a mettergli le mani addosso. Ancora non capisco bene come ha fatto.» «Temo che ora sia troppo tardi per imbarcarsi in una spiegazione», rispose Holmes. «Inoltre, ci sono ancora un paio di punti oscuri e questo è un caso che vale la pena di seguire fino in fondo. Se domani alle sei vorrà tornare da me, credo che potrò dimostrarle che lei non ha ancora afferrato la reale portata di questa faccenda che, sotto certi aspetti, è più unica che rara. Se mai le permetterò di raccontare altri dei miei piccoli problemi, Watson, prevedo che lei scriverà pagine brillanti sulla strana avventura dei busti di Napoleone.» Quando ci rivedemmo, la sera seguente, Lestrade ne sapeva molto di più sul nostro prigioniero. A quanto pareva, si chiamava Beppo, cognome sconosciuto. La comunità italiana lo conosceva bene come un fannullone. Una volta, era stato un abile scultore e si era guadagnato da vivere onestamente, poi aveva preso una brutta strada, ed era stato già due volte in galera - la prima per un piccolo furto e la seconda, come già sapevamo, per aver accoltellato un compatriota. Parlava inglese correntemente. Non si era ancora scoperto il motivo per cui distruggeva i busti e, in quanto a lui, rifiutava di rispondere a ogni domanda in proposito; ma la polizia aveva scoperto che forse quei busti li aveva fatti lui, con le sue mani, dal momento che era proprio questo il tipo di lavoro che svolgeva alla Gelder & Co. Holmes ascoltava con cortese attenzione queste informazioni che, per buona parte, già ci erano note; ma, conoscendolo come lo conoscevo, mi rendevo conto che pensava ad altro e, dietro quella maschera che spesso assumeva il suo viso, scorgevo un misto di disagio e speranza. Alla fine, sobbalzò leggermente sulla sedia e gli si illuminarono gli occhi. Qualcuno aveva suonato il campa-

nello. Un minuto dopo sentimmo dei passi su per le scale e un uomo anziano, rubizzo, con i favoriti brizzolati, entrò nella stanza. Con la mano destra portava una vecchia sacca di tela che posò sul tavolo. «Uno di voi è il signor Sherlock Holmes?» Il mio amico fece cenno di saluto col capo, sorridendo. «Il signor Sandeford, di Reading, immagino?», disse. «Proprio io, signore. Forse sono un po' in ritardo ma i treni erano un disastro. Lei mi ha scritto a proposito di un busto in mio possesso.» «Esattamente.» «Ho qui la sua lettera. Lei scrive, "desidero avere una copia del Napoleone di Devine e sono pronto a versarle dieci sterline per quello che è in suo possesso". Giusto?» «Giustissimo.» «Sono rimasto molto sorpreso per la sua lettera, perché non

riuscivo a capire come lei facesse a sapere che avevo un busto del genere.» «Non dubito che lei sia rimasto sorpreso, ma la spiegazione è semplicissima. Il signor Harding, della Harding Brothers, mi ha detto che l'ultimo esemplare era stato venduto a lei, e mi ha dato il suo indirizzo.» «Ah, è così? E le ha anche detto quanto l'ho pagato?» «No. Questo non me l'ha detto.» «Be', anche se non sono ricco, sono una persona onesta; l'ho pagato solo quindici scellini e mi sembrava giusto dirglielo prima di accettare da lei dieci sterline.» «Uno scrupolo che le fa onore, signor Sandeford. Ma ho indicato quel prezzo e intendo mantenerlo.» «È molto generoso da parte sua, signor Holmes. Ho portato il busto con me, come mi aveva chiesto. Eccolo qui!», aprì la sacca di tela e poggiò sul tavolo una copia esatta del busto che già altre volte avevamo visto ridotto a pezzi. Holmes prese di tasca un foglietto e posò un biglietto di dieci sterline sul tavolo. «Voglia gentilmente firmare questo foglio, signor Sandeford, in presenza di testimoni. Dice semplicemente che lei trasferisce a me ogni possibile diritto lei abbia mai vantato su questo busto. Vede, sono un tipo metodico, e non si sa mai cosa potrebbe accadere. Grazie, signor Sandeford; ecco il suo denaro; le auguro la buona sera.» Quando il nostro visitatore se ne fu andato, Holmes agì in modo tale da inchiodare la nostra attenzione. Cominciò a prendere dal cassetto un panno bianco che posò sul tavolo. Poi, al

centro del panno, collocò il suo recente acquisto. Infine, prese il frustino e diede un colpo secco sulla testa di Napoleone. La scultura andò in frantumi e Holmes si chinò sui frammenti con espressione ansiosa. Poi, lanciò un grido di esultanza, mostrandoci una scheggia alla quale era fissato un piccolo oggetto rotondo, come un chicco di uvetta nel pudding. «Signori», esclamò, «permettetemi di presentarvi la famosa perla nera dei Borgia.» Per un attimo, Lestrade ed io restammo seduti in silenzio poi, con un impulso spontaneo, applaudimmo entrambi, come alla fine di un dramma ben congegnato. Le pallide guance di Holmes s'imporporarono e ci fece un inchino, proprio come un autore che s'inchina al pubblico plaudente. Era in momenti come questi che, per un attimo, cessava di essere una macchina pensante e tradiva la sua umana gratificazione per la lode e l'applauso. Quella sua stessa natura estremamente orgogliosa e riservata, che disdegnava la fama popolare, era capace di commuoversi per l'ammirazione e l'elogio spontaneo da parte di un amico. «Proprio così, signori», disse, «questa è la perla più famosa che esista oggi al mondo e, grazie a una lunga serie di speculazioni deduttive, sono riuscito a ricostruirne le peregrinazioni, dalla stanza da letto del principe Colonna nel Dacre Hotel, dove era stata smarrita, fino all'interno di questo calco, l'ultimo dei sei busti di Napoleone fabbricati dalla Gelder & Co. di Stepney. Lei, Lestrade, ricorderà sicuramente l'enorme scalpore che suscitò la scomparsa di questa preziosa gemma e gli inutili sforzi della polizia londinese per ritrovarla. In quell'occasione, consultarono anche me, ma fallii anche io. I sospetti caddero sulla cameriera della principessa, che era italiana, e , come fu dimostrato, aveva un fratello a Londra, ma non riuscimmo a trovare alcun collegamento fra i due. La ragazza si chiamava Lucrezia Venucci e sono più che certo che questo Pietro che è stato assassinato due sere fa era suo fratello. Ho controllato le date nelle vecchie copie del giornale e ho scoperto che la perla era scomparsa esattamente due giorni prima che Beppo fosse arrestato per un sanguinoso delitto - evento che ebbe luogo nella fabbrica della Gelder & Co., proprio nel periodo in cui venivano eseguiti quei busti. Ora vedete chiaramente l'ordine in cui si sono

svolti i fatti, naturalmente nell'ordine inverso rispetto a quello in cui si sono presentati a me. Beppo aveva la perla. Forse l'aveva sottratta a Pietro, forse era stato suo complice, forse aveva fatto da tramite fra Pietro e sua sorella. Questo non ha importanza.

Il fatto essenziale è che aveva la perla e che, proprio allora, quando la portava con sé, era braccato dalla polizia. Si diresse verso la fabbrica dove lavorava, sapendo di avere solo pochi minuti per nascondere quella gemma senza prezzo che, altrimenti, a una perquisizione, gli sarebbe stata trovata addosso. Nel corridoio stavano ad asciugare sei busti di Napoleone. Uno di essi era ancora morbido. In un attimo Beppo, artigiano esperto, fece un foro nel gesso umido, ci infilò la perla, e con pochi tocchi lo richiuse. Un nascondiglio perfetto. Nessuno avrebbe potuto trovarla. Ma Beppo fu condannato a un anno di prigione e, nel frattempo, i suoi sei busti vennero sparpagliati per tutta Londra. Non sapeva dove fosse finito il suo tesoro. Poteva scoprirlo solamente frantumandoli. Nemmeno scuotendoli avrebbe potuto identificare quello giusto, dal momento che il gesso era umido quando aveva nascosto la perla che probabilmente era rimasta attaccata - come in effetti era. Ma Beppo non sì diede per vinto e condusse la sua ricerca con notevole furberia e perseveranza. Tramite un cugino che lavora per Gelder rintracciò i dettaglianti che avevano acquistato i busti. Riuscì a farsi assumere da Morse Hudson e, in tal modo, ne rintracciò tre. Ma in quei tre la perla non c'era. Allora, con l'aiuto di qualche dipendente italiano, riuscì a scoprire dove erano andati a finire gli altri tre busti. Il primo era in casa di Harker. E lì fu pedinato dal suo compare che riteneva Beppo responsabile della perdita della perla, e lo pugnalò nella colluttazione che ne seguì.» «Se era suo complice, perché ne portava con sé la fotografia?», domandai. «Per rintracciarlo, chiedendo sue notizie ad altre persone. Quello era il motivo ovvio. Bene, calcolai che, dopo l'omicidio, Beppo avrebbe probabilmente affrettato le cose anziché rallentarle. Temeva che la polizia potesse scoprire il suo segreto quindi fece di tutto per precederla. Naturalmente, non potevo affermare con sicurezza che non avesse trovato la perla nel busto di Harker. Non ero nemmeno certo che si trattasse effettivamente della perla, ma mi sembrava evidente che stesse cercando qualcosa, dal momento che aveva portato il busto fuori dalla casa per poi romperlo in un giardino bene illuminato. Dato che quello di Harker era uno dei busti su tre, le possibilità erano esattamente come ve le ho indicate - due contro uno che la perla non c'era. Rimanevano due busti e, ovviamente, avrebbe cercato di impossessarsi per primo di quello che si trovava a Londra. Avvisai gli occupanti della casa, per prevenire un'altra tragedia, e ci siamo recati sul posto, con risultati eccellenti. A quel punto, naturalmente, sapevo per certo che stavamo inseguendo la perla

dei Borgia. Il nome dell'ucciso collegava gli eventi. Rimaneva un unico busto - quello di Reading - e la perla doveva necessariamente trovarsi in quello. Davanti a voi l'ho acquistato dal proprietario - ed ecco la perla.» Restammo per un po' in silenzio. «Bene», disse alla fine Lestrade, «l'ho veduta affrontare molti casi, signor Holmes, ma mai nessuno con tanta abilità. Non siamo gelosi di lei a Scotland Yard. Anzi, ne siamo molto orgogliosi e se, domani, farà una scappata da noi non ci sarà un solo poliziotto, dall'ispettore più anziano alla recluta più giovane, che non sarà felice di stringerle la mano.» «Grazie», disse Holmes. «Grazie», e, mentre si girava dall'altra parte, mi parve di vederlo sul punto di commuoversi per un'emozione umana più di quanto l'avessi mai visto. Un attimo dopo era tornato ad essere il ragionatore freddo e pratico di sempre. «Metta la perla in cassaforte, Watson», disse, «e tiri

fuori i documenti del caso di falsificazione Conk-Singleton. Arrivederci, Lestrade. Se le capita qualche altro piccolo problema sarò felicissimo, se posso, di darle un paio di suggerimenti per risolverlo.» Next Page

L'avventura dei tre studenti Fu nel 1895 che, per una concatenazione di eventi che non starò qui a riferire, Holmes ed io andammo a trascorrere alcune settimane in una delle nostre grandi città universitarie e fu durante quel periodo che ci capitò la piccola ma istruttiva avventura che ora narrerò. Ovviamente, qualsiasi particolare che potesse portare i miei lettori a identificare con precisione l'Università o il criminale, sarebbe inopportuno e offensivo. Meglio lasciar smorzare uno scandalo così penoso. In ogni caso, sia pure con la dovuta discrezione, descriverò l'incidente poiché esso è emblematico delle facoltà per cui il mio amico si distingueva. Nel mio racconto, cercherò di evitare quelle notizie che potrebbero circoscrivere gli eventi a un determinato luogo, o fornire indizi sulle persone che vi si trovarono coinvolte. In quel periodo, alloggiavamo in un appartamento mobiliato accanto a una biblioteca dove Holmes conduceva laboriose ricerche su antichi documenti inglesi - ricerche che portarono a risultati così straordinari da renderli, forse, argomento di un mio futuro racconto. E fu in quell'appartamento che una sera ricevemmo la visita di un conoscente, il signor Hilton Soames, docente e lettore presso il Collegio di San Luca. Il signor Soames era alto, magro, di temperamento emotivo. Già ne conoscevo il comportamento irrequieto ma, in quella particolare occasione, era in un tale stato di agitazione incontrollabile da farci chiaramente comprendere che era accaduto qualcosa di insolito. «Spero, signor Holmes, che lei possa concedermi qualche ora del suo tempo prezioso. Al San Luca si è verificato un deplorevole incidente e francamente, se non fosse stato per la felice coincidenza della sua presenza qui, non avrei saputo cosa fare.» «Al momento sono molto occupato, e non desidero distrazioni», rispose il mio amico. «Preferirei che lei si rivolgesse alla polizia.» «No, no, mio caro signore; è assolutamente impossibile. Una volta avviato l'ingranaggio della legge è impossibile, poi, fermarlo e questo è proprio uno di quei casi in cui, per il buon nome del collegio, è assolutamente essenziale evitare uno scandalo. Di

lei è ben nota la discrezione, oltre che l'abilità, e lei è la sola persona al mondo che può aiutarmi. La scongiuro, signor Holmes, di fare tutto quello che può.» Il fatto di trovarsi fuori dal suo consueto ambiente di Baker Street, non aveva certo migliorato l'umore del mio amico. Senza i suoi ritagli, le sue provette, e il suo solito disordine, si sentiva a disagio. Si strinse nelle spalle con un gesto poco cortese di rassegnazione mentre il nostro visitatore, con parole frettolose e gesticolando concitatamente, raccontava la sua storia. «Devo spiegarle, signor Holmes, che domani è il primo giorno di esami per la Fortescue Scholarship. Io sono uno degli esaminatori. La mia materia è il greco e la prima prova consiste nella traduzione di un lungo brano, in questa lingua, che il candidato non ha visto prima. Il brano è stampato sul foglio d'esame e, naturalmente, sarebbe un grande vantaggio per il candidato conoscerne in anticipo il testo. Per questo motivo, il foglio viene tenuto accuratamente segreto. Oggi, verso le tre, la tipografia ce ne ha mandato le bozze. Si tratta di un mezzo capitolo di Tucidide. Ho dovuto rileggerle attentamente perché il testo dev'essere perfettamente corretto. Alle quattro e mezza, non avevo ancora finito. Ma avevo pro-

messo di andare a prendere il tè a casa di un mio amico, quindi lasciai le bozze sul tavolo. Rimasi assente per oltre un'ora. Lei sa, signor Holmes, che il nostro collegio ha le doppie porte - una di panno verde all'interno e una di pesante quercia all'esterno. Avvicinandomi a quella esterna rimasi sorpreso nel vedere la chiave infilata nella serratura. Per un attimo pensai di aver dimenticato la mia ma, frugandomi in tasca, constatai di averla. Per quanto ne so, l'unico duplicato esistente era quello appartenente al mio domestico, Bannister - una persona che si occupa del mio alloggio da dieci anni, la cui onestà è assolutamente al disopra di ogni sospetto. Scoprii che la chiave era effettivamente la sua e che era entrato per chiedermi se volessi il tè, dimenticando poi la chiave nella toppa quando era uscito - una grossa trascuratezza da parte sua. Doveva essere entrato nella stanza pochi minuti dopo che io ne ero uscito. In altra occasione, la dimenticanza della chiave non avrebbe avuto importanza ma, proprio quel giorno, ebbe conseguenze assolutamente deplorevoli. Nel momento stesso in cui guardai il tavolo mi resi conto che qualcuno aveva frugato fra le mie carte. Le bozze consistevano in tre lunghe strisce di carta. Le avevo lasciate raggruppate insieme. Adesso, una era sul pavimento, l'altra su un tavolinetto accanto alla finestra, e la terza era dove l'avevo lasciata io.»

Per la prima volta dall'inizio del racconto, Holmes si riscosse. «La prima pagina per terra, la seconda vicino alla finestra, e la terza dove l'aveva lasciata lei», ripeté. «Esattamente, signor Holmes. Ma come fa a saperlo?» «La prego, continui la sua storia, è molto interessante.» «Per un momento, pensai che Bannister si fosse preso l'imperdonabile libertà di esaminare le mie carte. Ma negò recisamente e sono convinto che diceva la verità. L'unica alternativa era che qualcuno, passando, aveva notato la chiave nella toppa, sapeva che io ero assente, ed era entrato per esaminare il testo d'esame. C'è in ballo una grossa somma di denaro, perché l'ammontare della borsa di studio è molto elevato, e una persona di pochi scrupoli poteva benissimo correre quel rischio per guadagnare un vantaggio sui colleghi. Bannister rimase sconvolto dall'incidente. Era quasi svenuto quando scoprimmo che le carte erano state senza alcun dubbio manomesse. Gli diedi un po' di brandy e lo lasciai accasciato su una sedia mentre esaminavo accuratamente la stanza. Sul tavolino sotto la finestra c'erano varie schegge di una matita che era stata temperata. C'era anche una punta di mina spezzata. Evidentemente, il furfante aveva copiato in gran fretta il testo, aveva rotto la matita ed era stato costretto a temperarla.» «Eccellente!», esclamò Holmes che stava riacquistando il buon umore via via che aumentava il suo interesse. «La fortuna è stata dalla sua parte.» «Ma non è tutto. Ho una scrivania nuova, con un ripiano di cuoio rosso. Sono pronto a giurare, e lo è anche Bannister, che la superficie era liscia e senza macchie. E invece vi scoprii un taglio netto, lungo circa tre pollici - non un semplice graffio, ma un taglio vero e proprio. E non basta: sul tavolo trovai anche una pallottola scura di mollica di pane o di creta, cosparsa di particelle che sembravano segatura. Sono sicuro che quei segni erano stati lasciati da chi aveva smosso le carte. Non c'erano impronte di piedi, né altre tracce della sua identità. Non sapevo proprio che fare quando, per fortuna, mi ricordai che lei era qui, nell'università, e sono venuto subito ad affidarle il caso. La prego, mi aiuti, signor Holmes. Capisce il mio dilemma. O troverò quella persona o l'esame dev'essere rimandato fino a quando non sarà pronto un nuovo testo e, dal momento che bisognerebbe pur dare una spiegazione, scoppierebbe un terribile scandalo che getterebbe discredito non solamente sul College ma sull'intera università. Sopra tutto, desidero sistemare la cosa senza chiasso e con discrezione.»

«Sarò felicissimo di occuparmene e di consigliarla come me-

glio posso», disse Holmes alzandosi e infilandosi il soprabito. «È un caso non privo d'interesse. Qualcuno è venuto a trovarla, dopo che lei aveva ricevuto le bozze dalla tipografia?» «Sì, il giovane Daulat Ras, uno studente indiano che abita sullo stesso pianerottolo, è venuto a chiedermi delucidazioni circa gli esami.» «Ai quali era iscritto?» «Sì.» «E il testo per la traduzione era sul suo tavolo?» «Per quanto ricordo era arrotolato.» «Ma potrebbe essersi reso conto che erano le bozze di stampa?» «Può darsi.» «Non c'era nessun altro nella stanza?» «No.» «Qualcuno sapeva che le bozze sarebbero state lì?» «Nessuno tranne il tipografo.» «Questo Bannister lo sapeva.» «Sicuramente no. Non lo sapeva nessuno.» «Dove è adesso Bannister?» «E stato molto male, poveretto. L'ho lasciato accasciato in poltrona. Avevo una gran fretta di venire da lei.» «Ha lasciato la porta aperta?» «Prima ho chiuso a chiave le carte.» «Allora, riassumiamo, signor Soames: a meno che lo studente indiano abbia riconosciuto in quelle carte delle bozze di stampa, la persona che le ha manomesse le ha viste per combinazione, senza sapere che erano lì. » «Così mi sembra.» «Bene», disse, «andiamo a casa sua. Non è un caso per lei, Watson - è un problema mentale, non fisico. D'accordo; venga anche lei, se vuole. Eccoci, signor Soames - a sua disposizione! » Il soggiorno del nostro cliente dava sul cortile colorato dai licheni del vecchio college attraverso una lunga finestra, bassa, coi vetri reticolati. Una porta ad arco gotico conduceva a una consunta scala di pietra. La camera del docente era a piano terra. Ai piani superiori abitavano tre studenti, uno per piano. Era già il crepuscolo quando arrivammo sulla scena del nostro problema. Holmes si fermò, scrutando attentamente la finestra. Poi si accostò e, alzandosi sulla punta dei piedi e allungando il collo, guardò dentro la stanza. «Dev'essere entrato dalla porta. Non ci sono altre aperture all'infuori del pannello di vetro», disse la nostra dotta guida.

«Santo cielo!», esclamò Holmes, con uno strano sorriso per il nostro accompagnatore. «Bene, se qui non c'è niente da vedere, faremo meglio ad entrare.» Il docente aprì con la chiave la porta esterna introducendoci nella stanza. Ci fermammo sulla soglia mentre Holmes ispezionava il tappeto. «Qui, temo che non ci siano tracce», osservò. «Né c'era da sperarci, con un tempo così asciutto. Sembra che il domestico si sia ripreso. L'ha lasciato in poltrona, dice? Quale poltrona?» «Quella laggiù, accanto alla finestra.» «Capisco. Vicino al tavolinetto. Ora potete entrare. Ho finito col tappeto. Vediamo per prima cosa il tavolo. Naturalmente, è molto chiaro cosa sia successo. La persona è entrata nella stanza, ha preso i fogli, uno dopo l'altro, dal tavolo centrale; li ha portati al tavolino accanto alla finestra in modo da poter vedere quando lei attraversava il cortile e così darsi alla fuga.» «In effetti, non poteva», disse Soames, «perché sono entrato dalla porta laterale.» «Ah, bene! Comunque, quella era la sua idea. Vediamo le tre strisce. Impronte... nessuna! Dunque, ha portato là questa, per

prima e l'ha copiata? Quanto tempo ci sarà voluto, anche usando tutte le abbreviazioni possibili? Perlomeno un quarto d'ora. Poi l'ha gettata da una parte e ha preso la striscia successiva. Era a metà della copiatura quando lei, tornando, lo ha costretto a battere rapidamente in ritirata - molto rapidamente, visto che non ha avuto il tempo di rimettere le carte come stavano, per cui lei si sarebbe reso conto che qualcuno era entrato. Ha forse sentito uno scalpiccio di piedi in corsa quando è entrato dalla porta esterna?» «No, non mi sembra proprio.» «Bene, scriveva così di corsa che ha spuntato la matita e, come lei vede, ha dovuto temperarla. Questo è interessante, Watson. Non si tratta di una matita comune. È più grande del normale, a mina morbida, esternamente colorata di blu scuro col nome del fabbricante in caratteri argentati, e il pezzo che rimane è lungo solo un pollice e mezzo. Trovi una matita così, signor Soames, e avrà trovato il suo uomo. Per aiutarla ulteriormente, posso dirle che possiede un grosso temperino molto smussato.» Il signor Soames era alquanto sopraffatto da questa marea di informazioni. «Posso seguire gli altri punti», disse, «ma in quanto alla lunghezza...» Holmes gli mostrò una piccola scheggia con le lettere NN seguite da un pezzetto di legno integro. «Vede?»

«Temo che anche adesso...» «Watson, non le ho mai reso giustizia. Lei non è l'unico. Cosa potrebbe essere questa NN? la fine di una parola. Lei sa che la marca più comune di matite è la Johann Faber. Non è dunque chiaro che è rimasto solo il mozzicone di matita prima del nome Johann?» Inclinò il tavolinetto sotto la luce elettrica. «Speravo che avesse usato una carta sottile e che fosse rimasta qualche traccia dei segni sulla superficie lucidata. No, non vedo niente. Non credo che qui ci sia altro da scoprire. Veniamo ora al tavolo centrale. Questa pallina immagino, è quella materia nera e pastosa di cui ci ha parlato. Di forma più o meno piramidale, e cava al centro, a quanto vedo. Come ci diceva, sembra contenga dei granelli di segatura. Bene, bene, questo è molto interessante. E il taglio - una vera e propria lacerazione. Comincia con un graffio sottile per finire in un buco sfrangiato. La ringrazio molto per aver sottoposto questo caso alla mia attenzione, signor Soames. Dove conduce quella porta?» «Alla mia camera da letto.» «Ci è entrato, dopo la sua avventura?» «No, sono venuto direttamente a cercare lei.» «Vorrei dare un'occhiata. Che stanza deliziosa, vecchio stile! Forse vorrà avere la cortesia di attendere un attimo, fino a quando avrò esaminato il pavimento. Se qualcuno fosse costretto a nascondersi in questa stanza immagino che si nasconderebbe là, dato che il letto è troppo basso e l'armadio troppo poco profondo. Non c'è nessuno, immagino?» Mentre Holmes tirava la tenda mi resi conto, da una certa rigidità e vigilanza nel suo atteggiamento, che era pronto a un'emergenza. In realtà, la tenda aperta non rivelò altro che tre o quattro completi da uomo attaccati a una fila di stampelle. Holmes si voltò e, improvvisamente, si chinò sul pavimento. «E questo cos'è?», disse. Era una piccola piramide di un materiale nero e morbido, identico a quello sul tavolo dello studio. Holmes lo tenne sul palmo della mano sotto la luce violenta della lampadina. «A quanto sembra, il suo visitatore ha lasciato tracce non solamente in soggiorno ma anche in camera da letto, signor Soames. » «Ma che poteva cercare in camera da letto?» «Semplice: lei è inaspettatamente rientrato da un'altra parte e quindi non se ne è reso conto fino a quando lei non era proprio alla porta. Che poteva fare? Ha afferrato tutto ciò che lo avrebbe tradito e si è precipitato a nascondersi in camera da letto. »

«Bontà divina, signor Holmes, vuole dirmi che, per tutto il

tempo che sono rimasto nella stanza a parlare con Bannister, avevamo quell'uomo in trappola, se solo l'avessimo saputo?» «Così la vedo io.» «Ma sicuramente ci sarà un'altra alternativa, signor Holmes. Ha notato la finestra della mia camera da letto?» «Vetri a traliccio, intelaiatura di piombo, tre pannelli separati, uno che ruota sui cardini, grande abbastanza perché un uomo ci possa passare.» «Appunto. E guarda su un angolo del cortile, così da essere parzialmente invisibile. L'uomo potrebbe essere entrato da qui, aver lasciato tracce del suo passaggio in camera da letto e infine, trovando la porta aperta, essere fuggito per quella via.» Holmes scosse la testa con impazienza. «Siamo pratici», disse. «Se ben ricordo, lei ha detto che tre studenti usano questa scala e hanno l'abitudine di passare per la sua porta?» «Sì, è così.» «E tutti e tre devono sostenere questo esame?» «Sì.» «Ha motivo di sospettare uno qualsiasi di loro più degli altri?» Soames esitò. «È una domanda molto delicata», rispose. «In fin dei conti non è bello ventilare sospetti quando non si hanno prove.» «Sentiamo i sospetti. Alle prove ci penso io.» «Le illustrerò brevemente il carattere dei tre giovani che occupano questi alloggi. Nel primo c'è Gilchrist, ottimo studente e ottimo atleta, gioca nelle squadre di rugby e di cricket coi colori del college, ed è stato scelto per rappresentare l'università per la corsa a ostacoli e il salto in lungo. È un bravo ragazzo, un ragazzo in gamba. È figlio del famigerato Sir Jebez Gilchrist, che si è rovinato con le corse dei cavalli. Il padre lasciò il ragazzo quasi senza un soldo, ma è uno studente diligente e studioso. Farà strada. Il secondo piano è occupato da Daulat Ras, l'indiano. Un tipo tranquillo ed enigmatico; come quasi tutti gli indiani. Se la cava bene con gli studi, anche se è debole in greco. È costante e metodico. L'ultimo piano è quello di Miles McLaren. Un ragazzo brillante, quando ne ha voglia - uno dei migliori cervelli dell'università; ma è ribelle, scapestrato e senza scrupoli. Durante il suo primo anno fu quasi espulso per uno scandalo di gioco. Non ha aperto libro per tutto il trimestre e senza dubbio sarà terrorizzato per l'esame.»

«È di lui, allora, che sospetta?» «Non arriverei a questo punto. Diciamo che, dei tre, è il meno improbabile.» «D'accordo. E ora, signor Soames, diamo un'occhiata al suo domestico, Bannister.» Il domestico era un omarino sui cinquanta, pallido, sbarbato, coi capelli brizzolati. Ancora sofferente per quell'improvviso sconvolgimento della sua tranquilla routine quotidiana. Il viso grassoccio si contraeva per l'agitazione e non riusciva a tenere ferme le dita. «Stiamo investigando questa disgraziata faccenda, Bannister», disse il padrone. «Sì, signore.» «Se ho ben capito», intervenne Holmes, «lei lasciò la chiave nella porta?» «Sì signore.» «E non era molto strano che lei facesse questo proprio il giorno in cui all'interno c'erano quelle carte?» «Una vera disgrazia, signore. Ma occasionalmente, altre volte ho fatto la stessa cosa.»

«A che ora è entrato nella stanza?» «Verso le quattro e mezza. È l'ora in cui il signor Soames prende il suo tè.» «Quanto si è trattenuto?» «Vedendo che non c'era, mi sono ritirato subito.» «Ha guardato quelle carte sul tavolo?» «No, signore - no, certamente.» «Come mai ha lasciato la chiave infilata?» «Reggevo il vassoio, signore. Ho pensato che sarei tornato a prendere la chiave. Poi me ne sono dimenticato.» «La porta esterna ha una chiusura a scatto?» «No, signore.» «Quindi è rimasta aperta tutto il tempo?» «Sì signore.» «Chiunque poteva uscire dalla stanza?» «Sì, signore.» «Quando il signor Soames, rientrando, l'ha chiamata, lei è rimasto turbato?» «Sì, signore. In tutti gli anni da che sono qui non era mai accaduta una cosa simile. Sono quasi svenuto, signore.» «Già, me l'hanno detto. Dove si trovava quando ha cominciato a sentirsi male?» «Dove mi trovavo, signore! Ma, qui, accanto alla porta.»

«Curioso, perché è andato a sedersi in quella sedia laggiù, nell'angolo. Perché non si è seduto su una di queste altre?» «Non lo so, signore, una o l'altra, per me era lo stesso.» «Non credo che fosse molto in sé, signor Holmes. Aveva un aspetto terribile - spettrale.» «È rimasto qui quando il suo padrone è uscito?» «Solamente per un paio di minuti. Poi ho chiuso a chiave la porta e sono andato in camera mia.» «Di chi sospetta?» «Oh, non mi azzarderei a dirlo, signore. Non credo che ci sia nessun gentiluomo in questa università capace di compiere un'azione del genere. No, signore, non lo credo proprio.» «Grazie, basta così», disse Holmes. «Oh, un'altra cosa. Lei ha detto a qualcuno dei tre signori di cui si prende cura che c'è qualcosa che non va?» «No, signore - non una parola.» «Molto bene. E ora, signor Soames, se non le spiace, andremo a fare un giretto nel cortile interno dell'università.» Nell'approssimarsi del crepuscolo, sopra di noi brillavano tre quadrati luminosi. «I tre uccellini sono tutti nel loro nido», disse Holines alzando gli occhi. «Be', che succede? Uno di loro sembra molto irrequieto.» Era l'indiano, la cui silhouette apparve improvvisamente dietro le persiane. Stava andando avanti e indietro, nella stanza, a passi rapidi. «Vorrei dare un'occhiatina a ciascuno di loro», disse Holmes. «È possibile?» «Non c'è problema», rispose Soames. «Questa serie di stanze è la più antica del college e spesso i visitatori vengono a visitarle. Venga, la condurrò io personalmente.» «Niente nomi!», si raccomandò Holmes mentre bussavamo alla porta di Gilchrist. Ci aprì un giovane alto, snello, biondissimo che ci accolse con cortesia quando gli spiegammo il motivo della nostra visita. All'interno, c'erano effettivamente degli esempi molto interessanti di architettura domestica medievale. Holmes rimase particolarmente affascinato da uno di essi e volle assolutamente farne uno schizzo nel suo taccuino, spuntò la matita, ne prese in prestito un'altra dal giovane e, alla fine, gli chiese un temperino per far la punta alla sua. Lo stesso strano incidente gli accadde nella stanza dell'indiano - un giovane bassino, silenzioso, col naso a becco, che ci guardò di traverso e fu palesemente sollevato quando gli studi architettonici di Hol-

mes giunsero al termine. Ebbi l'impressione che in nessuno dei

due casi Holmes avesse trovato l'indizio che cercava. Nel terzo caso, facemmo un fiasco completo. La porta non si aprì e dall'interno provenne solo un torrente di male parole. «Non m'importa chi siete! Andate all'inferno!», ruggì la voce inferocita. «Domani c'è l'esame, e non voglio essere scocciato.» «Un giovane davvero scortese», disse la nostra guida, arrossendo per la collera mentre ce ne tornavamo giù per le scale. «Naturalmente, non sapeva che ero io a bussare, nondimeno il suo comportamento è stato molto incivile e, date le circostanze, piuttosto sospetto.» La reazione di Holmes fu sorprendente. «Può dirmi esattamente quanto è alto?», chiese. «Onestamente, signor Holmes, non ne ho la minima idea. È più alto dell'indiano, ma non alto come Gilchrist. Immagino sia sul metro e settantacinque.» «Questo è molto importante», disse Holmes. «E adesso, signor Soames, le auguro la buona notte.» La nostra guida lanciò un'esclamazione di stupore e sgomento. «Bontà divina, signor Holmes, non mi abbandonerà in questo modo! Sembra che non si renda conto della situazione. L'esame è domani. In qualche modo, devo agire questa sera. Non posso permettere lo svolgimento della prova se uno dei fogli è stato manomesso. Bisogna affrontare la situazione.» «Deve lasciare le cose come stanno. Farò un salto da lei domattina presto e ne discuteremo. Può darsi che, per allora, io sia in grado di indicarle una linea di condotta. Nel frattempo, non cambi nulla - assolutamente nulla.» «Molto bene, signor Holmes.» «Stia tranquillo. Troveremo sicuramente il modo di risolvere le sue difficoltà. Porterò con me l'argilla nera e anche i trucioli della matita. Arrivederci.» Una volta usciti nell'oscurità del cortile interno, alzammo di nuovo gli occhi alle finestre. L'indiano stava ancora andando su e giù per la stanza. Gli altri non si vedevano. «Bene, Watson, che ne pensa?», chiese Holmes mentre uscivamo sulla strada principale. «Un bel giochetto - una specie di trucco delle tre carte, non le pare? Prenda i tre studenti. Dev'essere stato uno di loro. Scelga pure. Chi è il colpevole, secondo lei?» «Al primo posto quello triviale. Il suo curriculum scolastico è il peggiore. Ma anche quell'indiano è un tipo molto sfuggente. Perché mai va avanti e indietro nella stanza?» «Questo non significa nulla. Molte persone lo fanno quando devono imparare a memoria qualcosa.»

«Ci ha guardato in modo strano.» «L'avrebbe fatto anche lei, se una banda di sconosciuti le fossero capitati fra capo e collo mentre si preparava a sostenere un esame il giorno dopo e ogni momento era prezioso. No, non ci vedo niente di anormale. Anche le matite, e i temperini - tutto in regola. Ma è quel tipo che mi incuriosisce.» «Chi?» «Ma Bannister, il domestico. Quale ruolo ha in questa faccenda?» «Mi ha dato l'impressione di essere completamente in buona fede.» «Anche a me. Questo è ciò che incuriosisce. Per quale motivo un uomo del tutto onesto... Bene, bene, ecco una grossa cartoleria. Cominceremo da qui le nostre ricerche.» Nella città universitaria c'erano solo quattro cartolerie di un certo rilievo e in ciascuna di esse Holmes mostrò i trucioli di legno offrendo una discreta somma per una matita identica. Tutti risposero che era possibile ordinarla ma che era un tipo di misura insolita e raramente ne tenevano in magazzino. Il mio amico non sembrò prendersela molto per quel buco nell'acqua ma alzò

le spalle con semi-comica rassegnazione. «Niente da fare, caro Watson. Questo, l'indizio migliore e definitivo, non è servito a nulla. Eppure, sono praticamente certo che potremo accumulare prove sufficienti anche senza di esso. Per Giove! vecchio mio, sono quasi le nove, e la padrona di casa ha borbottato non so che circa i piselli alle sette e trenta. Con la sua eterna pipa e gli orari più strani con cui si presenta ai pasti, temo che la sbatterà fuori, e me con lei - non però prima che abbiamo risolto il problema del docente nervoso, del domestico trascurato e dei tre studenti intraprendenti. » Per quel giorno, Holmes non fece più allusione al caso, pur restandosene a lungo seduto, pensieroso, dopo la nostra tardiva cena. Alle otto del mattino, proprio mentre stavo finendo di vestirmi, entrò nella mia stanza. «Bene, Watson», disse, «è ora di andare al San Luca. Può fare a meno della colazione?» «Certamente.» «Soames starà smaniando fino a quando non potremo dirgli qualcosa di positivo.» «E lei ha qualcosa di positivo da dirgli.» «Credo di sì. » «È arrivato a una conclusione?» «Sì, mio caro Watson, ho risolto il mistero.» «Ma in base a quali nuove prove?»

«Ah! Non per niente mi sono scaraventato giù dal letto all'impossibile ora delle sei del mattino. Ho lavorato sodo per un paio d'ore percorrendo almeno cinque miglia, e ne ho ricavato qualcosa. Guardi!» Tese la mano. Sul palmo aveva tre piccole piramidi di argilla nera e morbida. «Ma Holmes, ieri ne aveva solo due.» «E questa mattina ne ho una in più. È lecito affermare che la numero 3 proviene esattamente da dove provengono la numero 1 e la numero 2. Che ne dice? Bene, andiamo a sollevare il morale del povero Soames.» Quando lo trovammo nel suo alloggio, lo sfortunato insegnante era in condizioni di nervi davvero pietose. Fra poche ore avrebbe avuto inizio l'esame e ancora non sapeva se rendere la cosa di pubblico dominio o permettere al colpevole di concorrere all'ambita borsa di studio. Era talmente agitato che non riusciva a stare fermo e si precipitò incontro ad Holmes a mani tese. «Grazie a Dio, è arrivato! Pensavo che ci avesse rinunciato. Che debbo fare? Devo andare avanti con l'esame?» «Vada avanti, senz'altro.» «Ma quel furfante?» «Non affronterà la prova.» «Lei sa chi è?» «Credo di sì. Se la faccenda non deve diventare di dominio pubblico dobbiamo arrogarci alcuni poteri e trasformarci in una piccola corte marziale. Lei là, Soames, per piacere! Watson, lei qui! Io mi siederò nella poltrona di centro. Penso che adesso siamo abbastanza solenni da suscitare un sacro terrore nel colpevole. Per favore, suoni il campanello!» Bannister entrò e arretrò, evidentemente sorpreso e intimorito dalla nostra apparenza di inquisitori. «Abbia la cortesia di chiudere la porta», disse Holmes. «Ed ora, Bannister, vuole dirci la verità sull'incidente di ieri?» L'uomo sbiancò fino alla radice dei capelli. «Le ho detto tutto, signore.» «Nulla da aggiungere?» «Nulla, signore.» «Bene, allora dovrò suggerirle io qualcosa. Ieri, quando si è seduto su quella sedia, non lo ha forse fatto per nascondere qualcosa che avrebbe identificato chi era entrato nella stanza?» Bannister aveva il viso spettrale. «No, signore, no, certo.»

«È solo un suggerimento» disse Holmes con voce melliflua.

«Ammetto che non sono in grado di dimostrarlo. Ma sembra probabile dato che, appena il signor Soames ha voltato le spalle, lei ha fatto uscire l'uomo che si nascondeva in camera da letto.» Bannister si passò la lingua sulle labbra aride. «Non c'era nessuno, signore.» «Che peccato, Bannister. Fino a questo momento avrei potuto pensare che forse diceva la verità, ma adesso so che ha mentito.» Il domestico prese un'aria imbronciata di sfida. «Non c'era nessuno, signore.» «Via, via, Bannister!» «Non c'era nessuno.» «In questo caso, lei non può darci altre informazioni. Le spiace rimanere qui? Si metta là, accanto alla porta della camera da letto. E adesso, Soames, le chiederò il grosso favore di salire nella stanza del giovane Gilchrist e di riportarlo giù con lei.» Pochi minuti dopo il docente rientrò accompagnato dallo studente. Un bel giovanotto, alto, snello ed agile, col passo elastico e un viso simpatico e aperto. Ci osservò uno per uno, con una certa preoccupazione negli occhi azzurri e, infine, il suo sguardo smarrito si fermò su Bannister, nel suo angolo. «Chiuda la porta», disse Holmes. «Signor Gilchrist qui siamo soli e nessuno saprà quello che ci diciamo. Possiamo essere del tutto sinceri. Vogliamo sapere, signor Gilchrist per quale motivo lei, persona d'onore, ha compiuto un'azione come quella di ieri?» Il povero giovane barcollò lanciando un'occhiata di orrore e di rimprovero a Bannister. «No, no, signor Gilchrist, non ho detto una parola, signore - nemmeno una parola!», gridò il domestico. «No, ma l'ha fatto adesso», ribatté Holmes. «Vede, dunque, che dopo quanto ha appena detto Bannister, la sua posizione è insostenibile e non le rimane che confessare tutto.» Per un attimo Gilchrist, con le mani alzate, cercò di controllarsi. Poi, cadde in ginocchio accanto al tavolo nascondendosi il viso fra le mani e scoppiando in singhiozzi disperati. «Andiamo, andiamo», disse gentilmente Holmes, «errare è umano e almeno nessuno può accusarla di essere un criminale incallito. Forse sarebbe meglio per lei se raccontassi io al signor Soames cosa è successo, e mi corregga se sbaglio. D'accordo? Bene, bene, non si disturbi a rispondermi. Ascolti, e vedrà che non le farò torto. Dal momento stesso in cui lei, signor Soames, mi disse che nessuno, nemmeno Bannister, poteva sapere che il testo d'esa-

me era nella sua stanza, la faccenda ha cominciato ad assumere una forma ben definita nella mia mente. Il tipografo era naturalmente da scartare. Poteva leggersi i fogli nel suo ufficio. Anche l'indiano era fuori causa. Se le bozze di stampa erano arrotolate, non poteva assolutamente sapere di che si trattasse. D'altro canto, sembrava una coincidenza impensabile che qualcuno osasse entrare nella stanza proprio nel giorno in cui, per combinazione, le carte erano sul suo tavolo. Un'ipotesi da scartare. Chiunque fosse entrato, sapeva della presenza delle carte. Ma come mai lo sapeva? Venendo qui da lei, ho esaminato la sua finestra. Mi ha divertito la sua supposizione che io contemplassi la possibilità che qualcuno fosse entrato di lì, in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti quelli che potevano vederlo dalle finestre di fronte. Un'idea totalmente assurda. Stavo calcolando quanto avrebbe dovuto essere alta una persona per scorgere, passando, i fogli sul tavolo. Io sono alto un metro e ottanta e ci riuscivo a fatica. Un uomo più basso di me non ci sarebbe mai riuscito. Come vede, avevo già motivo di ritenere che, se uno dei suoi tre studenti era di statura superiore alla media, era lui quello che valeva la pena

di tenere d'occhio. Entrai, e la resi partecipe di quanto avevo trovato sul tavolino laterale. Il tavolo centrale non mi suggeriva nulla fino a quando, parlandomi di Gilchrist, lei mi disse che era un campione di salto in lungo. Allora, mi apparve tutto chiaro; avevo solo bisogno di qualche convalida, che non feci fatica a ottenere. Le cose sono andate così: questo giovane aveva passato il pomeriggio al campo sportivo, dove si era esercitato nel salto. Al ritorno, portava con sé le scarpette da ginnastica che nel suo caso, come lei sa, sono chiodate. Grazie alla sua statura, passando vide le carte sul suo tavolo e capì cosa fossero. Non sarebbe successo niente se non fosse stato che, guardando la porta, non avesse visto che la chiave era rimasta nella serratura, per una sbadataggine del suo domestico. Ebbe subito l'impulso di entrare per constatare se si trattava effettivamente delle bozze del testo d'esame. Non era un'impresa pericolosa perché avrebbe sempre potuto dire che era entrato per chiedere un'informazione. Quando vide che si trattava proprio della versione di greco, la tentazione fu più forte di lui. Poggiò le scarpe da ginnastica sul tavolo. Cosa ha posato sulla sedia accanto alla finestra?» «I guanti», rispose il giovane. Holmes guardò Bannister con espressione trionfante. «Posò i guanti sulla sedia, poi prese le bozze, foglio per foglio, per co-

piarle. Immaginava che l'insegnante sarebbe rientrato dall'ingresso laterale. Improvvisamente, lo sentì proprio dietro alla porta. Impossibile fuggire. Dimenticò i guanti ma afferrò le scarpe e si precipitò nella stanza da letto. Noterà che il graffio sul tavolo è leggero da una parte ma si fa più profondo in direzione della porta della stanza da letto. Il che basta a dimostrare che la scarpa fu trascinata in quella direzione e che lì si era rifugiato il colpevole. Il terriccio che imbrattava i chiodi era rimasto sul tavolo e in parte era caduto in camera da letto. Posso aggiungere che questa mattina sono andato al campo sportivo, ho visto l'argilla scura e viscosa che si usa nella fossa di salto e ne ho prelevato un campione con quella sottile segatura di cui è cosparsa perché l'atleta non debba scivolare. È così, signor Gilchrist?» Il giovane si era irrigidito. «Sì, signore, è così.» «Santo cielo, è tutto qui quello che ha da dire?», esclamò Soames. «No, signore, ma lo shock e la vergogna di essere stato così smascherato mi hanno sconvolto. Ho qui una lettera, signor Soames, che le ho scritto questa mattina prestissimo, dopo una notte insonne. Come vede, le dico che "ho deciso di non presentarmi all'esame". Mi è stato offerto un posto nella polizia rhodesiana. e parto subito per il Sud Africa.» «Mi rallegro sinceramente di sentire che non intende approfittarsi del suo sleale vantaggio», disse Soames. «Come mai ha cambiato idea?» Gilchrist indicò Bannister. «È lui che mi ha riportato sulla buona strada», rispose. «Dunque, Bannister», osservò Holmes, «da quanto ho detto, avrà ormai capito che solo lei poteva aver fatto uscire questo giovanotto, dal momento che era rimasto nella stanza, e che è stato lei a chiudere poi a chiave la porta. L'idea che fosse fuggito dalla fmestra era incredibile. Non può chiarirci l'ultimo punto di questo mistero e dirci il motivo per cui si è comportato così?» «Era molto semplice signore, se solo lei ne fosse stato al corrente ma, con tutta la sua furberia, non poteva assolutamente saperlo. Un tempo, signore, ero stato maggiordomo del vecchio signor Jabez Gilchrist, il padre di questo ragazzo. Quando andò in rovina venni al college, come domestico, ma non dimenticai il mio antico padrone e tenni d'occhio suo figlio, in memoria dei giorni andati. Bene, signore, entrando ieri in questa stanza, dopo che era stato dato l'allarme, la prima cosa che vidi furono i guanti del signor Gilchrist su quella sedia. Conoscevo bene quei

guanti e capii cosa significavano. Se il signor Soames li avesse vi-

sti, avrebbe scoperto tutto. Mi lasciai cadere su quella sedia e niente al mondo mi avrebbe spostato fino a quando il signor Soames venne a cercare lei. Allora, quel povero ragazzo, che avevo fatto giocare sulle mie ginocchia, uscì dalla stanza e mi confessò tutto. Non era forse naturale, signore, che io lo salvassi e che gli parlassi come gli avrebbe parlato il suo povero padre, facendogli capire che non poteva approfittarsi di un gesto così riprovevole? Può darmi torto, signore?» «No davvero», rispose Holmes con calore, alzandosi. «Bene, Soames, mi sembra che abbiamo risolto il suo piccolo problema e a casa ci aspetta la colazione. Andiamo, Watson! Quanto a lei, giovanotto, le auguro un brillante avvenire in Rhodesia. Per una volta è caduto in basso. Vedremo quanto in alto saprà salire in futuro.» Next Page

L'avventura degli occhialini d'oro Quando sfoglio i tre massicci volumi che racchiudono il nostro lavoro durante il 1894 confesso che, fra tanta abbondanza di materiale, mi riesce difficile scegliere i casi più interessanti in sé e per sé e più emblematici delle eccezionali doti per cui il mio amico andava famoso. Pagina dopo pagina, ritrovo i miei appunti sulla disgustosa faccenda della sanguisuga rossa e sulla orribile morte di Crosby, il banchiere. Trovo anche un resoconto della tragedia di Addleton, e un elenco dei bizzarri oggetti contenuti nell'antico carrettino inglese. A quel periodo risale anche il famoso caso della successione Smith-Mortimer, e così pure la cattura e l'arresto di Huret, l'assassino del Boulevard - un'impresa che fruttò a Holmes la Legion d'Onore e una lettera autografa di ringraziamento da parte del Presidente francese. Ognuno di questi episodi potrebbe costituire un racconto ma, in linea di massima, ritengo che nessuno di essi presenti tanti aspetti singolari e degni di nota quanto l'episodio di Yoxley Old Place, che include non solamente la dolorosa e prematura scomparsa del giovane Willoughby Smith ma anche gli sviluppi successivi che gettarono una luce così inconsueta sui moventi del delitto. Era una sera buia e tempestosa di fine novembre. Holmes ed io eravamo rimasti in silenzio tutta la sera; lui, impegnato a decifrare, con una potentissima lente, le iscrizioni originali di un palinsesto; io, immerso nella lettura di un trattato di chirurgia, uscito di recente. Fuori, il vento ululava incanalandosi per Baker Street mentre la pioggia sferzava i vetri delle finestre. Era strano qui, nel cuore della città, circondati dalle opere dell'uomo, sentire la ferrea stretta della natura con la consapevolezza che, di fronte alla violenza degli elementi, Londra non era che una mosca di fronte a un elefante. Mi accostai alla finestra guardando nella strada deserta. I rari lampioni gettavano la loro luce sulle strade fangose e sui marciapiedi lucidi. Un'unica carrozza avanzava tra schizzi d'acqua dal fondo di Oxford Street. «Bene, Watson, per fortuna questa sera non dobbiamo uscire», disse Holmes posando la lente e arrotolando il palinsesto. «Per adesso, basta. È un lavoro che stanca molto gli occhi. Per

quanto ho capito, non si tratta altro che dei conti di un'abbazia, a partire dalla seconda metà del xv secolo. Bene, bene, e questo cos'è?» Nel rumoreggiare del vento arrivava un suono di zoccoli e il cigolio di una ruota che strusciava contro la curva. La carrozza che avevo visto si era fermata alla nostra porta. «Cosa mai può volere?», esclamai vedendo scenderne un uo-

mo. «Cosa vuole? Vuole noi. E noi, vogliamo cappotti, sciarpe, soprascarpe e tutto quanto l'uomo ha inventato per difendersi dal maltempo. Un momento, però. La carrozza riparte! C'è ancora speranza. Se avesse voluto portarci con lui, l'avrebbe fatta aspettare. Corra giù ad aprire, amico mio, dato che tutti i virtuosi stanno già dormendo il sonno del giusto.» Quando la lampada dell'atrio illuminò il nostro visitatore di mezzanotte, non ebbi difficoltà a riconoscerlo. Era il giovane Stanley Hopkins, il promettente ispettore di polizia della cui carriera Holmes si era più volte fattivamente interessato. «C'è?» mi chiese ansiosamente. «Salga pure», disse la voce di Holmes dall'alto. «Spero che non abbia intenzione di trascinarci fuori di casa in una notte come questa.» L'ispettore salì e la nostra lampada illuminò il suo impermeabile lucido di pioggia. Lo aiutai a toglierselo mentre Holmes sistemava i ciocchi nel caminetto. «Allora, caro Hopkins, venga qui a riscaldarsi», disse. «Eccole un sigaro e il dottore ha una pozione di acqua calda e limone che è un'ottima medicina con questo tempo. Dev'essere qualcosa di importante che l'ha fatta uscire in questa bufera.» «Molto importante, signor Holmes. Le assicuro che non mi sono fermato un momento per tutto il pomeriggio. Ha letto qualcosa sul caso Yoxley nelle ultime edizioni?» «Oggi, le mie letture si sono limitate al xv secolo.» «Be', era solo un paragrafo, e inesatto per giunta, quindi non ha perso niente. Non mi sono lasciato crescere l'erba sotto i piedi. È giù nel Kent, a sette miglia da Chatham e tre dalla ferrovia. Mi hanno telegrafato alle 3,15, sono arrivato a Yoxley Old Place alle 5, ho svolto le mie indagini, sono rientrato a Charing Cross con l'ultimo treno e sono venuto difilato da lei.» «Il che, suppongo, significa che il caso non le è chiaro?» «Significa che non riesco a trovarne né capo né coda. Per quanto ho potuto vedere, è la storia più complicata che mi sia mai capitata; eppure, al principio, sembrava così facile da non potersi sbagliare. Manca un movente, signor Holmes. Questo è

quello che mi disturba - non riesco a trovare un movente. C'è un morto - questo è innegabile - ma non vedo un motivo al mondo per cui qualcuno volesse fargli del male.» Holmes accese il sigaro appoggiandosi allo schienale della poltrona. «Sentiamo», disse. «I fatti sono molto chiari», esordì Hopkins. «Tutto quello che adesso vorrei sapere è cosa significano. Per quanto ho potuto capire, si tratta di questo. Qualche anno fa, questa residenza di campagna, Yoxley Old Place, fu affittata da un signore anziano che disse di chiamarsi professor Coram. Un invalido che, per metà del tempo, restava a letto e per l'altra metà si aggirava zoppicando per la casa appoggiandosi a un bastone, o veniva spinto in giardino su una sedia a rotelle dal giardiniere. I pochi vicini che andavano a fargli visita lo trovavano simpatico e, da quelle parti, gode fama di essere un uomo molto colto. Il personale consiste di un'anziana governante, la signora Marker, e di una domestica, Susan Tarlton. Sono al suo servizio fin da quando è arrivato e sembrano due persone assolutamente perbene. Il professore sta scrivendo un libro molto ponderoso e, circa un anno fa, ha ritenuto opportuno assumere un segretario. I primi due che ha provato non andavano bene ma il terzo, il signor Willoughby Smith, un giovanotto appena uscito dall'università, sembra abbia fatto proprio al caso suo. Il suo lavoro consisteva nello scrivere tutta la mattina sotto dettatura del professore e, in genere, la sera si dedicava alla ricerca di riferimenti e brani che avevano a che fare col lavoro del giorno dopo. Anche sul conto di questo Willoughby Smith non risulta nulla, né quando era bambino a Uppingham né quando era ragazzo a Cambridge. Ho visto le sue referenze e, fin dal principio, si è dimostrato un

buon lavoratore, tranquillo, praticamente senza difetti. Eppure, proprio questo giovane è stato ucciso stamane nello studio del professore in circostanze che non possono che far pensare a un delitto.» Il vento ululava rabbioso contro i vetri. Holmes ed io ci accostammo più vicini al fuoco, mentre il giovane ispettore dipanava lentamente la sua storia, punto per punto. «Credo che non si troverebbe in tutta l'Inghilterra», disse, «un ménage più autonomo e più libero da influenze esterne. Passavano intere settimane prima che qualcuno oltrepassasse il cancello del giardino. Il professore era immerso nel suo lavoro e sembrava che niente altro esistesse all'infuori di esso. Il giovane Smith non conosceva nessuno nei dintorni e viveva più o meno come il suo datore di lavoro. Le due donne non avevano motivo

di uscire. Mortimer, il giardiniere - quello che spinge la sedia a rotelle - è un militare in pensione, un veterano della Crimea, con ottime referenze. Non abita nella casa ma in un cottage di tre stanze, all'estremità opposta del giardino. Queste sono le uniche persone che si aggirano a Yoxley Old Place. D'altro canto, il cancello del giardino è a cento metri dalla strada principale fra Londra e Chatham; si apre con un nottolino e se qualcuno volesse entrare non c'è nulla che glielo impedisca. Ora le riferirò la testimonianza di Susan Tarlton, l'unica persona in grado di dire qualcosa di preciso su questa faccenda. Era la tarda mattinata, fra le undici e mezzogiorno, e stava attaccando delle tende nella stanza da letto che dà sulla facciata anteriore, al piano di sopra. Il professor Coram era ancora a letto perché, quando è brutto tempo, raramente si alza prima di mezzogiorno. La governante stava facendo qualcosa nel retro della casa. Willoughby Smith si era trattenuto nella sua camera da letto, che usa anche come salotto, ma proprio in quel momento la domestica lo sentì attraversare il corridoio e scendere nello studio, immediatamente al disotto della stanza dove lei si trovava in quel momento. Non lo ha visto ma ha dichiarato di aver riconosciuto, senz'ombra di dubbio, il passo rapido e deciso. Non ha sentito chiudersi la porta dello studio ma, dopo un minuto o due, dalla stanza del piano di sotto salì un urlo spaventoso. Un grido rauco, disperato, così strano e innaturale che poteva provenire sia da un uomo che da una donna. Nello stesso istante, ci fu un tonfo sordo che fece tremare la vecchia casa, poi, silenzio. La domestica rimase pietrificata per qualche attimo dopo di che, facendosi coraggio, scese di corsa le scale. Aprì la porta dello studio, che era chiusa. All'interno, disteso per terra, c'era il giovane Willoughby Smith. In un primo tempo non si accorse che era ferito ma, quando cercò di rialzarlo, vide il sangue che scorreva a fiotti dalla nuca: era attraversata da una ferita, piccola ma molto profonda, che aveva reciso la carotide. Lo strumento con cui era stata inflitta la ferita era accanto a lui, sul tappeto. Uno di quei coltellini da ceralacca che si trovano a volte su certe antiche scrivanie, col manico d'avorio e la lama rigida. Faceva parte del servizio da scrittoio del professore. Lì per lì, la ragazza pensò che il giovane Smith fosse già morto ma, quando gli versò sulla fronte un po' d'acqua da una caraffa, il giovane aprì gli occhi per un istante. "Il professore", sussurrò, "è stata lei." La domestica è pronta a giurare che queste furono le precise parole. Smith tentò disperatamente di dire qualcos'altro e alzò la mano destra. Poi ricadde, morto. Frattanto, era accorsa anche la governante, ma non fece a

tempo a sentire le ultime parole del morente. Lasciando Susan col corpo, andò di corsa in stanza del professore. Lo trovò seduto sul letto, agitatissimo, perché aveva sentito abbastanza da capire che era successo qualcosa di terribile. La signora Marker è pronta a giurare che il professore indossava ancora il pigiama, anche perché non poteva vestirsi senza l'aiuto di Mortimer che aveva ricevuto ordine di andare da lui alle dodici. Il professore

dichiara di aver sentito quel grido lontano, ma di non sapere altro. Non sa spiegare le ultime parole del giovane, "Il professore - è stata lei", ma suppone che le abbia pronunciate in preda al delirio. È convinto che Willoughby Smith non avesse un nemico al mondo e non sa trovare il benché minimo motivo per il delitto. Per prima cosa, ha mandato Mortimer, il giardiniere, ad avvisare la polizia locale. Poco dopo, il capo mi ha fatto chiamare. Niente era stato toccato prima del mio arrivo e ho dato ordini severissimi perché nessuno calpestasse i vialetti che portano alla casa. Era l'occasione d'oro per mettere in pratica le sue teorie, signor Holmes. Non mancava proprio nulla.» «Eccetto il signor Sherlock Holmes», commentò il mio amico con un sorrisetto amaro. «Bene, sentiamo. Cosa ha fatto?» «Prima, debbo chiederle di dare un'occhiata a questo schizzo che le darà un'idea generale della posizione dello studio del professore e degli altri punti della casa. Le servirà per seguire la mia linea d'indagine.» Spiegò la mappa approssimativa, qui riprodotta,

poggiandola sulle ginocchia di Holmes. Mi alzai e la studiai anche io, dietro le sue spalle.

«Naturalmente è molto approssimativa e si limita ai punti che mi sono sembrati fondamentali. Tutto il resto lo vedrà poi da sè. Ora per prima cosa, presumendo che l'assassino sia entrato in casa, come ha fatto - lui o lei - a entrare? Sicuramente attraverso il viale del giardino e l'ingresso sul retro, da dove si accede direttamente allo studio. Ogni altro percorso sarebbe stato troppo complicato. E dev'essere anche uscito da quella stessa parte visto che delle altre due porte una era bloccata da Susan, che era corsa giù, e l'altra portava direttamente alla camera da letto del professore. Quindi, ho subito concentrato la mia attenzione sul viale del giardino, inzuppato per la pioggia e che avrebbe senz'altro rivelato delle impronte. Dal mio esame, mi sono reso conto che avevo a che fare con un criminale esperto e prudente. Sul viale non c'erano impronte. Comunque, innegabilmente, qualcuno era passato lungo la bordura erbosa che fiancheggiava il sentiero, proprio allo scopo di non lasciare tracce. Non c'era nessuna impronta chiara ma l'erba era calpestata, senza dubbio dai passi di qualcuno. E quel qualcuno non poteva che essere stato l'assassino, poiché né il giardiniere né nessun altro era stato lì quella mattina, e aveva cominciato a piovere durante la notte.» «Un momento», lo interruppe Holmes, «dove porta il sentiero?» «Alla strada.» «Quanto è lungo?» «Più o meno un centinaio di metri.» «Allora, avrà sicuramente rilevato delle impronte nel punto in cui il sentiero attraversa il cancello?» «Purtroppo, in quel punto è lastricato.» «Sulla strada, allora?»

«No, il passaggio della gente aveva trasformato il bagnato in fanghiglia.» «Che peccato! Be', allora, quelle vaghe impronte sull'erba, andavano verso la casa o ne tornavano?» «Impossibile dirlo. Non erano delineate.» «Un piede grande o piccolo?» «Non si distingueva.» Holmes ebbe un'esclamazione di impazienza. «Da allora, ha piovuto a catinelle e il vento sembrava un uragano», disse. «Ora, saranno ancora più difficili da decifrare del mio palinsesto. Be', pazienza! Cosa ha fatto, Hopkins, dopo essersi accertato di non aver accertato niente?» «Credo invece di essermi accertato di molte cose, signor Holmes. Per esempio, ora sapevo che qualcuno si era furtivamente

introdotto in casa dall'esterno. Esaminai il corridoio, ma è ricoperto per tutta la lunghezza da una guida di fibra che non trattiene impronte. Il corridoio mi ha condotto nello studio. Un locale scarsamente arredato. Il mobile principale è un grande scrittoio, con un rialzo fisso composto da una doppia fila verticale di cassetti con un armadietto al centro. I cassetti erano aperti, l'armadietto chiuso a chiave. Sembra che i cassetti fossero sempre aperti e che non contenessero niente d'importante. C'erano invece delle carte importanti nell'armadietto ma nessun segno di manomissione, e il professore afferma che non mancava nulla. Sicuramente, non si era trattato di un furto. Veniamo adesso al corpo del giovanotto. Fu trovato accanto al credenzino, subito a sinistra, come è segnato sulla mappa. La ferita si trovava sul lato destro del collo ed era stata inflitta da dietro le spalle, quindi è praticamente da escludere il suicidio.» «A meno che non sia caduto sul coltello», disse Holmes. «Esattamente. Ci ho pensato anch'io. Ma il coltello è stato trovato a qualche piede di distanza dal corpo, quindi sembrerebbe impossibile. Poi, naturalmente, abbiamo le poche parole che ha detto prima di morire. E infine, nella mano destra del morto, è stato trovato questo importantissimo indizio.» Stanley Hopkins tirò fuori di tasca un pacchettino incartato. Lo aprì, mostrandoci un occhialino d'oro, con due cordoncini rotti, di seta nera, che pendevano all'estremità. «Willoughby Smith aveva un'ottima vista», disse. «Senza dubbio ha strappato questi occhialini dal viso o dalla persona dell' assassino.» Sherlock Holmes li prese in mano e li esaminò con molta attenzione e molto interesse. Se li appoggiò al naso, cercò di leggere attraverso le lenti, andò alla finestra a guardare la strada, sempre con gli occhialini, li osservò minuziosamente sotto la luce della lampada poi, con una risatina, si sedette al tavolo, e scrisse qualche riga su un foglietto di carta che gettò a Stanley Hopkins. «Questo, è il meglio che posso fare per lei», disse. «Potrebbe dimostrarsi utile.» Lo sbigottito ispettore lesse il biglietto ad alta voce. C'era scritto: «Cercasi una donna, abitante in un quartiere elegante, che indossa vesti signorili. Ha un naso molto grosso e gli occhi ravvicinati. Ha la fronte aggrottata, gli occhi strizzati e, probabilmente, le spalle curve. Alcuni particolari fanno pensare che, negli ultimi mesi, sia andata almeno due volte da un oculista. Le lenti sono molto spesse e, dato che gli oculisti non sono poi così numerosi, non dovrebbe essere difficile rintracciarla».

Holmes sorrideva per l'espressione esterrefatta di Hopkins che, sicuramente, si rispecchiava anche sul mio viso. «Ma via», disse, «sono deduzioni elementari. Sarebbe difficile trovare un oggetto che offra indicazioni più di un paio d'occhiali, specialmente occhiali insoliti come questi. Che appartengono a una donna lo deduco dalla loro delicatezza e anche, naturalmente, dalle ultime parole del morto. In quanto all'essere una persona raffinata e ben vestita, noterà che gli occhiali han-

no la montatura d'oro massiccio ed è inconcepibile che una donna che porta occhiali del genere possa poi essere trasandata sotto altri aspetti. Troverà che la molla è troppo stretta per il suo naso, il che dimostra che quello della donna è largo all'attaccatura. In genere, questo tipo di naso è corto e grosso, ma esistono sufficienti eccezioni a questa regola perché io non possa essere troppo dogmatico e assolutista su questo punto della mia descrizione. Io ho il viso stretto, eppure non riesco a centrare le pupille in questi occhiali. Quindi, la signora ha gli occhi molto ravvicinati alla radice del naso. Noterà, Watson, che le lenti sono convesse e insolitamente spesse. Una donna i cui occhi sono stati così contratti per tutta la vita mostrerà sicuramente le caratteristiche fisiche proprie di una miopia così elevata, che si notano appunto sulla fronte, nelle palpebre e nelle spalle.» «Sì», dissi, «posso seguire le sue argomentazioni. Confesso però che non capisco come lei sia arrivato alla duplice visita all'oculista.» Holmes prese in mano gli occhiali. «Osservi», disse, «le molle sono foderate con striscette di sughero per alleviare la stretta sul naso. Una di queste striscette è scolorita e un po' consumata, mentre l'altra è nuova. Evidentemente, una si è staccata ed è stata sostituita. Direi che la più vecchia risale a non più di qualche mese fa. Sono di tipo identico, quindi ne deduco che la signora è tornata dallo stesso oculista per sostituire quella mancante. » «Perbacco, fantastico!», esclamò Hopkins estasiato. «Pensare che avevo in mano tutti questi indizi, senza saperlo! Comunque, avevo già in mente di fare un giro degli oculisti di Londra.» «Logico. Frattanto, ha qualcos'altro da dirci su questo caso?» «Niente, signor Holmes. Ora ne sa esattamente quanto me probabilmente molto di più. Ci siamo informati su eventuali sconosciuti visti sulle strade di campagna o alla stazione ferroviaria. Nessuno, a quanto pare. Quello che proprio non capisco

è l'assoluta mancanza di un movente per il delitto. Nessuno può suggerire l'ombra di un motivo.» «Ah! Qui non posso aiutarla. Ma immagino che vorrà che veniamo lì domani?» «Se non è chiederle troppo, signor Holmes. C'è un treno per Chatham da Charing Cross alle sei di mattina, e arriveremmo a Yoxley Old Place fra le otto e le nove.» «Allora lo prenderemo. Il suo caso è senza dubbio interessante e sarò felicissimo di dare un'occhiata. Bene, è quasi l'una e faremo bene a dormire per qualche ora. Penso che lei starà abbastanza comodo sul divano di fronte al camino. Accenderò il fornelletto a spirito e vi darò il caffè prima di metterci in viaggio.» Il giorno seguente, la bufera di vento era finita ma, quando ci avviammo, faceva un freddo intenso. Vedemmo il pallido sole invernale sorgere sui desolati acquitrini del Tamigi e i lunghi, cupi bracci del fiume che, nella mia mente, associerò per sempre al nostro inseguimento dell'aborigeno delle Isole Andaman nei primi tempi della nostra carriera. Dopo un viaggio lungo e deprimente, scendemmo a una stazioncina a poche miglia da Chatham. Mentre il cavallo veniva attaccato al calessino, nella locanda del posto consumammo una frettolosa colazione e quindi eravamo pronti a darci da fare quando, finalmente, arrivammo a Yoxley Old Place. Un poliziotto ci venne incontro al cancello del giardino. «Salve, Wilson, novità?» «No signore, nessuna.» «Non si sono visti stranieri da queste parti?» «No. Alla stazione sono sicuri che nessuno straniero è arrivato o partito ieri.» «Si è informato presso le locande e le pensioni?» «Sì signore: nessuno che non sia identificato.» «Be', non c'è molta strada da qui a Chatham. Chiunque po-

trebbe fermarsi lì o prendere un treno senza che nessuno lo veda. Questo è il sentiero di cui le ho parlato signor Holmes. Le do la mia parola che ieri non c'erano impronte.» «Da che parte erano le tracce sull'erba?» «Da questa parte, signore. Su questa striscetta d'erba fra il sentiero e l'aiuola. Ora non le distinguo, ma allora le ho viste benissimo.» «Sì, sì, qualcuno c'è passato», confermò Holmes chinandosi sul bordo erboso. «La nostra signora deve aver fatto molta attenzione a dove metteva i piedi, dato che da una parte avrebbe lasciato le impronte sul sentiero e dall'altra sull'aiuola, non le pare?»

«Già, una che sapeva quello che faceva.» Notai un'espressione penetrante nello sguardo di Holmes. «Lei dice che dev'essere tornata indietro da questa parte?» «Sì, è l'unica.» «Su questa striscia d'erba?» «Certo, signor Holmes.» «Hum! Una prestazione notevole - davvero notevole. Bene. Credo che col sentiero abbiamo finito. Procediamo oltre. Immagino che questa porta del giardino di solito rimanga aperta? In tal caso, la visitatrice non aveva che da entrare. Non premeditava l'omicidio, altrimenti avrebbe portato con sé un'arma qualsiasi invece di dover prendere questo coltellino dalla scrivania. È avanzata lungo il corridoio, senza lasciare impronte sulla guida di stuoia. Poi si è trovata nello studio. Quanto tempo c'è rimasta? Non abbiamo modo di saperlo.» «Non più di qualche minuto, signore. Ho dimenticato di dirle che la signora Marker, la governante, poco prima era stata nello studio per riordinarlo - per circa un quarto d'ora, dice.» «Bene. Questo ci fornisce un limite di tempo. La nostra signora entra nella stanza e che fa? Si accosta allo scrittoio. Per quale motivo? Non per qualcosa contenuto nei cassetti. Se ci fosse stato qualcosa che poteva avere interesse a rubare, sicuramente sarebbe stato tenuto sotto chiave. No, doveva essere qualcosa che si trovava nell'armadietto. Perdinci! Cos'è questo graffio sul davanti? Regga il fiammifero, Watson. Perché non me ne ha parlato, Hopkins?» Il segno al quale si riferiva partiva dalla parte destra della serratura di metallo e si prolungava per circa quattro pollici, dove aveva graffiato la superficie verniciata. «L'avevo notato, signor Holmes, ma ci sono sempre dei graffi intorno a una serratura.» «Questo è recente - recentissimo. Vede come luccica il metallo nel punto in cui è stato graffiato. Un graffio vecchio avrebbe lo stesso colore sbiadito. Lo osservi con la mia lente. E poi la vernice, come il terreno dalle due parti di un solco. C'è la signora Marker?» Una donna anziana, dal viso triste, entrò nella stanza. «Lei ha spolverato questo armadietto, stamattina?» «Sì signore.» «Ha notato questo graffio?» «No, signore, non l'avevo visto.» «Ne sono certo, perché un piumino da spolvero avrebbe rimosso queste minuscole particelle di vernice. Chi ha la chiave dell'armadietto?»

«Il professore; la tiene appesa alla catena dell'orologio.» «È una chiave comune?» «No, signore, è una Chubby.» «Benissimo. Lei può andare, signora Marker. Ora stiamo facendo qualche progresso. La nostra signora entra nella stanza, va all'armadietto e lo apre, o cerca di aprirlo. Nel frattempo, entra il giovane Willoughby Smith. Nella fretta di tirar via la chiave, fa questo graffio sullo sportello. Lui la prende per un braccio e lei afferra il primo oggetto a portata di mano che, si dà il

caso, era il coltellino, e lo colpisce per fargli mollare la presa. La ferita è fatale. Lui cade e lei si dà alla fuga, con o senza quello che era venuta a cercare. C'è Susan, la domestica? È possibile che qualcuno sia passato da quella porta dopo che lei ha sentito il grido, Susan?» «No signore, impossibile. Prima ancora di scendere le scale, avrei visto qualcuno nel corridoio. E inoltre la porta non è stata aperta, altrimenti l'avrei sentita.» «E con questo escludiamo questa uscita. Sicuramente, la signora se n'è andata da dove è venuta. Se ho ben capito, quest'altro corridoio finisce nella stanza del professore? Quindi, non si può uscire da quella parte?» «Proprio così, signore.» «Adesso, scendiamo a fare la conoscenza del professore. Guardi, Hopkins! Questo è importante, importantissimo! Anche nel corridoio del professore c'è la guida di stuoia.» «E allora?» «Non vede nessun collegamento col caso? Bene, bene. Non insisto. Senza dubbio mi sbaglio. Eppure, mi sembra un dettaglio suggestivo. Mi accompagni e mi presenti.» Percorremmo il corridoio, che era più o meno della stessa lunghezza di quello che portava in giardino. Alla fine, una breve scala conduceva a una porta. La nostra guida bussò, poi ci fece entrare nella stanza da letto del professore. Era una camera molto ampia, piena di libri che non entravano nemmeno più negli scaffali alla parete ed erano ammonticchiati negli angoli o accumulati alla base delle librerie. Il letto era al centro della stanza. Nel letto, appoggiato a vari cuscini, c'era il padrone di casa. Raramente ho visto una persona più straordinaria. Volse verso di noi un viso scarno e aquilino, con occhi scuri e penetranti profondamente incassati sotto le sopracciglia cespugliose. Capelli e barba erano bianchi tranne che quest'ultima era stranamente macchiata di giallo intorno alla bocca. Fra quella massa di peli bianchi brillava la luce incandescente di una sigaretta e l'aria era ammorbata dall'odore di ta-

bacco stantio. Quando tese la mano a Holmes vidi che anche le dita erano macchiate di nicotina. «Lei fuma, signor Holmes?» disse parlando in un inglese raffinato, con uno strano accento un po' lezioso. «Prenda una sigaretta, prego. E lei, signore? Gliele raccomando; me le prepara appositamente Ionides, di Alessandria. Me ne manda mille alla volta e mi duole ammettere che devo fare il rifornimento ogni quindici giorni. Male, signore, molto male, ma un vecchio non ha molti piaceri nella vita. Il tabacco e il mio lavoro - ecco tutto quello che mi rimane.» Holmes aveva acceso una sigaretta, lanciando rapide occhiate in tutta la stanza. «Il tabacco e il mio lavoro, ma adesso solo il tabacco», esclamò il vecchio. «Ahimè! che interruzione fatale! Chi poteva prevedere una simile catastrofe? Un giovane così stimabile! Le assicuro che, dopo pochi mesi di pratica, era uno splendido assistente. Che ne pensa di questa storia, signor Holmes?» «Non mi sono ancora fatto un'opinione.» «Le sarò infinitamente grato se riuscirà a gettare un po' di luce su quelle che per noi sono tenebre fitte. Per un povero topo di biblioteca invalido, come me, è un colpo paralizzante. Mi sembra di non essere più capace di pensare. Ma lei è un uomo d'azione - un uomo d'iniziativa. Per lei, non è che parte della routine quotidiana. Può conservare il suo equilibrio in qualsiasi contingenza. Siamo veramente fortunati ad averla al nostro fianco.» Mentre il vecchio professore parlava, Holmes andava su e-giù in un lato della stanza. Vidi che fumava con straordinaria rapidità. Evidentemente condivideva l'apprezzamento del nostro anfitrione per le sigarette di Alessandria. «Sì, signore, un colpo schiacciante», proseguì il vecchio. «Su quel tavolinetto laggiù, quel mucchio di carte è il mio magnum

opus. La mia analisi dei documenti rinvenuti nei monasteri copti della Siria e dell'Egitto, un'opera che inciderà profondamente le radici della religione rivelata. Con la mia precaria salute non so se riuscirò mai a portarla a termine, ora che mi è stato tolto il mio assistente. Santo cielo, signor Holmes! Lei fuma ancora più rapidamente di me.» Holmes sorrise. «Sono un intenditore», disse prendendo un'altra sigaretta la quarta - dalla scatola e accendendola al mozzicone della precedente. «Non la disturberò con un lungo interrogatorio, professor Coram, dato che, se non sbaglio, lei era a letto al momento del delitto, e non poteva saperne niente. Vorrei chiederle solo

questo: cosa pensa che volesse dire quel povero giovane con quelle sue ultime parole: "Il professore - è stata lei".» L'anziano signore scosse il capo. «Susan è una contadinotta», rispose, «e lei conosce l'incredibile stupidità di quella classe di gente. Suppongo che quel povero diavolo abbia mormorato parole incoerenti, nel delirio, e lei le abbia distorte in questo messaggio senza senso.» «Capisco. Lei personalmente non ha una spiegazione per la tragedia?» «Forse un incidente, forse - e che rimanga fra noi - un suicidio. I giovani hanno i loro problemi nascosti - un affare di cuore, può darsi, di cui non siamo mai stati a conoscenza. Come supposizione, è più probabile dell'omicidio.» «Ma gli occhiali.» «Ah! Io sono solamente uno studioso - un sognatore. Non so spiegare le cose pratiche della vita. Comunque, amico mio, sappiamo bene quale strana forma possano prendere i pegni d'amore. Certo, prenda pure un'altra sigaretta. È un piacere trovare chi le apprezza come lei. Un ventaglio, un guanto, degli occhiali - chi può mai sapere quale oggetto possa costituire un pegno, o un prezioso ricordo, per un uomo che pone fine ai suoi giorni? Questo signore parla di impronte sull'erba ma, dopo tutto, è facile sbagliarsi su questo punto. In quanto al coltello, può essere benissimo stato gettato lontano dal povero giovane mentre cadeva. Forse, sto parlando come un bambino, ma a me sembra che Willoughby Smith si sia dato da sé la morte.» Holmes apparve colpito da una teoria del genere e continuò ad andare avanti e indietro, pensieroso, fumando una sigaretta dopo l'altra. «Mi dica, professor Coram», chiese alla fine, «cosa contiene quell'armadietto nello scrittoio?» «Niente che possa far gola a un ladro. Documenti di famiglia, lettere della mia povera moglie, attestati di università che hanno voluto onorarmi. Ecco la chiave. Guardi lei stesso.» Holmes prese la chiave e la osservò un istante, poi la restituì. «No, credo che non mi servirebbe», disse. «Preferirei andarmene tranquillamente in giardino a riflettere sull'intera faccenda. Non è da escludere la teoria del suicidio da lei avanzata. Le dobbiamo le nostre scuse per averla disturbata, professor Coram, e le assicuro che non la disturberemo più fino a dopo il pranzo. Torneremo da lei alle due per riferirle nel caso accadesse qualcosa in questo lasso di tempo.» Holmes era stranamente preoccupato, e camminammo su e giù per il giardino in silenzio.

«Ha un indizio?», gli domandai, infine. «Dipende da quelle sigarette che ho fumato», rispose. «Può darsi che sia completamente fuori strada. Le sigarette me lo dimostreranno.» «Mio caro Holmes», esclamai, «ma come diamine...» «Bene, bene, lo vedrà da sé, non c'è niente di male. Naturalmente, possiamo sempre ripiegare sull'indizio dell'oculista ma, se appena mi è possibile, prendo una scorciatoia. Ah, ecco quella brava donna della signora Marker! Godiamoci cinque minuti

di istruttiva conversazione con lei.» Ho già detto altre volte che Holmes, quando voleva, sfoderava modi particolarmente suadenti con le donne riuscendo in breve tempo a instaurare rapporti confidenziali. In due minuti e mezzo, aveva conquistato la simpatia della governante e chiacchierava con lei come se la conoscesse da anni. «Sì, è proprio come dice lei, signor Holmes. Fuma in una maniera incredibile. Tutto il giorno e a volte anche tutta la notte, signore. Certe mattine, la sua stanza... be', signore, si penserebbe di trovarsi proprio in mezzo alla nebbia londinese. Anche quel povero giovane, il signor Smith, fumava, ma non quanto il professore. La sua salute... be', pare che il fumo non gli faccia né bene né male.» «Ma toglie l'appetito!» disse Holmes. «Questo non saprei dirglielo, signore.» «Immagino che il professore mangi pochissimo?» «Dipende. Secondo i giorni, devo dire.» «Scommetto che questa mattina non ha fatto colazione e che, dopo tutte le sigarette che gli ho visto fumare, non avrà voglia di mangiare a pranzo.» «Be', in questo caso si sbaglia, signore, perché proprio questa mattina ha fatto una sostanziosa colazione. La migliore che abbia mai fatto; e per pranzo ha ordinato un bel piatto di cotolette. Ne sono rimasta sorpresa perché, da quando sono entrata ieri in quella stanza e ho visto il povero Smith steso lì, per terra, non sono riuscita a mandar giù un boccone. Be', il mondo è bello perché è vario, e il professore non ha perso l'appetito.» Trascorremmo la mattinata a gironzolare nel giardino. Stanley Hopkins era sceso al villaggio a controllare la voce secondo cui, il mattino precedente, dei bambini avevano visto una strana donna sulla Chatham Road. In quanto al mio amico, sembrava svuotato di ogni energia. Non lo avevo mai visto affrontare un caso con tanta svogliatezza. Anche le notizie riportate da Hopkins, cioè che aveva parlato con i bambini e che senza dubbio essi avevano visto una donna che corrispondeva perfettamente al-

la descrizione di Holmes, e che portava degli occhialini, o degli occhiali, non riuscirono a scuoterlo dalla sua apatia. Si fece più attento quando Susan, che ci serviva a tavola, ci disse spontaneamente che riteneva che il signor Smith fosse andato a fare una passeggiata la mattina precedente e che fosse rientrato solo mezz'ora prima della tragedia. Personalmente, non vedevo che importanza potesse avere la cosa ma mi resi conto che Holmes la stava collocando nel quadro generale che si era formato nella propria mente. Improvvisamente, si alzò di scatto dalla sedia e guardò l'orologio. «Le due, signori», disse. «Dobbiamo salire a mettere le carte in tavola col nostro amico professore.» Il vecchio aveva appena finito di pranzare e certo il piatto vuoto testimoniava il buon appetito di cui gli aveva fatto credito la governante. Era, in effetti, un personaggio misterioso quello che volse verso di noi la criniera candida e gli occhi ardenti. L'eterna sigaretta si consumava in un angolo della bocca. Lo avevano vestito e sedeva in una poltrona accanto al fuoco. «Bene, signor Holmes, ha già risolto il mistero?» Spinse verso di lui la grossa scatola di sigarette che stava su un tavolino accanto a lui. Holmes e il vecchio stesero contemporaneamente la mano e, urtandola, rovesciarono la scatola e il suo contenuto. Per un minuto o due ci mettemmo tutti carponi per recuperare le sigarette dagli angoli più impossibili. Quando ci rialzanmio, vidi che gli occhi di Holmes scintillavano e un leggero rossore gli coloriva le guance. Solo nei momenti cruciali avevo visto sventolare quelle insegne di guerra. «Sì», disse, «l'ho risolto.» Stanley Hopkins ed io lo guardammo sbalorditi. Qualcosa di simile a un sogghigno aleggiò sul volto scarno del professore. «Davvero! In giardino?» «No, qui.» «Qui! Quando?»

«In questo istante.» «Sicuramente lei sta scherzando, signor Holmes. Mi costringe a rammentarle che è una faccenda troppo seria per trattarla con tanta leggerezza.» «Ho forgiato e collaudato ogni anello della mia catena, professor Coram, e sono certo della loro solidità. Quali siano i suoi motivi, o quale ruolo lei abbia esattamente giocato in questo strano affare, non lo so ancora. Probabilmente, fra pochi minuti lo sentirò dalle sue stesse labbra. Frattanto, ricostruirò gli antecedenti, a suo beneficio, così lei saprà di quale informazione ho ancora bisogno. Ieri una signora è entrata nel suo studio. Venne con l'inten-

zione di impossessarsi di alcuni documenti custoditi nel suo scrittoio. Aveva la propria chiave. Ho avuto l'occasione di esaminare la sua, professore, senza trovare quella leggera scoloritura che il graffio fatto sulla vernice avrebbe prodotto. Lei quindi non era complice e, stando all'evidenza, la donna è venuta qui per derubarla a sua insaputa.» Il professore sbuffò una nuvola di fumo. «Molto interessante e istruttivo», commentò. «Ha altro da aggiungere? Senza dubbio, avendo rintracciato fin qui la signora saprà anche dirci che fine ha fatto.» «Ci proverò. In primo luogo, fu afferrata dal suo segretario e lo uccise per poter fuggire. Sono incline a considerare questa catastrofe come dovuta a uno sfortunato incidente perché sono convinto che la signora non aveva la minima intenzione di infliggere una ferita così grave. Un assassino non arriva disarmato. Terrorizzata per quello che aveva fatto, corse via dalla scena della tragedia. Sfortunatamente per lei, aveva perduto gli occhiali nella colluttazione e, dal momento che era estremamente miope, era davvero perduta senza di essi. Corse lungo un corridoio, pensando che fosse lo stesso dal quale era venuta - entrambi avevano una guida di stuoia - e solo troppo tardi si rese conto di avere imboccato il corridoio sbagliato e che le erano crollati i ponti alle spalle. Che fare? Non poteva tornare indietro. Non poteva rimanere dov'era. Doveva proseguire. Così fece. Salì una rampa di scale, aprì una porta, e si trovò nella sua stanza.» Il vecchio sedeva a bocca aperta, fissando sbigottito Holmes. Tutto il suo viso espressivo denotava stupore e paura. Poi, con uno sforzo, crollò le spalle scoppiando in una risata quanto mai forzata. «Tutto bellissimo, signor Holmes», disse. «Ma c'è una piccola pècca nella sua splendida teoria. Io stesso ero nella stanza e non ne sono uscito per tutto il giorno.» «Lo so perfettamente, professor Coram.» «Vorrebbe quindi dire che io ero sdraiato lì sul letto e non mi sarei accorto che una donna era entrata nella stanza?» «Non ho mai detto questo. Lei se ne è accorto. Le ha parlato. L'ha riconosciuta. L'ha aiutata a fuggire.» Il professore scoppiò di nuovo in una risata stridula. Si era alzato in piedi e gli occhi sembravano due tizzoni ardenti. «Lei è pazzo!», gridò. «Non sa quello che dice. Io l'ho aiutata a fuggire? Dov'è adesso?» «Lì», rispose Holmes indicando un'alta libreria nell'angolo della stanza.

Vidi il vecchio alzare le braccia al cielo, mentre una terribile convulsione gli sconvolgeva il viso arcigno, e poi ricadere sulla poltrona. Nello stesso istante, la libreria indicata da Holmes girò sui cardini e una donna si precipitò nella stanza. «Lei ha ragione», gridò in uno strano timbro straniero. «Ha ragione! Sono qui.» Era impolverata e coperta dalle ragnatele che erano negli angoli del suo nascondiglio. Il viso era striato di sudiciume e, anche nel migliore dei casi, non la si sarebbe mai potuta definire

avvenente, poiché presentava proprio quelle caratteristiche fisiche indovinate da Holmes e, in più, un mento lungo e ostinato. Un po' per la sua miopia e un po' per il brusco passaggio dal buio alla luce, rimase abbacinata, girando gli occhi per tentar di vedere chi e dove eravamo. Eppure, malgrado la bruttezza, c'era una certa nobiltà nel portamento di quella donna - una buona dose di coraggio nel mento risoluto e nel capo eretto, che incutevano rispetto e ammirazione. Stanley Hopkins le aveva posato una mano sul braccio dichiarandola sua prigioniera ma la donna lo scostò, con garbo ma anche con una straordinaria dignità cui non si poteva che obbedire. Il vecchio era abbandonato in poltrona, con i lineamenti contratti, osservandola con sguardo meditabondo. «Sì, signore, sono sua prigioniera», disse. «Da dove mi trovavo ho sentito tutto e so che ora conoscete la verità. Ne faccio piena confessione. Sono stata io a uccidere quel giovane. Ma lei ha ragione - lei che ha detto che si è trattato di un incidente. Non sapevo nemmeno che quello che tenevo in mano fosse un coltello dal momento che, nella mia disperazione, avevo afferrato il primo oggetto che mi era capitato sul tavolo e l'ho colpito perché mi lasciasse andare. Questa che vi dico è la verità.» «Signora», rispose Holmes, «sono certo che sia la verità. Ma temo che lei non si senta affatto bene.» Era diventata pallidissima, ancor più spettrale sotto gli sbaffi di polvere che le imbrattavano il viso. Si sedette sul bordo del letto; poi riprese a parlare. «Non mi resta molto tempo, qui, ma voglio che sappiate tutta la verità. Quest'uomo è mio marito. Non è inglese. È russo. Non vi dirò il suo nome.» Per la prima volta il vecchio si riscosse. «Dio ti benedica, Anna», esclamò. «Dio ti benedica! » La donna gli gettò un'occhiata di profondo disprezzo. «Perché ti aggrappi così tenacemente a quella tua disgraziata vita, Sergius?», gli chiese. «Hai arrecato male a molti e bene a nessuno - nemmeno a te stesso. Comunque, non spetta a me far sì

che venga reciso il fragile filo prima del tempo stabilito da Dio. Ho già abbastanza peso sul cuore da quando ho varcato la soglia di questa casa maledetta. Ma devo continuare, o sarà troppo tardi. Come vi ho detto, signori, sono la moglie di quest'uomo. Aveva cinquant'anni, ed io ero una sciocca ragazza di venti quando ci sposammo. Accadde in una città della Russia, una città universitaria - non dirò quale.» «Dio ti benedica, Anna», mormorò di nuovo il vecchio. «Eravamo riformatori - rivoluzionari - nichilisti, capisce. Lui, io, e tanti altri. Poi vennero i guai, un ufficiale di polizia fu ucciso, molti di noi arrestati e, per salvare la propria vita e guadagnarsi una grossa ricompensa, mio marito tradì sua moglie e i suoi camerati. Sì, fummo tutti arrestati per la sua delazione. Alcuni di noi finirono sul patibolo, altri in Siberia. Io fui tra questi, ma la mia condanna non era a vita. Mio marito venne in Inghilterra, con i suoi soldi mal guadagnati, e ha vissuto in pace da allora, pur sapendo che se la Confraternita avesse scoperto dove si trovava, non sarebbe passata una settimana prima che giustizia fosse fatta.» Il vecchio stese una mano tremante a prendere una sigaretta. «Sono nelle tue mani, Anna», disse. «Sei sempre stata buona con me.» «Ma non vi ho ancora detto a che punto di cattiveria è arrivato», continuò la donna. «Fra i nostri camerati dell'Ordine ce n'era uno che era il mio amico del cuore. Nobile, generoso, affettuoso - tutto quello che mio marito non era. Odiava la violenza. Eravamo tutti colpevoli - se di colpevolezza si può parlare - tranne lui. Scriveva sempre per dissuaderci dal seguire quella strada. Quelle lettere lo avrebbero salvato. Come l'avrebbe salvato il mio diario nel quale annotavo giorno per giorno i miei sentimenti verso di lui e il nostro mutamento di opinioni.

Mio marito trovò e conservò diario e lettere. Li nascose e fece di tutto per far condannare a morte quell'uomo. Non ci riuscì, ma Alexis venne condannato alla Siberia dove attualmente si trova, a lavorare in una miniera di sale. Pensaci, scellerato, pensaci! in questo preciso momento Alexis, un uomo che tu non sei nemmeno degno di nominare, lavora e vive come uno schiavo eppure io ho la tua vita nelle mie mani, e ti lascio andare.» «Sei sempre stata una donna di grande nobiltà, Anna», disse il vecchio tirando grandi boccate dalla sua sigaretta. La donna si era alzata, ma ricadde con un gemito di angoscia. «Debbo terminare la mia storia», disse. «Scontata la pena, mi dedicai al recupero del diario e delle lettere che, se inviati al go-

verno russo, avrebbero fatto sì che il mio amico fosse rimesso in libertà. Sapevo che mio marito era venuto in Inghilterra. Dopo mesi di ricerche, scoprii dove si trovava. Sapevo che aveva ancora il diario perché, mentre ero in Siberia, una volta ricevetti da lui una lettera nella quale mi rimproverava e ne citava alcuni brani. Conoscendo però la sua natura vendicativa, ero sicura che non me lo avrebbe mai restituito spontaneamente. Dovevo impadronirmene. A questo scopo, assunsi un investigatore privato che si introdusse in casa di mio marito come segretario - il tuo secondo segretario, Sergius, quello che se ne andò così in fretta. Egli scoprì che le carte erano in un armadietto e fece fare un calco della chiave. Si rifiutò di andare oltre. Mi diede una mappa della casa e mi disse che, nella tarda mattina lo studio era sempre vuoto perché il segretario lavorava di sopra. Così, alla fine, presi il coraggio a due mani e venni qui per prendermi da sola quelle carte; ma a quale prezzo! Me ne ero appena impadronita e stavo richiudendo a chiave l'armadietto quando quel giovanotto mi afferrò. Lo avevo già visto la mattina. Mi aveva incontrato per la strada e gli avevo chiesto dove abitasse il professor Coram, senza sapere che lavorava per lui.» «Esattamente! Esattamente!», esclamò Holmes. «Il segretario tornò a casa e informò il suo datore di lavoro dqll'incontro. Poi, mentre stava morendo, cercò di trasmettere un messaggio per dire che era stata lei - la donna di cui gli aveva parlato.» «Mi lasci continuare», disse Anna in tono imperioso e col viso contratto quasi in una smorfia di dolore. «Quando cadde, mi precipitai fuori dalla stanza, imboccai la porta sbagliata, e mi trovai nella stanza di mio marito. Parlò di denunciarmi. Gli dimostrai che, se lo avesse fatto, la sua vita era nelle mie mani. Se lui mi avesse consegnato alla legge, io lo avrei consegnato alla Confraternita. Non è che io amassi la mia vita, ma volevo compiere quanto mi ero prefissa. Sapeva che lo avrei fatto - che il suo destino dipendeva dal mio. Per quel motivo, per quello solo, mi nascose. Mi spinse in quel ripostiglio buio - un antico rifugio di cui lui solo conosceva l'esistenza. Prese i pasti in camera, così da dividerli con me. Restammo d'accordo che, quando la polizia se ne fosse andata, io ne sarei uscita furtivamente, di notte, e non sarei mai più tornata. Ma, in qualche modo, avete intuito i nostri piani.» Tirò fuori dalla scollatura un minuscolo pacchetto. «Queste sono le mie ultime parole», disse. «Ecco le lettere che salveranno Alexis. Le affido al vostro onore e al vostro senso di giustizia. Prendetele! Le consegnerete all'Ambasciata Russa. Ora, ho compiuto il mio dovere, e...»

«Fermatela!», gridò Holmes. Con un balzo aveva attraversato la stanza e le aveva strappato di mano una fialetta. «Troppo tardi! », disse la donna lasciandosi cadere sul letto. «Troppo tardi! Ho preso il veleno prima di uscire dal nascondiglio. Mi gira la testa! È la fine! Mi raccomando, signore, non dimentichi il pacchetto.» «Un caso semplice eppure, sotto certi aspetti, istruttivo», osservò Holmes mentre tornavamo a casa. «Fin dal principio, si

imperniava sul pince-nez. Se non fosse stato per la fortunata combinazione che Smith, morendo, lo aveva afferrato, non sono sicuro che saremmo mai arrivati a una soluzione. Dallo spessore delle lenti, avevo capito che la proprietaria doveva essere quasi cieca e inerme senza i suoi occhialini. Quando lei mi ha chiesto di credere che aveva camminato lungo una sottile striscia d'erba senza fare mai un passo falso le dissi, come ricorderà, che era un'impresa straordinaria. Dentro di me, la definii impossibile, tranne il caso, molto improbabile, che avesse un paio di occhialini di scorta. Dovevo quindi prendere in seria considerazione l'ipotesi che fosse rimasta all'interno della casa. Notando la somiglianza fra i due corridoi, era chiaro che poteva facilmente essersi sbagliata e, in quel caso, doveva per forza essere entrata nella camera del professore. Rimasi all'erta, quindi, per qualsiasi indizio che potesse avvalorare questa supposizione e esaminai attentamente la stanza alla ricerca di un qualche eventuale nascondiglio. Il tappeto appariva intatto e saldamente inchiodato al pavimento per cui esclusi l'idea di una botola. Poteva esserci una nicchia dietro i libri. Come lei sa, nascondigli del genere si trovano spesso nelle antiche biblioteche. Notai che i libri erano ammonticchiati per terra ovunque, tranne che davanti a un unico scaffale. Quindi, quella poteva essere la porta. Non c'erano tracce a guidarmi ma il tappeto era di colore grigiastro, che si prestava a un esame accurato. Fumai quindi una gran quantità di quelle eccellenti sigarette facendo cadere la cenere nel punto dove si trovava lo scaffale sospetto. Un trucco molto semplice, ma efficace. Poi, scesi al pianterreno e, davanti a lei, Watson, senza che lei afferrasse lo scopo delle mie osservazioni, constatai che il professor Coram consumava più cibo del solito - il che era logico se doveva nutrire anche un'altra persona. Poi, tornammo di sopra nella sua stanza e lì, rovesciando la scatola delle sigarette, riuscii a vedere da vicino il pavimento su cui la cenere mostrava delle impronte, segno che, durante la nostra assenza, la prigioniera era uscita dal suo nascondiglio. Bene, Hopkins, eccoci a Charing Cross; congratulazioni per avere fe-

licemente concluso il caso. Senza dubbio, adesso andrà alla sede centrale di polizia. Penso che lei ed io, Watson, ci recheremo all'Ambasciata Russa.» Next Page

L'avventura del giocatore scomparso A Baker Street eravamo più che avvezzi a ricevere telegrammi fantasiosi ma ne ricordo uno in particolare, che ci fu recapitato in una grigia mattina di febbraio di sette od otto anni fa, e che fece passare a Sherlock Holmes un difficile quarto d'ora. Il telegramma, indirizzato a lui, diceva: Pregola aspettarmi. Terribile sciagura. Tre-quarti ala destra scomparso, indispensabile domani. Overton

«Timbro postale dello Strand, spedito alle 10,36», commentò Holmes, leggendo e rileggendo lo strano messaggio. «Evidentemente, il signor Overton era fuori di sé quando l'ha mandato e, di conseguenza, non molto coerente. Bene, penso che, prima del suo arrivo, farò in tempo a dare un'occhiata al Times e a farmi un idea di cosa si tratta. Anche il problema più banale sarebbe benvenuto in questo periodo di fiacca.» Effettivamente, da un po' di tempo non succedeva nulla e avevo imparato a temere questi periodi di inattività; sapevo infatti, per esperienza, che la mente del mio amico era attiva in modo anormale ed era pericoloso lasciarla a corto di materiale su cui lavorare. Anno dopo anno, ero finalmente riuscito a far-

gli abbandonare quelle droghe che una volta avevano quasi rovinato la sua brillante carriera. Adesso, in condizioni normali, non sentiva più il bisogno di quello stimolo artificiale; però sa-pevo benissimo che il nemico non era morto, ma solo addormentato, di un sonno leggero, pronto a risvegliarsi nei periodi d'ozio, durante i quali scorgevo quell'espressione tesa sul viso ascetico di Holmes e quello sguardo tetro e meditabondo nei suoi occhi profondamente incassati e imperscrutabili. Bene dissi quindi, in cuor mio, quel signor Overton, chiunque egli fosse, il cui enigmatico messaggio era venuto a interrompere quella calma deleteria, più pericolosa, per il mio amico, di tutte le burrasche della sua tempestosa esistenza. Come prevedevamo, al telegramma fece presto seguito il mit-

tente e il biglietto da visita del signor Cyril Overton, Trinity College, Cambridge, annunciò l'arrivo di un giovanottone gigantesco, cento chili abbondanti di ossa e muscoli, che occupava tutto il vano della porta con le spalle e girava dall'uno all'altro di noi un volto avvenente ma teso per l'ansietà. «Il signor Sherlock Holmes?» Il mio amico s'inchinò. «Vengo da Scotland Yard, signor Holmes. Ho parlato con l'ispettore Stanley Hopkins il quale mi ha consigliato di rivolgermi a lei. Ha detto che il caso, a quanto poteva vedere, rientrava più nel suo campo che in quello della polizia.» «Si accomodi, prego, e mi dica di che si tratta.» «È terribile, signor Holmes - semplicemente terribile! Mi meraviglio che non mi siano venuti i capelli bianchi. Godfrey Staunton - ne ha sentito parlare, naturalmente? È il cardine su cui s `impernia tutta la formazione. Preferirei piuttosto levare due uomini dal pacchetto degli attaccanti, pur di avere Godfrey come tre-quarti nel mio schieramento. Che si tratti di passare, placcare o dribblare, non ce n'è uno che gli stia a paro, e inoltre ha la testa sulle spalle e tiene unita tutta la squadra. Che devo fare? È questo che le chiedo, signor Holmes. C'è Moorehouse, la prima riserva, ma è addestrato a giocare da mediano e si infila sempre nella mischia invece di restare al limite del campo. È un buon calcio piazzato, d'accordo, ma non sa valutare le situazioni e non ha scatto, nemmeno a pagarlo. Diamine, Morton o Johnson, i velocisti dell'Oxford, lo supererebbero. Stevenson è abbastanza veloce ma non sa segnare da solo, e un tre quarti che non sa né lanciare né marcare non vale la pena di tenerlo solo per l'andatura. No, signor Holmes, siamo spacciati a meno che lei non mi aiuti a ritrovare Godfrey Staunton.» Il mio amico aveva ascoltato divertito e sorpreso quella tirata violenta e tutta d'un fiato, sottolineata punto per punto dal pugno di una mano abbronzata sul ginocchio del nostro interlocutore. Quando tacque, Holmes allungò la mano e prese il volume con la lettera «S» della sua raccolta di ritagli. Ma, per una volta, frugò invano quella miniera di informazioni. «Qui c'è Arthur H. Staunton, il giovane falsario alle prime armi», disse, «anche Henry Staunton, che ho contribuito a far finire sulla forca, ma il nome di Godfrey Staunton mi è completamente nuovo.» Fu ora la volta del nostro ospite di stupirsi. «Ma come, signor Holmes, pensavo che lei si tenesse al corrente», disse. «Immagino quindi che, se non ha mai sentito par-

lare di Godfrey Staunton non ha nemmeno sentito parlare di Cyril Overton?» Holmes, divertito, scosse il capo. «Signore Iddio Benedetto!» esclamò l'atleta. «Ma come, ero prima riserva per l'Inghilterra contro il Galles, e sono stato capitano della squadra universitaria per tutto quest'anno. Ma questo non è niente! Credevo che in Inghilterra non esistesse anima viva che non avesse sentito parlare di Godfrey Staunton, il for-

midabile tre-quarti per Cambridge, Blackheath e per cinque squadre Internazionali. Santo cielo! Ma dove è vissuto finora signor Holmes?» Holmes scoppiò a ridere vedendo l'ingenuo sbalordimento di quel gigante. «Lei vive in un mondo diverso dal mio, signor Overton - un mondo più piacevole e più sano. La mia attività è ramificata in vari campi sociali ma mai, sono lieto di dirlo, nel campo dello sport dilettantistico che è la cosa migliore e più affidabile del paese. Comunque, la sua inaspettata visita di questa mattina mi dimostra che anche quel mondo, fatto di aria aperta e di lealtà sportiva, può aver bisogno della mia opera. Quindi, caro amico, la prego di sedersi e di raccontarmi con calma esattamente cosa è successo e in che modo vuole che io l'aiuti.» Il giovane Overton prese l'espressione annoiata di chi è più avvezzo a usare i muscoli che il cervello ma un po' per volta, sia pure con molte ripetizioni e molte incertezze che non starò qui a ripetere, ci raccontò la sua strana vicenda. «È andata così, signor Holmes. Come ho detto, sono il capitano della squadra dei Rigger di Cambridge, e Godfrey Staunton è il mio elemento migliore. Domani affrontiamo la squadra di Oxford. Ieri siamo arrivati tutti e abbiamo preso alloggio in un albergo privato, il Bentley. Alle dieci ho fatto il giro delle stanze e mi sono accertato che tutti i giocatori se ne fossero andati a letto, poiché sono convinto che allenamento e disciplina tengano in forma. Ho scambiato qualche parola con Godfrey prima che si coricasse. Mi sembrava pallido e preoccupato. Gli ho chiesto che avesse. Ha risposto che andava tutto bene - solo un po' di mal di testa. Gli ho augurato la buona notte e l'ho lasciato. Mezz'ora dopo, il portiere mi dice che un tipo piuttosto rozzo ha portato un biglietto per Godfrey. Era ancora sveglio e gli hanno portato il biglietto in camera. Godfrey l'ha letto ed è caduto di schianto sulla seggiola, come fulminato. Il portiere si è talmente spaventato che voleva venire a cercarmi, ma Godfrey glielo ha impedito; ha bevuto un sorso d'acqua e ha cercato di ricomporsi. Poi è sceso, ha detto qualcosa a quell'individuo che

aspettava all'ingresso, e sono andati via insieme. L'ultima volta che il portiere li ha visti stavano quasi correndo in direzione dello Strand. Questa mattina, la stanza di Godfrey era vuota, il letto intatto e tutto esattamente come l'avevo visto la sera prima. Se n'era andato senza avvisare, con quello sconosciuto e non ne ho saputo più niente. Non credo che tornerà. Godfrey era uno sportivo, sportivo fino al midollo, e non avrebbe interrotto l'allenamento o piantato in asso il capitano se non per motivi di forza maggiore. No: sento che se n'è andato per sempre e che non lo rivedremo più.» Holmes ascoltava con grande attenzione quello strano racconto. «Allora cosa ha fatto?», chiese. «Ho telegrafato a Cambridge per sapere se lì avevano notizie. Mi hanno risposto. Nessuno l'ha visto.» «Avrebbe potuto tornare a Cambridge?» «Sì, c'è un treno che parte tardi - alle undici e un quarto.» «Ma, per quanto lei ha potuto accertare, non l'ha preso?» «No, nessuno l'ha visto.» «Poi che ha fatto?» «Ho telegrafato a Lord Mount-James.» «Perché Lord Mount-James?» «Godfrey è orfano e Lord Mount-James è il suo parente più prossimo - suo zio, credo.» «Ah, davvero. Questo getta una nuova luce sulla vicenda. Lord Mount-James è uno degli uomini più ricchi d'Inghilterra.» «Così diceva Godfrey.» «E il suo amico era un parente stretto?» «Sì, era il suo erede, e il vecchio ha quasi ottant'anni - tormentato dalla gotta, per giunta. Dicono che ingessi la stecca da biliardo con le nocche. Non ha mai concesso a Godfrey uno scel-

lino in vita sua, perché è tirchio quanto mai, ma, alla fine, andrà tutto a lui.» «Ha avuto notizie da Lord Mount-James?» «No.» «Che motivo poteva avere il suo amico per andare da questo zio?» «Be', la sera prima era preoccupato per qualcosa e, se si trattava di soldi, è possibile che si sarebbe rivolto al suo parente più prossimo, che di soldi ne ha tanti, anche se, da quanto ho sentito, c'erano poche probabilità che sganciasse quattrini. Godfrey non era molto affezionato al vecchio. Si sarebbe rivolto a lui solo in casi estremi.» «Bene, questo lo scopriremo presto. Se il suo amico è andato

da Lord Mount-James rimane però da spiegare la visita di quel tale, a un'ora così tarda, e l'agitazione che quella visita gli ha procurato.» Cyril Overton si prese la testa fra le mani. «Non ci capisco niente», disse. «Bene, bene, ho un giorno libero e sarò felice di indagare in questa storia», disse Holmes. «Le suggerirei di prepararsi all'incontro senza far conto su quel bravo giovanotto. Come ha detto lei, deve esserci stato un motivo impellente per farlo sparire in questo modo ed è probabile che, per quello stesso motivo, sia trattenuto lontano. Andiamo insieme all'hotel e vediamo se il portiere può illuminarci.» Holmes era un maestro nell'arte di mettere a proprio agio un teste di umile ceto e ben presto, nell'intimità della stanza vuota di Godfrey Staunton, aveva tirato fuori di bocca al portiere tutto quello che sapeva. Il visitatore della notte prima non era un gentiluomo, e nemmeno un operaio. Era semplicemente quello che il portiere descrisse come «un tipo qualunque», un uomo sulla cinquantina, la barba brizzolata, il viso pallido, vestito sobriamente; e sembrava lui stesso agitato. Il portiere aveva notato che gli tremava la mano mentre porgeva il biglietto. Godfrey Staunton si era ficcato il biglietto in tasca. Non si erano stretti la mano, giù nella hall. Avevano scambiato poche frasi, di cui il portiere era riuscito a distinguere solo la parola «tempo». Poi erano usciti in fretta, come aveva detto. L'orologio della hall segnava le dieci e mezza. «Vediamo», disse Holmes sedendosi sul letto di Staunton. «Lei è il portiere di giorno, vero?» «Sì, stacco alle undici.» «Suppongo che il portiere di notte non abbia visto niente?» «No signore, solo un gruppo di persone che rientravano tardi dal teatro. Nessun altro.» «Ieri, lei è stato di turno tutto il pomeriggio?» «Sì signore.» «Ha recapitato qualche messaggio al signor Staunton?» «Sì signore, un telegramma.» «Ah! questo è interessante. A che ora?» «Verso le sei.» «Dove si trovava il signor Staunton quando glielo ha consegnato?» «In questa stanza.» «Lei era presente quando ha aperto il telegramma?» «Sì signore, ho aspettato per vedere se c'era risposta.» «E c'era?»

«Sì, signore, ha scritto una risposta.» «L'ha spedita lei?» «No, l'ha spedita lui stesso.» «Ma l'ha scritta in sua presenza.» «Sì, signore. Stavo accanto alla porta e lui era al tavolo, dandomi le spalle. Dopo averla scritta, ha detto: "Va bene, portiere, lo spedirò io stesso".» «Cosa ha usato per scrivere?»

«Una penna, signore.» «Il modulo per il telegramma era uno di questi sul tavolo?» «Sì, signore, quello in cima agli altri.» Holmes si alzò. Prese i moduli, si accostò alla finestra e esaminò con attenzione il primo. «Peccato che non abbia scritto a matita», osservò ributtandoli sul tavolo con una spallucciata di disappunto. «Come senza dubbio ha spesso notato, Watson, generalmente resta una traccia impressa sul foglio inferiore - un fatto che ha mandato all'aria molti matrimoni felici. Ma qui, non ci sono tracce. Mi rallegro, comunque, nel vedere che ha usato una penna d'oca col pennino largo e non dubito che troveremo qualche traccia su questa carta assorbente. Ah, eccola qui!» Strappò una striscia di carta assorbente, mostrandoci il seguente geroglifico:

Cyril Overton era eccitatissimo. «Lo volti verso lo specchio! », esclamò. «Non occorre», rispose Holmes. «È carta sottile e il messaggio si legge sul retro. Eccolo.» Girò la striscia e leggemmo:

«Questa dunque è la fine del telegramma che Godfrey Staun-

ton ha spedito poche ore prima di sparire. Mancano almeno sei parole del messaggio; ma quello che resta - "Per amor di Dio non ci abbandoni" - dimostra che il giovanotto ha visto che un tremendo pericolo incombeva su di lui - pericolo da cui qualcun altro poteva proteggerlo. "Noi", badi bene! Quindi era coinvolta una terza persona. E chi poteva essere se non l'uomo pallido e barbuto, che sembrava egli stesso così nervoso? E allora, quale collegamento esiste fra Godfrey Staunton e l'uomo con la barba? E chi è la terza persona da cui ciascuno di loro cercava aiuto contro un pericolo imminente? La nostra indagine, intanto, si è ristretta a questo.» «Basta scoprire a chi è indirizzato il telegramma», suggerii. «Esattamente, caro Watson. La sua riflessione, benché profonda, mi era già passata per la mente. Ma oso supporre che lei abbia anche pensato al fatto che, se lei entra in un ufficio postale e chiede di vedere la copia di un messaggio spedito da altri, forse i funzionari potrebbero mostrare una certa riluttanza ad accontentarla. In ogni caso, senza dubbio ci si può riuscire con un po' di diplomazia e delicatezza. Frattanto, signor Overton, vorrei dare un'occhiata, in sua presenza, a quelle carte rimaste sul tavolo.» Si trattava di lettere, conti e appunti che Holmes esaminò da ogni parte con dita rapide e nervose e sguardo penetrante. «Niente», disse alla fine. «A proposito, immagino che il suo amico fosse un giovanotto sano e robusto - non aveva malattie?» «Sano come un pesce.» «Le risulta che sia mai stato male?» «Nemmeno un giorno. Solo una volta è stato a letto per un

calcio in uno stinco, e un'altra volta è scivolato e si è fatto male a una rotula, ma era roba da niente.» «Forse, non era così robusto come lei crede. Forse, poteva soffrire di qualche disturbo segreto. Col suo permesso, mi metterò in tasca un paio di queste carte, in caso dovessero servirci per le indagini.» «Un momento - un momento!», gridò una voce querula e, alzando gli occhi, vedemmo un bizzarro ometto che faceva strani contorcimenti sulla soglia. Indossava un logoro vestito nero, un cappello a tesa molto ampia e una cravatta bianca a fiocco nell'insieme, sembrava un parroco di campagna o una comparsa vestita da imprenditore delle pompe funebri. Eppure, malgrado l'apparenza trasandata e perfino ridicola, la sua voce aveva un certo tono di comando e i suoi modi una certa determinazione che imponevano attenzione.

«Lei chi è, signore, e con quale diritto fruga fra le carte di questo gentiluomo?», chiese. «Sono un investigatore privato, e sto cercando di spiegare la sua scomparsa.» «Ah, è così, vero? E chi le ha chiesto di farlo?» «Questo signore, l'amico del signor Staunton, è stato mandato da me da Scotland Yard.» «E lei chi è?» «Sono Cyril Overton.» «Allora è lei che mi ha mandato il telegramma. Sono Lord Mount-James. Sono venuto con tutta la rapidità permessa dall'autobus di Bayswater. Così, lei ha chiesto l'intervento di un investigatore?» «Sì signore.» «E lo paga di tasca sua.» «Sono sicuro, signore, che il mio amico Godfrey, quando lo troveremo, non avrà difficoltà a pagarlo.» «Ma se invece non lo trovate, eh? Risponda a questo!» «In quel caso, certo la sua famiglia... » «Niente affatto, caro signore!», squittì l'ometto. «Non venga a cercar soldi da me - nemmeno un centesimo! Ha capito, signor detective? Sono io tutta la famiglia di quel ragazzo, e le garantisco che non pagherò una lira. Se lui ha qualche prospettiva futura è proprio perché non ho mai sperperato il denaro e non intendo cominciare a farlo adesso. In quanto a quelle carte, di cui lei si sta appropriando con tanta disinvoltura, si ricordi che, nel caso ci sia fra esse qualcosa di valore, la riterrò personalmente responsabile dell'uso che ne farà.» «Benissimo, signore», rispose Holmes. «Frattanto, posso chiederle se lei personalmente ha qualche idea circa la scomparsa del giovane?» «No, non ne ho. È grande e grosso abbastanza da badare a se stesso, e se è tanto stupido da perdersi, rifiuto assolutamente di prendermi la responsabilità di dargli la caccia.» «Capisco perfettamente la sua posizione», disse Holmes con un lampo d'ironia negli occhi. «Forse, lei non capisce bene la mia. Sembra che Godfrey Staunton non abbia un soldo. Se è stato rapito, certo non è stato per i suoi possedimenti. La fama delle sue ricchezze si è sparsa, Lord Mount-James, ed è possibilissimo che una banda di ladri abbia sequestrato suo nipote per ottenere da lui informazioni circa la sua casa, le sue abitudini, e i suoi soldi.» L'antipatico vecchietto diventò bianco come un panno lavato.

«Santo cielo, signore, che idea! Non avrei mai pensato a una malvagità del genere! Che disumane canaglie ci sono al mondo! Ma Godfrey è un bravo ragazzo - un ragazzo di carattere. Non tradirebbe il suo vecchio zio per nessun motivo. Questa sera stessa, manderò in banca l'argenteria. Nel frattempo, si dia da fare, signor detective! Non lasci nulla di intentato, la prego, per

riportarlo indietro sano e salvo. In quanto al denaro, be', se si tratta di cinque o dieci sterline, può sempre rivolgersi a me.» Anche dopo aver ventilato questi buoni propositi, quell'avaro blasonato non fu in grado di fornirci alcuna indicazione utile, perché sapeva ben poco della vita privata del nipote. L'unico indizio che avevamo erano quelle ultime parole del telegramma e, armato di una copia, Holmes se ne andò a cercare un secondo anello per la sua catena. Ci eravamo levati di torno Lord Mount-James e Overton era andato a consultarsi con gli altri componenti della sua squadra in merito alla calamità che si era abbattuta su tutti loro. A poca distanza dall'albergo, c'era un ufficio postale. Ci fermammo all'ingresso. «Vale la pena di provare, Watson», disse Holmes. «Certo, se avessimo un mandato, potremmo chiedere di vedere le copie, ma ancora non siamo a quel punto. Non credo che in un posto così affollato ricordino le facce. Comunque, proviamoci.» «Mi scusi se la disturbo», disse con i suoi modi più cerimoniosi alla giovane impiegata dietro lo sportello; «c'è stato un piccolo errore in un telegramma che ho spedito ieri. Non ho ricevuto risposta e temo proprio di aver dimenticato di firmarlo. Potrebbe controllare se è proprio così?» La ragazza sfogliò un pacco di copie. «Che ora era?», domandò. «Poco dopo le sei.» «A chi era diretto?» Holmes si mise un dito sulle labbra lanciandomi un'occhiata. «Le ultime parole erano "per amor di Dio"», sussurrò in tono confidenziale. «Sono molto in ansia per non aver avuto risposta.» La ragazza estrasse uno dei moduli. «Eccolo. Non c'è la firma», disse lisciandolo con la mano, sul banco. «Ecco perché non ho avuto risposta», esclamò Holmes. «Santo cielo, sono stato proprio sciocco! Buon giorno, signorina, e grazie per avermi tolto un peso dalla mente.» Quando ci ritrovammo per la strada, ridacchiò fregandosi le mani. «Bene?», chiesi.

«Stiamo facendo progressi, caro Watson, stiamo facendo progressi. Avevo sei piani diversi per poter dare un'occhiata a quel telegramma, ma non potevo davvero sperare di riuscirci al primo colpo.» «E cosa ne ha ricavato?» «Un punto di partenza per la nostra indagine.» Fece cenno a una carrozza. «Alla stazione di King's Cross», ordinò. «Mi dica», gli chiesi mentre percorrevamo rumorosamente la Gray's Inn Road, «ha già qualche sospetto circa la scomparsa? Fra tutti i nostri casi, non ne ricordo uno i cui motivi siano più oscuri. Non penserà davvero che sia stato rapito per dare informazioni sullo zio danaroso?» «Confesso, amico mio, che non la ritengo una spiegazione molto probabile. Ho pensato, però, che fosse la più idonea a suscitare l'interesse di quello spiacevolissimo vecchio.» «E ha avuto ragione in pieno; ma quali sono le sue alternative?» «Ne potrei citare molte. Deve ammettere che è strano ed emblematico che questo incidente si sia verificato proprio alla vigilia di un incontro importante e che coinvolga l'unico giocatore la cui presenza sembra fondamentale per il successo della sua squadra. Certo, può essere una coincidenza, ma è interessante. L'agonismo non professionale non contempla le scommesse, ma fuori dal campo ci sono sempre scommesse fra il pubblico e non è da escludere che qualcuno abbia interesse a silurare un giocatore, proprio come quelle canaglie di allibratori hanno interesse a silurare un cavallo da corsa. Questa potrebbe essere una spiegazione. Una seconda, molto ovvia, è che questo ragazzo sia effettivamente l'erede di una fortuna, anche se attualmen-

te i suoi mezzi sono molto modesti, e quindi potrebbero aver pensato di rapirlo per chiedere un riscatto.» «Tutte teorie che non hanno niente a che fare col telegramma.» «Verissimo, Watson. Il telegramma rimane l'unica cosa tangibile che abbiamo per le mani e non possiamo permetterci di ignorarlo. È proprio per fare luce su questo telegramma che ci stiamo recando a Cambridge. Il percorso delle nostre indagini per il momento è oscuro, ma sarei molto sorpreso se, prima di sera, non l'avessimo chiarito o, quanto meno, non avessimo fatto grandi progressi.» Era già buio quando raggiungemmo l'antica città universitaria. Alla stazione, Holmes prese una carrozza ordinando al cocchiere di condurci a casa del dottor Leslie Armstrong. Pochi minuti dopo, ci trovammo davanti a un vasto edificio, in una delle

strade più affollate. Ci fecero entrare e, dopo una lunga attesa, fummo finalmente ammessi nel consultorio dove trovammo il dottore seduto alla scrivania. Per dire fino a che punto io avessi perso i contatti con la mia professione, basti dire che non avevo mai sentito parlare del dottor Leslie Armstrong. Adesso so che egli è non solamente il direttore della facoltà di medicina dell'università ma uno scienziato di fama europea in vari campi della scienza. Però, anche senza conoscere il suo brillante curriculum, non si poteva non rimanere impressionati solo guardandolo, con quel suo viso quadrato e massiccio, gli occhi pensosi sotto le folte sopracciglia, e la mascella decisa, come tagliata nel marmo. Un uomo indecifrabile, con una mente sveglia, severo, ascetico, riservato, formidabile - questa fu l'impressione che ebbi del dottor Armstrong. Teneva in mano il biglietto da visita del mio amico e alzò gli occhi con un'espressione seccata sulla faccia arcigna. «Ho sentito parlare di lei, signor Sherlock Holmes, e so quale è la sua professione - professione che decisamente non approvo.» «In quanto a questo, dottore, lei si trova d'accordo con tutti i criminali del paese», rispose pacatamente il mio amico. «Nella misura in cui le sue energie sono dirette alla soppressione della criminalità, signore, esse meritano l'appoggio di ogni ragionevole membro della comunità, anche se sono sicuro che l'ingranaggio ufficiale sia più che sufficiente allo scopo. Dove la sua professione è più meritevole di critica è nel suo scavare nei segreti delle persone, nello sciorinare questioni di famiglia che meglio sarebbe tenere nascoste, e nel suo occasionale sprecare il tempo di chi è molto più occupato di lei. In questo momento, per esempio, dovrei star scrivendo un trattato anziché conversare con lei.» «Senza dubbio, dottore; ma la conversazione potrebbe rivelarsi più importante del trattato. Tra parentesi, posso assicurarle che stiamo facendo esattamente l'opposto di quanto lei giustamente deplora: stiamo, cioè, cercando di impedire quello sbandieramento di faccende private e personali che inevitabilmente si verifica quando un caso è nelle mani della polizia ufficiale. Può considerarmi semplicemente un pioniere che precede in avanscoperta le regolari forze di polizia nazionali. Sono venuto a chiederle del signor Godfrey Staunton.» «Chiedere cosa?» «Lei lo conosce, vero?» «È un mio intimo amico.» «Lei è al corrente del fatto che è scomparso?»

«Ah, davvero!», i lineamenti marcati del medico non mutarono espressione. «Ha lasciato ieri sera il suo albergo - e non se ne è più saputo niente.» «Sicuramente ritornerà.» «Domani c'è l'incontro di rugby dell'università.»

«Non mi attirano questi giochi puerili. Mi interessa molto la sorte di quel giovane, dato che lo conosco e mi è simpatico. Gli incontri di rugby non rientrano nel mio orizzonte.» «Allora, farò appello alla sua simpatia, nelle mie indagini circa la sorte del signor Staunton. Lei sa dove si trova?» «No, certamente.» «Non lo ha visto da ieri?» «No, non l'ho visto.» «Il signor Staunton godeva di buona salute?» «Ottima.» «Ha mai saputo che fosse ammalato?» «Mai.» Holmes tirò fuori come un prestigiatore un foglietto di carta mettendolo sotto gli occhi del medico. «Allora forse vorrà spiegarmi questa fattura saldata per tredici ghinee, pagate il mese scorso da Godfrey Staunton al dottor Leslie Armstrong, di Cambridge. L'ho trovata fra le carte sulla sua scrivama.» Il dottore arrossì di collera. «Non vedo il minimo motivo per cui io debba dare una spiegazione a lei, signor Holmes.» Holmes ripose il foglietto. «Se lei preferisce una spiegazione pubblica, presto o tardi ci sarà», rispose. «Le ho già detto che io posso mettere a tacere ciò che altri dovrebbero necessariamente pubblicare, e che sarebbe veramente saggio da parte sua confidarsi apertamente con me.» «Non ne so niente.» «Ha avuto notizie dal signor Staunton qui a Londra?» «No certamente.» «Santa pace! - ci risiamo con l'ufficio postale!», sospirò stancamente Holmes. «Un telegramma urgentissimo le è stato spedito, da Londra, dal signor Godfrey Staunton alle sei e quindici di ieri sera - un telegramma indubbiamente associato alla sua scomparsa - eppure lei afferma di non averlo ricevuto. Davvero deplorevole. Andrò senz'altro all'ufficio postale a sporgere reclamo.» Il dottor Armstrong saltò in piedi, dietro la sua scrivania, col volto scarlatto per l'ira. «Sono costretto a invitarla ad andarsene, signore», disse.

«Può comunicare al suo datore di lavoro, Lord Mount-James, che non intendo aver nulla a che fare con lui o con i suoi tirapiedi. No, signore - basta così!» Suonò infuriato il campanello. «John, accompagni i signori alla porta!» Un pomposo maggiordomo ci scortò con aria severa alla porta e ci ritrovammo in strada. Holmes scoppiò a ridere. «Il dottor Armstrong è certo un uomo energico e di carattere», commentò. «Non ho mai visto una persona che, se volesse dedicarcisi, sarebbe più di lui adatto a colmare il vuoto lasciato dall'illustre professor Moriarty. E adesso eccoci qui, povero Watson, reietti e senza amici in questa città inospitale, che non possiamo lasciare senza abbandonare il nostro caso. Quella piccola locanda proprio dirimpetto all'abitazione di Armstrong fa al caso nostro. Se gentilmente vuole prenotare una stanza sul davanti e acquistare quanto ci serve per la notte, avrò tempo di svolgere qualche indagine.» La «qualche indagine», però, si rivelò una faccenda più lunga del previsto ed erano quasi le nove quando Holmes tornò alla locanda. Pallido e demoralizzato, sporco di polvere ed esausto per la fame e la stanchezza. Sulla tavola era pronta una cena fredda e, una volta sazio e con la pipa accesa, era pronto a vedere le cose con quel pizzico di ironia e quel tanto di filosofia che gli erano proprie quando le cose andavano storte. Il rumore delle ruote di una carrozza lo spinsero ad alzarsi e a guardare fuori dalla finestra. Sotto la luce del lampione a gas, un calessino tirato da una coppia di cavalli era fermo davanti alla porta del dottore. «È stato fuori per tre ore», disse Holmes; «è uscito alle sei e mezza, ed eccolo di ritorno. Questo ci dà un raggio di dieci o dodici miglia; e lo fa tutti i giorni, una volta o anche due.»

«Non è insolito per un medico che esercita.» «Ma Armstrong non lo è. È un docente e un consulente, ma non si dedica alla pratica professionale che lo distoglierebbe dal suo lavoro letterario. Perché, allora, fa questi lunghi spostamenti, che devono essergli estremamente scomodi e sgraditi, e chi va a visitare?» «Il cocchiere...» «Mio caro Watson, crede proprio che non sia la prima persona alla quale mi sono rivolto? Non so se è dipeso da un caratteraccio congenito o dagli ordini del suo padrone, ma è stato tanto villano da aizzarmi contro il cane. Né a lui né all'animale, però, andava molto a genio il mio bastone e la cosa è finita lì. Dopo di che, i nostri rapporti sono rimasti un po' tesi e non era proprio il caso di fargli altre domande. Quel poco che sono venuto a sapere l'ho appreso da un tizio qui del posto, abbastanza cordiale,

qui nel cortile della locanda. È stato lui a parlarmi delle abitudini del dottore e dei suoi quotidiani spostamenti. E proprio in quel momento, ad avvalorare le sue parole, è arrivata la carrozza.» «Non poteva seguirla?» «Eccellente, Watson! Questa sera lei davvero fa faville. Mi era venuta l'idea. Come avrà notato, accanto alla nostra locanda c'è un negozio di biciclette. Mi sono precipitato a noleggiarne una e sono riuscito a muovermi prima che la carrozza scomparisse del tutto. L'ho raggiunta e poi, tenendomi prudentemente a un centinaio di metri di distanza, ne ho seguito le luci fino a che ci siamo lasciati la cittadina alle spalle. Stavamo già da un po' percorrendo la strada provinciale quando si verificò un incidente piuttosto umiliante. La carrozza si fermò, il dottore scese tornando rapidamente indietro fino al punto dove mi ero fermato anche io e, con pesante sarcasmo, si scusò perché la strada era molto stretta, augurandosi che la sua carrozza non ostacolasse il passaggio della mia bicicletta. Non avrebbe potuto esprimersi meglio. Naturalmente, superai subito la carrozza e, tenendomi sulla strada principale, procedetti per qualche miglio prima dì fermarmi in un punto adatto da dove avrei potuto veder passare la carrozza. Ma non se ne vedeva traccia; era quindi evidente che aveva svoltato per una delle tante stradine laterali che avevo notato. Sono tornato indietro ma ancora niente carrozza e adesso, come vede, è tornata dopo di me. Naturalmente, al principio non avevo alcun motivo particolare per collegare questi viaggi alla scomparsa di Godfrey Staunton e volevo vederci chiaro unicamente perché, al momento, ci interessa tutto quanto concerne il dottor Armstrong; ma adesso che ho scoperto come stia sul chi vive per chiunque possa seguirlo in questi suoi spostamenti, la cosa assume maggiore importanza e non mi fermerò fino a quando non avrò scoperto di che si tratta.» «Possiamo seguirlo domani.» «Dice? Non è così facile come crede. Lei non è pratico del paesaggio del Cambridgeshire, vero? Non offre nascondigli. Tutta la campagna che ho attraversato questa notte è piana e nuda come il palmo della mano, e l'uomo che stiamo seguendo non è un cretino, come ha ampiamente dimostrato questa sera. Ho telegrafato a Overton pregandolo di informarci di eventuali nuovi sviluppi a Londra scrivendoci a questo indirizzo; nel frattempo, possiamo solo concentrare la nostra attenzione sul dottor Armstrong, il cui nome, grazie alla gentile impiegata dell'ufficio postale, sono riuscito a leggere sulla copia del messaggio urgente spedito da Staunton. Lui sa dov'è quel ragazzo - sono

pronto a giurarlo - e se lo sa, allora è colpa nostra se non riusciamo a saperlo anche noi. Per il momento, dobbiamo riconoscere che le carte buone le ha in mano lui ma, come lei ben sa, Watson, non ho l'abitudine di lasciare il tavolo quando perdo.» Ma il giorno seguente non ci portò più vicini alla soluzione del mistero. Dopo colazione, ci fu consegnato un messaggio che

Holmes mi passò con un sorriso. Signore [diceva], Le assicuro che, seguendo passo per passo i miei movimenti, lei sta sprecando tempo. Come ha scoperto ieri sera, la mia carrozza ha un finestrino posteriore e se lei ha voglia di farsi una corsa di venti miglia che la riporterà al punto di partenza, non ha che da seguirmi. Frattanto, posso dirle che il tenere d'occhio me non gioverà in alcun modo al signor Godfrey Staunton, e sono convinto che il miglior servigio che lei possa rendere al gentiluomo in questione sia quello di tornarsene a Londra e comunicare al suo datore di lavoro che non è riuscito a rintracciarlo. La sua permanenza a Cambridge non sarà che una perdita di tempo. Distinti saluti Leslie Armstrong

«Il nostro dottore è un antagonista schietto e onesto», disse Holmes. «Bene, bene, mi ha incuriosito e devo assolutamente scoprire qualcosa prima di lasciarlo.» «La sua carrozza è alla porta in questo momento», dissi. «Sta salendo. Ho visto che lanciava un'occhiata alla nostra finestra. E se ci provassi io, con la bicicletta?» «No, no, caro Watson! Con tutto il rispetto per il suo acume, non credo proprio che lei la spunterebbe con l'emerito dottore. Ritengo, invece, che forse potrei raggiungere il nostro scopo dando un'occhiata in giro per conto mio. Temo di doverla lasciare per un po', dato che la comparsa di due stranieri che indagano in una sonnacchiosa zona rurale potrebbe suscitare chiacchiere di cui faccio volentieri a meno. Sicuramente, lei troverà qualche panorama da ammirare in questa venerabile cittadina, e io spero di tornare con notizie più favorevoli prima di sera.» Ma ancora una volta era destino che il mio amico restasse deluso. Tornò la sera tardi, stanco e a mani vuote. «Non ho concluso proprio niente, Watson. Dopo essermi diplomaticamente informato sui percorsi usuali del dottore, ho trascorso la giornata a visitare tutti i villaggi da quella parte di Cambridge, confrontando le mie informazioni con quelle che mi fornivano osti e gazzettini locali. Ho perlustrato varie zone. Chesterton, Histon, Waterbeach e Oakington - senza cavare

un ragno dal buco. Se una carrozza tirata da una pariglia fosse apparsa tutti i giorni, la cosa non sarebbe certo passata inosservata in quei paesini addormentati. Ancora una volta il dottore ha avuto partita vinta. C'è un telegramma per me?» «Sì, l'ho aperto. Eccolo: Chieda di Pompey, da parte di Jeremy Dixon, Trinity College.

Non capisco che vuol dire.» «Oh, è chiaro. Viene dal nostro amico Overton, in risposta a una mia domanda. Manderò un biglietto al signor Jeremy Dixon e vedrà che avremo miglior fortuna. A proposito, ci sono notizie dell'incontro?» «Sì, il giornale locale ne riporta un ampio resoconto nell'ultima edizione della sera. Oxford ha vinto per un goal e due mete. L'ultima frase della cronaca dice: La sconfitta dei Light Blues può addebitarsi unicamente alla sfortunata assenza del fuoriclasse internazionale Godfrey Staunton, di cui si è avvertita la mancanza in ogni momento dell'incontro. La mancanza di coordinazione nello schieramento tre-quarti e la loro debolezza sia in attacco che indifesa, hanno più che neutralizzato gli sforzi di una formazione compatta e agguerrita.»

«Dunque, i timori del nostro amico Overton erano fondati», disse Holmes. «Personalmente, sono d'accordo col dottor Armstrong - il rugby non rientra nei miei orizzonti. A letto presto, questa sera, Watson; prevedo che domani sarà una giornata ricca di eventi.» Appena vidi Holmes la mattina seguente rimasi inorridito; stava seduto accanto al fuoco tenendo in mano la sua siringa ipodermica, strumento che associavo con l'unica sua debolezza;

vedendogliela brillare in mano pensai subito al peggio. Ma Holmes rise alla mia espressione sgomenta e la posò sul tavolo. «No, no, caro amico, non c'è motivo di allarmarsi. In questo caso, non è uno strumento di male ma, anzi, sarà la chiave che ci aprirà la porta del mistero. Su questa siringa ripongo tutte le mie speranze. Sono appena rientrato da un piccolo giro di ricognizione e tutto procede bene. Faccia una colazione abbondante, Watson, perché oggi mi propongo di mettermi sulle tracce del dottor Armstrong dopo di che non intendo mollarlo a nessun costo, né per stanchezza né per fame.» «In questo caso», suggerii, «faremmo meglio a portarci appresso la colazione, perché è mattiniero. La sua carrozza è alla porta.»

«Non si preoccupi. Lasci pure che vada. Sarà davvero scaltro se riuscirà a recarsi dove non posso seguirlo. Quando ha terminato, scenda giù con me e le presenterò un detective che è un eminente specialista nel lavoro che ci aspetta.» Quando scendemmo, seguii Holmes nel cortile delle scuderie dove aprì la porta di una posta facendone uscire un cane bianco e marrone, tozzo, con le orecchie pendenti, una via di mezzo fra un cane da lepre e un bracco. «Le presento Pompey», disse. «Pompey è il vanto dei segugi locali - non molto veloce, come si vede dalla struttura, ma una volta trovata una pista non la molla. Bene, Pompey, non sarai un fulmine, ma temo che sarai sempre troppo veloce per un paio di signori londinesi di mezz'età, quindi mi permetterò di agganciarti questo guinzaglio al collare. Adesso, ragazzo mio, andiamo e fai vedere di che sei capace.» Lo condusse alla porta del dottore. Il cane annusò intorno per un istante poi, con un acuto guaito di eccitazione, partì di corsa verso la strada, tirando il guinzaglio per andare più in fretta. In mezz'ora, ci eravamo lasciati alle spalle la cittadina e stavamo percorrendo a passo rapido una strada di campagna. «Cosa ha combinato, Holmes», chiesi. «Un trucco vecchio e stravecchio, ma a volte utile. Questa mattina sono entrato nel cortile del dottore e ho spruzzato il contenuto della siringa, che avevo riempito di anisetta, sulla ruota posteriore. Un segugio segue l'odore di anice fino in capo al mondo e il nostro amico Armstrong dovrebbe attraversare il Cam prima di far perdere le sue tracce a Pompey. Guarda che ingegnosa canaglia! Ecco come mi ha seminato l'altra sera.» Il cane aveva improvvisamente deviato dalla strada principale, infilandosi in un viottolo erboso che, mezzo miglio più in là, sboccava di nuovo su un'altra strada maestra e la pista girava bruscamente a destra, in direzione della cittadina che avevamo appena lasciato. La strada faceva poi una curva verso il sud e proseguiva nella direzione opposta a quella da dove eravamo partiti. «Dunque questo détour è stato solo per nostro uso e consumo?», disse Holmes. «Credo bene che le mie indagini fra gli abitanti di quei villaggi non hanno portato a niente. Il dottore ce l'ha davvero messa tutta, e mi piacerebbe sapere il motivo di un inganno così complicato. Questo alla nostra destra dovrebbe essere il villaggio di Trumpington. E, per Giove! ecco la carrozza che gira l'angolo. Svelto, Watson - svelto, o siamo fritti!» Attraverso un cancello saltò in un campo trascinandosi dietro il riluttante Pompey. Ci eravamo appena riparati sotto la siepe

quando la carrozza ci passò davanti. All'interno, scorsi per un secondo il dottor Armstrong, con le spalle curve, la testa fra le mani, l'immagine stessa del dolore. «Credo che la nostra caccia avrà un finale tragico», disse. «Lo sapremo molto presto. Vieni, Pompey! Ah, è il cottage nel campo!» Senza il minimo dubbio, eravamo arrivati alla fine del viaggio. Pompey correva avanti e indietro, uggiolando, fuori dal

cancello dove ancora si vedevano le impronte delle ruote. Un sentiero conduceva al cottage solitario. Holmes legò il cane alla siepe e avanzammo rapidamente. Il mio amico bussò e ribussò alla porticina rustica, ma nessuno rispose. Eppure il cottage non era deserto perché un suono tenue ci giungeva alle orecchie una specie di mugolio di dolore e di disperazione, terribilmente triste. Holmes si fermò indeciso, poi si volse a guardare la strada che avevamo appena percorso. Ne stava arrivando una carrozza e quei cavalli grigi erano inconfondibili. «Perbacco, il dottore sta tornando indietro!», gridò Holmes. «Questo risolve la questione. Dobbiamo assolutamente vedere di che si tratta, prima del suo arrivo.» Aprì la porta ed entrammo nell'ingresso. Quel suono uggiolante si fece più forte fino a trasformarsi in un lungo, straziante gemito di disperazione. Proveniva dal piano superiore. Holmes salì di corsa le scale, e io lo seguii. Spinse una porta semi-aperta e rimanemmo sgomenti alla vista che ci si parò davanti. Una donna giovane e bella giaceva morta sul letto. Il volto calmo, pallido, con due occhi azzurri spalancati, era rivolto verso l'alto fra un groviglio di capelli biondi. Ai piedi del letto, mezzo seduto e mezzo inginocchiato, col viso affondato nelle sue vesti, c'era un giovanotto scosso dai singhiozzi. Così chiuso nel suo dolore che non alzò gli occhi fino a quando Holmes non lo toccò sulla spalla. «Lei è il signor Godfrey Staunton?» «Sì, sì, sono io - ma siete arrivati troppo tardi - è morta.» Era così stordito che ci scambiò per due medici mandati ad assisterlo. Holmes cercava di dirgli qualche parola di consolazione e di spiegargli l'allarme che la sua improvvisa scomparsa aveva suscitato fra i suoi amici, quando si sentì un passo sulle scale e sulla porta apparve il largo volto, severo e interrogativo del dottor Armstrong. «E così, signori», disse, «avete raggiunto il vostro scopo e certo avete scelto un momento particolarmente delicato per la vostra intrusione. Non intendo litigare in presenza della morte

ma vi assicuro che, se fossi più giovane, la vostra imperdonabile condotta non passerebbe impunita.» «Mi scusi, dottor Armstrong, credo che siamo entrambi vittime di un malinteso», osservò Holmes con dignità. «Se lei volesse scendere con noi, potremmo illuminarci vicendevolmente su questa tristissima storia.» Poco dopo, insieme con l'arcigno dottore, eravamo nel salotto a piano terra. «Bene, signore?», chiese. «In primo luogo, desidero che le sia chiaro che non sono stato assoldato da Lord Mount-James e che in questa faccenda, i miei sentimenti sono assolutamente contro quel gentiluomo. Quando un uomo scompare, ho il dovere di accertare cosa gli sia accaduto ma, una volta raggiunto il mio scopo, per quanto mi riguarda la cosa finisce lì, purché non ci sia nulla di criminoso, e sono molto più ansioso di soffocare gli scandali privati che non di renderli di pubblico dominio. Se, come immagino, non c'è nulla di illegale in questa storia, lei può contare assolutamente sulla mia discrezione e la mia collaborazione per tenere nascosti i fatti alla stampa.» Il dottor Armstrong fece un passo in avanti, e venne a stringere vigorosamente la mano a Holmes. «Lei è una brava persona», disse. «L'avevo giudicata male. Ringrazio Iddio che la mia preoccupazione per aver lasciato il povero Staunton da solo in questo frangente mi ha indotto a tornare indietro e fare così la sua conoscenza. Sapendo quanto lei sa, la situazione è facilmente spiegata. Un anno fa, Godfrey Staunton alloggiò per un certo periodo a Londra, si innamorò profondamente della figlia della sua padrona di casa, e la sposò. Una ragazza tanto buona quanto bella, e tanto intelligente quanto buona. Una moglie di cui ogni uomo sarebbe stato fiero. Ma Godfrey era l'erede di quel bisbetico vecchio nobile e, senza

alcun dubbio, la notizia del suo matrimonio avrebbe posto fine alle sue prospettive di eredità. Conoscevo bene il ragazzo, e gli ero affezionato, per tutte le sue eccellenti qualità. Feci il possibile per aiutarlo. Facemmo del nostro meglio per nascondere a tutti le avvenute nozze dato che, una volta che si sparge una notizia del genere, prima o poi tutti vengono a saperlo. Grazie alla posizione isolata di questo cottage e alla sua discrezione, Godfrey era riuscito, fino a questo momento, a tenere segreta la cosa. Ne ero al corrente solo io e un domestico fedelissimo che al momento è andato a chiedere aiuto a Trumpington. Ma alla fine, sui due giovani piombò una terribile sciagura: la grave malattia della moglie. Consunzione, del tipo più virulento. Il pove-

ro ragazzo era quasi impazzito dal dolore, eppure doveva andare a Londra a giocare la partita dato che non poteva esimersi senza fornire una spiegazione che avrebbe tradito il suo segreto. Cercai di consolarlo mandandogli un telegramma e mi rispose, con un altro telegramma, implorandonfi di fare tutto il possibile. Si tratta del telegramma che, non so come, lei è riuscito a vedere. Non gli dissi quanto fosse imminente il pericolo, dato che qui non poteva essere di nessun aiuto, ma scrissi la verità al padre della ragazza che purtroppo ne informò Godfrey. Il risultato fu che venne subito qui, in uno stato che rasentava la pazzia, e in quello stato è rimasto, inginocchiato ai piedi del letto, fino a che, stamattina, la morte ha posto fine alle sofferenze della povera ragazza. Questo è tutto, signor Holmes, e sono certo di poter contare sulla discrezione sua e del suo amico.» Holmes gli strinse la mano. «Andiamo, Watson», disse; e uscimmo da quella casa di dolore nel pallido sole di un giorno d'inverno. Next Page

L'avventura di Abbey Grange Fu in una notte gelida e una mattina di brina, verso la fine dell'inverno 1897, che qualcuno mi svegliò scuotendomi per una spalla. Era Holmes. La candela che teneva in mano illuminava il suo volto intenso, chino su di me, e mi bastò un'occhiata per capire che era successo qualcosa. «Venga, Watson, venga!», gridò. «Il gioco è cominciato. Non una parola! Si vesta e andiamo!» Dieci minuti dopo eravamo in una carrozza che risuonava sull'acciottolato mentre, attraverso le strade silenziose, ci dirigevamo alla Stazione di Charing Cross. Un pallido chiarore cominciava a schiarire il cielo invernale e si potevano distinguere i primi, rari, operai, diretti al lavoro, figure confuse e indistinte nell'opalescente e redolente atmosfera londinese. Holmes taceva, raggomitolato nel suo pesante cappotto, ed io feci altrettanto perché l'aria era fredda e pungente ed eravamo entrambi digiuni. Solo dopo aver preso un tè caldo alla stazione e aver preso posto sul treno per il Kent riuscimmo a sgelarci quel tanto che bastava perché Holmes cominciasse a parlare ed io ad ascoltare. Tirò fuori di tasca un biglietto che lesse ad alta voce: Abbey Grange, Marsham, Kent, 3,30 a.m. Mio caro signor Holmes, Sarei lietissimo della sua immediata assistenza in quello che promette di essere un caso estremamente interessante. Qualcosa che rientra perfettamente nel suo campo. Tranne che rimettere in libertà la signora, farò in modo che tutto rimanga esattamente come l'ho trovato, ma la prego di non perdere un istante, dato che è difficile lasciare lì Sir Eustace. Cordialmente,

Stanley Hopkins

«Hopkins ha chiesto il mio intervento per sette volte, e in ogni occasione aveva tutti i motivi per farlo», disse Holmes. «Suppongo che quei casi siano entrati a far parte della sua raccolta, Watson, e devo ammettere che le sue scelte sono generalmente

buone, il che compensa tutto quanto deploro nei suoi racconti. La sua fatale abitudine di considerare ogni cosa da un'ottica narrativa anzi che come un esercizio scientifico, ha rovinato quella che altrimenti avrebbe potuto essere una serie istruttiva e anche classica di dimostrazioni. Lei tralascia quelle che sono le sottigliezze e le raffinatezze del mio lavoro, per concentrarsi unicamente sugli aspetti sensazionali che possono interessare, ma certo non istruire, il lettore.» «Allora, perché non li scrive lei stesso?», chiesi un po' piccato. «Lo farò, caro Watson, lo farò. Al momento, come lei sa, sono molto occupato ma mi riprometto di dedicare gli anni del mio declino alla stesura di un manuale che concentrerà tutta l'arte dell'investigazione in un solo volume. La nostra attuale indagine sembra riguardare un caso di omicidio.» «Dunque, ritiene che Sir Eustace sia morto?» «Direi proprio di sì. La calligrafia di Hopkins rivela una profonda agitazione e, in genere, non è un uomo emotivo. Sì, ritengo che ci sia stata violenza e che il corpo sia stato trattenuto perché potessimo esaminarlo. Non mi avrebbe mandato a chiamare per un semplice suicidio. In quanto al rilascio della signora, sembra che sia stata rinchiusa nella sua stanza durante lo svolgimento della tragedia. Ci stiamo muovendo nell'ambiente altobeato, Watson, carta patinata, "Enciclopedia Britannica", monogramma, stemma, indirizzo altisonante, e via dicendo. Credo che l'amico Hopkins sarà all'altezza della sua reputazione e che avremo una mattinata interessante. Il delitto è stato compiuto prima della mezzanotte di ieri.» «Come può dirlo?» «Controllando i treni e calcolando i tempi. Hanno dovuto chiamare la polizia locale, questa ha chiamato Scotland Yard, Hopkins si è dovuto spostare e, a sua volta, ha mandato a chiamare me. Tutto questo, richiede una nottata di lavoro. Bene, eccoci alla stazione di Chiselhurst e presto sapremo tutto.» Un tragitto di un paio di miglia attraverso angusti viottoli di campagna ci portò davanti a un cancello che ci venne aperto da un vecchio custode, il cui viso stanco e teso faceva pensare a una grave calamità. Il viale d'accesso si snodava attraverso un imponente parco, fiancheggiato da antichi olmi, per terminare davanti a un edificio basso e largo decorato sul davanti da un portico palladiano. Il corpo centrale era evidentemente molto antico e ammantato d'edera, ma le finestre ampie indicavano che era stato rimodernato e un'ala della casa appariva nuova fiam-

mante. L'ispettore Stanley Hopkins, giovane, svelto e intelligente, ci accolse nell'atrio. «Sono davvero felice che lei sia venuto, signor Holmes. E anche lei, dottor Watson. Ma onestamente, se potessi tornare indietro, non la disturberei di nuovo perché, da quando è tornata in sé, la signora ci ha fornito un resoconto talmente chiaro di quanto è avvenuto che a noi rimane ben poco da fare. Ricorda la banda degli scassinatori di Lewisham?» «Chi, i tre Randall?» «Esattamente; il padre e i due figli. È opera loro. Non ho il minimo dubbio. Quindici giorni fa hanno fatto un colpo a Sydenham, dove sono stati visti e descritti. Un bel coraggio, a farne un altro, così presto e così vicino, ma sono loro, senza ombra di dubbio. E questa volta li aspetta la forca.» «Allora Sir Eustace è morto?» «Sì, gli hanno fracassato la testa col suo attizzatoio.»

«Sir Eustace Brackenstall, mi ha detto il cocchiere.» «Proprio lui - uno degli uomini più ricchi del Kent - Lady Brackenstall è nel salottino. Povera signora, ha avuto un'esperienza terribile. Quando l'ho vista la prima volta sembrava mezza morta. Credo che farà meglio a parlare con lei e ad ascoltare il suo resoconto dell'accaduto. Poi ispezioneremo insieme la sala da pranzo.» Lady Brackenstall non era una donna comune. Raramente ho visto una figura così graziosa, un comportamento più femminile e un viso così bello. Aveva i capelli biondo-oro, gli occhi azzurri e, sicuramente, avrebbe avuto la splendida carnagione che generalmente si accompagna a quei colori se la sua recente esperienza non l'avesse lasciata pallida e disfatta. Le sue sofferenze erano fisiche oltre che morali; sopra un occhio, infatti, aveva un gonfiore violaceo che la sua cameriera personale, una donna alta e severa, stava curando con impacchi di acqua e aceto. La signora era abbandonata su un divano, esausta, ma lo sguardo rapido e scrutatore che ci rivolse quando entrammo, e l'espressione attenta del suo bel viso dimostravano che quella orribile esperienza non aveva piegato né la sua mente né il suo coraggio. Era avvolta in un'ampia veste da camera blu e argento ma un abito da sera di paillettes nere era disteso accanto a lei sul divano. «Le ho già detto tutto quello che è accaduto, signor Hopkins», disse in tono stanco. «Non potrebbe ripeterlo lei per me? Bene, se lo ritiene necessario, racconterò tutto, ancora una volta, a questi signori. Sono già stati in sala da pranzo?» «Ho ritenuto che sarebbe stato meglio che prima ascoltassero la storia di Vostra Signoria.»

«Sarò molto più sollevata quando avrà sistemato tutto. È terribile pensare a lui, ancora steso lì.» Rabbrividì, nascondendosi il viso fra le mani. Il suo movimento fece scivolare la manica della vestaglia dagli avambracci. Holmes emise un'esclamazione. «Lei ha delle altre ferite, signora! Cos'è questo?» Due vivide macchie rosse spiccavano sulla pelle candida di un braccio. Si affrettò a ricoprirlo. «Non è nulla. Non ha niente a che fare con la tragedia di questa notte. Se lei e il suo amico vogliono accomodarsi, vi dirò tutto quello che so. Sono la moglie di Sir Eustace Brackenstall. Siamo sposati da circa un anno. Immagino sia inutile che io cerchi di nascondere che il nostro matrimonio non è stato felice. Anche se volessi negarlo, temo che verrebbe a saperlo dai vicini. Forse, in parte è colpa mia. Sono cresciuta nell'ambiente più libero e meno convenzionale del Sud Australia e il suo stile di vita inglese, così formale e rispettoso delle convenienze, non mi si addice. Ma la causa principale del fallimento del nostro matrimonio è una sola, e di dominio pubblico: Sir Eustace era un alcolizzato. Rimanere per un'ora a fianco di un uomo simile è già spiacevole. Immagini cosa significa per una donna sensibile e vivace essere legata a lui giorno e notte. È un sacrilegio, un delitto, un abominio sostenere che un matrimonio del genere sia vincolante. Vi dico che queste vostre leggi mostruose porteranno una maledizione sulla vostra terra - Dio non permetterà il perdurare di una tale malvagità.» Per un attimo, si alzò a sedere, con le guance arrossate e gli occhi che fiammeggiavano sotto quel brutto livido. Poi la mano forte e tranquillizzante dell'austera cameriera le fece riappoggiare la testa sul cuscino e quella collera furiosa cedette il posto a un angosciato singhiozzare. Alla fine, continuò: «Vi racconterò di ieri sera. Saprete, forse, che in questa casa la servitù dorme nell'ala moderna. In questo corpo centrale ci sono le stanze di soggiorno, la cucina e, al piano superiore, la nostra camera da letto, al disopra della quale dorme Theresa, la mia cameriera personale. Non c'è nessun altro, e nessun rumore potrebbe svegliare quelli che dormono nell'ala più distante. I ladri dovevano saperlo bene, o non avrebbero agito come hanno agito. Sir Eustace si ritirò verso le dieci e mezza. I domestici erano

già andati nelle loro stanze. Solo la mia cameriera era alzata ed era rimasta nella sua camera, in cima alle scale, in attesa che io la chiamassi. Io rimasi alzata in questa stanza, fino a dopo le undici, a leggere. Poi, prima di salire, feci il giro della casa per controllare che tutto fosse in ordine. Lo facevo sempre io perché,

come ho spiegato, non sempre ci si poteva fidare di Sir Eustace. Andai nella cucina, nella dispensa, nella sala delle armi, in quella da biliardo, nel salotto e, infine, nella sala da pranzo. Mentre mi accostavo alla finestra, che generalmente è coperta da una pesante tenda, sentii un soffio d'aria in faccia e mi resi conto che la finestra era aperta. Spalancai le tende e mi trovai faccia a faccia con un uomo anziano, largo di spalle, che era appena entrato nella stanza. La finestra è una di quelle porte-finestra che dà in giardino. Tenevo in mano la candela accesa e, dietro il primo individuo, ne scorsi altri due, in procinto di entrare anche loro. Indietreggiai ma quel tipo mi saltò addosso, mi afferrò prima per un polso poi per la gola. Aprii la bocca per gridare ma mi colpì violentemente col pugno sull'occhio, buttandomi per terra. Devo essere rimasta svenuta per qualche minuto perché, quando mi ripresi, vidi che avevano strappato il cordone del campanello e mi avevano saldamente legato a quel seggiolone di quercia che sta a capotavola. Ero legata così stretta che non potevo muovermi, né potevo gridare perché mi avevano imbavagliato con un fazzoletto. In quel preciso istante, il mio povero marito entrò nella stanza. Evidentemente, aveva sentito dei rumori sospetti ed era preparato a qualcosa di anormale. Indossava camicia da notte e calzoni, e impugnava il suo prediletto manganello di legno di prugno. Si precipitò contro i ladri, ma un altro uomo un uomo anziano - si chinò a raccogliere l'attizzatoio dal caminetto e lo colpì con estrema violenza mentre gli passava davanti. Mio marito cadde a terra con un gemito e non si mosse più. Svenni di nuovo ma, anche in questo caso, devo essere rimasta priva di sensi per pochi minuti. Quando riaprii gli occhi vidi che avevano raccolto l'argenteria dalla credenza e avevano preso anche una bottiglia di vino che si trovava sul ripiano. Ciascuno di loro teneva in mano un bicchiere. Le ho già detto, mi sembra, che uno era un uomo anziano, con la barba, e gli altri erano due ragazzi. Potevano essere padre e figli. Parlottavano fra di loro, sussurrando. Poi mi si avvicinarono per accertarsi che fossi ancora saldamente legata. Finalmente se ne andarono, chiudendosi la finestra alle spalle. Mi ci volle quasi un quarto d'ora per riuscire a togliermi il bavaglio. Quando me ne fui liberata gridai e accorse la mia cameriera. Subito dopo si svegliarono anche gli altri domestici e mandammo a chiamare la polizia locale che si mise subito in contatto con Londra. Non saprei proprio che altro dirvi, signori, e mi auguro che non dovrò ripetere ancora una volta una storia così dolorosa». «Qualche domanda, signor Holmes?», chiese Hopkins. «Non voglio abusare oltre del tempo e della pazienza di Lady

Brackenstall», rispose il mio amico. «Prima di andare in sala da pranzo, vorrei che mi raccontasse quello che ha visto», disse rivolto alla cameriera. «Ho visto quegli uomini ancora prima che entrassero in casa», rispose. «Sedevo in camera mia, accanto alla finestra, e, alla luce della luna, vidi tre individui giù al cancello ma, lì per lì, non ci badai. Solo più di un'ora dopo sentii gridare la signora, corsi giù e trovai lei, poverina, proprio come ha detto e il signore sul pavimento, in un lago di sangue. C'era di che farla impazzire, lei legata lì, col sangue del marito che le era schizzato sul vestito, ma è sempre stata coraggiosa, la signorina Mary Fraser di Adelaide, e Lady Brackenstall di Abbey Grange non era cambiata. L'avete interrogata abbastanza, signori, e adesso lei viene in camera sua, con la vecchia Theresa, e si riposa, perché ne ha urgente bisogno.» Con tenerezza materna, quella donna arcigna sorresse con le

braccia la sua padrona, conducendola fuori della stanza. «È con lei da una vita», osservò Hopkins. «È stata la sua balia e, quando lasciarono l'Australia, venne con lei in Inghilterra, diciotto mesi fa. Si chiama Theresa Wright, ed è il genere di cameriera che oggi davvero non esiste più. Da questa parte, prego, signor Holmes!» Dal viso di Holmes si era cancellata quell'espressione di profondo interesse e compresi che tutto il fascino di quel caso era sparito insieme al mistero. Restava ancora da effettuare un arresto, ma non si sarebbe certo sporcato le mani con canaglie così comuni. Un luminare della medicina che scopre di essere stato chiamato per un caso di morbillo proverebbe la stessa irritazione che leggevo in quel momento negli occhi del mio amico. Pure, la scena che si presentò ai nostri occhi nella sala da pranzo di Abbey Grange era abbastanza insolita da richiamare la sua attenzione e riaccendere il suo interesse. Era una sala molto vasta e molto alta, col soffitto di quercia scolpita, pannelli di legno alle pareti e una notevole esposizione di teste di cervo e armi antiche alle pareti. In fondo alla stanza, c'era la porta finestra di cui avevano parlato. Tre finestre più piccole sul lato destro inondavano l'ambiente con il pallido sole invernale. A sinistra, un camino, grande e profondo, sormontato da una massiccia mensola di quercia, sporgente. Accanto al camino, una pesante seggiola di quercia, a braccioli, con il sedile di legno incrociato. Dentro e fuori dalle aperture era stato passato un cordone scarlatto, fermato ai quattro lati. Quando la signora era stata slegata, la corda era scivolata ma i nodi con i quali era stata assicurata erano rimasti intatti. Ma di questo par-

ticolare ci accorgemmo solo in un secondo tempo perché i nostri occhi erano fissi su quell'orribile cosa che giaceva sulla pelle di tigre davanti al camino. Era il corpo di un uomo sulla quarantina, alto e ben fatto. Giaceva supino, col viso rivolto verso l'alto e i denti bianchi che balenavano fra la corta barba nera. Le braccia erano alzate dietro la testa, con le mani chiuse a pugno fra le quali c'era un pesante randello di legno di prugno. I bei lineamenti, scuri e aquilini, erano contorti in uno spasmo di odio vendicativo che aveva congelato il volto senza vita in un'espressione di sconvolgente malvagità. Evidentemente era a letto quando era scoppiato l'allarme perché indossava una ricercata camicia da notte ricamata e, da sotto i calzoni, spuntavano i piedi nudi. La testa era maciullata e l'intera stanza recava le tracce dell'inaudita ferocia del colpo infertogli. Accanto a lui, c'era l'attizzatoio contorto. Holmes esaminò sia l'arma del delitto che l'indescrivibile scempio che essa aveva provocato. «Dev'essere un uomo molto vigoroso, il vecchio Randall», commentò. «Sì», rispose Hopkins. «Abbiamo già informazioni su di lui ed è un tipo violento.» «Non le dovrebbe essere difficile acciuffarlo.» «Nessun problema. Lo abbiamo tenuto d'occhio e c'è stato un periodo in cui sembrava che se ne fosse andato in America. Ma adesso sappiamo che la banda è qui e non vedo come potrebbero sfuggirci. Abbiamo già diramato informazioni a ogni scalo marittimo e, prima di sera, verrà offerta anche una ricompensa. Quello che non riesco a capire è come mai abbiano compiuto un' impresa così folle, sapendo che la signora sarebbe stata in grado di dare una loro descrizione che noi avremmo senz'altro riconosciuto.» «Già. Ci si sarebbe aspettato che chiudessero la bocca anche a Lady Brackenstall.» «Forse», suggerii, «non si sono resi conto che aveva ripreso i sensi.» «È molto probabile. Se hanno creduto che fosse ancora svenuta, non c'era motivo di ucciderla. Ma che mi dice di questo povero diavolo, Hopkins? Ho sentito voci strane sul suo conto...»

«Non era una cattiva persona quando era sobrio, ma diventava un demonio quando era ubriaco o, meglio, mezzo ubriaco, perché non arrivava mai a toccare il fondo. In quei momenti, sembrava avesse il diavolo in corpo ed era capace di tutto. Da quanto mi hanno detto, malgrado tutta la sua ricchezza e il suo

titolo, c'è andato molto vicino un paio di volte. Ci fu uno scandalo circa un cane che aveva inzuppato di petrolio e al quale poi aveva dato fuoco - il cane di sua signoria, per giunta - ed è stato difficile metterlo a tacere. Un'altra volta, gettò una caraffa contro la cameriera, Theresa Wright - ci sono stati dei guai, in seguito. In linea di massima - e che resti fra noi - la casa sarà molto più allegra senza di lui. Cosa sta guardando adesso?» Holmes, carponi, esaminava con attenzione i nodi del cordone rosso con cui era stata legata la signora. Poi ispezionò con altrettanta cura l'estremità strappata e sfilacciata nel punto dove era stato tirato violentemente giù dal muro dal ladro. «Quando è stato strappato, il campanello in cucina deve aver suonato molto forte», osservò. «Nessuno poteva sentirlo. La cucina è proprio sul retro della casa.» «Ma come poteva il ladro sapere che nessuno l'avrebbe sentito? E come ha osato strappare un cordone di campanello in maniera così avventata?» «Esatto, signor Holmes, esatto. È la stessa domanda che mi sono posto a più riprese. Senza dubbio, quell'individuo doveva conoscere la casa e le sue abitudini. Deve essersi reso perfettamente conto che a quell'ora, non poi così tarda, la servitù era già a letto e nessuno poteva sentire un campanello che squillava in cucina. Quindi, dev'essere stato in combutta con uno dei domestici. Questo è evidente. Ma i domestici sono otto, e tutti con le migliori referenze.» «Analogamente», disse Holmes, «si potrebbe sospettare della domestica contro cui il padrone lanciò la caraffa. Ma questo comporterebbe una slealtà nei confronti della padrona alla quale questa donna appare devota. Bene, bene, è un punto trascurabile e senza dubbio, una volta che lei avrà catturato Randall, non avrà probabilmente difficoltà a catturare anche il complice. Sembra proprio che il racconto della signora sia confermato se di conferma ci fosse bisogno - da tutto ciò che vediamo.» Si accostò alla porta-finestra e la spalancò. «Qui non ci sono segni, ma il terreno è duro come la pietra e c'era da aspettarselo. Vedo che queste candele sul caminetto sono state accese.» «Sì, è proprio alla loro luce, e a quella della candela che reggeva la signora, che i ladri si sono orizzontati.» «E cosa hanno rubato?» «Be', non un gran che - solo una mezza dozzina di pezzi d'argenteria dalla credenza. Lady Brackenstall ritiene che fossero così turbati dalla morte di Lord Eustace che non hanno saccheggiato la casa, come altrimenti avrebbero fatto.»

«Senza dubbio è così, eppure hanno bevuto del vino, a quanto ho capito.» «Per rincuorarsi.» «Già. Immagino che nessuno abbia toccato quei tre bicchieri sulla credenza?» «Nessuno. E anche la bottiglia è rimasta come l'hanno lasciata.» «Diamole un'occhiata. Guarda, guarda, e questo cos'è?» I tre bicchieri erano raggruppati insieme, tutti recavano tracce del vino e in uno c'erano tracce di feccia. Accanto, la bottiglia piena per due terzi e, accanto alla bottiglia, un lungo turacciolo molto macchiato il cui aspetto, aggiunto alla polvere sulla bottiglia, indicava che i tre assassini si erano scolati un vino d'annata. I modi di Holmes erano cambiati. Non aveva più quell'espressione indifferente e scorsi un bagliore d'interesse nei suoi

occhi acuti e profondi. Prese il turacciolo e lo esaminò minuziosamente. «Come l'hanno tolto?», chiese. Hopkins indicò un cassetto semiaperto che conteneva della biancheria da tavola e un grosso cavatappi. «Lady Brackenstall afferma che hanno usato il cavatappi?» «No, ricorderà che, quando la bottiglia è stata aperta, lei era priva di sensi.» «Già. In realtà, il cavatappi non è stato usato. La bottiglia è stata aperta con un cavatappi tascabile, probabilmente contenuto in un temperino, e lungo non più di un pollice e mezzo. Se osserva la sommità del turacciolo vedrà che il cavatappi è stato infilato tre volte prima di riuscire a tirarlo fuori. E non è mai penetrato. Questo cavatappi così lungo, sarebbe entrato e l'avrebbe tirato fuori con un unico strappo. Quando metterà le mani su quell'individuo, gli troverà addosso uno di quei temperini multiuso.» «Eccellente!», esclamò Hopkins. «Confesso però che questi bicchieri non mi convincono. Lady Brackenstall li ha proprio visti bere, non è così?» «Sì, è stata molto chiara su questo punto.» «Allora non c'è altro da dire. Eppure, deve ammettere che questi bicchieri sono molto interessanti, Hopkins. Come? Non ci vede niente d'interessante? Be', lasciamo perdere. Forse, quando uno possiede cognizioni e capacità insolite come le mie, ha la tendenza a cercare una spiegazione complicata quando ce n'è a portata di mano una semplice. Sicuramente, per quanto riguarda i bicchieri, deve trattarsi di un puro caso. Bene, arrive-

derci, Hopkins. Non vedo di che altra utilità potrei esserle e mi sembra che lei abbia un quadro molto chiaro della faccenda. Mi faccia sapere quando Randall verrà arrestato, e mi tenga al corrente di ogni altro eventuale sviluppo. Mi auguro che presto potrò congratularmi con lei per la felice risoluzione del caso. Venga, Watson, credo che abbiamo cose più importanti da sbrigare a casa.» Durante il viaggio di ritorno, vedevo dal suo viso che Holmes era molto perplesso per qualcosa che aveva notato. Ogni tanto, facendo forza su se stesso, cercava di cancellare quell'impressione e parlava come se tutto fosse ormai chiarito; poi, lo riprendeva il dubbio e, dalle sopracciglia aggrottate e gli occhi spersi nel vuoto, si vedeva che col pensiero era tornato alla grande sala da pranzo di Abbey Grange, teatro di quella tragedia di mezzanotte. Finalmente, per un impulso improvviso, proprio mentre il treno stava lentamente uscendo da una stazioncina suburbana, saltò giù sul marciapiede trascinandomi con sé. «Mi perdoni caro amico», disse mentre guardavo l'ultima carrozza del treno sparire dietro una curva, «sono spiacente di coinvolgerla in quello che può sembrare un puro e semplice capriccio ma, parola mia, Watson, non posso assolutamente abbandonare il caso a questo punto. Tutto il mio istinto me lo vieta. È sbagliato - completamente sbagliato - sono pronto a giurare che è sbagliato. Eppure, il racconto della signora era esauriente, sufficiente la conferma della cameriera, i dettagli al loro posto. Cos'è che non mi convince? tre bicchieri da vino, ecco tutto. Ma se non avessi dato le cose per scontate, se avessi esaminato tutto con la debita cura che avrei usato se avessimo dovuto affrontare il caso de novo, senza lasciarmi influenzare da una storia bell'e pronta, non avrei trovato qualcosa di più definito su cui basarmi? Sono certo di sì. Si accomodi su questa panchina, Watson, fino a quando arriverà un treno per Chiselhurst, e mi consenta di esporle i fatti; prima di tutto, però, la imploro di non attaccarsi all'idea che qualsiasi cosa la cameriera o la signora ci hanno detto sia necessariamente la verità. L'affascinante personalità di Lady Brackenstall non deve distorcere il nostro giudizio. Senza dubbio, il suo racconto contiene dei particolari che, se esaminati obiettivamente, ci farebbero insospettire. Questi

scassinatori avevano già realizzato un considerevole bottino a Sydenham, quindici giorni fa. I giornali riportavano notizie su di loro e sul loro aspetto e, chiunque volesse inventare la storia di una fantomatica rapina, se ne sarebbe ricordato. In effetti, dopo un colpo fruttuoso, i ladri in genere si accontentano di go-

dersi il malloppo in santa pace, senza imbarcarsi in un'altra pericolosa impresa. E ancora: i ladri generalmente non entrano in azione così di buon'ora e generalmente non colpiscono una signora per impedirle di gridare, dal momento che sarebbe il modo migliore per ottenere l'effetto opposto; generalmente non uccidono quando sono in numero sufficiente a neutralizzare un'altra persona, generalmente non si accontentano di un bottino così modesto quando hanno molte altre cose a portata di mano, e, infine, direi che è molto strano che individui del genere lascino una bottiglia mezza piena. Che ne pensa di tutte queste stranezze, Watson?» «Effettivamente, prese nel loro insieme, appaiono insolite eppure, ciascuna di esse è perfettamente possibile in sé e per sé. Quella che a me sembra la cosa più strana di tutte è che la signora fosse legata alla sedia.» «Su questo punto, non ho le idee molto chiare, Watson. È evidente che dovevano o ucciderla o fare in modo che non potesse dare subito l'allarme dopo la loro fuga. Comunque, però, mi sembra di aver dimostrato che esiste un certo margine di improbabilità nel racconto della signora, non è così? E adesso, oltre a tutto il resto, c'è l'incidente dei bicchieri.» «Che avevano quei bicchieri?» «Riesce a rivederli nella sua mente.» «Con chiarezza.» «Ci è stato detto che a bere sono stati tre uomini. Le sembra verosimile?» «Perché no? C'era stato del vino in ogni bicchiere.» «Esatto, ma solo in uno di essi c'era la feccia. Deve averlo notato. Questo, cosa le fa pensare?» «Che probabilmente era nel bicchiere che è stato riempito per ultimo.» «Niente affatto. Nella bottiglia ce n'era una gran quantità ed è inconcepibile che nei primi due bicchieri non ce ne fosse affatto e nel terzo invece ce ne fosse tanta. Ci sono due spiegazioni possibili, e due soltanto. Una, che dopo aver riempito il secondo bicchiere, la bottiglia sia stata agitata violentemente e quindi la feccia sia finita nel terzo bicchiere; ma questo non sembra probabile. No, no, sono certo di aver ragione.» «Allora, secondo lei come sono andate le cose?» «I bicchieri usati sono stati solo due e la feccia di entrambi è stata poi versata in un terzo bicchiere per dare la falsa impressione che gli uomini presenti fossero tre. In quel modo, tutta la feccia sarebbe nell'ultimo bicchiere, non le sembra? Sì, sono convinto che sia così. Ma se questa è la spiegazione giusta di questo

piccolo dettaglio, allora il caso esce dall'anonimato per assumere enorme importanza, dal momento che può solo voler dire che Lady Brackenstall e la sua cameriera ci hanno deliberatamente mentito, che non possiamo credere a una sola parola di quanto ci hanno detto, che hanno qualche forte motivo per coprire il vero colpevole e che noi dobbiamo ricostruire il caso da soli, senza il loro aiuto. E questa è la missione che ci aspetta, ed ecco il treno per Sydenham.» Ad Abbey Grange furono molto sorpresi nel vederci ritornare ma Holmes, scoprendo che Stanley Hopkins era andato a fare il suo rapporto al Commissariato centrale, prese possesso della stanza da pranzo, si chiuse dentro a chiave e, per due ore, si dedicò a una di quelle minuziose e laboriose ricerche che costituiscono la base delle sue brillanti costruzioni deduttive. Seduto in un angolo, come uno studente tutto preso dalla dimostrazione del professore, seguii le sue ricerche passo per passo. La fine-

stra, la tenda, il tappeto, la sedia, il cordone - tutto fu esaminato e soppesato minutamente. Il corpo dello sfortunato baronetto era stato rimosso e tutto il resto era rimasto come l'avevamo visto al mattino. Infine, con mia somma meraviglia, Holmes si inerpicò sulla massiccia mensola del camino. Al di sopra di lui pendevano ancora i pochi centimetri di cordone rosso che erano rimasti attaccati al filo. Li osservò a lungo poi, tentando di avvicinarsi, posò il ginocchio su una mensola di legno attaccata al muro. Riuscì così a portare la mano a pochi centimetri dal frammento di cordone ma ciò che più attirò la sua attenzione fu proprio quella mensola. Finalmente, saltò giù con un'esclamazione di soddisfazione. «Tutto bene, Watson», disse, «abbiamo il nostro caso - uno dei più straordinari della nostra raccolta. Ma sono stato proprio tardo di comprendonio, e stavo per fare il più grosso errore della mia vita! Adesso credo che, tranne per qualche piccolo anello mancante, la mia catena è quasi completa.» «Ha trovato i suoi uomini?» «Uomo, Watson, uomo. Uno solo, ma veramente formidabile. Forte come un leone - e lo dimostra il colpo che è riuscito a piegare l'attizzatoio! Alto più di un metro e novanta, agile come uno scoiattolo, abile con le mani e, infine, notevolmente acuto dal momento che tutta questa ingegnosa storiella è opera sua. Sì, Watson, ci troviamo di fronte all'opera di una persona davvero straordinaria. Eppure, con quel cordone da campanello, ci ha fornito un indizio che avrebbe dovuto dissipare ogni nostro dubbio.» «Quale indizio?»

«Bene, se lei tirasse con violenza un cordone da campanello, Watson, dove penserebbe che si lacerasse? Sicuramente nel punto in cui è attaccato al filo. Perché mai dovrebbe spezzarsi tre pollici più in basso, come è successo in questo caso?» «Perché in quel punto è logorato?» «Esattamente. Questa estremità, come possiamo vedere, è sfrangiata. È stato tanto furbo da sfrangiarlo col coltello. Ma l'altra estremità non lo è. Da qui non si vede, ma da sopra la mensola del camino si nota che è tagliata di netto, senza la minima sfrangiatura. Può ricostruire la scena. L'uomo aveva bisogno di una corda. Non voleva strapparla per timore di far suonare il campanello e dare l'allarme, Cosa ha fatto, allora? È saltato sulla mensola, non è riuscito a raggiungere la giunzione fra cordone e filo, ha poggiato il ginocchio sulla mensola di legno - si vede l'impressione nella polvere - così ha potuto usare il coltello per tagliare il cordone. La mia mano non ha potuto raggiungerlo per una distanza di almeno tre pollici - dal che deduco che era almeno tre pollici più alto di me. Guardi quella macchia sul sedile della sedia di quercia! Cos'è?» «Sangue. » «Senza il minimo dubbio. E basta questo a smentire il racconto della signora. Se lei era seduta sulla seggiola al momento del delitto, come si spiega quella macchia? No, no, è stata messa sulla sedia dopo la morte del marito. Scommetto che il suo vestito presenta una macchia in concomitanza con quella sul piano della sedia. Non abbiamo ancora incontrato la nostra Waterloo, Watson, ma questa è la nostra Marengo, perché comincia con una disfatta e termina con una vittoria. Adesso vorrei scambiare due parole con la governante, Theresa. Dobbiamo andarci cauti per un po', se vogliamo ottenere le informazioni che ci servono.» Era un personaggio strano e interessante, questa severa exbalia australiana - taciturna, sospettosa, scontrosa; ci volle un certo tempo prima che i modi cordiali di Holmes e il fatto che accettasse senza riserve tutto quello che lei diceva riuscissero a sgelarla un pochino e a ricambiare la sua amabilità. Non cercò di nascondere l'odio che provava per il defunto padrone. «Sì, signore, è vero che mi tirò la caraffa. L'avevo sentito insultare la mia signora e gli avevo detto che non avrebbe osato

comportarsi in quel modo se fosse stato presente il fratello. Fu allora che me la tirò addosso. Ma avrebbe potuto tirarmene addosso una dozzina, purché avesse lasciato in pace il mio piccolo uccellino. La maltrattava in continuazione, e lei era troppo orgogliosa per lamentarsi. Non ha voluto nemmeno raccontarmi

tutto ciò che le ha fatto. Non mi ha mai parlato di quei segni sul braccio che lei ha visto questa mattina, ma so benissimo che a provocarli è stato un colpo inferto con uno spillone da cappello. Quel maledetto demonio - Dio mi perdoni se parlo così di un morto! Ma era un demonio, se mai demonio scese in terra. Era tutto latte e miele quando lo incontrammo per la prima volta solo diciotto mesi fa ed a entrambe noi sembrano diciotto anni. Era appena arrivata a Londra. Sì, era il suo primo viaggio non si era mai allontanata da casa prima. L'ha conquistata col suo titolo, il suo denaro e i suoi falsi modi da londinese. Se ha fatto un errore, lo ha pagato più caro di qualsiasi altra donna. In che mese lo abbiamo incontrato? Be', subito dopo il nostro arrivo. Arrivammo a giugno e si incontrarono a luglio. Si sono sposati l'anno scorso a gennaio. Sì, è tornata nel salottino e sono sicura che accetterà di vederla, ma non deve tormentarla troppo perché ha già sopportato più di quanto un essere umano possa sopportare. » Lady Brackenstall era distesa sullo stesso divano, ma appariva più sollevata. La cameriera era entrata insieme a noi e cominciò di nuovo a fare degli impacchi sulla lividura della sua padrona. «Spero», disse quest'ultima, «che non siate venuti a interrogarmi ancora!» «No», rispose Holmes col suo tono più carezzevole, «non la disturberò più del necessario, Lady Brackenstall; desidero unicamente facilitarle le cose poiché sono convinto che lei sia stata molto provata. Se lei vorrà trattarmi come un amico e fidarsi di me, scoprirà che la sua fiducia è ben riposta.» «Cosa vuole che io faccia?» «Che mi dica la verità.» «Signor Holmes!» «No, no, Lady Brackenstall - è inutile. Forse avrà sentito parlare della mia, sia pur esigua, reputazione. Bene, sono disposto a giocarla tutta sul fatto che il suo racconto è pura invenzione.» Padrona e cameriera guardavano Holmes ad occhi sbarrati, pallide in volto. «Lei è davvero sfacciato!», esclamò Theresa. «Vuol forse dare della bugiarda alla mia signora?» Holmes si alzò. «Non ha nulla da dirmi?» «Le ho detto tutto.» «Rifletta, Lady Brackenstall. Non sarebbe meglio essere sinceri?»

Ebbe un attimo di esitazione. Poi, per qualche subitaneo, prepotente pensiero, il suo viso si irrigidì come una maschera. «Le ho detto tutto ciò che so.» Holmes prese il cappello stringendosi nelle spalle. «Mi spiace», disse, e senza aggiungere parola uscimmo dalla stanza e dalla casa. C'era uno stagno, nel parco, e lì mi condusse il mio amico. Era gelato, ma una piccola superficie era stata liberata dal ghiaccio per la comodità di un cigno solitario. Holmes lo guardò, poi si avviò al cancello. Qui, scarabocchiò un biglietto per Stanley Hopkins e lo lasciò al custode. «Può andar bene, o può andar male, ma dobbiamo fare qualcosa per l'amico Hopkins, tanto per giustificare questa seconda visita», disse. «Non mi confiderò ancora del tutto con lui. Il nostro prossimo campo di operazioni sarà l'agenzia marittima della linea Adelaide-Southampton, che, se ben ricordo, è alla fine di Pall Mall. C'è anche una seconda linea di vapori che collega-

no l'Australia del Sud con l'Inghilterra, ma andiamo prima dalla più grande.» Il biglietto da visita che Holmes fece pervenire al direttore suscitò immediata attenzione, e non gli ci volle molto a ottenere l'informazione che desiderava. Nel giugno del `95, solo una delle loro navi aveva attraccato in Inghilterra. Si trattava della Rock of Gibraltar, la loro nave più grande e migliore. Un'occhiata alla lista dei passeggeri dimostrò che a bordo c'erano la signorina Fraser, di Adelaide, e domestica. Al momento, la nave si trovava da qualche parte a sud del Canale di Suez, diretta in Australia. Gli ufficiali erano gli stessi del `95, con un'unica eccezione. Il primo ufficiale, il signor Jack Crocker, era stato promosso capitano e avrebbe preso il comando della loro nuova nave, la Bass Rock, che sarebbe partita da Southampton entro due giorni. Il signor Crocker abitava a Sydenham ma probabilmente sarebbe venuto lì, quella mattina, per ricevere istruzioni. Se volevamo, potevamo aspettarlo. No, il signor Holmes non desiderava incontrarlo ma avrebbe gradito ulteriori informazioni circa il suo stato di servizio e le sue note caratteristiche. Lo stato di servizio era magnifico. Nessun ufficiale della flotta poteva stargli a paro. In quanto alle note caratteristiche, era affidabile nei suoi compiti ma, una volta a terra, diventava uno scavezzacollo - testa calda e impulsivo, ma leale, onesto e generoso. Questo era il nocciolo delle informazioni con cui Holmes lasciò gli uffici della Adelaide- Southampton Co. Da lì, andammo a Scotland Yard ma, anziché entrare, rimase seduto in carrozza con la fronte corrugata, immerso nei suoi pensieri. Al-

la fine, ci fece condurre all'ufficio postale di Charing Cross, spedì un messaggio e, finalmente, tornammo a Baker Street. «No, non potevo farlo, Watson», disse mentre rientravamo in casa. «Una volta emesso il mandato di cattura, niente al mondo avrebbe potuto salvarlo. Un paio di volte nella mia carriera ho avuto l'impressione di aver provocato più guai con la mia scoperta del criminale di quanto il criminale stesso ne avesse provocato col suo crimine. Ho imparato la prudenza, e preferisco scherzare con la legge che con la mia coscienza. Prima di agire, cerchiamo di saperne di più.» Prima di sera, ricevemmo la visita dell'ispettore Hopkins. Le cose non gli stavano andando troppo bene. «Credo che lei sia uno stregone, signor Holmes. A volte, penso davvero che lei abbia poteri sovrumani. Per esempio, come diamine ha fatto a sapere che l'argenteria rubata era sul fondo dello stagno?» «Non lo sapevo.» «Ma mi ha detto di dragarlo.» «Allora, l'ha trovata?» «Sì, l'ho trovata.» «Sono molto lieto di averla potuta aiutare.» «Ma non mi ha aiutato. Anzi, mi ha reso le cose più difficili. Che genere di ladri sono, che rubano l'argenteria e poi la buttano nello stagno più vicino?» «Senza dubbio, un comportamento eccentrico. Stavo solo basandomi sull'idea che, se l'argenteria era stata presa da persone che non sapevano che farsene - che l'avevano presa semplicemente per creare, diciamo così, una falsa pista - naturalmente se ne sarebbero liberati al più presto.» «Ma come è potuta venirle un'idea simile?» «Be', mi sembrava possibile. Quando sono usciti dalla portafinestra, si sono trovati davanti lo stagno con un piccolo foro tentatore nel ghiaccio, proprio sotto il naso. Quale nascondiglio migliore?» «Ah, un nascondiglio - adesso ci siamo!», esclamò Stanley Hopkins. «Sì, sì, ora capisco tutto! Era presto, c'era ancora gente per la strada, temevano di essere visti con l'argenteria, quindi l'hanno buttata nello stagno proponendosi di tornare a prendersela quando ci fosse stata via libera. Eccellente, signor

Holmes - molto migliore che non la sua ipotesi di un depistaggio.» «Appunto, la sua teoria è ammirevole. Senza dubbio le mie idee non si basavano su niente di preciso, ma deve ammettere che hanno portato al ritrovamento dell'argenteria.»

«Certo, signore - certo. Tutto merito suo. Ma ho trovato un brutto inciampo.» «Un inciampo?» «Proprio così, signor Holmes. La banda Randall è stata arrestata questa mattina a New York.» «Perbacco, Hopkins! Questo contrasta senza dubbio la sua teoria che abbiano compiuto un omicidio nel Kent ieri sera.» «È una mazzata, signor Holmes - un'autentica mazzata. Comunque, esistono altre bande oltre a quella dei Randall; oppure, può trattarsi di qualche banda nuova, di cui la polizia non ha mai sentito parlare.» «Certo, è possibilissimo. Ma come, se ne va?» «Sì, signor Holmes, non posso fermarmi prima di arrivare al fondo di questa faccenda. Immagino lei non abbia qualche suggerimento da darmi?» «Gliel'ho dato. » «Quale?» «Le ho suggerito che poteva trattarsi di un trucco.» «Ma perché, signor Holmes, perché?» «Ah, questo è il problema, naturalmente. Ma le consiglierei di tener presente questa eventualità. Potrebbe forse scoprire che non è poi così campata in aria. Non vuole fermarsi a pranzo? Bene, arrivederci, e ci faccia sapere come procedono le cose. » Avevamo terminato di mangiare e la tavola era già stata sparecchiata prima che Holmes accennasse di nuovo alla cosa. Aveva acceso la pipa e steso i piedi, calzati con le pantofole, verso l'allegra fiamma del caminetto. D'improvviso, guardò l'orologio. «Prevedo degli sviluppi, Watson.» «Quando?» «Adesso, fra pochi minuti. Immagino che lei pensi che io mi sia comportato male col nostro Hopkins poco fa, non è vero?» «Sono certo che lei sa quel che fa.» «Ottima risposta; Watson. La veda in questo modo: quello che io so è ufficioso, quello che sa lui è ufficiale. Io ho il diritto di tenere per me le mie informazioni. Lui deve renderle note, altrimenti tradirebbe il suo incarico. In un caso così controverso, non voglio creargli problemi, quindi le tengo per me fino a quando non avrò un'ipotesi precisa sul caso.» «Ma quando sarà?» «Il momento è giunto. Ora, assisterà all'ultima scena di un insolito dramma.» Si sentirono dei passi per le scale, poi si aprì la porta e nella stanza entrò un campione di umanità maschile quale mai visto

prima. Un giovane molto alto, con i baffi biondi, gli occhi azzurri, la pelle abbronzata dal sole dei tropici e un passo elastico che indicava come il suo fisico imponente fosse agile quanto robusto. Si chiuse la porta alle spalle restando immobile, con i pugui stretti, respirando pesantemente, cercando di dominare una violenta emozione. «Si accomodi, capitano Crocker. Ha ricevuto il mio telegramma?» Il nostro visitatore si lasciò cadere su una poltrona guardandoci con sguardo interrogativo. «Ho ricevuto il suo telegramma, e sono venuto all'ora indicata. Mi hanno detto che lei si è recato in ufficio. Era impossibile sfuggirle. Sentiamo il peggio. Che intenzioni ha? Vuole arrestarmi? Avanti, parli. Non può starsene lì a giocare con me come un gatto col topo.» «Gli dia un sigaro», mi disse Holmes. «Se lo fumi tranquilla-

mente, capitano Crocker, e non si lasci prendere dal panico. Non me ne starei qui a fumare con lei se la considerassi un volgare criminale, può starne certo. Sia sincero con me e potremo far qualcosa di buono. Mi giochi qualche tiro, e la annienterò.» «Cosa vuole che faccia?» «Voglio che mi racconti francamente quello che è successo ieri sera ad Abbey Grange - la verità, badi bene, senza aggiungere né togliere nulla. So già talmente tanto che, alla sua più piccola bugia, userò questo fischietto per chiamare la polizia e la cosa sarà definitivamente fuori dal mio controllo.» Il marinaio ci pensò un po' sopra. Poi si diede un pugno sulla gamba con la grossa mano abbronzata. «Va bene, correrò il rischio», esclamò. «La ritengo un uomo di mondo, una persona onesta, e le dirò tutto. Ma devo premettere una cosa. Per quanto mi riguarda, non mi pento di niente e non temo niente, e rifarei tutto da capo, e ne sarei orgoglioso. Quel maledetto animale, se anche avesse nove vite come i gatti, me le dovrebbe tutte e nove! Ma è la signora, Mary - Mary Fraser - non la chiamerò mai con quel maledetto cognome. Se penso che potrei metterla nei guai, proprio io che darei la vita per riportare il sorriso su quel suo caro volto, è questo che mi terrorizza. Eppure - eppure - che altro avrei potuto fare? Vi racconterò la mia storia, signori, poi vi chiederò, da uomo a uomo, che altro avrei potuto fare? Devo tornare un passo indietro. Sembra che lei sappia tutto, quindi saprà anche che la incontrai quando era una passeggera e io ero primo ufficiale a bordo della Rock of Gibraltar. Fino dal primo giorno, non ci fu per me altra donna che lei. L'amai sem-

pre di più, giorno dopo giorno di quel viaggio e molte volte, nel cuore della notte, mi sono chinato a baciare le tavole del ponte dove erano passati i suoi piedini. Non fummo mai fidanzati. Fu leale nei miei confronti come mai donna fu leale verso un uomo. Non ho nulla da rimproverarle. Io l'amavo disperatamente ma lei vedeva in me solo un camerata e un amico. Quando ci separammo, lei era assolutamente libera ma io non lo sarei stato mai pìu. Al mio ritorno dal viaggio successivo, venni a sapere che si era sposata. Be', perché non avrebbe dovuto sposare chi voleva? Titolo e denaro - chi meglio di lei poteva dimostrarsene degna? Era nata per tutto ciò che è bello e raffinato. Non mi rammaricai del suo matrimonio. Non ero tanto meschino. Anzi, mi rallegrai per la sua buona sorte e per il fatto che non si fosse buttata via con un marinaio senza un soldo. A tal punto amavo Mary Fraser. Bene, pensavo che non l'avrei mai più rivista ma, in occasione del mio ultimo viaggio, fui promosso e la mia nuova nave non era ancora stata varata, quindi-trascorsi i due mesi di attesa con la mia famiglia a Sydenham. Un giorno, in una stradina di campagna, incontrai Theresa Wright, la sua vecchia governante. Mi raccontò tutto di lei, di lui, di ogni cosa. Vi assicuro, signori, che mi sentii impazzire. Quel farabutto alcolizzato, che si permetteva di alzare le mani su una donna cui non era nemmeno degno di leccare le scarpe! Mi incontrai di nuovo con Theresa. Poi incontrai la stessa Mary - e la incontrai di nuovo. Poi non volle più che ci vedessimo. Ma l'altro giorno ricevetti l'ordine di salpare entro una settimana, e decisi di rivederla ancora una volta prima di partire. Theresa mi era sempre stata amica, perché amava Mary e odiava quella canaglia quasi quanto me. Da lei appresi le abitudini della casa. Mary si fermava a leggere nel suo salottino a pianoterra. Ieri sera mi recai là, furtivamente, e grattai ai vetri della finestra. In principio, non voleva aprirmi ma so che ora, in cuor suo, mi ama e non poteva lasciarmi fuori al freddo. Mi sussurrò di fare il giro fino alla grande porta-finestra sul davanti, che trovai aperta, e mi fece entrare in sala da pranzo. Ancora una volta, sentii proprio dalla sua bocca cose che mi fecero ribollire il sangue, e ancora una volta stramaledissi quel bruto che maltrattava la donna che amavo. Bene, signori, mi trovavo con

lei, all'interno della porta-finestra, in tutta innocenza, come Dio mi è testimonio, quando quell'individuo si precipitò come un pazzo nella stanza, le lanciò i peggiori epiteti che un uomo possa lanciare a una donna e le diede un colpo sulla faccia col bastone che aveva in mano. Io avevo afferrato l'attizzatoio e ci mettem-

mo a lottare. Guardi qui, sul braccio porto ancora il segno del suo primo colpo. Poi a colpirlo fui io e l'ho frantumato come una zucca marcia. Credete che mi dispiacesse? Nemmeno per idea! Era la sua vita o la mia, ma anche molto di più, la sua vita o quella della mia donna, perché, come potevo lasciarla nelle mani di quel pazzo? Ecco come l'ho ucciso. Ho fatto male? Bene, e allora cosa avreste fatto voi, signori, nei miei panni? Aveva urlato quando lui l'aveva colpita e la vecchia Theresa era scesa subito. Sulla credenza c'era una bottiglia di vino, l'aprii e ne versai un po' fra le labbra di Mary, semisvenuta per lo shock. Poi, ne bevvi un goccio io. Theresa rimase calmissima e l'idea fu sua quanto mia. Decidemmo di far apparire che era stata tutta colpa dei ladri. Theresa continuò a ripetere la nostra storia alla sua padrona mentre io mi arrampicavo a tagliare il cordone del campanello. Poi, legai Mary sulla sedia e sfrangiai l'estremità del cordone per dare verosimiglianza alla cosa, altrimenti si sarebbero potuti chiedere come avessero fatto i ladri ad arrampicarsi e a tagliarlo. Presi poi qualche pezzo d'argenteria, per rafforzare la tesi del furto e me ne andai dicendo loro di darmi un vantaggio di quindici minuti prima di dare l'allarme. Buttai l'argenteria nello stagno e mi diressi verso Sydenham sentendo che, una volta tanto in vita mia, avevo fatto una buona nottata di lavoro. Questa è la verità, tutta la verità, signor Holmes, anche se mi costerà il collo.» Holmes rimase per un po' a fumare in silenzio. Poi andò verso il nostro ospite e gli strinse la mano. «Questo le fa capire come la penso», disse. «So che ha detto la verità, perché non ha detto una sola parola che io già non sapessi. Solo un acrobata o un marinaio avrebbe potuto raggiungere il cordone del campanello da quella mensola, e solo un marinaio avrebbe potuto fare i nodi con i quali la corda era assicurata alla sedia. La signora era stata in contatto con gente di mare un' unica volta, in occasione del suo viaggio, e doveva trattarsi di una persona del suo stesso ceto dal momento che stava cercando in tutti i modi di coprirlo, dimostrando così che ne era innamorata. Come vede, mi è stato molto facile trovarla, una volta partito sulla pista giusta.» «Pensavo che la polizia non avrebbe mai scoperto il trucco.» «Infatti non l'hanno scoperto, né mai lo scopriranno, secondo me. Ascolti, capitano Crocker, si tratta di una cosa molto grave, anche se sono disposto ad ammettere che lei abbia agito in condizioni di provocazione estrema. Probabilmente il suo operato potrebbe essere considerato come un atto di legittima difesa. Ma questo dovrà deciderlo la giuria. Nel frattempo, per

dimostrarle la mia simpatia e la mia comprensione, se lei nelle prossime ventiquattr'ore decide di scomparire, le prometto che nessuno glielo impedirà.» «E dopo verrà fuori tutto?» «Verrà fuori certamente.» Il marinaio avvampò per la collera. «Per che razza di uomo mi prende? Conosco abbastanza la legge per sapere che Mary sarebbe accusata di complicità. Crede davvero che la lascerei affrontare da sola un processo, mentre io me la squaglio? Nossignore, che facciano di me quello che vogliono ma, per amor di Dio, signor Holmes, trovi il modo di tenere la mia Mary lontano dal tribunale.» Per la seconda volta Holmes tese la mano al marinaio. «Stavo solo mettendola alla prova, e lei si è dimostrato all'altezza. Bene, mi assumo una grossa responsabilità, ma ho dato un ottimo suggerimento a Hopkins e, se non saprà servirsene,

non c'è altro che io possa fare. Senta, capitano Crocker, agiremo secondo la legge. Lei è il prigioniero. Lei, Watson, rappresenterà la giuria, e non conosco uomo che potrebbe farlo più degnamente di lei. Io sono il giudice. Ora, signori della giuria, avete sentito le testimonianze. Ritenete l'accusato colpevole o innocente?» «Innocente, Vostro Onore», risposi. «Vox popull, vox Dei. Lei è assolto, capitano Crocker. Fino a quando la legge non troverà un'altra vittima, io non avrò nulla da rimproverarle. Ritorni fra un anno dalla signora e che il vostro futuro possa giustificare la sentenza che abbiamo emesso questa sera!» Next Page

L'avventura della seconda macchia Avevo deciso che «L'avventura di Abbey Grange» sarebbe stato l'ultimo exploit del mio amico Sherlock Holmes che avrei riferito al pubblico. Decisione, però, non dovuta a mancanza di materiale, dal momento che fra i miei appunti figurano centinaia di casi di cui non ho mai fatto cenno; né a un diminuito interesse da parte dei miei lettori per la straordinaria personalità e i metodi singolari di quell'uomo fuori dal comune. Il vero motivo era la riluttanza di Holmes a permettermi di continuare a pubblicare le sue esperienze. Finché era, per così dire, in «servizio attivo», poteva essergli utile che la gente fosse informata dei suoi successi; ma, dal momento che aveva definitivamente abbandonato Londra per ritirarsi a studiare e ad allevare api nei Sussex Downs, la notorietà gli era diventata insopportabile e mi aveva perentoriamente ingiunto di rispettare i suoi desideri. Solo dopo che gli feci notare come avessi promesso di pubblicare «L'avventura della seconda macchia» quando fosse stato il momento: e come fosse giusto che quella lunga serie di episodi culminasse nel più importante caso internazionale di cui fosse stato mai chiamato a interessarsi, riuscii finalmente a strappargli il consenso di rendere noto al pubblico, sia pure con le dovute cautele, il resoconto di quell'incidente. Se in alcuni punti questo mio racconto potrà apparire piuttosto vago, i miei lettori comprenderanno senza dubbio che esiste un ottimo motivo per la mia reticenza. Tutto accadde, quindi, in un anno, anzi, un decennio, che eviterò di menzionare, la mattina di un martedì d'autunno quando due visitatori di fama europea entrarono fra le mura della nostra umile casa di Baker Street. Uno di essi, austero, col naso aquilino, e lo sguardo imperioso, altri non era che l'illustre Lord Bellinger, due volte primo ministro di Gran Bretagna. L'altro, scuro di carnagione, dai tratti ben definiti, elegante, non ancora di mezza età, avvenente di corpo e di mente, era l'onorevolissimo Trelawney Hope, segretario per gli Affari Europei, l'astro sorgente della politica nazionale. Si sedettero, l'uno accanto all'altro, sul nostro divano cosparso di carte e giornali; dai loro

volti tesi e ansiosi, era facile comprendere che il motivo per cui erano venuti da noi era della massima importanza. Le mani sottili e venate d'azzurro del primo ministro erano serrate intorno al pomo d'avorio del suo ombrello e il suo viso, scavato e ascetico, guardava cupamente da Holmes a me. Il segretario per l'Europa si tormentava nervosamente i baffi giocherellando con i ciondoli della catena dell'orologio. «Quando, questa mattina alle otto, ho scoperto il furto, signor Holmes, ne ho immediatamente informato il primo ministro. È dietro suo suggerimento che siamo qui da lei.» «Avete informato la polizia?» «No, signore», rispose il primo ministro col tono rapido e deciso per cui andava famoso. «Non lo abbiamo fatto, né possia-

mo farlo. Informare la polizia significherebbe, prima o poi, informare il pubblico. Ed è quello che vogliamo a tutti costi evitare.» «Perché mai?» «Perché il documento in questione è di tale importanza che la sua divulgazione potrebbe facilmente - direi, anzi, probabilmente - creare gravissime complicazioni a livello europeo. Non è esagerato affermare che è una questione di pace o di guerra. Se non si riesce a recuperarlo nel massimo segreto, tanto varrebbe non recuperarlo affatto, poiché l'unico scopo cui mirano coloro che l'hanno sottratto è appunto quello di renderne pubblicamente noto il contenuto.» «Capisco. E adesso, signor Trelawney Hope, le sarei molto grato se volesse espormi esattamente in quali circostanze è sparito questo documento.» «Presto detto, signor Holmes. La lettera - perché si tratta di una lettera inviata da una potenza straniera - fu ricevuta sei giorni fa. Era talmente importante che non l'ho mai riposta nella cassaforte ma l'ho portata ogni sera con me a casa, a Whitehall Terrace, dove la riponevo in una valigia diplomatica, chiusa a chiave. E lì dentro, appunto, si trovava ieri sera. Di questo sono sicuro. Mentre mi stavo vestendo per la cena aprii la valigia e mi accertai che contenesse il documento. Questa mattina, era sparito. La valigia era rimasta per tutta notte accanto allo specchio sulla mia toilette. Tanto io che mia moglie abbiamo il sonno leggero. Siamo entrambi pronti a giurare che nessuno può essere entrato nella stanza durante la notte. Eppure, le ripeto che la lettera è scomparsa.» «A che ora avete cenato?» «Alle sette e mezza. » «Dopo quanto tempo siete andati a letto?»

«Mia moglie era andata a teatro. Io sono rimasto alzato ad aspettarla. Erano le undici e trenta quando siamo andati in camera.» «Dunque, per quattro ore la valigia diplomatica è rimasta incustodita?» ) «Nessuno è autorizzato a entrare in quella stanza, tranne la donna di servizio, la mattina, e il mio valletto o la cameriera personale di mia moglie, durante il giorno. Sono entrambi domestici fidatissimi, con noi da parecchio tempo. Inoltre, nessuno di loro poteva sapere che, nella mia valigia, ci fosse qualcosa di più importante che non le solite carte d'ufficio.» «Chi sapeva dell'esistenza di quella lettera?» «In casa, nessuno.» «Ma sicuramente, sua moglie lo sapeva.» «No, signore. Non gliene avevo parlato fino a quando ho visto, stamattina, che non c'era più.» Il premier fece un cenno di assenso col capo. «Conosco da molto tempo, signore, il suo senso del dovere», disse, «e sono convinto che un segreto di tale importanza sarebbe passato avanti a tutti i più stretti leganti familiari.» Il segretario per l'Europa si inchinò. «Dicendo questo, signore, lei non fa che rendermi giustizia. Fino a questa mattina non avevo neanche lontanamente accennato la cosa a mia moglie.» «Avrebbe potuto immaginarlo?» «No, signor Holmes, non avrebbe potuto - né lei né nessun altro.» «Le è mai successo prima di smarrire dei documenti?» «No signore.» «Chi, in Inghilterra, era a conoscenza di quella lettera?» «Tutti i membri del Gabinetto ne sono stati informati ieri, ma l'impegno di segretezza che ricopre ogni riunione di Gabinetto fu rafforzato dal severo monito del primo ministro. Santo cielo, pensare che, nell'arco di poche ore, sarei stato proprio io a perderla!» Il suo bel viso era sconvolto dalla disperazione, e si strappava i capelli. Per un attimo, intravedemmo l'uomo, im-

pulsivo, passionale, estremamente sensibile. Poi calò di nuovo la maschera aristocratica e, con voce controllata, riprese: «Oltre ai membri del Gabinetto ci sono due, o forse tre, funzionari del ministero che sanno della lettera. Nessun altro in tutta l'Inghilterra, signor Holmes, glielo assicuro.» «Ma all'estero? » «Credo che all'estero nessuno abbia visto la lettera, salvo co-

lui che l'ha scritta. Sono praticamente certo che non si è servito dei suoi ministri - dei consueti canali ufficiali.» Holmes rifletté per qualche minuto. «Ora, signore, sono costretto a chiederle ulteriori particolari su questo documento e sul perché la sua scomparsa potrebbe avere ripercussioni così catastrofiche.» I due statisti si scambiarono una rapida occhiata e il primo ministro aggrottò le ispide sopracciglia. «Signor Holmes, si tratta di una busta lunga, sottile, di colore azzurro chiaro. C'è un sigillo di ceralacca rossa con su impresso un leone acquattato. L'indirizzo è scritto con una calligrafia larga, decisa, e il destinatario...» «Temo proprio, signore», lo interruppe Holmes, «che, per interessanti e anzi importanti che siano questi particolari, le mie indagini devono andare a fondo della cosa. Che diceva la lettera?» «Questo è un importantissimo segreto di Stato e temo di non poterglielo dire, e non ne vedo la necessità. Se, grazie all'abilità che, si dice, lei possiede può trovare una busta quale le ho descritto, col relativo contenuto, lei avrà compiuto un'opera meritoria nei confronti del suo paese e meritato qualsiasi ricompensa noi siamo in grado di elargirle.» Holmes si alzò con un sorriso. «Siete due degli uomini più occupati del paese», disse, «e anche io, nel mio piccolo, ho molti impegni. Sono davvero dolente di non potervi aiutare in questa circostanza, ma ritengo che prolungare questo colloquio sarebbe solo una perdita di tempo.» Il premier balzò in piedi, con quello sguardo feroce che aveva fatto tremare più di un Gabinetto. «Non sono avvezzo, signore...», cominciò, poi controllò la sua ira rimettendosi seduto. Per un minuto o due restammo tutti in silenzio. Poi l'anziano statista si strinse nelle spalle. «Dobbiamo accettare le sue condizioni, signor Holmes. Senza dubbio lei ha ragione ed è assurdo, da parte nostra, chiedere il suo intervento se non le diamo la nostra completa fiducia.» «Sono d'accordo con lei», confermò il più giovane. «Glielo dirò, dunque, facendo ciecamente affidamento sul suo onore e su quello del suo collega, il dottor Watson. Potrei anche appellarmi al suo patriottismo, poiché non saprei immaginare sventura peggiore per il nostro paese che la divulgazione di questa incresciosa faccenda. » «Può fidarsi assolutamente di noi.» «Bene, la lettera proviene da un certo potentato straniero che si è risentito per alcuni sviluppi di carattere coloniale del nostro

paese. È stata scritta sull'impulso del momento e sotto la sua totale responsabilità. È stato appurato che i suoi ministri ne sono all'oscuro. Al tempo stesso, la lettera è stilata in termini così inopportuni, e alcune frasi hanno un tono così provocatorio, che se fosse portata a conoscenza della cittadinanza provocherebbe una ondata di sdegno e non esito ad affermare che, entro una settimana, l'Inghilterra sarebbe coinvolta in un conflitto armato.» Holmes scrisse un nome su un foglietto di carta che porse al premier. «Esattamente. Proprio lui. Ed è questa lettera - questa lettera che potrebbe voler dire la perdita di miliardi di sterline e di centinaia di migliaia di vite umane - che è andata smarrita in maniera così incomprensibile. »

«Ne ha informato il mittente?» «Sì, è stato spedito un telegramma cifrato.» «Forse quella persona desidera che la lettera venga resa pubblica.» «No, abbiamo fondati motivi di ritenere che si stia già rendendo conto di avere agito con poca discrezione e molta avventatezza. Per lui e per il suo paese sarebbe un colpo ancor più grave che per noi, se si risapesse il contenuto della lettera.» «In questo caso, chi mai avrebbe interesse a diffonderla? Perché qualcuno dovrebbe desiderare di rubarla o di pubblicarla?» «Qui, signor Holmes, entriamo nel campo dell'alta politica internazionale. Ma se lei considera la situazione europea, non avrà difficoltà a comprenderne il motivo. L'intera Europa è un campo di battaglia. Esistono due schieramenti di potere militare che più o meno si equivalgono. La Gran Bretagna regge il braccio della bilancia. Se dovesse muovere guerra a una delle due confederazioni, garantirebbe la supremazia dell'altra, sia che essa entri in guerra o che rimanga neutrale. Mi segue?» «Perfettamente. Quindi, è interesse dei nemici di questo potentato entrare in possesso di questa lettera e divulgarla, così da provocare una rottura fra il suo paese e il nostro?» «Proprio così.» «E a chi verrebbe inviato questo documento, se cadesse nelle mani del nemico?» «A una qualsiasi delle principali Cancellerie europee. Probabilmente, in questo preciso istante, sta viaggiando alla sua volta con tutta la celerità possibile. » Il signor Hope chinò la testa sul petto con un profondo gemito. Il primo ministro gli mise dolcemente una mano sulla spalla. «Non è colpa sua, mio caro. Nessuno può imputarla a lei.

Non ha tralasciato nessuna precauzione. Ora, signor Holmes, lei è in possesso di tutti i dati. Cosa ci consiglia di fare?» Holmes scosse il capo con aria dolente. «Lei ritiene che, a meno che il documento non venga recuperato, ci sarà una guerra?» «Lo credo molto probabile.» «Allora, signore, si prepari alla guerra.» «Una sentenza molto dura, signor Holmes.» «Consideri i fatti. È inconcepibile che sia stata sottratta dopo le undici e trenta di sera dato che, a quanto avete detto, il signor Hope e sua moslie erano entrambi nella camera, da quel momento a quando fu scoperta la sparizione della lettera. Quindi, è stata rubata ieri sera fra le sette e trenta e le undici e trenta, probabilmente più verso le sette e trenta dal momento che, chiunque l'abbia presa, sapeva che era lì e, naturalmente, voleva impadronirsene il più presto possibile. Ora, signore, se un documento di tale importanza è stato sottratto a quell'ora dove pensa che sia adesso? Nessuno aveva interesse a trattenerlo. È stato rapidamente passato a chi ne aveva bisogno. Che possibilità abbiamo di intercettarlo o anche di rintracciarlo? È fuori dalla nostra portata. » Il primo ministro si alzò dal divano. «Quello che lei dice è perfettamente logico, signor Holmes. Credo proprio che oramai la faccenda ci sia sfuggita di mano.» «Supponiamo, per amore di chiacchiera, che il documento sia stato sottratto dalla cameriera o dal valletto...» «Sono entrambi domestici fidati.» «A quanto lei mi ha detto, la sua camera è al secondo piano, non c'è accesso dall'esterno, e da quello interno nessuno poteva salire inosservato. Allora, deve averla presa qualcuno della casa. A chi la consegnerebbe il ladro? A una delle tante spie o agenti internazionali, i cui nomi mi sono discretamente familiari. Quelli che potrebbero definirsi i più abili nella loro professione sono tre. Comincerò le mie ricerche, andando in giro a scoprire se ognuno di loro è al suo posto. Se uno di loro manca specialmente se è scomparso durante la scorsa notte - avremo un indicazione circa la destinazione ultima del documento.»

«Perché dovrebbe essere scomparso?», chiese il segretario per l'Europa. «Molto probabilmente, consegnerebbe la lettera a un' ambasciata qui a Londra.» «Direi di no. Questi agenti operano indipendentemente e spesso i loro rapporti con le ambasciate sono piuttosto tesi.» Il primo ministro assentì col capo. «Credo abbia ragione, signor Holmes. Porterebbe un bottino

così prezioso al suo quartier generale, con le sue stesse mani. Credo che il suo piano d'azione sia eccellente. Frattanto, Hope, non possiamo accantonare tutti i nostri impegni a causa di questa disgrazia. Se ci fossero novità durante il giorno ci metteremo in contatto con lei, e lei, dal canto suo, ci terrà naturalmente informati sui risultati delle sue indagini.» I due statisti s'inchinarono e uscirono, seri e cupi, dalla stanza. Quando i nostri illustri visitatori se ne furono andati, Holmes accese in silenzio la pipa e rimase a meditare. Io avevo aperto il giornale del mattino e stavo leggendo con interesse la cronaca di un sensazionale delitto accaduto a Londra la sera prima, quando il mio amico, con un'esclamazione, si alzò di scatto posando la pipa sul caminetto. «Sì», disse. «Questo è l'approccio migliore. La situazione è gravissima ma non disperata. Anche adesso, se sapessimo con certezza chi di loro l'ha presa, forse è possibile che non l'abbia ancora consegnata. Dopotutto, con quella gente è solo una questione di soldi, e ho dalla mia il Ministero del Tesoro. Se la lettera è in vendita, l'acquisterò - anche se mi aumenteranno le tasse. È verosimile che quel tipo la conservi per esaminare le offerte da questa parte prima di provare con l'altra. Sono solo tre quelli capaci di tentare un gioco così audace - Oberstein, La Rothiere ed Eduardo Lucas. Andrò da ciascuno di loro.» Diedi un'occhiata al giornale del mattino. «Sta parlando di Eduardo Lucas, di Godolphin Street?» «Sì.» «Allora è inutile che ci vada.» «Perché?» «È stato assassinato a casa sua, ieri notte.» Nel corso delle sue avventure il mio amico mi aveva tante volte lasciato a bocca aperta che esultai al vedere che, per una volta, la situazione si era capovolta. Mi guardò sbalordito poi mi strappò di mano il giornale. Il paragrafo che stavo leggendo quando lui si era alzato era il seguente: ASSASSINIO A WESTMINSTER Un misterioso delitto è stato commesso la notte scorsa al n. 16 di Godolphin Street, una di quelle strade antiche e appartate fiancheggiate da dimore settecentesche che si trovano fra il fiume e l'Abbazia, quasi ai piedi della grande Torre del Parlamento. In una di queste piccole ma eleganti case abitava da qualche anno il signor Eduardo Lucas, molto noto negli ambienti sociali per la sua affascinante personalità e per la sua ben meritata reputazione di essere uno

dei migliori tenori non professionisti del paese. Il signor Lucas è scapolo, ha trentaquattro anni e la sua servitù si compone della signora Pringle, un'anziana governante, e di Milton, il suo valletto. La governante si corica presto e la sua stanza è all'ultimo piano. Il valletto aveva la serata libera ed era andato a trovare un amico ad Hammersmith. Dalle dieci in poi, il signor Lucas era solo in casa. Non si sa ancora cosa sia successo durante quelle ore ma, a mezzanotte meno un quarto, il vigile Barrett, passando lungo Godolphin Street, notò che la porta del n. 16 era socchiusa. Bussò ma nessuno rispose. Scorgendo una luce nella stanza sul davanti entrò nell'androne e bussò di nuovo; anche questa volta, nessuno rispose. Spinse allora la porta ed entrò. La stanza era nel caos, i mobili spinti da una parte e una sedia rovesciata al centro. Accanto alla sedia, con la mano ancora stretta intorno a una delle gambe, giaceva lo sfortunato inquilino. Era stato pugnalato al cuore e la morte deve essere stata istantanea. L'arma con cui era stato commesso il crimine è un pugnale indiano ricurvo che era stato preso da una panoplia di armi orientali che ornava una delle pareti. Sembra che il movente del delitto non sia stato il furto perché non era stato fatto alcun tentativo di trafugare gli oggetti di valore contenuti nella stanza. Il signor Eduardo Lucas era una figura tanto nota e popolare che la sua fine vio-

lenta e misteriosa susciterà profondo dolore e partecipazione fra i suoi numerosi amici.

«Bene, Watson, che ne pensa?», chiese Holmes dopo una lunga pausa. «Una coincidenza davvero strana!» «Coincidenza! Qui abbiamo uno dei tre uomini che abbiamo indicato come possibile attore in questo dramma, e muore di morte violenta proprio all'ora in cui noi sappiamo che il dramma si è svolto. Le possibilità che si tratti di una coincidenza sono di una contro un miliardo di miliardi. No, caro Watson, i due eventi sono collegati - devono essere collegati. Sta a noi scoprire il collegamento.» «Ma adesso la polizia saprà tutto.» «Non tutto. Sanno quello che vedono a Godolphin Street. Non sanno - e non sapranno - niente di Whitehall Terrace. Solo noi sappiamo delle due cose e possiamo scoprire quale nesso ci sia fra di loro. In ogni caso, c'è un fattore, ovvio, che avrebbe indirizzato i miei sospetti su Lucas. Godolphin Street, Westminster, è a pochi minuti di cammino da Whitehall Terrace. Gli altri agenti segreti che ho nominato vivono ai margini del West End. Era quindi più facile per Lucas che non per gli altri stabilire un contatto o ricevere un messaggio da qualcuno della casa del segretario per l'Europa - una piccolezza, ma quando gli eventi si svolgono entro un limitato arco di tempo, può dimostrarsi essenziale. E adesso? Cos'è questo?» Era entrata la signora Hudson portandoci sul vassoio il biglietto da visita di una signora. Holmes gli diede un'occhiata, inarcò le sopracciglia e me lo porse.

«Chieda a Lady Hilda Trelawney Hope se vuole avere la cortesia di salire», disse. Un attimo dopo il nostro modesto appartamento, già così onorato al mattino, fu onorato ancor di più dall'ingresso della donna più graziosa di Londra. Avevo spesso sentito parlare della bellezza della figlia minore del duca di Belminster, ma nessuna descrizione e nessuna sbiadita fotografia mi aveva preparato a un fascino così sottile e delicato, ai colori stupendi di quel volto squisito. Eppure, vedendolo quel mattino d'autunno, non era tanto la bellezza che colpiva. Il viso era grazioso ma pallido per l'emozione, gli occhi lucenti, ma di una lucentezza febbrile, le labbra sensibili, tese e indurite in uno sforzo di autocontrollo. Il terrore - non la bellezza - era la prima cosa che saltava agli occhi mentre la nostra bella visitatrice si stagliò per un attimo nel vano della porta. «Mio marito è stato qui, signor Holmes?» «Sì, signora, è stato qui.» «Signor Holmes, la scongiuro di non parlargli della mia visita.» Holmes, con un freddo inchino, fece cenno alla signora di accomodarsi. «Vostra Signoria mi mette in una posizione molto delicata. La prego di accomodarsi e di dirmi cosa desidera, ma temo di non poterle fare una promessa incondizionata.» Attraversò la stanza sedendosi di spalle alla finestra. Era una presenza regale - alta, elegante, piena di femminilità. «Signor Holmes», disse, chiudendo e aprendo le mani guantate di bianco, «le parlerò francamente sperando che lei voglia fare altrettanto con me. La confidenza fra me e mio marito è totale tranne che per una cosa. La politica. Su quell'argomento le sue labbra sono sigillate. Non mi dice nulla. Ora, so che ieri sera, a casa nostra, si è verificato un deplorevole incidente. So che è scomparso un documento. Ma, dal momento che si tratta di una questione politica, mio marito non vuole parlarmene. Ora, è indispensabile - ripeto, indispensabile - che io possa capire fino in fondo di che si tratta. Lei è l'unica persona, a parte i politici, a conoscenza di come stiano realmente le cose. La prego quindi, signor Holmes, mi dica esattamente cosa è accaduto e quali saranno le conseguenze. Mi dica tutto, signor Holmes.

Non tenga il segreto per riguardo agli interessi del suo cliente perché le assicuro che al suo interesse, se solo se ne rendesse conto, sarebbe più utile che io sapessi tutto. Che genere di documento è stato rubato?» «Signora, quello che lei mi chiede è veramente impossibile.» La donna, con un gemito, si nascose il viso fra le mani.

«Lei deve rendersene conto, signora. Se suo marito ritiene di doverla tenere all'oscuro di questa faccenda, pensa che io, al quale egli ha confidato la verità sotto il sigillo del segreto professionale, potrei rivelarle ciò che lui ha tenuto nascosto? Non è leale chiedermelo. Deve chiederlo a suo marito.» «L'ho fatto. Sono venuta da lei come ultima speranza. Ma, anche senza entrare in particolari, signor Holmes, lei potrebbe rendere un grande servigio dicendomi almeno una cosa.» «Quale, signora?» «La carriera di mio marito potrebbe venire compromessa da questo incidente?» «Bene, signora, a meno che non vi si possa porre rimedio potrebbe certamente provocare effetti molto spiacevoli.» «Ah!», inspirò rapidamente, come una persona sollevata dal dubbio. «Un'altra domanda, signor Holmes. Da una frase pronunciata da mio marito nel primo momento di sbigottimento, ho capito che la perdita di questo documento potrebbe avere gravissime ripercussioni pubbliche.» «Se lui ha detto questo, non posso certo negarlo.» «Ripercussioni di che tipo?» «Mi spiace, signora, ma lei mi sta chiedendo più di quanto io possa dirle.» «Allora non le ruberò altro tempo. Non posso darle torto, signor Holmes, per aver rifiutato di parlarmi più francamente e sono certa che, da parte sua, non giudicherà male il mio desiderio di condividere le ansie di mio marito, sia pure contro la sua volontà. La prego ancora di non far parola della mia visita.» Sulla soglia, si fermò a guardarci ed ebbi un'ultima visione di quel bel volto ansioso, gli occhi spaventati, la bocca tesa. Poi uscì. «Dunque, Watson, il bel sesso è più campo suo che mio», disse con un sorriso Holmes quando il raffinato fruscio della veste scomparve col tonfo della porta che si richiudeva. «A che gioco giocava la signora? Qual era il vero scopo della sua visita?» «Mi sembra che lo abbia detto molto chiaramente, e la sua ansia era autentica. » «Hum! Pensi un momento al suo comportamento, Watson - i suoi modi, l'agitazione repressa, l'irrequietezza, l'insistenza delle sue domande. Rammenti che viene da una classe di persone non avvezze a dimostrare apertamente i propri sentimenti.» «Non c'è dubbio che fosse molto turbata.» «E rammenti anche la strana enfasi con cui ci ha assicurato che era meglio per suo marito se lei fosse stata informata di tut-

to. Che intendeva dire? E deve anche aver notato, Watson, il modo in cui ha manovrato per sedersi con la luce alle spalle. Non voleva che leggessimo sul suo viso.» È vero, ha scelto l'unica sedia della stanza.» «Le donne, inoltre, agiscono per motivi imperscrutabili. Ricorda la donna di Margate che mi fece insospettire per lo stesso motivo? Non si era incipriata il naso - e quella si dimostrò la giusta soluzione. Come si può costruire su queste sabbie mobili? Il loro gesto più banale può significare volumi, o la loro condotta più straordinaria può dipendere da una forcina o un ferro da ricci. Arrivederci, Watson.» «Esce?» «Sì. Trascorrerò la mattinata con i nostri amici poliziotti a Godolphin Street. La chiave del problema è Eduardo Lucas, anche se confesso di non avere per ora la minima idea di che chiave

si tratti. È un grosso errore formulare ipotesi prima di conoscere i fatti. Lei rimanga di guardia, caro Watson, e riceva eventuali altri visitatori. Se mi sarà possibile, tornerò per l'ora di pranzo.» Per tutto quel giorno, il giorno dopo, e il giorno dopo ancora, Holmes rimase di un umore che i suoi amici definirebbero taciturno, ma che gli altri definirebbero scontroso. Usciva ed entrava, fumava una sigaretta dietro l'altra, suonava qualche passaggio sul violino, si abbandonava a sogni ad occhi aperti, divorava tramezzini nelle ore più impossibili e non rispondeva nemmeno alle mie occasionali domande. Evidentemente, le cose non procedevano come avrebbe voluto. Non disse una parola sulla faccenda di cui si stava occupando, e solo dai giornali venni a conoscere i particolari dell'inchiesta, e l'arresto, seguito da un immediato rilascio, di John Mitton, il valletto del defunto. La giuria del coroner emise lo scontato verdetto di omicidio volontario, ma i colpevoli continuarono a rimanere sconosciuti. Non fu avanzato nessun movente. La stanza era piena di oggetti di valore che non erano stati toccati. Le carte del morto non erano state manomesse. Furono accuratamente esaminate e dimostrarono che Lucas era un attento studioso di politica, un inguaribile pettegolo, un notevole linguista e un instancabile scrittore di lettere. Era stato in termini di stretta amicizia con i principali politici di varie nazioni. Ma fra i documenti che riempivano i suoi cassetti, non si era scoperto niente di sensazionale. In quanto ai suoi rapporti con le donne, sembravano essere stati promiscui ma superficiali. Aveva molte conoscenze fra il bel sesso, ma poche amiche, e nessuna particolare fiamma. Le sue abitudini era-

no regolari, la sua condotta inoffensiva. La sua morte era un completo mistero, e sembrava destinata a rimanere tale. In quanto all'arresto di John Mitton, il valletto, era stata una decisione estrema, presa come alternativa alla inazione totale. Ma fu impossibile sostenere un'accusa contro di lui. Quella sera si trovava ad Hammersmith, a casa di amici. Un alibi di ferro. È vero che era uscito dalla loro casa a un'ora che lo avrebbe dovuto riportare a Westminster prima della scoperta del delitto, ma la sua asserzione di aver coperto a piedi parte del tragitto sembrava abbastanza probabile, visto che era una bellissima serata. Era arrivato a casa a mezzanotte e sembrava sconvolto dalla inaspettata tragedia. Era stato sempre in ottimi rapporti col padrone. Molti oggetti appartenenti al defunto - specialmente un piccolo necessaire per la barba - furono trovati fra gli effetti personali del valletto, ma egli spiegò che erano regali del padrone, e la governante lo confermò. Mitton era al servizio di Lucas da tre anni. Era strano che Lucas non lo avesse mai portato con sé sul Continente. A volte, si era recato a Parigi per tre mesi, lasciando però Mitton a occuparsi della casa di Godolphin Street. In quanto alla governante, la sera del delitto non aveva sentito niente. Se il suo padrone riceveva una visita, era lei a far entrare l'ospite. Così, per quanto potevo leggere nei giornali, dopo tre gorni il mistero era ancora al punto di partenza. Se Holmes sapeva qualcosa di più, lo teneva per sé ma, quando mi disse che l'ispettore Lestrade lo aveva messo a parte del caso, compresi che era al corrente di tutti gli sviluppi. Il quarto giorno, la stampa riportò un lungo telegramma, proveniente da Parigi, che sembrava risolvere tutto. La polizia parigina (scriveva il Daily Telegraph) ha appena fatto una scoperta che solleva il velo sulla tragica sorte del signor Eduardo Lucas, trovato brutalmente ucciso la sera di lunedì scorso a Godolphin Street, Westminster. I lettori ricorderanno che il defunto fu rinvenuto nella sua camera, pugnalato, e che i sospetti ricaddero sul valletto il quale, però, fu in grado di presentare un alibi inoppugnabile. Ieri alcuni domestici hanno informato le autorità che una certa signora conosciuta come Mme Fournaye moglie di Henri Fournaye, abitante in una villetta di Rue Austerlitz, era impazzita. Esami clinici hanno accertato che effettivamente la donna soffriva di una forma di mania pericolosa e irreversibile. Indagini condotte dalla polizia hanno appurato che Mme. Fournaye era appena rientrata da un viaggio a Londra, martedì scorso, e, da

alcuni elementi, sembra la si possa collegare al delitto di Westminster. Da un confronto fotografico si è potuto dimostrare senza ombra di dubbio che M. Henri Fournaye ed Eduardo Lucas erano la stessa persona e che il defunto, per qualche motivo, conduceva una doppia vita a Londra e a Parigi. Mme Fournaye, di origine creola, è una donna estremamente emotiva e in passato ha da-

to segni di gelosia quasi maniacale. Si ritiene che, durante uno di questi accessi di gelosia, abbia commesso il terribile crimine che tanta sensazione ha destato fra la popolazione londinese. Non è stato ancora possibile ricostruire i suoi movimenti durante quel lunedì sera, ma una donna rispondente alla sua descrizione, attirò l'attenzione, il martedì mattina, alla stazione di Charing Cross, per il suo aspetto sconvolto e il suo violento gesticolare. È probabile quindi che ella abbia compiuto il crimine in stato di infermità mentale, o che il crimine stesso abbia fatto perdere la ragione alla povera donna. Al momento, non è in condizioni di fornire un resoconto coerente di quelle ore e i sanitari disperano in un suo ritorno alla normalità. È stato anche accertato che una donna, che avrebbe potuto essere Mme Fournaye, è stata vista lunedì sera, ferma, per qualche ora, a osservare la casa di Godolphin Street.

«Che ne dice, Holmes?», gli avevo letto l'articolo mentre finiva di far colazione. «Caro Watson», rispose alzandosi da tavola e mettendosi a passeggiare su e giù per la stanza, «apprezzo la sua grande pazienza, ma se non le ho detto niente negli ultimi tre giorni è perché non c'è niente da dire. Anche adesso, questo rapporto da Parigi ci aiuta ben poco.» «Direi che è definitivo per quanto riguarda la morte di quell'uomo.» «La morte di quell'uomo non è che un incidente - una bazzecola - in confronto al nostro compito reale che è quello di rintracciare quel documento e scongiurare una catastrofe europea. Una sola cosa importante è successa in questi ultimi tre giorni, e cioè che non è successo niente, Quasi ogni ora, ricevo comunicati governativi ed è certo che in nessuna nazione d'Europa c'è aria di pericolo. Ora, se questa lettera fosse in circolazione no, non può essere in circolazione - ma, se non è in circolazione, dove è finita? Chi ce l'ha? Perché non viene resa nota? Questo è l'interrogativo che mi martella nel cervello. È stata una coincidenza che Lucas fosse ucciso proprio la sera in cui è scomparsa la lettera? L'ha mai avuta fra le mani? E, in caso affermativo, come mai non è fra le sue carte? Se l'è portata via quella pazza di sua moglie? E, in questo caso, è nella sua casa di Parigi? Ma come posso perquisirla senza suscitare i sospetti della polizia francese? Questo, mio caro Watson, è uno di quei casi in cui la legge è per noi altrettanto pericolosa dei criminali. Tutto è contro di noi, ma la posta in gioco è colossale. Se riuscissi a concluderla con successo, toccherei sicuramente il vertice della mia carriera. Ah, ecco l'ultimo bollettino dal fronte!» Diede una rapida occhiata a un messaggio che gli era stato consegnato. «Bene! Sembra che Lestrade abbia notato qualcosa di interessante. Prenda li cappello, Watson, e faremo una passeggiata fino a Westminster.»

Era la mia prima visita alla scena del delitto - una casa alta, squallida, stretta, compassata, formale e solida, come il secolo che l'aveva vista nascere. Alla finestra principale, scorgemmo la faccia da bulldog di Lestrade che ci accolse con calore dopo che un poliziotto grande e grosso ci aprì la porta e ci fece entrare nella stanza dove era stato commesso il delitto, anche se oramai l'unica traccia che ne restava era una sinistra macchia irregolare sul tappeto. Un piccolo tappeto grezzo, quadrato, al centro della stanza, circondato da un'ampia zona di antico parquet a blocchi quadrati, lucidissimo. Accanto al camino, una stupenda collezione di armi, una delle quali era stata usata quella tragica notte. Nel vano della finestra, c'era un sontuoso scrittoio e ogni particolare dell'appartamento, dai quadri ai tappeti e agli addobbi, parlava di un gusto talmente lussuoso da sconfinare nell'effeminato. «Ha visto le notizie da Parigi?», chiese Lestrade.

Holmes accennò di sì col capo. «Pare che questa volta i nostri amici francesi abbiano fatto centro. Senza dubbio, è come dicono. La donna ha bussato alla porta - una visita a sorpresa, immagino, perché teneva le sue vite nettamente separate - e lui l'ha fatta entrare, non poteva lasciarla per la strada. Lei gli ha detto come l'aveva rintracciato, muovendogli i suoi rimproveri. Una cosa ha portato un'altra e poi, con quel pugnale così a portata di mano, è arrivata la fine. Non è stato però un gesto istantaneo perché quelle seggiole erano finite tutte laggiù e lui ne aveva una in mano, come se avesse cercato di tenerla a bada. Tutto chiaro, come se l'avessimo visto coi nostri occhi. » Holmes inarcò le sopracciglia. «Eppure mi ha mandato a chiamare?» «Ah, sì, quella è un'altra faccenda - una sciocchezza, ma il genere di cose che le interessano - bizzarra, sa, quella che lei definirebbe una stramberia. Niente a che fare col fatto principale - almeno a prima vista.» «Di che si tratta?» «Be', sa, dopo un delitto del genere, stiamo molto attenti a lasciare tutto dove si trova. Non è stato spostato niente. Un poliziotto di guardia ventiquattr'ore su ventiquattro. Questa mattina, sepolto il morto e conclusa l'indagine - almeno per quanto concerne questa stanza - abbiamo pensato di fare un po' d'ordine. Il tappeto. Vede, non è fissato, solo steso. Abbiamo avuto occasione di alzarlo. Abbiamo trovato...» «Sì? Avete trovato...» Il viso di Holmes si era incupito per l'ansia.

«Be', scommetto che non immaginerebbe nemmeno in cento anni quello che abbiamo trovato. Vede quella macchia sul tappeto? Be', un bel po' di sangue deve avere inzuppato il tessuto, imbevendolo, no?» «Senza dubbio.» «E invece, sarà sorpreso di sapere che non c'è nessuna macchia nel punto corrispondente del parquet chiaro.» «Nessuna macchia! Ma deve...» «Sapevo che avrebbe detto così. Ma rimane il fatto che di macchie non ce ne sono.» Prese un angolo del tappeto e, rovesciandolo, ci mostrò che le cose stavano effettivamente così. «Ma il rovescio è macchiato come il diritto. Deve aver lasciato un segno.» Lestrade ridacchiò, felice per aver messo in difficoltà il famoso esperto. «E adesso le spiegherò come mai. C'è una seconda macchia, ma non corrisponde all'altra. Guardi lei stesso.» Parlando, aveva rovesciato un altro pezzo del tappeto e lì, in bella vista, c'era una larga macchia rossa sulla piastrella di legno chiaro del pavimento. «Che gliene pare, signor Holmes?» «Molto semplice. Le due macchie corrispondevano, ma il tappeto è stato girato. Non era fissato, quindi non c'era problema.» «La polizia ufficiale non ha bisogno di lei, signor Holmes, per sentirsi dire che il tappeto dev'essere stato girato. È evidente, dato che le due macchie combaciano - se le appoggia così. Ma quello che voglio sapere, è chi ha spostato il tappeto, e perché?» Dal volto rigido di Holmes potevo capire che, dentro di sé, vibrava di eccitazione. «Senta, Lestrade», disse, «il poliziotto nel corridoio è rimasto di guardia tutto il tempo?» «Sì, tutto il tempo.» «Allora, ascolti il mio consiglio. Lo interroghi a fondo. Ma non davanti a noi. Noi l'aspetteremo qui. Lo conduca nella stanza sul retro. Sarà più probabile che confessi se sarete soli. Gli domandi come si è permesso di far entrare delle persone, e di lasciarle sole in questa stanza. Non gli chieda se lo ha fatto. Parli come se già lo sapesse. Gli dica che lei sa che qui c'è stato qualcu-

no. Lo metta sotto torchio. Gli dica che una piena confessione è l'unico modo per farsi perdonare. Faccia esattamente come le ho detto!» «Per Giove, se è così, lo sistemo io! », esclamò Lestrade. An-

dò difilato in anticamera e, un attimo dopo dalla stanza interna lo sentimmo bistrattare il poliziotto. «Adesso, Watson, adesso! », gridò frenetico Holmes. Tutta la sua diabolica forza, generalmente mascherata dietro quella sua aria svagata, esplose in un parossismo di energia. Tirò via il tappetino dal pavimento mettendosi carponi a cercar di scalzare con le unghie i tasselli di legno. Uno di essi girò su se stesso scoprendo una piccola cavità. Holmes ci infilò ansiosamente la mano, tirandola poi fuori con un ringhio di rabbia e disillusione. Era vuota. «Svelto, Watson, svelto! Rimettiamolo a posto.» Il listello fu ricollocato dov'era, e avevamo appena finito di sistemare bene il tappeto quando sentimmo nel corridoio la voce di Lestrade. Entrando, l'ispettore trovò Holmes languidamente appoggiato al caminetto, rassegnato e paziente, in atto di soffocare con la mano uno sbadiglio. «Mi spiace di averla fatta attendere, signor Holmes. Vedo che l'intera faccenda l'annoia mortalmente. Be', ha confessato, eccome! Venga qui, MacPherson. Racconti a questi signori la sua imperdonabile leggerezza.» Il grosso poliziotto, rosso in viso e con l'aria mortificata, entrò a malincuore nella stanza. «Non intendevo venir meno al mio compito, signore, glielo assicuro. La signorina si è presentata alla porta ieri sera - aveva sbagliato casa. Poi ci siamo messi a parlare. Ci si sente soli a stare di guardia tutto il giorno.» «Bene, e poi cos'è successo?» «Voleva vedere la scena del delitto - l'aveva letto sui giornali, mi disse. Era una signorina molto perbene, e mi sembrava che non ci fosse niente di male a farle dare un'occhiatina. Quando vide la macchia sul pavimento svenne, rimanendo come morta. Corsi sul retro a prendere dell'acqua, ma non riuscivo a farla rinvenire. Allora sono andato qui all'angolo, all'Ivy Plant, a cercare del brandy e quando sono tornato indietro la signorina si era ripresa e se n'era andata - forse si vergognava e non aveva il coraggio di rivedermi.» «E quel tappeto spostato?» «Be', signore, era un po' increspato, certo, quando sono tornato. Ma vede, svenendo era caduta proprio su di esso, ed è solo appoggiato sul pavimento lucido, senza niente che lo tenga fermo. L'ho raddrizzato io.» «E questo le serva di lezione, agente MacPherson; con me non si riesce a farla franca», disse Lestrade con dignitosa severità. «Senza dubbio, lei ha pensato che nessuno si sarebbe accorto

della sua infrazione agli ordini, eppure mi è bastato dare un'occhiata al tappeto per convincermi che qualcuno era stato fatto entrare nella stanza. Buon per lei che non manca niente, o si sarebbe trovato in brutti guai, brutti davvero. Mi spiace di averla fatta venire qui per una simile sciocchezza, signor Holmes, ma pensavo che il particolare della seconda macchia che non corrispondeva alla prima potesse interessarla.» «Certo, era estremamente interessante. Mi dica, agente, quella donna è stata qui una sola volta?» «Sì, signore, una sola.» «Chi era?» «Non so come si chiamasse, signore. Aveva risposto a un'inserzione con cui si cercava una dattilografa ed era venuta al numero civico sbagliato - era una ragazza molto simpatica, molto a posto.» «Alta? Bella?» «Sissignore, era molto alta. Immagino si potrebbe definire

bella. Forse qualcuno direbbe bellissima. "Oh, signor poliziotto, mi lasci dare un'occhiatina!" mi fa con una vocina gentile e insinuante, e ho pensato che non c'era niente di male se giusto si affacciava sulla porta.» «Come era vestita?» «Molto sobriamente - con un lungo mantello che le arrivava ai piedi.» «Che ora era?» «Si stava appena facendo scuro. Quando sono tornato col brandy, stavano accendendo i lampioni.» «Benissimo», disse Holmes, «Venga, Watson, credo che abbiamo del lavoro importante da sbrigare altrove.» Mentre uscivamo dalla casa, con l'avvilito poliziotto che ci aprì la porta, Lestrade era rimasto nella stanza sul davanti. Holmes si girò sui gradini mostrando qualcosa che teneva in mano. Il poliziotto guardava attentamente. «Santo cielo, signore!», esclamò sbalordito. Holmes si mise un dito sulle labbra, ripose nel taschino del panciotto quello che aveva in mano, e scoppiò a ridere mentre ci avviavamo per la strada. «Eccellente!», disse. «Venga, amico Watson, sta alzandosi il sipario sull'ultimo atto. Sarà sollevato nel sapere che non ci sarà una guerra, che l'onorevolissimo Trelawney Hope non sarà punito per la sua disavventura, che l'indiscreto sovrano non dovrà pagare per la sua indiscrezione, che il primo ministro non dovrà affrontare complicazioni a livello europeo e che, con un minimo di tatto e di abilità da parte nostra, nessuno do-

vrà rimetterci nemmeno un penny per quello che avrebbe potuto essere un incidente catastrofico. » Non riuscivo a contenere la mia ammirazione per quell'uomo straordinario. «Lei ha risolto il caso!», esclamai. «Non ancora, Watson. Rimangono dei punti oscuri ancora da chiarire. Ma oramai siamo in possesso di tali e tanti elementi che, se non riusciremo a trovare gli altri, sarà esclusivamente colpa nostra. Andiamo subito a Whitehall Terrace per concludere il tutto.» Quando arrivammo alla residenza del segretario per l'Europa, Holmes chiese di Lady Hilda Trelawney Hope. Fummo introdotti nel salottino. «Signor Holmes!», protestò la signora avvampando d'indignazione. «Questo è veramente sleale e poco generoso da parte sua. Come le ho spiegato, desideravo che la mia visita rimanesse un segreto onde evitare che mio marito pensasse che volevo intromettermi nelle sue faccende. Eppure lei mi compromette venendo qui e dimostrando, in tal modo, che esiste fra noi un rapporto d'affari.» «Purtroppo, signora, non avevo alternative. Sono stato incaricato di rintracciare questo documento importantissimo. Devo quindi chiederle, signora, di avere la cortesia di consegnarmelo. » La donna si alzò di scatto, col viso improvvisamente terreo. Aveva lo sguardo vitreo - barcollava - temetti che stesse per svenire. Poi, con uno sforzo enorme, si vinse e il suo volto non mostrò che il più assoluto sbigottimento. «Lei - lei mi sta insultando, signor Holmes.» «Andiamo, andiamo signora, è inutile. Mi dia la lettera.» Si precipitò al campanello. «Il maggiordomo vi accompagnerà alla porta.» «Non suoni, Lady Hilda. Se lo farà, tutti i miei sforzi per evitare uno scandalo andranno perduti. Mi consegni la lettera e tutto andrà a posto. Se lei collabora con me, sistemerò io ogni cosa. Se mi si mette contro, dovrò smascherarla.» Rimase in piedi con aria altera e sdegnosa, una figura regale, fissando Holmes come se volesse leggergli in fondo all'anima. La mano era sul campanello, ma non lo aveva suonato. «Lei sta cercando di spaventarmi. Non è molto virile, signor Holmes, venire qui ad angariare una donna. Lei dice di sapere

qualcosa. Che cosa, esattamente?» «La prego, si accomodi, signora. Se cadesse, potrebbe farsi male. Non parlerò finché non si sarà seduta. Grazie.»

«Le do cinque minuti, signor Holmes.» «Ne basterà uno solo, Lady Hilda. Sono al corrente della sua visita a Eduardo Lucas, del fatto che lei gli ha consegnato il documento, del modo ingegnoso con cui è tornata ieri sera in quella casa e di come ha preso la lettera dal nascondiglio sotto il tappeto.» Lo guardava terrea in volto e inghiottì due volte prima di riuscire a parlare. «Lei è pazzo, signor Holmes - è pazzo!», gridò alla fine. Il mio amico trasse di tasca un pezzetto di cartone. Era il viso di una donna, ritagliato da una fotografia. «L'ho portata perché pensavo che avrebbe potuto servire», spiegò. «Il poliziotto l'ha riconosciuto.» Ebbe una specie di singhiozzo e il capo le ricadde sulla spalliera della seggiola. «Andiamo, Lady Hilda. Lei ha la lettera. Tutto si può ancora aggiustare. Non ho nessuna intenzione di metterla nei guai. Una volta restituita la lettera a suo marito, il mio compito è finito. Segua il mio consiglio, sia sincera con me. È la sua unica chance.» Il coraggio di quella donna era ammirevole. Anche adesso, non voleva ammettere la sconfitta. «Le ripeto, signor Holmes, che lei sta sognando.» Holmes si alzò. «Mi dispiace per lei, Lady Hilda. Ho fatto del mio meglio per aiutarla. Ma vedo che non è servito a niente.» Suonò il campanello. Entrò il maggiordomo. «Il signor Trelawney Hope è in casa?» «Sarà qui all'una meno un quarto, signore.» Holmes diede un'occhiata all'orologio. «Ancora un quarto d'ora», disse. «Benissimo, aspetterò.» Il maggiordomo non aveva ancora chiusa la porta che Lady Hilda gli si gettò davanti in ginocchio, con le mani tese, e il bel viso inondato di lacrime. «Mi risparmi questo, signor Holmes! Me lo risparmi!», lo scongiurò, sconvolta e supplichevole. «Per amor del cielo, non glielo dica! Lo amo tanto! Non vorrei gettare nemmeno un' ombra sulla sua vita e so che questo spezzerebbe il suo nobile cuore.» Holmes la fece rialzare. «Grazie, signora, per essere rientrata in sé, sia pure all'ultimo momento! Non c'è un istante da perdere. Dov'è la lettera?» Corse a uno scrittoio, lo aprì e ne trasse una lunga busta azzurra.

«Eccola, signor Holmes, e volesse Iddio che non l'avessi mai vista! » «Come facciamo a restituirgliela?», mormorò Holmes fra sé e sé. «Presto, dobbiamo pensare a qualche sistema! Dov'è la valigia diplomatica?» «È ancora nella sua camera.» «Meno male! Svelta, signora, la porti qui!» Un momento dopo ricomparve recando una valigetta rossa e piatta. «Come l'ha aperta prima? Ha un duplicato della chiave? Ma certo, che ce l'ha! La apra!» Lady Hilda trasse dalla scollatura una minuscola chiave. Il coperchio della valigia si spalancò. Traboccava di carte. Holmes infilò fra di esse la busta azzurra, tra un foglio e l'altro. Il coperchio fu riabbassato, la valigia richiusa e riportata nella camera da letto. «Ora, può anche arrivare», disse Holmes. «Abbiamo ancora dieci minuti. La sto coprendo più di quanto dovrei, Lady Hilda.

In cambio, lei dovrebbe raccontarmi, in questi pochi minuti, cosa significa realmente questa storia straordinaria.» «Le dirò tutto, signor Holmes», esclamò la signora. «Oh, signor Holmes. Mi farei tagliare la mano destra pur di non dargli un attimo di dispiacere! Non c'è donna a Londra che ami suo marito quanto io amo il mio, eppure, se sapesse quello che ho fatto - quello che sono stata costretta a fare - non mi perdonerebbe mai. Il suo senso dell'onore è talmente profondo che mai dimenticherebbe o perdonerebbe un'azione poco onorevole da parte di un'altra persona. Mi aiuti, signor Holmes! Sono la mia, la sua felicità, le nostre stesse vite, ad essere in gioco!» «Presto, signora, il tempo passa! » «Si tratta di una mia lettera, signor Holmes, una lettera indiscreta scritta prima di sposarmi - una lettera sciocca, impulsiva, la lettera di una ragazza innamorata. Non c'era niente di male, ma lui l'avrebbe vista come un delitto. Se l'avesse letta, non avrebbe mai più avuto fiducia in me. La scrissi tanti anni fa. Pensavo che fosse una cosa passata e dimenticata. E poi, un bel giorno, questo Lucas mi fece sapere che la lettera era in mano sua e che l'avrebbe mostrata a mio marito. Lo supplicai. Disse che me l'avrebbe restituita se gli avessi portato un certo documento che era custodito nella valigia diplomatica. Me lo descrisse; aveva qualche informatore nell'ufficio che gliene aveva rivelato l'esistenza. Mi garantì che nessun danno ne sarebbe derivato per mio marito. Si metta nei miei panni, signor Holmes! Che avrei potuto fare?»

«Raccontare tutto a suo marito.» «Non potevo, signor Holmes, non potevo! Da una parte, mi minacciava la rovina; dall'altra, per terribile che fosse sottrarre un documento a mio marito, c'era una faccenda politica, di cui non afferravo le implicazioni; le uniche cose che mi interessavano erano l'amore e la fiducia di mio marito. Obbedii, signor Holmes! Feci un calco della chiave. Quell'individuo, Lucas, mi consegnò il duplicato. Aprii la valigia, presi il documento e lo recapitai a Godolphin Street.» «Lì cosa accadde, signora?» «Bussai nel modo convenuto e Lucas mi aprì. Lo seguii nella stanza lasciando la porta socchiusa perché avevo paura a restare sola con lui. Ricordo che, quando entrai, fuori c'era una donna. La transazione fu presto conclusa. La mia lettera era sul tavolo, gli diedi il documento, mi restituì la lettera. In quel momento si sentì un rumore alla porta e dei passi nel corridoio. Lucas alzò rapidamente il tappeto, infilò il documento in qualche nascondiglio al disotto, e lo rimise a posto. Quello che accadde dopo è come un incubo. Ricordo un viso dalla carnagione scura, stravolto, una voce di donna che urlava in francese, "La mia attesa non è stata vana. Finalmente, finalmente vi ho scoperti!". Poi ci fu una colluttazione violenta. Vidi lui con una sedia in mano, lei con un coltello. Fuggi da quell'orribile scena, lontano da quella casa, e solo la mattina lessi nei giornali il tragico epilogo. Quella sera ero felice perché avevo riavuto la mia lettera, e non sapevo ancora cosa mi riservava il futuro. Solo il mattino seguente mi resi conto che non avevo fatto che scambiare un problema con un altro. L'angoscia di mio marito quando si accorse della scomparsa del documento mi spezzò il cuore. Dominai a fatica l'impulso di gettarmi ai suoi piedi e di raccontargli cosa avevo fatto. Ma avrei dovuto anche raccontargli il perché. Venni da lei quella mattina per rendermi conto dell'enormità del mio gesto. Dal momento in cui ne presi coscienza, il mio solo pensiero fu quello di riprendermi il documento di mio marito. Doveva trovarsi ancora dove l'aveva messo Lucas, perché aveva fatto in tempo a nasconderlo prima dell'ingresso di quella donna orribile. Se non fosse stato per il suo arrivo, non avrei mai saputo dove fosse il nascondiglio. Ma come entrare nella stanza? Per due giorni tenni d'occhio la casa ma la porta non rimaneva mai aperta. Ieri sera feci un ultimo

tentativo. Lei già sa quale fu e come riuscii nel mio intento. Riportai il documento a casa e pensai di distruggerlo perché non

riuscivo a vedere come restituirlo senza confessare la mia colpa a mio marito. Mio Dio, eccolo che sale le scale!» Il segretario per l'Europa si precipitò agitatissimo nella stanza. «Novità, signor Holmes, novità?», esclamò. «Ho buone speranze.» «Ah, grazie al cielo!», si illuminò in volto. «Il primo ministro pranzerà con me. Posso comunicarglielo? Ha dei nervi d'acciaio, ma so che non ha praticamente chiuso occhio da quando è successa questa cosa tremenda. Jacobs, chieda per favore al primo ministro di salire. In quanto a te, cara, temo che questa sia una faccenda politica. Ti raggiungeremo in sala da pranzo fra pochi minuti.» Il primo ministro appariva tranquillo ma, dal bagliore dei suoi occhi e dal modo in cui contraeva le mani ossute, capivo che condivideva l'agitazione del giovane collega. «Mi si dice che lei ha qualcosa da riferire, signor Holmes?» «Puramente negativa, al momento», rispose il mio amico. «Mi sono informato in tutti i luoghi dove potrebbe trovarsi e sono sicuro che non ci saranno complicazioni» «Ma questo non è sufficiente, signor Holmes. Non possiamo rimanere per sempre seduti su questo vulcano. Dobbiamo sapere qualcosa di preciso.» «E spero di potervelo dare. Per questo sono qui. Più ripenso a questa faccenda, più sono convinto che la lettera non è mai uscita da questa casa.» «Signor Holmes! » «Se ne fosse uscita, a quest'ora sarebbe di dominio pubblico.» «Ma perché qualcuno avrebbe dovuto rubarla per poi tenerla qui?» «Non sono sicuro che qualcuno l'abbia rubata.» «E allora come è potuta sparire dalla valigia diplomatica?» «Non sono sicuro che ne sia mai sparita.» «Signor Holmes, questo non è il momento di scherzare. Le assicuro che nella valigia non c'è più.» «L'ha aperta, da martedì mattina ad oggi?» «No. Non ne ho avuto necessità.» «Forse, non l'ha vista.» «Impossibile, le dico.» «Ma io ne sono sicuro. Ho visto spesso accadere cose del genere. Immagino che la valigia contenga anche altri documenti. Potrebbe essere finita in mezzo a quelli. » «Era in cima.»

«Qualcuno può avere smosso la valigia, spostandola.» «No, no, l'ho vuotata completamente.» «La cosa è presto risolta, Hope», disse il premier. «Vediamo questa valigia.» Il segretario suonò il campanello. «Jacobs, porti giù la mia valigia diplomatica. È una ridicola perdita di tempo ma, se proprio insiste, vediamola pure. Grazie Jacobs, la posi qui. Tengo sempre la chiave attaccata alla catena dell'orologio. Guardi, ecco i documenti. Una lettera di Lord Merrow, un rapporto di Sir Charles Hardy, un memorandum da Belgrado, una nota sulle imposte agrarie russo-tedesche, una lettera da Madrid, un appunto di Lord Flowers - Mio Dio, e questa cos'è? Lord Bellinger! Lord Bellinger!» Il primo ministro gli strappò di mano la busta azzurra. «Sì, è proprio questa - ed è intatta. Hope mi congratulo con lei.» «Grazie! Grazie! Che peso mi sono tolto dal cuore. Ma è inconcepibile - impossibile. Signor Holmes, lei è un mago, uno stregone! Come ha fatto a sapere che era qui?»

«Perché sapevo che non era da nessun'altra parte.» «Non riesco a credere ai miei occhi!» Si precipitò alla porta. «Dov'è mia moglie? Devo dirle che è tutto sistemato. Hilda! Hilda! » Sentimmo la sua voce per le scale. Il primo ministro guardò Holmes con occhi ammiccanti. «Andiamo, signore», disse. «Le cose non stanno esattamente così. Come ha fatto la lettera a tornare nella valigia?» Holmes, sorridendo, evitò lo sguardo scrutatore di quegli occhi tanto espressivi. «Anche noi abbiamo i nostri segreti diplomatici», rispose e, preso il cappello, si avviò alla porta. Next Page